Eracle euboico a Cuma. La Gigantomachia e la Via Heraclea
p. 19-51
Texte intégral
11. Una nuova testimonianza del culto di Eracle a Cuma. Durante la ricognizione, nei depositi del Museo Nazionale di Napoli, del materiale cumano, attuata insieme alla dott. ssa C. Albore Livadie, è stato trovato un vasetto acromo, la cui notevole importanza è data da una dedica grafita sulla spalla. Il numero di inventarioe il tipico cartellino in pergamena indicano, senza ombra di dubbio, che tale oggetto pervenne al Museo di Napoli in seguito all’acquisto del materiale trovato dallo Stevens nei lunghi anni delle sue ricerche in suolo cumano1.
2Si tratta di una piccola olpe apoda in argilla camoscio piuttosto scuro (fig. 1), certamente non locale, priva oggi dell’ansae leggermente sbeccata all’orlo2. La forma, a sagoma continua, corpo pressoché globulare, collo piuttosto stretto, bocca rotonda con labbro svasato, la ricollega ad esemplari della ceramica ionica dell’Est; l’esemplare in questione, come abbiamo detto, è privo di decorazione, il che rende piuttosto difficile un inquadramento cronologico trattandosi di un tipo vascolare appartenente alla ceramica di uso comune. Per la sagoma, il confronto più diretto è con esemplari databili al terzo quarto del VII, di cui abbiamo una documentazione sicurae che si avvicinano al nostro anche per le dimensioni ridotte (dai 9 ai 12 cm. di altezza). Olpai simili provengono dagli scavi dell’agorà di Atene: in un caso il vaso è ricoperto da vernice nera3, in un altro da vernice rossa4 ; la forma persiste ancora nel tempo: intorno al 500 a. C. è datato un esemplare sempre attico, ancora rivestito da vernice nera5.
3Nella seconda metà del VII secolo ancora, tra il 630e il 600 a. C., la stessa forma si ritrova a Chio6 con decorazione a fasce, come un esemplare da Rodi7.
4I prototipi di questi vasetti sono da riconoscersi nell’ambito della ceramica ionica dell’Est, gli esemplari più antichi dei quali sono stati trovati in numero cospicuo a Samo8. Un esemplare dall’Agora di Atene, importato molto probabilmente da Samo9, riconferma la cronologia alla prima metà del VII. Questi prototipi, oltre alla decorazione a fasce, divergono da quelli di fine VII per una maggior ampiezza del colloe per la presenza di un labbro molto più brevee meno espanso.
5Questo tipo diventa comunque molto comune nel VI secoloe si ritrova non solo ad Atene, Rodi, Samo, Chio10, ancora con decorazione a fasce, ma trova una sua collocazione ben precisa in Magna Greciae Sicilia11, prolungandosi nel V secolo ancora.
6Gli esemplari più tardi si differenziano soprattutto per una forma molto più slanciata del corpo, mentre, specie nell’occidente, la decorazione si riduce alla verniciatura dell’ansae della parte superiore del corpo. Dalla necropoli cumana proviene un gran numero di piccole olpai di questo tipo più recente, questa volta però in argilla locale12.
7Concludendo, sembra possibile individuare una certa evoluzione nel tipo, comunque difficile riguardando una classe di ceramica comune, e gli esemplari con profilo tendente al globulare, come il nostro vasetto, sembrano cominciare nel terzo quarto del VII secoloe non superare il 500 a. C.
8Quello però che rende particolare questo umile vasetto, confortando anche la datazione alta che se ne è data, è il graffito posto sulla spalla dopo la cottura (fìg. 2): su di essa si legge, in direzione retrograda hερακλει; ci troviamo quindi di fronte ad una offerta votiva ad Eracle, la più antica finora apparsa in Italia.
9L’aspirata ancora chiusa, come l’epsilon dai tratti obliqui, conferma l’arcaicità della dedica. Perfettamente resie chiaramente scritte sono le primee le ultime tre lettere (figg. 3e 6): hερe λει. Leggibile ma incisa con maggior difficoltà è l’alfa (fig. 4) con delle forti alterazioni: la forma priva di spigolo in alto ricorda l’alfa beotico del cui influsso risentono anche l’Eubeae la Tessaglia13, ma potrebbe in questo caso trattarsi di cattiva grafia. Sicuramente sbagliato è il kappa (fig. 5), ma tale errore si giustifica. Tra l’alfa e il kappa cadeva infatti l’ansa, ora mancante: nell’incidere in senso retrogrado, le prime tre lettere erano facilmente tracciabili. L’ingombro, costituito dall’ansa, rese invece prima difficile l’incisione dell’alfa e impossibile poi quella del kappa: l’ansa infatti non dava spazio per proseguire regolarmente da destra a sinistra l’incisione lasciando il vaso in posizione frontale. Il dedicante fu costretto quindi a capovolgere il vaso per tracciare il kappa-, in questo modo egli cadde in inganno cominciando a scrivere il kappa come se il vaso fosse ancora in posizione frontale, cioè con il trattino verticale a destrae i due tratti obliqui divergenti verso sinistra, mentre, avendo dovuto capovolgere il vaso, i segni dovevano essere invertitie scritti in senso sinistrorso. Accortosi dell’errore prima di aver completato il disegno intero l’incisore si sentì in dovere di correggere in qualche modo Terrore fatto, tracciando un altro tratto verticale sul versante opposto. Superata quindi la difficoltà dell’ansae ristabilito il senso giusto, le lettere successive furono incise senza più anomalie.
10Vediamo ora di riconoscere, se possibile, l’origine etnica del dedicante, basandoci sull’alfabeto usato. La prima cosa da fare è l’esclusione del mondo ionico, dove, per il fenomeno della psilosi, la aspirata non sarebbe stata usata e, in secondo luogo, l’esclusione anche del mondo calcidese, presentandosi il lambda con lo spigolo in alto. La lettera più caratteristica è il rho, perfettamente triangolare. Un segno siffatto è presente a Corinto, ma tale città si deve escludere in quanto manca nella nostra epigrafe il caratteristico epsilon corinzio; lo troviamo identico a Megarae a Sicione; in quest’ultima città però tale segno è importato da Megara stessae inoltre dovremmo anche trovare il caratteristico segno a clessidra per l’epsilon14. Non resta quindi che il mondo megarese.
11Le testimonianze epigrafiche di Megara Nisea, tutte non anteriori alla metà del VI, portano delle lettere molto simili a quelle corinzie con il segno β = ε, η. A Megara Iblea i testi di metà VI (cf. quello caratteristico del kouros di Som-rotipas) non mostrano ancora il β = ε, η ma il rho già perfettamente normale, non più reso con il solo triangolo come a Megara Nisea. Se risaliamo invece al VII secolo, la stele di’Ερατώ mostra chiaramente come in questo momento a Megara si usa l’epsilon normale e il rho triangolare. Un’altra epigrafe megarese dello stesso periodo con lo stesso segno triangolare contiene una dedica agli h]έρoισι ϑεοῖ[ς; alcune lettere seguenti hanno fatto supporre alla Guarducci che nel VII secolo fosse in uso nel mondo megarese il lambda « calcidese », sostituito solo in un secondo momento da quello con lo spigolo in alto15.
12Ritornando alla nostra epigrafe abbiamo testimoniata l’epsilon normale scomparsa almeno intorno alla metà del VI secolo, il che costituisce già un terminus ante quem ; un ρ reso con il segno triangolare, segno che andava scomparendo per normalizzarsi al momento della fondazione di Selinunte. Queste due lettere pongono quindi la nostra epigrafe intorno alla seconda metà del VII, vietando di scendere al VI a. C. Essa inoltre mostra come la forma del lambda più antico fosse già con lo spigolo in basso, e non del tipo « calcidese » come sembrava di intravedere in una delle lettere che seguono la dedica agli h]έρoισι ϑεοῖ[ς già citata. Un prestito dal mondo beotico invece potrebbe semmai far intravedere l’alfa, se, ripetiamo, non è solo sintomo di cattiva scrittura.
13Siamo quindi di fronte ad un oggetto « ionico » su cui un ignoto megarese graffi una dedica ad Eracle in terra cumana. Che il culto di questo eroe non sia estraneo a questo mondo, non è una novità: poco sappiamo per Megara Nisea, ma non è forse un caso che Megara è nella saga beotica la sposa di Eracle16 ; l’identità poi dell’eroe locale Alkathoos con Eracle Alkaios è stata abbondantemente notata17 ; a Megara è stata sepolta Alkmena18 per volere del dio di Delfie nello stesso luogo è sepolto Ilio19. Ricordiamo poi il nome dato ad una colonia pontica, Heraklea, anche se fondata con l’aiuto del Beoti20. Anche alcune epigrafi, sebbene più tarde della nostra, mostrano devozione per questo eroe: una è stata trovata presso Siracusa su uno skyphos a vernice nera21 degli inizi del V secolo; un’altra è incisa sulla gamba sinistra di una statuetta bronzea dell’eroe al Museo Benaki22. A queste due testimonianze deve ora aggiungersi il blocco di tufo con iscrizione bustrofedica rinvenuto a Poggioreale in territorio selinuntino23 : « io sono sacro ad Eraclee mi pose Aristylos figlio di Damias ». Il blocco, databile intorno al 580 a. C., farebbe parte di un temenos sacro all’eroe. Del resto è del 450 ca., la grande epigrafe con i nomi dei dodici dei, in cui il popolo selinuntino pone Eracle al terzo posto, terzo solo dopo Zeuse Phobos24.
14Avevamo dunque già varie testimonianze sulla presenza di questo eroe nel pantheon megarese; a queste si aggiunge ora questo vasetto cumano la cui alta cronologia porta un’ulteriore conferma dell’arcaicità di questo culto.
15Accettata la provenienza megarese di questa dedica, deve ora porsi la domanda che già la Jeffery si pose per lo skyphos trovato presso Siracusa25 : dove questo visitatore megarese dedicò ad Eracle il suo modesto vasetto? Esisteva anche a Cuma un culto di Eracle a cui potersi associare? La prima considerazione da fare è che di tale oggetto non si fa cenno nei taccuini Stevens, lì dove invece sono enumerati tutti gli oggetti da lui trovati negli scavi della necropoli, sia quelli in corredo che quelli sporadici; né sembra possibile che egli abbia omesso nelle sue descrizioni proprio questo vasetto: non infatti per la sua rusticità (abbiamo le misuree la descrizione di altri). L’iscrizione è poi profondamente graffita, in modo da risaltare subito. Sembra strano quindi che con queste particolarità sia stato omesso volontariamente dalle descrizioni dello Stevens26.
16Ne viene come conseguenza l’esclusione di una provenienza della olpe dalla necropoli. Essa deve essere stata trovata altrove, in una qualche area sacra. Sulla identificazione di essa torneremo alla fine di questo lavoro, dopo aver vagliato le testimonianze letterarie relative a questo eroe nell’ambito cumano ed euboico in generale.
172. La Gigantomachiae i suoi livelli. Le testimonianze più significative relative ad Eracle a Cuma si raggruppano intorno alla Gigantomachia, alla costruzione della via costiera tra il maree l’Averno, alla dedica delle spoglie del cinghiale di Erymanthos nel Tempio di Apollo.
18Cominciamo dalla Gigantomachia; per capire il perché della scelta di questa mitica contesa nel suolo cumano, è indispensabile riprendere in considerazione tutto il problema della Gigantomachia, dal suo svolgimento alle altre sue localizzazioni.
19Già nella Teogonia di Esiodo27 i versi ὄλβιος δς μέγα ἔργον εν άϑανάτοισιν ἀνύσσας/ ναίει ἀπήμαντος ϰαὶ άγήραος ἢματα πάντα costituiscono la più antica testimonianza dell’aiuto dato da Eracle agli dei. È infatti combattendo contro i Giganti, per la costituzione del kosmos di Zeus che l’eroe compie « una grande azione tra gli immortali ». Il verso seguente poi « abita tra gli immortali senza dolorie vecchiezza per tutti i tempi », associa la deificazione di Eracle proprio a questa azione dell’eroe, unica atta a concedergli l’immortalità.
20Un frammento delle Eoie28 contiene ancora un’allusione all’uccisione dei Giganti colpiti da Eraclee ancora un’allusione è nello Scutum pseudo-esiodeo29.
