La ceramica greco-orientale in Etruria1
p. 150-212
Note de l’éditeur
(Pl. LXXVI-LXXXIX)
Texte intégral
1Le difficoltà che si prospettano a chi oggi tenti di fornire un quadro d’insieme delle importazioni di ceramica greco-orientale in Etruria sono di origine quasi esclusivamente esterna, data l’impossibilità di presentare il materiale nella sua completezza, suddiviso com’è in depositi spesso impraticabili ο associate in contesti di proprietà scientifica altrui.
2Si aggiunga a ciò che, specialmente in Etruria, nell’ambito di un più ampio quadro di importazioni greco-orientali, la esclusiva considerazione dei prodotti ceramici può considerarsi limitativa, soprattutto avendo riguardo alla fisionomia del cosiddetto orientalizzante recente, nel quale la documentazione extravascolare, per il suo carattere di bene di prestigio, assume un valore del tutto peculiare. Le recenti scoperte di Gravisca, d’altro canto, hanno aperto alla considerazione storica, in particolare per il VI sec. a.C., nuove prospettive, di cui è necessario tenere conto nel bilancio storico e nella valutazione storico-economica dei fatti, che diviene sempre più pressante1. Ma è pur vero che per compiere questo passo, certo più interessante, manca una adeguata base documentaria ed è per questo motivo che, accogliendo il cortese invito del CNRS e del Direttore del Centro Jean Bérard, ho cercato di raccogliere i dati attualmente disponibili, che peraltro non sono del tutto esaustivi, tentando di fornire alcune indicazioni programmatiche.
3La mia indagine muove pertanto su due linee: l’identificazione delle classi di materiale attestate in Etruria e la loro. distribuzione diatopica e cronologica.
A) CERAMICA DI TRADIZIONE GEOMETRICA
41. — I prodotti ceramici più antichi che risultano importati in Etruria dall’area greco-orientale sono gli aryballoi c.d. rodio-cretesi, per i quali J.N. Coldstream, in occasione dell’incontro sul geometrico svoltosi qui a maggio2, ha proposto la nuova definizione di «semioriental», ribadendo che la loro fabbricazione ed esportazione non fu esclusivamente greca.
5La presenza in Etruria di questa classe vascolare non risulta affatto dall’elenco a suo tempo redatto da Friis Johansen3, mentre in effetti gli esemplari provenienti dall’Etruria e dal Lazio ammontano a oltre una decina e appartengono alla forma A distinta dallo studioso danese. Al momento, la maggiore concentrazione si osserva a Cerveteri: tre aryballoi di questo tipo sono stati rinvenuti infatti nella tomba 2 del Tumulo 1 della Banditaccia [1-3], un quarto è stato — forse indebitamente — inserito dal Pareti nel corredo della tomba Giulimondi [4]; uno è presente nella tomba 18 s. di via del Manganello [5], che ospita anche una coppa a uccelli sulla quale torneremo più oltre4, mentre due altri ricorrono nella tomba 460 di Monte Abatone [6-7]5. Ancora un esemplare figura nella tomba 2 di Casaletti di Ceri [8], significativamente associato,. fra l’altro, come del resto nella già citata tomba 2 della Banditaccia, a ceramica cumana e databile poco dopo il 700 a.C.
6Altre attestazioni si registrano poi a Tarquinia, nella tomba 8 di Poggio Gallinaro [9], assieme a ceramica italo-geometrica e ad una kotyle protocorinzia collocabili nel primo quarto del VII secolo a.C., e a Vulci, nella Tomba del Carro di Bronzo [10], per la quale si può proporre una cronologia attorno al 680-670 a.C.
7Dal Lazio conosciamo ora l’esemplare dalla tomba XV della necropoli di Castel di Decima [11], della fine dell’VIII sec. a.C.: l’associazione con tre coppe tipo Thapsos e con un aryballos panciuto PCA ne ripete alcune di Mylai e Cuma6.
8Relativamente alla sua diffusione, mi pare interessante notare come questo tipo di aryballos risulti associato, nei contesti più antichi nei quali compare in Etruria, a ceramica cumana: se ne può dunque ragionevolmente arguire che si tratta di gruppi di materiali che pervengono direttamente dall’area campana (a questo riguardo si tengano presenti, oltre alle attestazioni a Cuma, quelle, assai elevate numericamente, di Pithecusa, che ha restituito, come ha comunicato D. Ridgway nel precedente convegno svoltosi qqi a maggio, ben novantasette «spaghetti aryballoi», di cui ottanta in tombe del LG II, ossia dell’ultimo quarto dell’VIII, e i rimanenti in tombe del primo quarto del VII, nonché due imitazioni locali), la quale ne opera la redis,tribuzione in Etruria, ove le presenze si inoltrano almeno fino a tutto il primo quarto del VII sec. a.C., come ci segnala ad esempio l’aryballos della Tomba del Carro.
9Analogamente a quanto faro per tutte le classi vascolari che verranno progressivamente esaminate, fornisco di seguito la lista dei pezzi considerati7, indicando le referenze bibliografiche, allorché essi siano già pubblicati, e altri elementi di riconoscimento, ove si tratti-di inediti.
101-3. Da Cerveteri, Banditaccia, tomba 2 del Tumulo I a Roma, Museo di Villa Giulia, inv. 22205, 22214.
MonAnt. 42, 1955, cc. 219, n. 8, fig. 10, 1, 220, nn. 17-18, fig. 10. 3.
114. Da Cerveteri, necropoli del Sorbo(?) a Roma, Musei Vaticani.
L. Pareti, La tomba Regolini-Galassi del Museo Gregoriano Etrusco e la civiltà dell’Italia centrale nel sec. VII a.C., Città del Vaticano, 1947, p. 404, n. 490, tav. 61, fig. 1(II ripiano).
Il pezzo, assente negli elenchi di G. Pinza, in RM 22, 1907, pp. 35 ss., è stato incluso dal Pareti nella tomba Giulimondi per il fatto che era esposto insieme alla suppellettile di tale tomba: la sua pertinenza al pomplesso è quindi dubbia.
125. Da Cerveteri, Banditaccia, tomba 18 s. di via del Manganello a Roma, Museo di Villa Giulia. Inedito.
136-7. Da Cerveteri, necropoli di Monte Abatone, tomba 460 a Cerveteri, Magazzino degli scavi. Inediti.
148. Da Casaletti di Ceri, tomba 2 (scavo 1956) a Cerveteri, Museo Archeologico.
15G. Colonna, in StEtr., 36, 1968, p. 268, n. 3, fig. 3, n. 4, propende a considerarlo un’imitazione cumana.
169. Da Tarquinia, Poggio Gallinaro, tomba a fossa 8 a Firenze, Museo Archeologico, inv. 83474/n. L. Pernier, in NSc, 1907, p. 338, fig. 68 (in basso, a d.); H. Hencken, Tarquinia, Villanovans and early Etruscans, Cambridge (Mass.), 1968, p. 345, fig. 344 b.
1710. Da Vulci, necropoli dell’Osteria, Tomba del Carro di Bronzo (scavo 1965) a Roma, Museo di Villa Giulia.
G. Scichilone, in Arte e civiltà degli Etruschi, Torino, 1967, p. 43, n. 55; riconosciuto da M. Cristofani Martelli, in StEtr., 40,1972, p. 80, nota 9 e in CVA, Gela, 2, II D, p. 3, testo a tav. 33, 1-2.
1811. Da Castel di Decima, tomba 15 a Ostia, Museo Archeologico, inv. 32262.
F. Zevi, in Civiltà del Lazio primitivo, Roma, 1976, pp. 262, 263, n. 16 e in NSc, 1975, pp. 266, 291, n. 13, figg. 34, 38.
192. — Più numerosa è invece nel complesso la quantità delle coppe a uccelli. A Cerveteri se ne contano otto esemplari, inseribili nei gruppi II e III della classificazione Coldstream8. Di essi, ben tre [1-3] provengono dalla tomba 4 di Monte Abatone, esposta nel Museo di Cerveteri e sostanzialmente inedita, la cui cronologia si pone poco prima ο intorno alla metà del VII sec. a.C. Allo stesso torno di tempo rimonta il contesto nel quale ricorre un altro esemplare, la nicchia destra della tomba Regolini-Galassi [4]. Un quinto, finora inedito, appartiene alla tomba 90 di Monte Abatone [5]9 ed è riconoscibile come tipo evoluto del gruppo II Coldstream, presentando la parte inferiore del bacino interamente verniciata e il volatile con accenno di prolungamento della coda, nonché i riempitivi a losanga, crocetta e semicerchio con punto (fig. 1). Sempre nel gruppo II Coldstream rientra un esemplare inedito dalla tomba 18 s. di via del Manganello [6], con la metà inferiore del corpo verniciata, coda del volatile appena accennata e riempitivi a triangolo reticolato a s., semicerchio con punto in alto a d. e cerchiello in basso a d., prossimo al n. 12, p. 299 della lista redatta dallo studioso inglese; la tomba in questione accoglie pure un aryballos del tipo rodio-cretese (v. pp. 151-152, n. 5), una kylix ionica Β 1 (v. p. 199, n. 144) e una delle redazioni’in bucchero delle coppe morfologicamente dipendenti appunto dalle bird-bowls (v. p. 155, nota 17). Ancora una coppa a uccelli figura nella tomba 36 di Monte Abatone [7], mentre un’altra, adespota, risulta conservata al Louvre [8].
20Da Narce conosciamo un esemplare [9] che, a giudicare dalla riproduzione grafica datane da Montelius, sembra abbastanza antico, inseribile nel II gruppo Coldstream: la tomba 3 del Quarto Sepolcreto di Pizzo Piede che lo conteneva scende tuttavia nel terzo quarto del VII sec. a.C., in quanto il corredo comprende, oltre a un’oinochoe TPC, una coppa ionica A 1 (v. p. 196, n. 44) e una serie di vasi in bucchero sottile.
21Ancora alle caratteristiche del II gruppo Coldstream sembra accostarsi una «bird-bowl» appartenente a un contesto di Vulci databile forse poco prima della metà del VII sec. a.C., la camera A della tomba XII dello scavo Gsell [10]10, mentre nel III gruppo possono includersi, data la decorazione a raggi della metà inferiore della vasca, due esemplari di un’altra tomba vulcente, la Gsell LII [11-12], che sembrerebbe rimontare al terzo quarto del VII, uno da un’altra tomba messa in luce dallo stesso Gsell [13] e uno, sporadico, da Tarquinia [14].
22Mentre non consta, sulla scorta dei dati attualmente disponibili, che gli aryballoi «rodio-cretesi» abbiano raggiunto l’Etruria settentrionale, questa risulta invece interessata, e in misura non marginale, dal circuito distributivo delle «Vogelschalen», attestate infatti a Vetulonia e a Populonia.
23La coppa rinvenuta nella quarta fossa della Tomba vetuloniese del Duce [15] è associabile al II gruppo della classificazione Coldstream (figg. 2-3). La datazione del complesso, fissata dal Camporeale agli ultimi decenni del VII sec. a.C., è stata, a ragione, rialzata alla metà del secolo da Cristofani, dalla Strøm e da Boardman11, il quale ultimo ha in particolare sottolineato validamente il preciso apporto che proprio il pezzo in questione reca ai fini della determinazione cronologica. Da Vetulonia, da una tomba dello stesso periodo, il Circolo delle Tre Navicelle, proviene poi un altro esemplare [16], che, analogamente al precedente, rientra ancora nella tipologia della prima metà del VII sec. a.C.: benché la decorazione sia largamente evanide, si osserva infatti che la parte inferiore del bacino è interamente verniciata e che il volatile non reca coda prolungata (fig. 4).
24Un esemplare strettamente affine a quello della Tomba del Duce, con la metà inferiore della vasca verniciata e bande dipinte ai lati delle anse, è stato rinvenuto recentemente in una tomba a tumulo in località Poggio Pelliccia [17] presso Gavorrano (Grosseto), sulla quale avremo più volte occasione di ritornare perché accoglieva, oltre a una rilevante quantità di vasi corinzi e attici, anche un calice chiota, coppe ioniche e un aryballos «rodio» a testa d’aquila (v. pp. 161, n. 6; 164, 199, n. 133, 201, nn. 196-196-197; 179, 209, n. 71). Accanto a quelle di Vetulonia e di Populonia, di cui dirò immediatamente, questa nuova scoperta documenta inequivocabilmente come la distribuzione areale di questo tipo di importazioni interessi specificamente il distretto minerario dell’Etruria settentrionale e sia quindi direttamente connessa con gli scambi commerciali legati alle attività estrattive.
25Populonia annovera due coppe a uccelli: la prima, sin qui inedita [18], forse da una tomba a camera della necropoli di S. Cerbone12, è pure del tipo II Coldstream (figg. 5-6); la seconda [19], di dimensioni assai ridotte e caratterizzata da gruppi di zig-zag che fiancheggiano l’uccello, in sostituzione delle più consuete losanghe fra filetti, proviene dalla nota Tomba dei Flabelli (figg. 7-8) e trova una replica puntualissima nella tomba CXLIII di Macri Langoni (Kamiros)13: il complesso di appartenenza fu utilizzato per circa un secolo14 e il pezzo in esame potrebbe costituirne uno dei punti di riferimento cronologico più alto.
26Con un generico dato di provenienza dall’Etruria è indicata poi una coppa conservata ad Heidelberg [20], del gruppo 2 Coldstream, che sarebbe stata rinvenuta con una kylix TPC a raggi. Presumibilmente dall’Etruria méridionale viene infine un esemplare già sul mercato antiquario milanese [21], assai simile a quello della Tomba del Duce.
27Segnalo, d’altro canto, per il suo interesse, in quanto sola attestazione del t po a me nota in Etruria una coppa inedita da Populonia (fig. 9)15, certamente prodotta e importata dalla Grecia orientale, se non proprio da Rodi, morfologicamente identica alle «Vogelschalen», ma con vasca semplicemente decorata all’esterno da due bande dipinte in bruno inframmezzate da una fascetta a risparmio, mentre una più ampia banda risparmiata corre superiormente, all’altezza delle anse: per essa, ancora una volta, un termine di confronto estremamente calzante è offerto da una tomba camirese, la XI del sepolcreto di Papatislures16.
28In totale le attestazioni sono pertanto più di venti, numero abbastanza rilevante, che plausibilmente giustifica la fortuna che assai precocemente questa forma ha incontrato anche nelle redazioni in bucchero sottile17, prima di essere soppiantata dalle imitazioni di coppe ioniche.
291-3. Da Cerveteri, Monte Abatone, tomba 4 a Cerveteri, Museo Archeologico: un ex. (n. 11) nella camera s. e due exx. (nn. 14, 16) nella camera d.
Inediti; uno, citato da J. Boardman, in JHS, 85, 1965, p. 6, nota 6 e in Chios, p. 133, nota 9 e riprodotto da C. M. Lerici-E. Carabelli, Apparecchiatura fotografica per ricerche archeologiche, in Quaderni di Geofisica Applicata, 1956, fig. 13 a p. 11, presenta fasce verticali dipinte ai lati delle anse, come quelli della Tomba del Duce e dell’asta Finarte (cfr. infra 15, 21).
304. Da Cerveteri, necropoli del Sorbo, nicchia d. della tomba Regolini Galassi a Roma, Musei Vaticani. Albizzati, p. 5, n. 21, tav. I, con bibl. prec.; Pareti, op. cit., tav. 49, p. 382 s., n. 381.
315. Da Cerveteri, Monte Abatone, tomba 90 a Roma, Fondazione Lerici.
Inedita (fig. 1).
326. Da Cerveteri, Banditaccia, tomba 18 s. di via del Manganello a Roma, Museo di Villa Giulia. Inedita; vi ha accennato G. Colonna, in StEtr, 29, 1961, p. 67, nota 73.
337. Da Cerveteri, Monte Abatone, tomba 36 a Cerveteri (?). Non vidi.
Inedita, ma segnalata da A. Giuliano, in JdI, 78, 1963, p. 196, nota 11.
348. Da Cerveteri al Louvre. Non vidi.
A. Blakeway, in BSA, 33, 1932-33, (1935), p. 198, n. 5 menziona «a Rhodian Bird Bowl of very primitive type, No. 12 in the Cerveteri Room».
359. Da Narce, tomba a camera 3 del Quarto Sepolcreto a sud di Pizzo Piede a Roma, Museo di Villa Giulia (?). Non vidi.
MonAnt, 4, 1894, c. 482, n. 6; O. Montelius, La civilisation primitive en Italie depuis l’introduction des métaux, Stockholm, 1904, tav. 323, 7.
3610. Da Vulci, scavi Gsell, camera A della tomba XII.
Gsell, pp. 46, n. 8, 395, 424.
3711-12. Da Vulci, scavi Gsell, tomba LII.
Gsell, pp. 125 s., nn. 21-22, 395, 424.
3813. Da Vulci, scavi Gsell, tomba «fouillée le 18 février» (sc. 1889).
Gsell, pp. 395, 424.
3914. Da Tarquinia, sporadica a Tarquinia, Museo Archeologico (sala IV), inv. 3182.
Inedita.
4015. Da Vetulonia, Tomba del Duce, IV gruppo a Firenze, Museo Archeologico, inv. 7088 (figg. 2-3). I. Falchi, in NSc, 1887, p. 497; Idem, Vetulonia e la sua necropoli antichissima, Firenze, 1891, tav. 11, 8; Montelius, op. cit., c. 855, tav. 186, 9; CVA, Firenze, 1, III C e, tav. 1, 5 (D. Levi); G. Camporeale, La Tomba del Duce, Firenze, 1967, p. 112, n. 82, tavv. C 8, G 9, XXII b; Idem, I commerci di Vetulonia in età orientalizzante, Firenze, 1969, p. 106, tav. 38, 1; inoltre artt. e op. citt. a nota 11, ll. cc.
4116. Da Vetulonia, Tomba delle Tre Navicelle a Firenze, Museo Archeologico, inv. 6816 (fig. 4). CVA, Firenze, 1, IIIC e, tav. 1, 30 (D. Levi); Camporeale, Commerci, cit., p. 106, tav. 38, 2: la datazione alla seconda metà del VII sec. a. C. ivi proposta a p. 109 va, anche in questo caso, rialzata attorno alla metà del secolo per la tipologia della coppa in questione, che ha infatti la base verniciata.
4217. Da tomba a tumulo in loc. Poggio Pelliccia (Gavorrano, Grosseto) a Firenze, Museo Archeologico, inv. 29460. H. cm. 4,9; diam. cm. 13,5. Ricomposta e reintegrata; la decorazione è largamente evanide, volatile compreso. Resta leggibile, oltre alle bande verniciate, una losanga fiancheggiata da tre filetti.
Inedita.
4318. Da Populonia, forse da una tomba a camera di S. Cerbone (scavi 1924-25) a Firenze, Museo Archeologico, senza inv.
Inedita (figg. 5-6).
H. cm. 5; diam. cm. 11,9. Decorazione largamente caduta; perduta un’ansa. L’interno e la metà inferiore esterna del bacino sono completamente verniciati. All’esterno, la metà superiore è decorata da tre metope, suddivise da doppi filetti verticali e sottolineate da altre filettature multiple, includenti al centro un volatile (privo di coda) e ai lati una losanga reticolata.
4419. Da Populonia, Poggio della Porcareccia, Tomba dei Flabelli di Bronzo a Firenze, Museo Archeologico, inv. 89410 (figg. 7-8).
A. Minto, in MonAnt, 34, 1932, c. 355, fig. 23, tav. 14, 9; Idem, Populonia, Firenze, 1943, p. 154, fig. 58, tav. 39, 8.
4520. Probabilmente dall’Etruria ad Heidelberg, Istituto di Archeologia dell’Università, inv. 61/10.
F. Canciani, in AA, 1963, c. 666 ss., n. 2, fig. 2; Coldstream, p. 300, n. 22; CVA, Heidelberg, 3, tav. 123, 1; AEsp, 44, 1971, p. 155, fig. 3; R. Hampe und Mitarbeiter, Katalog der Sammlung antiker Kleinkunst des Archäologischen Instituts der Universitàt Heidelberg, II, Neuerwerbungen 1957-1970, Mainz, 1971, tav. 18, n. 32, p. 16 s., da do.ve è ricavato il dato di provenienza («Unsere Schale kam in Etrurien zutage»). Per la kylix TPC proveniente dallo stesso contesto ibidem, p. 18, n. 34, tav. 19, con bibl. prec.
4621. Forse dall’Etruria (coll. Pesciotti Cima), già a Milano, commercio antiquario.
Finarte, Asta di oggetti archeologici, Milano, 1970, tav. 2, 1.
B) CERAMICA ORIENTALIZZANTE
a) «Wild Goat style»
47Non numericamente, ma qualitativamente cospicua è la serie dei vasi del «Wild Goat style» restituita dall’Etruria18. Un esemplare prestigioso, e fra i più antichi importati, sequestrato anni or sono nei pressi di Vulci [1] ed attualmente nel Museo di Villa Giulia (fig. 10), è in corso di pubblicazione sul Bd’A da parte di Antonio Giuliano, alla cui cortesia devo la fotografia. Si traita di una oinochoe a bocca rotonda con rotelle, elegantemente decorata da motivi geometrici accuratamente disegnati sul collo e sul corpo e da un fregio zoomorfo sulla spalla: uno stambecco, un grifo, un trofeo fitomorfo fiancheggiato da volatili, un grifo e due stambecchi, di cui l’ultimo rampante su un altro trofeo vegetale. La brocca può essere aggiunta al ristretto gruppo del «frühorientalisierende Stil» dello Schiering19 e trova confronti abbastanza significativi in esemplari dall’Heraion di Samos, da Temir-Gora al Museo dell’Ermitage e in uno da Rodi al Louvre definito «ephesisch» dal Walter20. La cronologia può essere fissata nel decennio successivo alla metà del VII sec. a.C.
48Di poco posteriori, comunemente datati attorno al 630 a.C., sono due pezzi meritamente famosi: l’oinochoe Lévy [2], acquistata a Roma dal pittore E. Lévy intorno al 1855 e passata al Louvre nel 1891, il più pregevole e rappresentativo documento del gruppo di Kamiros, e il piatto già nel Kircheriano [3] (fig. 14), che lo Schiering ha inserito nello stesso gruppo, ma che la Walter-Karydi considera «milesio»21.
49Fra la fine del VII e gl’inizi del VI sec. a.C. si pone il primo vaso dello «stile a stambecchi» importato in Etruria di cui sia noto il contesto di rinvenimento, un’oinochoe a bocca trilobata con due registri zoomorfi sul corpo (fig. 15) appartenente alla Tomba dei Sarcofagi di Cerveteri [4], complesso che scende almeno fino al primo quarto del VI. Seguendo la classificazione dello Schiering, che peraltro non l’ha a suo tempo considerata, essa dovrebbe essere inclusa nel gruppo di Vlastos; i confronti più vicini sono ravvisabili, specialmente per la tipologia del leone ed il caratteristico rendimento della criniera, nella oinochoe Amburgo 3440, in una di Smirne (perduta) e in un frammento da Clazomene al Louvre22, che la Walter-Karydi ha di recente ascritto a fabbrica «nordionica».
50Ancora come «nordionico» la stessa studiosa ha riconosciuto il cratere-dinos da Cerveteri [5] (fig. 16), di cui ha immotivatamente fornito una generica e incerta provenienza23, già riferito da Schiering al tardo stile di Vlastos24, databile al primo ventennio del VI sec. a.C. e morfologicamente identico ad un esemplare da Vroulia a Copenhagen25.
511. Probabilmente da Vulci (sequestro L. Sabatini, 1961) a Roma, Museo di Villa Giulia (fig. 10). A. Giuliano, in Prospettiva, 3, 1975, p. 4, fig. 1 e p. 8, nota 1, n. 5; Idem, Una oinochoe grecoorientale nel Museo di Villa Giulia, in Bd’A, in stampa [v. ora n. 3-4, luglio-dicembre 1975 [1977], pp. 165-167, figg. 1-9].
522. Probabilmente dall’Etruria a Paris, Musée du Louvre, inv. CA 350.
CVA, Louvre, 1, II D c, tavv. 6-7, con lett. prec.; Schiering, tavv. 13, 1 e 16, 5, pp. 50, 61 s., 68, 97; Kardara, tav. 4, fig. 3, p. 93, n. 3, con altra bibl.; Walter, tavv. 116-117, n. 592.
Sul significato della presenza del vaso in Etruria v. le osservazioni di Giuliano, art. cit. supra, p. 4.
533. Originis incertae, ma presumibilmente dall’Etruria, a Roma, Museo di Villa Giulia, inv. 24982 (già nel Museo Kircheriano, inv. 462) (fig. 14).
R. Paribeni, Vasi inediti del Museo Kircheriano, in MonAnt, 14, 1904, cc. 279 ss., 3, tav. 26; Schiering, l. c. a nota 21; Kardara, p. 97; Walter-Karydi, tav. 77, n. 651, pp. 60, fig. 127, 136.
544. Da Cerveteri, Banditaccia, Tomba 1 del Tumulo I ο dei Sarcofagi, a Cerveteri, Museo Archeologico, inv. 19557 (già a Villa Giulia) (fig. 15).
MonAnt, 42, 1955, c. 214, n. 18, fig. 7; Walter - Karydi, pp. 97, 1, 109 e nota 223, 142, tav. 105, n. 878; M. Moretti, Cerveteri, Novara, 1977, fig. 76 (a colori).
555. Da Cerveteri a Paris, Musée du Louvre (coll. Campana) (fig. 16).
Pottier, l.c. a nota 23; R. M. Cook, in Enciclopedia universale dell’arte, VI (1958), c. 846, tav. 386; Schiering, l. c. a nota 24; Walter-Karydi, pp. 79, 144, fig. 154, tav. 114, n. 938, con altra bibl.
b) Piatti su piede
56A poche unità ammontano, a mia conoscenza, i piatti su piede, che possono ricondursi, secondo la definizione della Kardara26, allo stile classico di Kamiros. La più elevata percentuale di presenze si constata a Vulci, da cui proviene più della metà degli esemplari da me raccolti. Fra essi se ne segnala particolarmente uno a Monaco, già appartenente alla collezione Candelori [1], con palmipede sul fondo contornato da una esuberante decorazione accessoria (fig. 17), databile al primo ventennio del VI sec. a.C. e ora dubitativamente assegnato dalla Walter-Karydi a fabbrica milesia. Altri tre sono del tipo con rosone centrale circoscritto da fasce concentriche, ripetute anche all’esterno27: due di essi sono stati recuperati in una tomba a camera della necropoli dell’Osteria [2-3] e sono riferibili, come alcuni consimili da contesti di Kamiros28, alla prima metà del VI secolo a.C.; un altro [4], sporadico, da Vulci ο comunque dal suo territorio (fig. 18)29, ha pure paralleli assai calzanti in ambito camirese, ad esempio nelle tombe 1, 3 e 5 di Macri Langoni30. Sempre a Vulci, due occorrono nella tomba 40/1962 dell’Osteria [5-6], mentre dei rimanenti uno, appartenente alla collezione Faina [7], potrebbe avere provenienza orvietana, l’altro è di origine ignota, ma assai probabilmente dall’Etruria [8]. Per quest’ultimo (figg. 19-20), che è decorato da gruppi di cuspidi alternate a rosette punteggiate, meandro spezzato fra bande e rosone e, esternamente, dalle consuete fasce multiple parallele, i confronti più pertinenti sono offerti, una volta ancora, da pezzi dei sepolcreti camiresi: in particolare esso è connesso e va ad aggiungersi a quelli riuniti dalla Kardara nei gruppi ϑ e ι ed a uno, meno elaborato ma egualmente prossimo, da Kamiros a Berlino31; come questi, è databile al secondo quarto del VI sec. a.C. Direttamente collegata con questa classe è poi una coppa, con rosone a quattro petali lanceolati circoscritto da banda dipinta in nero, da una tomba inedita di Cerveteri, la 365 Laghetto [9], nel cui corredo significativamente confluiscono altri oggetti greco-orientali, quali una coppa «ionica» A 2 (v. Appendice I, p. 197, n. 58) e due alabastra di bucchero «ionico» (v. pp. 174, nota 71 e 176, n. 10). Ricordo infine un piatto su piede dalla tomba 94/1962 della necropoli vulcente dell’Osteria [10], con decorazione dipinta a zone concentriche di elementi a S coricata, baccellature, cuspidi alternate a motivi a farfalla e disposte poi sul fondo a disegnare un rosone, che la Vagnetti (art. cit. infra) propende, persuasivamente, a considerare un’imitazione realizzata in Etruria.
571. Da Vulci (collezione Candelori) a Miinchen, Antikensammlungen, inv. 452 (fig. 17).
CVA, München, 6, tav. 276, 1-2, fig. 3, con bibl. prec.; Walter-Karydi, tav. 80, n. 655, pp. 60, 136 (ove è infondatamente affermato «unbekannter Herkunft»).
582-3. Da Vulci, necropoli dell’Osteria, tomba a camera (non meglio specificata nella didascalia esposta nel Museo) a Yulci, Museo Archeologico.
Segnalo che nel corredo sono presenti altre importazioni greco-orientali, ossia due kylikes «ioniche» A 2 e un alabastron scanalato in bucchero «ionico» (v. pp. 197, nn. 108-109 e 176, n. 21).
Inediti.
594. Da Vulci ο dall’agro vulcente a Massa Marittima, Antiquarium (raccolta G. Galli).
H. cm. 12; diam. cm. 24. All’esterno, fasce concentriche dipinte in bruno.
Inedito (fig. 18).
605-6. Da Vulci, necropoli dell’Osteria, tomba 40/1962. Non vidi.
Descritti (e definiti «di imitazione greco-orientale») in Vulci, Zona dell’«Osteria», Scavi della «Hercle», Roma s.d., p. 71, nn. 4-5; di uno resta solo il piede.
617. Da Orvieto (?) a Orvieto, Museo Faina, inv. 553. Non vidi.
Ne fa menzione A. Giuliano, in JdI, 78, 1963, p. 196, nota 11.
628. Originis incertae, ma presumibilmente dall’Etruria (sequestrato nel 1973 a Grosseto) a Firenze, Museo Archeologico, inv. 97569.
H. cm. 10,5; diam. cm. 28.
Inedito (figg. 19-20).
639. Da Cerveteri, tomba Laghetto 365, camera centrale a Cerveteri, Museo Archeologico.
Inedito.
6410. Da Vulci, necropoli dell’Osteria, tomba 94 (scavo Hercle 1962) a Roma, Palazzo di Montecitorio. L. Vagnetti, La raccolta di pezzi archologici, in AA. VV., Il Palazzo di Montecitorio, Roma, 1967, pp. 363, n. 4, con fig. 365. Di imitazione.
c) Calici chioti
65A sole sette unità ammontano per ora, d’altronde, anche i calici chioti. I più fini e importanti sono i due, celeberrimi, conservati a Wurzburg, già della collezione Feoli e quindi da Vulci [1-2], che documentano il «Middle Wild Goat style» elaborato dalle fabbriche di Chio alla fine del VII secolo a.C.; quasi certamente eseguiti dalla stessa mano, essi sono strettamente accostabili per lo stile alla famosa «Aphrodite bowl» da Naukratis e ad un frammento di dinos, pure da Naukratis32. Tre esemplari privi di decorazione figurata sono invece documentati a Cerveteri: l’uno, praticamente inedito (fig. 21), dalla tomba 352 di Monte Abatone [4], è del tipo I distinto da Hayes e dunque riferibile all’ultimo quarto del VII sec. a.C.; l’altro, venuto in luce pochi mesi or sono in una tomba a camera della Banditaccia già parzialmente interessata da scavo clandestino, rappresenta una redazione lievemente più antica di questo stesso tipo, a vasca larga e bassa, verniciata, e labbro con fascia sottostata da filetti [3], ed è quindi appena anteriore al precedente, situabile cioè agli inizi dell’ultimo venticinquennio del VII; il terzo, dalla Tomba dei Vasi Greci [5], è invece del tipo III33 e può collocarsi nel primo ο secondo venticinquennio del VI secolo a.C. Un altro, che doveva avere decorazione dipinta in nero, di cui restano però solo debolissime tracce, è stato rinvenuto recentemente nella già citata tomba di Poggio Pelliccia (fig. 22) [6], di amplissimo excursus cronologico34, e riveste una sua specifica importanza, in quanto è la prima attestazione di questa classe vascolare nell’Etruria settentrionale. Infine, un altro calice «plain» del tipo III, con gruppi di trattini verticali fra filetti nel pannello fra le anse, affine a quello della Tomba ceretana dei Vasi Greci, proviene forse dall’Etruria (fig. 23) [7], in quanto appartenente alle vecchie collezioni granducali confluite dalle Gallerie nel Museo Archeologico di Firenze.
661-2. Da Vulci (collezione Feoli) a Würzburg, inv. Ha 244-245.
CVA, Würzburg, 1 (1975), tavv. 22-24, 1-2, figg. 15-16, con bibl. prec.; Führer Würzburg, tav. 8, p. 79, L 128-129.
673. Da Cerveteri, Banditaccia (Laghetto), tomba a camera scavata nel marzo 1976.
G. Colonna, in StEtr, 45, 1977, p. 443, tav. 61, a.
684. Da Cerveteri, Monte Abatone, tomba 352 a Roma, Fondazione Lerici (fig. 21).
C. M. Lerici, Nuove testimonialize dell’arte e della civiltà etrusca, Milano 1960, fig. al centro a p. 46, I da s.; cenno di G. Colonna, in AC, 13, 1961, p. 20, nota 8 e Boardman, Chios, p. 120, nota 4.
695. Da Cerveteri, Banditaccia, Tomba 9 ο dei Vasi Greci a Roma, Museo di Villa Giulia, inv. 20789-90. MonAnt, 42, 1955, c. 277, n. 35, fig. 37, 3, con bibl. prec.; R. M. Cook, The Distribution of Chiot Pottery, in BSA, 44, 1949, pp. 158, nota 14, n. 4, 160; Boardman, Chios, p. 158, nota 2; Helbig, Führer4, III, p. 577 s., n. 2615.
706. Da tomba a tumulo in loc. Poggio Pelliccia (Gavorrano, Grosseto) a Firenze, Museo Archeologico, inv. 29463 (fig. 22).
Inedito.
717. Originis incertae, ma verosimilmente dall’Etruria a Firenze, Museo Archeologico, inv. 3702 (fig. 23). Vi ha accennato Boardman, Chios, p. 158, nota 2.
72Nel complesso dunque i vasi dello stile «della capra selvatica», i piatti di tipo rodio e i calici chioti restituiti dalle necropoli etrusche non risultano certo numerosi, ma, in particolare i primi e i due pezzi di Wiirzburg si pongono significativamente, per la ricchezza figurativa, sul piano dei «vasi-mercanzia», la cui richiesta favorisce lo stanziamento in Etruria di quel Pittore delle Rondini, in cui Giuliano ha brillantemente individuato per primo un artigiano immigrato dalla Grecia orientale35, che impiantò, probabilmente a Vulci, un atelier, creando una serie di prodotti vascolari che, soprattutto nella fase iniziale deU’attività, rivelano pieni e fecondi gli apporti del mondo di formazione.
