La Campania settentrionale
p. 109-112
Texte intégral
1Non presenterò molte diapositive, ma soltanto quelle che potranno servire, in sostanza, da riepilogo, in quanto mi son voluto affidare soprattutto al materiale esposto nella mostra. Gli ultimi scavi e i risultati dei restauri per quel che riguarda il materiale di Capua non hanno cambiato sostanzialmente il quadro della situazione. È rimasto quello hiatus fra il periodo precoloniale e il periodo protocoloniale, che appariva tale all’epoca del convegno che fu tenuto fra Napoli e Ischia nel 1968. Sostanzialmente, le novità da allora non sono molto notevoli, ma tuttavia sono pur sempre tali da chiarire forse meglio qualche problema. D’altra parte, anche la notevole quantità di ritrovamenti che si è avuta altrove, in Grecia e nel Mediterraneo, potrà senz’altro contribuire a far capire meglio in questo quadro d’insieme i ritrovamenti di Cuma e Capua in età precoloniale. Questo hiatus penso che sia un fatto provvisorio; abbiamo sempre speranza di trovare in futuro anche nel periodo 2b di Capua — che grosso modo dovrebbe coincidere con il secondo quarto dell’VIII secolo — della ceramica d’importazione. D’altra parte, come dirò più avanti, ci sono degli indizi alla fine di tale periodo che possono far pensare che la fondazione di Pithekoussai, o per lo meno l’inizio delle importazioni corinzie anche nella Campania continentale, possa aver avuto inizio già durante tale sottofase. Per quel che riguarda il periodo 1b, è aumentato il numero delle coppe «à chevrons», ne abbiamo una in un contesto oramai sicuro, una tomba (t. 1200) rimasta completamente intatta e contenente bronzi. Questa tomba è ancora databile grosso modo negli ultimi decenni del IX secolo, per la presenza di una fibula del tipo cosiddetto siciliano ancora a sezione circolare e di una fibula in ferro a due pezzi di un tipo che troviamo a Veio fin dall’inizio della fase 2a della Close Brooks; difatti appare sempre più chiaro che l’inizio di questa fase 2a di Veio si sovrappone in parte alla fase 1b di Capua, così come alla fase 1b di Pontecagnano.
2Per quel che riguarda poi il periodo successivo 2a, proprio agli inizî di questo periodo, risale uno skyphos, purtroppo trovato in frammenti in una tomba sconvolta, che pero è senza dubbio di importazione e rientra nella categoria degli skyphoi con I’uccello in una metopa, di cui ha parlato stamane Coldstream, e che è di un’argilla con ingubbiatura gialla molto lucida e con vernice marrone lucida. Probabilmente si tratterà di un prodotto euboico. Nello stesso periodo incomincia già la produzione locale, mentre continuano le importazioni.
3Ho esposto qui fra l’altro anche uno skyphos che ho già pubblicato, che feci vedere già a Ischia nel 1968, con decorazione a fasce all’interno, di un tipo di cui si son trovati vari esemplari ad Al Mina. Sarà interessante confrontarlo anche con l’esemplare ad Al Mina. Sarà interessante confrontarlo anche con l’esemplare trovato da B. D’Agostino nella valle del Sarno, la quale evidentemente, almeno fin da questo periodo, rientra nella stessa area commerciale del golfo di Napoli in cui rientra anche Capua.
4Un ritrovamento molto interessante, sempre del periodo 2a, ma della sua fase finale, è il kantharos della tomba 925, anch’esso sicuramente importato, l’unico esemplare di kantharos geometrico ad anse alte finora trovato in Italia, che è anch’esso caratterizzato da un’argilla grigia con ingubbiatura giallina chiara piuttosto lucida. Potrebbe essere di officina euboica; però neanche in Eubea si è trovato nulla di simile; ha l’orlo ornato da una serie di uccelli e sulla spalla dei cerchi concentrici in metope. Finora è un unicum; spero che possa venire fuori qualche confronto interessante dalle relazioni successive e dalla discussione. Comunque, è insieme con un kalathos già ben noto da Veio, esempio di come non siano stati importati, fin da quel periodo almeno, soltanto degli skyphoi ma anche vasi di tipo diverso.
5Per quanto riguarda il periodo 2b, vorrei attirare l’attenzione sul fatto che in una tomba probabilmente appartenente alla sua fase inoltrata è stato trovato un vaso d’impasto indígeno che ricorda per la forma le più antiche kotylai tardogeometriche corinzie. Quindi, evidentemente, dato che non esiste alcun precedente anche nella ceramica d’impasto locale, imita un prototipo di questo genere, il che potrebbe già far pensare se non proprio all’esistenza di Pithekoussai, almeno all’arrivo di ceramica tardogeometrica corinzia in Campania.
