La romanizzazione del Sannio nel II e I secolo a.C.
p. 9-19
Texte intégral
1La conoscenza di quel periodo di crisi e di trasformazione che viene definito in senso lato quello della romanizzazione del Sannio è, allo stato attuale, a diversi livelli.
2Mentre sappiamo molto sulla natura giuridica ed istituzionale della questione - e ciò è dovuto, oltre che alle fonti antiche, anche ad un certo numero di iscrizioni illuminanti - per quanto riguarda la sua natura socio-economica, si è nella fase di una sempre più approfondita ricerca, fondata soprattutto sulle testimonianze archeologiche1. Prima dell’arrivo dei Romani, l’alto Molise ed il Molise centrale erano abitati dai Sanniti pentri, i quali arrivavano a nord-ovest fino ad Aufidena. Il territorio occupato dai Pentri si presentava con un’alta percentuale di zone montane improduttive, per le quali era possibile solo uno sfruttamento di tipo pastorale ο forestale. Esistevano poche, anche se ottime, aree coltivabili, nei territori circostanti quei centri abitati nei quali in seguito verranno istituiti i municipia: Aufidena, Bovianum, Saepinum in terreni pianeggianti; Fagifulae e Terventum in terreni collinosi.
3I rapporti tra le popolazioni italiche abitanti nel Sannio pentro e i Romani furono, fino al Bellum Sociale, conflittuali; le due entità che si contrapponevano erano di uguale forza; ma, dopo la battaglia di Porta Collina dell’82 a.C., e la conseguente distruzione di numerose città da parte di Silla, la situazione venne drasticamente forzata a favore di Roma.
4Va ricordato che, negli ultimi tempi del Bellum Sociale, Roma concesse, con la Lex Julia, la cittadinanza a tutti gli italici. Contemporaneamente, procedette ad un’operazione di assetto territoriale mediante la fondazione dei municipia che, rappresentando essi un’unità amministrativa, facilitava la riscossione delle tasse e l’attuazione della leva militare: in sintesi, realizzava un accentramento di funzioni di tutto vantaggio per il potere centrale.
5Le lunghe guerre di Roma con gli Italici, dalle guerre sannitiche a quelle annibaliche alla guerra sociale, comprese in un arco di tempo che va dal IV al I secolo a.C., avevano fiaccato soprattutto le resistenze italiche: difatti le forze romane avevano depredato e distrutto abitati e santuari; e proprio nei santuari erano raccolte le ricchezze comuni e vi si faceva la politica comunitaria.
6Ma la municipalizzazione - preludio alla romanizzazione diffusa - incontrò diverse difficoltà, a causa del contrasto tra un’organizzazione territoriale razionale ed il sistema tradizionale agricolo-pastorale dell’economia italica, che si esprimeva tra l’altro in una forma di insediamento sparso. Infatti, l’economia basata sulla pastorizia e sulla coltivazione estensiva non era favorevole ai grossi insediamenti2.