C) ANFORE «CHIOTE»
73Nell’ultimo quarto del VII secolo a.C. anche l’Etruria appare inserita in quel circuito di «wine trade» che è segnato dalla presenza delle anfore c.d. chiote36, per le quali, pur nella possibile pluralità di centri di fabbricazione nella Grecia orientale, risulta accertata una produzione in Chio. In questo quadro l’Etruria è una delle molteplici aree interessate dalla diffusione di questi contenitori di una merce pregiata, i quali investono un raggio distributivo assai ampio, che va da vari siti della costa microasiatica all’Egitto (Naukratis, Daphnae), ad Al Mina, al Marocco (Mogador), alla Cilicia (Mersin), a Samos, Rodi, Thasos, Thera, Cipro, Camarina, Mylai, Marsiglia.
74Gli esemplari venuti in luce nelle necropoli etrusche si trovano in contesti dell’orientalizzante recente che datano fra il 630 a.C. ca. [1-2] e gli inizi del VI sec. a.C. [3-6]. Accanto ad alcune attestazioni a Vulci [8-9] (fig. 24) e ad una a Roma [10], la più elevata densità di presenze spetta a Cerveteri, ove tali recipienti precocemente stimolano una produzione locale, ormai agevolmente riconoscibile, il cui sobrio e lineare repertorio decorativo ricalca motivi e scansione della «Waveline Ware».
751-2. Da Cerveteri, Banditaccia, tomba 10, camera s. ο «Camera degli Alari» a Roma, Museo di Villa Giulia, inv. 21119, 21127.
MonAnt, 42, 1955, c. 336, n. 44, fig. 77, n. 24 e c. 337, n. 52, fig. 77, n. 25.
763-5. Da Cerveteri, Banditaccia, Tomba «dei Dolii» a Roma, Museo di Villa Giulia, inv. 20970, 21103, 21107. Non vidi.
MonAnt, 42, 1955, cc. 319, n. 46, 321, nn. 79, 83, tav. agg. B, forma 26; G. Colonna, in AC, 13, 1961, p. 20, nota 9.
776. Da Cerveteri, Monte Abatone, tomba 4, camera centrale a Cerveteri, Museo Archeologico.
Inedita.
787. Da Cerveteri a Paris, Musée du Louvre, inv. Campana 2390.
Pottier, op. cit., I, p. 36, tav. 30, D 40; Montelius, op. cit., tav. 344, 3.
79a. Da Cerveteri, Banditaccia, tomba 2/1951 a Roma, Museo di Villa Giulia.
NSc, 1955, p. 51, fig. 5, n. 6; Colonna, l. c. supra, n. 5, che la elenca fra le importazioni. A mio avviso è invece da riconoscervi una imitazione realizzata in ambito ceretano, da inserire già a pieno titolo nel contesto della produzione etrusco-corinzia in stile lineare: la tecnica e i colori impiegati, la sintassi ornamentale e il profilo dell’orlo differiscono infatti assai sensibilmente dalle caratteristiche canoniche delle anfore vinarie sia «East Greek» in generale sia «chiote» in particolare.
80Repliche di questo stesso tipo sono:
81b. Da Cerveteri a Paris, Musée du Louvre, inv. Campana 288.
Pottier, cit. supra, p. 36, tav. 30, D 48; Colonna, l. c. supra, n. 1.
82c. Originis incertae a L’Aquila, Museo Nazionale, inv. 524.
Moretti, op. cit. a nota 17, fig. a p. 291.
83d. Originis incertae, già sul mercato antiquario svizzero.
Galerie am Neumarkt, Auktion XXII, Zurich 1971, tav. 20, 152.
84Altrettanto dicasi per gli esemplari, inediti, elencati di seguito:
85e-f. Da Cerveteri, Bufolareccia, tomba 86 a Cerveteri, Museo Archeologico.
86g. Da Cerveteri, Monte Abatone, tomba 123 a Cerveteri, Museo Archeologico.
87h-i. Da Cerveteri, Bufolareccia, tomba 17 a Roma, Fondazione Lerici.
88k. Da Cerveteri, Monte Abatone, tomba 426 a Cerveteri, Museo Archeologico.
89l-m. Da Cerveteri, Monte Abatone, tomba 186 a Cerveteri, Magazzino degli scavi.
90Sicuramente importati invece:
918-9. Da Vulci, necropoli dell’Osteria, tomba 4/1961 (fig. 24).
Vulci, Zona dell’«Osteria», Scavi della «Hercle», Roma, s.d., p. 14, fig. 2 a d.
9210. Da Roma, Palatino («stratum III above the Hut A», presso le Scalae Caci) a Roma, Antiquarium Palatino.
E. Gjerstad, Early Rome, III, Lund 1960, p. 80, fig. 50, n. 55; Idem, Early Rome, IV, Lund 1966, p. 289, fig. 159, 4 (framm.).
D) COPPE «IONICHE»
93G. Colonna è già ripetutamente intervenuto37 per contrastare quanto Villard e Vallet avevano affermato circa la scarsa consistenza di coppe «ioniche» in Etruria38, ma è pur vero che finora non è stata affrontata sistematicamente una raccolta di esse39. Anche una ricerca parziale come quella che mi è stato permesso di condurre e che ha incontrato altresi parecchio materiale frammentario, di cui non sempre si può tener conto in termini rigorosi, attinge risultati numericamente cospicui, non limitati certo alla trentina di pezzi additata dagli studiosi francesi, ma raggiungendo una cifra più che dede-cuplicata: attenendosi alla loro tipologia, si arriva a computarne — e, si ribadisce, in via provvisoria, giacché oggettive difficoltà di natura esterna non consentono al momento di redigerne un inventario completo — una cinquantina di esemplari di tipo A 1, quasi un centinaio di A 2, una dozzina di Β 1, una cinquantina di Β 2 e una settantina di Β 3. Ma è da sottolineare come da questo novero sia esclusa, oltre a una quantità davvero non trascurabile di materiali inediti, una settantina almeno di altri esemplari, pubblicati come ionici ο greco-orientali ο identificabili come tali, ma non suddividibili per forme a causa della genericità delle descrizioni ο delle incongruenze nei termini di confronto addotti dagli editori40, esemplari che occorre tuttavia considerare ai fini della valutazione statistica generale.
94Dalla documentazione di riscontro che ho raccolto nell’Appendice I e alla quale rinvio si enuclea come la più parte sia distribuita fondamentalmente nelle principali città dell’Etruria meridionale, Cerveteri, Tarquinia e Vulci, e nei rispettivi territori di influenza, ma specialmente in quello vulcente. Assai meno consistente e nel complesso decisamente modesto è invece il nucleo di attestazioni riell’Etruria settentrionale sia interna che costiera. Una certa continuità si può individuare a Chiusi e a Orvieto, ove figurano, se pure in quantità piuttosto limitata, le A 2, le Β 2 e le Β 3: la loro occorrenza in questi centri andrà inserita in quel circuito di scambi e di apporti, documentato per vari altri aspetti, che fa capo a Vulci, così come ad uno smistamento di Vulci sono da imputare gli esemplari dai dintorni di Orbetello e da Saturnia, che ha restituito una delle rare Β 1. La percentuale di presenze di coppe di questa forma è in generale bassissima in Etruria, ma non andrà dimenticato il fatto che questo tasso ridotto non è fenomeno esclusivo dell’Etruria, riscontrandosi anche in altre aree. Ad una redistribuzione secondaria di Chiusi sono poi verosimilmente da connettere le poche A 2 e Β 2 di Murlo, vasellame di pregio della «residenza» del signore locale, così come quelle di Castelnuovo Berardenga. Interessante è la presenza di un’imitazione di A 2 in un sito periferico e marginale quale l’insediamento palafitticolo di Massarosa (Lucca), di cui è problematico tuttavia definire la zona di provenienza, poiché il sito in questione ha restituito, oltre a qualche importazione ceretana, anche un’anfora massaliota. Pochissime unità, appena tre Β 3 a filetti, si registrano a Populonia, che pure è il centro etrusco-settentrionale più ricco di importazioni greco-orientali. Nessun esemplare è noto da Vetulonia, mentre una A 2 miniaturistica e due Β 2 evolute sicuramente di imitazione sono venute in luce, assieme a parecchi vasi greco-orientali, corinzi e attici, nel tumulo di Poggio Pelliccia presso Gavorrano41, sulla strada che porta verso il Lago dell’Accesa. Presenze sporadiche si annoverano poi nell’agro fafa-lisco; punte isolate figurano in centri dell’interno, quale Bisenzio, e oltre Appennino, a Bologna. Relativamente meno esigui numericamente sono i pezzi da Roma, prevalentemente Β 3, ove si constata un rapporto quasi pari con le importazioni attiche, mentre talune attestazioni ricorrono in altre località del Lazio (Lavinio, Osteria dell’Osa).
95Qualche osservazione aggiuntiva scaturisce dal sondaggio che ho compiuto, pur con tutte le cautele che un’indagine-campione di questa natura impone: da un lato, si può constatare che le percentuali più elevate sono raggiunte dalle coppe dei decenni finali del VII e da quelle della metà circa del VI sec. a.C.; d’altro canto, sembra potersi individuare una linea di tendenza che comporta la massima concentrazione, per i tipi più antichi, nell’Etruria meridionale e nell’agro vulcente, mentre in processo di tempo segnala una più larga diffusione che tocca, benché episodicamente, la zona settentrionale, la quale si rivela dunque tributaria dei centri meridionali e, a mio parere, soprattutto di Vulci.
96Un problema piuttosto complesso è costituito dalle imitazioni, che pure si riscontrano in più località, per le quali non si dispone al momento di argomenti documentati che consentano di definire se sono state realizzate in Etruria ο nei centri coloniali della Magna Grecia. Ciò che tuttavia si può affermare è che, comunque, non si è avuta in Etruria una produzione di vasta portata di imitazioni in argilla figulina, mentre l’evidenza archeologica nettamente dimostra che, assai precocemente, sono state create delle redazioni in bucchero, le quali hanno rapidamente raggiunto grande popolarità e larga distribuzione areale42.
97In rapporto al problema delle eventuali imitazioni etrusche si può ricordare, d’altro canto, una ridotta serie di kylikes di forma A 2 che, caratterizzate da una elaborata e tecnicamente impegnativa decorazione dipinta, palesemente si distaccano dalla routine di una produzione massiccia; esse sono state riferite dalla Walter-Karydi, ancora una volta, a Samo e da Giuliano invece alla bottega del Pittore delle Rondini. Si tratta di un esemplare da Vulci in collezione privata a Roma43, di uno di origine incerta al Vaticano44 e di uno a New York45, accanto ai quali va inoltre posto, a mio avviso, quello dalla vulcente tomba d’Iside46. Ancora, nella forma A 2, è da menzionare la coppa doppia da un’altra tomba vulcente, quella della Panatenaica47, che è uno dei non frequenti esempi di coppe multiple, segnalate a Samo, Sardi, Apollonia Pontica, Naukratis48.
98Altra classe attestata, se pure episodicamente, in Etruria è quella delle kylikes con ramo di mirto sul labbro esterno, riferite a Rodi ο a Samo49: oltre ad una, già nota, nei Musei Capitolini50, ne segnalo qui una seconda, inedita, dalla tomba 561 di Monte Abatone, con labbro interno filettato, conservata nel Museo di Cerveteri.
99Conclusivamente, la fortuna che le kylikes «ioniche» hanno incontrato nel mondo etrusco non appare dunque esigua, pur se si deve rilevare una fiorente fabbricazione, soprattutto nell’orientalizzante recente, nell’ambito delle officine dell’Etruria meridionale che lavorano il bucchero, di vasi potorî di questa forma, per i quali non si può tuttavia escludere una dipendenza anche da prototipi metallici, attestati peraltro in Italia centrale51.
100Un tema che merita specifico approfondimento è, d’altronde, quello della consistenza e delle caratteristiche delle imitazioni, così come quello della occorrenza delle coppe nei vari contesti di pertinenza, ove spesso appaiono associate ad altri oggetti greco-orientali.
101D’altro canto, i materiali venuti in luce a Gravisca52 indicano chiaramente come la natura stessa dei trovamenti, essenzialmente in necropoli, incida sensibilmente sulle nostre valutazioni statistiche e quanto sostanziali e rapide modifiche apportino i rinvenimenti di stipi votive in santuari ο comunque in contesti urbani, che ovviamente riflettono in modo più adeguato la misura di queste importazioni.
***
102Il quadro delle importazioni di ceramica greco-orientale che si delinea in Etruria fra la seconda metà del VII e il primo quarto del VI sec. a.C. porta ad individuare fondamentalmente due diverse componenti: da una parte si ha una serie di vasi potorî, quali le coppe ioniche, cui si possono aggiungere vasi da trasporto di merci alimentari pregiate come le anfore «chiote» o, più tardi, i pochi anforoni ionici «à la brosse»53, la cui esiguità può comprendersi se si tiene conto della contemporanea diffusione, che viene rivelandosi vieppiù ampia, delle anfore vinarie che già altrove ho attribuito a fabbricazione etrusca in tutto il bacino del Tirreno, in Sicilia e nel Mediterraneo settentrionale54; dall’altra parte si ha la ceramica figurata, in particolare i vasi dello stile «della capra selvatica» che, inseriti nel contesto coevo delle ben più massicce importazioni corinzie, assurgono per la qualità e la rarità a beni di prestigio55. In questo senso la richiesta e l’afflusso di ceramica greco-orientale a decorazione figurata, che, nell’ambito delle botteghe locali avrà, a differenza di quella corinzia, un solo atelier concorrente, quello del Pittore delle Rondini, si configura sullo stesso piano di altri prodotti di lusso di cui si ammette correntemente la manifattura rodia e per molti dei quali, nella stessa Etruria ed in particolare a Vulci, si creano officine di derivazione ed elaborazione imitativa: mi riferisco alle oreficerie, agli alabastra configurati di alabastro56, alle brocchette plastiche invetriate e alle faïences in generale57, ad opere di toreutica con figurazioni incise58 — compresa la patera Tyszkiewicz, da Sovana, per la quale la provenienza «eolica» sostenuta con apodittica sicurezza dalla Walter-Karydi59 appare decisamente forzata —, alle oinochoai bronzee definite appunto «rodie», che in Etruria danno esito ad una fiorente produzione locale, smistata anche nei centri deU’interno, fino a raggiungere il versante adriatico60. Né, fra gli importi di pregio, saranno da sottacere le protomi di grifo «samie»61 eseguite a fusione, pertinenti a lebeti, la cui irradiazione, investendo Tarquinia, Gravisca, Roma, Perugia, Trestina, Brolio, consente di individuare una direttrice di penetrazione anche attraverso la valle del Tevere, con diramazione in val di Chiana, probabilmente tramite Chiusi, ove peraltro sono abbastanza numerose le redazioni fittili del tipo62.
E) LEKYTHOI «SAMIE»
103Una diffusione non molto ampia registrano le lekythoi samie63, di cui ho potuto raccogliere oltre venti esempi. Esse sono attestate tanto nella forma a bottiglia quanto in quella con spalla a spigolo vivo ο in varianti intermedie. In alcuni casi si presentano verniciate in rosso (ad es., 3, 10, 13, 15, 18), in altri sono decorate da fasce dipinte: fra queste se ne segnala in particolare una di Tarquinia [14], che trova due repliche fedelissime a Gela64. Il nucleo più consistente figura a Cerveteri [1-10], mentre più limitate sono le attestazioni nell’agro castronovano [11-13], a Tarquinia [14-15], a Vulci [16-17]; occorrenze episodiche si hanno poi a Grotte S. Stefano [18], Talamone [19] (fig. 27), Populonia [20] e, nell’interno, a Poggio Civitate [21]. Un esemplare in «red slip» è segnalato anche a Roma [22], mentre dubbia ο ipotetica è la provenienza romana di una lekythos, conservata nel Museo Archeologico di Bologna [23] e recante una etichetta con la scritta «Rom 1617», che, per il corpo espanso ed il fondo alquanto rastremato, risulta prossima ad una da Xanthos65. Interessante quanto problematica appare infine la presenza di un esemplare di forma A a Numana [24], nella ricca tomba VII del Circolo delle Fibule, per la quale è stata suggerita una connessione diretta con i traffici e la frequentazione greca nell’Adriatico; tuttavia questa prospettiva non è la sola plausibile, potendosi in alternativa imputare la trasmissione del pezzo all’Etruria, tanto più che nella necropoli in questione, come in altre dell’area medio-adriatica, non mancano vasi etrusco-corinzi a decorazione lineare dipinta pervenuti sicuramente da centri etruschi del versante tirrenico66.
104Cerveteri:
1051) MonAnt, 42, 1955, c. 761, n. 11: dalla tomba 281 Banditaccia.
1062) MAV, V, p. 112, tav. 31, n. 11: dalla tomba 145 Laghetto. Cfr. Boehlau, tav. VII, n. 7.
1073) Nuove scoperte e acquisizioni, cit., p. 19, n. 33: da tomba in loc. Cavetta della Pozzolana (scavo 1974). Il pezzo, non riconosciuto, è stato ivi datato nientemeno che al III sec. a.C.
1084) Da Monte Abatone, tomba 120 (associata, fra l’altro, ad un aryballos globulare «ionico» a fasce: v. p. 188, c, 1), nel Museo di Cerveteri. Inedita, ma segnalata in CVA, Gela, 2, II D, p. 10, commento a tav. 39, 3.
1095-6) Da Monte Abatone, tomba 536, nel Museo di Cerveteri. Inedite, ma segnalate in CVA, Gela, 2, l. c.
1107) Da Monte Abatone, tomba 23, camera principale, nel Magazzino degli scavi di Cerveteri. Inedita.
1118) Dalla tomba 999 Bufolareccia, nel Museo di Cerveteri, inv. 67628. Inedita.
1129) Dalla tomba 43 Bufolareccia, nel Magazzino degli scavi di Cerveteri. Inedita.
11310) Dalla tomba III Maroi, nel Museo di Villa Giulia. Inedita.
114Territorio castronovano:
11511) Dalla necropoli di Pian de’ Santi, tomba 2, nel Museo di Tolfa. Inedita.
11612) Da Piano della Conserva, tomba 13, nel Museo di Tolfa. Di imitazione, è decorata da fasce dipinte. Inedita.
11713) Da Castellina di Ferrone, tomba 14, nel Museo di Tolfa, inv. 501.
118Tarquinia:
11914) RC 1128, nel Magazzino del Museo di Tarquinia. Inedita.
12015) RC 1736, nel Magazzino del Museo di Tarquinia. Miniaturistica. Inedita.
121Vulci:
12216-17) MAV, II, p. 22, nn. 418 (= StEtr, 34, 1966, p. 319, 2, tav. 47 c-d), 419: tomba 137 Osteria. Associate a una coppia di anfore a bande (v. p. 187, nn. 14-15), si confrontano per il tipo con Boehlau, tav. VII, nn. 8. 9.
123Grotte S. Stefano:
12418) Museo Archeologico di Firenze, s. n.; acq. Riberti 1899. Inedita.
125Talamone:
12619) Museo di Livorno, inv. 586; dono L.A. Nizzi. Inedita (fig. 27).
127Populonia:
12820) NSc, 1940, pp. 382, 388, fig. 5, n. 3; Minto, Populonia, cit., p. 139, tav. 29, 3: dal Poggio della Porcareccia, «piccola tomba con pseudocupola intatta», che ha restituito anche una kylix Β 3 a filetti, un alabastron di bucchero «ionico», un’olpe a imboccatura verniciata (v. pp. 203, n. 239, 177, n. 32, 185, 190, n. 2). Per la forma cfr. Boehlau, tav. VII, n. 4.
129Poggio Civitate:
13021) Poggio Civitate (Murlo, Siena), The Archaic Etruscan Sanctuary, Florence, 1970, p. 68, n. 170 (ivi non riconosciuta); segnalata poi da me in CVA, Gela, 2, l. c.
131Roma:
13222) BullCom, 77, 1959-60, (1962), p. 79, fig. 15, n. 72; Gjerstad, op. cit., III, p. 422, fig. 261, 72: da S. Omobono (scavo 1959).
133Originis incertae:
13423) Museo di Bologna, s.n.
135Numana:
13624) Dalla tomba VII del Circolo delle Fibule, nel Museo di Numana (vetrina 4).
137Inedita, ma menzionata da G. Colonna, in Rivista storica dell’antichità, IV, 1974, p. 17.
F-G-H) VASI PER UNGUENTI DELLA PRIMA METÀ DEL VI SECOLO A.C.
138Tratterò unitariamente in questa sezione dei vari tipi di «Salbgefässe» attestati in Etruria fra la fine del VII e la prima metà del VI sec. a.C., ossia degli alabastra in bucchero «ionico», dei balsamari plastici e dei lydia, in considerazione del fatto che, pur essendo essi riconducibili a siti di fabbricazione diversi, la loro importazione è direttamente legata, oltre che al recipiente, al contenuto di essenze ed unguenti.
139Per gli alabastra in bucchero ionico, prodotti a Rodi e nella Ionia meridionale, accanto alla consueta maggiore densità di presenze a Cerveteri e Vulci, si segnala con interesse una discreta percentuale a Populonia, che ha restituito infatti tanto esemplari fusiformi (fig. 28 a-b) quanto due del ben più raro tipo a peduccio67, noto a Lindos, Jalysos, Samo, Tocra e nelle colonie greche di Sicilia (Siracusa, Megara Hyblaea, Selinunte, Himera), e la presenza, finora mai individuata, dei tipi fusiformi e scanalati a Vetulonia. Anche se la quantità è modesta, risulta assai significativo il fatto che Populonia sia fra i pochissimi centri dell’Etruria settentrionale raggiunti da questa mercanzia, in seguito evidentemente alla sua posizione sul mare e alla primaria funzione svolta nello smistamento del minerale ferroso, fattori che consentono di postulare fondatamente una intensa frequentazione e assidui contatti con mercanti greci, se non proprio l’esistenza di un fondaco commerciale, nel corso del VI sec. a.C.68. Da Populonia, e precisamente da una tomba a camera del Poggio delle Granate (scavo 1915)69, proviene altresi una pisside lenticolare, finora del tutto sconosciuta (fig. 29), che può considerarsi un’autentica rarità per l’Etruria: è in bucchero grigio scuro con irregolari chiazze brunastre, la cui pasta risulta assolutamente identica a quella degli alabastra discussi in precedenza e, come questi, è decorata da gruppi di solcature (sulla spalla e nella metà inferiore del corpo).
140Se è piuttosto agevole riconoscere come importati gli alabastra a corpo scandito da incisioni multiple ο da gruppi di solcature, ravvivate in origine da colore rosso, oppure interamente scanalato70, non altrettanto si può affermare per le decine di esemplari affatto privi di decorazione present: in vari centri etruschi71. È certo infatti che in Etruria sono state realizzate imitazioni, ma risulta tuttora estremamente problematico distinguere empiricamente, «a occhio», le importazioni dalle copie e solo una sistematica serie di analisi chimico-fisiche può consentire di chiarire attendibilmente il problema. Né, d’altronde, è da dimenticare il fatto che esemplari lisci sono documentati anche nei centri coloniali greci72 e correntemente considerati prodotti importati. Di imitazione etrusca è comunque un gruppo, a corpo fusiforme ο a fondo arrotondato, caratterizzato da decorazione a filetti ο fascette multiple dipinte in bianco e paonazzo — che riprendono palesemente le incisioni e le solcature del bucchero «ionico» — ο a fasce brune alternate ad altre risparmiate73.
141Fra gli alabastra è da ricordare inoltre un tipo, rarissimo in Etruria e non molto comune, benché documentatovi, nemmeno in Sicilia, eseguito però in argilla grezza, con fondo appuntito e collarino alla base dell’imboccatura, verosimilmente di produzione rodia, date le molte attestazioni in vari centri dell’isola (Kamiros, Jalysos, Lindos, Vroulia), nonché a Gela e Siracusa74. Ne sono noti pochi esemplari: l’uno, probabilmente da Vulci, è nella collezione Guglielmi al Vaticano, l’altro nella collezione Castellani75, mentre quattro sono concentrati in un complesso ceretano, la «Tomba I a sinistra dopo la via Diroccata», attualmente esposto nel Museo di Cerveteri.
F) ALABASTRA IN BUCCHERO «IONICO»
142Cerveteri:
1431-2) MonAnt, 42, 1955, c. 215, 35-36, tav. agg. F, forma 122; scanalati: tomba 1 del Tumulo I.
1443) Ibidem, c. 328, n. 30, con gruppi di incisioni: tomba dei Dolii.
1454) Ibidem, c. 715, 52, con gruppi di solcature impresse: tomba 236.
1465) Ibidem, c. 770, 18; scanalato: tomba 285.
1476) Ibidem, c. 1131, 56, con incisioni: tumulo XI, zona «della Tegola Dipinta».
1487) Lerici, op. cit., fig. al centro a p. 360, con solcature (particolare cortesemente prècisatomi dalla dr. L. Cavagnaro Vanoni): Monte Abatone, tomba 294.
1498) CVA, British Museum, 7, IV Β a, tav. 24, 10; scanalato: acq. Campanari 1839.
1509) Da Monte Abatone, tomba 23, camera laterale s., nel Magazzino degli scavi di Cerveteri; è decorato da gruppi di incisioni. Inedito.
15110) Dalla tomba 365 Laghetto, camera centrale, nel Museo di Cerveteri; scanalato. Inedito.
15211) Da Monte Abatone. tomba 56. nel Magazzino degli scavi di Cerveteri; presenta gruppi di incisioni. Inedito.
153Castel d’Asso:
15412) E. Colonna Di Paolo - G. Colonna, Castel d’Asso, Roma 1970, p. 67, n. 40, tav. 450; scanalato: da un presumibile complesso tombale sottoposto a sequestro nel 1964.
155Tarquinia:
15613) A. Furtwängler, Königliche Museen zu Berlin, Beschreibung der Vasensammlung im Antiquarium, Berlin 1885, p. 170, n. 1504, con incisioni: coll. Dorow.
157Vulci:
15814) Gsell, pp. 108, a, 475, tav. suppl. C, forma 190, «avec une série de ressauts circulaires»; tomba XLVIII.
15915) Gsell, pp. 116, n. 67, 475, «orné d’une série de ressauts circulaires»; tomba XLIX.
16016) Furtwängler, op. cit., p. 170, n. 1503, tav. V, forma 143, con linee incise: dalla necropoli della «Polledrara, tomba a cassone», acq. 1882.
16117) MAV, III, p. 15, n. 252, con linee incise: tomba 29.
16218-19) Ibidem, p. 17, n. 304, con solcature, e n. 309, scanalato: tomba 36.
16320) StEtr, 39, 1971, p. 200, n. 26, tav. 42, a, con gruppi di solcature.
16421) Dalla necropoli deU’Osteria, tomba a camera (non meglio specificata), nel Museo di Vulci; scanalato. Inedito.
16522) Beazley-Magi, p. 151 s., n. 89, tav. 46, con gruppi di incisioni. Diversamente da J. Hayes, che in Tocra, 2, p. 28, nota 1 lo ha inserito fra le «Etruscan versions», io considero questo esemplare di importazione, per l’identità con altri rinvenuti, per es., a Samos (cfr. quelli riprodotti dalla Walter-Karydi, tav. 35, nn. 268-269).
166Vignanello (agro falisco):
16723) NSc, 1924, p. 241, 1, tav. X, a, II da d.; scanalato: dalla necropoli del Molesino, sarcofago A, nel Museo di Villa Giulia, inv. 43653.
168Vetulonia:
16924) Dalla Tomba del Figulo, nel Museo Archeologico di Firenze, sine inv. (scheda di restauro R/74.16027); scanalato. Ricomposto, lacunoso alla sommità, con bocchello perduto. Inedito.
17025-26) Dalla medesima tomba, nel Museo Archeologico di Firenze, sine inv.: si tratta di un gruppo di frammenti pertinenti ad almeno due alabastra fusiformi, scanalati (parzialmente ricomponibili, ma non ancora restaurati al momento della stesura del presente lavoro). Inediti.
17127) Dalla medesima tomba, nel Museo Archeologico di Firenze, sine inv. (scheda di restauro R/74.16099). Inedito. Per il tipo cfr. Walter-Karydi, tav. 35, 274-275.
172Sinora completamente sconosciuti, questi quattro esemplari risultano corrispondere a quelli «lavorati a tortiglione con solcature marcate spiraliformi, le quali hanno favorito la rottura di tutti, in modo perd, da lasciare speranze di poterli restaurare» cui allude I. Falchi, in NSc, 1894, p. 348.
173Populonia:
17428) NSc, 1934, p. 362, fig. 13, a s., con tre gruppi di triplici solcature: da S. Cerbone, tomba a camera 1/1931 (fig. 28, a).
17529) Nella stessa tomba è presente un secondo esemplare fusiforme, conservato solo nella metà superiore, pure decorato da un gruppo di solcature, che perd non risulta elencato nel rapporto di scavo succitato. Inedito (fig. 28, b).
17630) NSc, 1934, p. 362, fig. 13, a d.: tomba c.s. Si tratta di un ex. con peduccio, pure decorato da solcature.
17731) Un secondo alabastron con peduccio, sempre con solcature parallele, è altresi associato alla suppellettile della tomba 1/1932 della zona del Felciaieto (S. Cerbone), ma non è stato specificamente menzionato nella relazione di scavo in NSc, 1934, pp. 379-386. Vidi.
17832) NSc, 1940, p. 384, fig. 5, n. 21, con gruppi di solcature (= A. Minto, Populonia, Firenze, 1943, p. 139, tav. 29, n. 21): dal Poggio della Porcareccia, «piccola tomba con pseudocupola intatta».
179Castelnuovo Berardenga:
18033) P. Bocci Pacini, in StEtr, 41, 1973, p. 134, tav. 50, a-b, d. Probabilmente di imitazione.
181Originis incertae, ma verosimilmente dall’Etruria:
18234) Mingazzini, I, p. 60, n. 215, tav. 6, 14; scanalato.
18335-36) Museo Archeologico di Firenze, inv. 3062 e 3114, entrambi con gruppi di incisioni. Inediti.
184Indubbiamente il tipo di contenitore di unguenti che ha incontrato in Etruria il più ampio favore è costituito dai balsamari plastici (per la documentazione relativa rimando all’Appendice II) di produzione rodia, nonché probabilmente anche samia e milesia76. Nell’importazione di essi in Occidente l’Etruria detiene infatti una posizione di primissimo piano, anzi di primato relativamente a quelli decorati a «couleurs lustrées», e vanta anche la presenza di esemplari fra i più rari e fra i più antichi, che dimostrano una pronta recezione da parte del mercato etrusco fin dagli inizi dell’attività degli ateliers produttori. In questo senso si segnala particolarmente il balsamario in figura di uccello F 1310 di Berlino, da Tarquinia, con decorazione dipinta di tradizione subgeometrica analoga a quella delle «Vogelschalen», databile entro l’ultimo quarto del VII sec. a.C. e certo di fabbrica rodia, come si deduce anche dalla provenienza della più parte delle repliche conosciute77; una replica di questo stesso tipo, finora sfuggita aU’attenzione degli specialisti, benché esposta nel Museo di Villa Giulia, ricorre poi in area laziale, e precisamente nella stipe votiva più antica del tempio di Mater Matuta a Satrico. È da ricordare altresì uno, pure conservato a Berlino, a Gorgoneion gianiforme, collocabile ancora nell’ultimo decennio del VII secolo, cui se ne affianca verosimilmente (ma è purtroppo fotograficamente inedito) uno da Cerveteri.
185Il flusso di assorbimento perdura almeno per tutta la prima metà del VI sec. a.C., se pure con maggiore intensità, in specie nei centri etrusco-meridionali, nel primo venticinquennio. Dominano decisamente per numero, in Etruria come altrove del resto, i balsamari configurati a testa elmata — documented essi pure già dalla fine del VII secolo —, a busto femminile ο maschile, a gamba umana, questi ultimi soprattutto a Vulci; in percentuale più ridotta, ma non irrilevante, sono poi rappresentati quelli ad anatra, protome equina, Acheloo, lepre morta, testa d’aquila, nonché gli alabastra desinenti superiormente a busto femminile.
186A Cerveteri si conta una ventina di esemplari, fra cui spiccano, oltre a quello già ricordato a doppio Gorgoneion, uno a testa di cinghiale (da rilevare che il solo altro esemplare noto proviene da Vulci), uno piuttosto infrequente a Sileno inginocchiato, uno a protome di leone — associato ad uno ad Acheloo e ad altre importazioni greco-orientali nella inedita tomba 43 Bufolareccia —, uno a Sirena78. Qualche attestazione si ha anche nel territorio castronovano, di cui la più interessante è costituita da un raro esemplare a rana, mentre un secondo viene da Tarquinia. Quest’ultima annovera una dozzina di pezzi, con ogni verosimiglianza smistativi dal porto di Gravisca, fra i quali quello ben noto a forma di fallo (con iscrizione di possesso in etrusco), uno inedito a busto di babbuino, del gruppo Robertson, e uno a leoncino accovacciato, di cui si conoscono pochissime repliche. A Vulci si concentra, almeno sulla scorta dei dati attualmente disponibili, il nucleo quantitativamente più consistente, ma i tipi prevalenti non sono fra i più interessanti. Come ho già notato a proposito di altre classi di materiale, Vulci deve avere assolto tuttavia ad una funzione redistributiva nei confronti del suo agro (Castro, Pescia Romana, Sovana), ove si hanno alcune presenze occasionali, nonché verosimilmente di Orvieto, che ha restituito, fra l’altro, un non comunissimo esemplare a gamba umana flessa (fig. 30), accostabile ad uno da Samo79. Nell’Etruria settentrionale il consuntivo appare, come di consueto, più modesto: risultano raggiunte da questi oggetti Rusellae (almeno per ora con una unità) (fig. 37), Vetulonia — ove sono essenzialmente concentrati nel II Tumulo delle Migliarine (figg. 31-33), cui si affianca però un ex. inedito a protome taurina da me individuato nel Tumulo di Franchetta (figg. 34-35) (Appendice II, p. 209, n. 70) — e il territorio circostante (Poggio Pelliccia) (fig. 36), mentre esigua è la loro distribuzione nei centri della via Tevere-Chiana, a Chiusi e Cortona, dove invece sono percentualmente superiori i vasi attici, «tra i più antichi e più raffinati che possiamo contare in Italia»80. Senza dubbio più ricco è invece, una volta ancora, il novero di queste importazioni a Populonia, concentrate particolarmente nel secondo quarto del VI secolo a.C.: fra esse emergono tipi rarissimi in generale, quale il cane accovacciato81, oppure infrequenti ο addirittura isolati in Etruria e ricorrenti invece in Italia meridionale e Sicilia, quali quelli a volatile82, a figura femminile stante su basetta e recante colomba ο lepre, a figura maschile in ginocchio, a nano obeso con le mani sul ventre (il c.d. pataikos)83, a comasta accosciato (figg. 38-40) (Appendice II, p. 210, n. 84). Quest’ultimo in particolare riveste segnalata importanza proprio in funzione delle connessioni con le attestazioni in Sicilia: nella stipe di Piazza S. Francesco a Catania figura infatti un esemplare identi-co84, che risulta ottenuto dalla medesima matrice di uno, dalla stessa stipe catanese, caratterizzato da decorazione dipinta85, il quale trova a sua volta una replica esatta nella stipe votiva del predio Sola a Gela86.