21D’altra parte prima di Senofane di Colofone30 dovevano esserci dei carmi dedicati, oltre che alla Titanomachiae alla Centauromachia, anche alla Gigantomachiae questi avevano carattere di στασιωτικά, riguardavano lotte interne ed erano invenzioni di προτέρων, risalivano cioè ad epoca non certo vicina a quella del filosofo, nato intorno al 565 a. C. L’associazione tra Titanie Giganti da un lato, il richiamo alle lotte civili dall’altro, lasciano pensare che egli conoscesse una Gigantomachia tutta vissuta all’interno del mondo divino, ma anche momento di violenzae forze brute contrapposte31.
22Questa Gigantomachia divina, cosmica, quale ci appare dalle testimonianze più antiche, viene dunque portata a termine con l’aiuto di Eracle, che assume anzi una funzione essenziale per la buona riuscita della battaglia. Ed è proprio questa impresa, compiuta a fianco degli dei, che rende ad Eracle l’immortalità, gli permette di sposare Hebee far parte delle gioie dell’Olimpo. Tutto ciò si intravede già in Esiodo ed è ancora più esplicitamente in Pindaro32 e in Euripide33, dove Eracle τον ϰαλλίνιϰο ν μετά ϑεῶν έκώμασε cioè eseguì la danza trionfale che già Zeus aveva ballato nella Titanomachia34.
23Sullo svolgimento veroe proprio della Gigantomachia non abbiamo che il testo tardo di Apollodoro35. Nel contesto della sua opera si inseriscono tuttaviae si evidenziano momenti ed episodi che denunciano ampliamentie modifiche intervenute successivamente.
24Evidentemente innovata è la funzione svolta da Atena quale tramite tra l’eroee Zeus: è lei che convince Eracle a venire in aiuto agli dei per combattere i Giganti ed è lei che suggerisce ad Eracle il modo di sconfiggere Alcioneo36. Nessuna menzione abbiamo infatti, nei testi più antichi, di una funzione mediatrice di Atena e, cosa ancora più evidente, tutte le rappresentazioni figurate arcaiche37 non accostano mai nella lotta Atena ed Eracle se non dalla fine del VI secolo: l’eroe nelle rappresentazioni più antiche è sempree solo vicino a Zeus, sulla sua quadriga ο in atto di salirvi, pronto a scagliare le sue frecce.
25Il momento in cui si nota questo cambiamento è d’altra parte ben individuabile cronologicamente ed è anche possibile riconoscere il luogo dove nacquee prosperò questa fusione tra l’Eracle legato a Zeuse l’Eracle legato ad Atena. Tale commistione, in cui la vicinanza di Atena all’eroe rende l’Eracle della Gigantomachia apparentemente simile a quello dorico, nasce infatti in una città ionica per eccellenza: nasce ad Atene,e in un momento particolare: l’avvento della tirannide di Pisistrato.
26Mentre infatti prima della metà del VI secolo a. C. le rappresentazioni di Gigantomachia in ambiente attico si contano sulle dita, dall’avvento di Pisistrato il numero diventa altissimo (circa 200 vasi) mentre ridiscende moltissimo nel periodo successivo: il Vian38 conta solo 55 vasi a figure rosse fino alla metà del V secolo a. C.
27È inoltre solo dopo il 550 a. C. che Atena viene accostata ad Eracle in questa azione39, per quanto entrambi siano posti accanto a Zeus, ancora in posizione dominante, mentre intorno al 530 a. C.40 ad esemplificare questo mito compaiono solo Atena ed Eracle, con una evidente sostituzione della figura della dea a quella di Zeus41. Numerosissimi sono poi i vasi in cui è rappresentata la sola Atena contro i Giganti: il Vian ne enumera ben 13842, mentre scarse sono le rappresentazioni vascolari che mostrano un’altra divinità che sola combatte con i Giganti nello schema della monomachia: solo 16 mostrano Poseidon, tre Dioniso, due Hermes43.
28Dal 530 a. C. poi, per tutto il periodo in cui i Pisistratidi detengono il potere, appaiono delle rappresentazioni particolarmente chiarificatrici: in esse infatti appaiono Atena ed Eracle sulla quadriga44. Già il Boardman45 ha notato una relazione tra queste scenee la politica interna di Pisistrato. Le notizie che abbiamo sull’avvento del tiranno al potere dopo l’esilio confermano queste ipotesi: egli infatti, entrando da trionfatore in Atene, si fa portare sull’Acropoli — dove pone la sua dimora — su un carro trionfale, sul quale prende posto accanto a lui una fanciulla armatae vestita come Atena46. Egli si presenta quindi come un novello Eracle che, sconfitti gli avversari simili ai Giganti presso il tempio di Atena nel demo di Pallene, merita di salire sull’acropoli come Eracle merita di salire sull’Olimpo.
29Del resto la politica di Pisistrato, tesa a « mettere ordine » nel disordinato mondo politico ateniese, ben si avvicina ad una cosmogoniae ad una vittoria di Zeus sui Giganti, ultima tappa prima di « mettere ordine » nel mondo.
30È evidente che la vittoria ottenuta proprio nel demo di Pallene dovette favorire l’accostamento eroe-tiranno, vittoria sui Giganti — vittoria sugli aristocratici; e ciò significa che Pallene nella Calcidica già a metà VI secolo a. C. doveva essere ritenuta la zona di scontro tra Zeuse i suoi avversari: abbiamo quindi una testimonianza, per quanto indiretta, di tale localizzazione in zona calcidese prima di Pindaro, prima cioè che il poeta lo dica a chiare lettere.
31Dobbiamo pensare anche che il nome di Pallene quale centro della Giganto-machia doveva essere ben diffuso già prima di questa data per poter aver presa sul pubblico ateniese sì da permettere l’immediato collegamento di una vittoria in Pallene con una vittoria di dei su degli anomoi47.
32L’importanza predominante che assume Atena nella Gigantomachia, che come abbiamo visto non è una figura essenziale nelle rappresentazioni più antiche, è in questo caso dovuta soprattutto al volere di Pisistrato, che per sancire il suo trionfo si fa accompagnare dalla dea poliade della città su cui vuolee riesce a prendere il comando. Questo non significa che la vicinanza di Atena all’Eracle delle dodici fatiche non fosse conosciuta nella seconda metà del VI secolo a. C.,e anzi favorisse questo accostamento, ma fornisce un’altra spiegazione alla presenza di questa dea accanto ad Eracle proprio nella Gigantomachia, cioè proprio in un episodio nato con altre caratteristiche in ambito, come meglio vedremo in seguito, diverso da quello dorico.
33Il fatto poi che Pisistrato, dopo la sua personale Gigantomachia, creda a buon diritto di poter assurgere al suo personale Olimpo, ossia all’Acropoli, avvalora la convinzione già espressa che proprio questa impresa valse ad Eracle il mondo degli Dei.
34Quanto si è potuto notare riguardando le raffigurazioni vascolari di questo periodo è d’altronde confermato anche dalla grande statuaria. È dell’età di Pisistrato il frontone in poros con l’avvento di Eracle all’Olimpo48 ed è dell’età dei Pisistratidi il frontone in marmo dell’Hekatompedon49. Su questo, cioè pro- prio su di un tempio a cui è impossibile disconoscere un significato politico nella decorazione figurata, compare proprio la Gigantomachiae proprio nel nuovo schema « creato »e funzionale a Pisistrato: Atena è al centro del frontone tra Eraclee Zeus. Che ciò sia giustificabile proprio politicamente è d’altro lato confermato dal frontone del tempio di Apollo a Delfi curato dagli Alcmeonidi. La potente famiglia ateniese avversa ed avversata da Pisistrato trova rifugio a Delfi (ed è nota l’avversione di Pisistrato per questo santuario pur essendo personalmente così interessato ai vaticini50 dove, grosso modo contemporaneamente al frontone di Atene su menzionato, ripropone la Gigantomachia questa volta per un tempio di Apollo, ma ritornando allo schema tradizionale più antico, con il fulcro centrale della raffigurazione occupata dalla quadriga di Zeus ed Hera: Atena è in secondo piano ed Eracle manca. È quasi una risposta a Pisistrato: tutta la sua politica poggia sull’ingannoe sulla mistificazione.
35Ritornando al racconto di Apollodoro, l’episodio stesso di Alcioneo non è inizialmente parte integrante della Gigantomachia, ma un episodio nella vita di Eracle: l’eroe, reduce con Telamone dall’impresa troiana, si scontra ed uccide il gigante Alcioneo mentre pasceva i buoi51 e sempre, nella tradizione figurata Alcioneo è distinto dagli altri giganti52. Inizialmente quindi Alcioneo è battutoe vinto da Eracle, ma questi combatte accanto ad un altro mortale, Telamone, e non accanto agli dei.
36Siamo quindi di fronte ad una Gigantomachia, se così si può chiamare, umana, che niente ha a che fare con quella cosmica.
37Innovazioni rispetto alla primitiva concezione sono anche le notizie in Apollodoro di fughe di alcuni Giganti dal campo di battaglia veroe proprio. Evidentemente funzionali al recupero nell’ambito della Gigantomachia cosmica di tradizioni locali, di sepolture di Giganti localizzatesi nel tempo in vari luoghi. Così ad esempio Encelado giace sotto la Sicilia scagliatagli contro da Atena53 e Polybotes sotto Nisyros lanciatogli contro da Poseidone nella sua fuga verso Cos54. Nessun cenno si ha infatti di fughe di Giganti in età arcaica, ma tutti periscono sotto i colpi degli dei e, a maggior sicurezza, trafitti dalle frecce di Eracle.
38Originario deve essere al contrario l’episodio di Porphyrion che ci mostra un Eracle accanto a Zeus nell’atto di difendere Hera55. È questa infatti una veste inedita per l’eroe, diametralmente opposta a quella dell’Eracle argivo delle dodici fatiche, perennemente perseguitato dalla dea. Antica anch’essa, basti pensare alla ferita che l’eroe infligge ad Hera nell’Iliade56, ma distinta da questa: Omero infatti non conosce la Gigantomachia né riconnette Eracle a questa ed anzi nella Nekyia57, pur sapendo di Eracle tra gli Dei, l’eroe viene unicamente considerato come vincitore di fiere, protagonista di mischiee massacri di eroi.
39Per tutto ciò la tradizione alternativa di Eracle, difensore di Hera, doveva essere ben salda ed antica anch’essa se, malgrado la fortuna dell’altra tradizione, si è conservata fino all’età di Apollodoro.
40D’altro canto Eracle difensore di Hera appartiene come si è detto alla Gigantomachia, e questa, momento essenziale per l’avvento del kosmos facente capo a Zeus, si colloca comunque in un momento « precedente » a quello « umano » in cui agisce l’Eracle argivo. Anche lo spazio interessato, come vedremo in seguito, è diverso: la Gigantomachia si svolge in zone dell’Eliade del tutto diverse da quelle essenzialmente peloponnesiache nelle quali sono localizzati gli Athla.
41La presenza di Eracle nella Gigantomachia cosmica sembra quindi mostrare un’origine autonoma, in cui l’eroe intrattiene con Hera dei rapporti amichevoli, di associazionee non di opposizione.
42In questo caso l’ipotesi del Vian58 che questo episodio della Gigantomachia segni il momento di riconciliazione finale tra l’eroee la dea va ribaltato: esso rimanda ad una realtà che non è né subordinata né posteriore a quella delle fatiche. Questo rapporto positivo Heracle-Hera si rivela d’altra parte originario in quanto emerge nella formazione stessa del nome Heracles59 ed è confermato da fonti da cui apprendiamo che proprio per aver difeso Hera l’eroe prese questo nome60.
43Notiamo ora un’altra cosa: Eracle difensore di Hera non compare altrove se non in un altro episodio documentato da una metopa dell’Heraion Foce Sele61 e da un vaso dell’attico Brygos62.
44In entrambi i casi si tratta dell’aggressione di Sileni ad Herae dell’intervento di Eracle in sua difesa. La singolarità di questa raffigurazione è chiaro indizio di una visione particolare di Eracle, visione diversa, anche in questo caso, da quella canonizzata nelle dodici fatiche, ormai prevalente nel VI secolo a. C. È sintomatico infatti che altrove si trovi Eracle in lotta con i Sileni in difesa di una dea, ma questa non è Hera, bensì Iris, divinità minoree di minor prestigio. Nessuna testimonianza letteraria cita l’episodio, ma la sua presenza nelle metope dell’Heraion, nelle quali è ormai documentata l’influenza di Stesicoro di Himera, fa supporre un’analoga origine letteraria di ispirazione. Del resto le due raffigurazioni si collocano cronologicamente in un epoca in cui l’opera di Stesicoro faceva sentire la sua immediata influenza63.
