Elementi dell’elevato del tempio
p. 26-32
Texte intégral
1Degli elementi architettonici dell’elevato del tempio nello scavo del 1953 sono state rinvenute solo sminuzzatissime schegge, una ventina in tutto, che dimostrano una distruzione intenzionale di tutti quegli elementi che, per non essere conci regolarmente squadrati, mal si prestavano ad essere riutilizzati.
2Queste mutile schegge ci permettono peraltro di riferire al tempio una serie di frammenti9, soprattutto di capitelli e triglifi, che quando iniziammo le ricerche su Akrai erano conservati in una delle grotte delle latomie acrensi, la Grotta del Custode.
3Un solo frammento di triglifo, il più cospicuo, era stato portato dall’Orsi nel Museo Nazionale di Siracusa, insieme a larga parte di una delle guance dell’altare che, come di regola, doveva stare all’aperto dinnanzi alla fronte del tempio.
4Attraverso questi frammenti è possibile renderci conto di alcune singolarità dell’architettura del tempio, ma ci mancano ancora troppi elementi perché si possa tentarne una ricostruzione grafica.
Le colonne
5Delle colonne abbiamo diciotto piccole schegge, tutte rinvenute negli scavi recenti, alcune veramente minuscole. Le maggiori comprendono parte della superficie di due scanalature adiacenti con lo spigolo che le divide (Fig. 19) ed una sola potrebbe conservarci l’intera scanalatura con due spigoli, uno dei quali peraltro cosi corroso da rendere difficile una precisa restituzione grafica.
6Le altre sono schegge di spigoli ο pezzi informi conservanti piccole porzioni della superficie curvilinea di una scanalatura. Esse dimostrano che le colonne del tempio, non riutilizzabili come regolari conci, dovevano essere state frantumate a colpi di mazza per farne pietrame ο calce. Un solo pezzo potrebbe avere un interesse alquanto maggiore. È una piccola scheggia della sommità del fusto, con breve tratto del piano superiore e di due scanalature adiacenti (Fig. 20).
7Essa ci dimostra che le colonne avevano alla sommità un collarino inciso, un semplice solco orizzontale poco profondo, e d’altronde l’angolo che lo spigolo verticale fra le due scanalature fa col piano superiore potrebbe essere un’indicazione della rastremazione delle colonne.
I capitelli
8Avevano quattro schegge dorici (Figg. 21-26) alle quali se ne sono aggiunte altre due minuscole (Figg. 27, 28).
9Una sola ci da l’intero profilo dell’echino, ma nulla resta invece dell’abaco sovrapposto. In base a questa scheggia possiamo calcolare il diametro superiore della colonna in circa cm. 98. Il profilo dell’echino è fortemente espanso, come quello di più vecchi templi siracusani (Apollonion e Olympieion). Diverso è invece il tipo delle armille, che in questi templi sono divise fra loro da profondi intagli creanti un forte contrasto di luci e ombre. Qui invece gli intagli sono molto più superficiali e a denti di sega, assai più simili a quelli dell’Athenaion di Siracusa databile intorno al 470 a.C. Ma in due schegge alle armille si aggiunge un collarino ad astragalo alla base dell’echino. Un motivo decorativo cioè che si direbbe piuttosto di gusto ionico e che non è frequente nell’architettura dorica. Sotto terminano, con margine rettilineo, le scanalature del fusto, che dovevano essere nel numero regolare di venti.
I triglifi e le metope
10Dei triglifi abbiamo tre frammenti, dei quali possiamo ricostruire la larghezza che doveva essere di cm. 59 circa (alquanto minore cioè della misura teorica di due piedi che sarebbe stata di cm. 60,8), mentre resta ignota l’altezza (Figg. 29-32).
11In essi le scanalature presentano una sezione triangolare e terminano in alto ad arco. La fascia superiore ha termini laterali non diritti, come di regola, ma obliqui, cosa del tutto insolita. Non è questa d’altronde l’unica singolarità di questi elementi architettonici.
12Ricorre infatti in due elementi un’elegante decorazione a tenue rilievo, anch’essa eccezionale nello stile dorico: sulla fascia superiore corre un motivo di spirali ricorrenti, irrigidito, nel quale le singole spirali sono diventate dei semplici dischi con bottone centrale, mentre nella parte superiore di ciascun listello è una palmetta a tre foglie nascente da una coppia di spirali, ugualmente irrigidite, dalla quale si staccano sottili steli che incorniciano superiormente l’archetto della scanalatura.