187Complessivamente dunque la rilevante entità dei pezzi documentati (una novantina di sicuro rinvenimento, nonché una trentina di origine incerta, ma assai probabilmente provenienti pure da siti ο necropoli etrusche), la larga varietà di tipi da essi riflessa, il prolungato arco temporale in cui si scaglionano connotano l’Etruria come mercato estremamente recettivo e interessato all’acquisto dei balsamari plastici greco-orientali. La popolarità e fortuna che questi prodotti, pur sempre «esotici», anche se verosimilmente non molto costosi, vi incontrarono è altresl indirettamente confermata dal fiorire di imitazioni locali, riproducenti specialmente quelli a lepre morta, porcospino, gamba, Acheloo, anatra, realizzate sia in bucchero sia, soprattutto, in argilla figulina. Fra le prime è degno di nota, per esempio, un esemplare, da Tarquinia, plasmato a gamba, con calzare e dettagli resi a graffito87; sulle seconde, già individuate e discusse da Higgins e poi da Ducat, non mi dilunghero, salvo soffermarmi brevemente su un gruppo in forma di gamba riunito dalla Maximova e dallo studioso francese88. Il loro giusto riconoscimento di copie eseguite in Etruria è senz’altro confermato da alcune aggiunte che reco alla lista redatta da Ducat: si tratta precisamente di una, con endromis e con il serpente sulla coscia, motivo che connota quasi tutti i pezzi di questa serie, dalla tomba populoniese 4/1931 di S. Cerbone89, di una seconda — inedita — da Roselle (necropoli del Campo della Fonte)90 e di un’altra, pure con serpente sulla coscia, dalla tomba 1 della necropoli di Merellio S. Magno (Bisenzio)91, sinora sconosciuta (fig. 41). Aggiungerò che quest’ultima tomba accoglieva un altro balsamario a gamba, pure di manifattura etrusca, caratterizzato da decorazione a punteggio dipinto (fig. 42), e uno a porcospino (fig. 43), uscito certo dalla stessa bottega del precedente, data l’identità di argilla e di tecnica ornamentale. Questo complesso visentino, che ospitava anche un balsamario a cerbiatta92, può in certo senso, in rapporto al problema che ci interessa, considerarsi emblematico della situazione dell’Etruria interna, ove evidentemente pervenivano piuttosto le riproduzioni locali (a mio avviso, vulcenti) che non le importazioni greco-orientali.
188Mi soffermo brevemente infine su due pezzi un po’problematici, oggetto di controverse opinioni: alludo alle due statuette (pseudo-balsamari) della tomba d’Iside93 riproducenti una figura femminile seduta, le mani posate sulle ginocchia, che S. Haynes94, fondandosi specialmente sulla pettinatura, vuole necessariamente create in Etruria. Personalmente, benché non abbia il conforto di un esame autoptico, non vedo elementi decisamente probanti per condividere questa affermazione. Se, da un lato, è vero infatti che non hanno repliche puntualissime nel mondo greco-orientale, è altrettanto e ancor più vero che nessun soddisfacente confronto trovano in ambito etrusco. È innegabile invece che i lineamenti del volto (per convincersene basta correlarli con i numerosi balsamari, articolati in più serie, a busto femminile), il tipo di calzare, la stessa realizzazione nella tecnica a colori lustri orientano decisamente in favore di una fabbricazione greco-orientale95. Né mi sembra che possano considerarsi determinanti, ai fini del riconoscimento della zona di produzione, la presenza della foglia d’oro riportata su alcune parti96 e l’aspetto di natura funzionale, ossia il fatto che gli esemplari in esame, benché forniti di bocchello alla sommità del capo, non potevano servire come balsamari, data la capillarità del foro di cui sono muniti.
189Per quanto concerne i lydia, attestati peraltro specialmente dal secondo quarto del VI ma perduranti anche nella seconda metà di tale secolo, si riscontra una certa varietà di tipi97. Fra quelli generalmente ritenuti di produzione propriamente lidia si impongono in primo luogo gli esemplari marmorizzati (figg. 44-45)98 — una ventina (v. elenco infra) —, con massima concentrazione a Vulci, mentre ben più rari e circoscritti, a quanto mi risulta, a Cerveteri sono quelli a corpo articolato da costolature orizzontali e ravvivato da vernice rossa alternata a fasce bianche e azzurre, uno dei quali, rinvenuto nella Tomba dei Vasi greci, è raccordabile alla serie precedente, in quanto reca sull’orlo e nella parte mediana del corpo una fascia con la caratteristica decorazione a pennellate ondulate99. Ancora associabili al tipo comunemente definito lidio, e in ogni caso di importazione greco-orientale, sono pochi altri pezzi con decorazione a vernice bruna ο nera distribuita sull’intero corpo dei vasetti ο su larga parte di esso100. Soprattutto a Cerveteri e in quantità più ridotta nell’agro castronovano, a Tarquinia e Vulci ricorrono poi i lydia ornati da bande e filetti101, generalmente a vernice nera brillante (fig. 46), prodotti certo dalle stesse fabbriche, probabilmente sud-ioniche, di altre forme vascolari quali anfore, hydriai, kylikes, askoi, pissidi ecc. della «Reifenware» (v. lista infra), a partire dal secondo quarto del VI secolo.
190Nel complesso comunque il novero dei lydia importati non risulta considerevole, mentre la diffusione sembra limitata essenzialmente all’Etruria meridionale. È tuttavia da tenere presente che anche in Etruria, come del resto in Sicilia, ne sono note imitazioni102, generalmente con decorazione lineare dipinta in rosso ο bruno. Come serie di imitazione, localizzabile forse, sulla scorta dei dati statistici e distributivi, a Cerveteri, è poi a mio avviso da riconoscere quella, invero piuttosto numerosa, caratterizzata da «slip» di colore rosso che ne ricopre interamente la superficie (fig. 47), alcuni esemplari della quale raggiungono, benché episodicamente, il Lazio (Roma, Satrico)103. Analogamente, può considerarsi di imitazione quel gruppo di lekythoi di tipo «samio», in precedenza indicato (v. p. 171 s.), che risulta contraddistinto da vernice della medesima composizione e tonalità cromatica e la cui area di distribuzione è in larga misura coïncidente con quella dei lydia in argomento.
H. a) LYDIA «MARMORIZZATI»
191Cerveteri:
1921) NSc, 1955, p. 90, fig. 49, 31: Banditaccia, tomba 14/1951.
1932) AA, 1969, p. 340 s., fig. 23: «angeblich aus Cerveteri».
194Vulci:
1953) A. Fairbanks, Catalogue of the Greek and Etruscan Vases, I, Museum of Fine Arts, Boston, Cambridge, 1928, pp. 159, 162, n. 446, tav. 44, corrispondente a Gsell, op. cit., p. 117, n. 86 (tomba 49, camera D).
1964) Un ex. a Berlino, citato da A. Rumpf, Lydische Salbgefässe, in AM, 45, 1920, p. 164 e nota 2.
1975) MAV, III, p. 25, n. 570 (ivi definito «piumato»): recupero V.
1986) Un ex. dalla camera A di una tomba (non meglio indicata) della necropoli dell’Osteria/scavo 1973. nel Museo di Vulci, inv. 75904. Inedito.
1997-8) Due exx. dalla tomba 10 dell’Osteria (associati, fra l’altro, ad un’anfora «ionica» a bande: v. p. 188, a, 18), nel Museo di Vulci. Inediti.
2009-10) Due exx. dalla tomba a camera 63 dell’Osteria, nel Museo di Vulci. Inediti.
20111-12) Due exx. dalla tomba 177 dell’Osteria, nel Museo di Villa Giulia. Inediti; cenno di A. Giuliano, in StEtr, 37, 1969, p. 18, nota 4. Il corredo tombale comprende, fra l’altro, una kylix attica dei Piccoli Maestri e un intero «servizio» di vasi pontici (un’oinochoe del Pittore di Paride, un’oinochoe e un kyathos del Pittore di Anfiarao, due piatti su piede del Pittore di Tityos, tre calici e un kyathos di mani non individuate), ultimamente illustrati da L. Hannestad, The Followers of the Paris Painter, København, 1976, pp. 81, taw. 54-57; 55, nn. 10, 6, tavv. 8-9, 4-5; 58, nn. 27, 32, tavv. 14, 16; 71 s., 79, nn. 109-111, 156, taw. 46, 45, a-b, 48.
202Castro:
20313) F. De Ruyt, in RendPontAcc, 37, 1964-65, (1966), p. 75, fig. 11=Idem, in CRAcInscr, 1967, fig. 1 a p. 161.
204Etruria:
20514) AA, 1963, c. 669 s., 3, fig. 3; CVA, Heidelberg, 3, tav. 127, 7; Hampe und Mit., op. cit., p. 38 s., n. 65, tav. 42 (la prov. dall’Etruria è indicata solo in quest’ultima sede).
206Originis incertae, ma presumibilmente dall’Etruria:
20715) Albizzati, p. 90, n. 261, fig. 34.
20816-18) Beazley-Magi, p. 21, 10-12, tav. 27; l’ultimo ex. presenta peraltro solo una fascia marmorizzata «a metà del corpo, tra due fascette nere».
20919-20) Museo Archeologico di Firenze, inv. 3698-3699 (figg. 44-45). Inediti, ma menzionati da RUMPF, art. cit., p. 164.
21021) Museo Archeologico di Grosseto, inv. 2291. Inedito.
H. b) LYDIA DI TIPO C.D. GRECO, A BANDE Ε FILETTI
211Cerveteri:
2121-2) NSc, 1955, p. 56, 21-22, fig. 13: Banditaccia, tomba 4/1951.
2133) MonAnt, 42, 1955, c. 763, 3: Banditaccia, sporadico.
2144) MAV, V, p. 117, 10, tav. 38: tomba 159 Laghetto.
2155) ibidem, p. 197, 3, tav. 20: tomba 233 Laghetto.
2166) ibidem, p. 199, 2: tomba 239 Laghetto.
2177) Lerici, op. cit., fig. in basso a p. 358, al centro: Monte Abatone, tomba 196.
2188) Da Monte Abatone, tomba 157, nel Museo di Cerveteri. Inedito.
2199) Da Monte Abatone, tomba 363, nel Magazzino degli scavi di Cerveteri. Inedito.
22010) Dalla tomba 43 Bufolareccia, nel Magazzino degli scavi di Cerveteri. Inedito.
22111) Muse (Annual of the Museum of Art and Archaeology, University of Missouri-Columbia), 10, 1976, fig. a p. 26: detto provenire da una tomba «near Cerveteri», insieme ad una oinochoe trilobata e ad un aryballos globulare con rosone inciso in bucchero.
222Territorio castronovano:
22312) Toti, Allumiere, cit., p. 34, tav. 12, fig. 2, n. 6=Idem, in Hommages Renard, cit., p. 571, tav. 212, fig. 18, n. 1: tomba I della necropoli del Colle di Mezzo.
22413) Da Pian della Conserva, tomba 13, nel Museo di Tolfa. Inedito.
225Tarquinia:
22614) Museo di Tarquinia, inv. RC 1979. Inedito, ma citato da me in CVA, Gela 2, II D, p. 8, commento a tav. 37, 1.
227Vulci:
22815) Führer Wurzburg, p. 81, L 134: già collezione Feoli.
22916-17) CVA, Berlin, 4, tav. 179, 3-4, con bibl. prec. cui aggiungi Furtwängler, op. cit., p. 463, 2112 («Warscheinlich Vulci. Gerh(ard) Nachl(ass)») e 2113 («Vulci. S(ammlung) Dor(ow)»).
230Originis incertae, ma verosimilmente dall’Etruria:
23118-19) Albizzati, p. 90 s., 262-263, tav. 25.
23220) Beazley-Magi, p. 18, tav. 1, 8.
23321-22) CVA, Musei Capitolini, 2, tav. 1, 9-10.
23423) E. von Mercklin, in RM, 38-39, 1923-24, p. 75, 6, fig. 2, a s.
23524) Museo di Villa Giulia, Antiquarium, inv. 25016. Inedito.
23625) Museo Archeologico di Firenze, inv. 4197. Inedito (fig. 46).
237Palestrina (?):
23826) Antiken aus dem Akademischen Kunstmuseum Bonn, Düsseldorf, 1971, p. 147 s., n. 169, con bibl. prec.: «in Rom erworben, angeblich aus Praeneste».
I) CERAMICA DIPINTA A FASCE
239Per chiarezza espositiva riunisco qui tutta la ceramica d’importazione decorata a bande. Oltre ai lydia, trattati in precedenza, le forme attestate in Etruria sono varie. Prevalgono decisamente le anfore104 (figg. 49-50), distribuite a Cerveteri, Tarquinia e Vulci, nonché a S. Giovenale, mentre per due rinvenute a Bologna (figg. 51-52), nella necropoli della Certosa, non si può escludere che vi siano pervenute dal porto spinetico. Assai meno frequenti, in Etruria come del resto altrove, sono le hydriai, gli askoi105 e le ollette stamnoidi106. Gli aryballoi globulari107 ricorrono poi a Populonia e, soprattutto, a Cerveteri, che ha restituito anche alabastra108 scanditi da fasce e filetti dipinti. Nel complesso si traita comunque di non molte unità, scaglionate prevalentemente nella seconda metà del VI sec. a.C.
240È da registrare altresi la presenza, pur ridotta e finora del tutto inosservata, a Populonia e, sorprendentemente, in un centro dell’interno quale Bisenzio (fig. 53), delle olpai con imboccatura e ansa verniciate e il resto del corpo risparmiato, che hanno invece ampia diffusione in Sicilia109 (Megara Hyblaea, Gela, Himera, Solunto, Palermo, Lipari), oltre che, per esempio, a Rodi110.
241Degno di particolare menzione è, d’altra parte, un inedito deinos decorato da bande di vernice nera brillante, venuto in luce pochi anni or sono nella tomba 19 della necropoli perugina del Palazzone111 (già richiamata a p. 166, nota 53 perché accoglieva anche un’anfora «à la brosse»), che è documento eccezionale per l’Etruria e, segnatamente, per Perugia arcaica, alla quale è certo pervenuto da un centro costiero, forse tramite Orvieto (che ha recepito varie coppe «ioniche», soprattutto Β 3, e che, nel corso del VI secolo, elabora una sua tipica produzione vascolare a decorazione lineare, di netta impronta ionizzante) ο Chiusi (la quale, come vedremo in seguito, vanta la più forte concentrazione dei kantharoi gianiformi, generalmente attribuiti a Samo). Il pezzo in questione è con ogni probabilità di fabbricazione samia: esso è infatti morfologicamente identico ad uno splendido esemplare112, purtroppo di provenienza ignota e conservato in collezione privata svizzera, il quale, oltre alla decorazione a fasce concentriche all’interno e sul fondo esterno del bacino, esibisce una sequenza di delfini guizzanti sulla spalla e all’interno dell’orlo e un ramo con foglie di mirto e bacche attorno al collo, elementi tutti che trovano perfetti paralleli nei prodotti vascolari ascritti a Samo, quali ad esempio le coppe dei Piccoli Maestri «ionici» e i kantharoi gianiformi. Dalla stessa Samo proviene, del resto, un altro bacile di questo tipo che, benché più antico, rientra certo nella medesima serie con «Reifendekoration»113.
242Nel ristrettissimo novero di attestazioni di questa forma vascolare presenti in Etruria va altresi inserito un esemplare della collezione Castellani114, recante pure, su spalla e orlo interno, una teoria di delfini e, entro un medaglione sul fondo, una figura maschile in corsa verso s., che mi pare sia stato piuttosto trascurato dagli studi sull’argomento e che invece, alla luce dei nuovi apporti documentari che vanno emergendo, può ricevere una più precisa definizione. Mingazzini, su suggerimento di Langlotz, lo disse a suo tempo «probabilmente etrusco», ma a me pare invece che tanto la forma — la quale, in ambito etrusco, è decisamente fuori norma — quanto il repertorio decorativo (in particolare il motivo dei delfini, oltre alle fasce che scandiscono la restante superficie) quanto infine il generale rendimento del corpo del personaggio maschile denuncino strette le rispondenze con i prodotti vascolari del tipo che andiamo discutendo, si che sembra plausibile riconoscervi un’opera importata o, quanto meno, realizzata in Etruria da un artigiano immigrato.
243Veramente esigua e marginale la presenza di prodotti di questo genere in area laziale: si può ricordare che da Pratica di Mare proviene una decina di frammenti pertinenti ad una brocchetta a fasce parallele in vernice bruna, impropriamente confrontata115 con esemplari di Capua e Milazzo di una serie116 che, oltre ad avere morfologia e sintassi decorativa ben diverse, risulta databile fra la fine dell’VIII e la seconda metà del VII sec. a.C.; il pezzo lavinate, certo importato e non di imitazione, come l’editore propende a ritenere, è invece più recente e assimilabile alle olpai «East Greek» (ioniche, samie, rodie, chiote) a profilo continuo, in uso dalla fine del VII agli inizi del V sec. a.C., di cui si conoscono anche versioni attiche117.
244La ceramica a bande ha avuto peraltro in Etruria imitazioni evidenti118, che perdurano piuttosto a lungo, fino ad età classica e anche oltre. D’altronde, la linearità e semplicità sia morfologica sia ornamentale ben si prestavano ad essere riprese e facilmente riprodotte. Ho accennato in precedenza alla caratteristica produzione orvietana di età arcaica, fortemente permeata di influenze «ioniche»: nell’ambito di essa è stata enucleata una serie di brocchette119, sulla quale credo utile soffermarmi brevemente. Innanzitutto va nettamente ribadito120, ad onta dei vaghi termini di confronto invocati da Camporeale, che i prototipi di esse sono ben individuabili nel mondo greco-orientale121, come confermano varie attestazioni a Rodi, Gordion, Histria, Emporion e altrove. In secondo luogo, proprio accettando l’argomento principale, quello distributivo, da lui addotto per fondare l’ipotesi di localizzarne la produzione a Orvieto, si arriva a concludere invece che questa città non fu l’unico centro di fabbricazione delle brocchette in esame: infatti, la presenza di esemplari della serie, a lui sconosciuti, oltre che a Bisenzio e a Vulci, nel territorio castronovano, a Tarquinia e, specialmente, nella stipe votiva del tempio di Satrico122, nonchè in Campania123, è assai difficilmente imputabile, almeno in base ai dati per ora disponibili, ad uno smistamento orvietano124 e più plausibilmente ricollegabile invece a qualche centro dell’Etruria meridionale costiera. Ma si può forse dire di più, ossia che, dei due tipi distinti dallo studioso, il secondo, comprendente le lekythoi da lui definite «ovaleggianti», più che dipendere da modelli greco-orientali sembra riconoscibile come di importazione: oltremodo indicativo in proposito risulta il semplice accostamento, che evidenzia coincidenze puntualissime, di un esemplare da Vroulia (fig. 54), come del resto di altri da Kamiros e Megara Hyblaea125, con il n. 16 della lista Camporeale, proveniente da Pitigliano (fig. 55).
a) Anfοre
245Cerveteri:
2461) MonAnt, 42, 1955, c. 455, 1: erratica, dall’area circostante il Tumulo dei Capitelli.
2472-3) MAV, V, p. 198, tav. 21, 5-6: tomba 237 Laghetto.
2484-5) Due exx. nel Museo di Cerveteri, indicati come «Recupero 1961»; inediti.
2496) Dalla tomba 474 di Monte Abatone, nel Magazzino degli scavi di Cerveteri; inedita.
250S. Giovenale:
2517) Berggren, op. cit., p. 126, tav. 54, 13: tomba 2 di Montevangone, camera s.
252Tarquinia:
2538-13) Sei exx. nel Magazzino del Museo di Tarquinia; inediti.
254Ad alcuni di essi allude M. Pallottino, in MonAnt, 36, 1937, cc. 277, nn. 1 ss., 279. Per tre, recanti sigle mercantili (RC 1145, RC 1860, RC 3440), v. inoltre A. Johnston, Rhodian Readings, in BSA, 70, 1975, p. 151 e nota 15, fig. 2, Β e G.
255Vulci:
25614-15) MAV, II, p. 22, 416-417, tomba 137 Osteria (che accoglieva anche due lekythoi samie: v. pp. 171 s., nn. 16-17). La prima di esse, fornita di contrassegno graffito, è stata riedita in StEtr, 34, 1966, p. 318 s., 1, tav. 47 a-b e riesaminata da Johnston, art. cit., pp. 151, nota 15, 152.
25716-17) Dalla tomba 145 Osteria, nel Museo di Villa Giulia; inedite.
258Non appare superfluo rilevare che, in più contesti, le anfore di questo tipo sono presenti in coppia.
25918) Dalla tomba 10 Osteria (associata, fra l’altro, a due lydia marmorizzati: v. p. 183, nn. 7-8), nel Museo di Vulci; inedita.
26019) Ex. sporadico, s. n., nel Magazzino del Museo di Vulci; inedito.
261Bologna:
26220) A. Zannoni, Gli scavi della Certosa di Bologna, Bologna, 1876, p. 246, tav. 68, 4 (disegno); G. Pellegrini, Catalogo del vasi greci dipinti delle necropolifelsinee, Bologna, 1912, p. 20, n. 46 bis (fig. 51): dalla tomba 174, dei primi decenni del V sec. a.C., in quanto comprende, fra l’altro, una kelebe a f.r. prossima al Pittore di Harrow (Beazley, ARV2, p. 277, 2) e un mastoide a f.n. della maniera del Pittore di Haimon (Beazley, ABV, p. 557, n. 464).
26321) Zannoni, op. cit., p. 360, tav. 104, 6 (disegno); Pellegrini, op. cit., p. 20, n. 46 (fig. 52): dalla tomba 316.
264Etruria:
26522) A. D. Trendall, Handbook to the Nicholson Museum, Sydney, 19482, p. 257, fig. 55.
266Originis incertae, ma presumibilmente dall’Etruria:
26723) Albizzati, p. 89, tav. 25, 249.
26824) Museo Archeologico di Firenze, inv. 4179. Inedita, ma citata da me in CVA, Gela, 2, commento a tav. 34, 3 (fig. 49).
26925) Museo Archeologico di Firenze, inv. 97599: da sequestro effettuato a Grosseto nel 1973. H. cm. 17; diam. bocca cm. 7,2. Inedita (fig. 50).
b) Hydriai
270Tarquinia:
2711-2) Nel Magazzino del Museo di Tarquinia; inedite.
272Originis incertae, ma verosimilmente dall’Etruria:
2733) Mingazzini, I, p. 179s., n. 418, tav. 37, 3; Johnston, art. cit., pp. 151, nota 15, 152.
c) Aryballoi globulari
274Cerveteri:
2751) Da Monte Abatone, tomba 120 (associato, fra l’altro, a una lekythos samia: v. p. 172, n. 4), nel Museo di Cerveteri; inedito.
2762) Da Monte Abatone, tomba 157, nel Museo di Cerveteri; inedito.
2773) Da Monte Abatone, tomba 143, nel Magazzino degli scavi di Cerveteri; inedito.
2784-5) Da Monte Abatone, tomba 192, nel Magazzino suddetto; inediti.
2796) Dalla tomba 43 Bufolareccia, nel Magazzino suddetto; inedito.
280Populonia:
2817) NSc, 1961, p. 82, fig. 20, n. 9 (ivi inserito fra gli «italo-corinzi»): necropoli del Casone, tomba 27/1960 ο dei Colatoi.
282Originis incertae, ma verosimilmente dall’Etruria:
2838) Albizzati, p. 39, tav. 8, 107.
2849-11) Finarte, Asta di oggetti archeologici, Milano, 1970 p. 8, nn. 7-9, tav. 2: già collezione Pesciotti Cima. Nel catalogo sono erroneamente presentati come «imitazione italica di.esemplari laconici»
d) Alabastra
285Cerveteri:
2861) NSc, 1955, p. 98, n. 6, figg. 56, 60: dalla tomba a fossa N-L/sc. 1951 della Banditaccia.
2872) MAV, V, p. 206, tav. 30, 5: tomba 263 Laghetto.
2883) Da Monte Abatone, tomba 248, a Roma, Fondazione Lerici (cortese segnalazione della dr. L. Cavagnaro Vanoni).
289Originis incertae, ma presumibilmente dall’Etruria:
2904) CVA, Musei Capitolini, 2, II D, tav. 1, 8.
2915) CVA, Oxford 2, II D, tav. 1, 27: «bought in Rome».
e) Askοi
α) a corpo emisferico
292Tarquinia:
2931) Hencken, op. cit., I, p. 320, fig. 317, f: è associato al corredo della tomba 198 di Selciatello di Sopra, ma è una palese intrusione.
β) ad anellο
294Originis incertae, ma presumibilmente dall’Etruria:
2952) Albizzati, p. 90, tav. 25, 258.
2963-5) CVA, Robinson Collection, 1, tav. 16, 2-4: comprati a Roma.
f) Ollette-pissidi stamnoidi.
297Originis incertae, ma presumibilmente dall’Etruria:
2981-2) Albizzati, p. 90, n. 256, fig. 33 e n. 257, tav. 25.
g) Olpai ad imboccatura verniciata
299Bisenzio:
3001) Museo Archeologico di Firenze, inv. 73343: dalla necropoli della Palazzetta, acq. Brenciaglia e Paolozzi 1887. Inedita (fig. 53).
301Populonia:
3022) NSc, 1940, p. 382, fig. 5,1; Minto, Populonia, cit., tav. 29, 1: dal Poggio della Porcareccia, «pic-colacola tomba con pseudocupola intatta».
***
303Prima di affrontare la problematica inerente la ceramica a figure nere si può cercare di interpretare la presenza delle importazioni sin qui presentate e discusse, che si collocano in età arcaica, successivamente cioè all’orientalizzante recente.
304Nel secondo quarto del VI sec. a.C. la curva di frequenza delle importazioni corinzie riprende notevolmente quota nel mercato etrusco126, ove fiorisce, specialmente a Vulci, una forte industria ceramistica concorrenziale. Al contempo, i vasi attici incontrano notevole successo, connotandosi in vari casi come beni privilegiati (si pensi non solo a un pezzo prestigioso come il cratere François, ma anche alle anfore «tirreniche»). Le importazioni greco-orientali non superano di norma il carattere di ceramica d’uso corrente, benché non sia affatto agevole valutare fino a che punto possano essere considerati oggetti di lusso i balsamari plastici ο le altre varietà di contenitori di unguenti. Nelle imitazioni realizzate in Etruria l’influenza greco-orientale, riflessa attorno al 580-570 a.C. anche dall’artigiano, invero abbastanza isolato, che decora l’hydria della Polledrara, si limita in genere a elementi morfologici e ornamentali secondari nella produzione etrusco-corinzia127. Tuttavia, fondandosi sui dati in precedenza raccolti, nel complesso meno labili e sfuggenti di quanto comunemente si ritenga appaiono le relazioni fra l’Etruria e il mondo greco-orientale, soprattutto con l’ambiente rodio-samio e ionico meridionale in genere, mentre per quanto concerne la presenza «focese» io non posso che sottoscrivere i dubbi già avanzati da Torelli128, il quale ha giustamente sottolineato l’assenza di quel tipo di ceramica grigia che ne è considerata di solito il segno tangibile. Occorrerà, se mai, indagare più approfonditamente sulla consistenza di rotte commerciali propriamente tirreniche, che avrebbero come punto di partenza Reggio e come tappa d’arrivo Marsiglia, avendo cura di considerare tutti gli elementi che concorrono a delineare il quadro delle importazioni, senza privilegiare esclusivamente la ceramica attica129. In questo senso il materiale di Gravisca può fornire certo indicazioni utilissime.
305Nel venticinquennio successivo i rapporti fra Etruria e mondo greco-orientale si impostano in modo del tutto diverso, come ci attesta in particolare la ceramica a figure nere.
L) CERAMICA A FIGURE NERE
306Dopo la metà del VI secolo, assieme alla classe decorata a bande, si devono considerare anche le importazioni di vasi a f.n. che, pur non numerose, si prestano tuttavia, per la loro provenienza e per il contesto storico che sottendono, a una serie di significative considerazioni.
307Le coppe figurate dei Piccoli Maestri samî rinvenute in Etruria130 sono pochissime (ma nuovi documenti ha restituito Gravisca) e fra esse primeggia la finissima F 68 al Louvre, già della coll. Campana, che riproduce, in un festoso ed esuberante intrico arboreo, la celeberrima figura maschile a caccia di nidi. Alla produzione di queste kylikes sono stati associati i kantharoi gianiformi, di cui l’Etruria vanta la maggiore concentrazione di attestazioni: su nove finora pubblicati, uno proviene da Vulci e ben tre da Chiusi, mentre due sono stati rinvenuti a Samo, uno a Naukratis e due altri sono di origine ignota131. È un dato statistico di non trascurabile importanza, tanto più per il fatto che coinvolge due centri etruschi di un ambito territoriale abbastanza ristretto e i cui rapporti sono da tempo indagati e ammessi: naturalmente sarà da postulare una recezione secondaria di questo raffinato tipo di vasi da parte di Chiusi, dai cui dintorni proviene anche — sarà bene ricordarlo — un pezzo eccezionale quale il cratere François, a comprovare il carattere decisamente elitario della richiesta e l’acquisizione di prodotti ceramici certo non correnti in questo distretto dell’Etruria.
308Ultimamente è stata oggetto di dibattito una coppa a vasca profonda della collezione Vagnonville, dunque di provenienza verosimilmente chiusina, recante dipinto il nome del vasaio, Euarchos, e palesemente esemplata, per quanto concerne la morfologia, su modelli «ionici»: considerata dall’editore132, per motivi stilistici interni, opera attica, viene ora inserita da E. Paribeni nel gruppo delle kylikes samie133. Non credo tuttavia, per una pluralità di motivi, che si possa accogliere questa suggesugge-stione: in primo luogo, non mancano nella produzione attica altri esempi di coppe a bacino pro-fondo134 (del resto è ben noto che l’Attica non fu certo immune da influenze «ioniche»); in seconda istanza, non vi è alcuna oggettiva possibilità di confronte e nessuna puntuale affinità fra il gorgoneion che decora il fondo della coppa Vagnonville e quello, citato da Paribeni, su una kylix da Gravisca (che ho potuto vedere a Napoli, esposto al Centro J. Bérard, nei giorni del Convegno e che è ora riprodotto in StEtr, 45, 1977, tav. 63, b); infine si può addurre un argomento paleografico, che è pure da considerare per la definizione del pezzo: il sigma a tre tratti che compare nella firma del vasaio riporta infatti all’ambiente attico o, nell’area microasiatica, a Efeso e Smirne135 (a Samo è invece diffuso più tardi), centri ai quali risulta davvero difficile, almeno per le conoscenze attuali, ascrivere una produzione ceramistica del genere.
309In Etruria sono altresi documentati, se pure in novero ridotto, i vasi del tipo Fikellura, distribuiti nei principali centri della zona meridionale, ossia Cerveteri, Tarquinia e Vulci. Da Cere risultano provenire due frammenti, conservati a Monaco e a Bonn (fig. 57)136, decorati da fiori di loto e. rosette, che Robert Cook ha incluso nel suo gruppo R («Plain Body Group») e collocato poco prima ο intorno alla metà del VI sec. a.C. Di rinvenimento tarquiniese è poi un’anfora a collo distinto, (fig. 58), con sfingi in schema araldico ai lati di un trofeo vegetale e grifi, cerbiatto, cane sulla spalla137, databile al 540-530 a.C., assunta dal Cook come pezzo eponimo del «Tarquinia Group»138 e rivendicata ora a Mileto dalla Walter-Karydi139.
310Vulci ha, dal canto suo, restituito due opere, purtroppo non controllabili: un’anfora, inedita ma descritta ancora da Cook140, con figure zoomorfe su spalla e corpo, appartenente alla collezione Torlonia e un amphoriskos con la caratteristica decorazione a reticolato, del terzo quarto del VI sec. a.C., noto da un disegno del Rapporto intorno i vasi volcenti di O. Gerhard141. Segnalo infine un piccolo frammento, inedito, con figura maschile recante lancia nella d. (ne resta solo la metà superiore), esposto al Museo di Grosseto (inv. 2448), nella sala di Castro.
311Anche ai fini di quanto avrò occasione di dire in seguito, mi sembra interessante notare come la distribuzione di tutte e tre le serie vascolari testè esaminate in rapporto alla loro presenza in Etruria investa anche Naukratis.
312Nel settore della ceramica nordionica si è giunti, più di recente, a considerare le classi fabbricate in Etruria come prodotti di ceramografi provenienti da Clazomene ο da Focea. La questione, estremamente complessa, esige tuttora la massima cautela, inducendo a prospettare solo delle ipotesi.
313Il gruppo delle quattro anfore Northampton142 può reputarsi, dopo l’intervento di R. Cook143, opera di un pittore «clazomenio» attivo in Etruria intorno al 540 a.C. A questo gruppo sono stati poi avvicinati, indipendentemente, dal Boardman un’anfora comprata a Luxor e detta provenire da Karnak e da John Cook alcuni frammenti da Bayrakli144. Da parte sua, il Langlotz ha accostato al gruppo l’hydria 2674 di Bonn145 che R. Cook ed Hemelrijk avevano invece attribuito al «Ribbon Painter»146, la prima mano che opera nell’ambito del gruppo Campana. Pubblicando un nuovo dinos Campana conservato a Wurzburg (fig. 59)147 F. Holscher ha invece separato dal gruppo una delle anfore di Monaco — la 585 —, che ascrive al maestro dei dinoi Campana, mentre vi ha inserito un frammento da Larisa (fig. 60)148 che Langlotz e la Walter-Karydi avevano già connesso al gruppo Northampton.
314Si verrebbe pertanto ad enucleare una personalità le cui prime opere si riconoscono a Smirne e a Larisa e che si sarebbe quindi trasferita in Etruria, forse a Vulci, da dove provengono due delle quattro anfore del gruppo. Di un certo rilievo potrebbe anche considerarsi la possibilità di un suo passaggio in Egitto, dato il carattere dei soggetti, di tipo appunto egizio, ricorrenti sia sull’anfora eponima sia su quella di Karnak.
315Il gruppo dei dinoi Campana149, dopo la prima proposta di Villard di localizzarne la fabbricazione a Rodi, è ormai univocamente considerato nell’ambito della ceramografia «nordionica» ed accostato al gruppo Northampton, con il quale per alcuni studiosi, come si è detto, viene a fondersi.