45Vero che non abbiamo nessun frammento stesicoreo relativo a questo episodio, sappiamo però che egli si occupò della caccia al cinghiale di Erymanthose della susseguente Centauromachia, vicenda in cui tanta parte aveva Pholos64. La tendenza stesicorea alle divagazioni, poteva facilmente condurlo a parlare dei Sileni, dopo essersi occupato di Pholos: questi infatti era figlio della ninfa Meliae di Sileno65. Checché ne sia di questa ipotesi, il fatto più interessante è l’episodio stesso scelto per esemplificare la turbolentae tracotante vitalità dei Sileni: un attacco ad Hera, sposa di Zeuse regina degli Dei. Un tale episodio non ricorre altrove, come si è detto, ma al Sele acquista forte rilievo, basti pensare che la scena occupa tre metope, al contrario delle altre che si risolvono solo in una ο al massimo due metope (combattimento con Eurytion), ed è seconda solo alla Centauromachia con sei metope. Questo fatto sta a dimostrare il rilievo che si vuol dare a questo episodio: Eracle quale difensore di Hera nello stesso atteggiamento della Gigantomachia. Non può essere quindi un caso che questo aspetto dell’eroe è valorizzato in un santuario le cui origini si fanno risalire a Giasonee agli Argonauti66, esponenti di quel mondo tessalico fortemente imparentato con l’Eubea67 ; santuario appartenente ad una città dove la presenza di tradizioni tessaliche ed achee affiora in più di un’occasione68.
46Questa situazione presenta analogie con quello che si riscontra in un altro tempio « acheo » della Magna Grecia, il Santuario di Hera Lacinia. La sua fondazione è dalla tradizione concordemente fatta risalire ad Eracle69. In questo caso l’eroe innalza un tempio ad Hera, omaggio ad una divinità che non sente nemica ma al contrario sente il bisogno di onorare. Che tutto ciò avesse riflessi cultuali molto precisi è dimostrato dall’episodio di Milone, sacerdote della dea, che in veste di Eracle, guida i Crotoniati alla vittoria nella guerra contro Sibari70. Non è allora un caso che al santuario del Lacinio si riconnette l’eroe tessalico Achillee sua madre Teti, che regala il ϰῆπος ad Hera71 ; ricordiamo inoltre la tradizione riportata da uno scolio a Teocrito IV 32 per la quale Crotone stesso, fondatore ed eponimo della città, è figlio di Eaco come Peleoe di conseguenza zio di Achille. E la cosa non è isolata perché anche un altro eroe acheo tessalico collegato ad Eracle, Filottete, era, come è noto, strettamente legato con la cro-toniatide72.
47In questo santuario poi Hera ha un carattere fortemente militare; per quanto attestato abbondantemente altrove73, qui però esso è particolarmente incisivo se la dea riceve l’epiklesis di Hoplosmia74, epiklesis rara che lascia intravedere un’Hera essa stessa armata. Anche questo aspetto era ben noto al sacerdote Milone che si faceva rappresentare su uno scudo nell’atto di reggere in una mano la melagrana. Questa raffigurazione armata è pressoché sconosciuta nel mondo greco; Hera in armi non compare nei monumenti figurati se non nella Gigantomachiae solo in epoca arcaica75. Si tratta quindi di una caratteristica che la dea ha pos- seduto in un’epoca remota, conservatasi solo in alcune tradizioni della Grecia. Non sembra un caso però che questo retaggio della Gigantomachia, con i due aspetti peculiari ad essa, Eracle difensore di Hera ed Hera in costume militare, si ritrovano in Magna Grecia in luoghi nei quali anche in epoca storica è noto il passaggio di Tessali (Poseidoniae Crotone), né tanto meno sembra un caso che la Gigantomachia stessa venga posta in Campania, zona di colonizzazione euboica. Tutto ciò confermerebbe che tale tradizione, remota fin che si vuole, è in epoca storica ancora tradizione viventee sentita soprattutto in ambito greco-settentrionale.
483. Localizzazioni della Gigantomachia. Abbiamo dunque visto che la Gigantomachia divina risale almeno al VII secolo a. C. e che allo stesso periodo, risale anche il ruolo affidato ad Eracle in questo scontro. Del resto un ruolo di primo piano nelle vicende cosmogoniche assumono costantemente figure non immediatamente equiparate agli Dei: così ad esempio gli Hekatoncheires nella Titanomachia76 e Kadmos nella lotta di Zeus contro Tifeo77. Abbiamo poi visto come nella tradizione più antica della Gigantomachia, è possibile isolare un Eracle diverso da quello argivo, un Eracle legato ad Hera più che ad Atena. E questa ultima considerazione ci ha portato ad un mondo tessalo-euboico.
49Vediamo ora se è possibile far risalire anche l’espansione della Gigantomachiae la sua localizzazione nel territorio cumano, che più strettamente ci interessa, allo stesso mondo euboico.
50Se si rileggono le fonti che citano il luogo dove i Giganti furono sconfitti, troviamo che esse sono concordi, da Pindaro in poi (tranne alcune eccezioni che saranno esaminate in seguito) nell’idenficarlo con Φλέγρα ο con un πεδίον Φλέ-γρας.78. Ciò porta immediatamente ad una localizzazione nella Calcidica, zona di colonizzazione euboica, e più precisamente nella zona di Pallene. È infatti nota già di Erodoto79 l’identità tra Flegrae Pallene, essendo questo il nome più recente; alla sua testimonianza si aggiungono i Παλληνιαϰά di Egesippo di Meky-berna80, Eforo81, lo Pseudo-Scimno82, etc.83.
51Ad una localizzazione ancora dei Giganti nella Calcidica riporta anche un verso di Licofrone84, dove si fa cenno alla Pallene nutrice dei Giganti, e un altro nel quale i Giganti, progenitori dei Pelasgi, provengono dalla Sitonia85.
52Siamo quindi di fronte ad una tradizione ben documentatae ben nota per lo meno dal VI secolo a. C.86 ; del resto l’episodio relativo alla politica interna di Pisistrato di cui ci siamo occupati precedentemente, ne è una conferma (cf. qui p. 25 ss.)·Ancora un toponimo Flegra torna nella tradizione che vede i Giganti vinti nella pianura campana, detta esplicitamente πεδίον φλεγραῖον ο direttamente Φλέγρα ο Φλεγραῖα. Tale tradizione, riportata diffusamente da Diodoro87 ma che risale esplicitamente a Timeo, racconta come alcuni mitografi narravano (μυϑολογοῦσιν) che i Giganti, razza superiore per forza, che conduceva una vita al di fuori di ogni legge, si schierarono nella pianura flegrea, poi detta cumana, contro Eraclee questi, insieme agli dei, li vinse.
53Tale narrazione presenta spunti interessanti: prima di tutto vediamo che anche qui il nome più antico della pianura è Flegrea, poi cambiato in Cumana, come nella Calcidica in Pallene. Siamo cioè di fronte a tradizioni molto simili che presuppongono tale scontro avvenuto prima della colonizzazione di questi luoghi, quando le colonie greche sono ancora da venire.
54In secondo luogo si può dedurre che questa leggenda localizzata in Campania sia parecchio anticae comunque ben più antica di Timeo, come mostra l’uso del verbo μυϑολογοῦσιν.
55Come ultima, ma non in ordine di importanza, possiamo fare un’altra considerazione: questa tradizione si presenta con un’ottica assolutamente cumana. La pianura flegrea viene esplicitamente detta το ϰυμαῖον πεδίονe il Vesuvio viene considerato come appartenente ai Cumani: siamo di fronte ad una tradizione in cui Napoli non è ancora apparsa! Sempre sotto quest’ottica cumana devono leggersi anche i passi di Strabone88, di Plinio89, di Solino90, mentre solo la tarda tradizione di Philostrato91 nomina i Neapolitani in relazione con la Gi-gantomachia.
56Abbiamo dunque una serie di testimonianze concordi nell’affermare che la Gigantomachia è connessa con un luogo chiamato Φλέγρα da porsi nella Calci-dica ο nella pianura Cumana. Sia a Pallene dunque che nei Campi Flegrei della Campania Eracle insieme agli Dei sconfigge i Giganti: non può considerarsi un caso che i due luoghi del mondo greco che portano questo nome siano entrambi colonizzati dagli Euboici. Difficile quindi scindere dalla loro presenza l’apporto di questa lottae di questo toponimo.
57Che anche a Cuma l’origine della Gigantomachia sia di origine euboica è ancora confermato dalla localizzazione sotto Procida del Phlegraios Mimante92, localizzato altresì nella Pallene93 e tra Chio ed Eritre, zone di forte presenza euboica94 ; non a caso poi lo stesso Mimante, sia pure come Curetae non come Gigante, riappare tra i Coribanti di Calcide95.
58Se dunque la Gigantomachia ebbe una sua localizzazione precipua in una zona dal mitico nome di Flegrae questa zona è da identificarsi con Pallene ο con la pianura « cumana », non mancano altri luoghi che vantano il mitico scontro nei loro confini. Tali tradizioni, però, dovettero la loro origine a cause contingenti, origine molto spesso dovuta a cause naturali. Esse mostrano quindi con la Gigantomachia un rapporto lontano in cui il contributo mitico non vale per se stesso, ma viene usato solo per spiegare fenomeni naturali. Questo è il caso ad esempio di Megalopoli, dove a Bathos, nella pianura a N-W della polis, si diceva che vi fosse ancora il suolo bruciato dal fulmine di Zeus scagliato contro i Gigantie dove, nel tempio di Dioniso Pais, erano conservati i resti dei Giganti ivi seppelliti96. Ci troviamo dunque di fronte ad un tentativo « razionale » per spiegare un suolo bruciatoe il rinvenimento di colossali ossa che oggi, in seguito anche ad altri recenti ritrovamenti, possiamo identificare come resti di mammuts ed altri animali preistorici.
59Questo è un caso che si verifica spesso altrove, dove monti ed isolette vulcanichee rinvenimenti fortuiti di ossa di animali di ere precedenti furono dagli antichi ricollegate alla mitica razza dei Giganti ο al seppellimento di uno di essi97.
60Del resto già gli antichi avevano coscienza della spiegazione reale come mostra Svetonio98.
61Lascio da parte tradizioni ancora più late rispetto alla Gigantomachia come ad esempio il fatto che l’Arcadia prendeva il nome di Γιγαντίς99 ο che una zona della Macedonia si chiamava Πηλαγονία100 ο un’altra parte Ἀλμωπία dal gigante Almops101. A parte il fatto che già Vian102 ha dimostrato l’uso in un certo senso indiscriminato delle leggende dei Giganti nell’antichità, il fatto che una popolazione prenda il nome da un Gigante103 non porta di conseguenza alla localizzazione di una Gigantomachia cosmica in quella regione. Egualmente tarda, sorta dalla confusione tra Titanomachiae Gigantomachia, deve considerarsi la notizia di una Flegra in Tessaglia tra l’Olimpo, l’Ossae il Pelio104.
62In altre zone si spiegano i fenomeni naturali più disparati con la presenza dei Gigantie un tipico esempio se ne ritrova nella Salentina, dove delle fonti di acqua putrida fanno sorgere la leggenda che lì si sarebbero nascosti i Giganti scampati alla battaglia della pianura Flegrea ο Cumana: inseguiti da Eracle si sarebbero nascosti sotto terrae il sangue putrefatto delle loro ferite avrebbe provocato il terribile odore105. Qui come si vede, si presuppone sempre che la verae propria battaglia si sia svolta presso Cuma, il che mostra evidentemente il carattere derivato di questa localizzazione; d’altro lato questa leggenda non può risalire ad età arcaica, dato che tutta la tradizione più antica è concorde nel far morire tutti i Giganti sul luogo di battagliae non dà alcun spazio ad eventuali fughe, anche se temporanee106.
63È al contrario sintomatico che la presenza di Giganti nella Pallenee nella pianura cumana si accompagni al toponimo « Flegreo », lo stesso toponimoe l’unico con cui nella tradizione si identifica il teatro dello scontro tra Deie Giganti. Se infatti per Cuma si fa cenno a fenomeni naturali che rendono la zona « bruciata »)107 e ci si muove quindi in una logica di accostamento di Flegra a φλέγω sì che potremmo pensare che anche in questo caso la Gigantomachia sia stata ivi localizzata solo per spiegare mitologicamente reali fenomeni vulcanici, resta il fatto fondamentale che proprio e solo qui, come in Grecia solo a Pallene, si designò una pianura col mitico nome di Flegra.