7Ai decenni seguenti alla guerra sociale risale lo spopolamento del Sannio di cui parla Strabone3 (tav. I fuori testo): in effetti, anche i municipia istituiti dai Romani saranno relativamente assai pochi rispetto all’estensione territoriale. Con il processo di municipalizzazione, sia pure lento e faticoso, la romanizzazione avrà finalmente partita vinta: difatti, la nuova organizzazione amministrativa, con la sua azione capillare, alla lunga prevarrà sulla locale mentalità contadina. Anche l’organizzazione della transumanza lungo le calles ebbe un particolare sviluppo con il consolidarsi del potere romano. La lingua osca, anche se ancora parlata, divenne una specie di dialetto: la municipalizzazione fu certamente un tramite per la diffusione del latino. La politica di municipalizzazione da parte del potere di Roma, se non poteva non tenere conto di situazioni precedenti, finì per forza di cose per fare anche delle scelte discriminanti ed estranee alla realtà locale. Infatti, mentre i municipia di Bovianum e di Saepinum sorsero su luoghi che avevano già una loro precisa realtà abitativa, e la posizione strategica di Terventum nella valle del Trigno fa pensare ad un precedente importante insediamento sannitico4, Aquilonia (identificabile con l’insediamento di Monte Vairano) rimase invece nella condizione di vicus. In questo periodo, testimonianze di vita scompaiono dai santuari di Pietrabbondante e, sia pure in misura ridotta, di Vastogirardi; nel santuario di Campochiaro per un intero secolo non c’è traccia di frequentazione, che torna ad essere documentata in seguito, nel I secolo dell’impero5; anche il santuario di S. Giovanni in Galdo subì una forte contrazione delle sue attività, anche se poi riprese in parte quota nel I secolo d.C., nel quadro di una politica imperiale volta al recupero della provincia. La municipalizzazione portò di conseguenza alla concentrazione di attività edilizie nei municipia, i cui centri pubblici cominciarono a prendere consistenza, grazie anche ai finanziamenti dei collegia ed alla liberalità dei magistrati, ricchi cittadini proprietari di terreni agricoli e di pascoli. I municipia, sedi del potere amministrativo, assommavano in sé anche le funzioni produttive agricole, artigianali e di scambio. Un nuovo tipo di entità produttiva prese forma con le villae, che in seguito percorreranno la strada delle funzioni agricole specializzate.
8Questa è, a grandi linee, la situazione nel Sannio pentro all’indomani del Bellum Sociale. In maniera un po’diversa si comportarono i due centri di frontiera, Venafrum e Larinum. Per quanto riguarda Venafrum, la relazione della dottoressa Capini ne approfondirà le caratteristiche; due parole, allora, su Larinum. Essa, documentata in età arcaica, era già una ricca città nel IV secolo a.C.; raggiunse il suo massimo sviluppo nei secoli III e II, grazie soprattutto al commercio della lana, ed in questo periodo ebbe monetazione autonoma. All’epoca di Cicerone6, Larinum era ancora una città ricchissima e corrotta. Non si sa nulla della sua condizione giuridica: si sa soltanto che all’epoca della regionalizzazione augustea essa venne assegnata alla Regio II (Apulia), nonostante la sua appartenenza all’area frentana. All’origine di questa annessione stanno motivi d’ordine non solo geografico, poiché le caratteristiche anomale della città l’avvicinano politicamente e culturalmente più all’ambiente apulo che a quello sannitico.
9Entro questa cornice è interessante approfondire l’indagine sul centro di Æsernia che, possedendo una struttura urbana con due secoli di anticipo sugli altri insediamenti del Sannio pentro, rappresenta un punto di riferimento per la comprensione storica dell’area.
10Isernia, a m. 470 sul livello del mare, è ubicata tra i fiumi Carpino e Sordo, e tra la catena delle Mainarde a nord ed il massiccio del Matese a sud. Anticamente, essa era collegata dalla via Minucia con Aufidena da una parte, e con Bovianum e Beneventum dall’altra; per mezzo di una strada di cui non si conosce il nome, era anche collegata con Larinum. Un’altra strada, più piccola, attraversava la valle del Volturno, passava per Venafrum e si immetteva nella via Latina. Secondo Livio7, Æsernia era stata occupata dai Romani nel 295 a.C.: già allora doveva esistervi un insediamento sannitico, perché Livio parla di Ager Æserninus. Nel 263 a.C. era stata fondata la colonia latina, in un sito strategicamente ottimo per la comunicazione con la Campania, e per il controllo sull’hinterland sannitico. La fondazione della colonia testimonia una prova di forza dei Romani i quali, in tal modo, si assicuravano anche la connessione tra l’Apulia e l’Italia centrale.
