La fase ellenistica di Sepino
p. 35-45
Texte intégral
1L’occasione di presentare in questa sede, sia pure in forma estremamente sintetica, il dossier con i dati completi relativi alla Sepino di età ellenistica, è particolarmente propizia perché consente, quantomeno, di mettere in circolo e rivitalizzare tutta una serie di informazioni cui circostanze sfavorevoli hanno finora costituito impedimento per un’adeguata diffusione in ambito scientifico1. Ciò non mi esime dal rammaricarmi del fatto che la mia esposizione, in verità, contiene solo in parte esigua elementi rigorosamente inediti2, utili ad arricchire effettivamente il quadro finora disponibile: un modo di sostanziare il mio contributo può essere, allora, quello di riconsiderare l’argomento nel suo complesso cercando di distillare elementi e spunti per la riflessione ed individuare eventuali spazi di approfondimento.
2Quanto alla documentazione archeologica credo opportuno sottolineare che essa, benché discontinua e incompleta, risulta estremamente preziosa, da un lato perché riguarda un distretto territoriale vallivo ben definito e omogeneo sia dal punto di vista geomorfologico sia dal punto di vista delle risorse (alto corso del fiume Tammaro), dall’altro perché offre l’opportunità quanto mai rara, unica a quanto mi consta nell’ambito del Sannio Pentro, di esaminare, sia pure attraverso frammenti, una struttura insediativa di carattere vicano la cui spiccata e precoce vocazione al controllo del territorio circostante la destinerà al ruolo di capoluogo municipale.
3L’elemento cardine dell’intera articolazione paganico-vicana è costituito in ogni caso dalla viabilità: ad una direttrice trasversale, transmontana, che aveva come terminali rispettivamente la Campania e la costa adriatica, forse maggiormente attiva in epoca più antica, se ne contrappone una longitudinale, di collegamento fra l’Abruzzo e la Puglia, che non a caso continua a mantenere la propria vitalità all’indomani del lungo duello con Roma3, anzi la aumenta in conseguenza dei grandi mutamenti economici e sociali che investono i territori medioitalici e apuli dopo la lunga e devastante parentesi annibalica, quando gli effetti a lungo termine delle precedenti fondazioni coloniarie si sommano ai problemi relativi all’organizzazione e allo sfruttamento dell’ager publicus, all’investimento di capitali, all’impiego massiccio di manodopera servile. A partire da quest’epoca la transumanza di tipo tradizionale subisce in effetti una forte trasformazione per l’affermarsi particolarmente in Apulia, in relazione al possesso delle greggi e degli armenti, di un modello definibile “capitalistico”: si tratta di un fenomeno del tutto parallelo al costituirsi della grande proprietà fondiaria a conduzione schiavile, con il coinvolgimento, magari, dei medesimi capitali e dei medesimi interessi economici, ma disomogeneo e conflittuale sul piano dello sfruttamento del territorio, tanto da imporre, oltre all’individuazione di aree di pascolo distinte da quelle agricole, la necessità di spostamenti stagionali di lungo respiro4. Per attenersi al periodo e all’ambito territoriale che qui interessa considerare va segnalato che il sistema difensivo posto a controllo della viabilità (cinte di Terravecchia e Cercemaggiore, recinti minori di Colle di Rocco, Monteverde, Ferrazzano) risulta ormai completamente defunzionalizzato dopo la vittoria romana sui Sanniti, salvo possibili eccezioni motivate dall’emergenza annibalica: le indagini archeologiche effettuate in passato in relazione alla cinta di Terravecchia (quota 953)5, cui giustamente A. La Regina ha rivendicata la denominazione propria di ocre saipinaz6, oltre a confermare puntualmente il racconto liviano relativo all’assedio e alla presa di Saepinum, definita urbs, ad opera di L. Papirio Cursore7, fanno ritenere assai dubbia la sopravvivenza colà di un eventuale abitato oltre il 293 a.C. Il luogo può avere tuttavia mantenuto una qualche rilevanza sotto l’aspetto religioso e culturale, come indicherebbe il ritrovamento di una statuetta votiva collocabile genericamente nell’ambito del III-II secolo a.C.8. Elementi per individuare un luogo di culto nei paraggi della moderna Sepino sono forniti dalla notizia del ritrovamento di elementi architettonici e di parte di una stipe votiva comprendente cinque statuette di Ercole9; altri cinque bronzetti raffiguranti Ercole pertinenti a una stipe di epoca ellenistica10 provengono proprio dall’area del “vicus”, a immediata conferma della strettissima connessione tra questo culto e la transumanza svolgentesi lungo il tratturo11. Oltre all’insediamento vicano che trae con tutta probabilità il proprio nome da una recinzione12 - eretta anche a protezione dei greggi transumanti e costituita probabilmente da un xylinon teichos analogo a quello attestato ancora in età sillana nella vicina Aeclanum13 - esistevano nei pressi varie agglomerazioni abitative di differente entità, indiziate dal ritrovamento di materiali fittili sparsi su aree più ο meno vaste14: la più consistente è ubicata in contrada Cantoni, altre gravitano tra l’ocre e la piana (Castelvecchio, Colle, Alanozzi), un’altra ancora sul versante opposto della valle (Passo di Vinchiaturo).
4L’insediamento sparso risponde nella maniera più funzionale alle esigenze specifiche della produttività agricola; è recentissima, a questo proposito, l’individuazione, presso S. Giuliano, sul luogo stesso di un’importante villa rustica di epoca imperiale15, di tracce di un impianto risalente all’epoca repubblicana: si tratta di un’emergenza di particolare interesse, perché sostanzia tangibilmente un carattere dell’economia locale tenuto un po’in ombra dal prevalere di dati ed elementi relativi all’aspetto “pastorale”. L’inequivocabile, benché unico, indizio, è costituito finora da un concio, dislocatosi per cedimento rispetto alla sede originaria, appartenente alla struttura di un terrazzamento in opera poligonale evidentemente inglobato nella villa romana e ancora soggetto ad interro; il sito perfettamente soleggiato e dislocato in dolce declivio sul versante favorevole della valle del Tammaro, presenta inoltre, in superficie, una grande quantità di materiale fittile di epoca repubblicana.