13Nel terzo frammento mancano queste palmette e le spirali ricorrenti della fascia superiore sono rese in maniera meno elaborata, a fascia liscia anziché scanalata. Questa differenza, cosi come quella notata nei capitelli, di cui solo alcuni presentano l’astragalo, mancante in altri, induce a pensare che una decorazione più elaborata fosse riservata alla fronte del tempio e fosse sommaria sui lati lunghi. D’altronde quest’ultimo frammento ricordato indicherebbe che il triglifo fosse lavorato in un sol blocco con la metopa adiacente.
14Se, come abbiamo supposto, l’interasse fra le colonne era di dieci piedi, e cioè di m. 3,04, essendovi in ogni interasse due triglifi (1/2 + 1 + 1/2) e due metope ed essendo i triglifi della larghezza di cm. 59, la larghezza delle metope avrebbe dovuto essere di cm. 93. Mentre i primi erano un po’meno di due piedi (60,8) le metope sarebbero state lievemente maggiori di tre piedi (cm. 91,2).
Il geison
15Del geison abbiamo un blocco completo pressoché integro, che è stato scalpellato solo sul lato frontale per poterlo riutilizzare, ma che conserva i suoi margini originali su tutte le altre facce, e un frammento minore, ritagliato per ridurlo a concio più ο meno squadrato anch’esso a fine di riutilizzazione (Figg. 33-37).
16Il primo pezzo è di grande interesse. Presenta alla base un astragalo e al di sopra di questo, nella parte aggettante, due mutuli della larghezza di circa cm. 40 ciascuno, e due intervalli fra i mutuli stessi della larghezza di circa cm. 10.
17Ciascun mutulo aveva al di sotto quindici gocce in tre file di cinque gocce ciascuna. Il margine del blocco coincide sul lato destro col limite del mutulo, sul lato sinistro invece col termine dell’intervallo. È evidente che i blocchi successivi dovevano essere identici ad esso.
18Ma nel frammento minore il margine originario conservato doveva sezionare uno dei mutuli. Lo si comprende per il fatto che in esso le gocce non ricadono proprio sul margine del blocco, come accadrebbe se questo coincidesse col margine del mutolo, ma sono alquanto distanziate da esso. Nel pezzo integro infatti le gocce estreme sono ravvicinatissime al margine laterale del mutulo.
19Dalla spazieggiatura dei mutuli ci si può rendere conto che anche riguardo a questo elemento dell’ordine dorico il tempio di Afrodite presentava delle caratteristiche insolite.
20Mentre normalmente si ha un mutulo sopra ogni triglifo ed uno sopra ogni metopa, qui si dovevano avere un mutulo sopra ciascun triglifo e due mutuli sopra ciascuna metopa.
21Solo così il ritmo della spazieggiatura dei mutuli viene a coincidere con quello degli interassi fra le colonne di dieci piedi e cioè di m. 3,04.
22In ogni interasse infatti venivano a ricadere sei mutuli e sei intervalli, con un ritmo ricorrente di cm. 50,65 per ogni coppia di mutulo + intervallo.
23Questo elemento viene quindi a confermare l’esattezza della nostra ricostruzione del fregio dorico in un’alternanza di triglifi di cm. 59 e metope di cm. 93.
24Normalmente in un fregio dorico il geison presenta una successione di mutuli tutti identici e ugualmente spazieggiati, ricadenti l’uno sul triglifo, l’altro sulla metopa adiacente e ciascun mutulo ha al di sotto sei serie di gocce.
25Vi sono poche eccezioni a questa regola. La più importante è quella offertaci dai templi C e D di Selinunte10, dove si ha su ciascun triglifo un mutulo regolare a sei gocce, e su ciascuna metopa un mutulo più stretto, lungo circa metà di esso e con tre sole gocce. Ciò aveva d’altronde confronti anche in Grecia, nell’Hekatompedon dell’Acropoli di Atene11, nel tempio di Aphaia a Egina, nel tempio di Artemide di Corfù12.