11La fondazione della colonia latina di Æsernia rappresenta il momento finale e razionalizzante della politica di infiltrazione di Roma nel territorio italico, dopo le disastrose guerre sannitiche: in occasione della fondazione della colonia, vennero effettuate confische territoriali nell’alta valle del Volturno, volte a rendere più stabile la penetrazione romana.
12Æsernia che, nella sua qualità di colonia latina, è tra i centri meglio documentati del Sannio pentro, doveva avere, nel III secolo a.C., una popolazione di Sanniti liberi di circa 8.000 persone; oltre ad essi, sono da considerare i coloni che, con i familiari, avranno raggiunto le 7.000 persone8. I Sanniti liberi, che forse superavano di numero i coloni, erano nella condizione giuridica di Samnites incolae, ed erano organizzati in collegia, con quattro magistri: l’organizzazione in collegia, che rappresentavano una sorta di semimagistratura, e pertanto erano strumento di selezione, dava la possibilità di acquisire il diritto latino, e di essere quindi ammessi nello status di coloni. Questa situazione è documentata da un’iscrizione del II secolo a.C.9, che chiarisce i rapporti tra i latini arrivati da poco ed i vecchi abitanti del territorio che era stato oggetto di confische. Le iscrizioni posteriori, invece, si riferiscono a personaggi discendenti dai coloni che avevano occupato la zona. Comunque, Isernia era una città di modeste dimensioni (105.000 metri quadrati, in confronto con i 120.000 di Sepino e con i 274.000 di Venafro).
13Testimonianza del periodo della fondazione della colonia è il tempio italico il cui podio, da sempre visibile lungo la parete sinistra della cattedrale, è stato scavato all’interno della chiesa e nel cortile della Curia vescovile10; testimonianza di questo periodo sono anche i grossi muri di contenimento, più che di cinta, che si sono rinvenuti negli ultimi anni all’interno dei cortili dell’ex convento di S. Maria delle Monache11, e quelli già visibili lungo il perimetro della città medioevale. Altri resti della città antica sono localizzabili al di sotto della città attuale: il decumanus maximus doveva essere sotto corso Marcelli.
14Dopo il Bellum Sociale, ad Isernia ci fu quasi certamente una nuova fondazione, con l’istituzione del municipium12: essa era stata capitale degli insorti dopo la caduta di Corfinium; e, di conseguenza, era stata distrutta da Silla; perciò alla fine della guerra era ridotta alle dimensioni di un villaggio13.
15Con la formazione del municipio, vi fu una nuova affluenza di popolazioni, per lo più laziali, in stretta connessione con le confische e le distribuzioni di terreno attuate da Silla: sì che, già alla metà del I secolo a.C., l’origine sannitica degli abitanti di Isernia era diventata molto labile14. Probabilmente, per un breve periodo, Isernia tornò ad essere colonia, ma ridivenne ben presto municipium15.
16Probabilmente ai primi anni del municipium si riferisce il podio di tempio rinvenuto recentemente nel cortile del palazzo vescovile16. Questo podio è convergente rispetto a quello del tempio della colonia; e, a meno che non ci si sia imbattuti su di un lato corto del tempio, esso era molto più piccolo del precedente; ma l’elemento particolarmente importante è che, essendo essi sullo stesso piano, hanno certamente convissuto.
17Isernia certamente, dopo la sua distruzione e dopo l’istituzione municipale, ebbe un periodo di crescita, coïncidente con l’età cesariana. E questo è comprovato dai numerosi rilievi in pietra rinvenuti murati nella città ο provenienti dalle necropoli attigue ad essa; questi rilievi, funerari ed onorari, testimoniano il notevole benessere dei suoi abitanti17.
18La colonia aveva già creato una struttura urbana; ma poi, con i vari eventi culminati con la guerra sociale, c’era stato un diffuso rimescolamento delle parti, e gli italici avevano in parte ripreso terreno; ora, con il municipium, si assiste alla nascita di una organizzazione cittadina che dovette provocare dei grossi cambiamenti in una popolazione ormai etnicamente mista, ma comunque dedita all’agricoltura ed ancora organizzata, per lo meno nel territorio, per vici e per pagi.