5Effettuata questa breve panoramica sul territorio resta da esaminare la documentazione archeologica restituita dal “vicus” sorto in corrispondenza dell’incrocio delle direttrici viarie sopra ricordate, embrione del futuro capoluogo municipale (figg. 1-7). La parzialità dell’indagine, costretta entre i limiti dell’area forense di epoca romana (lati nord-orientale e nord-occidentale), non permette di precisare ulteriormente la consistenza dell’insediamento; la particolare natura del luogo fa tuttavia presumere che si sia in presenza del suo nucleo polarizzatore e che le strutture individuate siano sufficientemente caratterizzanti. Va rilevato che scavi in profondità praticati in zone adiacenti (area del teatro/porticus post scaenam) hanno restituito materiali ellenistici in quantità notevole ma in nessun caso strutture edificate, il che, facendo pensare a massicci livellamenti del terreno effettuati in epoca romana a scapito delle preesistenze, concede poco ottimismo circa la possibilità di acquisizioni future meno frammentarie: come testimonia infatti lo stato di ritrovamento dei manufatti e delle costruzioni, ridotti talora a modestissimi frustuli, l’impatto dell’urbanizzazione augustea è stato estremamente violento, “destrutturante”, tale da rispettare in definitiva soltanto l’unica realtà consolidata e imprescindibile, vale a dire la viabilità16. Si elencano sinteticamente i materiali che interessa qui esaminare, fornendo per maggiori dettagli, nel caso di quelli già editi, le relative indicazioni bibliografiche.
6Lato Nord-orientale del foro17:
area 2° ambiente (saggio D): a) pavimento in signino con inserti calcarei disposti irregolarmente (prima metà II sec.); b) pavimento in signino a tessere bianche disposte irregolarmente cui è solidale una vaschetta d’impluvio in calcare (fine II sec.)18 (fig. 1.6 a-b);
area del Capitolium, porzione nord-occidentale (saggi G/R): pavimento in signino a fondo rosso con bordatura a meandro e tappeto a losanghe (fine II sec.)19 (figg. 1.5; 2);
area del Capitolium, porzione sud-orientale (saggio R): resti di strutture con alzato in mattoni crudi contenenti una serie di vasche in cocciopesto disposte su vari livelli, identificabile con una fullonica (costruzione in pieno II sec.; distruzione causa incendio ca. metà II e successiva parziale obliterazione da parte del pavimento individuato nei saggi G.R20 (fig. 1.4);
area del Capitolium/area terme (saggio U): canaletta di scolo, piano di tegole con vicino dolio, coevo all’impianto delle vasche in R, pertinente con molta probabilità alla fullonica21 (fig. 1.3);
area terme (saggio P): frustulo di pavimento in cocciopesto con raffigurazione stilizzata di delfino (?) accanto a un cerchiello con punto centrale (fine II sec.?)22 (fig. 1.2);
Casa dell’impluvio sannitico: impluvio fittile frammentario (si conserva interamente il lato NO e parte dei contigui lati SO e NE, oltre che la porzione di fondo compresa tra questi; il manufatto, solidale ad un frammento di pavimento di cocciopesto privo di decorazione, è costituito da un bordo di mattoni modanati e da un fondo di mattonelle romboidali alternate gialle e rosse (fine II sec.). Sul bordo della vasca è presente una serie di quattro lettere (kahz ο dahz) in alfabeto osco con andamento sinistrorso incise (a crudo) su singoli mattoni alternati (tra la terza e la quarta lettera c’è però un intervallo di tre mattoni)23 (figg. 1.1; 3; 4).
7Lato nord-occidentale del foro24:
area della basilica/zona antistante il tribunal: frammento di pavimento in signino decorato con filari paralleli di tessere bianche (fine II sec.) (figg. 1.7; 5);
area della basilica/sotto la soglia dell’aula retrostante il tribunal: porzione di pavimento in signino a fondo bianco con grossi inclusi di laterizio e scaglie calcaree disposte a filari (fine II sec.) (fig. 1.8);
area della basilica/interno dell’aula retrostante il tribunal: resti di due ambienti (a, b) pavimentati, separati da un muro assiale rispetto all’aula (fine II sec.): a) pavimento in signino decorato con filari di scaglie disposte parallelamente; b) pavimento in signino con varia e complessa decorazione a tessere bianche (fasce laterali a squame, a losanghe e a puntinato diagonale, campo centrale a meandro multiplo) ed emblema centrale frammentario, in tessellato policromo, raffigurante una scena di caccia (fig. 1.9 a-b; 6). L’asportazione del pavimento b (esposto attualmente nel locale Museo Documentario dell’Altilia - Sezione di Porta Benevento), oltre a stabilire che l’emblema è privo di supporto, ha rivelato un sottostante pavimento in signino privo di decorazione (ca. metà II sec.)25. L’emblema a mosaico (fig. 7), di forma rettangolare (cm. 83x57), presenta una doppia bordatura costituita rispettivamente da una fascia più esterna di tessere bianche e da una più interna, a fondo nero, delimitata da ambo i lati da un tenue filo di tessere di colore rosa; la fascia reca una decorazione a motivi vegetali, ottenuta con l’impiego di tessere minutissime, costituita da tralci resi in bianco e verde e foglie di edera bianche svolgentisi sinuosamente da un unico cespite, posto all’angolo superiore sinistro. Del quadro centrale, in cui sono impiegate tessere di dimensioni diverse, è conservata purtroppo solo la metà sinistra: la scena rappresentata, una caccia al chinghiale, si svolge da sinistra verso destra su un fondo neutro di colore bianco, privo di qualsiasi riferimento paesaggistico. Nonostante la lacuna, è riconoscibile la metà posteriore dell’animale inseguito, da identificare con un cinghiale per le estremità ungulate, la coda arricciata e il dorso irsuto; l’animale inseguitore, un cane dagli orecchi ritti, l’occhio spalancato, la costolatura evidenziata, le zampe protese in avanti, è deliberatamente raffigurato in modo parziale, emergente per metà dalla cornice laterale; al di sopra del cinghiale restano esigue tracce di difficile interpretazione, forse estremità di piedi (o frecce) infissi nella groppa dell’animale fuggente. Interessante appare in questo prodotto la ricercatezza di talune soluzioni tecniche, quali la resa della muscolatura e dei particolari anatomici ottenuta “impressionisticamente” con l’impiego di tessere di diverso colore (varie tonalità di rosso e marrone).