64Si tenga poi conto di un altro fatto particolarmente indicativo: la tradizione più comune ed antica rimastaci sulla Gigantomachia, colloca lo scontro a Pallene, e qui il nome Flegra non si può mettere in relazione con fenomeni vulcanici: questa è infatti la zona meno alta della Calcidica, non vi si verificano fenomeni vulcanici né sgorgano fonti calde108. Pertanto il toponimo nella Pallene non può essere spiegato se non in relazione alle tradizioni mitiche che vi si collegano, tradizioni mitiche in cui un ruolo di primo piano è svolto dal fulmine di Zeus. Del resto anche nel caso dei Flegi di Orcomeno la connessione con φλέγω non comporta relazioni con fenomeni vulcanici109.
65Concludendo possiamo dire che nessun altro luogo afferma con tanto vigore di collegarsi alla Gigantomachia cosmica da dare il nome di Flegrea ad una sua pianura se non Cumae Pallene. Proprio nell’identità dunque del nome Flegra è da vedersi l’apporto euboico. Ne deriva che la tradizione della Gigantomachia svoltasi nella mitica Flegra è una tradizione tanto forte proprio nell’Eubea, unico comun denominatore che unisca Pallenee Cuma, nella comune visione di una colonizzazione euboica apportatrice di ordinee civiltà in ambiti prima dominati dal disordinee dalla violenza dei mitici Giganti.
664. I Giganti in Eubea. Niente ricollega direttamente l’Eubea ai Giganti, né è rimasta notizia di una Gigantomachia in suolo strettamente euboico.
67Abbiamo però un’autorevole fonte, Omero, che, se pur sembra non conoscere, come si è detto, una lotta tra gli Dei appoggiati da Eraclee i figli di Crono, ci dà una informazione indiretta del luogo di origine dei Giganti. Egli, infatti, parlando dei Feacie dell’origine della stirpe di Alcinoo110, dice quest’ultimo figlio di Nausithoo, nato dall’unione di Poseidon con Periboia, la figlia del capo dei Giganti Eurimedonte. Precedentemente111 aveva detto che Nausithoo era stato costretto ad emigrare dalla sua terra d’origine, Hypereia, a causa della tracotanza dei suoi vicini, i Ciclopi. È facile dedurre che Periboia partorì suo figlio Nausithoo ad Hypereia, cioè nella terra su cui questo regnò prima di essere costretto ad emigrare a Scheria; è evidente quindi che Poseidon si unì a Periboia nella terra di Eurimedonte, capo dei Giganti.
68L’identificazione di Scheria con l’isola di Corcira poggia su una salda tradizione: ne fa fede il santuario di Alcinooe Zeus sul porto principale di Corcira, santuario che era in mano delle cinque famiglie più ricche dell’isola, cioè della classe dominante112. Ricordiamo anche che già Alceo113 come Acusilao114 diccononcono i Feaci dell’isola di Corcira nati dal sangue di Urano, così come i Giganti.
69Resta da individuare quale è la zona greca che può identificarsi con Hypereia, sede primitiva di Nausithoo. Lasciando da parte l’identificazione poco probabile con Cuma, proposta da V. Bérard115, gli studi del Robert116 e del Gruppe117 portano entrambi all’Eubea, per quanto per vie diverse.
70Il primo parte dalla localizzazione euboica dei Ciclopi, cioè degli originari vicini dei Giganti: essi venuti dalla Tracia nella Kouretis, cioè nell’Eubea, avrebbero abitato Calcide; i vicini Giganti sarebbero allora da identificare con gli Ere-triesi, costretti secondo Omero ad emigrare. Che i Ciclopi abbiano posto nella mitologia euboica è d’altro lato dimostrato dal nome dato ad uno dei promontori più importanti dell’Eubea, Capo Geraistos, che porta proprio il nome di uno dei Ciclopi118. Vero è che la caratterizzazione dei Ciclopi euboici sembra differire da quella omerica. Qui essi sembrano non essere semplicemente pastori, dediti all’allevamentoe alla raccolta, quanto piuttosto fabbri ed artefici di armi: sono essi infatti che fanno le armi per Teuchio d’Eubea119.
71Questa tradizione dei Ciclopi fabbri è però altrettanto antica se non precedente a quella omerica. Essa infatti si ritrova legata alla Cosmogoniae particolarmente alla Titanomachia: sono essi che donano a Zeus Tarma della vittoria, il fulmine120.
72La loro fine poi, sempre secondo Esiodo121, è da attribuire all’ira di un Apollo particolare: questi, irato con Zeus che aveva ucciso suo figlio Asclepio con il fulmine, arma appunto creata dai Ciclopi, si vendica colpendoli con le sue frecce. La punizione di Zeus non tarda ad arrivare ed Apollo è obbligato a servire Admeto come teta. La localizzazione di questa leggenda porta dunque ad un ambito ben preciso: da un lato la Tessaglia — ricordiamo che Asclepio aveva imparato dal Tessalo Chirone l’arte della medicinae che Admeto è re di Fere —, ma dall’altra parte proprio l’Eubea: è nel santuario di Tamynae presso Eretria, fondato da Admeto, che Apollo in ricordo della sua espiazione viene onorato come pastore122. Sembra quindi che i Ciclopi quali si presentano nelle tradizioni euboiche siano fabbri, contrariamente alla tradizione omerica, ma coerentemente con le tradizioni cosmologiche della Titanomachia123.
73D’altro lato la tradizione plutarchea della primitiva colonizzazione eretriese124 (e cioè della stirpe dei Giganti omerici) dell’isola di Corcira, confermerebbe la tradizione riscontrata nell’Odissea come anche la localizzazione euboica dei Giganti stessi125. Il collegamento tra Corcirae TEubea è poi confermato dalla attestazione del nome Phaiax in Eubea126. È noto inoltre che, al momento della rottura tra Corinzie Corciresi127, questi ultimi fanno fronte ai colonizzatori ricordando che Corcira era stata abitata prima dai Feaci, famosi sul mare. Questo sembra chiaramente sottintendere una presenza « coloniale » precedente a quella corinzia. Il fatto poi che i Corciresi, come mostra appunto il passo di Tucidide I, 24,4, si servano di queste tradizioni proprio come rivalutazione della loro indipendenza, in chiara funzione anticorinzia, spiega anche il persistere nell’isola di culti di origine euboica, ad esempio Makris128, proprio perché essi sono da riconnettersi alla mitica colonizzazione dei Feaci-Eretriesi.
74D’altro lato, ritornando ai versi omerici, come fa notare il Gruppe (cit.), è difficile staccare Periboia, figlia di Eurimedonte, dalla Oceanina omonima sposa del Titano Lelanto, quello che dette il nome alla piana Lelantina, zona di contesa tra Calcidee Eretria. Sempre il Gruppe poi sottolinea che Periboia, come del resto Euboia, non è che un’epiklesis dell’Hera euboica: continua anche per questo verso dunque il rapporto Giganti-Eubea. Del resto, se Periboia figlia del capo dei Giganti Eurimedonte, viene collegata ad Hera, quest’ultima è in un’altra tradizione collegata direttamente ad Eurimedonte, anche se in una forma diversa: la dea, affidata ad Oceanoe Teti, si unisce ad Eurimedonte,e da tale unione nasce Prometeo129. La leggenda ha chiare implicazioni tessaliche dato il ruolo che in essa gioca Teti, madre di Achille, ruolo che non a caso si ritrova come abbiamo visto nel culto di Hera Lacinia: si torna così a quell’ambito a cui continuamente si riconnettono i mitie i culti euboici.
75La Gigantomachia del resto non può disgiungersi dal resto della Cosmogonia. Non a caso quindi si ritrovano in Eubea dei legami ben evidenziati con la Titanomachiae con i Titani e, quindi, di nuovo con la Tessaglia, centro indiscusso di tale battaglia.
76Abbiamo visto infatti che una delle piane euboiche di maggior importanza prende il nome da uno dei Titani; conosciutissisma è l’importanza di Briareo-Aigaion, aiuto di Zeus nella Titanomachia130, nel mondo cultuale euboico: egli è eponimo di Karystos131 e riceve culto a Calcide132 ; lo stesso Briareo è anche ricordato come fratello della Titania Euboia133. Non a caso allora presso Eretria un monte prende il nome di Olympos134, quasi a ricordo della vittoria di Zeus: difficile infatti non riconnettere questo con il più famoso monte tessalico che, insieme al Peliae all’Ossa, tanto ruolo gioca nella Titanomachia. A questo punto assume anche maggior importanza la notizia che Eracle, unitosi ad Euboia, ebbe un figlio dal nome Olympos135 : difficile è infatd distinguere questa Euboia dall’isola stessa dal momento che solo in questo luogo troviamo uniti Euboiae Olympos; tale leggenda non avrebbe infatti giustificazione, ad esempio, ad Argo dove ricompare il nome di Euboia quale nutrice di Hera, ma nessun cenno vi è di un Olympos. Qui invece avremmo ricollegati in una unica notizia l’Eubea (ed Hera), Eraclee l’Olimpo. Che proprio l’eroe poi sia padre di Olympos, non sembra potersi dissociare dall’Eracle autore, con gli dei, della vittoria sui Gigantie dell’insediamento di Zeus sul trono olimpico.
77D’altro canto la presenza nei pressi di Cuma di un monte a cui è dato il mitico nome di Ossa, conferma l’importanza della Cosmogonia in ambito eu-boicoe ancora il legame con la Tessaglia136.
78Ricordiamo ancora come Typheo, quello che terzo dopo i Titanie i Giganti si oppose al re degli Dei, è seppellito nella tradizione ancora una volta in suolo euboico: a Ischia137 ο sotto l’Etna138. Questo interesse euboico per la Cosmogonia, che si va sempre più evidenziando, si ritrova ancora testimoniato da un’altra tradizione; la falce con cui Zeus evirò Crono, causa della nascita dei Titanie inizio delle lotte per la supremazia celeste, si ritrova nella spiegazione etimologica di Zancle139, colonia calcidese,e nell’isola di Corcira140, del cui primo impianto eretriese ci siamo già occupati, considerata essa stessa trasformazione della mitica falce di cui conserva la forma.
79A questo punto mi sembra opportuno avanzare un’altra ipotesi.
80Abbiamo già visto la notevole importanza che assume la Gigantomachia per l’avvento al potere di Pisistrato. Se ora indaghiamo sui contatti che egli personalmente possiede al di fuori dell’Attica, appare subito lo stretto legame che lo unisce a quell’ambito euboico-tessalico già visto come l’ambito originario della Gigantomachia.
81Sappiamo infatti che egli era legato da symmachia ai Tessali141 ; egli stesso dà il nome Tessalos ad uno dei suoi figli, che è il nome dell’Eraclide archegetes dei Tessali142. L’alleanza tra la sua famigliae questa terra è notae si conserverà ancora nell’età dei Pisistratidi con l’aiuto fornito dalla cavalleria tessalica ad Ippia prima della sconfitta143 e con l’offerta di Iolco, subito dopo la sconfitta, quando anche Aminta di Macedonia offre al tiranno Anthemunte nella Mig-donia144.
82Pisistrato aveva inoltre possedimenti nel Chersoneso tracico,e per l’accordo col re macedone può ottenere, nella parte N-W della Calcidica volta verso il golfo Termaico, la miniera d’argento del Pangeo145. È poi ad Eretria che può fermarsi a raccogliere mercenarie compagni per riprendere il potere ad Atene nel 564-5146. I suoi interessi economicie politici lo collegano alla stessa zona in cui si svolge le Gigantomachia: molto probabilmente fu sotto l’influenza di questi ambiti che egli assunse come bagaglio propagandistico la Gigantomachia, innovando la funzione di Atenae paragonandosi ad Eracle dopo aver sconfitto i nemici in una zona dal nome di Pallene, come quella appunto della Calcidica dove era tradizione che fossero stati sconfitti i Giganti.
835. La Via Eraclea. Passiamo ora all’altra tradizione che connette Eracle al territorio cumano: la costruzione della via costiera tra il Lucrinoe il mare, portata a termine dall’eroe per far passare le mandrie di Gerione al ritorno da Erythia.
84La notizia si trova in Licofrone147, Diodoro148, Strabone149, la cui fonte comune sembra Timeo150. Mentre Licofrone localizza l’opera eraclea nella chora cumana senza meglio specificare, gli altri due autori indicano chiaramente la strada come quella costiera tra Misenoe Dicearchia, strada identificata tra Capo Epitaffioe Punta Caruso151. Strabone ci dà anche la lunghezza (otto stadi)e l’am- piezza, sufficiente a far passare un carro. Quest’ultima sembra essere nella terminologia straboniana indizio di strada ampia, verae propria carreggiata, dato che l’espressione πλάτος δέ ἀμαξιτοῦ unisce questa alle strade romane di collegamento più imponenti come l’Appiae la Popilia152. In questo modo Strabone prende anche le distanze dalla tradizione mitica: è chiaro infatti che una carreggiabile è ben diversa da un tratturo per buoi come farebbe supporre il legame con i buoi di Gerione.