19Nei rilievi ed iscrizioni, databili per la loro maggior parte dalla metà del I secolo a.C. alla metà del I d.C., compaiono molti cognomina che documentano l’immigrazione avvenuta due secoli prima (Æbutii, Septimii); ma vi sono anche alcuni nomi sannitici (Decitia); i Nonii e i Vibii sono documentati per parecchie generazioni18. È notevole la grande cura nell’adornare con fregi e scene le tombe, che si trovano lungo le vie d’accesso alla città, soprattutto lungo la via per Venafro.
20Circa venti iscrizioni documentano la più alta carica municipale, il quattuorvirato; quattro volte è citato il municipium19; in un’iscrizione dell’epoca della guerra sociale è nominato un praetor20; si trovano gli aediles21, i quaestores22, un curator annonae23; sono testimoniati vari collegia24. Nella sfera del sacro, troviamo Vaugur25, i flamini augustales26, i seviri augustales27. La tribù è la tromentina.
21In sostanza, le iscrizioni disegnano il quadro di una piccola ma ricca città, che viveva soprattutto di agricoltura, pastorizia ed artigianato.
22Oltre ad alcune statue a tutto tondo che rappresentano dei togati ο delle donne panneggiate, ed al ritratto in marmo di un bambino di età augustea, il materiale scultoreo di Isernia consiste in una serie di rilievi. I rilievi funerari rappresentano scene di vita vissuta28; di battaglie, anche navali29; mitologiche30; su di un rilievo è rappresentata la battaglia di Alessandro31. Ad una grossa tomba appartengono i numerosi fregi di soggetto gladiatorio, probabilmente tutti di un solo monumento32. Significative le urne a cofanetto, secondo una tipologia nota presso i Peligni33. Alcuni rilievi con i ritratti a mezzo busto, di tipica produzione italica, sono simili a quelli che si trovano in ambiente caudino ed irpino34. Un interessante rilievo con barbaro inginocchiato, su un elemento di sostegno, rientra, come soggetto, nel quadro della politica di propaganda romana35. Numerose sono anche le basi onorarie iscritte, ornate di fregi dorici; ed ai rilievi onorari appartiene anche la base di Marcus Nonius, dedicatagli da uno schiavo36: M. Nonius, che da un’altra iscrizione risulta essere quattuorvir quinquennalis, faceva parte del ristretto circolo delle grandi famiglie isernine37. La base di Nonius, lavorata su tre lati, ha tre registri sulla facciata e due sui lati: sulla facciata è rappresentato il sacrificio alla Fortuna Nemesis·, sui lati, il trofeo con le armi ed un barbaro, e la cornucopia.
23Sostanzialmente, la maggior parte dei rilievi di Isernia, nonostante la propaganda politica romana talora abbastanza evidente, parlano tuttora italico. I coloni, che erano giunti nel secondo quarto del III secolo a.C., e che avevano costruito il tempio della colonia latina, avevano portato con sé le forme artistiche della vecchia patria, il Latium Vetus: e ciò dovrebbe significare che dal III secolo a.C. non si dia alcuna forma artistica indigena. In realtà, le cose ci appaiono abbastanza diverse. All’apparenza le rappresentazioni, eseguite da artigiani locali, si orientano spesso su temi di propaganda politica: la lupa di Roma sulla base onoraria di Sextus Appuleius38; il barbaro in ginocchio39; il sacrificio dello schiavo di Nonius sull’altare della Fortuna Nemesis40, e la cornucopia simbolo della Pax Augusta; anche il rilievo di nave41, contraddittorio in un ambiente tutto contadino, è una probabile allusione alla battaglia di Azio.