8I dati esaminati, dai quali emerge un quadro di relativa prosperità, consentono di individuare con certezza una struttura di tipo “industriale” legata al trattamento e alla lavorazione della lana ed una serie di edifici di sicura destinazione privata, tutti esistenti almeno fin dagli inizi del II secolo a.C. e ristrutturati tra la metà e la fine del secolo stesso. Che l’attività della “fullonica” sia da porre in stretta connessione con l’economia legata alla transumanza è evidente, anzi, in relazione alla particolare vocazione del sito, non fa che confermare quanto è sedimentato nel toponimo stesso, cui è sotteso il riferimento alla tradizionale funzione di ricovero e difesa dei greggi. È merito di A. La Regina aver chiarito che la genesi del toponimo Saepinum (osco *Saipins ricostruibile attraverso l’etnico documentato Saipinaz26), indubbiamente connesso con il lat. saepire (= recingere), è estranea all’ocre di Terravecchia e pertiene esclusivamente al sito di pianura, da ritenersi protetto da palizzate lignee27. A immediata conferma vale la pena di notare l’affinità “strutturale” con il caso sepinate - con analoghi esiti riguardo alla toponomastica - ravvisabile nel rapporto di continuità topografica che le fonti documentano a Roma, nel Campo Marzio, tra i Saepta e il preesistente ovile28. Altrove29 ho ritenuto non inverosimile che la pianificazione augustea possa aver tenuto conto proprio della necessità di ospitare all’interno di Saepinum un forum pecuarium (cui sarebbe agevole ricollegare quel culto di Ercole indiziato dalla sopra ricordata stipe di bronzetti): la singolare deformazione della planimetria urbana, che sembra rifuggire sistematicamente da qualsiasi criterio di ortogonalità, piuttosto che da elementi ο preesistenze cogenti, sembrerebbe infatti motivata da esigenze di ottimizzazione degli spazi intramuranei in rapporto a funzioni predeterminate.
9Nell’ambito di una realtà che dal punto di vista archeologico ha già restituito, oltre ad ampi spazi abitativi, la gamma più completa possibile di edifici pubblici, sarebbe assai plausibile ubicare nel pressocché inesplorato settore nordorientale - esteso in superficie (anche per effetto del sensibile decentramento dell’incrocio degli assi viari) quasi quanto la somma dei rimanenti - una struttura quale un forum pecuarium, perfettamente funzionale alla vocazione tradizionale della città, che potrebbe avere addirittura ereditato il sito dell’antico recinto all’origine, come detto, del nome Saepinum30. La situazione della Saepinum preaugustea, può forse trovare un riscontro “fossilizzato”, non evolutosi cioè all’atto della municipalizzazione, nella non lontana Iuvanum, in territorio carricino: ivi la tenacia del modello insediativo paganico-vicano sembra riservare al centro solo funzioni amministrative e di scambio dimodoché l’intervento di epoca augusteo/giulio-claudia si riduce, sostanzialmente, alla trasformazione in foro (con tabernae e basilica) del tradizionale mercato di strada attiguo ad un antico santuario di Ercole31.
10La documentazione archeologica di Saepinum, benché avara di elementi riconducibili all’attività dei ceti subalterni ivi certamente esistenti (artigiani, prestatori d’opera ecc.), fa intravedere, attraverso il differente livello qualitativo e funzionale delle strutture (il cui carattere residenziale/produttivo riconduce per ora esclusivamente alla sfera del privato), il consolidarsi di una netta stratificazione sociale: accanto a poche gentes egemoni, detentrici in misura pressoché monopolistica della terra, dei greggi, del controllo dei pedaggi e delle strutture collegate alla transumanza, risiede nel “vicus” un ceto che, qualora non sia direttamente compartecipe della proprietà degli impianti produttivi, trae quantomeno vantaggio da tali strutture e dal relativo indotto economico.
11Quest’ultimo ceto sembra gravitare piuttosto nella zona nord-orientale della futura area forense, connotata dalla presenza contestuale di “domus” di modesta estensione e di impianti “manifatturieri” ad esse organicamente collegati; al livello sociale più elevato (che potrebbe essere costituito anche da una singola gens) è invece plausibile riferire la grande, certo più articolata residenza sul lato nord-occidentale (laddove in epoca romana l’ubicazione della basilica sembra quasi riesumare valenze particolari sedimentate da tempo): la ricca decorazione (figg. 6-7) tradisce, nell’adozione stessa del tema della caccia, di tradizione ellenistica, l’esigenza di autorappresentarsi in forme ideologiche tipicamente “aristocratiche”. Certo, l’artigianato disponibile localmente non consente livelli formali adeguati alle risorse economiche della committenza: il prodotto che ne deriva è infatti oggettivamente mediocre e velleitario, e denuncia nell’esecuzione forti discrasie rispetto ai modelli cui si ispira; le componenti ellenistiche originarie (pittura a macchia, fondo neutro) risultano banalizzate, ridotte ormai alle forme disorganiche e ai toni espressivi tipici di quell’arte “medioitalica” che filtreranno lentamente fino ad emergere, in età romana, in quella produzione definita “plebea” non a caso appannaggio dei ceti “borghesi” municipali. Prescindendo dall’aspetto formale, l’emblema in mosaico costituisce in ogni caso, nel contesto sepinate, un documento storico-sociologico di prim’ordine, indizio prezioso della mentalità di strati sociali presso i quali l’accumulazione di ricchezza deve essersi ben presto accompagnata a forti inclinazioni egemoniche. È nondimeno probabile che il progressivo radicamento di potentati locali fosse un processo generalizzato, esteso ad altri distretti, in grado perdipiù di innescare tendenze centrifughe rispetto all’entità tribale; appare plausibile che, all’epoca cui risale la documentazione sepinate, la touta fosse una realtà politica ormai evanescente - seppur “rivitalizzata” e compattata in modo artificioso nel particolare frangente della guerra sociale - minata già da tempo dall’insidia di interessi particolaristici, riflesso coerente di quelle diversità cantonali che sembrano preludere in sostanza alla futura articolazione municipale32. È in questo senso interessante notare che Saepinum, oltre ad un bollo laterizio in lingua osca apposto dal meddiss tuvtiks (magistrato supremo della touta Pentra) L. Klippiis L.33, ha restituito bolli “vicani” sai, parimenti in lingua osca, connessi a figline locali34 e che questi ultimi sono perfettamente omologhi ai bolli latini saepin, emessi dalla successiva officina pubblica municipale35; questa coincidenza, difficilmente ascrivibile all’ambito della casualità, sottende a mio avviso una problematica di ordine politico-costituzionale, non priva di rilevanza circa le nostre conoscenze sui meccanismi (e i tempi) della municipalizzazione, che con maggiore convinzione potrebbe pertanto ritenersi avviata già all’indomani della guerra sociale36.