316La prima personalità in esso individuata, il c.d. Ribbon Painter, fondandosi sulla provenienza delle opere attribuitegli, dipinge esclusivamente per una clientela etrusca: due dinoi ascritti alla sua mano sono stati rinvenuti a Cerveteri in tombe associati a hydrie ceretane150; al corpus delle sue opere è ora aggiunto il già citato dinos di Würzburg (fig. 59), detto provenire non so quanto attendibilmente, dato che è stato smistato dal commercio antiquario — dalla Sicilia. Cook ed Hemelrijk hanno riferito alla sua attività l’hydria di Bonn, che Langlotz giudica lavoro «eolico» da inscrire nel gruppo Northampton, e l’hydria Ricci (figg. 61-62)151, che Langlotz, a mio avviso giustamente, reputa di altra mano, piu etruschizzante. L’ambiente nel quale si muove e gravita questo pittore è quello della serie di vasi clazomenii che R. M. Cook ha riunito nella sua Enmann Class152, che peraltro risulta poco omogenea e nella quale è difficile distinguere mani specifiche, ma che dipende da una tradizione figurativa i cui prodotti risultano distribuiti lungo le coste della Ionia, sul Mar Nero, in Egitto e in Italia. Il sostegno, di forma assai rara, V. I. 3220 di Berlino153 se, come pensano Cook ed Hemelrijk, non può essere inserito nel gruppo Campana, risulterebbe pertanto l’unico pezzo «clazomenio» importato in Etruria.
317Il secondo maestro distinto in seno a questo gruppo dovrebbe aver dipinto, secondo Villard, R. Cook ed Hemelrijk, anche l’anfora V.I. 5844 di Berlino detta provenire da Karnak (fig. 63), per la quale appaiono stringenti i confronti additati da J. Cook con i vasi rinvenuti a Bayrakli e attribuiti al c.d. Maestro del Cammello154.
318Per quanto concerne infine le hydriai ceretane, la lista redatta una ventina di anni or sono da Hemelrijk e Callipolitis155 si è poi arricchita di altri sette esemplari156. Quanto alla provenienza del Maestro delle hydriai, ultimamente sia la Walter-Karydi sia il Langlotz hanno ancor più posto l’accento sul carattere «eolico» della sua formazione157, sulla base di confronti con opere di coroplastica, riconoscendo poi il Langlotz una delle sue prime opere nell’hydria 87.7-25.30 del British Museum e sottolineandone gli stretti legami con il gruppo Northampton. Su un totale di trentasette pezzi formanti ora il gruppo, delle sedici di cui è nota la provenienza tredici risultano trovate a Cerveteri, due a Vulci e una a Naukratis.
319Il panorama delle attestazioni in Etruria di ceramica greco-orientale a figure nere, nella seconda metà del VI sec. a.C., che abbiamo rapidamente delineato risulta dunque scarso di importazioni dirette e ricco invece di prodotti eseguiti localmente, da una sola generazione di ceramografi emigrati, a seguito dell’invasione persiana, dalla Ionia settentrionale in Etruria e quivi operanti contemporaneamente.
320Intorno e immediatamente dopo la metà del secolo risultano significative le importazioni samie, mentre dopo il 540 a.C., terminus post quem fissato dai livelli di Bayrakli158 per l’attività di questi artigiani in Etruria, si constata la fioritura di questa notevole produzione nordionica stanziale.
321Interessante appare la presenza nella zona del Delta di un’anfora molto vicina al gruppo Northampton, di un’anfora del secondo pittore del gruppo Campana e di un’hydria ceretana: i dati di provenienza che, in certo senso, disturbavano alcuni degli studiosi che si sono occupati delle singole classi vascolari159, una volta considerati invece unitariamente e inseriti nel quadro di distribuzione di altri prodotti ceramici greco-orientali, quali le coppe samie, i vasi di Fikellura, i kantharoi gianiformi, documentati anch’essi nel Delta, giustificano e riflettono invece una evidente rete di scambi che muove dalla Grecia orientale e tocca sia la zona del Delta sia l’Etruria. Anche nel Delta160, come in Etruria, si stanziano ateliers di ceramisti ed emblematici risultano i pochi pezzi rinvenuti a Karnak e a Naukratis associabili all’attività delle botteghe nordioniche impiantate in Etruria. Se può essere seducente pensare, per il pittore del gruppo Northampton, a un artigiano che fugge i Persiani prima da Smirne e poi dall’Egitto, mi sembra più fondato, in questa sede, pur senza anticipare quanto verrà detto da altri, postulare scambi che si sviluppano fra aree di colonie ed emporii anteriormente al 525 a.C.161. Nel quadro dell’analoga funzione che svolgono in questo momento, in qualità di «ports of trade», Naukratis e Gravisca, funzione ampiamente delineata da Torelli162, la produzione di ceramica nordionica in Etruria viene connotandosi come fatto di prim’ordine, tale da far ipotizzare un ruolo di questo tipo anche per i porti di Caere e Vulci, città nelle quali si stanziano, secondo quanto va emergendo, officine di ceramisti.
Annexe
APPENDICE I: KYLIKES «IONICHE» (D)
Forma A 1
Cerveteri:
1-4) NSc, 1955, pp. 60, n. 12, 66, n. 13, 69, n. 32, 79, n. 36, fig. 39: Banditaccia, tombe 5, 7, 8, 11/1951.
5-11) MonAnt, 42, 1955, c. 214, 14 (tomba 1 del tumulo I), cc. 239, 6, tav. agg. G, forma 146 e 241, 2 (tomba 8 del tumulo II), c. 573, 22 (detta di imitazione; tomba 133), c. 576, 10-11 (tomba 134, camera principale), c. 769, 8 (tomba 285).
12) StEtr, 40, 1972, p. 514: da Monte Abatone, tomba 144.
13) Dalla tomba 365 Laghetto, lato s., nel Museo di Cerveteri; inedita, ma segnalata da M. Cristofani Martelli, CVA, Gela, 2, II D, p. 5, testo a tav. 35, 1-2.
14-15) Da Monte Abatone, tomba 117, nel Museo di Cerveteri; inedite, ma segnalate in CVA, Gela, 2, l.c.
16) Da Monte Abatone, tomba 203, nel Magazzino degli scavi di Cerveteri; inedita.
17) Da Monte Abatone, tomba 146, nel Magazzino degli scavi di Cerveteri; inedita.
18) Da Casalone di Ceri, tomba 7, nel Museo di Cerveteri; inedita.
Da località imprecisate del territorio viterbese:
19-21) A. Emiliozzi, La collezione Rossi Danielli nel Museo Civico di Viterbo, Roma, 1974, p. 149 s., nn. 190-192, tav. 95; M. Martelli, in Prospettiva, 4, 1975, p. 45.
Tarquinia:
22) Museo di Tarquinia, sala IV, inv. 883; inedita, ma segnalata in CVA, Gela, 2. l.c.
23-26) Magazzino del Museo di Tarquinia; inedite, ma menzionate da GUZZO, art. cit., p. 61, nota 1; in particolare, l’ex. inv. RC. 3318 è citato da Beazley-Magi, p. 17, sub n. 4.
27) CVA, Frankfurt am Main, 1, tav. 11, 1: «In Tarquinia 1955 erworben».
Territorio castronovano:
28) StEtr, 11, 1937, p. 458, c, tav. 57, fig. 4, e: dalla necropoli di loc. Volpelle, tomba 4, II camera.
29) Da Castellina di Ferrone, sporadica, nel Museo di Tolfa; inedita.
Vulci:
30) Vulci, Zona dell’«Osteria», Scavi della «Hercle», Roma s.d., p. 69, n. 32, fig. 22: tomba 39, II camera.
31-35) Nuovi tesori dell’antica Tuscia, Viterbo, 1970, p. 37, n. 23: cinque exx. dalla Tomba del Pittore della Sfinge Barbuta (necropoli dell’Osteria).
36-38) MAV, II, p. 5, n. 4, tomba 112 (Osteria): frammenti pertinenti a tre exx.
39) Dalla tomba 13 della necropoli dell’Osteria, nel Museo di Vulci; inedita.
40) Beazley-Magi, p. 17, n. 4, tav. 1.
Pescia Romana:
41) Museo Archeologico di Firenze, inv. 71030, acq. 26-7-1880; inedita (fig. 64).
Marsiliana d’Albegna:
42) M. Cristofani, in StEtr, 37, 1969, p. 283 s., fig. 2; M. Martelli, in Restauri archeologici, Firenze, 1969, p. 82, n. 48: dal circolo di Perazzeta.
Pitigliano:
43) Mostra del restauro archeologico, Etruria grossetana, Grosseto, 1970, p. 81, n. 153 (ivi non classificata).
Narce:
44) MonAnt, 4, 1894, ce. 273, fig. 131, 482, n. 5; Montelius, op. cit., tav. 323, 1: dalla tomba 3 del Quarto Sepolcreto a sud di Pizzo Piede, già richiamata a proposito delle coppe a uccelli (v. supra pp. 153 s., 156, n. 9).
Roma:
45) G. Boni, in NSc, 1900, p. 332, fig. 35; Ε. Paribeni, in BullCom, 76, 1956-58, (1959), p. 4, n. 2, tav. 1,2; Gjerstad, op. cit., III, p. 218, fig. 138, n. 17 = IV, p. 288, fig. 159, 1: dal Comizio.
46) Ibidem, IV, p. 288, fig. 159, 3: dai pressi del tempio di Antonino e Faustina.
47) Ibidem, p. 288, fig. 159, 2 = Early Rome, III, p. 57, fig. 27 B, n. 82: da un’abitazione arcaica sul Palatino, presso le Scalae Caci.
Osteria dell’Οsa (Gabii):
48-50) Da una tomba a camera, cella Est, scavata nel 1976 dalla Soprintendenza alla Preistoria e alal-l’Etnografia: un ex., con filetti suddipinti attorno al labbro, ho visto esposto ad una piccola mostra documentaria sulle recenti scoperte nel Lazio svoltasi a Roma, presso il Museo Nazionale Romano, nel giugno 1977. Alla cortesia della dott. A. M. Sestieri debbo la notizia che la tomba ospitava due altri exx. dello stesso tipo.
Forma A 2163
Cerveteri:
51) MonAnt, 1955, c. 284, n. 85, tav. agg. G, forma 147: dalla Tomba dei Vasi Greci.
52) Pareti, op. cit., p. 342, n. 380 *, tav. 49: dalla nicchia d. della tomba Regolini Galassi, necropoli del Sorbo.
53) NSc, 1955, p. 66, n. 12 *, fig. 23: Banditaccia, tomba 7/1951.
54-55) C. M. Lerici, Alla scoperta delle civiltà sepolte: i nuovi metodi di prospezione archeologica, Milano, 1960, fig. in alto a p. 354, I da s., e fig. in basso a p. 358: da Monte Abatone, rispettivamente tombe 32 e 196.
56) NSc, 1964, p. 37, fig. 3, n. 26: dalla camera centrale di una tomba di Monte Abatone (scavo 1964), ubicata «nelle immediate vicinanze di quelle indicate coi nn. 99 e 80 dalla Fondazione Lerici, che le ha esplorate» (ibidem, p. 29).
57) Museo Archeologico di Firenze, inv. 96506: da sequestro (22-8-1961) di materiale di probabile provenienza ceretana; inedita (fig. 65).
58) Dalla tomba 365 Laghetto, camera centrale, nel Museo di Cerveteri; inedita.
59-60) Da Monte Abatone, tombe 157 e 170, nel Museo di Cerveteri; inedite.
Tarquinia:
61) NSc, 1930, p. 144, n. 4*, fig. 27, d: dalla necropoli dei Monterozzi, tomba 26.
62-63) Museo di Tarquinia, s.n. e inv. 3468; inedite.
64-78) Magazzino del Museo di Tarquinia; inedite.
Territorio castronovano:
79) NSc, 1967, p. 60, n. 7, figg. 5, n. 6, 10, n. 5: da S. Marinella, abitato in loc. La Castellina.
80) Da Pian della Conserva, tomba 11, nel Museo di Tolfa; inedita.
81) Da Castellina di Ferrone, tomba 11, nel Museo di Tolfa; inedita.
82) Da Castellina di Ferrone, sporadica, nel Museo di Tolfa; inedita. Di imitazione.
83) Dalla necropoli del Marangone, nel Museo di Civitavecchia; inedita.
Vulci:
84) MAV, II, p. 5, n. 5, tomba 112.
85-87) MAV, III, p. 8, nn. 55-57, tomba 11.
88-89) Ibidem, p. 9, nn. 73-74, tomba 12.
90) Ibidem, p. 11, n. 150, tomba 21.
91-92) Ibidem, p. 17, nn. 290-291, tomba 36.
93) Ibidem, p. 19, n. 358, tomba 39.
94-96) Ibidem, p. 20, nn. 403-405, tomba 41 bis.
97) Ibidem, p. 24, n. 553, tomba 50.
98) Vulci, Zona dell’«Osteria», Scavi della «Hercle», Roma s.d., p. 69, n. 33*, fig. 22: tomba 39, II camera.
99) Riccioni-Falconi Amorelli, op. cit., p. 16, 2, fig. 2.
100-106) Gsell, p. 495, tav. suppl. C, forma 159: dalle tombe VI (2 exx.), XVII, LUI (2 exx.), LXVI, LXXX.
107) Necropoli dell’Osteria, tomba a camera A (senza altre indicazioni), nel Museo di Vulci; inedita. 108-109) Necropoli dell’Osteria, tomba a camera (non ulteriormente specificata), nel Museo di Vulci; inedite.
110) Necropoli dell’Osteria, tomba 8/scavi Hercle (18-12-1961), nel Magazzino del Museo di Vulci; inedita.
111) Museo Archeologico di Grosseto, sala di Vulci, inv. 2001; inedita.
Castro:
112) Dal predio Sterbini, tomba «dell’anello» (23-12-1959), neU’Antiquarium di Ischia di Castro, inv. 73013; inedita.
113) Dalla tomba XVI degli scavi belgi, neU’Antiquarium di Ischia di Castro, n. provv. 163; inedita.
114) Dalla tomba XXIII [9] degli scavi belgi (21/22-8-1966), nell’Antiquarium di Ischia di Castro, n. provv. 256; inedita.
Un cenno generico agli exx. dalla necropoli di Castro è stato ripetuto per ben tre volte, praticamente negli stessi termini, da F. De Ruyt, in RendPontAcc, 39, 1966-67, p. 9 = CrAcInscr, 1967, p. 158 = Atti del convegno di studi sulla città etrusca e italica preromana, Imola, 1970, p. 180, con la singolare quanto infondata tesi che si tratti di prodotti corinzî.
115) Museo Archeologico di Grosseto, sala di Castro, inv. 2507; inedita.
Orbetello:
116) Antiquarium di Orbetello, inv. 733; inedita (fig. 66). Si tratta di una variante, riferibile forse ad ambito samio, con orlo piuttosto alto, filettato e un insolito piede trombiforme che farebbe pensare, in prima istanza, ad un restauro arbitrario; ma, non avendo potuto eseguire il controllo autoptico del pezzo, non sono al momento in grado di darne conferma.
Saturnia:
117-118) Museo Archeologico di Firenze, inv. 20939-20940, acq. Mancinelli 1907, sporadiche; ricomposte da frammenti e lacunose; inedite (figg. 67-68).
Pitigliano:
119) Museo Archeologico di Grosseto, sala di Pitigliano, inv. 2208; inedita.
Poggio Buco:
120-122) G. Bartoloni, La tombe da Poggio Buco nel Museo Archeologico di Firenze, Firenze, 1972, p. 107 s., nn. 1-2, fig. 53, tav. 62, a-b (tomba VIII) e p. 156, n. 2, fig. 77, tav. 102, d (dal podere Sadun, acq. Mancinelli 1895, sporadica).
123) Museo Archeologico di Grosseto, sala di Poggio Buco, inv. 2859; inedita.
Orvieto:
124) G. Camporeale, La collezione Alla Querce, Materiali archeologici orvietani, Firenze, 1970, p. 21, n. 4, fig. 1, tav. 3.
125) Idem, Buccheri a cilindretto di fabbrica orvietana, Firenze, 1972, p. 27, tav. 39, c: dalla necropoli della Cannicella, tomba 2, acq. Mancini 1895, nel Museo Archeologico di Firenze, inv. 76482. Di imitazione.
Chiusi (?)
126) Museo Guarnacci di Volterra, acq. 1884 a Serre di Rapolano; inedita.
Poggio Civitate:
127) AJA, 75, 1971, p. 258, tav. 58, figg. 1-3.
128-131) AJA, 78, 1974, pp. 268 ss., figg. 3-6, tavv. 55, 6-7, 56, 4-5.
Castelnuovo Berardenga:
132) StEtr, 41, 1973, pp. 131, 134, fig. 5: vi è segnalato un gruppo di frammenti, senza la precisazione se essi sono pertinenti a uno ο più exx.
Poggio Pelliccia (Gavorrano, Grosseto):
133) Da tomba a tumulo, nel Museo Archeologico di Firenze, inv. 29459; miniaturistica. H. cm. 5; diam. cm. 9, 1; inedita.
Ager lunensis:
134) M. Cristofani, Osservazioni preliminari sull’insediamento etrusco di Massarosa (Lucca), in Archaeologica, Scritti in onore di Aldo Neppi Modona, Firenze, 1975, p. 198, fig. 11; Idem, in Aspetti e problemi dell’Etruria interna, Atti dell’VIII convegno nazionale di Studi Etruschi e Italici, Firenze, 1974, p. 68, tav. 26, b. Di imitazione.
Etruria:
135) Klassieke Kunst vit particulier Bezit, Leiden, 1975, n. 476.
Originis incertae, ma presumibilmente dall’Etruria:
136) Albizzati, p. 88, n. 242, tav. 20.
137) CVA, Musée Scheurleer, 2, II D et III C, tav. 2, 10: «Rome, commerce, 1923».
138-142) CVA, Musée du Louvre 9, II D, tav. 1, nn. 1, 2 e 5, 3, 8, 9: dalla collezione Campana. Alcuni exx. si possono considerare intermedi fra A 2 e Β 2.
Pratica di Mare:
143) Lavinium, II, cit., p. 371, G 4, fig. 441. L’identificazione come A 2 non è del tutto sicura, dal momento che il pezzo è largamente reintegrato e la ripresa fotografica alquanto sfuggente.
Forma Β 1
Cerveteri:
144) Dalla tomba 18 s. di via del Manganello, nel Museo di Villa Giulia; inedita.
145) NSc, 1955, p. 66, n. 11: Banditaccia, tomba 7/1951.
146) Museo Archeologico di Firenze, inv. 96505: da sequestro (22-8-1961) di materiali di probabile provenienza ceretana; inedita (fig. 69).
Tarquinia:
147-149) Magazzino del Museo di Tarquinia; inedite.
Orbetello:
150-151) Antiquarium di Orbetello, inv. 742-743; inedite (figg. 70-71). La seconda è forse di imitaimitazione; la prima trova invece un valido confronto in un esemplare esportato a Tocra (Tocra, 2, p. 56, n. 2208, tav. 31).
Saturnia:
152) MonAnt, 30, 1925, c. 670, fig. 40, I da s.: dalla tomba 3 del Pratogrande in Pian di Palma, nel Museo Archeologico di Firenze, inv. 80553, acq. 1902 (fig. 72).
Poggio Buco:
153) Museo Archeologico di Grosseto, sala di Poggio Buco; inedita.
Falerii:
154) Museo Archeologico di Firenze, inv. 74472: dalla necropoli di contrada Penna, tomba G, acq. ministeriale 1892; inedita (fig. 73).
L’indicazione del sepolcreto, che non risulta dal registro d’inventario, è stata da me rintracciata in un documento dell’archivio délia Soprintendenza archeologica della Toscana; il complesso G non è peraltro descritto nel rapporto di scavo di A. Cozza-A. Pasqui, in NSc, 1887, pp. 170 ss., 262 ss.
Forma Β 2
Cerveteri:
155-157) Lerici, op. cit., fig. al centro a p. 357: da Monte Abatone, tomba 154.
158) MonAnt, 42, 1955, c. 521, n. 45, tav. agg. G, forma 148: tomba 99.
159) Nuove scoperte e acquisizioni, cit., p. 21, n. 41: da una tomba in loc. Cavetta della Pozzolana (scavo 1974), camera principale.
160) Da Monte Abatone, tomba 170, nel Museo di Cerveteri; miniaturistica; inedita.
S. Giovenale:
161) Berggren, op. cit., p. 50, n. 92, tav. 25 (indicata come «Etruscan Black Figured kylix»): da Porzarago, tomba 6.
Tarquinia:
162-170) Magazzino del Museo di Tarquinia; inedite.
Vulci:
171) MAV, III, p. 12, n. 166, tomba 23.
172) ibidem, p. 16, n. 267, tomba 31.
173-179) Gsell, p. 495, tav. suppl. C, forma 160: dalle tombe VIII, XLIV, LIX, LXVI (3 exx.), LXVII.
180-181) Beazley-Magi, p. 17 s., nn. 5-6, tav. 1; la prima è stata inserita da J. HAYES, in Tocra, 1, p. 111, nota 3 fra le «Italian copies of Rhodian».
182) NSc, 1896, p. 287; Restauri archeologici, Firenze, 1969, tav. 28 (in basso, II da d.): dalla tomba B, acq. Pala 1885, nel Museo Archeologico di Firenze, inv. 76141 (fig. 74).
Pescia Romana:
183-184) Museo Archeologico di Firenze, inv. 71010-71011, acq. 26-7-1880; inedite (figg. 75-76). Probabilmente di imitazione. Non risultano specificamente individuabili nei sommarî rapporti di scavo in NSc, 1879, p. 330 e 1880, pp. 249-251, 377 s., 449.
Orbetello:
185) Antiquarium di Orbetello, inv. 732; inedita (fig. 77). Vi ha accennato, per il fatto che presenta un restauro antico, M. Santangelo, L’Antiquarium di Orbetello, Roma, 1954, p. 20.
Poggio Buco:
186) Bartoloni, op. cit., p. 156, n. 3, fig. 77, tav. 102, c: dal podere Sadun, acq. Mancinelli 1895, sporadica.
Orvieto164:
187) CVA, Orvieto, 1, II D, tav. 1, 7; B. Klakowicz, La necropoli anulare di Orvieto, I, Crocifisso del Tufo-Le Conce, Roma, 1972, p. 138, a, 2: dalla necropoli di Crocifisso del Tufo, predio Mancini, scavi 1874-75.
Chiusi (?):
188) Museo Archeologico di Chiusi, inv. P(aolozzi) 574; inedita (fig. 78).
Poggio Civitate:
189-193) StEtr, 39, 1971, pp. 415 ss., nn. 9-13, figg. 5-9, tav. 85 = Poggio Civitate (Murlo, Siena), The Archaic Etruscan Sanctuary, Florence, 1970, p. 67, nn. 155-159.
194) AJA, 75, 1971, p. 258, tav. 58, 5.
Castelnuovo Berardenga:
195) StEtr, 41, 1973, pp. 131, 134, fig. 5.
Poggio Pelliccia (Gavorrano, Grosseto):
196-197) Da tomba a tumulo, nel Museo Archeologico di Firenze, inv. 29457. Di imitazione e di forma intermedia fra B 2 e B 3. H. cm. 7,8 e diam. cm. 14,5; h. cm. 9 e diam. cm. 14,5. Inedite.
Originis incertae, ma verosimilmente dall’Etruria:
198) Albizzati, p. 99, n. 296, tav. 26.
199) CVA, Louvre, 9, II D, tav. 1, 7: coll. Campana.
200) Museo Archeologico di Perugia, inv. 147 (Bellucci 135); tipo intermedio tra A 2 e Β 2; inedita. 201-202) A. D. Trendall, Handbook to the Nicholson Museum, Sydney, 19482, p. 257, fig. 55.
Pratica di Mare:
203) Lavinium, II, cit., p. 371, G 3, fig. 440.
Forse ad una Β 2 era inoltre pertinente il piede ibidem, p. 372, G 7, fig. 444.
Forma Β 3
Cerveteri:
204) Nuove scoperte e acquisizioni, cit., p. 8 s., n. 7 (miniaturistica): Banditaccia, tomba a camera/scavo 1970.
205) Dalla tomba 999 Bufolareccia, nel Museo di Cerveteri; inedita.
206) Dalla tomba 43 Bufolareccia, nel Magazzino degli scavi di Cerveteri; inedita.
207-208) Da Monte Abatone, tomba 192, nel Magazzino degli scavi di Cerveteri; in frammenti; inedite.
209) Museo Archeologico di Firenze, inv. 96507: da sequestro (22-8-1961) di materiali di probabile provenienza ceretana; inedita (fig. 79).
Tarquinia:
210) Museo di Tarquinia, inv. RC 1907; inedita.
211-218) Magazzino del Museo di Tarquinia; inedite.
Territorio castronovano:
219) Da Piano della Conserva, tomba 4, nel Museo di Tolfa, inv. 61314; inedita.
Vulci:
220) Langlotz, op. cit. a nota 122, p. 19, n. 140, tav. 18: collezione Feoli.
221) MAV, III, p. 7, n. 1, tomba 5.
222) Beazley-Magi, p. 18, n. 7, tav. 22.
223) Museo Archeologico di Grosseto, sala di Vulci, inv. 688; inedita.
Pescia Romana:
224) Museo Archeologico di Firenze, inv. 71012, acq. 26-7-1880; inedita (fig. 80). Verosimilmente di imitazione, è classificabile come forma di transizione al Β 3. Non è individuabile nelle relazioni di scavo citate ai nn. 183-184.
Orbetello:
225) Antiquarium di Orbetello, inv. 269; inedita (fig. 81). Probabilmente di imitazione, si può annoverare fra gli esempi di transizione al Β 3.
Bisenzio:
226) Museo Archeologico di Firenze, inv. 73342, acq. Brenciaglia e Paolozzi: dalla necropoli della Palazzetta, sporadica; inedita (fig. 82). Sicuramente di imitazione, anche questo ex. si può includere fra i pezzi di transizione al Β 3. Non risulta individuabile nel rapporto di A. PASQUI, in NSc, 1886, pp. 143-152.
Orvieto:
227-229) CVA, Orvieto,1, tavv. 1, n. 1 e 2, n. 1; 1, n. 2 e 2, n. 2; 1, n. 5 e 2, n. 4 (= WalterKarydi, pp. 22 s., 129, nn. 428, 431, 434); per la provenienza da Orvieto, e più in particolare dalla necropoli di Crocifisso del Tufo, predio R. Mancini, scavi 1874-75, v. Klakowicz, op. cit., p. 138, a, 1, 3-4.
230) BullInst, 1878, p. 50, n. 17; MonInst, Supplemento, 1891, tav. X, n. 33; ArchCI, 25-26, 1973-1974, p. 112, tav. 28, 1: da Crocifisso del Tufo (predio Bracardi, scavi R. Mancini gennaiomarzo 1878), tomba a camera XVII (nella numerazione del Museo dell’Opera del Duomo).
231) Museo Archeologico di Firenze, inv. 22192, sporadica; inedita (fig. 83). Sul labbro interno, filetti a vernice diluita.
232) NSc, 1887, p. 357, dd), tav. 13, fig. 63, con filetti all’interno; Klakowicz, op. cit., tav. 8, n. 66, p. 36; Eadem, Il Museo Civico Archeologico di Orvieto (La sua origine e le sue vicende), Roma, 1972, tav. 4, n. 66, p. 242; G. Colonna, in BullCom, 77, 1959-60, (1962), p. 139, nota 27; Camporeale, Bucch. a cil., cit., p. 44: da Crocifisso del Tufo (fondo della prioria di S. Giovenale, scavi 1884-85), tomba VI (Ο VII: V. Klakowicz, ll.cc.).
233-234) NSc, 1887, p. 365: da Crocifisso del Tufo, predio e scavi c.s., tombe XX-XXV (non distinte per corredo). J. Hayes, in Tocra, 1, p. 119, nota 4 propende peraltro a ritenerle attiche, inseribili nel suo «type III».
235) NSc, 1886, p. 288; B. Klakowicz, La necropoli anulare di Orvieto, II, Cannicella e terreni limitrofi, Roma, 1974, p. 166: da una tomba a camera della necropoli della Cannicella, predio L. Felici, scavo 1886. Sono verosimilmente riconoscibili come pertinenti a una Β 3 con filetti i «frammenti di una tazzina attica, con giri concentrici rossastri nella parte interna dell’orlo» menzionati nelle opp. citt.
Chiusi (?):
236-237) Museo Archeologico di Chiusi, inv. 3486, con bande e filetti entro la vasca, e inv. 3488; sporadiche; inedite (figg. 84 a-b, 85).
Castelnuovo Berardenga:
238) StEtr, 41, 1973, p. 131 (sembra identificabile come Β3 il tipo ivi descritto come rientrante «nelle imitazioni ioniche delle coppe dei Miniaturisti attici»).
Populonia:
239) NSc, 1940, p. 385, fig. 5, n. 24; A. Minto, Populonia, Firenze, 1943, p. 139, tav. 29, n. 24: dalla «piccola tomba con pseudocupola intatta» (scavo 1940) sul Poggio della Porcareccia, la quale accoglieva, fra l’altro, un alabastron di bucchero «ionico», un’olpe a imboccatura verniciata e una lekythos samia (cfr. pp. 177, n. 32, 185, 190, n. 2, 173, n. 20).
240) StEtr, 26, 1958, p. 33, n. 13; NSc, 1961, p. 70, n. 48, con bacino interno filettato (figg. 86 a-b): dalla necropoli del Casone, tomba a edicola detta «del bronzetto di offerente».
241) Frammento (ricomposto da due minori) di labbro, con filetti all’interno, nel Museo Archeologico di Firenze, s.n.; inedito (fig. 87). Lungh. cm. 9,6.
L’ho rinvenuto, nei depositi istituiti dopo l’alluvione del 1966, insieme al corredo della tomba di S. Cerbone presentata da A. Minto, in NSc, 1925, pp. 357-362 e Populonia, cit., p. 129 s. (tomba qui già richiamata alle note 15, p. 155 e 18, p. 157), ove però non è in alcun modo descritto, si che la sua pertinenza al complesso non è del tutto sicura.
Bologna:
242) G. Pellegrini, Catalogo dei vasi greci dipinti delle necropoli felsinee, Bologna, 1912, p. 33, n. 101, fig. 18: dal predio Arnoaldi.
Originis incertae, ma presumibilmente dall’Etruria:
243) Albizzati, p. 88, n. 243, tav. 25 (= Walter-Karydi, pp. 22, 129, n. 435).
244-248) CVA, Louvre, 9, II D, tav. 1, nn. 4 e 11, 10 e 16 (= Walter-Karydi, p. 129, n. 436), 12 e 15 (= Walter-Karydi, n. 430), 13, 14 e 17 (= Walter-Karydi, n. 437): coll. Campana. Non so se corrispondano a questi i cinque exx. di Β 3 nella collezione Campana al Louvre ai quali alludono Vallet-Villard, art. cit., p. 32, nota 3.
249) Museo Archeologico di Firenze, inv. 3907, con filetti sul labbro interno; inedita (figg. 88 a-b): coll. Campana.
250) Museo Archeologico di Firenze, inv. 3908; inedita (fig. 89): coll. Campana. Forse di imitazione, può essere inserita fra gli esempi di transizione al Β 3.
251-252) CVA, Musei Capitolini, 2, II D, tav. 2, n. 5 (= Walter-Karydi, p. 129, n. 438), con filetti, e n. 6.
Roma:
253) Gjerstad, op. cit., III, pp. 230, 253, nota 4, fig. 143, 1 = IV, fig. 160, 13-14 (due frammenti pertinenti ad un’unica coppa): dal Comizio, stipe votiva.
254) Idem, in BullCom, 77, 1959-60, (1962), p. 82, n. 108, fig. 17 = Idem, op. cit., III, p. 423, fig. 263, n. 108 = IV, fig. 160, n. 12: da S. Omobono (scavo 1959).
255-257) E. Paribeni, in BullCom, 81, 1968-69, (1972), p. 11 s., nn. 14-16, tav. V: da S. Omobono.
258)165 Idem, in BullCom, 77, 1959-60, (1962), pp. 109 s., 113-115, nn. 10-32, tavv. 3-5 e art. cit. supra, p. 7, n. 27, tav. II = Gjerstad, op. cit., III, p. 440 s., figg. 276, 9, 277, 3-4 = IV, figg. 160, 2-11, 161 = VI, fig. 36, 3-4: da S. Omobono (scavo 1938).
Pratica di Mare:
259) Lavinium, II, cit., p. 371, G 5, fig. 442: curiosa ed infrequente variante di Β 3 su basso piede trombiforme, con bacino assai simile a quello delle «lip-cups» attiche.
260) ibidem, p. 371 s., G 6, fig. 443. Il riconoscimento dell’ex. come Β 3, fondato essenzialmente sulla presenza dei filetti sulla parte interna del labbro, non è del tutto perspicuo, giacché l’editore non lo ha classificato e la fotografia riproduce esclusivamente, dall’alto, l’interno del bacino.
M.M.C.
APPENDICE II: BALSAMARI PLASTICI (G)
Satricum:
1) Museo di Villa Giulia, inv. 10455, dalla stipe votiva più antica del tempio di Mater Matuta. Inedito, ma sommariamente descritto da A. Della Seta, Museo di Villa Giulia, Roma 1918, p. 286. Uccello di tipo subgeometrico.
Cerveteri:
2) MonAnt, 42, 1955, c. 1084 si, n. 2: tomba I del tumulo III (zona della «tegola dipinta»), camera laterale destra. Testa elmata.
3) Ibidem, c. 1088, n. 21: tomba c:s. Gorgoneion gianiforme. Stando alla descrizione, sembra ben corrispondere tipologicamente ai pochissimi esempi di balsamari a doppia testa di Gorgone sinora noti, in particolare a quello di Berlino (v. infra n. 91), che, fra l’altro, proviene «angeblich aus Etrurien».
4 a-b) Ibidem, cc. 584, n. 3, 586, n. 39: tomba 142, camera principale. Busti femminili.
5) Ducat, p. 35, Cc 27, tav. 5, 4-5 e fig. 15 a p. 178; CVA, Berlin, 4, tav. 166, 7-8, figg. 10-11; O. von Vacano, Zur Chronologie der rhodischen Büstenvasen, in BJb, 176, 1976, p. 40. Busto femminile.
6) MAV, V, p. 112, tav. 31, 10: tomba 145 Laghetto. Busto femminile, inseribile nella serie «Rhodienne II» di Ducat, in quanto replica del suo tipo p. 75, 1-5, tav. 10, 5, datato attorno al 560 a.C.
7) G. Körte, in Annali dell’Institute di Corrispondenza Archeologica, 1877, p. 152 s.; Idem, in Archäologisches Zeitung, 35, 1877, p. 117 e nota 32; A. Furtwängler, Königliche Museen zu Berlin, Beschreibung der Vasensammlung im Antiquarium, Berlin, 1885, p. 149, n. 1294; M. I. Maximova, Les vases plastiques dans l’Antiquité, Paris, 1927, p. 128, nota 4: rinvenuto forse nei pressi del teatro romano, fu acquistato dal Körte a Cerveteri. Alabastron con parte superiore configurata a busto femminile recante colomba.
8) Ducat, p. 149, 2; Das Tier in der Antike, Zurich, 1974, p. 46, n. 281, tav. 47. Testa di cinghiale.