24In realtà, la creazione di una mentalità cittadina si fa strada faticosamente in un mondo di pastori e di agricoltori, che viene a contatto forzato con forme di vita più raffinate. Da questo contatto, nasce uno strato di persone benestanti che, per rappresentare se stesse, si servono di diverse forme iconografiche combinate tra loro, e le semplificano adattandole ad un ambiente che cerca di inventarsi una nuova identità.
25Questo contributo non è che un primo approccio per la conoscenza più approfondita di un mondo ancora tutto da studiare; e che va studiato non isolandolo da un contesto più ampio, d’ambito appenninico, dove vanno ricercati analoghi fenomeni ed analoghe linee di tendenza.
Notes de bas de page
1 Bibliografia essenziale: A. La Regina, Contributo dell’archeologia alla storia sociale: i territori sabellici e sannitici, in Dialoghi di Archeologia, IV-V, 1970-71, pp. 452 e ss.; G.F. De Benedittis, Bovianum e il suo territorio, Salerno, 1977; S. Diebner, Æsernia-Venafrum, Roma, 1979; A. La Regina, Sannio. Pentri e Frentani dal VI al I secolo a.C., Roma, 1980, Introduzione; F. Coarelli e A. La Regina, Abruzzo Molise (Guide Laterza), Bari, 1984; E.T. Salmon, Samnium and the Samnites, Cambridge, 1967 (edizione italiana: Sannio e i Sanniti, ed. Einaudi, Torino, 1985).
2 Ma forse l’abitato esplorato recentemente a Monte Vairano può dire qualcosa di diverso: cfr. G.F. De Benedittis, Monte Vairano. La casa di LN, Campobasso, 1988.
3 Strabone, V,4,11.
4 Ma della Terventum preromana non si sa quasi nulla.
5 Cfr. S. Capini e altri, Campochiaro. Potenzialità di intervento sui beni culturali, Campobasso, 1982.
6 Cicerone, Pro Cluentio.
7 Livio, X, 31.
8 I dati sono stati raccolti da A. La Regina, Contributo dell’archeologia alla storia sociale: i territori sabellici e sannitici, in Dialoghi di Archeologia, IV-V, 1970-71, pp. 452 e ss.
9 Id., op. cit., fig. F.
10 Scavi condotti negli anni 1980-82 dalla dott.ssa Anna Zevi Gallina, la quale ha potuto ipotizzare che la parte anteriore del tempio fosse sotto l’abside della cattedrale.
11 Scavi condotti dalla Soprintendenza Archeologica del Molise, sotto la direzione della dott.ssa Cristiana Terzani.
12 Diodoro, 37, 2, 9.
13 Strabone, V, 3, 10; Diodoro, 37,19,1; Livio, Periocha LXXIII.
14 E.T. Salmon, Sannio e i Sanniti (ed. italiana), Torino, 1985, p. 394.
15 Questa notizia, riportata nel Liber Coloniarum, p. 233L, è confermata da un’iscrizione in cui è citato il duovir: CIL, IX, 2662.
16 Scavi condotti dalla Soprintendenza Archeologica del Molise, sotto la direzione della dott.ssa C. Terzani, volti ad ottenere la fruizione e la valorizzazione del podio del tempio italico rinvenuto all’interno della Cattedrale.
17 Il materiale lapideo rinvenuto ad Isernia e nei dintorni è quasi tutto conservato nel locale Museo Civico, istituito nel 1934; esso è stato studiato nel suo complesso dalla dottssa S. Diebner che ne ha curato il catalogo (S. Diebner, Æsernia-Venafrum, Roma, 1979); è in corso il suo restaura e la sua sistemazione razionale in locali restaurati aU’interno dell’ex convento di S. Maria delle Monache.
18 S. Diebner, op. cit., p. 27.
19 CIL, IX, 2646, 2649, 2655, 2678.
20 CIL, IX, 2664.
21 CIL, IX, 2656, 2663.
22 CIL, IX, 2648.
23 CIL, IX, 2663.
24 CIL, IX, 2683, 2686, 2687.
25 CIL, IX. 2648.
26 CIL, IX, 2648, 2655.
27 CIL, IX, 2656, 2658, 2676, 2684.
28 Cfr. la stele di Calidius Eroticus, ora al Museo del Louvre: S. Diebner, op. cit., Is 62, con bibliografia precedente.