26La soluzione offertaci dall’Aphrodision di Akrai di aumentare da due a tre il numero dei mutuli per ogni coppia di triglifo e metopa, riducendo la lunghezza dei singoli mutuli da sei a cinque gocce, mi pare finora senza confronti.
I kymatia
27Non è da escludere la possibilità che all’Aphrodision appartenessero anche i kymatia di cui si conservano alcuni frammenti nel Museo Iudica e nell’Antiquarium di Palazzolo Acreide13 (Fig. 38, 40).
28In questo caso si potrebbe supporre che il fregio dorico a triglifi e metope corresse fra due kymatia, uno al di sopra, l’altro al di sotto, come avviene nel «tempio di Cerere» di Paestum14. Ma questa resta finora una semplice ipotesi.
29Ancor più incerto è il riferimento al tempio del grande fregio ad astragali con elementi assai allungati, testimoniato anch’esso da un solo blocco15. Esso avrebbe potuto per esempio decorare la porta della cella ο quella dell’anticella (Fig. 39).
Le terrecotte architettoniche
30Delle terrecotte architettoniche, che dovevano coronare la copertura dell’Aphrodision rivestendo le travature lignee del tetto e del frontone, si sono trovate nello scavo del 1953 solo delle briciole, insufficienti anche a dimostrare l’appartenenza a questo tempio piuttosto che ad altri monumenti della città di quattro minuscoli frammenti da tempo posseduti dal Museo di Siracusa16 (Fig. 44).
31Si sono trovati di esse solo numerosi frammenti di astragali che dovevano costituire un’appariscente decorazione plastica delle lastre del geison (cassette) correndo orizzontalmente lungo gli spigoli di esse e che devono essere stati intenzionalmente spezzati a colpi di martello onde riutilizzare rozzamente gli elementi del geison come canali o, tagliandoli, come semplici lastre di pavimentazione (Fig. 41).
32I frammenti di astragali raccolti nello scavo appartengono a tre serie distinte di tipo sostanzialmente identico, costituito cioè da una successione di elementi globulari, ο meglio alquanto ovoidali, e di coppie di elementi discoidali, ma di dimensioni notevolmente diverse.
33Nella serie maggiore gli elementi ovoidali hanno lunghezza di cm. 6,8 e diametro di cm. 5,2 circa e uguale diametro hanno gli elementi discoidali. Le si riferisce una quindicina di frammenti, due soli dei quali comprendono l’ovulo (più ο meno scheggiato), e una coppia di dischi; tre il solo ovulo, due una coppia di dischi. Gli altri sono schegge degli uni ο degli altri.
34Nella serie intermedia gli elementi ovoidali hanno lunghezza di cm. 5,3; D. un po’meno di 5. Le appartengono tre frammenti conservanti l’ovulo e una coppia di dischi, sette schegge di ovuli e quattro frammenti di dischi.
35Nella serie minore gli ovuli misurano cm. 3,7 x 3,2. Le appartiene un frammento con ovulo e coppia di dischi aderente al margine di una lastra e mezza dozzina di frammentucoli, alcuni dei quali corrispondenti anch’essi al margine della lastra.
36Questo fregio acrense doveva essere cioè del tipo attestatoci a Siracusa da un elemento singolo17, trovato sporadicamente dall’Orsi nello scavo di un serbatoio idrico, riutilizzato come oratorio in età bizantina, venuto in luce nell’area dell’attuale stazione ferroviaria e cioè nel quartiere dell’agorà (Fig. 42).
37Il confronto con l’esemplare siracusano ci dimostra che le tre serie di astragali potevano appartenere ad un solo fregio fittile. In questo esemplare infatti gli astragali che corrono alla sommità della fronte dipinta sono notevolmente minori di quelli correnti invece lungo lo spigolo inferiore: nella lunghezza conservata di cm. 55 trovano posto in alto otto elementi ovoidi e otto copie di dischi, mentre nella serie inferiore si hanno solo sei elementi discoidali e sette coppie di dischi.
38Anche nel nostro caso quindi la serie mediana doveva essere quella superiore, la serie maggiore quella inferiore rispetto alla fronte verticale della lastra, mentre la serie minore doveva correre lungo il margine della risvolta orizzontale, come dimostra d’altronde il maggior frammento di essa conservante il margine della lastra.