9) Ducat, p. 92, C 2: Das Tier in der Antike, cit., p. 46, n. 282, tav. 47. Anatra.
10) MonAnt, 42, 1955, c. 716, n. 63: tomba 236. Benché ivi definito «colombo», credo si tratti invece di un’anatra accovacciata, in atto di dormire con il capo sul dorso, verosimilmente del gruppo Robertson (cfr. Ducat, p. 92, C 5).
11) Ducat, p. 128, Β 1. Lepre morta.
12) Ducat, p. 97, D 1, tav. 13, 5. La provenienza da Cerveteri non è peraltro del tutto certa, come indica Ducat, in quanto in CVA, Bruxelles, 3, III C et III C b, tav. 8, 9 risulta «près de Cervetri (?)». Protome di ariete.
13) Dalla tomba Bufolareccia 43, nel Magazzino degli scavi di Cerveteri. Acheloo. Inedito (è parzialmente visibile in una fotografia d’insieme riprodotta da Lerici, Nuove testimonianze, cit., a p. 51).
14) Dalla tomba Bufolareccia 43, nel Magazzino degli scavi di Cerveteri. Protome di leone. Inedito (è ancora meno leggibile nella fotografia cit. supra).
15) Furtwängler, op. cit., p. 154, 1332 («Caere, 1876»); Maximova, op. cit., tav. 42, 158 (considerato corinzio); H. Payne, Necrocorinthia, Oxford, 1931, p. 180; Higgins, op. cit., I, p. 55, sub n. 84, e nota 2 («surely not Corinthian..., but Rhodian»). Sileno inginocchiato.
16) Ducat, pp. 136, A 2, variante b, 165 s., 177, figg. 3, 5, 178, fig. 9, 179, fig. 18: tomba 1 del tumulo I. Gamba s. con sandalo.
17) MonAnt, 42, 1955, c. 1120, n. 30, fig. 16; Enciclopedia dell’arte antica, classica e orientale, Supplemento, Roma, 1973, fig. 223 a p. 206 (nella didascalia la prov. è confusa con l’ex. prec.): camera laterale s. del tumulo VIII (zona «della tegola dipinta»). Gamba s. con endromis, da aggiungere al gruppo A, serie 1 di Ducat, p. 134 s.
18) Ducat, p. 68, serie «samienne I», n. 3. Sirena.
Territorio castronovano:
19) Dalla tomba 1 di Pian dei Santi, nel Museo di Tolfa. Protome taurina. Inedito (fig. 25, b).
20) Da una tomba di Pian della Conserva, nel Museo di Tolfa. Protome equina. Inedito.
21) Dalla necropoli dei Pisciarelli, nel Museo di Civitavecchia. Rana. Inedito.
Tarquinia166:
22) Furtwängler, op. cit., p. 151 s., 1310; Maximova, op. cit., p. 87, tav. 11, n. 46: già collezione Dorow. Uccello di tipo subgeometrico.
23) Ducat, p. 8, B 7 (rettificare il n. inv. da 954 a RC 2954). Testa elmata.
24) Magazzino del Museo di Tarquinia, inv. 452. Testa elmata. Inedito, ma menzionato, insieme al precedente, da R. Paribeni, in MonAnt, 14, 1904, c. 273 («Corneto. Due senza dubbio dalla necropoli tarquiniese uno nel Museo Civico, l’altro nel Museo Bruschi») e dalla Maximova, op. cit., p. 156, nota 2 («Corneto, Musée, deux exemplaires»).
25) Ducat, p. 19 = Furtwängler, op. cit., p. 150, 1304: già coll. Dorow. Testa elmata.
26) Maximova, op. cit., p. 156, nota 2. Testa elmata (a New York).
È verosimile che uno di questi esemplari corrisponda a quello rinvenuto in una tomba a fossa della necropoli tarquiniese, di cui riferisce W. Helbig, in NSc, 1896, p. 183, 9.
27) Ducat, p. 147, B 1, tav. 22, 3, che però ne ignora la provenienza, cita una sola referenza bibliografica e allude a «une inscription vraisemblablement étrusque». In realtà, proprio grazie all’iscrizione (senza alcun dubbio) etrusca graffita nel lato posteriore è possibile stabilire che il pezzo, corrispondendo perfettamente a quello descritto da O. Benndorf, in Bullettino dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica, 1866, p. 233, fu trovato a Tarquinia, presso la c.d. Ara della Regina; v. anche M. Pallottino, in MonAnt, 36, 1937, c. 232 s. («corinzio») e riproduzione fotografica in Hencken, op. cit., I, fig. 448 a p. 422. L’iscrizione, sulla quale v. M. Pallottino, Testimonia linguae etruscae, Firenze 19682, n. 154, con altra bibl., dichiara il possesso dell’oggetto da parte di una donna di nome larϑa sarsinai o, secondo una nuova, più convincente lettura proposta da M. Cristofani, in Atti del colloquio sul tema «L’etrusco arcaico», Firenze, 1976, p. 108, n. 43, larϑa arsinai. Fallo.
28) Magazzino del Museo di Tarquinia. Gamba con endromis (lacunosa). Inedito.
29) Magazzino del Museo di Tarquinia, inv. RC 1975. Busto di babbuino, inseribile nel gruppo C del Ducat, p. 122, tav. 17, 8 (gruppo Robertson). Inedito.
30) Magazzino del Museo di Tarquinia, inv. RC 6221. Babbuino seduto (combusto). Inedito.
31) CVA, Berlin, 4, tav. 179, 6-8, con bibl. prec. cui va aggiunto Pallottino, in MonAnt, cit., c. 274, XIV, 3 («attico»): già coll. Dorow. Rana.
L’esemplare simile di provenienza siciliana cui allude N. Kunisch, in CVA, cit., p. 48 s., può, a mio parere, anziché far postulare una fabbricazione coloniale siceliota dell’oggetto, convalidare la sua identificazione come importazione greco-orientale.
32) Maximova, op. cit., p. 111, nota 2; U. Liepmann, Bildkataloge des Kestner-Museums Hannover, XII, Griechische Terrakotten Bronzen Skulpturen, Hannover, 1975, p. 38, Τ 6: già coll. A. Kestner. Leone accovacciato, la zampa anteriore s. appoggiata sulla d.
33) Maximova, op. cit., p. 102, nota 1; Liepmann, op. cit., p. 38, Τ7: già coll. A. Kestner. Porcospino, da inserire nel tipo A di Ducat, p. 125 s., tav. 18, 2.
Vulci:
34) Ducat, p. 33, C, 1, 4; Von Vacano, art. cit., p. 39: già coll. Millingen, acq. 1847. Busto femminile.
35) Ducat, p. 37, C 2, 1, tav. 6, 3; Von Vacano, art. cit., p. 40: già coll. Millingen, acq. 1847. Busto maschile.
Per questi due exx. la provenienza da Vulci non è del tutto certa.
36) Ducat, p. 40, D 1, tav. 6, 5; R. A. Higgins, Greek Terracottas, London, 1967, p. 31, tav. 12, c; Von Vacano, art. cit., pag. 41: già coll. Durand, acq. 1836. Busto femminile.
37) Liepmann, op. cit., p. 38, Τ 8: già coll. August Kestner. Busto femminile, simile a quello dalla tomba 145 Laghetto (Cerveteri) qui elencato al n. 6 e, come esso, da includere nella «série Rhodienne II» di Ducat, p. 75, tav. 10, 5.
38) Ducat, p. 52, Β 1, tav. 7, 5: già coll. Durand, acq. 1836. Gorgoneion.
39) Riccioni-Falconi, op. cit., p. 17, fig. 4. Anatra, del gruppo Robertson (tipo C di Ducat, p. 92).
40) Ducat, p. 92, C 3; Führer Würzburg, p. 75 s., L 148, tav. 10, 2: già coll. Feoli. Anatra.
41) Ducat, p. 97, C’1: dal dromos della tomba 60/1962 Osteria, scavi Hercle. Protome di ariete.
42) Ducat, p. 20; Liepmann, op. cit., p. 37, Τ 5: già coll. A. Kestner. Testa elmata, inseribile nella serie Ε di Ducat, pp. 11 ss.
43) Ducat, p. 108, D 1; CVA, Munchen, 6, tav. 279, 1,5: già coll. Candelori. Protome equina.
44) Ducat, p. 110, G 1, tav. 15, 5, che ricava la prov. da Vulci dalla Maximova; ma questo dato è prima ancora fornito da Furtwängler, op. cit., p. 155, 1337. Protome equina.
45) Ducat, p. 114, Β’1, tav. 16, 1; CVA, Berlin, 4, tav. 168, 1-2, fig. 12 a p. 29, con bibl. prec. cui va aggiunto Furtwängler, op. cit., p. 150, 1303, il quale precisa «Vulci. S(ammlung) DuDurand». Testa d’aquila.
46) Ducat, p. 129, Β 4; CVA, Berlin, 4, tav. 168, 5: già coll. Pourtalès. Lepre morta.
47) Ducat, p. 129, Β 6. Lepre morta.
48) Ducat, p. 149, 1, tav. 22, 6, senza indicaz. di prov.; Führer Wiirzburg, p. 75, L 150: già coll. Feoli. Testa di cinghiale.
49) Ducat, p. 134, A, 1, 5: già coll. Feoli. Gamba s. con endromis.
50) Ducat, p. 135, A, 2, 2, tav. 20, 3, che non conosce la prov.; CVA, Berlin, 4, tav. 168, 8-9: già coll. Pourtalès e prima ancora coll. Canino. Gamba s. con sandalo.
51) Ducat, p. 136, A, 2, variante a: già coll. Feoli, acq. 1842. Gamba, frammentaria, in origine flessa al ginocchio.
52) MAV, III, p. 21, n. 455, tomba 42 Osteria. Gamba con cnemide.
53) Riccioni-Falconi, op. cit., p. 16, fig. 3 a-b. Gamba d. con cnemide e sandalo, inseribile nel gruppo A, serie 2 di Ducat, p. 135, tav. 20, 3.
54) G. Micali, Monumenti per servire alla storia degli antichi popoli italiani, III, Firenze, 1832, tav. 101, 6, p. 183: «nel Museo del Pr. di Canino». Gamba s. con endromis, rosone sul polpaccio e meandro sottolineato da serie di fiori a corolla punteggiata alla sommità (per questo motivo cfr. Ducat, p. 177, n. 5, su un altro balsamario a gamba, da Caere); va aggiunta al gruppo A, serie 1 di Ducat, p. 134.
55) Micali, op. cit., p. 183, 4, tav. 101, 4: «nel Museo del Pr. di Canino». «Balsamario a base rotonda in terra cotta dipinto a colori, e in foggia di una testa feminea, che ha lunghe ciocche di capelli legati con piccole vitte ο fettucce. Le sembianze della donna, ο dea che siasi, sentono molto del tipo fisico egizio».
La provenienza da Vulci, per questo come per il precedente, si deduce dalla appartenenza alla collezione del Principe di Canino. Noto solo dal disegno riprodotto nell’opera del Micali, l’esemplare in questione è di classificazione problematica: si può forse accostare ai rarissimi esempi di tradizione dedalica, pure a testa umana, provenienti da Kamiros e ascritti a produzione rodia (cfr. Ducat, p. 155, tav. 23, 1, 2), per i quali termini di confronto prossimi si possono individuare anche in ambito cretese (v. il noto ex. in lamina bronzea dall’antro Ideo, su cui J. Boardman, Cretan Collection in Oxford, Oxford 1961, pp. 80-84, 87, n. 378, fig. 35, tavv. 28-29). Nel qual caso il nostro balsamario, rimontando al terzo ο all’ultimo quarto del VII sec. a.C., risulterebbe fra i più antichi pervenuti in Etruria, confermando quella precocità di assorbimento di questo tipo di mercanzia da parte dei centri etrusco-meridionali che abbiamo in precedenza (v. p. 177 s.) indicato.
Montalto:
56) Ducat, p. 20: già coll. Beugnot. Testa elmata.
Pescia Romana:
57) NSc, 1880, p. 449: «un vasetto a forma di gamba col piede munito di calzare». Data la genericità della descrizione non è possibile individuarne il tipo né stabilire se è di importazione ο se rientra fra le imitazioni del tipo C Ducat, p. 137, discusse in precedenza (cfr. p. 179 s.).
Poggio Buco:
58) Ducat, p. 38, C, 2, 4; von Vacano, art. cit., p. 40: da tomba a camera del podere Insuglietti, scavi Mancinelli 1896-97. Busto maschile.
Sovana:
59) Ducat, p. 10, D 5, con bibl. prec. cui va però aggiunto R. Bianchi Bandinelli, Sovana, Firenze, 1929, tav. 40 a, p. 129, nota 43 («attico»); K. H. Edrich, Der ionische Helm, Göttingen, 1969, p. 6, Κ 6: dalla tomba III della Cava di S. Sebastiano. Testa elmata.
Orvieto:
60) Ducat, p. 15, H 6, tav. 2, 3. Testa elmata.
61) Ducat, p. 73, serie «chypriote», 2, cou bibl. prec. cui sono però da aggiungere G. Körte, in Annali dell’Institute di Corrispondenza Archeologica, 49, 1877, p. 152 s.; D. Cardella, Museo Etrusco Faina, Orvieto, 1888, p. 18, n. 414; Montelius, op. cit., c. 1021, tav. 247, 3; inoltre Klakowicz, Necropoli anulare, I, cit., p. 143 s., VI, 1 e nota 193 a p. 162: dalla necropoli del Crocefisso del Tufo, predio R. Mancini, scavi 1874-75. Alabastron con sommità configurata a busto femminile recante colomba nella mano d.
62) NSc, 1887, p. 363, c; Montelius, op. cit., c. 1017, tav. 242, 1; Maximova, op. cit., p. 93 (che lo indica a! «Musée d’Orvieto, n. 542»); Klakowicz, Necropoli anulare, I, cit., p. 43, tav. X (disegno) = Eadem, Museo Civ. Arch. Orvieto, cit., p. 246: dalla tomba XIX del Crocefisso del Tufo, predio della prioria di S. Giovenale, scavi 1884-85. Gamba flessa con endromis e testa di pantera dipinta sul ginocchio (fig. 30), assimilabile alla variante a del gruppo A di Ducat, p. 135. È conservato nel Museo dell’Opera del Duomo, vetrina V, inv. Bizzarri 1528.
Vetulonia:
63) Ducat, p. 16, I, 2; Camporeale, Commerci, cit., p. 107, tav. 39, 8; Edrich, op. cit., p. 13, Κ 48: dalla Tomba del Figulo. Testa elmata (fig. 31).
64) Ducat, p. 109, D 3; Camporeale, op. cit., p. 106, tav. 39, 5: tomba c.s. Protome equina (fig. 32).
65) A tutti quanti si sono occupati dei balsamari plastici della Tomba del Figulo (v. Ducat e Camporeale e lett. da essi cit.) è sfuggito che I. Falchi, in NSc, 1894, p. 346, dopo avere descritto e riprodotto graficamente l’esemplare a testa di cavallo qui elencato al numero precedente, segnala la presenza di un’«altra testa simile più grande, ma assai trascurata e mancante di finimenti».
66) Ducat, p. 134, A, 1, 4; Camporeale, op. cit., p. 107, tav. 39, 2: tomba c.s. Gamba s. con endromis.
67) Ducat, p. 137, Β 3; Camporeale, op. cit., p. 107: tomba c.s. Gamba.
68) Ducat, p. 147, Β 2; Camporeale, op. cit., p. 107, tav. 39, 7: tomba c.s. Fallo (fig. 33).
69) Museo Archeologico di Firenze, sine inv. (scheda di restauro R. 74.16094): tomba c.s. Melagrana, con baccellature incise e dipinte nella metà superiore. Non risulta espressamente menzionato nel rapporto di scavo di I. Falchi, in NSc, 1894, pp. 344 ss. Inedito.
70) Museo Archeologico di Firenze, inv. 27423: dal secondo ο terzo Circolo di Franchetta, scavi Falchi 1893. Non risulta però menzionato nel rapporto di scavo di I. Falchi, in NSc, 1894, pp. 350 ss., ripreso da Montelius, op. cit., cc. 892 ss. Protome taurina; il fondo è decorato da quattro spirali disposte a croce, alternate a foglie cuspidate. Lacunoso. Inedito (figg. 34-35).
Poggio Pelliccia (Gavorrano, Grosseto):
71) Museo Archeologico di Firenze, inv. 29476. Testa d’aquila, molto vicina agli exx. al Vaticano e al Louvre Ducat, p. 113, A 1 e A 3, tav. 15, 6. Ne restano solo il becco e la placchetta posteriore con il bocchello, decorato da guilloche. Inedito (fig. 36).
Roselle:
72) Museo Archeologico di Grosseto, sala V, inv. 23417: «dalla zona tra la valle e la collina Sud». Busto maschile (fig. 37), inseribile nelle «séries normales» di Ducat, pp. 33 ss.
Populonia:
73) Ducat, p. 40, D 3, con bibl. prec. cui va aggiunto A. Minto, Populonia, Firenze, 1943, p. 155, tav. 39, 4; Von Vacano, art. cit., p. 41: dal Poggio della Porcareccia, Tomba dei Flabelli. Busto femminile.
74) NSc, 1934, p. 373: da S. Cerbone, tomba a camera 4/1931. Anatra accovacciata.
75) Ducat, p. 58, Β’1, con bibl. prec. cui è da aggiungere Minto, op. cit., p. 133, tav. 27, 2; inoltre H. P. Isler, Acheloos, Bern, 1970, pp. 44 ss., 80 s., 103, 141, n. 99: da S. Cerbone, tomba a camera 1/1931. Acheloo.
76) NSc, 1961, p. 90, 3, fig. 28; A. De Agostino, Populonia. La zona archeologica e il Museo, Roma, 1963, pp. 23, 77, fig. 33 = Idem, Populonia. La città e la necropoli, Roma, 1965, fig. 16; Edrich, op. cit., p. 6, Κ7: da S. Cerbone, tomba 30/scavi 1958. Testa elmata.
77) Ducat, p. 150, 2, con bibl. prec. cui va aggiunto Minto, op. cit., tav. 27, 4: da S. Cerbone, tomba a camera 1/1931. Cane accovacciato.
78) Ducat, p. 123, 3, con bibl. prec. cui va aggiunto Minto, op. cit., p. 133: da S. Cerbone, tomba a camera 1/1931. Scimmia seduta.
79) NSc, 1934, p. 364; Minto, op. cit., p. 133: da S. Cerbone, tomba a camera 1/1931. Minto la definisce «colomba», mentre in effetti si traita di una sirena. Vidi.
80) Ducat, p. 154, sub n. 4), I: da tomba a camera del Poggio delle Granate/scavi 1915. Volatile con coda bifida.
81) MonAnt, 34, 1932, c. 391, fig. 53; Minto, op. cit., p. 177, tav. 27, 3: da tomba a edicola de «La Sughera della Capra» (S. Cerbone). Figura femminile stante, con colomba nella s.; essendo lacunosa, non è possibile stabilire se si tratti di balsamario ο di statuetta, anche se la prima ipotesi sembra più probabile; è da inserire nella «série samienne I, Korès en vêtement “rhodien”» di Ducat, p. 63 s., tav. 9, 4-5.
82) Ducat, p. 78, «série “Rhodienne III”, Hommes agenouillés, a) non barbus», n. 5, con bibl. prec. cui aggiungi MINTO, op. cit., p. 133, tav. 27, 5: da S. Cerbone, tomba a camera 1/1931. Figura maschile in ginocchio.
83) Ducat, p. 81, «série “ Rhodienne V”, Korès debout (vases)», n. 2, con bibl. prec. cui va aggiunto Minto, op. cit., p. 133, tav. 27, 1: da S. Cerbone, tomba a camera 1/1931. Figura femminile stante su basetta quadrangolare, con leprotto nella d.
84) NSc, 1961, p. 72, n. 76, fig. 15; De Agostino, Populonia. La zona arch., cit., p. 103, 1, fig. 56 = Idem, Populonia. La città, cit., p. 33, fig. 23: dal podere Casone, sporadico. Nano obeso, con le mani sul ventre.
85) Museo Archeologico di Firenze, inv. 75826: da Populonia, acq. Gemignani 1894. Figura maschile obesa seduta con mani serrate sul ventre, i pollici sollevati. Menzionato dalla Maximova, op. cit., p. 141, nota 4, ma inedito (figg. 38-40).
Ager Volaterranus:
86) NSc, 1934, p. 35, 3, fig. 12; Higgins, op. cit., p. 27, sub n. 1642: da tomba a camera di Casaglia, contrada Cerreta. Porcospino, del tipo Β di Ducat, p. 126.
Chiusi:
87) La Maximova, op. cit., p. 119 s., dalla quale dipendono M. Robertson, in JHS, 58, 1938, p. 41, 3 e Ducat, p. 98 («type inédit»), descrive un balsamario a testa di ariete trovato a Chiusi e conservato al Museo Archeologico di Firenze. Non vidi.
Cortona:
88) Maximova, op. cit., p. 90, ripresa da Ducat, p. 148; ma v. anche Dell’ipogeo di Camuscia, Dichiarazione di Melchior Missirini socio dell’archeologia romana, Siena, 1843, tav. 7, n. 3 b ed E. Franchini, in StEtr, 20, 1948-49, p. 41: dal c.d. Melone di Camucia, nel Museo Archeologico di Firenze, acq. 1881, inv. 9703. Fallo (lacunoso). L’argilla, molto chiara, e la decorazione punteggiata, conservata in un piccolo tratto, del tutto simile a quella di un balsamario a cerbiatta rinvenuto nella stessa tomba inducono a ravvisarvi piuttosto un’imitazione etrusca dei tipi greco-orientali ο corinzi.
89) Missirini, op. cit., tav. 7, n. 3 a; Franchini, art. cit., p. 41: tombac.s. Nel Museo Archeologico di Firenze, inv. 9706. Piede pertinente ad un balsamario a gamba.
Come imitazione etrusca è stato giustamente riconosciuto il balsamario a testa d’aquila Ducat, p. 115, D 2, dalla tomba del Sodo.
Etruria:
90) Ducat, p. 33, C, 1, 8; Von Vacano, art. cit., p. 39. Busto maschile.
91) Ducat, p. 51, A 1, tav. 7, 4; CVA, Berlin, 4, tav. 167, 3-6: «angeblich aus Etrurien». Gorgoneion gianiforme.
92) Ducat, p. 138, D 1, con bibl. prec. cui va aggiunto Furtwängler, op. cit., p. 151, n. 1308: «Etrur. Gerh(ard)»; U. Gehrig-Α. Greifenhagen-N. Kunisch, Fiihrer durch die Antikenabteilung, Berlin, 1968, p. 45, F 1308. Gamba flessa.
Originis incertae, ma presumibilmente dall’Etruria:
93) Ducat, p. 7, A 1, tav. 1, 1: acquistato nel 1929 a Roma da Benedetti. Testa elmata.
94) Ducat, p. 11, E 7: acquistato nel 1929 a Firenze dall’antiquario Riccardi. Testa elmata.
95) Ducat, p. 14, Hc 5; Edrich, op. cit., p. 18, Κ 72: a Villa Giulia, inv. 25017, già nel Museo Kircheriano. Testa elmata.
96) Ducat, p. 15, H 8: comprato a Roma. Testa elmata.
97) Mingazzini, I, p. 179, n. 417, tav. 36, 4. Uccello con coda verticale, da aggiungere agli exx. raccolti da Ducat, p. 153 s., tipo 2.
98) Edrich, op. cit., p. 14, Κ 52: a Villa Giulia (senza indicazione di numero e provenienza). Testa elmata.
99) Mingazzini, I, p. 178, n. 416, tav. 36, 7-8. Braccio s., con dita della mano serrate, eccetto il pollice.
100) Ducat, p. 73, serie «chypriote», 6, che lo dice di prov. sconosciuta; Higgins, op. cit., tav. 9, 48, p. 45 e nota 5 lo ritiene invece proveniente presumibilmente dall’Etruria, in quanto acquistato nel 1852 insieme ad altri oggetti «credibly said to come from Etruria». Alabastron desinente superiormente a busto femminile con colomba nella s.167.
101) CVA, Musei Capitolini 2, tav. 1, 5. Balsamario con sommità desinente a busto femminile con colomba nella s.
102) Ibidem, tav. 1, 7. Alabastron c.s., con colomba nella s.
103) Ibidem, tav. 1, 6. Alabastron c.s., con alabastron nella s.
104) Ducat, p. 34, C 14 (= Albizzati, tav. 9, 112); Von Vacano, art. cit., p. 36. Busto femminile.
105) Ducat, p. 34, C 15: nel Museo di Villa Giulia, inv. 25111. Busto femminile.
106) Ducat, p. 32, Β 1 (= Albizzati, tav. 9, 111); Von Vacano, art. cit., p. 40. Busto femminile.
107) Ducat, p. 56, A 1, tav. 8, 5-6; Isler, op. cit., pp. 44, 143, n. 116, che lo ritiene invece una «italische Nachamung des ionischen Typus»: nel Museo di Villa Giulia, già nel Kircheriano. Acheloo.
108) Ducat, p. 57, Β4; Isler, op. cit., pp. 45, 80s., 103, 141 s., n. 103: nei Musei Capitolini. Acheloo.
109) Ducat, p. 57, Β 8; Helbig, Führer4, III, p. 636, n. 2700, B: nel Museo di Villa Giulia, inv. 25112. Acheloo.
110) CV A, Musei Capitolini, 2, tav. 1, 1168. Gamba.
111) CVA, Musei Capitolini, 2, tav. 1, 2. Gamba con cnemide e sandalo, inseribile nel gruppo A, serie 2 di Ducat, p. 135 s.
112) Ducat, p. 52, D 3, con bibl. prec. cui va aggiunto CVA, Musei Capitolini, 2, tav. 1, 3. Gorgoneion.
113) Ducat, p. 145, 2, cui aggiungi B. D’Agostino, Un aryballos plastico del Museo Campano, in AC, 14, 1962, p. 72, n. 2 e CVA, Musei Capitolini, 2, tav. 1, 4. Gruppo di melagrane circondate da serpente.
114) Ducat, p. 145, 3, con bibl. prec. cui aggiungi Furtwängler, op. cit., p. 155, 1338, il quale precisa «in Rom erw. durch Gerh.», e D’agostino, art. cit., p. 72, n. 3. Gruppo di melagrane circondate da serpente.
Ho inserito questi due esemplari perché, con Ducat e contrariamente a D’Agostino, art. cit., pp. 73 ss., ritengo che questo tipo di balsamario sia di produzione greco-orientale.
115) Ducat, p. 143, B 5; Higgins, op. cit., p. 31, tav. 19, 1653 («From Italy; bought 1839 Campanari»). È assai probabile che, trattandosi di pezzo venduto dai Campanari, provenga appunto dall’Etruria. Melagrana.
116) Museo di Villa Giulia. Melagrana, da aggiungere a Ducat, p. 14. Inedita.
117) Ducat, p. 149, 1; ROBERTSON, art. cit., p. 41, 1, il quale precisa «From Italy, probably the northern part; purchased with objects from Chiusi, Siena and Elba» nel 1847. Testa di antilope.
118) Ducat, p. 92, C 5 (= Albizzati, tav. 9, 120). Anatra accovacciata, la testa sul dorso.
119) Ducat, p. 113, A 1 (= Albizzati, tav. 9, 113). Testa d’aquila.
120) Ducat, p. 113, A 2 (= Albizzati, tav. 9, 114). Testa d’aquila.
121) Ducat, p. 129, Β 2: acquistato a Roma. Lepre morta.
122) Museo Archeologico di Firenze, inv. 4205. Conchiglia bivalve, framm., da aggiungere a Ducat, p. 140 s. Inedita (fig. 90).
123) Ducat, pp. 37, b, 48 s., 162; Higgins, Greek Terracottas, cit., pp. XXII, 31 s., tav. 12, d. Statuetta ο balsamario (il dubbio dipende da una lacuna che interessa la testa) a figura femminile stante, databile fra la fine del VII e gli inizi del VI sec. a.C.
Notes de bas de page
1 M. Torelli, Il santuario di Hera a Gravisca, in PP, 26, 1971, pp. 44-67; J.-P. Morel, L’expansion phocéenne en OcOccident: dix années de recherches (1966-1975), in BCH, 99, 1975, pp. 857 s.
2 Cfr. Atti del Convegno «La céramique grecque ou de tradition grecque au VIIIe s. av. J.-C. en Italie du Sud et en Sicile», Cahiers du Centre Jean Bérard, 3 (in corso di stampa).
3 K. Friis Johansen, Exochi, Ein frührhodisches Gräberfeld, København, 1958, pp. 155, 157 s. Per varie integrazioni ed aggiunte v. inoltre B. D’Agostino, in NSc, 1968, p. 87, note 1-3; Coldstream, pp. 276, 280 s., tav. 62 b; Idem, The Phoenicians of Jalysos, in BICS, 16, 1969, p. 4 e nota 33, tav. 2 h; I. A. Papapostolou, in Δελτ. 23, 1968, p. 86 s.; D. Ridgway, The first Western Greeks: Companion Coasts and Southern Etruria, in Greeks, Celts and Romans. Studies in Venture and Resistance (eds. C. and S. Hawkes), London, 1973, p. 15, fig. 2 a; CVA, Gela, 2 commento a tav. 33 (M. Cristofani Martelli).
4 pp. 153 e 156, n. 6
5 Il secondo di essi, del tutto privo di decorazioni e caratterizzato da fondo alquanto arrotondato recante al centro una piccola concavità, è presumibilmente un’imitazione.
6 Cfr., ad es., L. Bernabò brea-M. Cavalier, Mylai, Novara, 1959, pp. 46 s., 58, 106, tavv. XL, 2 e XLI, 1-2 (tombe 65 e 16); MonAnt., 22, 1913, cc. 224 s., 233, 242, 263 s., E. I, H, tavv. XLIX, 3, 6, XLI, 2, XL, 6 (tombe 12, 18, 32 e 58 Stevens).
7 Non vi ho compreso invece l’aryballos con decorazione dipinta a denti di lupo con reticolato interno sulla spalla e fascette su collo e corpo dalla tomba 22 (scavi Mancinelli 1895) di Vulci, a Philadelphia (E.H. Dohan, Italic Tomb - Groups in the University Museum, Philadelphia, 1942, pp. 89, 92, tav. 47, n. 11), che trova calzanti confronti in esemplari di Cuma e che D’Agostino, art. cit., p. 87, nota 1, ha annoverato nella serie «rodio-cretese», perché, con la Dohan, ritengo si tratti di un prodotto etrusco o, più probabilmente, cumano, se pure dipendente da prototipi cretesi.
8 Coldstream, pp. 298 s. Sulla classe in generale v. più recentemente J. Boardman, Tarsus, Al Mina and Greek Chronology, in JHS, 85, 1965, pp. 5 s.; Boardman, Chios, pp. 132 s., con altra lett.; J. Hayes, in Tocra, 2, p. 21. Per exx. pubblicati in questi ultimi anni v. inoltre H. G. Niemeyer, Zwei Fragmente ostgriechischer Schalen von Toscanos, in AEsp 44, 1971, pp. 152-156; A. D. Trendall, Greek Vases in the Logie Collection, Christchurch (N.Z.) 1971, p. 50, n. 7, tav. II, f (da Bayrakli); CVA, Berlin 4 (1971), tav. 155, 1 (da Rodi) e 2 (da Kamiros); M. Vickers, Some unpublished sherds from Naukratis in Dublin, in JHS, 91, 1971, p. 114, 1, tav. 13, A; N. Kunisch, Antiken der Sammlung Julius C. und Margot Funcke, Bochum, 1972, p. 47, n. 51; V. Tusa, in AA. VV., Mozia VIII, Roma, 1973, tav. IX, 2, p. 19, a, ove è erroneamente definita protocorinzia (dal «Cappiddazzu»); V. von Graeve, Milet, in IstMitt, 23-24, 1973-74, p. 97, tav. 24, nn. 59-60, 62; Das Tier in der Antike, Zurich, 1974, tav.. 31, n. 194, p. 33; E. Langlotz, Studien zur nordostgriechischen Kunst, Mainz, 1975, p. 184, tav. 64, 1 (Siracusa); CVA, Würzburg 1 (1975), tav. 21, 1-2 e Fiihrer Würzburg, tav. 10, 1, p. 75, H 538; CVA, Louvre, 18 (1976), tav. 40, nn. 1-2, 3-4 (da Kamiros, scavi A. Salzmann; per la provenienza v. l’«avant-propos»).
9 La dott. L. Cavagnaro Vanoni mi ha cortesemente comunicato che la coppa misura cm. 14,4 di diametro e che il corredo consta di settanta pezzi, fra «vasi di impasto, di bucchero e di terracotta», segnalandomi inoltre in particolare la presenza di un’oinochoe del CA avanzato (D. A. Amyx, Vases from the Etruscan Cemetery at Cerveteri, Berkeley, 1965, n. 4), di «fr.i di una kylix ionica, di fr.i di due anforoni squamati» e di molti aryballoi ed alabastra etrusco-corinzi.
10 Gsell, p. 45 s.: la suppellettile comprende, fra l’altro, due anfore vinarie del tipo etrusco (sul quale da ultimo M. Martelli, in Prospettiva, 4,1976, p. 44 e qui, pp. 166 s. e nota 54, con vari rifer.) ibidem, nn. 3-4, tav. suppl. A-B, forma 40, una patera bronzea con orlo perlinato ibid., n. 9, tav. suppl. C, forma 145 e una fibula del tipo Sundwall H II α d ibid., n. 11, fig. 10.
11 M. Cristofani, Kotyle d’argentο di Marsiliana d’Albegna, in StEtr., 38, 1970, p. 274 s.; I. Strøm, Problems concerning the Origin and early Development of the Etruscan Orientalizing Style, Odense, 1971, pp. 179 e 233, nota 148; J. Boardman, in JRS, 59, 1969, p. 297.
12 L’ho rintracciata infatti, in uno dei depositi del Museo Archeologico di Firenze che ospitano i materiali alluvionati, insieme alla suppellettile della tomba a camera, già esposta nella sala XXIX della sezione topografica, sommariamente edita da A. Minto, in NSc, 1925, pp. 349-352. Poiché però non risulta affatto menzionata nel citato rapporto di scavo, la sua pertinenza a tale tomba resta dubbia.
13 Cfr. Clara Rhodos, IV, 1931, p. 271 s., n. 3, fig. 301 (= CVA, Rodi, 2, II D e, tav. 6,5; Coldstream, p. 300, n. 17). Non sarà superfluo osservare che anche nelle dimensioni i due pezzi esibiscono una stretta affinità: quello camirese misura infatti cm. 4 di h. e 9,8 di diametro, il nostro cm. 3,7 di h. e 8,5 di diam.
14 Si vedano al riguardo le mie osservazioni in StEtr, 41, 1972, p. 105, nota 27.
15 Anche questa è stata da me recuperata nei depositi del Museo Archeologico fiorentino, ove risulta associata al corredo di un’altra tomba a camera della necropoli di S. Cerbone, sulla quale Minto, art. cit., pp. 357-362: poiché neppure essa venne descritta nel rendiconto di scavo, la sua appartenenza al complesso permane incerta.