29 Ead., op. cit., Is 24; Is. 20, 21; per il rilievo di battaglia terrestre, cfr. R. Bianchi bandinelli, Studi Miscellanei, X, 1966, p. 11, tav. 111,9; per i rilievi di battaglia navale, cfr. M. Floriani Squarciapino, Scavi di Ostia, III, Le necropoli, I, 1955, pp. 191 e ss.
30 S. Diebner, op. cit., Is 22; cfr. C. Caprino, in Enciclopedia dell’Arte Classica, s.v. Issione·, A.D. Trendall, The red-figured vases of Lucania, Campania and Sicily, Oxford, 1967, p. 338,II/788; A. Maiuri, Una metopa del tempio del foro triangolare a Pompei, in La Parola del Passato, X, 1955, pp. 50 e ss.
31 S. Diebner, op. cit., Is 23; cfr. R. Bianchi Bandinelli, Studi Miscellanei, X, 1966, p. 11, nota 8, tav. III,8; ID., Roma. L’arte romana al centro del potere, pp. 29-30 e fig. 32.
32 S. Diebner, op. cit., Is 12-19: per questi rilievi sono state fatte dalla dott.ssa S. Diebner delle ipotesi di ricostruzione; si veda D. Faccenna, Rilievi Gladiatori, in Bollettino Comunale, LXXIII, 1949-50, pp. 3 e ss.; ID., Rilievi Gladiatori, in Bollettino Comunale, LXXVI, 1956-58, pp. 37 e ss.; R. Bianchi Bandinel LI, in Studi Miscellanei, X, 1966, pp. 13 e 16; nel Molise, si veda S. Diebner, op. cit., Vf 39 e 40; P. Maribelli, I rilievi gladiatori, in Saepinum, Campobasso, 1982, pp. 303 e ss.
33 S. Diebner, op. cit., Is 41, 44, 47, 48, 49, 50; cfr. G. Colonna, Urne peligne a forma di cofanetto. Contributo allo studio dei rapporti etrusco-sabellici, in Rendiconti Lincei, XIV, S. VIII, 1959, fasc. 5-6, pp. 297 e ss.
34 S. Diebner, op. cit., Is 5761; questo tipo di monumento, diffuso nella tarda repubblica in tutti i municipi e colonie d’Italia e delle provincie occidentali dell’impero romano, si trova frequentemente murato nei centri storici delle provincie di Avellino e Benevento; per il suo significato, si veda R. Bianchi Bandinelli, op. cit., p. 16; cfr. P. Zanker, Grabreliefs Römischer Freigelassener, in Jahrbuch der Institut, 90, 1975, pp. 267 e ss.
35 S. Diebner, op. cit., Is 11; si veda il rilievo di Budapest del legionario Septimius: R. Bianchi bandinelli, Roma. L’arte romana al centro del potere, Milano, 1969, pp. 340 e 342, fig. 381; il fregio del tempio di Apollo Sosiano: Id., op. cit., pp. 68-69, fig. 78; in Molise, si vedano i barbari raffigurati sulle porte urbiche di Saepinum: S. Diebner, La scultura, in Saepinum, Campobasso, 1982, p. 214.
36 S. Diebner, Æsernia-Venafrum, Roma, 1979, Is 27; cfr. R. Bianchi Bandinelli, Studi Miscellanei, X, 1966, p. 9.
37 CIL, IX, 2642.
38 S. Diebner, op. cit., Is 28.
39 Ead., op. cit., Is 11.
40 Ead., op. cit., Is 27.
41 Ead., op. cit., Is 20 e 21.
Auteur
Soprintendenza archeologica e per i BAAAS del Molise
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