39Il fregio siracusano è stato attribuito dall’Orsi genericamente al V secolo a.C. sulla base peraltro di una semplice impressione. Il Van Buren lo data alla prima metà del V. Noi stessi propendevamo ad attribuire questo pezzo, così come il diffondersi della decorazione ad astragali nelle terrecotte architettoniche siceliote al posto dei semplici bastoni lisci, ad una fase avanzata dell’evoluzione di questa classe di manufatti. Osservavamo peraltro che la presenza di frammenti di terrecotte in cui l’astragalo si sostituisce al bastone a Megara Hyblaea (frammenti inediti al Museo di Siracusa) indica che questo nuovo tipo di decorazione era già diffuso prima del 483 a.C., data della distruzione di Megara da parte di Gelone18.
40Lo stesso motivo, anche se molto meno vistoso di quello dei fregi di Siracusa e di Akrai, ricorre nei fregi del minor tempio di Monte Casale e in quelli dei templi di Leontinoi e di Monte S. Mauro19, ma anche in uno dei minuscoli frammenti provenienti da Akrai del Museo di Siracusa che abbiamo sopra ricordato20, ma che non sembra identificarsi con il fregio dell’Aphrodision di cui abbiamo trovato i frammenti.
41La lastra di Siracusa ha sulla risvolta un motivo decorativo dipinto diverso da quello che ricorre comunemente nelle terrecotte architettoniche siceliote, e cioè invece della treccia doppia ο più raramente singola a tre colori si ha in essa un meandro doppio complesso, dipinto in nero sul fondo bianco.
42Delia superficie dipinta delle lastre acrensi non si trovò nel nostro scavo altro che alcune minuscole schegge del tutto insignificanti (Fig. 43).
Notes de bas de page
9 Akrai, pp. 126-134, figg. 44-53. Negli ultimi anni tutto questo complesso di frammenti architettonici, che dopo la scoperta del tempio appare ovviamente riferibile ad esso, è stato accuratamente riesaminato da Barbara A. Barletta in un ampio studio di insieme che ne mette in luce la singolarità nel complesso dell’architettura dorica siciliana: B.A. Barletta, Ionic Influence in Archaic Sicily: The Monumental Art, «Studies in Mediterranean Archaeology», 23, Göteborg, 1983, pp. 111-121.
10 R. Koldewey-O. Puchstein, Die griechischen Tempel in Unteritalien und Sicilien, Berlin, 1899, pp. 99 e 105, figg. 71 e 78 (tempio C) e p. 107, fig. 81 (tempio D).
11 Durm, Baukunst der Griechen 3a Aufl., Lipsia, 1910, p. 380, fig. 362.
12 A.W. Lawrence, Greek Architecture, Pelican Hist, of Art, 1957, p. 114, fig. 61 (Corfù) e tav. 21 (Egina).
13 Akrai, fig. 52 a pag. 133; cfr. Barletta, op. cit., pp. 115-117.
14 H. Berve, G. Gruben, M. Hirmer, I templigreci, Firenze, Sansoni, 1962. (Griechische Tempel undHeiligtumer, München, 1962), p. 224, fig. 79; F. Krauss, Paestum, die griechischen Tempel, Berlin, 1941, p. 37, fig. 38: — Id., Die Tempel von Paestum, 1959, p. 23 - 24, fig. 21 2-5, tav. 24.
15 Akrai, fig. 53 a pag. 134; Barletta, op. cit., p. 117. Considerate di età più tarda.
16 Akrai, fig. 54 a pag. 135.
17 P. Orsi, Not. Scavi, 1904, p. 282, fig. 7; cfr. D. Van Buren, Archaic Fictile Revetments in Sicily and Magna Graecia, London, 1923, p. 125, Catal. n. 60 e fig. 40, che lo indica erroneamente come proveniente dall’Olympieion.
18 L’Athenaion di Gela e le sue terracotte architettoniche, Annuario della scuola Archeol. di Atene, XXIII-XXIV, 1952, p. 94.
19 P. Orsi, Di una anonima città siculo-greca a Monte San Mauro, Monumenti Antichi dei Lincei, XX, 1911, tavv. 778 e segg., figg. 43, 45, tav. V.
20 Akrai, fig. 54 b, p. 135, n. 4.
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Recherches sur les cultes grecs et l’Occident, 2
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