16 Cfr. Clara Rhodes, VI-VII, 1932-33, p. 52, fig. 49 (I fila dall’alto, IV da s.). Cfr. inoltre ibidem, IV, 1931, p. 351, 6, fig. 396: t. 204 di Checraci.
17 Oltre agli exx. dalla tomba Giulimondi, dalla Camera degli Alari e dalla tomba Bufolareccia (scavi Lerici) 36, già raccolti da N. Hirschland Ramage, Studies in early Etruscan Bucchero, in BSR, 38, 1970, p. 31, figg. 5, n. 8, 13, n. 2, 20, n. 7 e classificati come forma 7 C, ricordo quelli di altri complessi di Cerveteri, ossia la Tomba dei Dolî (MonAnt, 42, 1955, cc. 317, n. 19, 319, nn. 48, 51, 326, n. 6, tav. agg. G, forma 144), la tomba 18 s. di via del Manganello (inedita, nel Museo di Villa Giulia), la tomba Banditaccia 8/1951 (NSc, 1955, p. 68, n. 13, fig. 26), le tombe Laghetto 78, nicchia a s. del dromos, e 79 (MAV, V, taw. 19, n. 16 e 22, n. 6). Ma la loro presenza è dccumentata anche nell’agro ceretano (P. G. Gierow, San Giovenale, I, 8, Lund, 1969, p. 41, n. 20, fig. 26: Valle Vesca, tomba 3), a Veio (NSc, 1935, p. 344, fig. 17, e: tumulo di Vaccareccia; M. Cristofani, Le tombe da Monte Michele nel Museo Archeologico di Firenze, Firenze, 1969, pp. 37, 57, fig. 15, n. 30, tav. 16, 1: tomba D) e in varie località del Lazio, quali Castel di Decima (P. Sommella, in Quaderni dell’Istituto di Topografia antica dell’Università di Roma, 6, 1974, p. 113, n. 20, figg. 19-20: tomba 6; Civiltà del Lazio primitive, Roma, 1976, p. 281 s., n. 6 = NSc, 1975, p. 350, n. 6, figg. 141 bis, 143 b: tomba 68 bis), Marino - Riserva del Truglio (P. G. Gierow, The Iron Age Culture of Latium, II, Lund 1964, p. 156, fig. 91, 8: tomba 6), Castel Gandolfo-Vigna Cittadini (ibidem, p. 308, fig. 186, 2 = I, Lund, 1966, p. 287, fig. 86, 3), Roma (E. Gjerstad, Early Rome, IV, Lund, 1966, p. 278, fig. 88, 2).
Due exx. adespoti da Vulci (acq. Campanari, 1839) sono inoltre in CVA British Museum, 7, IV Β a, tav. 13, nn. 7, 8; altri di provenienza sconosciuta sono riprodotti in M. Moretti, Museo Nazionale d’Abruzzo nel castello cinquecen· tesco dell’Aquila, L’Aquila, 1968, fig. a p. 296 e in Aspects de l’art des Etrusques dans les collections du Louvre, Paris 1976, p. 15, fig. 17.
18 Non verrà presa in considerazione come importazione greco-orientale l’oinochoe a bocca circolare con rotelle e corpo compresso inv. 6807 del Museo Arch. di Firenze (fig. 11), proveniente dalla tomba vetuloniese delle Tre Navicelle (già richiamata alle pp. 154, 156, n. 16 per l’occorrenza in essa di una coppa a uccelli), nella quale Camporeale, Commerci, cit., tav. 38, 3, p. 106 (ivi bibl. prec., cui sono da aggiungere Montelius, op. cit., c. 897, tav. 198, 15 e D. Randall-Mac Iver, Villanovans and early Etruscans, Oxford, 1924, p. 137, tav. 25, 4) ha voluto ravvisare un prodotto della «serie rodia di tradizione geometrica e subgeometrica»: con F. Canciani, in AA, 1963, c. 675 e nota 51 e P. G. Guzzo, in StEtr, 36, 1968, p. 291, IX, 1 io concordo infatti nel riconoscervi invece una «squat olpe» TPC ο Transizionale. Il pessimo stato di conservazione ha reso pressoché del tutto illeggibile la decorazione, della quale si scorgono tuttavia gruppi di filettature sulla spalla e fascette dipinte in rosso alla base del collo. Questa forma, che è certo dipendente da prototipi greco-orientali, è stata infatti ripresa, se pure non frequentemente, dalle fabbriche di Corinto: cfr. H. Payne, Necrocorinthia, Oxford, 1931, p. 272 s., cat. 49-52 (il 52 è stato successivamente pubblicato in CVA, Louvre, 13, tav. 47, 1-2) e R. J. Hopper, in BSA, 44, 1949, p. 242 (il framm. a Parma ivi citato è stato poi edito in CVA, Parma, 1, III C, tav. 1, 2), cui aggiungo un esemplare inedito (è semplicemente descritto da A. Minto, in NSc, 1925, p. 361) da una tomba populoniese della necropoli di S. Cerbone, con raggiera dipinta in bruno alla base del collo e presso il fondo e decorazione lineare a vernice nero-bruna con fascette suddipinte in bianco e paonazzo sul corpo (figg. 12-13). Né andrà trascurato il fatto che questa stessa morfologia vascolare risulta adottata, già nella prima metà del VII sec. a.C., anche nella produzione italo-geometrica, tanto a Vulci (cfr. CVA, Karlsruhe, 2, tav. 52, 4) quanto a Tarquinia (cfr. CVA, Tarquinia, 3, tav. 23, 3, attribuita da F. Canciani al Pittore delle Palme, e tav. 24, 1-2, 4-5).
19 Schiering, p. 8.
20 Tav. 118, n. 596, pp. 76, 126 e, per la provenienza, Schiering, p. 114, nota 25, 3; per gli exx. da Samo e dalla Russia meridionale Walter, tavv. 91-93, n. 502 e 94-96, n. 503 («samisch»).
21 Schiering, pp. 29 e nota 201, 30 e nota 204; Walter-Karydi, p. 60.
22 Walter-Karydi, rispett. tav. 105, n. 877(= Schiering, tavv. 12, 6 e 14, 2, pp. 49 s., 55 e note 407-408, 87 e nota 668, 101 e nota 773, 111), tavv. 105 e 111, n. 879 (= Schiering, tavv. 6, 3 e 7, 1, pp. 23 s. e nota 151, 55 e nota 407, 66, 101, 110), tav. 111, n. 880, pp. 77 e nota 223, 142.
23 Walter-Karydi, p. 144, n. 938 («wohl aus Italien»); ma cfr. E. Pottier, Vases antiques du Louvre, II, Paris, 1901, p. 61, E659: «(Inv. Campana, 21). Trouvé a Caeré, en Étrurie, et entré au Musée en 1863».
24 Schiering, tav. 16, 2, pp. 57 s., 62.
25 Walter-Karydi, tav. 115, n. 941.
26 Kardara, pp. 115 s.
27 Cfr. Kardara, p. 127 s.
28 Cfr., ad esempio, Clara Rhodes (poi abbreviato CR), IV, 1931, p. 362, fig. 408 (= Walter-Karydi, p. 134, n. 586): da Checraci, tomba 209.
29 Appartiene infatti alla collezione formata da Gismondo Galli (poi confluita nell’Antiquarium di Massa Marittima), che fu insegnante a Canino intorno al 1875 e ispettore onorario ai monumenti e scavi dell’Etruria meridionale.
30 Cfr., rispettivamente, CR, IV, 1931, p. 43, fig. 12(= CVA, Rodi, 1, II Dh, tav. 2,3; Walter-Karydi, tav. 74, n. 585, con errata indicazione di provenienza da Vroulia: i riferimenti esatti sono invece quelli corrispondenti al n. 581); p. 47, n. 8, figg. 13,17 (= CVA, Rodi, cit., tav. 2, 2; Walter-Karydi, p. 134, n. 582); p. 55, n. 5, figg. 26, 31 (= CVA, Rodi, cit., tav. 2,4; Walter-Karydi, n. 583).
31 Cfr. CR, IV, 1931, p. 81, n. 2, figg. 64, 66 (= CVA, Rodi, cit., tav. 2,5; Kardara, p. 127, θ, 2): Macrì Langoni, t. 15; CR, VI-VII, 1932-33, p. 114, n. 6, figg. 122-123 (= Kardara, p. 127, ι, 1): Checraci, t. 32 e p. 104, n. 2, figg. 116, 119 (= Kardara, p. 127, ϑ, 3): Checraci, t. 30; CVA, Berlin, 4, tavv. 161, 163, 4.
32 Per la prima cfr. E. A. Gardner, Naukratis, II, London, 1888, tav. VI; E. R. Price, Pottery of Naukratis, in JHS, 44, 1924, p. 216; J. Boardman, The Greeks Overseas, Harmondsworth, 1964, tav. 9, b; Walter-Karydi, tav. 90, n. 715. Per il secondo Vickers, art. cit., p. 114 s., n. 2, tav. 13, B. Si possono richiamare inoltre altri frammenti di rinvenimento naucratita: ad es., CVA, Cambridge, 2, II D, tav. 17, nn. 16-20 e CVA, Oxford, 2, tav. 5, nn. 2, 4, 6.
33 Per il primo cfr. Tocra, 1, pp. 58, 60, fig. 30, tav. 39, nn. 771-772; Tocra, 2, pp. 24, 26, fig. 10, n. 2042; Boardman, Chios, p. 120 s., fig. 74, tav. 34, 251 s. Per il secondo cfr. ibidem, p. 120 s., fig. 74, tav. 33, 235 s. Per il terzo cfr. Tocra 1, pp. 59s., 63, fig. 30, tav. 45, nn. 797-799; Tocra 2, p. 26, tav. 15, n. 2043; Boardman, Chios, p. 158. Un ex. della variante più antica di questo tipo, con sequenza di punti intorno all’orlo, accostabile ad uno da Kamiros a Berlino (cfr. CVA, Berlin, 4, tav. 171, 2), è stato rinvenuto ultimamente in Linguadoca: v. A. Nickels, Un calice de Chios dans l’arrière-pays d’Agde à Bessan, Hérault, in RA, 1975, pp. 13-18.
34 Ringrazio la dott. A. Talocchini, che ha diretto lo scavo della tomba, per avermene cortesemente consentito la prima edizione. Per le altre importazioni greco-orientali comprese nel corredo v. la coppa a uccelli esaminata alle pp. 154 e 157, n. 17 e i rifer. ivi addotti.
35 A. Giuliano, Un pittore a Vulci nella II metà del VII sec. a.C., in JdI, 78, 1963, pp. 183-199; Idem, Un pittore a Vulci nella II metà del VII sec. a.C. {Addenda), in AA, 1967, pp. 7-11; Idem, Il ‘Pittore delle Rondini’, in Prospettiva, 3, 1975, pp. 4-8. Per altre opere del ceramografo riconosciute Ο edite dopo i lavori di Giuliano v. J. Hind, A Wild Goat Style Oenochoe in Christchurch, New Zealand, in AA, 1970, pp. 131-135 e A. D. Trendall, Greek Vases in the Logie Collection, Christchurch, 1971, p. 50 s., n. 9, tav. 3; Kunisch, op. cit., p. 50, n. 54; W. Schiering, Eine Amphora des Schwalbenmalers im Louvre, in RA, 1974, pp. 3-14.
36 Su di esse più di recente v. P. Bernard, Céramique de la première moitié du VIIe siècle à Thasos, in BCH, 88, 1964, pp. 137-140, fig. 50, con rifer.; Histria, II, Bucuresti, 1966, tav. 73, XII, 11, p. 159; BCH, 93, 1969, p. 448 s., n. 23, fig. 25; Tocra, 1, pp. 137, 139, nn. 1414-15, tav. 90 e 2, p. 62, n. 2258, fig. 25; H. Metzger, Fouilles de Xanthos, IV, Les céramiques archaïques et classiques de l’acropole lycienne, Paris, 1972, p. 69 s., tav. 25, n. 111; Sukas, 2, pp. 71 s., nn. 322-325, tav. 16. Per gli exx. di Mylai v. Bernabo’brea-Cavalier, op. cit., tavv. 4849, 1-2, p. 110 (tombe 32 e 146); per quelli di Camarina v. Archeologia nella Sicilia sud-orientale, Napoli, Centre Jean Bérard, 1973, pp. 139, 147, n. 437, tav. 45.
37 Art. cit., p. 21, nota 1 e in StEtr, 29, 1961, p. 52, nota 14.
38 In Mél, 67, 1955, p. 32; Villard, Marseille, p. 44.
39 Per parziali rassegne v. P. G. Guzzo, Coppe ioniche in bronzo, in Mél, 85, 1973, p. 61; CVA, Gela, 2, II D, pp. 5 s., commento a taw. 1-2, 3-4 (M. Cristofani Martelli).
40 Da Cerveteri: NSc, 1955, p. 54, n. 27, p. 74, nn. 53-54, p. 75, n. 6, p. 96, n. 3 (Banditaccia, rispettivamente tombe 3, 9, 10/1951 e tomba a fossa D); MonAnt, 42, 1955, ce. 241, n. 4 (tomba 8 del tumulo II), 314, n. 4 (tomba dei Dolii), 448, n. 19 (t. 53), 455, n. 7 (t. 56 ο «dei Capitelli»), 459, n. 3 e 461, n. 23, detta «di imitazione» (t. 58), 518, n. 2 (t. 98), 523, n. 5 (t. 100), 706, n. 7 (t. 230), 789, n. 1 (t. 304); MAV, V, pp. 15, n.3 e 20, n. 1 (Bufolareccia, tt. 60 e 83), 107, n. 5 (Laghetto, t. 139), 112, nn. 2-3 (Laghetto, t. 145), 117, nn. 8-9 (ma uno, ripreso in StEtr, 33, 1965, p. 501, n. 8, è ivi detto attico: Laghetto, t. 159), 180, n. 38 (Laghetto, t. 185, camera laterale), 217, n. 4 (Laghetto, t. 324); per un ex. in frammenti dalla tomba 90 di Monte Abatone v. qui p. 118, nota 9.
Da Acquarossa: Gli Etruschi.Nuove ricerche e scoperte, Viterbo 1972, p. 31, n. 72, definita «imitazione etrusca di ceramica ionica».
Dal territorio castronovano: NSc, 1941, p. 358, n. 5 (tomba D della necropoli in loc. Pisciarelli); Ο. Toti, Allumiere e il suo territorio, Roma, 1967, p. 39=Idem, La civilizzazione etrusca nel territorio di Allumiere alla luce delle più recenti scoperte, in Hommages à Marcel Renard, III, Bruxelles, 1969, p. 574 (tomba 9 della necropoli del Colle di Mezzo); F. Biancofiore-O. Toti, Monte Rovello (Testimonianze dei Micenei nel Lazio), Roma, 1973, p. 70. Da Vulci: Vulci, Zona dell’«Osteria», Scavi della «Hercle», Roma s.d., pp. 19, n. 1 (t. 5), 21, n. 1 (t. 10, I camera) e 22, n. 16 (t. 10, II camera), 26, nn. 3-4 (t. 11), 51, n. 1 (t. 32), 57, n. 1 (t. 34), 87, nn. 1-2 (t. 52); MAV, II, pp. 10, nn. 167-169 (t. 124), 12, nn. 208-210 (t. 126), 13, nn. 241-242 (t. 127), 23, nn. 432-433 (t. 138), 24, n. 461 (t. 141), 34, nn. 732-735 (sporadico n. 3); MAV, III, pp. 8, n. 38 (t. 7), 10, n. 115 (t. 20), 12, n. 175 (t. 24), 15, nn. 258-259 (t. 30), 14, n. 226 (t. 28), 20, nn. 401-402 (t. 41 bis), 21, nn. 456-458 (t. 42); StEtr, 45, 1977, p. 459. Da Roselle: StEtr, 39, 1971, p. 533 (dalla zona del Foro) e p. 557 (dalla collina di Sud-Est); inoltre cenno sommario in La città etrusca e italica preromana, Imola, 1970, p. 158; del tipo Σ Τ mi sembra invece l’ex. frammentario pubblicato come ionico da F. Hiller, in RM, 66, 1959, p. 22, tav. 9, n. 21.
Dall’ager Vetuloniensis (necropoli di Val Berretta): StEtr, 45, 1977, p. 462.
Da Roma: BullCom, 77, 1959-60, (1962), p. 113, tav. III, n. 9 = Gjerstad, Early Rome, IV, cit., fig. 160, n. 1 (da S. Omobono, scavo 1938).
41 Per i materiali greco-orientali v. qui pp. 154, 156, n. 17, 161, n. 6, 199, n. 133, 201, nn. 196-197, 179, 209, n. 71. Per notizie preliminari sullo scavo v. A. Talocchini, in StEtr, 40, 1972, p. 357 e 41, 1973, tav. 102 a-c, p. 524.
42 Vedi M. Cristofani Martelli, SU alcune kylikes in bucchero con iscrizione dedicatoria, in Archaeologica, Scritti in onore di Aldo Neppi Modona, Firenze, 1975, p. 209 e note 13-14, con rifer.
43 Giuliano, art. cit., p. 8, n. III, fig. 16.
44 Albizzati, p. 87, n. 241, tav. 20; Walter-Karydi, pp. 22, 127, n. 341, tav. 41; Giuliano, art. cit., p. 8, n. 1.
45 J. Hayes, in Tocra, II, p. 55, nota 3, cita, fra le «decorated versions» di A2, oltre all’ex. dei Musei Vaticani, «a second example in the Metropolitan Museum of Art».
46 H. Β. Walters, Catalogue of the Greek and Etruscan Vases in the British Museum, I, 2, London, 1912, p. 256 s., Η 229, tav. 21, con bibl. prec.
47 Giuliano, art. cit., p. 8, n. II, con bibl. prec., l’assegna pure alla bottega del Pittore delle Rondini.
48 Per Samo v. AM, 72, 1957, p. 48, tav. 70, 2 e 76, 1961, p. 25, tav. 33; per Sardi Basor, 166, 1962, p. 15, fig. 10; per Apollonia Pontica, BIBulg, 23, 1960, p. 240, fig. 1, 3; per la celebre coppa di Rhoikos da Naukratis v. più di recente Walter-Karydi, pp. 80, 147, n. 1024, tav. 125, con bibl. prec. Di provenienza sconosciuta invece è l’ex. CVA, München, 6, tav. 293, 2, fig. 21.
49 Vedi, rispettivamente, J. Hayes, in Tocra, 1, tav. 87, 1292-1297, fig. 57, pp. 114, 124 (type XI) e in Tocra, 2, p. 56, n. 2228; Walter-Karydi, tav. 45, nn. 362-376, pp. 26, 128. Per l’area di diffusione, che interessa, oltre a Samo e Tocra, Smirne, Chio, Rodi, Naukratis, Histria, Sukas, nonché l’Etruria v. rifer. di E. Kunze, in AM, 59, 1934, p. 90, nota 2 e, più di recente, Sukas, 2, pp. 31, 36, tav. 6, nn. 122-123.
50 CVA, Musei Capitolini, 2, IID, tav. 2, 3-4.
51 In bronzo, nella tomba 84 di Campovalano (O. Zanco, Bronzi arcaici da Campovalano, Roma, 1974, p. 50, n. 17, tav. 28 b) e nella tomba 124 di Alfedena (Guzzo, art. cit., p. 55, fig. 3, con didascalia errata), in argento a Pitino di S. Severino (StEtr, 41, 1973, p. 516, tav. 96 d).
52 Preciso che, tanto per le coppe ioniche quanto per tutte le altre classi di importazione greco-orientale, non ho preso in considerazione in questa occasione i reperti di Gravisca, pur se parzialmente editi, in quanto oggetto, in questa stessa sede, della comunicazione di F. Boitani Visentini.
53 Sui quali Villard, Marseille, tavv. 26-28, p. 49 s.; G. Vallet-F. Villard, Mégara Hyblaea, 2, Paris, 1964, p. 89, tav. 77, 2. Per le attestazioni in Etruria ricordo due exx. dalla tomba 999 Bufolareccia nel Museo di Cerveteri e uno dalla tomba 19, cella c, della necropoli del Palazzone nel Museo Archeologico di Perugia (per una notizia preliminare sulle tombe arcaiche scoperte recentemente al Palazzone v. A. E. Feruglio, in Aspetti e problemi dell’Etruria interna, Atti dell’VIII convegno nazionale di Studi Etruschi ed Italici (Orvieto 1972), Firenze, 1974, p. 158), confrontabile, ad es., con Histria, II, cit., p. 102, tav. 29, n. 515. L’identificazione del pezzo come «ionico» anziché come formulazione attica del tipo decorato con la tecnica «à la brosse» (sul quale v. da ultimo Β. A. Sparkes-L. Talcott, The Athenian Agora, XII, Black and Plain Pottery of the 6th, 5th and 4th Centuries B. C., Princeton, 1970, tav. 64, 1502, pp. 192, 341; W. Gauer, Olympische Forschungen, VIII, Die Tongefässe aus den Brunnen unter Stadion-Nordwall und im Südost-Gebiet, Berlin, 1975, tav. 20, 3, p. 128, con rifer.) è avvalorata dal fatto che, nella stessa tomba, è presente un pezzo sicuramente importato dal mondo reco-orientale, con ogni probabilità da Samo, ossia un deinos con bande sul quale mi soffermerò più oltre (v. p. 185).
54 M. Martelli, in Prospettiva, 4, 1975, p. 44, figg. 2-3, con proposta di individuarne il centro produttivo primario, per quanto riguarda l’Etruria, a Vulci. Come ho indicato in quella sede, i prototipi da cui dipendono sono riconoscibili nelle anfore correntemente definite «fenicie» (“Canaanite jar” della Grace), di cui molti esempi sono noti, oltre che a Cartagine e a Malta, a Mozia (cfr., ad es., AA.VV., Mozia - VII, Roma, 1972, tavv. 33, 2 e 92, 1, 39, 1, 45, 1, 57, 4) e in varie locaità della Sicilia, quali Mylai (Bernabo’brea-Cavalier, op. cit., tavv. 51, 6, 52, p. 113, con rifer.), Camarina, Megara Hyblaea e Siracusa (v. accenni in Archeol. Sicilia sud-orient., cit., pp. 139, 146 s., n. 436). In funzione della successiva adozione, pur modificata, del tipo in Etruria risulta di estremo interesse il fatto che questi contenitori da trasporto ricorrono a Pithecusa (più di recente cenno di G. Buchner, in Contribution à l’étude de la société et de la colonisation eubéennes, Cahiers du Centre Jean Bérard, 2, Naples, 1975, p. 68) e nelle necropoli laziali, specialmente in tombe di eminente ricchezza, a partire dalla fine dell’VIII sec. a.C.; oltre a quello di Osteria dell’Osa (Gabii) che già ho richiamato in Prospettiva, cit., p. 44 e nota 7, altri figurano infatti a Castel di Decima nelle tombe 15 (NSc, 1975, p. 274, n. 32, fig. 48 e Civ. lazio prim., cit., p. 261), 101 (Civ. Lazio prim., cit., p. 288: ivi non identificata; riconosciuta invece da M. Cristofani, in Prospettiva 5, aprile 1976, p. 64), 152 (NSc, 1975, p. 315, n. 25, figg. 96-96-97; Civ. Lazio prim., cit. p. 272, n. 24; Naissance de Rome, Paris, 1977, cat. n. 393, con fig.: a fondo piatto), 153 (ibidem, cat. n. 486, genericamente descritta come «grande amphore à vin»), mentre uno recuperato nel 1953, edito senza riconoscimento da S. Quilici Gigli, in NSc, 1973, p. 284, n. 24, fig. 10, è stato definito da chi scrive, l.c. supra; la presenza di altri a Decima, nelle tombe 50, 93, 100, è poi segnalata da F. Zevi, in NSc, 1975, p. 241. Per quanto attiene invece specificamente alle anfore vinarie di produzione etrusca e alla loro distribuzione, che sempre più chiaramente evidenzia una forte destinazione esportativa, ai numerosi riferimenti che ho addotto in Prospettiva, cit., p. 44 e note 1-13 e qui a p. 119, nota 10 posso aggiungere i seguenti altri, appartenenti a più vava-rianti: vari eXx. inediti, probabilmente di provenienza locale, nel Magazzino degli scavi di Cerveteri; P. Sommella, Heroon di Enea a Lavinium. Recenti scavi a Pratica di Mare, in RendPontAcc, 44, 1971-72, p. 61, fig. 12 = Idem, Das Heroon des Aeneas und die Topographie des antiken Lavinium, in Gymnasium, 81, 1974, tav. VIII e in Civ. Lazio prim., cit., p. 311, n. 49: dalla tomba a cassone sotto il c.d. heroon di Enea; AA.VV., Lavinium, II, Le tredici are, Roma, 1975, pp. 61, 87, n. 242, fig. 64; A. E. Feruglio, in StEtr, 45, 1977, p. 467, tav. 72, b: coppia di exx. da Orvieto, loc. Mossa del Palio, tomba 5/1974; NSc, 1926, p. 193, fig. 2: da Chiusi, tomba a camera sul colle di S. Bartolomeo (ora nei depositi del Museo Arch. di Firenze); Museo Archeologico di Chiusi, sine inv., inedito (Soprintendenza Archeol. Toscana, neg. 31097); Museo Archeologico di Firenze, inv. 4920, inedito, di prov. scon. (tipo a fondo piatto); Archaeologica, Studi Neppi Modona, cit., tav. I, 6-8 a p. 378 e Archeologia a Genova, Genova, 1976, p. 23, fig. 25, c: dagli strati preromani dell’«oppido» genuate sul Colle di Castello; Antiquarium di Orbetello, inv. 125, inedito; Archeologia 42, 1967, fig. a p. 422: dalla necropoli di Vico Equense; l’ex. con iscrizione etrusca dipinta del Museo Gregoriano che avevo menzionato in Prospettiva, cit., p. 44 è stato poi edito in StEtr, 44, 1976, p. 251 s., 65, tav. 47. Per rinvenimenti recenti di anfore della serie in esame nella Francia meridionale v. inoltre M. PY-C. Tendille, Fouille d’une habitation de la deuxième moitié du VIe siècle sur l’oppidum de la Font-duCoucou, commune de Calvisson (Gard), in RANarb, 8, 1975, pp. 39, 45, 59.
L’evoluzione morfologica del tipo dall’età arcaica fino a quella ellenistica che avevo già prospettato, additando gli esempi da Aleria, nella sede più volte citata è ora pienamente confermata dall’individuazione recentissima di un relitto di nave imbarcante anfore di questa classe (con orlo teso, molto simili a quelle rinvenute, appunto, ad Aleria) nelle acque di Populonia (per ovvie ragioni di tutela non posso fornirne la localizzazione esatta), che, dai primi materiali recuperati in occasione di un sopralluogo eseguito in collaborazione con il Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina, sembra potersi datare al pieno IV sec. a.C.
Assai significativa, come documento ulteriore — a fianco del vasellame in bucchero e dei piatti ad aironi — dei rapporti fra Etruria e grecità di Sicilia, è poi l’occorrenza di anfore vinarie del tipo etrusco in diverse necropoli siceliote, da Himera (cfr. AA.VV., Himera, I, Roma, 1970, tav. E, fig. 3: necropoli di Pestavecchia) a Lipari (cfr. L. Bernabo’brea-M. Cavalier, Meligunìs-Lipára, II, Palermo, 1965, tav. 41, 5, pp. 128, 200 e nota 12, con rifer.: necropoli di contrada Diana, tomba 355), a Camarina (P. Pelagatti, in Magna Grecia, XII, 1-2, gennaiofebbraio 1977, fig. a p. 1 e p. 4 ne segnala una quindicina dalla necropoli del Rifriscolaro, ove risultano (re)impiegate come sepolture infantili ad enchytrismós per tutto il VI sec. a.C., nonché la presenza nel corso del V sec. a.C. nella necropoli di Passo Marinaro).
55 A. Giuliano, in Prospettiva, 3, 1975, p. 4.
56 Su questi da ultimo M. Cristofani Martelli, CVA, Gela, 2, commento a tav. 31.
57 F. von Bissing, Zeit und Herkunft der in Cerveteri gefundenen Gefasse aus agyptischer Fayence und glasiertem Ton (Sitzungsberichte der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, II, 7, 1941), pp. 3 s. ne ha localizzato la produzione a Rodi, ad opera di maestranze egiziane; per il VI secolo è stata comunque riconosciuta una produzione anche a Naukratis (Boardman, Greeks Overseas, cit., p. 143 s., con rifer.). Successivamente il ruolo primario di Rodi, quanto meno nella distribuzione, è stato ribadito da T. J. Dunbabin, The Western Greeks, Oxford, 1948, p. 233 s., mentre la prospettiva di una pluralità di centri di fabbricazione, anche in Asia minore, del materiale «egittizzante» è stata additata da T. H. G. James, in Perachora, II, Oxford 1962, p. 477; per il vasellame invetriato a decorazione policroma, in Etruria attestato a Cerveteri e Vulci, E. J. Peltenburg, Al Mina glazed pottery and its relations, in Levant, 1, 1969, pp. 73-96 ha postulato un’origine nella Siria settentrionale, mentre Coldstream, art. cit., p. 5, propende a riferirlo a metoikoi fenici attivi a Rodi. Ultimamente poi A. Rathje, A Group of «Phoenician» Faience Anthropomorfic Perfume Flasks, in Levant, 8, 1976, pp. 96-106 ha suggerito come sito di fabbricazione dei balsamari a figura umana ο di babbuino con vaso davanti — documentati a Leprignano (Capena), Cerveteri, Vulci e nel territorio castronovano — Cartagine o, in alternativa, Rodi, da parte di artigiani fenici immigrati nell’isola; alla Rathje, che ha redatto la lista più aggiornata dei «Frauen-und Affenvasen» (cui è però da aggiungere un esemplare da una tomba di Taranto edito da G. F. Lo Porto, in ASAtene, XXXVII-XXXVIII, 1959-60, (1960), p. 119, n. 4, figg. 94 d, 95), sono sfuggiti tuttavia anche un ex. pubblicato dalla Vagnetti, art. cit., pp. 363, n. 5, con fig., 365, proveniente da quella stessa tomba 94/1962 della necropoli vulcente dell’Osteria cui appartiene il piatto su piede qui discusso a pp. 159 s., n. 10, uno da una tomba di Palastreto, nell’agro fiorentino (NSc, 1903, p. 355, c, fig. 2) e uno da una tomba di Montalto riconoscibile in J. De Witte, Description de la collection d’antiquités de M. Le Vicomte Beugnot, Paris, 1840, p. 140, n. 424.
Segnalo di seguito, senza pretesa di completezza, vasi in faïence di varia forma, rinvenuti in Etruria, che non figurano nel lavoro di von Bissing (né nelle rassegne da lui curate a più riprese in StEtr) e nella letteratura suindicata ο scoperti posteriormente all’uscita di esso:
a) alabastra policromi a fondo appuntito: Nuove scoperte e acquisizioni nell’Etruria meridionale, Roma 1975, p. 200, n. 7: collezione Pesciotti Cima a Villa Giulia, da loc. imprecisata dell’Etruria meridionale.
b) balsamari plastici: 1) ibidem, p. 200, n. 6: prov. c.s. (aryballos a testa di Eracle ricoperta da leonté; nella scheda citata, redatta da G. Bartoloni, il soggetto non è stato riconosciuto e si parla genericamente di testa maschile barbata entro le fauci di un leone). Per una replica v. CVA, Copenhagen, 2, tav. 80, 13 a-b: da Egina.
2) Dalla tomba 20 di Monte Abatone, nel Museo di Cerveteri, inedito (porcospino).
3) Museo di Tarquinia, inv. RC 6253 (porcospino).
4) NSc, 1930, p. 171, figg. 49-50: da Tarquinia, necropoli dei Monterozzi, tomba 52 (testa di Acheloo). Per il tipo cfr. Antiken aus dem Akademischen Kunstmuseum Bonn, Dusseldorf, 1971, p. 146 s., con rifer., tav. 92.
5) CVA, Berlin, 4, tav. 170, 4-5, con bibl. prec. cui va aggiunto H. P. Isler, Acheloos, Bern, 1970, p. 145, n. 128: da Tarquinia (testa di Acheloo).
6) Ibidem, tav. 169, 10-11: da Tarquinia (leone accovacciato). Per una replica v. Metzger, op. cit., tav. 33, n. 152, p. 83.
7) D. von Bothmer, Ancient Art from New York private Collections, New York, 1961, p. 51, n. 197, tav. 65 (aryballos gianiforme, «said to be from Tarquinia»).
8) CVA, Karlsruhe, 2, tav. 48, 9; Isler, op. cit., p. 146, n. 137: da Bisenzio, scavi Brenciaglia e Paolozzi 1884-85 (testa di Acheloo). K. Schumacher, in AA, 1890, p. 2 s., con fig., n. 2 ne specifica la provenienza «aus einer tomba a fossa».
c) aryballoi globulari, lisci ο con decorazione a reticolato di losanghe, a strigilature, ecc. (la decorazione verra indicata solo per gli exx. inediti):
Cerveteri e agro:
1) MonAnt, 42, 1955, c. 538, n. 5: tomba 106, camera laterale s.;
2) Ibidem, c. 1030, n. 34: tomba 434 (ora nel Museo di Cerveteri);
3) Ibidem, c. 1074, n. 3: tomba «dell’argilla», camera laterale s.;
4) MAV, V, p. 182, n. 9, tav. 3: tomba 194 Laghetto;
5) Ibidem, p. 219, n. 25, tav. 48: tomba 330 Laghetto;
6) Nuove scoperte e acquisizioni, cit., p. 24, n. 51: da tomba in loc. Cavetta della Pozzolana (scavo 1974), camera laterale s.;
7) Dalla tomba Bufolareccia 43, nel Magazzino degli scavi di Cerveteri; inedito.
8) StEtr, 45, 1977, p. 457: framm. da una tomba in voc. Poggio Giulivo (presso Viterbo).
Territorio castronovano:
9) Da Castellina di Ferrone, tomba IV, nel Museo di Tolfa, inv. 60068; inedito (losanghe) (fig. 25,a).
Tarquinia:
10) CVA, Tübingen, 1, tav. 11, 3.
11-16) Magazzino del Museo di Tarquinia, inv. 202 (losanghe), 223 (losanghe), 223 A, RC 6249 (strigilature), RC 6250 (losanghe), RC 7915 (con peduccio); inediti. V. anche NSc, 1893, p.516.
Vulci:
17) Un ex. nel Museo di Grosseto, sala di Vulci; inedito (losanghe).
Bisenzio:
18) Museo Archeologico di Firenze, inv. 73354 (losanghe): dalla necropoli della Palazzetta, acq. Brenciaglia e Paolozzi 1887; inedito (fig. 26).