12Il richiamo alla transumanza quale ingranaggio fondamentale dell’economia del distretto sepinate non può non suscitare l’esigenza di verificare fino a che punto il tratturo, la callis publica, possa essere stato veicolo di penetrazione nel “vicus” di elementi culturali - intesi nel senso più ampio del termine - provenienti (o mediati), in particolare, dai due poli geografici entro i quali il fenomeno si svolgeva con pendolarità37: per quanto riguarda il polo settentrionale - territori sabino-abruzzesi, affini culturalmente e di sviluppo pressoché analogo - ciò è in qualche misura verificabile, ma purtroppo solo nel momento della generale ristrutturazione augustea, allorché è documentato, ad esempio, l’arrivo di gentes (predestinate al ruolo di classe dirigente) originarie della Marsica e della zona del Fucino38; per quanto riguarda il polo meridionale - territori apuli, assai più (e da più lungo tempo) evoluti - non sembrano esservi elementi perspicui. Da un lato risulterebbe pertanto confermato il quadro accreditato finora che, in relazione a Saepinum (e in genere al Sannio pentro), prevede sostanzialmente rapporti esclusivi con l’area campana (attigua, sebbene fisicamente separata dalla catena del Matese), dall’altro emergerebbe la assoluta irrilevanza del tratturo sotto il profilo “culturale”, a dispetto dell’intensa frequentazione. Personalmente ritengo assai inverosimile quest’ultima eventualità al punto di sospettare che il quadro generale delle nostre conoscenze possa essere seriamente inficiato dalla mancanza o, quantomeno, dalla scarsità di documentazione. Almeno per quanto riguarda la circolazione monetaria, l’insediamento di Monte Vairano/Aquilonia39, assai prossimo a Saepinum, oltre a mostrare rapporti con gli opposti versanti tirrenico e adriatico (in virtù della sua collocazione geografica virtualmente equidistante rispetto ad entrambi), rivela altresì intensi contatti anche con la sponda transadriatica e con il mondo egeo insulare; questi contatti, che trovano del resto immediato riscontro nel grande numero di bolli anforari, soprattutto rodi, rinvenuti a Monte Vairano, e con quanto ci è noto circa la presenza di negotiatores pentri nei mercati orientali40, sarebbero impensabili senza il tramite dei porti apuli e senza il complementare supporto della grande viabilità, soprattutto longitudinale, la cui funzione assai difficilmente sarà stata limitata alla sfera del commercio. In ossequio a questa ipotesi di lavoro, considerata la particolare penuria di documentazione (che è auspicabile si ridimensioni in seguito a più estese ricerche), vale quindi la pena di valutare il benché minimo elemento indiziante, anche il più tenue ed opinabile, mettendo addirittura nel conto che esso potrebbe, alla prova dei fatti, risultare privo di riscontro: l’importante è stimolare l’indagine allo scopo di individuare altri, magari più certi, elementi in grado di correggere (o quantomeno integrare) il quadro, assolutamente carente, delineabile fino a questo momento.
13In un’ottica del genere potrebbe ad esempio trovare finalmente spiegazione l’enigmatica sequenza (non alfabetica) di lettere presente sul bordo dell’impluvio fittile rinvenuto sul lato nord-orientale della futura area forense sepinate (v. sopra; figg. 3-3-4); essa non può assolutamente intendersi come (casuale) successione di segni di richiamo per il corretto assemblaggio dell’impluvio perché, in tal caso, le lettere dovrebbero risultare contigue e disposte a coppie, mentre in realtà esse sono presenti, perdipiù singolarmente, solo su alcuni degli elementi compositivi.