85Strabonee Diodoro divergono per quanto riguarda il nome del bacino sbarrato da Eracle con la costruzione della strada: per Diodoro si tratta dell’Averno, per Strabone del Lucrino.
86È evidente che, in riferimento alla situazione topografica attuale, la notizia di Diodoro è inaccettabile, poiché tra l’Avernoe il mare si interpone il Lucrino. Lo sbarramento al mare costruito da Eracle non poteva essere quindi che più avanti, e doveva dividere dal mare le acque del Lucrino come giustamente dice Strabone.
87La contraddizione è però storicamente spiegabile. Intanto va osservato che per lo stesso Strabone il Lucrinoe l’Averno appaiono come un unico kolpos, ossia un’unità geografica153 ; ma c’è di più, se Diodoro risalendo a Timeo, fa sbarrare da Eracle il passaggio tra l’Avernoe il mare, Artemidoro, che pure risale a Timeo154, nota che taluni non distinguevano il Lucrino dall’Averno. Si aggiunga che neanche Licofrone155, nel descrivere il sistema facente capo al-l’Avernoe alla via Eraclea, trova modo di citare il Lucrino.
88Una situazione per molti versi analoga si intravede nella tradizione, risalente ad Eforo156, secondo cui tra l’Avernoe il mare si trova non il Lucrino, che egli non cita, ma lo Stigee il Pyriphlegetonte fiume infernale, funzionale pure esso quindi ad una concezione dell’area in questione gravitante intorno all’Averno.
89Abbiamo dunque una tradizione risalente ad Eforoe Timeo, quindi almeno del IV sec. a. C., che sembra ignorare il Lucrino, e collega la via Eraclea immediatamente all’Avernoe al suo sbocco al mare: una tradizione, in altri termini, che non considera la via Heraclea funzionale al Lucrinoe alla sua identificazione autonoma. In questo contesto, la via Heraclea ci appare unicamente connessa alla funzione di collegamento, strada cioè di comunicazione tra il Misenoe Dicearchia.
90La controprova è che, quando il Lucrino guadagna la sua autonomia rispetto al-l’Averno, e viene economicamente valorizzato come vivaio di pesci primae di ostriche poi, problema essenziale diventa non solo quello della protezione delle sue acque dai marosi, ma anche quello di assicurare comunque un regolare rapporto col mare157. Anche più tardi, quando si costruì il Portus Julius, di nuovo si rafforzarono i moli, ma naturalmente si assicurò l’accesso al mare158.
91In conclusione, ogni tipo di valorizzazione economicae militare del sistema Lucrino-Averno passa attraverso la restaurazione della colmata eraclea, ma anche attraverso l’apertura di un varco nella stessa a interruzione di questa colmatae della primitiva funzione di essa come strada. In altri termini la Via Heraclea, in quanto via di comunicazionee non ricordo mitico erudito, appartiene alla fase religiosa arcaica della vita di questa parte della chora cumana.
92Non pare dubbio quindi che la via Heraclea, nella sua originaria formulazione, sia stata originariamente concepita come via grecae cumana di transito in relazione all’Avernoe come via di collegamento tra Dicearchiae Miseno. Il problema è individuare quando questo collegamento ebbe tale importanza da richiedere la costruzione di una nuova strada, e quando si attribuì a quest’opera evidentemente non facile (sappiamo infatti che essa anche in epoca romana richiese una continua manutenzione159 una paternità eraclea.
93È ovvio che nel momento della fondazione di Dicearchia da parte degli esuli Sami nel 531160, la zona doveva essere sotto la diretta influenza cumana come del resto fa fede l’espressione straboniana ἐπίνειον Κυμάιων161, nonché le tracce evidenti nella tradizione di un’estensione della pianura flegrea ο cumana fino al Vesuvioe del golfo di Cuma fino a Neapolis162. Inoltre lo stanziamento samio cade proprio all’epoca dell’assalto etrusco contro Cuma, cioè in un momento in cui ai Cumani sono necessari rinforzi. È questo evidentemente il momento di creare anche dei veloci sistemi viari che uniscano il porto di Misenoe l’avamposto samio. È probabile che esistesse una strada interna che, precorrendo la Domiziana, univa Cuma a Puteoli passando a Nord dell’Averno163, ma la zona in parte paludosae in parte difficile per la presenza delle colline che contornano l’Averno, non doveva essere particolarmente agevole né tanto meno così ampia da poter far transitare un carro164 ; inoltre non poteva essere troppo sicura militarmente, essendo più esposta che non la paratia agli attacchi dall’interno. Veniva così, con lo sbarramento eracleo, a crearsi un notevole collegamento tra Cuma-Misenoe Dicearchia.
94Dicearchia deve aver avuto un suo ruolo nell’ambito dell’espansione cumana verso il golfo di Napoli. Non è un caso infatti che il più antico monumento di Dicearchia165 sia coevo al più antico stanziamento cumano sul golfo di Napoli166. Altrettanto significativo è il fatto che i coloni Sami vengono istallati a Dicearchia in epoca vicina all’esaurirsi di questo primo stanziamento nell’area cumana. Questo sottolinea l’esistenza di un rapporto molto stretto da un lato tra frequentazione del Golfo di Dicearchiae stanziamento cumano a Parthenope, dall’altro tra ispessimento della presenza greca a Dicearchiae isterilimento di Parthenope, fatto sicuro anche a prescindere dall’accettazione ο meno della notizia della distruzione di Parthenope da parte di Cuma167.
95Ma la funzione di Dicearchia non può essere spiegata unicamente in termini di espansione territorialee di difesa. C’è infatti da notare che l’interesse cumano verso la zona di Dicearchia va anche al di là del controllo del Golfo: vi è infatti una carreggiata, e, ripetiamo, di difficile costruzione, che unisce i porti del Miseno al territorio di Dicearchia. Vi è dunque un problema stringente di legami cu-mani proprio con questa area, che spinge a creare un collegamento viario terrestre oltre che, ovviamente, marittimo.
96Il primo stanziamento cumano di Dicearchia168, non poteva che essere una specie di postazione, se nelle fonti esso appare unicamente come epίneion. D’altro lato i Sami che la occuparono nel 531 non dovevano essere numerosi169 e non dovettero accrescere di molto l’estensione dell’epίneion. L’importanza del sito come porto non può certamente essere sottovalutato, ma esso non dovette mai gareggiare con i porti del Miseno, esplicitamente detti λιμένας Κυμαίων da Dionigi170, poiché se da un lato le colline difendevano la baia dai venti171, dall’altro mancava una protezione da Sud, creata a Pozzuoli solo nel II a. C., cioè in età romana172. A questo punto riesce difficile capire le ragioni della costruzionee del mantenimento di una via costiera ampiae di non facile costruzione né manutenzione. Questo interesse cumano alla zona di Dicearchia deve spiegarsi anche per altre ragioni, non solo strategichee militari: si pensa allora alle miniere di zolfoe allume dei monti Leucogei, giacimenti che per la loro rarità erano nell’antichità fortemente redditizi173. Non sembra infatti improbabile che Cuma, nella sua espansione verso il Golfo di Napoli, abbia subito sfruttato anche le risorse che questo territorio offriva.
97In questa luce la già citata testimonianza di Eforo diviene ben comprensibile174 : egli parlando del territorio cumanoe precisamente della zona intorno all’Averno, che è per lui un sistema abbastanza vasto (si ricordi la tradizione sulla estensione della pianura Flegrea) comprendente oltre l’Averno, la palude Acherusia, una fonte d’acqua dolce identificata con lo Stige,e un insieme di acque calde identificate col significativo nome di Pyriphlegetonte, assegna ai Cimmeri questa zona: essi abitano έν καταγείοις οἰϰίαις dette άργίλλας, comunicanti tramite ορύγματα tra di loroe col manteion costruito sotterra, mentre dei ϰάσματα assicuravano il rapporto con l’esternoe la loro economia si basava oltre che sui proventi delle consultazioni dell’oracolo sotterraneo dell’Averno, sull’estrazione mineraria, ἀπò μεταλλείας. Lasciando ora da parte il complesso problema dei Cimmerie dell’oracolo sull’Averno175, risulta chiaramente che in questo sistema rientrano, facenti parte quindi della chora cumana, minieree cunicoli estrattivi denominati « localmente » άργιλλαι.
98Il termine ἄργιλλα dato da Eforo è etimologicamente imparentato con il termine « argilla » indicante però la materia prima del ceramista, passato poi per imprestito dal mondo greco a quello romano176. Eustazio credeva di spiegare ulteriormente il legame tra le due accezioni del termine (terra per ceramistie case sotterranee) avanzando l’ipotesi che ἄργιλλαι si fossero chiamate le abitazioni sotterranee in quanto l’argilla era un tipo di terreno che, a causa della sua « durezza » (δια τὴν στεγανότητα), si prestava a tali costruzioni177. Già Eustazio tuttavia avanza questa spiegazione solo al livello di ipotesi (τάχα) ed è chiaro che non si tratta che di un’ipotesi tenendo presente che l’argilla è tut-t’altro che apprezzabile per la sua durezza; si tratta al contrario di terreno particolarmente cedevole, franoso, specie sotto l’azione dell’acqua. Anche perciò l’accostamento tra i due termini risulta in questa forma problematico. Quello che conta per noi comunque è questa particolare accezione di άργελλα-άργιλλα nel valore di casa sotterranea, artificialmente costruita, riconnettibile perciò alle galleriee cunicoli minerari. È proprio questa accezione evidentemente che nella sua particolarità richiama l’attenzione di Eforo, onde il termine gli appare epicorico.
99Tracce però di una analoga accezione del termine si trovano in Macedoniae in Calcidica. I Macedoni, secondo Suida178 chiamavano άργελλα un οἲϰημα riscaldando il quale ci si lavava: elemento comune è l’accezione di οίκημα; l’accenno poi al riscaldamentoe ai bagni sotterranei, evidentemente di vapore, fa pensare che anche in questo caso si trattasse di cavità sotterranee artificialmente costruite in zone dove ne esistevano le condizioni naturali. L’ipotesi di Kalléris179 che si trattasse di fosse praticate nell’argilla, che dovevano quindi il loro nome alla materia in cui erano scavate, non è se non una ripresa dell’ipotesi di Eustazio, di nuovo da scartare dal momento che Suida parla esplicitamente di οἴϰημαe non di fossa. Significativo è inoltre che anche in questo caso l’accezione del termine ἄργελλα come particolare οἴϰημα è considerata epicorica, questa volta macedone.
100Una terza accezione egualmente epicorica del termine ricorre nella stessa area a contatto con la Macedonia, ossia nella zona della città di Argilos nella Calci-dica180. In questo caso veniva indicato col nome di άργιλος un topo: e questa era, secondo Aristotele181 un’accezione locale del termine. L’affermazione di Aristotele non può essere svalutata come fa il Kalléris (cit.): Aristotele è di Stagyra, località un po’più a sud di Argilos, e legata ad Argilos dalla comune derivazione da Andros. Pertanto la sua è tradizione locale, che egli poteva direttamente controllare. L’area in cui ricorre questa particolare accezione di argilos-, il fatto che questo topo venga scoperto durante lo scavo delle fondamenta della città — cosa che fa pensare ad un topo campagnolo che vive sotterra — fanno supporre che il topo venisse chiamato άργιλος proprio per queste sue abitudini di vita sotterranea.
101Si avrebbe, cioè, una facile trasposizione dal nome dell’oἴϰημα sotterraneo, artificiale, alla bestiola che se ne serve; inutile ricordare quanto capita al coniglio ibericoe al legame che esiste tra il nome dell’animalee i cunicoli sotterranei dell’Iberia182. Checché si voglia pensare di quest’ultima pur verosimile ipotesi, resta il fatto di una accezione particolare di ἄργιλλα in area cumana, la quale trova unico riscontro in ambiente tracomacedone, pur esso interessato dalla colonizzazione calcidese.
102Sembra quindi necessario ammettere una mediazione euboica, unico legame tra le due aree, per spiegare la presenza di questo particolar valore di οίκημα oppure οἶϰος sotterraneo attribuito al termine ἄργιλλα-ἄργελλα. Se ciò è vero, la tradizione conservata da Eforo è tradizione euboicae quindi egualmente euboica ne è la spiegazione in relazione ai metalla di questa area. Attività estrattiva, in questa area, si trova unicamente nella zona dei Leucogei, e cunicoli minerari sono segnalati in questa zona esplicitamente da Plinio183 per l’estrazione dell’allume.