È da tenere presente peraltro che W. Helbig, in RM, 1, 1886, p. 31 segnala la presenza di più aryballoi globulari in faïence, lisci ο decorati, nelle tombe a fossa di questo sepolcreto visentino, mentre nessun elemento al riguardo è nel rapporto di NSc, 1886, pp.143-152.
Orvieto:
19) NSc, 1880, p. 446: necropoli di Crocifisso del Tufo.
Sono da ricordare anche i due aryballoi globulari, l’uno con losanghe, l’altro strigilato, pubblicati da Mingazzini, I, p. 98, n. 294, tav. 16, 10 e n. 295, che cita una replica, pure della collezione Castellani, conservata a Vienna. Non ho conoscenza diretta dell’«alabastron di maiolica...» dalla tomba 59 Banditaccia descritto in MonAnt, 42, 1955, c. 468, n. 29, né del «gruppo di frammenti di un vaso egizio a copertura verde vitrea» dalla tomba 84 (tumulo XI) Banditaccia, su cui ibidem, c. 509, n. 6, né dell’alabastron da Vulci di Führer Würzburg, p. 60, H 5030. Inoltre i due balsamari configurati a locusta del Museo di Firenze, citati dalla Maximova, p. 104 ed editi da F. von Bissing, in StEtr, 11, 1937, tav. 56, nn. 45-46, p. 418 s. come provenienti da Bomarzo, furono invece rinvenuti a Pescia Romana e corrispondono perfettamente a NSc, 1880, p. 250: per la rettifica all’errore di von Bissing e la riedizione dei pezzi v. ora M. Cristofani, in La civiltà arcaica di Vulci e la sua espansione (Atti del X convegno di Studi Etruschi e Italici), Firenze, 1977, p. 238 s., tav. LIII, a-b.
L’aryballos a protome di leone e quello globulare da Bomarzo, Pian della Colonna, già noti a von Bissing, sono stati ultimamente riediti da M. P. Baglione, Il territorio di Bomarzo, Roma, 1976, p. 153 s., 1-2, tav. 95, figg. 1-2, 3-4.
Io non posso concordare con la Rathje, art. cit., p. 96, nota 2 nel ritenere «a locally made copy» il balsamario, in terracotta invetriata, a figura femminile recante un bambino (ο scimmia) sul dorso e un quadrupede in grembo, dalla Tomba dei Leoncini d’Argento di Vetulonia (A. Talocchini, in StEtr, 31, 1963, pp. 71 s., 84 s., fig. 3, tavv. 15-16; Camporeale, Commerci, cit., p. 101 s.; Strom, op. cit., p. 136): gli stretti paralleli da Samo e Rodi, e in particolare quelli dalla stipe votiva dell’Athenaion di Kamiros, già addotti dal primo editore lo qualificano a pieno titolo come prodotto di importazione (cfr. anche AM, 83, 1968, p. 301, 163, tav. 136, 1-2). La distribuzione di vasi in faïence investe anche il Lazio: ad es., un aryballos globulare a corpo baccellato è presente nella stipe votiva più recente del santuario di Satricum (A. Della Seta, Museo di Villa Giulia, Roma, 1918, p. 295, inv. 10915), uno con losanghe è noto da Palestrina (MonAnt, 15, 1905, c. 613, tav. 17, n. 20), mentre del rinvenimento a Pratica di Mare di «frammenti d’un alabastron di smalto celeste, il cui recipiente è coperto da intaccature simili a quelle d’una pigna» dà notizia W. Helbig, in BullInst, 1885, p. 84, ripreso in MonAnt, cit., c. 402 e da F. Castagnoli, Lavinium, I, Topografia generate, fonti e storia delle ricerche, Roma, 1972, p. 23, nota 3.
58 Vedi F. Villard, Vases de bronze grecs dans une tombe étrusque du VIIe siècle, in MPiot, 48, 1956, pp. 25 s.; contra, F. Hiller, Zwei verkannte Bronzeschalen aus Etrurien, in MarbWPr, 1963 (1964), pp. 27ss., che ha rivendicato all’Etruria tanto il piatto di bronzo inciso da Tarquinia, loc. Le Saline, illustrato dal Villard quanto la patera Tyszkiewicz. Prodotti metallotecnici di importazione sono stati riconosciuti inoltre in due piccoli bacili bronzei, inornati, con anse ad anello mobili impostate su element: a rocchetto dalla II tomba delle Migliarine di Vetulonia (Camporeale, Commerci, cit., p. 108 s., tav. 41, 1-2), altrimenti nota anche come Tomba del Figulo per la quantità di balsamari plastici, fra cui parecchi greco-orientali (v. qui pp. 179, 209), che racchiudeva.
Sarei incline a riconoscere manufatti metallici importati dalla Grecia orientale anche in un bacile della tomba d’Iside (G. Micali, Monumenti inediti a illustrazione della storia degli antichi popoli italiani, Firenze, 1844, tav. 8, fig. 2; Montelius, op. cit., tav. 267, 7), che trova validi paralleli in ambito frigio (cfr. ad es. Akurgal, op. cit., p. 101 s., tav. a colori III a: da Gordion; Boardman, Greeks Overseas, cit., p. 106 s., fig. 28), e in due elementi, pertinenti a bacile ο simili, pure scanditi da «rocchetti», dalla tomba populoniese sul Poggio della Porcareccia (NSc, 1940, p. 382, fig. 4, nn. 19-20) più volte richiamata perché ricca di importi greco-orientali, quali una coppa a filetti, una lekythos samia, un alabastron in bucchero «ionico», un’olpe a collo verniciato (cfr. pp. 203, n. 239, 173, n.2Ô, 177, n. 32, 185, 190, n. 2). Non sarà forse superfluo ricordare che phialai con elementi a rocchetto lungo il bordo, per le quali è stata riconosciuta una dipendenza da modelli frigi (sulla serie da ultimo H. Hoffmann, in AA, 1974, p. 64, n. 23, fig. 21 a-b), sono documentate a Samo tanto in argilla (cfr. Walter-Karydi, pp. 15 s., 100 nota 28, con rifer., 124, tav. 34, nn. 257, 258 (= CVA, Kassel, 2, tav. 56, 6-7, fig. 13)) quanto in legno (cfr. G. Kopcke, in AM, 82, 1967, p. 121 s., nn. 13-15, tav. 63, 2-4) e che un recipiente del tipo in questione è recato in mano da una statuetta eburnea di «sacerdotessa» rinvenuta ad Efeso (Akurgal, op. cit., figg. 169-173; Boardman, op. cit., p. 107, tav. 1, c); inoltre redazioni fittili, in varianti locali, sono state ormai individuate in più centri del mondo greco (v. Boardman, Chios, p. 129 s., con rifer.). In questo quadro andrà inserita anche la fibula frigia della tomba 29 di Marino-Riserva del Truglio (ultimamente riedita da G. Colonna, in Popoli e civiltà dell’Italia antica, II, Roma, 1974, pp. 313 s., 341, con bibl. prec., tav. 151 a), verosimilmente pervenuta nel Lazio per il tramite greco-orientale.
59 E. Walter-Karydi, Äolische Kunst, in Studien zur griechischen Vasenmalerei, Bern, 1970, fig. 7, p. 16 s. Occorre tenere presente che il motivo delle protomi di grifo disposte a girandola attorno a un ornato fitomorfo centrale non è di per sé automaticamente assumibile come prova di una manifattura greca o, addirittura, «eolica», dell’oggetto, in quanto ricorre anche su pezzi di sicura produzione etrusca, quale ad esempio una placchetta discoidale di osso da Quinto Fiorentino (cfr. La tomba della Montagnola, Mostra fotografica a cura della Soprintendenza alle Antichità d’Etruria, Sesto Fiorentino, 1969, p. 67, con fig.).
60 Dopo quello di Jacobstahl, il più esauriente lavoro d’insieme si deve a O.H. Frey, ZU den «rhodischen» Bronzekannen aus Hallstattgräbern, in MarbWPr, 1963, (1964), pp. 18 s. Per successive aggiunte v. A. Garcia y Bellido, Nuevos jarros de bronce tartessios, in AEsp, 37, 1964, pp. 54 s., figg. 6-11; Idem, Algunas novedades sobre la arquelogía púnico-tartessia, ibidem, 43, 1970, pp. 31 s., figg. 32-34, 36-39; Camporeale, Commerci, cit., p. 108, tavv. 40, 41, 1-3; S. Boucher, Vienne, Bronzes antiques, Paris, 1971, p. 139, n. 258; D. Adamesteanu, Una tomba arcaica da Armento, in AttiMGrecia, n. s. XI-XII, 1970-71, (1972), p. 89, tav. 35; G. F. Lo Porto, Tomba messapica di Ugento, ibidem, pp. 108 s., fig. 8, tav. 45; Nuove scoperte e acquisizioni, cit., p. 52s., nn. 3-4, tavv. 12-13 (da Castro) e p. 187, n. 9 (ivi non riconosciuta; coll. Cima Pesciotti); StEtr 45, 1977, p. 459, tav. 69, b (da una tomba a camera di Vulci); inoltre un ex. inedito dalla tomba Bufolareccia 170 è esposto nel Museo di Cerveteri, mentre due anse di oinochoai di questo tipo sono nel Museo di Chiusi, inv. 2117-2118 (prov. scon.); per la diffusione nelle necropoli medioadriatiche Zanco, op. cit., pp. 29 s., 75 s., tavv. 1-9. Di notevole interesse è una versione fittile di questo tipo di oinochoai rinvenuta nella tomba VII del Circolo delle Fibule di Numana, inedita, esposta nel locale Antiquarium (si tratta di quella descritta come «oinochoe d’imitazione metallica con bocca trilobata e anse a rotelle» in Nuove scoperte di antichità picene, San Severino Marche, 1972, p. 24). D’altra parte, anche sulla produzione vascolare etrusca non mancano suggestioni e influenze greco-orientali, muoventi e dalla metallotecnica e dalla ceramografia: sia nel bucchero sia nella ceramica etrusco-corinzia, specialmente fra i decenni finali del VII e quelli iniziali del VI sec. a.C., tali apporti sono riflessi tanto dalla morfologia di taluni documenti ο serie di fittili quanto dall’assimilazione di elementi decorativi peculiari, quali le rosette di forma discoidale ο gli «occhioni»: su questo problema, già toccato negli ultimi anni da E. De Juliis, in AC, 20, 1968, pp. 45, 53 s., F. Zevi, Nuovi vasi del Pittore della Sfinge Barbuta, in StEtr, 37, 1969, p. 48 s. e G. Camporeale, Buccheri a cilindretto di fabbrica orvietana, Firenze, 1972, pp. 20 s., 68, rimando alle osservazioni che ho esposto nel saggio Per il Pittore di Feoli, in Prospettiva, 11, 1977, pp. 9-10.
61 La raccolta sistematica è di Ulf Jantzen, Griechische Greifenkessel, Berlin, 1955: in particolare, per gli exx. da Perugia e da Tarquinia v., rispettivamente, cat. nn. 58-59, tav. 21 e cat. nn. 126-132, tavv. 43, 2, 44, 45, 1-2 (il n. 126 in seguito riedito da Hencken, op. cit., I, p. 410, fig. 407); probabilmente dall’Etruria provengono anche i tre conservati a Boston, acquistati sul mercato antiquario romano nel 1950, cat. nn. 101-103, tav. 37, poi ripresentati da M. Comstock-C. Vermeule, Greek Etruscan & Roman Bronzes in the Museum of Fine Arts, Boston, 1971, p. 283, n. 407 e in Greek, Etruscan & Roman Art, The Classical Collections of the Museum of Fine Arts, Boston 1972, fig. 32 a p. 41. Per quanto concerne le protomi da Trestina e da Brolio, esse sono state oggetto di una confusione i cui effetti perdurano tuttora: già M. G. Marunti, in StEtr, 27, 1959, p. 66, nota 4 ha rettificato l’errore in cui era incorso Jantzen che, mutuando da Muhlestein, ha scambiato gli esemplari di Trestina con quelli di Brolio, indicandoli tutti come provenienti da quest’ultima località; lo studioso tedesco ha in seguito preso atto di questo emendamento, in AA, 1966, p. 127 s., nota 4, g, ma è ricaduto di nuovo in errore asserendo «aus Brolio stammt nur eine kleinere Protome». In realtà invece le protomi da Trestina sono quattro e corrispondono precisamente a cat. nn. 138-141, tavv. 47 e 48, 1-3, 49, 3 della monografia di Jantzen; quelle da Brolio sono invece tre: l’una è il cat. n. 133, tav. 45, 3-4 della suddetta monografia; la seconda è riprodotta in Dedalo, 2, 1921-1922, fig. a p. 486; la terza, che è replica della precedente, è, per quanto mi consta, fotograficamente inedita. Inoltre né Jantzen né la Marunti si sono accorti che una delle protomi di Trestina è riprodotta graficamente in BPI, s. III, XXV, 1899, p. 68, fig. 2 e da Montelius, op. cit., tav. 251, 4. Gli exx. da Roma sono stati editi pure da U. JANTZEN, Die Greifenprotomen der Sammlung Erbach, in AA, 1966, pp. 123-129 e risultano prossimi a quelli da Perugia a Monaco. Ad un esemplare di recente rinvenimento a Gravisca accenna M. Torelli, in StEtr, 45, 1977, p. 448.
La serie, rispetto ai pezzi raccolti nel lavoro del 1955, si è arricchita di varie unità: molti exX. da Samo sono stati presentati, ancora da U. Jantzen, Greifenprotomen von Samos. Ein Nachtrag, in AM, 73, 1958, pp. 26-48, taw. 28-52, nonché da H. Walter-K. Vierneisel, in AM, 74, 1959, p. 30 s., tav. 70, 3-4, e tav. 68, 2 e da G. Kopcke, in AM, 83, 1968, p. 284 s., nn. 99-100, tav. 113, 2-3; per altri da Mileto v. E. Akurgal, Die Kunst Anatoliens von Homer bis Alexander, Berlin, 1961, figg. 145-146 e G. Heres, Greifenprotomen aus Milet, in Klio, 52, 1970, pp. 149-da Efeso v. A. Bammer, Die Entwicklung des Opferkultes am Altar der Artemis von Ehesos, 149-161; per un nuovo ex. in IstMitt, 23-24, 1973-74, p. 62, tav. 4, fig. 4; per un frammento da Chios v. Boardman, Chios, p. 224 s., n. 390, di provenienza sconosciuta gli exx. editi da D. G. Mitten-S. F. Doeringer, Master Bronzes from the Classi tav. 93; cal World, Mainz, 1967, p. 72 s., nn. 65-67, da Comstock-Vermeule, op. cit., pp. 282, 284, nn. 406, 408, con bibl. in Ancient Art, The Norbert Schimmel Collection, Mainz, 1974, n. 13. Inoltre, per una protome di grifo in che potrebbe provenire da prec. e funzione di coronamento di tripode anziché di calderone, Myrina, v. P. Amandry, in BCH, 96, 1972, p. 7 s., fig. 2. Assai pertinenti le osservazioni di carattere generale di O.W. Muscarella, in Art and Technology, Cambridge (Mass.), 1970, p. 109 s.
62 A titolo esemplificativo ricordo, oltre ai noti vasi Gualandi e Paoiozzi, altri cinerari da loc. Marcianella (R. Bianchi 445 Bandinelli, Clusium, in MonAnt, 30, 1925, figg. 31, 36, cc. 326, nota 1, s.); nella plastica canopica risultano impiegate in funzione di braccia applicate sul contenitore, ad es. nell’inv. 1380 del Museo di Chiusi (lett. raccolta da R. D. Gempeler, Die Etruskischen Kanopen, Einsiedeln, 1974, p. 126 s., n. 117); inoltre, fra i fittili del corredo della tomba della pisside della Pania era compreso «un lebete con sette teste di grifo applicate attorno, movibili» (MonAnt, cit., c. 351; v. anche BullInst, 1874, p. 207 e M. Cristofani, in StEtr, 39, 1971, p. 79). Il motivo delle nella produzione in bronzo, giacché protomi di grifo ricorre, in ambito chiusino, anche viene adottato, in forma sche interna, Firenze, 1974, p.matica, come ansa di vasi (cfr. ad es. Aspetti e problemi dell’Etruria 105, tav. 34, b; GEM 222, nota 264).Peler, op. ci., p. 222, nota 264).
Circa la diffusione che, già nell’orientalizzante, hanno le olle d’impasto con protomi di grifo, mobili ο no, nel terri miei rifer. in Civiltàtorio chiusino, in quello ceretano, nell’agro falisco e in Sabina v. arcaica dei Sabini nella valle del Tevere, Roma, 1973, p. 90, n. 147 e ibidem, III, Roma, 1978 (in stampa).
63 Sulla classe più di recente v. P. Zancani Montuoro, Lekythoi «samie» e bucchero «eolico», in AC, 24, 1972, CVA, 2, commento pp. 372-377, tavv. CXI, 1, CXII; Sukas, 2, p. 86, tav. 20, n. 396; Gela a tav. 39,3, con vari rifer.; CVA, Kassel, 2 (1975), tav. 53, 2-3.
64 Cfr. CVA, Gela, 2, tav. 40, 1 e NSc, 1956, p. 314, 23, fig. 29, i.
65 Cfr. Metzger, op. cit., pp. 52, 57, fig. 5, tav. 19, n. 78.
66 V. al riguardo P. Marconi, in MonAnt, 35, 1933, c. 353 s. e altri rifer. miei in Civiltà arc. Sabini, cit., III, in stampa.
67 Per i fusiformi v. CVA, Gela 2, commento a tav. 39, 1-2 e i rifer. da me addotti; AM, 83, 1968, p. 280, 85, tav. 109, 4 (Samo); Tocra, 2, p. 30, tav. 17, 2058; Walter-Karydi, pp. 18 s., 124, tav. 35, 268 s.; Archeologia nella Sicilia sud-orientale, cit., p. 144, n. 426, tav. 46 (Camarina, tomba 441 della necropoli del Rifriscolaro); CVA, Kassel, 2, tav. 53, 8 (Samo).
Per quelli con peduccio cfr. Tocra, 1, tav. 48, 830, pp. 65, nota 4, 69, con rifer.; adde G. Vallet-F. Villard, Mégara Hyblaea, 2, La céramique archaïque, Paris, 1964, p. 91, tav. 79, 5; H. P. Isler, in NSc, 1968, figg. 3,4, pp. 295, n. 9, 300, con richiamo del tutto privo di pertinenza ad un ex. da Capena (si tratta infatti di un alabastron, desinente a punta, etrusco-corinzio a decorazione lineare): da Selinunte, necropoli di Buffa, tomba 526; AA. VV., Himera, I, cit., p. 117, Ac 298, tav. 26, 2; CVA, Kassel, 2, tav. 54, 1: da Samo, tomba 45.
68 Su questi problemi e sulla necessità di una più adeguata valutazione storica del ruolo di Populonia nei rapporti fra Etruria e mondo greco rinvio alle osservazioni sviluppate nella relazione su Il ripostiglio di Volterra, da me tenuta al V Convegno del Centrο Internazionale di Studi Numismatici (Napoli, aprile 1975: v. ora gli Atti relativi, specialmente pp. 103-104).
69 La tomba è quella corrispondente a NSc, 1917, pp. 81-87; il pezzo in questione non vi è peraltro specificamente descritto. Per la forma si può richiamare, anche se non puntualmente, AM, 83, 1968, p. 280, 82, tav. 109, 1 (con corpo carenato all’attacco con la spalla e labbro più sottile ed espanso) e forse il frammento a p. 280, 86, tav. 109, 5 (Samo).
70 Per il tipo cfr. Clara Rhodos, 3, 1929, p. 60, n. 25, fig. 49, p. 74, n. 10, fig. 65, p. 80, 4, fig. 70 (Jalysos, tombe 33, 45, 46); BSR, 14, 1938, p. 125, n. 7, tav. 18, B, 2 (Selinunte, tomba 27); Mél, 67, 1955, pp. 22, 24, tavv. VIII, fig. Β, X, fig. 4 (Megara Hyblaea, tombe 941 e 660); NSc, 1956, p. 303, 2, fig. 20 (Gela).
71 Circa le difficoltà oggettive ad operare fondate distinzioni su questo materiale v. da ultimo anche J. Hayes, in Tocra, 2, p. 28, nota 1. Ho qui di seguito raccolto, senza presunzione di completezza, un certo numero di questi exx., indicativo della quantità e della diffusione areale:
Cerveteri: MonAnt, 42, 1955, c. 240, 9-10, tav. agg. F, forma 123 (tomba 8 del Tumulo II); ibidem, c. 327, 11 (tomba dei Dolii) e c. 1062, 9 (tomba dei Leoni Dipinti); MAV, V, tav. 19, n. 95, p. 106 (Laghetto tomba 78, camera centrale) e tav. 45, foto in basso, I da d. (Laghetto, tomba 337); da Monte Abatone, inediti, nel Magazzino degli scavi di Cerveteri: un ex. dalla camera principale della tomba 23, uno in due frammenti dalla tomba 223, sei — di cui uno con tracce di decoraz. dipinta — dalla tomba 234; un ex. dalla tomba 365 Laghetto, camera centrale, nel Museo di Cerveteri, inedito.
S. Giovenale: E. and K. Berggren, S. Giovenale, I, 5, Stockholm, 1972, tav. 32, n. 17, p. 66 (Porzarago, tomba 9); P. G. Gierow, S. Giovenale, I, 8, Lund, 1969, p. 37, n. 25, fig. 22 (Valle Vesca, tomba 2).
Tarquinia: NSc, 1930, p. 175, n. 6, fig. 55 (necropoli dei Monterozzi, tomba 57).
Vulci: Gsell, p. 126, n. 24 (tomba LII); NSc, 1896, p. 288 (tomba C, acq. Pala 1895, nel Museo A teclogico di Firenze, inv. 76165); NSc, 1921, p. 347, 1; Beazley-Magi, p. 151, n. 88, tav. 46; MAY, II, p. 11, n. 189 (tomba 124); MAY, III, p. 12, n. 155 (tomba 21); Vulci, Zona dell’«Osteria», Scavi della «Hercle», Roma s.d., p. 29, nn. 15-16 (tomba 11/1962); CYA, Mannheim, 1 (1958), tav. 38, 6-7 = AA, 1890, p. 151 (tomba a fossa; acq. 1880); CVA, Gotha, 1 (1960), tav. 15,2 a-b (trovati «in einem Kistengrab des 6. Jh. zu Vulci. Gekauft durch Helbig In Rom 1884»); G. Riccioni-M. T. Falconi Amorelli, La tomba della Panatenaica di Vulci, Roma, 1968, p. 60, n.76, fig. a p. 54; StEtr, 39, 1971, p. 200, n. 27, tav. 44, b; dalla necropoli dell’Osteria, tombe 8 (1 ex.), 13 (1 ex.) e 43 (2 exx.), inediti, nel Museo di Vulci.
Pescia Romana: Museo Archeologico di Firenze, inv. 71194, acq. 26-8-1880.
Orvieto: A. Cozza-A. Pasqui, in NSc, 1887, p. 352, r, tav. 12, fig. 32;= Montelius,, op. cit., c. 1017, tav. 242, 2 (con otto incisioni parallele) = B. Klakowicz, La necropoli anulare di Orvieto, I, Crocifisso del Tufo-Le Conce, Roma, 1972, p. 33, tav. 7, n. 32=Eadem, Il Museo Civico Archeologico di Orvieto, Roma, 1972, tav. 3, n. 32, p. 240 (tomba 1 di Crocifisso del Tufo, predio della prioria di S. Giovenale, scavi 1884-1885); è dubbio se tutti gli exx. siano di imitazione ο meno, in quanto Cozza e Pasqui riferiscono di «cinque alabastra di bucchero, taluno dei quali porta a metà qualche solco tornito».
Chiusi: NSc, 1938, p. 121, fig. 1, e (da tomba in loc. Le Macchie, propr. Paolozzi); CVA, British Museum, 7, IV Ba, tav. 4, 20 (acq. 1852); G. Pellegrini, Catalogo dei vasi antichi dipinti delle collezioni Palagi ed Universitaria, Bologna, 1900, p. 14, nn. 107-109 (acq. Mazzetti); CVA, Sèvres, tav. 29, 9 (acq. 1856): anche in questo caso potrebbe trattarsi di un’importazione, in quanto è descritto avere «sur la panse, quelques filets incisés».
Pienza, loc. Fattoria del Borghetto: StEtr, 33, 1965, p. 451, nn. 262-265, fig. 13 a.
Casaglia (ager volaterranus): NSc, 1934, p. 35, 5 (da tomba a camera in voc. Cerreta).
Quinto Florentine: Arte Antica e Moderna, 5, 1962, p. 60, fig. 13 a = La tomba della Montagnola, Sesto Fiorentino, 1969, pp. 85 s., nn. 33-35 =Aspetti e problemi dell’Etruria interna, Firenze, 1974, pp. 30, 61, n. 11, tav. 5 a-c (sicuramente di imitazione).
Nepi: Museo di Villa Giulia, inv. 8355 (dalla necropoli di tenuta Penteriani, loc. S. Paolo, tomba a camera 2). Satrico: CVA, Villa Giulia, 2, IV Β 1, tav. 6, 2 (dalla stipe votiva più antica del tempio della «Mater Matuta»).
Originis incertae: Mingazzini, I, p. 65 s., nn. 224-230; Museo di Perugia, inv. 544; CVA, Compiègne, tav. 21, n. 22 («prov. d’un tombeau étrusque!?)»); CVA, Bruxelles, 2, IVB, tav. 3, nn. 7, 9, con anelli a rilievo sotto l’imboccatura (certamente di imitazione); Finarte, Asta di oggetti archeologici, Milano, 1970, tav. 3, n. 13 (l’imboccatura ha subito un restauro errato).
72 Cito a titolo esemplificativo AJA, 62, 1958, p. 264, tavv. 66, fig. 27, 6-7, 9-10, 67, fig. 26 a e fig. 29, 1-2 (Siracusa, necropoli del Fusco, tombe 440, 488, 495); Vallet-Villard, op. cit., p. 91, tav. 79, 6; ASAtene, 37-38, 1959-60, p. 64, 5, fig. 32, e (Taranto); BSR, 14, 1938, p. 124 s., 6, tav. 18, Β, 1 (Selinunte, tomba 27); Himera, I, cit., p. 117, tav. 26, 1, 3, 5; Archeologia Sicilia sud-orient., cit., p. 92, tav. 24, 312-314 (Siracusa, tomba 19).
73 Cerveteri: dalla tomba 120 di Monte Abatone, nel Museo di Cerveteri, inedito.
Vulci: Vulci, Zona dell’«Osteria», Scavi della «Hercle», Roma s.d., p. 22, n. 19, fig. 6: tomba 10; un ex. fusiforme con ingubbiatura color crema sulla quale sono dipinti filetti in rosso e nero, dalla Tomba del Pittore della Sfinge Barbuta (Osteria, scavo 1968), inedito, nel Museo di Villa Giulia (per la tecnica decorativa cfr. l’ex. Albizzati, n. 260,cit. infra).
Chiusi (?): CVA, Bruxelles, 3, III C b et IV B, tav. 2, 19.
Populonia: NSc, 1934, p. 394, fig. 51: dal Poggio della Porcareccia, tomba a camera 1/1933.
Originis incertae, ma presumibilmente dall’Etruria: Albizzati, p. 90, tav. 25, nn. 259-260.
Per altri di provenienza ignota v. J. Sieveking-R. Hackl, Die Kônigliche Vasensammlung zu München, I, MUnchen, 1912, p. 55, nn. 551-553, figg. 67-68; Hampe und MIT., op. cit., p. 39s., n. 66, tav. 43.
74 Cfr. AJA, 62, 1958, p. 264, tav. 64, fig. 22 (Fusco, tomba 30).
75 Vedi Beazley-Magi, p. 18, tav. 1, 9, con lista; Mingazzini, I, p. 191, n. 429 A, tav. 36, 6. A questi due Gjerstad, op. cit., III, fig. 237, 20, pp. 366, 374 e IV, p. 565 e nota 21, ha accostato un ex. da Roma (pozzo arcaico vicino al tempio di Vesta).
76 Per quest’ultima ipotesi v. in particolare J. Hayes, in Tocra, 1, pp. 66, 152 e J. Boardman, in Tocra, 2, p. 75.
77 Cfr. infatti K. F. Kinch, Fouilles de Vroulia, Berlin, 1914, tav. 34, 1, 3, a-b (tomba 1), c. 60, n. 19 (tomba 2), c. 80, n. 15 (tomba 20) e cc. 46, 56, con rifer. a due altri dall’acropoli di Lindos e a due da Kamiros al Louvre; CVA, Copenhagen, 2, tav. 80, 9 (da Rodi); CVA, Bibliothèque Nationale, 2, tav. 93, 1, 3. Uno è noto altresi da Tocra (cfr. Tocra, 2, p. 154, n. 57, tav. 101) e uno, al British Museum, è di asserita provenienza puteolana (cfr. R.A. Higgins, Catalogue of the Terracottas in the Department of Greek and Roman Antiquities, British Museum, II, London, 1959, p. 12 s., n. 1604, tav. 2); di prov. scon, è l’ex. in CVA, Varsovie, Musée National, 2, tav. 42, 1-2.
78 Benché comuni in altre zone, in Etruria sono infatti pochissimi i vasi a Sirena; oltre a questo (v. Appendice II, p. 206, n. 17), ne conosco uno da Populonia (v. Appendice II, p. 210, n. 79). Si può ricordare poi un ex. framm. da Roma (S. Omobono) edito da Gjerstad, op. cit., III, pp. 448, 461, fig. 279, 13-19 e IV, fig. 162, a e da E. Paribeni, in BullCom, 77, 1959-60, (1962), p. 111, 3, tav. 1, 3, il quale ha voluto peraltro riconoscervi un tipo corinzio, di produzione forse tarantina. Resta infine da segnalare, come ho fatto in altra sede (Civiltà arcaica Sabini, III, cit.), la notizia dell’attestazione di «un vasetto che ha forma d’una Sirena col modio sul capo: come già s’è veduto, ma rarissimamente» in zona sabina, ossia a Poggio Sommavilla, fornitaci da A. M. Fossati, in BullInst, 1837, p. 66, benché l’individuazione esatta del tipo risulti impossibile.
79 Ducat, p. 135, 7, ora ripubblicato in CVA, Kassel, 2, tav. 53, 4-5, fig. 7.
80 E. Paribeni, in Aspetti e probl. Etruria int., cit., p. 131.
81 Ne è noto un solo altro ex., dalla tomba 200 di Jalysos (Ducat, p. 150, 1, con bibl. prec., cui va però aggiunto CVA, Rodi, 2, II D o, tav. 2, 5).
82 Sui quali più di recente CVA Gela 2, commente a tav. 33, 5-6, con rifer.; Metzger, op. cit., p. 78, tav. 30, n. 137 e p. 80, tav. 32, n. 148.
83 Sul tipo in generale v. CVA, Rodi 2, II D o, tav. 1, 3 (t. 93 di Jalysos); Bd’A, 45, 1960, fig. 22, 3 (Catania); Ducat, p. 67; Tocra, 1, p. 154, tav. 10, 48-49, con rifer.; Higgins, Greek Terracottas, cit. infra, tav. 14, B, p. 36.
84 Bd’A, 45, 1960, fig. 22, n. 12.
85 Ibidem, fig. 16 a, fila mediana, I da s.; Ducat, p. 149 lo definisce il «seul exemplaire» in versione dipinta: v. invece l’ex. citato a nota successiva.
86 MonAnt, 46, 1963, c. 67 s., tav. 27 a-b (riconosciuto come corinzio dipendente da tipi ionici).
87 Nel Museo Archeologico di Tarquinia, inv. RC 5284. Inedito, ma menzionato da M. Pallottino, in MonAnt, 36, 1937, c. 214, nota 6; P. Romanelli, Tarquinia. La necropoli e il Museo, Roma, 1951, p. 39; G. Camporeale, in AC, 25-26, 1973-74, p. 106, nota 6.
88 Maximova, op. cit., p. 91, nota 3; Ducat, pp. 137 s., gruppo C. All’elenco di Ducat mi sembra utile apportare le seguenti precisazioni: il n. 2 proviene dalla tomba 80 della necropoli di contrada Penna a Falerii; il n. 4, da lui indicato come «D’Italie (collection Campana)», risulta da Pottier, op. cit., I, tav. 39, Ε 333, p. 48, trovato a Cerveteri e entrato al Louvre nel 1863, inv. Campana 351; il n. 5, di cui non è fornita provenienza, apparteneva invece alla collezione Candelori, come si ricava da Sieveking-Hackl, op. cit., fig. 86, p. 86, n. 770, e quindi viene da Vulci.
89 NSc, 1934, p. 373, fig. 26, 4.
90 Nel Museo Archeologico di Grosseto, inv. 24097; rinvenuta fortuitamente nel corso di lavori agricoli, è stata donata da M. Vergari. La sommità è arrotondata e sul bordo del bocchello è allineata una sequenza di punti.
91 NSc, 1886, p. 311, n. 26. È conservato nel Museo Archeologico di Firenze, inv. 73370 (scavi Brenciaglia e Paolozzi 1885).
92 Ibidem, p. 311, n. 7 (cerbiatto), n. 8 (porcospino), n. 27 (gamba). Gli ultimi due pezzi sono altresì citati dalla Maximova, op. cit., rispettivamente a p. 102, nota 2 e a p. 91, nota 3, come provenienti «de Vicence».
93 Più di recente riprodotte dalla Strom, op. cit., fig. 100, a-b.
94 In La civiltà arcaica di Vulci..., cit., tav. VI, d, p. 20 s. Ma v. già Eadem, in Antike Plastik IV, 1965, p. 16, nota 27.
95 Come già aveva riconosciuto la Maximova, op. cit., tav. 29, 109 a-b, pp. 136, 170 e come ha ribadito con altri argomenti chi scrive nell’intervento alla predetta comunicazione della Haynes, nello stesso volume di Atti, pp. 88-89.
96 Quest’altro argomento, invocato dalla Haynes come prova della destinazione votiva ο decorativa, piuttosto che funzionale, e della «etruschicità» dei pezzi, oltre a essere intrinsecamente fragile e tautologico, è per di più categoricamente smentito dall’evidenza archeologica. Infatti perfino su un alabastron in bucchero «ionico» rinvenuto in Sicilia, dunque in un’area geografica e culturale in cui le velleità di «rivendicazioni» etrusche hanno ancora minore fondamento, è inconfutabilmente documentato un rivestimento in lamina probabilmente argentea, in ogni caso metallica: si veda al riguardo l’esemplare dalla tomba 19, scavo 1968 (nell’area a sud del viale P. Orsi, presso l’Anfiteatro) di Siracusa, presentato da L. Bernabo’brea, in Archeol. Sicilia sud-orient., cit., p. 91 s., n. 311, tav. 24 («Alla superficie del vaso dovevano essere state applicate delle sottilissime lamine probabilmente di argento che formavano motivi geometrici, lasciando risparmiate zone nelle quali restava in vista la superficie bruna dell’impasto»).