14L’unica alternativa plausibile (che comporta in ogni caso la necessità di spiegare in qualche modo la natura del nesso HZ < HTS) è che si sia di fronte ad un antroponimo, possibilità invero già prospetta da altri41, ma purtroppo priva di concreto riscontro onomastico; se tuttavia, in luogo della finora accreditata sequenza kahz, si accetta una sequenza dahz, parimenti legittima secondo un recente riesame della prima lettera conservata42, si potrebbe suggerire - beninteso supponendo che gli elementi superstiti siano proprio quelli iniziali (e la eventuale “partenza” dell’iscrizione da uno degli angoli della vasca lo conforterebbe) - un collegamento con forme onomastiche pronominali assai diffuse in territorio apulo, documentate in messapico quali Dazet (gen. Daxtas)/Dazimas ecc., con ampi confronti extramessapici43 (cf. i gentilizi latini Dasius, Dasimius/Dasumius ben attestati nell’area apulo-lucano-campana): se così fosse l’iscrizione sepinate documenterebbe la presenza di un individuo di provenienza apula, stabilitosi in questo distretto sannitico per motivi assai verosimilmente connessi con l’“economia del tratturo”, proprietario forse di una domus di livello “medio-borghese” o, quantomeno, implicato in qualche misura nella manifattura di prodotti laterizi. È plausibile che, in tale eventualità, l’“oschizzazione” del nome (espresso forse al caso genitivo), ovviamente avvenuta nel luogo di arrivo, abbia comportato un impiego della grafia epicorica il più possibile teso a rendere le caratteristiche fonetiche della lingua di provenienza: si tratta di un’ipotesi che comporta delle difficoltà e che, si ribadisce, viene avanzata con la massima cautela (dopo averla oltretutto subordinata ad una serie di condizioni pregiudiziali abbastanza cogenti), nella consapevolezza che essa deve naturalmente superare il vaglio del linguista, in particolare laddove si prospettano problemi di contatto tra aree linguistiche diverse. Vale la pena di accennare all’esistenza di altri indizi (anch’essi purtroppo, assai incerti e opinabili) riconducibili eventualmente a rapporti con l’area linguistica messapica: il primo è costituito da un’iscrizione rupestre (di discussa autenticità) esistente presso Agnone, costituita dalla semplice menzione Titiuris che, qualora racchiuda un nome unico, potrebbe ricondursi al messapico Titour [...] (lat. Titurius)44; il secondo indizio sarebbe costituito da una iscrizione incisa su fibula bronzea, rinvenuta proprio a Saepinum, già accreditata come messapica, ma più ragionevolmente attribuibile alla presenza gotica nel Sannio (prima metà VI secolo d.C.)45.
15L’esistenza di rapporti reciproci tra il Sannio interno e il versante campano è universalmente nota, ampiamente confermata, ad esempio, dai dati sulla circolazione monetale46: per pura casualità siamo oltretutto documentati, attraverso una defixio da Cumae, su un probabile caso di “emigrazione” che coinvolge proprio Saepinum, nella persona di Dekis Hereiis Dekkieis, espressamente contraddistinto dall’etnico Saipinaz47. In generale poi, soprattutto per quanto riguarda la grande edilizia santuariale (Pietrabbondante, Campochiaro, Schiavi d’Abruzzo, Vastogirardi, S. Giovanni in Galdo) sviluppatasi nel Sannio pentro tra la fine del II secolo a.C. e la guerra sociale, è ammesso, a ragione, l’operato di imprese itineranti specializzate provenienti dalla Campania48; alle stesse sono parimenti riferiti i pavimenti in signino rinvenuti in ambito regionale, talora connessi con i predetti santuari (Schiavi d’Abruzzo, S. Giovanni in Galdo), con abitati (Larino49, Sepino), con ville rustiche (S. Fabiano di Roccavivara50: ciò appare plausibile in linea generale, ma vale la pena di osservare che potrebbe non ritenersi valido per il periodo precedente (quello che corrisponde alla prima fase edilizia sepinate) in cui mancano ancora i presupposti (vale a dire l’alta committenza) per l’arrivo nel Sannio di tali maestranze. I pavimenti di cocciopesto (pavimenta Poenica scil. Signina) compaiono a partire dagli inizi del II secolo a.C. in Lazio e in Campania come conseguenza diretta dell’impiego schiavile di deportati cartaginesi; si tratta di prodotti - facilmente eseguibili da parte di maestranze non specializzate - che, di fatto, risultano strettamente connessi con il sistema produttivo incentrato sulla villa rustica51; la loro ampia e capillare diffusione, più che a motivazioni di ordine estetico risponde quindi a istanze di ordine economico-produttivo alle quali lo stesso Sannio interno non deve considerarsi estraneo: l’apparire colà di simili manufatti può allora ragionevolmente ritenersi effetto, almeno per la fase più antica, piuttosto che di una generica influenza campana (il cui specifico spessore successivo, già rilevato, non va certo disconosciuto), della diretta pressione economicoculturale esercitata (anche grazie alla facile viabilità) delle colonie “latine” (Aesernia, Beneventum, Luceria) che, letteralmente, circondano (e controllano) questa regione del Sannio. Il sapere tecnico connesso con la produzione dei pavimenti di cocciopesto può quindi ritenervisi ben radicato già prima dell’exploit architettonico di fine II secolo a.C.: la cronologia degli esemplari sepinati più antichi del resto lo conferma. È inoltre senz’altro indicativa, a questo proposito, soprattutto se analizzata contrastivamente, la situazione presentata dai due templi affiancati di Schiavi d’Abruzzo: il tempio minore, costruito in muratura, presuppone l’esistenza a livello locale di un know-how, progettuale ed esecutivo (comprensivo della capacità di realizzare il pavimento di cocciopesto all’interno della cella), del tutto parallelo e indipendente rispetto al know-how “campano”, specializzato nella grande architettura lapidea52, applicato appunto nella fabbrica del tempio maggiore, eseguita in opera quadrata53. Può essere inoltre significativa, al riguardo, la particolare situazione della frentana Larinum, la cui collocazione al confine orientale del Sannio Pentro la rende vocata a rapporti preferenziali con l’area apuloadriatica piuttosto che con quella campana: la fioritura del centro in epoca tardo-ellenistica risente infatti in misura notevole della vicinanza alla colonia latina di Luceria con la quale intercorsero rapporti molto stretti, non solo di carattere economico54: anche i signini documentati a Larinum potrebbero quindi ritenersi svincolati da presunti apporti “campani” ed ascriversi ad una tradizione costruttiva sedimentata e operante da tempo - anche nel resto del Sannio - per effetto “convergente” della colonizzazione “latina”. Tornando al caso sepinate, in particolare all’emblema in tessellato rinvenuto nell’area della basilica (fig. 7), vale la pena di riconsiderare55 la notevole discrasia ivi intercorrente tra il tema figurativo prescelto (la cui forte connotazione ideologica traspare anche dalla particolare tipologia utilizzata, a tutt’oggi risultante un hapax) e la sua trasposizione sul piano stilistico; la mancata sintonia tra ispirazione e realizzazione configura un prodotto la cui modesta qualità artistica si rivela, a ben vedere, perfettamente commisurata sia al livello culturale che alle velleità egemoniche di una “borghesia” locale tesa ad omologarsi in senso “aristocratico”: attraverso ben altro linguaggio formale e ben altri livelli qualitativi - si pensi al famoso “ritratto” da S. Giovanni Lipioni56 - sono in grado di esprimersi, più ο meno contemporaneamente, le tradizionali aristocrazie di sangue.