103Conclusione obbligata, a questo punto, è quindi che l’attività estrattiva si è iniziata in età greca in collegamento con il controllo cumano di questa zona.
104Tornando alla via Heraclea, non è improbabile pensare che la sua costruzionee conservazione sia dovuta anche alla possibilità di un più facile trasporto del minerale estratto dalla solfatarae dai Leucogei,e questo spiegerebbe sia l’ampiezza atta a far passare un carro184, sia il perdurante interesse cumano a una zona priva di importanti stanziamenti umani.
105Concludendo, tale strada è funzionale al controllo della chora cumana, ma dovette perdere buona parte della sua importanza quando questo rapporto decadde a vantaggio di Neapolis. D’altra parte, con la decadenza cumana post-Aristodemoe la caduta di Cuma in mano sannita da un lato,e con il rafforzarsi del potere di Neapolis, lo sfruttamento delle riserve minerarie della zona puteolana dovettero passare ben presto all’ultima città caposaldo della grecità in Campania185. E ciò è confermato dal fatto che, quando nel 36 a. C. i Monti Leucogei passano per volere di Augusto a Capua186, essi sono tolti a Neapolis: evidentemente dovevano far parte per antico retaggio di questa polis, se con l’affermarsi, almeno dal 194 a. C., della colonia romana di Puteoli facevano ancora, in età augustea, parte integrante del dominio neapolitano. Se è vero d’altra parte che queste risorse originariamente ricadevano nella chora cumana, è molto probabile che siano passate a Neapolis con una operazione analoga a quella che vide passare da Cuma a Neapolis, già qualche anno dopo la fondazione di quest’ultima città, un’altra fetta di territorio egualmente importante per le sue risorse economiche ed estrattive (argilla) come Pithecusa187.
106La funzionalità della via Heraclea,e la leggenda ad essa relativa, quindi, deve appartenere alla preistoria cumana dei luoghi, legata come è alle esigenze strategichee alle risorse estrattive di Cuma nel momento in cui controllava tutta la paratia da Miseno a Parthenope,e dovette diminuire con la fine dell’autonomia di questa polis: l’affermarsi della potenza di Neapolis quindi, col relativo sfruttamento della zona mineraria, dovette segnare evidentemente una stasi nella sua funzionalità di collegamento. In età romana, la valorizzazione economica del Lucrino prima,e la riutilizzazione a scopo militare da parte di Agrippa poi, non fecero che diminuirne la funzione iniziale di larga via di transito, facendole assumere, come valore primario, quello di arginee difesa dalle onde del mare.
1076. Le spoglie del cinghiale di Erymanthos. Se dunque sulla arcaicitàe sulla euboicità dell’Eracle della Gigantomachia, come della via Heraclea, è difficile dubitare, assai diversa si presenta la situazione quando si analizza la tradizione della dedica dei denti del cinghiale di Erymanthos nel tempio di Apollo a Cuma.
108Pausania, descrivendo le antichee polverose spoglie del cinghiale caledonio offerte nel tempio di Atena Alea a Tegea, ricorda come una tradizione, a cui pertanto il Periegeta non crede, faceva conservare a Cuma le spoglie del cinghiale ucciso da Eracle188.
109Sulla reale esistenza di spoglie di un cinghiale a Tegea, anche senza ovviamente pensare ad una reale offerta di Meleagro, è difficile dubitare. Pausania le ha indubbiamente vistee le descrive con dovizia di particolari: esse si mostrano al Periegeta ormai vecchie, col pelo consunto189. Ci troviamo di fronte a due tradizioni, non a caso accostate da Pausania, che si riferiscono alla sorte toccata ai due cinghiali più celebri dell’antichità, quello vinto da Meleagro a Calydone quello catturato da Eracle sull’Erymanthos.
110Ma se sull’uccisione dell’animale selvatico a Calydon non ci sono dubbi, completamente opposta si presenta la tradizione per quanto riguarda la simile fatica di Eracle. La fonte più antica che ricorda questo episodio è Sofocle190, ma dal tragico apprendiamo solo la vittoria dell’eroe sul cinghiale. Più dettagliatoe per noi più interessante è il racconto di Apollonio Rodio191 : Eracle ritorna dall’Arcadia portando « vivo » sulle sue potenti spalle la fiera, che lascia cadere una volta arrivato a Micene al cospetto di Euristeo. La stessa versione riportano Apol-lodoro192 e Diodoro193 ; quest’ultimo aggiunge un altro particolare, la fuga, all’arrivo dell’eroe col cinghiale ben vivo sulle spalle, di Euristeo, che cerca rifugio εἰς χαλκοῦν πίϑον. Le fonti letterarie dunque che riportano questa fatica di Eracle, sono concordi nell’affermare che, per volere di Euristeo, il cinghiale deve essere portato vivo a Micenee il compito dell’eroe termina quando getta giù dalle spalle il cinghiale. Siamo dunque di fronte non alla uccisione della fiera, ma alla sua cattura. Niente sappiamo di quello che avverrà poi della fiera, ma si dà per scontato che il compito di Eracle è finito.
111Come accordare allora questa tradizione con quella per cui Eracle offre a Cuma le spoglie di un animale che, pertanto, non ha mai ucciso? La versione di Pausania ci fornisce dunque una tradizione abnorme dell’athlon, che per nulla si accorda con la leggenda che ci è giunta.
112Le stesse rappresentazioni figurate di questo mito, senza eccezione, corrispondono alle tradizioni letterarie ora richiamate, anzi, già verso la metà del VI a. C., l’episodio riportato da Diodoro, l’abbandono del cinghiale da parte di Eracle davanti ad uno spaurito Euristeo nascosto in un pithos, entra ormai pienamente nel repertorio figurato greco: la scena si ritrova infatti in una metopa di Foce Sele194 e in un vaso di Oltos195, in una lamina di bronzo da Olimpia196.
113Siamo quindi di fronte ad una tradizione compatta ed omogenea che si estende dalla metà del VI sec. a. C. fino all’età di Apollodoroe che rende ancora più difficile accettare la presenza arcaica delle spoglie di questo cinghiale a Cuma. A ciò si aggiunga che questa è una delle fatiche entrate più tardi nella leggenda di Eracle: solo intorno alla metà del VI infatti si ritrova nelle raffigurazioni monumentali, mentre dobbiamo scendere al secolo successivo per averne una menzione scritta197.
114La leggenda che si narrava a Cuma sembra quindi difficilmente nata in epoca più antica della divulgazione dell’athlon stesso.
115Soprattutto però è da notare che la tradizione riportata da Pausania non è assolutamente greca: come abbiamo già visto essa sembra opporsi a tutto ciò che sappiamo riguardo a questa fatica: l’imposizione di Euristeo riguarda — ripetiamo — solo la cattura del cinghiale di Erymanthose il suo trasporto vivo a Micene, assolutamente non la morte della fiera; di conseguenza riesce difficile per Eracle stesso ottenerne le spogliee a maggior ragione offrirle a qualsivoglia divinità.
116L’accostamento fatto da Pausania tra i denti del cinghiale di Erymanthos a Cumae la pelle del cinghiale caledonio a Tegea, risulta in effetti chiarificatore. La leggenda cumana deve essere il frutto di una contaminazione tra le due cacce più famose dell’antichità. Quando è da porre questa contaminazione?
117Il primo indizio di una variazione nel racconto è la presenza su una moneta romana del 222-218 a. C. della testa di Eracle rivestita da una pelle di cinghiale al posto di quella leonina198.
118A questa prima testimonianza, che evidentemente presuppone l’uccisione del cinghiale da parte di Eracle, si aggiunge un esplicito riferimento di Hygino199, « Aprum in Phrygia Erymantheum occidit »e un verso di Marziale, « Addidit Arcadio terga leonis apro »200.
119Allo stadio attuale della nostra documentazione questa versione è dunque soloe sempre romana, sia per quanto riguarda le testimonianze figurate che le fonti letterarie. Difficile precisare il momento in cui sorse questa leggendae il momento in cui le supposte spoglie del cinghiale si immaginarono poste dall’eroe nel tempio di Apollo; sicuramente non prima dell’alleanza con Roma, certamente non in età greca né tanto meno arcaica.
1207. Conclusione. A questo punto le conclusioni da trarre ci sembrano chiare. In Eubea si era già sottolineata la presenza, attraverso il mito della Presa di Oichalia, dell’Eracle tessalicoe di una sua caratteristica praxis201. Risulta ora provata la presenza anche di un altro aspetto di questo Eracle euboico: il suo ruolo nei miti cosmogonicie la sua particolare fisionomia di Eracle acheo-tessa-lico, che affonda le sue radici nel passato più antico di questa provincia greca.
121Parallelamente risulta tutta l’importanza del culto di Eracle a Cuma, alla quale appartengono, oltre che una versione della Gigantomachia, anche la più antica testimonianza del culto di Eracle in Italia (iscrizione sul nostro vasetto), e il collegamento al passaggio di Eracle in Campania di una importante opera pubblica della chora cumana quale la Via Heraclea, un’opera per certi aspetti (forse non soltanto tecnici) da accostare alla costruzione della famosa Fossa Graeca202.
122Per chiudere proprio richiamandoci alla sopra rilevata caratterizzazione del-l’Eracle euboico, caratterizzazione che ne sottolinea il favore dell’eroe verso la dea di cui porta il nome, potremmo avanzare un’ipotesi circa il luogo di ritrovamento del nostro vasetto. Dato il carattere votivo dell’iscrizionee la quasi certezza che il vaso non proviene dalla necropoli, è logico pensare che esso provenga da un’area sacra. L’unica area sacra scavata dallo Stevens di cui abbiamo notizia, è quella del tempio di Hera presso le mura203 ; dopo quanto si è detto sulle particolarità del legame tra l’Eracle euboico ed Hera, non sembra fuor di luogo avanzare l’ipotesi che il vasetto provenga proprio da quest’area sacra*.
Notes de bas de page
1 E. Gabrici, Cuma, MAL XXII, 1910, col. 43 ss.
2 Inv. n. 140683, h. cm. 9; diam. mass. cm. 6.
3 E. Th. Brann, Late geometric and protoattic Pottery-Athenian Agora, VIII, 1962, n. 63.
4 Athenian Agora, VIII, cit., n. 629 proveniente da una bottega di vasaio; cf. anche Kerameikos V, 1, tav. 81 ss.
5 B. A. Sparkes-L. Talcott, Black and Plain Pottery-Athenian Agora, XII, 1970, n. 286.
6 J. Boardman, Excavations in Chios 1952-55, Greek Emporio, 1967, n. 592-95 p. 144 s.
7 J. Κ. Anderson, in BSA XLIX, 1954, p. 138 tav. 7 c, n. 44.
8 A. M. LVIII, 1933, p. 130-2 fig. 78, 79, 82 degli inizi del VII secolo a. C. ; A. M. LXXII, 1952, tav. 57, 1-4; 63, 2-3 etc. ; A. M. LXXIV, 1959, tav. 31.
9 Athenian Agora, VIII, cit., n. 228.
10 Per Atene, Athenian Agora, XII, cit., nn. 255, 261; per Rodi, ASAA VI-VII (1923-24), p. 278, fig. 117; per Samo A. M. 1929, p. 29, n. 3; per Chio, Boardman, Emporio, cit., n. 596.
11 G. Vallet-F. Villard, La céramique archaïque-Megara, II, 1964, tav. 204, p. 183 e nota 5 per bibliografia precedente; cf. anche M. Martelli Cristofani, in Les céramiques de la Grèce de l’Est et leur diffusion en Occident, Centre J. Bérard, Naples, 1978, p. 185 e 190, tav. LXXIII, fig. 53, con bibliografia aggiornata sugli esemplari trovati in Italia meridionale e in Sicilia.
12 Not. Sc. 1883, tav. V, forma n. 40; cf. ad es. tra il materiale conservato al Museo di Napoli, inv. n. 139864 da tomba scavata dallo Stevens l’8-12-1878, inedita; inv. n. 141497 da tomba scavata dallo Stevens il 18-12-1878, inedita, etc.
13 M. Guarducci, Epigrafia Greca, I, 1967, p. 144, per la Beozia; p. 217 per l’Eubea; p. 358 per la Tessaglia.
14 Guarducci, Epigrafia, cit., p. 334 s.
15 M. Guarducci, in Kokalos X-XI, 1964-65, p. 473 ss. per una sintesi delle epigrafi megaresi.
16 K. Hanell, Megariscbe Studien, 1934, p. 26 ss. Degli antichi rapporti tra Beozia e mondo megarese è indizio la tradizione omerica, Od. XI, 269 ss. per cui lo stesso eponimo di Megara, Megareus, è nativo di Onchestos in Beozia.