97 Come si è già notato per le coppe ioniche, così anche per i lydia non sempre è possibile pervenire ad una classificazione precisa dei pezzi editi né distinguere gli importati dagli imitati, a causa della scarsa leggibilità delle riproduzioni ο della sommarietà delle descrizioni. Si vedano, ad es., i segg.: da Cerveteri: MonAnt, 42, 1955, c. 761, 8-9, (tomba 281) e c. 836, 34, tav. agg. B, 18; NSc, 1955, p. 57, 26, fig. 13 e p. 90, 32-33, fig. 49 (tombe 4 e 14/1951 Banditaccia); MAV, V, tav. 11, 3, p. 20 e p. 34, 6-7 (tt. 83 e 178 Bufolareccia), tav. 1, 6, p. 87, tav. 38, 11, p. 117 e tav. 44, 5-6, p. 217 (tombe 57, 159 e 324, Laghetto); Lerici, op. cit., fig. in alto a p. 361, fila in basso e fig. al centro a p. 356, III da s. (tombe 334 e 102 di Monte Abatone); dal territorio castronovano: O. Toti, Allumiere e il suo territorio, Roma, 1967, p. 38, inv. 101 = Hommages à Marcel Renard, III, Bruxelles, 1969, p. 573 (tomba VII del Colle di Mezzo); ibidem, p. 576, tav. 213, fig. 20 (t. 20); Civitavecchia. Pagine di storia e di archeologia, Bollettino d’informazioni dell’associazione archeologica «Centumcellae», III, 1961, p. 83 (dromos della t. 20 della necropoli de «La Scaglia»); da Vulci: MAV, II, p. 25, 480, tomba 146 Osteria; p. 26, 504-505, tomba 148 Osteria (il corredo di questa tomba, nel frattempo «emigrato» in Olanda, è ultimamente ricomparso in AA.VV., De Etrusken. Inleiding tot de verzameling Etruskische oudheden in het Rijksmuseum van Oudheden te Leiden, ‘s Gravenhage, 1977, p. 30 s., fig. 19); A. Mazzolai, Comme di Grosseto, Museo Civico, Mostra archeologica, Grosseto 1958, tav. 18, fig. 1, II da s.; da Orvieto: NSc, 1880, p. 446, tav. 16, 7 (da una tomba di Crocifisso del Tufo, predio R. Mancini). Imitazioni realizzate in ambito etrusco-meridionale e smistate nella Sabina tiberina sono sicuramente due lydia dalle tombe 1 e 7 della necropoli di Colle del Forno (Civiltà arcaica Sabini, I, cit., pp. 45, n. 3, tav. 4c e 61, n. 70), come ho indicato ibidem, III, cit.
98 Sui quali più di recente v. F. Canciani, in AA, 1963, c. 669 s., con rifer.; CVA, Miinchen, 6, tav. 303, 3; C. H. Greenewalt, Lydian Vases from Western Asia Minor, in CalifStCA, 1,1968, p. 148, nota 16. La stessa tecnica decorativa ricorre su altre forme, quali lekythoi (cfr. G. M. A. Richter, Metropolitan Museum of Art, Handbook of the Greek Collection, Cambridge (Mass.), 1953, p. 44, tav. 32 a: da Sardi), piatti su piede (cfr. CVA, Berlin, 4, tav. 165, 7-8: «angeblich zwischen Smyrna und Sardes gefunden»), oinochoai e kantharoi (Greenewalt, art. cit., pp. 141, 153, taw. 1, 3); per un frammento di piatto (?) dall’Heraion di Samos v. inoltre Walter-Karydi, pp. 88, 148, tav. 126, 1041.
99 L’uno, dalla tomba 233 Laghetto, è riprodotto in MAV, V, p. 197, tav. 20, 4; per quello della Tomba dei Vasi Greci v. MonAnt, 42, 1955, c. 283, 83, fig. 37, 2 e Helbig, Führer4, p. 577, n. 2614.
100 Da Cerveteri: MonAnt, cit., c. 591, 1 (tomba 144); MAV, V, p. 116, 2-5, tav. 35 e p. 206, 2-3, tav. 30 (tombe 158 e 263 Laghetto); da Orvieto: G. Camporeale, La collezione Alla Querce, Firenze, 1970, p. 22, 5, tav. 1, c. Per il tipo cfr. Greenewalt, art. cit., p. 146, tav. 2, 3; CVA, Varsovie, 6, tav. 1, 1.
101 Su questo tipo da ultimo CVA, Gela, 2, commento a tav. 37, con vari rifer.; CVA, Musée Archeologique de Barcelone, 1, tav. 1, 10 (Ampurias); CVA, Kassel, 2, tav. 55, 8 (Samo); CVA, Würzburg, 1, tav. 21, 4-5 (Olbia); Walter-Karydi, pp. 32, 131, tav. 60, 501; AM, 91, 1976, p. 40, 7, tav. 7, 2 (Atene, Ceramico).
102 Ad es., da Cerveteri: MonAnt, 42, 1955, c. 573, 26-27 (tomba 133); Nuove scoperte e acquisizioni, cit., p. 8, n. 6 (tomba a camera della Banditaccia, scavo 1970); 1 ex., inedito, dalla tomba 23 di Monte Abatone, camera principale, nel Magazzino degli scavi di Cerveteri; dal territorio castronovano: 1 ex. dalla tomba 12 di Castellina di Ferrone, nel Museo di Tolfa, inv. 466 e un altro, sporadico, dalla medesima necropoli; da Tarquinia: vari exx. nel Magazzino del Museo; da Vulci: Vulci, Zona dell’«Osteria», Scavi della «Hercle», Roma s.d., p. 11, 3-4 (tomba 1); da Orvieto: 1 ex. nel Museo Faina, inv. 551, citato da Camporeale, Querce, cit., p. 22, n. 4; StEtr, 34, 1966, tav. 17, a, p. 67, n. 858: dalla tomba 38 di Crocifisso del Tufo; Museo Archeologico di Firenze, inv. 71034 (acromo), inedito: da Pescia Romana, acq. 26-7-1880; Museo Arch. di Firenze, inv. 20406 e 20505 (in argilla chiarissima), inediti: da Falerii, acq. Benedetti 1901. Sono verosimilmente riconoscibili come imitazioni anche taluni esemplari formanti una serie morfologicamente distinta (per il tipo cfr. Sieveking-Hackl, op. cit., tav. 19, 544-545; Antike Kunst aus Privatbesitz Bern-Biel-Solothurn in der Zentralbibliothek Solothurn 21. Oktober bis 3. Dezember 1967, p. 31, n. 96, tav. 9), caratterizzati da collo più alto, corpo più compresso nella parte superiore e più allungato e sfinato inferiormente, peduccio a disco, ricoperti da vernice rossastra ο bruno-nerastra, a volte decorati sulla spalla da tremoli Ο meandro spezzato: da Cerveteri: MonAnt, 42, 1955, c. 461, 24, tav. agg. B, forma 21 e Helbig, Fiihrer4, III, p. 566, 2601 (tomba 58); NSc, 1955, p. 75, 5, fig. 36 (tomba 10/1955); MAV, V, p. 118, tav. 39, 8 (tomba 160 Laghetto); 1 ex. dalla tomba III Maroi, inedito, nel Museo di Villa Giulia; Nuove scoperte e acquisizioni, cit., p. 26, n. 57 (da una tomba in loc. Cavetta della Pozzolana/scavo 1974, camera laterale s.); 1 ex. da Piano della Conserva, inedito, nel Museo di Tolfa; 1 ex. da Bisenzio, Palazzetta (acq. Brenciaglia e Paolozzi 1887), nel Museo Archeologico di Firenze, inv. 73344, inedito (fig. 48).
103 Cerveteri: NSc, 1955, p. 90, 34-35, fig. 49 e p. 94, 7-9, fig. 52 (Banditaccia, tombe 14 e 16/1951); MonAnt, 42, 1955, c. 534, 10, tav. agg. B, forma 20 (tomba 105), cc. 591, 5 e 594, 41 (tomba 144), c. 764, 20-22 (sporadici), c. 771, 37 (tomba 285; ex. miniaturistico), c. 1131, 58 (tumulo XI); MAV, V, p. 117, 12-13, tav. 38 (t. 159 Laghetto), p. 186, 7, tav. 6 (t. 202), p. 203, 4, tav. 27 (t. 253), p. 206, 4, tav. 30 (t. 263), p. 207, 1 (t. 267), p. 218, 2, tav. 46 (t. 327), p. 218, 2 (t. 328); sette exx. dalla tomba 43 Bufolareccia, nel Magazzino degli scavi di Cerveteri, inediti (alcuni sono parzialmente visibili in una foto d’insieme riprodotta da C. M. Lerici, Nuove testimonianze dell’arte e della civiltà etrusca, Milano, 1960, a p. 51); tre exx., inediti, dalla tomba 23 di Monte Abatone, camera principale, nel Magazzino suddetto.
Territorio castronovano: un ex. dalla tomba 1 di Pian dei Santi e uno, miniaturistico, dalla tomba 1 della necropoli del Capannone, inediti, nel Museo di Tolfa.
Vulci: Gsell, pp. 103,12-14, 161, 9, 479, tav. suppl. A-B, forma 28 (tombe 45 e 69, camera B); MAV, II, p. 7, 74-75, tomba 115, p. 16, 292-294, tomba 130, p. 33, 675-676, tomba 180.
Castro: un ex. dalla tomba 67/1967, uno donato da T. Lotti (inv. 72947), due di rinvenimento sporadico (inv. 72761-72761 bis), inediti, nell’Antiquarium di Ischia di Castro.
Originis incertae, ma presumibilmente dall’Etruria: Museo Archeologico di Firenze, inv. 3700, inedito (fig. 47).
Roma: Gjerstad, op. cit., III, p. 149, fig. 99, 2 (dal Quirinale, deposito votivo di S. Maria della Vittoria) e p. 230, fig. 142, 2 (deposito votivo del Comizio).
Satrico: un ex., miniaturistico, dalla stipe del tempio di Mater Matuta, nel Museo di Villa Giulia.
104 Sulla classe più di recente v. CVA, Gela, 2, IID, pp. 4-5, commento a tav. 34, con rifer.; Metzger, op. cit., pp. 47, 54, tav. 51; CVA, Varsovie, 6, tav. 1, 6 (prov. scon.).
105 Per quelli ad anello cfr. Histria, II, cit., tav. 74, I, 1, p. 172 s., con rifer.; CVA, Miinchen, 6, tav. 303, 6, con altri cfr.; Sparkes-Talcott, op. cit., pp. 210, 358, tav. 80, 1725; CVA, Varsovie, 6, tav. 1, 2. Per il tipo a corpo emisferico cfr. Boehlau, tav. 8, 18; CVA, Oxford, 2, IID, tav. 1, 23; Bernabo’brea-Cavalier, op. cit., I, Palermo, 1960, p. 137, 6; NSc, 1968, p. 270, fig. 34 (Palermo, sarcofago 75 a).
106 Bernabo’brea-Cavalier, op. cit., II, p. 215, tavv. 55, fig. 1, I da s. e 58, fig. 10, b (tomba 265); Boehlau, tav. 6, 3; Clara Rhodos, 4, 1931, p. 135, 1, fig. 131; CVA, Gela, 2, tav. 38, 3, con rifer.
107 Sulla serie, già ritenuta laconica e successivamente, anche in base alla zona di irradiazione (Kamiros, Samo, Delos, Xanthos, Sardi, Egina, Siracusa, Gela, Cuma, Marsiglia, oltre che l’Etruria), riconosciuta come greco-orientale v. Boehlau, tav. 6, 9 (= CVA, Kassel, 2, tav. 55, 4); Perachora, II, cit., pp. 383, nota 1, in fine, 539 s.; Tocra, 1, pp. 46, 57, con rifer., tav. 39, 766-768; Metzger, op. cit., pp. 33, 38 s., tav. 5, 37-38.
108 Sul tipo cfr. Boehlau, pp. 41, 143, tav. 7, 2 (= CVA, Kassel, 2, tav. 55, 9): da Samo, tomba 28; Perachora, II, cit., p. 375, tav. 156, 4062; Hampe und MIT., op. cit., p. 40 s., tav. 43, 67 (prov. scon.). Un ex. inedito, nel Museo di Torcello, è menzionato da A. Giuliano, in NSc, 1955, p. 98, sub n. 6. Per una variante a fondo appuntito, da Tebe, v. pure CVA, Gotha, 1, tav. 5, 3 (già coll. A. Margaritis, poi comprato da H. Helbing nel 1897).
109 Cfr. Vallet-Villard, op. cit., tav. 204, 9, p. 183 (prod. loc.) e nota 5, con rifer. sul tipo in generale; MonAnt, 17, 1906, c. 448, fig. 320 (tomba 7 del predio Romano in. contrada Palazzi-Capo Soprano); Bernabo’brea-Cavalier, op. cit., I, p. 138, 11, tav. 36, fig. 2 e II, pp. 89, 141 (tomba 405), 215, tavv. 55, fig. 1, I da d. = 58, fig. 10, a (tomba 265), 51, fig. 3, d (tomba 400); A.A. VV., Himera, I, cit., p. 329, H 63. 8401, tav. 77, fig. 3 (tomba NS-B); Kokalos, 18-19, 1972-73, tav. 12, fig. 3; NSc, 1968, p. 258, fig. 21 e 1969, pp. 291, g, fig. 20, f, 293, o, fig. 21, g-h, 310, c, fig. 6, a, 313, b, fig. 15, e (= Kokalos, cit., tavv. 110, fig. 2 b, 111, figg. 1, 2 b, 112, fig. 3).
110 Cfr. Kinch, op. cit., c. 154, tav. 26, 1, 5; Clara Rhodos, 3, 1929, pp. 164, fig. 156, 193, 8, fig. 186 e 246, 2, tav.
3; ibidem, 4, 1931, pp. 149, 4, fig. 149, 272, 1, fig. 302.
Di prov. scon, è l’ex. Sieveking-Hackl, op. cit., p. 49, tav. 19, 478.
111 Gli scavi sono stati diretti dalla dott. A. E. Feruglio, Soprintendente all’Archeologia dell’Umbria, che ringrazio vivamente per avermi consentito di esaminare da vicino questo importante reperto.
112 Cfr. Das Tier in der Antike, cit., p. 34, tav. 32, 197a-b.
113 AM, 83, 1968, p. 262 s., n. 36, fig. 12, tav. 100, 1-2.
114 Mingazzini, I, p. 165 s., n. 408, tav. 34, 1-3.
115 E. Paribeni, in Lavinium, II, cit., p. 394, G 40, fig. 485.
116 Oltre ai cfr. ivi addotti, v. specialmente B. D’Agostino, in NSc, 1968, pp. 101 s., fig. 18 e F. Canciani, CVA, Tarquinia, 3, testo a tav. 26, 5-8, 10, ai quali si deve l’esame più esauriente di questo tipo di bottiglie; adde Archaeological Reports for 1976-77, fig. 28 a p. 62 (da Gioia Tauro) e un inedito esemplare da Striano (valle del Sarno) nel Museo Archeologico di Firenze, inv. 84253.
117 Cfr. più recentemente Boardman, Emporio, p. 144 s., 592-596, fig. 93, tav. 51, con rifer.; Tocra, 1, tav.-49, 848-852, pp. 66s., 70, con altri rifer. e Tocra, 2, pp. 29, 33 s., 2074-75, fig. 13, tav. 18; Sukas, 2, p. 70 s., 320-321, tav. 16; CVA, Mainz, Rôm.-Germ. Zentralmuseum, 1, tav. 26, 4.
Per le redazioni attiche del tipo cfr. Sparkes-Talcott, op. cit., pp. 78, 254, nn. 255 s., tav. 12, fig. 3; CVA, Varsovie, 6, tav. 1, nn. 3, 5; CVA, Mainz, cit., tav. 36, 8, con rifer.
118 Per le anfore, ad es., v. MAV, V, p. 220, tav. 50, 1; Cerveteri, tomba 350 Laghetto; MAV, II, p. 6, n. 36, tomba 112 (Vulci, Osteria); sei exx. nel Magazzino del Museo di Tarquinia; Museo Archeologico di Firenze, inv. 77551: da Orvieto, Crocifisso del Tufo, acq. Mancini 1897-98; Museo Archeologico di Firenze, collezione Vagnonville, n. 564.
119 G. Camporeale, Un gruppo orvietano di lekythoi globulari e ovaleggianti, in AC, 21, 1969, pp. 262-269.
120 Vi aveva già accennato M. Bizzarri, in StEtr, 30, 1962, p. 68; lo ha affermato in termini più precisi F. Canciani, CVA, Tarquinia, 3, p. 36, testo a tav. 27, 2.
121 Cfr., ad es., Clara Rhodos, 4, 1931, p. 305, 3, fig. 342 (Macrì Langoni, t. 176); CVA, Copenhagen, 2, tav. 79, 5 (Rodi); G. Körte-A. Körte, Gordion, Berlin, 1904, p. 118, fig. 97, b; AEsp, 34, 1961, pp. 35 ss„ figg. 2, n. 4, 5, n. 3 (Ullastret); CVA, Musée Archéologique.de Barcelone, 1, tav. 1, 7 (Ampurias); Histria, II, cit., p. 230, tav. 83, m 2, 1 e p. 232, tav. 84, b; Tocra, 1, pp. 66, 70, 839-842, tav. 48.
122 Per Bisenzio v. G. Colonna, m StEtr, 42, 1974, p. 20, tav. I, a (da loc. Olmo Bello). Per Vulci v. un ex. inedito dalla camera Β della «tomba a camera Osteria, 1973» (così indicata nella didascalia esposta) nel Museo di Vulci, inv. 75905. Per il territorio castronovano v. exx. inediti nel Museo di Tolfa: l’uno dalla tomba 9 di Piano della Conserva, l’altro dalla tomba 2 della necropoli di Pian de’Santi. Per Tarquinia v. CVA, Tarquinia, 3, tav. 27, 2, 3, 4; è altresì da tener presente che i nn. 12-13 dell’elenco Camporeale provengono da Tuscania. Per Satricum V. ex. inedito nel Museo di Villa Giulia.
123 Da Teano risulta provenire infatti l’ex. edito da E. Langlotz, Martin von Wagner Museum der Universität Wiirzburg, Griechische Vasen, München, 1932, p. 132, tav. 224, 731 = Führer Würzburg, p. 262, L 731.
124 Ad esso sono invece da connettere altri exx., sfuggiti a Camporeale, da Chiusi (uno pubblicato da Albizzati, p. 9, tav. 3, n. 32 (dono Paolozzi), un altro inedito nel Museo di Chiusi, inv. P(aolozzi) 539), da Colfiorito (ex. inedito nel Magazzino del Museo di Perugia, cortesemente mostratomi dalla dr. Anna E. Feruglio), da S. Martino in Gattara (AttiMemBologna, 20,1969, p. 92, fig. 2: tomba 15). Ha invece prov. scon. un ex. inedito nel Museo Gregoriano Etrusco, inv. 16306.
125 Vedi Kinch, op. cit., c. 72, tav. 39, 11, 6; Clara Rhodos, 6-7, 1932-33, p. 21, 5, fig. 12 (tomba 3 di Papatislures); NSc, 1954, p. 98, 6, fig. 23, 1 (Megara H., tomba H).
126 G. Colonna, in AC, 13, 1961, p. 18 s.
127 Idem, in StEtr, 29, 1961, p. 52 s.; ma v. anche qui p. 170, nota 60.
128 Art. cit., p. 64.
129 Come ha fatto invece recentemente C. Tronchetti, Contribute al problema delle rotte commerciali arcaiche, in Dialog hi di Archeologia, 7, 1973, pp. 5 s.
130 E. Kunze, Jonische Kleinmeister, in AM, 59, 1934, pp. 81 s., specialmente 101 s., fig. 8, 1-2; Walter-Karydi, pp. 24, 128, nn. 419, 447, tavv. 13, 46, 52.
131 Beazley, ARV2, pp. 1529, 1697 e Idem, Paralipomena, Oxford, 1971, p. 501; Walter-Karydi, pp. 30 s., 130 s., nn. 478-486, tavv. 55-57.
Dei tre da Chiusi, quello già collezione Vagnonville 26, del Museo Archeologico di Firenze (fig. 56), è stato recentemente sottoposto ad un restauro che lo ha liberato di varie aggiunte non pertinenti e dei ritocchi eseguiti dai restauratori chiusini ottocenteschi, di cui è ormai ben documentata la manipolazione sistematica delle opere di rinvenimento locale. Gli altri due, ossia Berlino F 4012 e 4013, scoperti nel 1846 nel corso di scavi di A. François (v. al riguardo Furtwängler, op. cit., p. 1017, 4012-4013), risultano, anche dalle fotografie pubblicate dalla Walter-Karydi, tav. 57, 482-483, avere pure subito ampie reintegrazioni arbitrarie (ivi compreso lo stesso tipo di piede, non pertinente, su cui era montato l’ex. Vagnonville) che ne alterano sensibilmente l’aspetto e ne hanno fatto dei «pastiches».
132 M. G. Costagli Marzi, in Prospettiva, 3, 1975, pp. 45-48, figg. 1-7.
133 In Prospettiva, 5, pp. 52-53; alle figg. 2-3 è riprodotto il kantharos Vagnonville 26 prima e dopo il restauro.
134 Cfr., ad es., AA, 1974, p. 217, fig. 29.
135 M. Guarducci, Epigrafia greca, I, Roma, 1967, p. 259.
136 R. M. Cook, Fikellura pottery, in BSA, 34, 1933-34, p. 37, 4 e Idem, CVA, British Museum, 8, p. 3, R 4. Per il frammento di Bonn v. anche A. Greifenhagen, in AA, 1936, c. 380 s., n. 30, fig. 31 (con la precisazione che non appartiene allo stesso vaso di quello di Monaco, benché la decorazione sia simile) e Walter-Karydi, pp. 2, 115, tav. 2, 17 (che lo inserisce fra le «Kannen», mentre Cook e Greifenhagen lo reputano pertinente ad un’anfora).
137 Montelius, op. cit., tav. 299, 1 a-b; M. Pallottino, Un’anfora del tipo di Fikellura nel Museo Tarquiniese, in Bd’A, 1932-33, pp. 504-508, con altra bibl. e Idem, in MonAnt, 36, 1937, c. 267; Enciclopedia dell’arte antica, classica e orientale, III, Roma, 1960, fig. 817 a p. 666.
138 Art. cit., p. 9 s., D 1, fig. 16, 2 e CVA, Br. Mus., cit., p. 1, D 1.
139 Walter-Karydi, pp. 58, 135, fig. 60, tav. 85, 624, che la dice impropriamente «wohl aus Italien», mentre la provenienza da Tarquinia è da ritenersi certa, come ha indicato Pallottino, art. cit., p. 508, nota 1.
140 CVA, Br. Mus., cit., p. 1, C9.
141 In Annali dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica, 1831, pp. 16 e nota 31 a p. 121, 239 s.; inoltre MonInst, I, 1829-33, tav. 27, 17; Boehlau, p. 58, n. 29; Cook, art. cit., p. 49, Y 20.
142 Per il pezzo eponimo, comprato a Roma e in possesso del Duca di Northampton a Castle Ashby, v. J. D. Beazley, in BSR, 11, 1929, pp. 1 s., taw. I, 1, 3, II, 4 e, da ultimi, Walter-Karydi, pp. 79, 144, tav. 129, 932 e Langlotz, Studien, cit., p. 190, tav. 66, 2.
Per le due a Monaco, provenienti da Vulci in quanto già coll. Candelori, v. più recentemente CVA, München, 6, tavv. 297-298 (inv. 586), 299-300 (inv. 585), figg. 30-31, con bibl. prec.; Langlotz, Studien, cit., p. 190 s., tav. 66, 1 (inv. 585), 3-4 (inv. 586). Per quella, di prov. scon. (donata nel 1926 dal dr. Ludowici, già in proprietà del dr. E. Lieben a Vienna), conservata a Wiirzburg v. Langlotz, op. cit. a nota 122, p. 17 s., 131, tavv. 16-17 e, ultimamente, Walter-Karydi, pp. 79, 144, tav. 129, 933 e Fiihrer Wiirzburg, p. 80 s., L 131, tav. 15.
143 A List of Clazomenian Pottery, in BSA, 47, 1952, pp. 149 s.
144 J. Boardman, A Greek Vase from Egypt, in JHS, 78, 1958, pp. 4-12, tav. 1; J. M. Cook, Old Smyrna: Ionic Black Figure and other Sixth-Century Figured Wares, in BSA, 60, 1965, p. 121, 35-36, tav. 33.
145 E. Langlotz, in Antiken aus Akad. Kunstmus. Bonn, cit., p. 145 s., n. 167, tavv. 85-86 («Kunsthandel Schweiz»); Idem, Studien, cit., p. 191; v. anche Walter-Karydi, pp. 146, tav. 127, 977 («wohl aus Italien»).
146 R. M. Cook-J. M. Hemelrijk, A hydria of the Campana Group in Bonn, in JbBerlMus, 5, 1963, pp. 107-120.
147 CVA, Würzburg, 1, taw. 26-28, figg. 17-18 («Aus dem Kunsthandel. FO. angebl. in Sizilien») e Führer Wiirzburg, p. 79 s., H 5352, tav. 16.
148 J. Boehlau-K. Schefold, Larisa am Hermos, III, Die Kleinfunde, Berlin, 1942, p. 172, tav. 58, 1; Langlotz, Studien, cit., p. 190, tav. 63, 4; CVA, München, 6, p. 42 (E. Walter-Karydi).
149 F. Villard, Deux dinoi d’un peintre ionien au Louvre, in MonPiot, 43, 1949, pp. 33-57; R. M. Cook, in BSA, 47, 1952, pp. 150 s.; Cook-Hemelrijk, art. cit., p. 13; Walter-Karydi, pp. 79, 145, tav. 128, 954-955; CVA, Würzburg, 1, p. 35 s., testo a tavv. 26-28; Langlotz, Studien, cit., p. 191.
150 Cook-Hemelrijk, art. cit., p. 114, nn. 3, 5 (quest’ultimo associato alla hydria edita da J. K. Anderson, A Caeretan Hydria in Dunedin, in JHS, 75, 1955, pp. 1-6 e da V. Callipolitis, Une nouvelle hydrie de Caeré, in MonPiot, 49, 1955, pp. 55-62, tav. VI).
151 V. però già Boardman, art. cit., p. 11, tav. 2 a. Su questo vaso G. Ricci, in ASAtene, 24-26, 1946-48, pp. 47 s.; Helbig, Führer 4, III, pp. 554 s., n. 2589, eon bibl. prec.
152 In BSA, 47, 1952, pp. 134 s., 147 s.
153 Cook-Hemelrijk, art. cit., p. 117, figg. 12-15; da ultimo CVA, Berlin, 4, tav. 176, 1-4, fig. 20. La provenienza di questo pezzo dall’Etruria non è certa, ma solo presumibile, in quanto esso risulta «in Rom erworben».
154 Sull’anfora più di recente CVA, Berlin, 4, tavv. 174, 4, 175, 1-4, fig. 19, con bibl. prec. Per i pezzi da Smirne J. M. Cook, in BSA, 60, 1965, pp. 123 s.
155 Vedi V. Callipolitis, Les hydries de Caeré. Essai de classification, in AntCl, 24, 1955, pp. 386-389 (30 exx.); J. M. Hemelrijk, De Caeretaanse Hydriae, Rotterdam, 1956.
156 1) MonAnt, 42, 1955, c. 790, 31 (in frammenti): dal dromos della tomba 304 Banditaccia; 2) K. Friis Johansen, Eine neue Caeretaner Hydria, in OpRom, 4, 1962, pp. 61-81, tavv. 1-4; 3) BMetrMus, october 1964, fig. a p. 72; 4) ClJ, 64, 2, 1968, pp. 61 s.; 5) K. Schauenburg, Eine Caeretaner Hydria, in AntK, 12, 1969, pp. 98-101; 6) M. Moretti, in EAA, Supplemento, Roma, 1970, p. 207, s.v. Cerveteri e Idem, Cerveteri, Novara, 1977, fig. 79, p. 16: dalla tomba 546 di Monte Abatone; 7) StEtr, 41, 1973, tav. 116 a-b = Nuove scoperte e acquisizioni, cit., p. 207, n. 19: già collezione Pesciotti Cima.
Il frammento 893 di Monaco = Hemelrijk, op. cit., p. 115, n. 30 è stato riedito in CVA, Munchen, 6, tav. 296, 4 («aus Rom»).
157 Walter-Karydi, art. cit. a nota 59, p. 13; Langlotz, Studien, cit., p. 191.
158 J. M. Cook, in BSA, 60, 1965, p. 114.
159 Così, ad es., P. Devambez, Deux nouvelles hydries de Caeré au Louvre, in MonPiot, 41, 1946, p. 59; Friis Johansen, art. cit., p. 79; Cook-Hemelrijk, art. cit., p. 118.
160 Ad es. il Pittore di Petrie: cfr. R. M. Cook, in BSA, 47, 1952, pp. 128 ss. e CVA, British Museum, 8, II D, pp. 14 ss., ma v. anche J. M. Cook, in BSA, 60, 1965, p. 128.
161 Boardman, art. cit., p. 12.
162 art. cit., p. 62s.
163 Sono state qui inserite, contrassegnate da asterisco, anche alcune kylikes che generalmente vengono assimilate alla forma A 2, pur differendone leggermente per la morfologia complessiva e per la presenza di filetti a vernice diluita sull’orlo; si tratta, con ogni verosimiglianza, di esemplari di fabbricazione samia, giacché trovano i paralleli più immediati nei prodotti, appunto, di Samo (cfr., ad es., AM, 72, 1957, tav. 72, 2 e 83, 1968, tav. 95, 4, 6).
164 Non ho inserito invece l’ex., con ogni verosimiglianza di imitazione, CVA, Orvieto, 1, tavv. 1, 6 e 2, 5, ivi indicato come proveniente dalle necropoli orvietane, in quanto esso, per affermazione della Klakowicz, op. cit., p. 160, nota 155, appartiene al fondo Mauro Faina ed è quindi di provenienza incerta.
165 Ho qui indicato con un solo numero i vari frammenti, naturalmente pertinenti a più kylikes, venuti in luce nell’area sacra del Foro Boario, in quanto dalle edizioni succitate non risulta del tutto chiaro il numero di exx. da essi ricavabile (circa una ventina, comunque) né è possibile precisarlo, ovviamente, in base alle riproduzioni fotografiche, senza poter verificare spessore delle pareti, caratteristiche tecniche di lavorazione, colore di argilla e vernice, ecc.
166 Ho escluso dalla mia raccolta il balsamario a testa di Acheloo F 1293 di Berlino che Ducat, p. 56, A 2, basandosi sulla Maximova, op. cit., p. 162, nota 5, indica come proveniente da Tarquinia, in quanto da Furtwängler, op. cit., p. 149, 1293, risulta invece «aus Athen erw., 1875».
167 Ho escluso invece dalla mia raccolta l’analogo esemplare Ducat, p. 73, serie «chypriote», n. 4, tav. 11, 1, da lui ritenuto proveniente dall’Etruria, in quanto Pottier, op. cit., p. 41, D 161, tav. 35, annota invece «Fonds Campana, sans n. d’inv. Pas de provenance exacte connue».
168 Non so se corrisponda a questo, che reca il n. inv. 308, l’ex. che Ducat, p. 134, A 1, 2 indica come inedito af «Musée des Conservateurs 19».
Notes de fin
1 Oltre alle abbreviazioni dell’Archaologische Bibliographie, si sono adottate le seguenti altre:
Albizzati. C. Albizzati, Vasi antichi dipinti del Vaticano, Roma, 1925.
Beazley-Magi. J. D. Beazley-F. Magi, La raccolta Benedetto Guglielmi nel Museo Gregoriano Etrusco, I, Città del Vaticano, 1939.
Boehlau. J. Boehlau, Aus Ionischen und Italischen Nekropolen, Leipzig, 1898.
Boardman, Chios. J. Boardman, Excavations in Chios 1952-1955, Oxford, 1967.
Coldstream. J. N. Coldstream, Greek Geometric Pottery. A survey of ten local styles and their chronology, London, 1968.
CVA. Corpus Vasorum Antiquorum.
Ducat. J. Ducat, Les vases plastiques rhodiens archaïques en terre cuite, Paris, 1966.
Führer Wiirzburg. Führer durch die Antikenabteilung des Martin von Wagner Museums der Universität Würzburg (hrg. E. Simon), Mainz, 1975.
Gsell. S. Gsell, Fouilles dans la nécropole de Vulci, Paris, 1891.
Helbig, Führer4. W. Helbig, Führer durch die öffentlichen Sammlungen klassischer Altertümer in Rom4, III, Tübingen, 1969.
Kardara. CH. Kardara, Ροδιακή ’Αγγειογραφία, Athinai, 1963.
MAV, II. Materiali di antichità varia, II, Scavi di Vulci, Materiale concesso alla Società Hercle, Roma, 1964.
MAV, III. Materiali di antichità varia, III, Scavi di Vulci. Località «Osteria», Materiale concesso al Signer Francesco Paolo Bongiovi, Roma, 1964.
MAV, V. Materiali di antichità varia, V, Concessioni alla Fondazione Lerici, Cerveteri, Roma, 1966.
Mingazzini, I. P. Mingazzini, Vasi della collezione Castellani, Catalogo, I, Roma, 1930.
Schiering. W. Schiering, Werkstätten orientalisierender Keramik auf Rhodos, Berlin, 1957.
Sukas, 2. G. Ploug, Sukas, II, The Aegean, Corinthian and Eastern Greek Pottery and Terracottas (Publications of the Carlsberg Expedition to Phoenicia, 2), København, 1973.
Tocra, 1. J. Boardman-J. Hayes, Excavations at Tocra 1963-1965. The archaic Deposits I, Oxford, 1966.
Tocra, 2. J. Boardman-J. Hayes, Excavations at Tocra 1963-1965. The archaic Deposits Il and later Deposits, Oxford, 1973.
Villard, Marseille. F. Villard, La céramique grecque de Marseille (VIe-IVe siècle), Essai d’histoire économique, Paris, 1960.
Walter. H. Walter, Frühe Samische Gefässe, Chronologie and Landschaftsstile (Deutsches Archäologisches Institut, Samos, Band V), Bonn, 1968.
Walter-Karydi. E. Walter-Karydi, Samische Gefässe des 6. Jahrhunderts V. Chr., Landschaftsstile Ostgriechischer Gefässe (Deutsches Archäologisches Institut, Samos, Band VI, 1), Bonn, 1973.
Ringrazio vivamente i Soprintendenti A. E. Feruglio, G. Maetzke e M. Moretti, la dott. L. Cavagnaro Vanoni della Fondazione Lerici e la dott. C. Morigi Govi del Museo Civico di Bologna per l’autorizzazione ad esaminare materiali conservati nei depositi e la concessione di fotografie. La mia riconoscenza va anche ai sigg. R. Magazzini e C. Mannucci, della Soprintendenza alle Antichità d’Etruria, per avere eseguito moite delle fotografie che illustrano il presente lavoro. Particolare gratitudine esprimo al prof. A. Giuliano, cui debbo varie informazioni e suggerimenti.
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