16L’emblema sepinate, sicuramente confezionato in loco (essendo privo del supporto necessario al trasporto dall’eventuale centro di produzione), è pertanto ragionevolmente ascrivibile ad un artigianato residente, in possesso di mezzi assai limitati e attivo esclusivamente in ambito “cantonale”, ben differenziato quindi rispetto al più evoluto artigianato itinerante che sembrerebbe peraltro più squisitamente versato nelle grandi realizzazioni architettoniche. Sempre in relazione all’emblema sepinate non è difficile notare come la cornice a motivi fitomorfi mostri una freschezza e una sicurezza di esecuzione notevolmente superiore a quella che promana dalla frammentaria scena centrale, tale da farla considerare la parte meglio riuscita del prodotto musivo: ciò, ribadendo da un lato le modeste possibilità dell’artigiano responsabile, incapace di cimentarsi con temi appena impegnativi (tali da implicare, ad esempio, la resa di immagini in prospettiva ο in movimento), ne conferma dall’altro la maggiore dimestichezza nell’applicare modelli e schemi decorativi evidentemente collaudati da tempo e divenuti tradizionali. Il milieu artigianale locale sembra quindi aver tratto alimento dall’eterogeneo stratificarsi (e/o contaminarsi) nel corso degli anni, in modo da rendere poco percettibile la propria origine, di apporti attecchiti soprattutto sul piano dei dettagli ornamentali: risulta perciò difficile, nel caso del fregio vegetale, esprimersi con certezza circa la provenienza degli elementi compositivi: se la somiglianza con motivi presenti sulla coeva ceramica teanense e naepolitana può venire a conferma di rapporti intercorrenti con l’area campana (la cui consistenza, innegabile, si è però qui, in qualche misura, tentato di precisare aldilà delle affermazioni assiomatiche), la consonanza con i motivi tipici della ceramica cd. di Gnathia potrebbe invece suggerire il permanere sedimentato di elementi di tradizione rapportabili a ben più antichi e consolidati contatti con l’Apulia e con il versante adriatico. Se così fosse si acquisirebbe un ulteriore elemento per rivendicare documentatamente al complesso sistema di percorsi tratturali (di cui la callis che attraversa Saepinum è componente integrante), quella funzione di veicolo “culturale” che non poté non coesistere, integrandosi, con la funzione economica. La natura della documentazione (o il limite della ricerca) è tale da evidenziare solo quest’ultimo aspetto: circa l’altro si può contare per ora solo su tenui, estremamente ipotetici indizi, del genere di quelli che si è appena sopra creduto di indicare (peraltro senza alcuna pretesa di effettivo riscontro) nella speranza, almeno, di delineare prospettive di indagine verosimili.
17La consolidata, schematica immagine del tratturo inteso univocamente come asse portante dell’economia della transumanza mostra la sua inadeguatezza già al cospetto di considerazioni di carattere preliminare; sarà compito di ulteriori ricerche sostituire ad essa, pur entro la cornice della consueta bipolarità Abruzzo-Puglia, un’immagine più realistica e articolata che, sottraendosi ad una visione meccanicamente “stagionale”, introduca elementi di complessità: solo in tal modo potranno emergere fenomeni legati all’attività materiale e intellettuale di individui ο gruppi inevitabilmente soggetti a emigrazioni, soste, stanziamenti, spostamenti, ritorni, con tutto quello che ne consegue sul piano della interazione sociale (ed etnica) e sulla circolazione delle idee, delle cose e delle professionalità.
Notes de bas de page
1 Sepino non è praticamente documentata in AA.VV., Sannio. Pentri e Frentani dal VI al I sec. a.C., Roma, 1980 (in cui, a p. 230, è menzione del solo ciottolo con l’iscrizione osca =E. Vetter, Handbuch der Italischen Dialekte, Heidelberg, 1953 (d’ora in poi Vetter), n. 161); cf. Sannio. Pentri e Frentani dal VI al I sec. a.C., Atti del Convegno di Campobasso (10-11 nov. 1980), 1984.
2 Per quanto edito finora si rimanderà ai singoli luoghi (e figg.) in AA.VV., Saepinum. Museo documentario dell’Altilia, Campobasso, 1982 (d’ora in poi Saepinum 1982).
3 Sulla viabilità in età romana cf. A. Donati, I milliari dette regioni IV e V, in Epigraphica, 36, 1974, p. 44 sgg., cf. G. De Benedettis, Appunti sulle fonti classiche relative alla viabilità romana nel Sannio, in Almanacco del Molise, 1988, 2, p. 11 sgg.
4 Su questi aspetti si veda E. Gabba-M. pasquinucci, Strutture agrarie e allevamento transumante nell’Italia romana (III-I sec. a.C.), Pisa, 1979; per una bibliografia cf. M. Verzar Bass, A proposito dell’allevamento nell’Alto Adriatico, in Ant. Alto Adriat. 29, 1987, 1, p. 257 sgg.; segnalo inoltre il Convegno su La civiltà della transumanza, Benevento-S. Croce del Sannio, nov. 1988 e la prevista Tavola Rotonda su Archeologia della pastorizia nell’Europa meridionale, Chiavari, sett. 1989, i cui Atti saranno pubblicati in Riv. St. Liguri 55, 1989, 1-4. Per il periodo imperiale va ribadita l’importanza del rescritto CIL IX 2438, cf. U. Laffi, L’iscrizione di Sepino (CIL IX 2438) relativa ai contrasti fra le autorità municipali e i conductores delle greggi imperiali, in Studi Class. e Orient., 14, 1965, p. 177 sgg.; M. Corbier, Fiscus and Patrimonium: the Saepinum Inscription and the Transhumance in the Abruzzi, in Journ. Rom. Stud., 73, 1983, p. 126 sgg.