17 Hanell, cit., p. 27; L. Piccirilli, Megarikà, 1975, p. 164 s.
18 Paus. I, 41, 1.
19 Paus. I, 41, 2; cf. Piccirilli, Megarikà, cit., p. 165.
20 Su questa questione cfr. per ultimo Piccirilli, Megarikà, cit., p. 88.
21 L. H. Jeffery, The local Scripts of archaic Greece, 1961, p. 136 con bibliografia precedente.
22 L. H. Jeffery, in JHS LXIX, 1949, p. 31 s.
23 M. T. Manni Piraino, in Kokalos V, 1959, p. 159 ss. ; M. Guarducci, in ASAA XXI- XXI-XXII, 1959-60, p. 272.
24 Meiggs-Lewis, n. 38.
25 Cf. qui nota 21.
26 Le ceramiche con graffiti ed epigrafi sono sempre accuratamente annotate nei taccuini Stevens e risultano riprodotte in Gabrici, Cuma, cit. passim. È poi da notare che sotto questo vasetto si trova, scritto a matita a grafia dello stesso Stevens Ν. 2: dalla revisione di tutto il materiale scavato dallo studioso inglese e reperibile nel Museo Archeologico di Napoli, si è potuto constatare in parecchi casi la presenza di numeri a matita sui corpi dei vasi e si è potuto riscontrare che essi si riferiscono sempre al numero progressivo delle tombe dato dallo Stevens stesso, indicano cioè dei pezzi di un corredo; al contrario, nei casi in cui il numero è preceduto dalla annotazione Ν (numero), non esiste alcuna relazione con la tomba così numerata (ad es. inv. 127904 con l’annotazione Stevens Ν. 11; di inv. 141401 con l’annotazione Stevens Ν. 1). D’altra parte sembra difficile che questi particolari segni di distinzione siano stati messi a caso dallo Stevens, senza uno scopo preciso: è quindi molto probabile che essi indichino oggetti trovati indipendentemente dalle tombe e che lo studioso abbia dato ad essi un numero progressivo aggiungendo il segno Ν per distinguerli appunto dai corredi.
27 Vv. 954-5; cf. Hesiod, Theogony, Prolegomena and Commentary, by M. L. West, 1971, commento ad loc. ; cf. anche commento al v. 186.
28 Fragmenta Hesiodea, ediderunt R. Merkelbach-M. L. West (1967), fr. 43 (a), v. 65.
29 Hesiodi Scutum, a cura di C. F. Russo, 1968, vv. 28-29: Zeus pianifica il suo adulterio al fine di generare un difensore per gli uomini e gli dei.
30 Xenoph. 21, B1 Diels-Kranz2 = fr. 1 West.
31 Cf. anche B7 e B12 D. Κ e soprattutto il commento di Sesto Empirico, adv. Math. 1289 dove, nel riferire il secondo frammento qui citato fa esplicito riferimento alle lotte tra Cronidi prima dell’avvento del regno di Zeus come quelle condannate da Senofane; cf. J. -P. Vernant, Mythe et pensée chez les Grecs, 1965, p. 31 ss. dove è anche messo in rilievo il rapporto conosciuto da Esiodo, dei Giganti con le Meliai, ninfe dei frassini e delle lance.
32 Pind. Nem. I, vv. 67-72; Nem. VII, v. 90.
33 Her. ν. 180; cf. anche Diod. IV, 15, 1: dopo la Gigantomachia Eracle ottiene il più alto favore, il titolo di Olimpico.
34 Fr. 5 Kinkel=Ateneo I, 22 C; cf. Dion. Hal. VII, 72.
35 F. Vian, La guerre des Géants, 1952, passim, specie p. 217 ss.
36 Apoll. Bibl. II, 7, I.
37 Cf. Vian, La guerre, cit., p. 51 ss. ; Id. Répertoire des Gigantomachies figurées dans l’Art Grec et Romain, 1951: n. 94, Pinax di Corinto con Zeus ed Eracle; Pinax di Eleusi, n. 95; Anfora dell’Acropoli 2211, n. 104; Cratere dell’Acropoli 607 di Lydos, n. 105; etc.
38 Vian, Répertoire, cit., nn. 330-385.
39 Vian, Répertoire, cit., n. 180 ss. Cf. Keine, Untersuchungen zur Chronologie der attischer Kunst von Peisistratos his Themistokles, 1973, p. 344 al contrario pensa che la scelta della Gigantomachia derivi dal ruolo della dea nella stessa impresa, ma sembra che i dati forniti dal Vian mostrano esattamente il contrario.
40 Vian, Répertoire, cit., nn. 123-133.
41 Vian, Répertoire, cit., η. 148 bis, datazione 520 a. C. ca. : qui Eracle sale sulla quadriga di Atena invece che su quella di Zeus; la scena ricompare ai primi decenni del V sec. : J. J. Maffre, Une gigantomachie de la première décennie du ve sècle in R. A. 1972, 2, p. 226 ss., ma qui Zeus ricompare anche se Atena è alle spalle di Eracle.
42 Vian, Répertoire, cit., nn. 159-297.
43 Nell’età post-pisistratea, le figure con monomachie mostrano un rapporto inverso: 15 monomachie di Dioniso, 9 di Atena, 7 di Poseidon, 4 di Zeus, cf. Vian., Répertoire, cit., p. 77 ss.
44 Vian, Répertoire, cit., n. 298-307.
45 J. Boardman, Peisistratos and Sons, in R. A. 1972, p. 57 ss. ; cf. anche Id., Herakles, Peisistratos and Eleusis, in JHS XCV, 1975, p. 1 ss.
46 Polyaen. I, 21, 1; Arist. Cost. At. XIV, 4; Hdt. I, 60; Athen. XIII, 609 c-d.
47 A Pallene in Attica viene anche localizzato un episodio della saga di Teseo: lo scontro con i Pallantidai; ma la figura di Teseo e la sua fortuna come ἂλλος "Hραϰλης, risulta posteriore all’epoca dei tiranni e funzionale all’affermazione di altri γένη attici, in primis i Filaidi; cf. le pagine sintetiche di J. Henle, Greek Myths, 1973, p. 78 ss. Cf. R. A. 1972, 2, p. 58.
48 W. Deyhle, in A. M. 84, 1969, taf. 17, p. 53 s. Per tutto questo problema: F. Kolp, Die Bau-, Religions- unci Kulturpolitik der Peisistratiden, in JdI 92, 1977. p. 99 ss.
49 Deyhle, cit., p. 14 s., Taf. 24.
50 Nilsson, Studies Robinson, II, 1953, p. 743 ss.
51 Pind. Net». IV, 25 ss. ; Isth. VI, 33 ss., dove però esiste già una contaminazione con la Gigantomachia cosmica in quanto lo scontro avviene nei Campi di Flegra, cf. qui p. 32 ss.
52 Vian, Guerre, cit., p. 42 s. ; p. 217 ss.
53 Claud. De rapt. Pros. III, 184; cf. anche la versione di Philost. Her. p. 671 per cui Encelado è sotterrato sotto il Vesuvio.
54 Cf. anche un’iscrizione del III sec. IG XII, 3, n. 92 da cui apprendiamo che l’isola di Nisyros è chiamata τά Γιγάντεα.
55 Vian, Guerre, cit., p. 197 s.
56 Om. Il. V, 392 ss.
57 Om. Od. XI, 601.
58 Vian, Guerre, cit., p. 197 s.
59 P. W. s. v.
60 Ptolemaios Chennos II, 9 Chatzis; Sotade Byz. in Tzetzes Schol. ad Lycoph. Alex. v. 1350; Etymol. Mag. s. v. Ήραϰλῆς; Schol. Il. XIV, 324.
61 P. Zancani Montuoro-U. Zanotti Bianco, Heraion Foce Sele, vol. II, 1954, p. 141-166; cf. P. Zancani Montuoro, Un mito greco in Etruria, in ASAA XXIV-XXVI, 1950, p. 85 ss.
62 Beazley, ARVP 1963, p. 247, n. 13; qui compare anche Iris, divinità minore che altrove viene essa stessa insidiata dai Centauri, cf. Heraion, II, cit., p. 159, nota 7.
63 Che tale episodio compaia poi in un vaso di Brygos non fa meraviglia conoscendo il favore da lui dato alle scene di forte movimento, per cui è facile intuire che non si dovette far sfuggire questo episodio.
64 Stesicoro ap. Atheneo XI, 499 a-b = fr. 181 Page. Cf. anche Diod. IV, 12; Apollod. II, 5, 4.
65 Pind. ap. Paus. III, 25, 2.
66 Heraion, cit., I, 1951, p. 9 ss.
67 Per le evidenze archeologiche sui rapporti tessalo-euboici in età protogeometrica oltre a J. N. Coldstream, Greek Geometric Pottery, 1968, p. 164 ss. ; cf. A. Andriomenou, in Charistériou Α. Κ. Orlandos, II, 1966, pp. 263-66.
68 Μ. Sordi, La lega Tessala fino ad Alessandro Magno, 1958, p. 19, nota 2.
69 G. Giannelli, Culti e Miti della Magna Grecia, 2e ed., 1963, p. 154 ss.
70 Diod. XII, 9, 2.
71 Cf. Giannelli, cit., p. 137, nota 3.
72 J. Bérard, La Magna Grecia, Storia delle colonie greche dell’Italia meridionale, 1963, p. 336.
73 Già in Esiodo Theog. v. 921 Hera è considerata madre di Ares, divinità della guerra per eccellenza, né ciò può essere un caso. Ricordiamo anche, oltre la famosa ἐξ Ἂργούς ἀσπίς (cf. M. P. Nilsson, Griechische Feste, 1957, p. 42 ss.), e la processione in armi che si teneva a Samo in onore della dea, Polyaen. I, 26.
74 Solo in Elide, Tzetzes ad Lycoph. 858.
75 Vian, Guerre, cit., p. 68 ss.
76 Hes. Theog. vv. 639-40: ad essi viene offerto nettare ed ambrosia.
77 Nonnos, Dion. I, 378-534.
78 Pind. Nem. I, 67; Pind. Isth. VI, 33, dove però si svolge una Gigantomachia «umana», cf., qui nota 51; Esch. Eum. 293; Eurip. Her. 1194; e Ion. 988; Arist. Aves. 824; Lycoph. Alex. v. 140 ss. ; Apoll. II 138 e I 37; Diod. V, 71.
79 Hdt. VII, 123 ma già in Ecateo, cf. Vian, Guerre, cit., p. 189 nota 4.
80 Αp. Steph. Byz. s. v.
81 Fr. 34 Jac. « una volta Flegra ora detta Pallene ».
82 Perie g., 635.
83 Apoll. I, 34; Schol. Apoll. Rhod. III 234; Tzetzes: ἐν Φλέγραις τῆς Παλλήνης.
84 V. 127: Παλληνίαν... γεγενῶν τροφόν.
85 V. 1355; cf. anche la leggenda del ritrovamento delle ossa del Gigante Damysos a Pallene, P. W. s. v. Giganten, col. 662.
86 Quando Pindaro scrive la Nemea I, nel 475 a. C., dà per scontata tale localizzazione.
87 IV, 15, 1; V, 25, 5.
88 V, 4, 6=C 245.
89 N. H. III, 61.
90 Solin. II, 22.
91 Her. p. 271, II, 140, 10 ss Κ
92 Silio It. XII, 147.
93 P. W. s. v. Giganten, col. 749.
94 A. Mele, in Contribution à l’étude de la société et de la colonisation eubéennes, Cahiers du Centre J. Bérard, II, Naples, 1975, p. 25 s.
95 Nonnos Dion. XIII 143; XXVIII, 289, 297.
96 Ps. Arist. Mir. Ausc. 127 e Pl., Ν. Η. II, 237 ricordano il suolo bruciato presso Megalopoli; Paus. VIII, 29, 1 e VIII, 32, 5 fa cenno ai resti monumentali dei Giganti presso il tempio di Asklepios cf. commento ad locum di Frazer, Pausania’s description of Greece, vol. IV, 1913, p. 313 ss.
97 P. W. s. v. Giganten.
98 Suet. Aug. 72: « qualia sunt Caprais immanium beluarum ferarumque membra praegrandia quae dicuntur Gigantum ossa ».
99 Steph. Byz. s. v., Γιγαντίς; Eustath. ap. Dio. Perieg. 414 = GGM II 293, 25; Herodiano Technicus I, 205, 2 L. Mayer 33 ss.