5 G. Colonna, Saepinum, Ricerche di topografia sannitica e medievale, in Arch. Class., 14, 1962, p. 80 sgg.
6 A. La regina, Note sulla formazione dei centri urbani in area sabellica, Atti del Convegno di Studi sulla Città etrusca e italica preromana, Imola 1970, p. 199 sg.
7 Liv., 10, 45; cf. Colonna, art. cit.
8 Definita dubitativamente da L. Mucci (NSc, 1879, p. 187) Pietas Augusta, si tratta con molta probabilità di una statuetta capite velato del tipo Nemi, cf. Colonna, art. cit., p. 99.
9 L. Mucci, in NSc, 1985, p. 48.
10 A. Maiuri, in NSc, 1926, p. 248 sgg.; A. Di Niro, Il culto di Ercole tra i Sanniti Pentri e Frentani. Nuove testimonianze, in DAIR, 9, 1977, p. 16 sgg.
11 A. Di Niro, op. cit. p. 9 sgg.
12 A. La Regina, art. cit. a nota 6.
13 App., b.c., 1, 51.
14 Cf. AA.VV., Saepinum 1982, cit. alla nota 2, p. 9 sgg.
15 M. Gaggiotti, La villa dei Neratii nel territorio di Saepinum, in Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Perugia, 22, n.s. 8, 1984/85, p. 113 sgg.; sulle altre ville romane del Molise, A. Di Niro, Ville imperiali nel Sannio romano, in Almanacco del Molise, 1987, 2, p. 15 sgg.; P. De Tata, Altre villae romane nel Sannio, in Almanacco del Molise, 1988, 2, p. 27 sgg.
16 Questo aspetto è da me trattato in particolare in Saepinum: modi e forme delta romanizzazione, in Atti del Convegno: Basilicata. L’espansionismo romano nel sud-est d’Italia, Venosa, 23-25 aprile 1987, Venosa, 1990, p. 257261; l’aspetto “sovvertitore” dell’intervento romano può comunque, almeno in parte, ricondursi alla meccanica dell’applicazione di uno schema urbanistico pianificato su una realtà di tipo presumibilmente “spontaneo”.
17 La planimetria generale con l’ubicazione dei saggi è in Saepinum 1983, p. 88, fig. 61 (cf. fig. 14).
18 Saepinum 1982, p. 89 sg. (cf. p. 23), figg. 12, 62.
19 Saepinum 1982, p. 94; 101 sgg. (cf. p. 22 sg.) figg. 10, 68, 70.
20 Saepinum 1982, p. 102 sg. (cf. p. 20 sgg.), figg. 8-9, 14.
21 Saepinum 1982, p. 103 sgg. (cf. p. 20).
22 Saepinum 1982, p. 23, fig. 11.
23 G. Ambrosetti, Testimonianze preaugustee da Sepino-Altilia, in Archeol. Class., 10, 1958, p. 14 sgg.; cf. Saepinum 1982, p. 21, fig. 7. Per l’iscrizione vedi oltre, p. 9 sg. e note 41 sgg.
24 I dati relativi ai manufatti qui rinvenuti sono inediti; alcuni cenni sono comunque in Saepinum 1982, p. 23 sg.
25 Saepinum 1982, p. 24, fig. 13.
26 Vetter, n. 5, C7; cf. n. 190.
27 Cf. note 6 e 13.
28 Cf. S.B. Platner-TH. Ashby, A Topographical Dictionary of Ancient Rome, Oxford-London, 1929, p. 373, s.v. ovile: p. 461 s.v. Saepta Iulia.
29 M. Gaggiotti, Saepinum: modi e forme delta romanizzazione, cit. alla nota 16.
30 Un forum pecuarium connesso con un santuario di Ercole è cospicuamente conservato ad Alba Fucens, cf. F. Coarelli in F. Coarelu - A. La Regina, Abruzzo-Molise, Roma-Bari 1984, p. 84 sgg.
31 F. Coarelli, ibid., p. 313 sgg.
32 Questa tematica che emerge (nell’ambito di un’indagine sulla continuità ο meno in epoca romana delle antiche aristocrazie pentre) già in un mio precedente lavoro (Il Sannio Pentro, in Les bourgeoisies municipales italiennes aux IIe et Ier siècles av. J.C., Colloques Intern. du C.N.R.S., n° 609, Naples, 1983, p. 137 sgg.), è toccata più recentemente da A. La Regina, I Sanniti, in Italia omnium terrarum parens, Milano 1979, p. 361, in cui sono individuati più precisi rapporti tra gentes e ambiti territoriale Papiil Vastogirardi, Staii/Pietrabbondante, Betitii/Molise, Decitii/Bovianum e, forse, Satrii e Pomponii/Aesernia, Herii/Saepinum.
33 A. La Regina, Le iscrizioni osche di Pietrabbondante e la questione di Bovianum Vetus, in Rhein. Museum, 109, 1966, p. 269, n. 16 (= P. Poccetti, Nuovi documenti Italici, Pisa 1979, p. 53, n. 40); G. DE Benedittis, REI 6, in SE, 46, 1978, p. 416, n. 22; S. Capini, ibid., p. 422, n. 32; Ead., Campochiaro, Campobasso, 1982, p. 49, n. 67. Circa l’esegesi dei bolli oschi interessanti considerazioni (con importanti ricadute storico-prosopografiche) sono formulate in La Regina, I Sanniti, cit. alla nota precedente, p. 327 sgg.
34 G. De Benedittis, REI 8, in SE, 48, 1980, p. 420 sg.
35 CIL IX 6708, 147, oltre ad alcuni esemplari inediti; De Benedittis intuisce elementi di continuità tra l’officina osca e quella romana.
36 Cf. E. Gabba, Urbanizzazione e rinnovamenti urbanistici nell’Italia centro-meridionale del I sec. a.C., in Studi Class. e Orient., 21, 1972, p. 99; circa la possibilità di un mutamento, in epoca augustea, della precedente costituzione municipale cf. quanto detto in Saepinum 1982, p. 27 sgg.
37 Ciò vale sicuramente per l’epoca medioevale e moderna, come emerso nell’ambito del Convegno su La civiltà della transumanza, Benevento-S. Croce del Sannio, cit. alla nota 4.
38 Rispettivamente la gens Ennia (contraddistinta dal significativo cognomen Marsus) e la gens Naevia, solidamente attestata ad Alba Fucens (cf. AE 1957, 250).
39 Circa l’identificazione con Aquilonia cf. A. La Regina, Centri fortificati preromani nei territori sabellici dell’Italia centrale adriatica, in Posebna Izdanja, 24, 1975, p. 281 sg.; da ultimo ID., I Sanniti, cit. alla nota 32, p. 419 sg.
40 La questione è riassunta e documentata in G. De Benedittis, Monte Vairano. Tratturi economia e viabilità, in Atti Conv. Giornate Intern. Stud. sulla Transumanza, L’Aquila-Sulmona-Campobasso-Foggia, 1984, p. 7 sgg.; sulla circolazione monetale nell’area cf. Id., Larinum e la “Daunia settentrionale”, in Athenaeum, n.s. 65, 3-4, 1987, p. 520 sgg., con la bibliografia completa al riguardo.
41 P. Poccetti, cit. a nota 33, p. 53, n. 41; l’Ambrosetti, art. cit. a nota 23, p. 17, nota 2 e fig. 2, esclude che si tratti di iscrizione dedicatoria.
42 G. De Benedittis, REI 11, in SE, 51, 1985, p. 311 sg.: l’A., accertato-sulla base della documentazione fotografica di scavo-il sicuro andamento sinistroso delle lettere, può ragionevolmente supporre che la presunta k, lacunosa nella parte superiore, possa anche leggersi d; l’equivoco sull’andamento della grafia (che Poccetti, cit. alla nota precedente, definisce destrorsa) deriva da un impreciso apografo destrorso dell’Ambrosetti (art. cit. a nota 23, p. 15, fig. 2) il quale peraltro si dichiara (p. 17, nota 2) incerto riguardo al verso delle lettere; cf. parimenti R. Antonini, REI 9, in SE, 49, 1983, p. 318.
43 O. Parlangeli, Studi Messapici, Milano, 1960, p. 295 sg.; C. Santoro, Nuovi Studi Messapici 2, Il Lessico, Galatina, 1983, s.v. daxtas/dazzim [as?].
44 P. Poccetti, cit. a nota 33, p. 77 sg., n. 100.
45 C. De Simone, in Indog. Forsch.”, 63, 1957, p. 253 sgg.; V. Pisani, in Indog. Forsch., 64, 1958, p. 169 sgg.; V. Cianfarani, Vecchie e nuove iscrizioni sepinati, in Atti III Congr. Int. Epigrafia Greca e Latina, Roma, 1959, p. 375, n. 1 (tav. 47, 1); O. Parlangeli, Le iscrizioni messapiche, Messina, 1960, p. 240 sg., n. 310; A. La Regina, in F. Coarelli - A. La Regina, Abruzzo-Molise, Roma-Bari 1984, p. 228.
46 Cf. nota 40.
47 Vetter, n. 5 c7; per l’etnico vd. anche n. 190 (cf. nota 6).
48 A. La Regina, Il Sannio, in Hellenismus in Mittelitalien, 1, Gottingen 1976, p. 219 sgg.; per i singoli siti vd. inoltre AA.VV. Sannio, cit. alla nota 1; inoltre, A. La Regina, in F. Coarelli - A. La Regina, Abruzzo-Molise, cit. p. 202 sgg.
49 A. Di Niro, Sannio, cit. alla nota 1, p. 286 sgg.
50 A. Di Niro, La villa romana di S. Fabiano e il sistema di produzione schiavistico, Matrice, 1982, p. 13 sgg.; Ead., Roccavivara, villa rustica, in Conoscenze, 1, 1984, p. 213 sgg.
51 M. Gaggiotti, Pavimenta Poenica marmore Numidico constrata, in L’Africa Romana, 5, 1988, p. 215 sgg.; l’identificazione dei cocciopesti decorati con tessere ο scaglie con gli scutulata, proposta da M.L. Morricone, Scutulata pavimenta, Roma, 1980, non è accettabile.
52 Che l’apporto “campano” possa ragionevolmente ritenersi limitato alle realizzazioni più impegnative sul piano monumentale e marginale rispetto agli elementi di dettaglio (quali possono essere i pavimenti), potrebbe essere suggerito, ad abundantiam, dall’evidente carattere “di facciata” di certe realizzazioni, caricate di particolari valenze ideologiche: a Campochiaro, ad esempio (cf. S. Capini, Campochiaro, cit. a nota 33, p. 21 sgg.), la monumentale porta occidentale d’accesso al santuario, costruita in accurata opera quadrata e coperta da un fornice a conci lapidei, si apre su un circuito murario eseguito in una tecnica poligonale assai scadente (a fronte di esempi più raffinati parimenti colà documentati), certo affidata a maestranze reperite localmente.
53 Anche nel caso, già da me prospettato (M. Gaggiotti, Il Sannio Pentro, cit. alla nota 32, p. 139), che la costruzione del tempio minore possa essere avvenuta nel corso stesso del bellum sociale (proprio a causa del venir meno del supporto delle maestranze esterne che è indiziato, forse dalla incompiutezza del tempio maggiore), essa implicherebbe, quantomeno, la “riattivazione” di capacità tecniche tradizionali momentaneamente eclissate dalla tendenza del committente (pubblico ο privato) ad esprimersi nelle forme ideologicamente più rappresentative garantite dall’opera quadrata.
54 Recentemente puntualizzati in G. De Benedittis, Larinum e la “Daunia settentrionale”, cit., p. 516 sgg.
55 Cf. supra, p. 6.
56 G. Colonna, Sul ritratto detto da Pietrabbondante, in SE, 25, 1957, p. 567 sgg.; Id., Nota aggiuntiva all’articolo sul ritratto detto da Pietrabbondante, in SE, 26, 1958, p. 303.
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Università di Perugia
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