100 Steph. Byz. s. v., Πηλαγονία.
101 Steph. Byz. s. v., Ἀλμωπία.
102 Vian, Guerre, cit., p. 233 ss.
103 Tra l’altro in questo caso Almops è detto figlio di Poseidon, P. W. s. v., al contrario della razza dei Giganti.
104 Serv. ad Aen. III, 578; Myth. Vat. II, 53 p. 92, 39; Schol. Luc. VII, 150.
105 Timeo ap. Lycoph. Alex 1356-58 = Ps. Arist. Mir. Ausc. 97; Strab. VI, 3, 5 = C 281.
106 Vian, Guerre, cit., p. 210 e nota 6. Cfr. qui p. 28.
107 Strab. V, 4, 6=245 fa cenno a fenomeni naturali che rendono la zona «bruciata»; lo stesso Strabone però V, 4, 10=C 241 e Polibio III, 91, 7 razionalizzando la versione mitica affermano che la localizzazione in Campania deriverebbe dalla fertilità del suolo che suscita contese.
108 Vian, Guerre, cit., p. 225 ss. Non sembra potersi mettere sullo stesso piano la notizia su scosse telluriche (Philostr. Her. I, 3, p. 140, 17 Kayser), dato che in questi fenomeni naturali il fuoco sottinteso nella radice φλεγ è assente.
109 F. Vian, in Hommages Dumézil, 1960, p. 215 ss.
110 Od. VII, vv. 58-63; cf. anche v. 206: collegamento tra Feaci, Giganti e Ciclopi.
111 Od. VI, 4-6.
112 Thuc. III, 74, 2; Ps. -Scylax GGM I, 34; IG IX 1, 692; cf. Dontas, in AE 1965, p. 143 nota 5; PAE, 1966, pp. 85-92.
113 Alceo, Ζ 118 LP=Schol. Apoll. Rhod. IV, 992.
114 Ap. Schol. Apoll. Rhod. III, 15, 83.
115 V. Bérard, Navigations d’Ulysse, IV, 1927-29, pp. 118 ss.
116 F. Robert, in RA II, 1945, p. 12 ss.
117 O. Gruppe, Griech. Myth. I, 1906, p. 416-17.
118 Apoll. Rhod. III, 15, 83; Steph. Byz. s. v. cf. F. Vian, Génies des passes et des défilés, in RA 1952, p. 29 ss.
119 Istro ap. Schol. Il. X, 439.
120 Hes. Theog. v. 141; cf. commento di West, cit. ai vv. 139-53; cf. anche Theogonia Orfica fr. 92 Ab = Procl. in Plat. Tim. I, p. 327 Diele: πρώτοι τεκνóχειρες.
121 Hes. fr. 52 M. -W. ; Eurip. Alc. v. 1 ss. ; Schol. Eurip. Alc. v. 1 (da Ferecide).
122 Strab. X, 1, 10=C447.
123 Cf. anche la tradizione dei Ciclopi, primi abitatori della Sicilia secondo Thucidide VI, 2: soprattutto a Leontini, Strab. I, 2,9 = C20, e a Naxos, Eustath. Od. 1618; cf. Roscher, Myth. Lex. II 1689.
124 Plut. Q. G. 11; cf. Strab. Χ, 1, 15=C449 da cui apprendiamo che a Corcira esisteva un luogo chiamato Euboia.
125 B. Marzullo, Il problema Omerico2, 1970, p. 176.
126 IG XII, 9, 942 e 1187.
127 Thuc. I, 24, 4.
128 N. Valenza Mele, Hera ed Apollo nelle colonie euboiche d’Occidente, in MEFRA 89, 1977, 2, p. 495 s.
129 Euphor. fr. 99 Powell; cf. Vian, Guerre, cit., p. 175.
130 Eumelus fr. 2K; cf. anche l’accostamento più volte fatto tra Briareo ed Eracle: Clearchos fr. 53 W. = ap. Zenobio V, 48, FHG II, 320 οὕτος Άλλος Ἡρακλῆς e le numerose testimonianze che ricordano le colonne d’Eracle, prima chiamate Βριαρέω στῆλαι cf. P. W. I, s. v.
131 Schol. Apoll. Rhod. I, 1165; Steph. Byz., s. v., Κάρυστος; Eust. 281, 3.
132 Solin II, 16.
133 Hesych. s. v.
134 Versante W del Dyrphis, P. W. s. v. ; cf. IG XII, 9, 260. Che il toponimo Olympos non possa disgiungersi dalla Cosmogonia si può notare anche nella tradizione dell’Arcadia quale luogo della Gigantomachia, dove si sacrifica al fulmine, al tuono e alla tempesta presso la fonte Olympis, Paus. VIII, 29, 1; cf. anche il ἱερóν calcidese in onore τοῦ Διòς του’Ολυμπίου (Meiggs-Lewis n. 52), da collegare al monte Olimpo.
135 Apoll. II, 8.
136 Lycoph. Alex. v. 697; la notizia di un monte con tale nome nella zona di Cuma doveva risalire a Timeo, cf. E. Ciaceri, L’Alessandra di Licofrone, 1901, commento ad locum.
137 Pind. Pyth. VIII, 158; Lycoph. Alex. v. 689: Ischia è considerata patria dei Giganti; cf. Timeo ap. Strab. V, 4, 8-9=C 248.
138 Esch. Prom. v. 369; Apoll. VI, 3; Ovid. Fasti IV, 49; cf. Pind. Pyth. I v. 18 per il quale Tifeo giace sotto l’Etna.
139 Thuc. VI, 4, 5; cf. Strab. VI, 2, 3 = C 268; Steph. Byz. s. v. Ζάγϰλη. Lo stesso nome di Zancle è stato messo curiosamente in relazione con la radice αγϰ = ricurvo che si ritrova con lo stesso significato in Calcidica, J. N. Kalléris, Les anciens Macédoniens, I, 1954, p. 82.
140 Cf. qui nota 124; inoltre Timeo ap. Schol. Apoll. Rhod. Arg. IV, 982-992 g Wende: sono ivi localizzati i Titani e l’isola è teatro della lotta tra Zeus e Crono.
141 Hdt. V, 63.
142 P. W. s. v. Thessalos 1; cf. H. Berve, Die Tyrannis bei den Griechen, II, 1967, p. 545.
143 Hdt. V, 63-64.
144 Hdt. V, 94.
145 Berve, Tyrannis, cil., I, p. 50 s. e II, p. 546; cf. Hdt. I, 64; Steph. Byz. s. v. Ῥάϰηλος.
146 Hdt. I, 61; Arist. A. P. 15, 2.
147 Lycoph. Alex. 697-8.
148 IV, 22, 1-2.
149 V, 4, 6=C 245.
150 Cf. F. Lasserre, Strabon, Tome III (Livres V-VI), 1967, p. 108.
151 Cf. per ultimo F. Castagnoli, Topografia dei Campi Flegrei, in I Campi Flegrei nell’Archeologia e nella storia-Atti Convegni dei Lincei 4-7 maggio 1976, p. 65.
152 Vie di Magna Grecia, Atti Secondo Convegno Studi Magna Grecia, 1963, p. 149.
153 Strab. V, 4, 5=C 244; qui però la posizione sembra rovesciata, essendo il Lucrino a contenere l’Averno e non viceversa, ma questo è evidentemente da mettere in relazione con la maggior importanza del Lucrino in età straboniana.
154 Artemidorus ap. Strab. V, 4, 6 = C 245.
155 Lycoph. Alex. v. 698-709.
156 Ap. Strab. V, 4, 5=C 244.
157 J. Beloch, Campanien, 1890, p. 172 ss.
158 Cf. per ultimo Castagnoli, I Campi Flegrei, cit., p. 65 ss.
159 Beloch, Campanien, cit., p. 173 ss. ; sul rifacimento dall’autore attribuito a Claudio, cf. contra Castagnoli, Campi Flegrei, cit., p. 65, nota 89.
160 Euseb. ap. Hieronym. p. 104 ed. Helm. ; cf. Steph. Byz. s. v., Ποτιόλοι.
161 Strab. V, 4, 6=C 245.
162 Eratosth. ap. Strab. I, 2, 12 = C 22; Pseud. Arist. Mir. Ausc. 103; Steph. Byz. s. v. Σειρήνουσαι.
163 La pressione etrusca anche sui confini meridionali della chora cumana già alla fine VII-inizi VI è stata sottolineata da G. Pugliese Carratelli, in PP VII, 1952, p. 248 ss.
164 M. Frederiksen, in PW. XXIII2, 1959, col. 2054.
165 A. De Franciscis, in Atti XI Convegno Studi Magna Grecia, 1972, p. 383 ss. ; Id. in Rend. Acc. Arch. Napoli XLVI, 1972, p. 109 ss.
166 M. Napoli, Napoli Greco-romana, 1959, p. 14 ss. ; St. De Caro, in Rend. Acc. Arch. Napoli XLIX, 1974, p. 37 ss.
167 Lutat. ap. Philarg. ad Georg. IV, 564.
168 Strab. V, 4, 6=C 245.
169 Hdt. III, 45, 3.
170 Dion. Hal. VII, 3.
171 Ch. Dubois, Pouzzoles Antique, 1907, p. 249.
172 Castagnoli, I Campi Flegrei, cit., p. 62 ss.
173 R. J. Forbes, Studies in Ancient Technology, vol. III, 1965, p. 189 ss. Cf. Strab. VI, 275; Pl. N. H. XXXI, 12; XXXXV, 174.
174 Ap. Strab. V, 4, 5=C 244.
175 Per ultimo Castagnoli, Campi Flegrei, cit., p. 73 ss.
176 Chantraine, DELG s. v. ἄργιλα.
177 Ad Dion. 1166.
178 S. v. ἄργελλα.
179 Kalléris, Les anciens Macédoniens, cit., p. 104.
180 Fondata nel VII a. C. : K. Rhomiopoulou, in Les céramiques de la Grèce de l’Est et leur diffusion en Occident, cit., p. 64; cf. M. Zahrnt, Olynth und die Chalkidier, 1971, p. 67 ss., p. 158 ss.
181 Arist. fr. 611 R3 ; Heracl. Lemb., Pol. 76 Dilts; cf. anche Phavor. Arelat. ap. Steph. Byz. s. v.
182 V. Bertoldi, Colonizzazioni nell’antico Mediterraneo occidentale alla luce degli aspetti linguistici, 1950, p. 216.
183 Pl. N. H. XVIII, 114.
184 Cf. qui nota 152. È noto come la costruzione vera e propria di strade in età greca non sia particolarmente frequente, se non in relazione a santuari e zone minerarie.
185 E. Lepore, in Storia di Napoli, I, 1968, p. 290.
186 Pl. Ν. Η. XVIII, 114.
187 Strab. V, 4, 8 = C 248.
188 Paus. VIII, 24, 5.
189 Paus. VIII, 47, 2. Le spoglie del cinghiale Caledonio furono portate via da Augusto dopo la sconfitta di Antonio e dei suoi alleati, gli Arcadi, Paus. VIII, 46, 1.
190 Trach. vv. 1095 ss.
191 I, 224 ss.
192 II, 5, 4.
193 IV, 12.
194 P. Zancani Montuoro-U. Zanotti Bianco, Heraion, cit., II, p. 200.
195 Beazley, Attic Red Fig. Vase Painters, 1963, p. 62, 83.
196 F. Brommer, Herakles, 1953, tav. 12, p. 18 s.
197 Per ultimo Brommer, op. cit., p. 18 s. e schema a p. 54.
198 E. A. Sydenham, The coinage of the roman Republic, 1957, n. 94.
199 Fab. 30.
200 IX, 101, 6.
201 C. Talamo, in Contribution à l’étude de la société et de la colonisation eubéennes, cit., p. 27-36.
202 Il problema andrà ripreso, al momento non si può fare a meno di notare che se la via Heraclea è in funzione nella zona di Dicearchia, tale zona dovette ricevere, come si è visto, la sua massima valorizzazione proprio a partire dalla fondazione di Dicearchia.
203 Valenza Mele, Hera ed Apollo, cit., p. 498 ss.
Notes de fin
* Devo la pubblicazione di questo vasetto e la relativa documentazione grafica e fotográfica alla cortesia e alla collaborazione del Soprintendente prof. F. Zevi, della direttrice del Museo prof. E. Pozzi Paolini e del personale del Museo che qui sentitamente ringrazio.
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