6A proposito di altri influssi della ceramica greca sulla ceramica d’impasto locale, vorrei far presente che nel periodo 2a abbiamo, per esempio, dei motivi decorativi, come delle rosette a quattro petali, che si trovano in uno spazio metopale su un’olla di forma e decorazione per il resto sicuramente locale, o anche una rosetta simile su una lekythos che imita tipi orientali e, diciamo, anche dell’Egeo meridionale, insomma un tipo che è abbastanza comune a Rodi e che si trova anche, sia pure in dimensioni più piccole, in Eubea, o almeno ad Al Mina. Quanto poi all’importazione di ceramica corinzia, essa comincia insieme con quella pithecusana nel terzo quarto dell’VIII secolo, nel periodo 2c, fase finale della prima età del ferro. Quello che è interessante rilevare è che essa è stata trovata finora esclusivamente in tombe notevolmente ricche, in tombe cosiddette principesche, cosa che invece non si verifica affatto nei periodi precedenti per quel che riguarda la ceramica d’importazione. Difatti, a partire degli skyphoi «à chevrons», i vasi importati in epoca precedente si sono trovati anche in tombe tutt’altro che ricche, anzi con scarsissimo corredo; il che è certamente anche in rapporto col fatto che solo con il periodo 2b incominciamo ad avere testimonianze di una notevole differenziazione sociale, cioè dell’emergere di una classe, che potremmo chiamare oligarchica, molto ristretta; mentre già prima in fondo possiamo parlare di una certa differenziazione in classi, meno evidente, naturalmente, nella prima fase.
7Per quel che riguarda poi l’Orientalizzante Antico, continua l’importazione di ceramica corinzia e pithecusana; in una tomba (t. 283) principesca purtroppo molto devastata, sono stati trovati fra l’altro una oinochoe del protocorinzio antico, una tazza tipo Thapsos con pannello del tipo che ritengo sempre più recente con la parte inferiore verniciata — mentre una coppa tipo Thapsos trovata in una tomba più antica ha la decorazione a fasce fino al piede — e un aryballos del tipo cosiddetto rodio-cretese. Di questo tipo abbiamo anche un altro esemplare in una tomba di Capua dell’Orientalizzante Antico, proprio della fine dell’VIII secolo, ed è noto un esemplare da Cuma e un altro da Pontecagnano; non conosco però nessun esemplare di questa categoria da Rodi o da Creta; è una categoría che ancora non si può localizzare, almeno per il momento. In quest’altra tomba, appunto della fine dell’VIII secolo, sono stati trovati due kantharoi ad anse basse che imitano tipi del protocorinzio antico, kantharoi a vernice nera e degli skyphoi del protocorinzio antico.
8Vorrei tirare adesso alcune somme di questa situazione. Sono perfettamente d’accordo con Ridgway quando sostiene che in fondo il tardo-geometrico 1 di Pithekoussai comincia verso la metà dell’VIII secolo o poco prima; adesso penserei effettivamente alla seconda di queste ipotesi. Non credo che Pithekoussai, che ha dato già un’enorme quantità di ritrovamenti non solo nella necropoli ma anche nell’abitato, preesistesse sostanzialmente a questa data; non pertanto non sono molto d’accordo con l’ultima suggestione di B. D’Agostino in proposito. Comunque, almeno a mio modo di vedere, è evidente che almeno già fin dagli inizî dell’VIII secolo, degli artigiani di provenienza greca dovevano essersi installati sul continente anche in Campania, così come in Etruria, per lo meno a Veio e forse anche a Tarquinia. Fin dagli inizî dell’VIII secolo infatti si cominciano a trovare a Capua ceramiche geometriche locali di forma indigena accanto a ceramiche geometriche pure fatte sul posto ma di forme greche. Il repertorio decorativo è sostanzialmente greco e si differenzia notevolmente da quella ceramica d’impasto dipinto di cui anche Ridgway ha fatto vedere un esemplare dall’Etruria; questa differenziazione la si nota nettamente anche nella decorazione. È un tipo di ceramica che appare a Capua molto presto, più o meno nello stesso periodo che a Tarquinia, e di cui gli esemplari trovati a Bisenzio sono relativamente tardi, ma che deve essersi sviluppata in Etruria; infatti credo che sia nota l’esistenza di un ossuario biconico da Veio dipinto ancora della seconda metà del IX secolo.
9Per quel che riguarda le forme indigene della ceramica di argilla figulina invece troviamo lo stesso repertorio che si trova in Etruria, nel Lazio e in Campania fino a Pontecagnano: praticamente il tipo di anforetta panciuta con collo basso — la cosiddetta anforetta laziale —, delle coppette a forma più o meno schiacciata con decorazione molto semplice a fasce, e anche soprattutto delle forme tipicamente capuane come la fiasca priva di anse ad alto collo. La sintassi decorativa però è, come nella ceramica italogeometrica più a nord, tipicamente greca e vi abbondano tra l’altro i cerchi concentrici proprio come nei frammenti di vasi che ha presentato La Rocca, che vengono da Roma; per cui è molto probabile che anche quella ceramica possa essere stata fatta, se non proprio a Roma, quasi certamente nel Lazio o nell’area circostante, e probabilmente, come in Campania, almeno in un primo momento, da Greci immigrati. Poi, a partire dal l’Orientalizzante Recente, incominciamo anche a trovare delle imitazioni locali di ceramica protocorinzia; ed è interessante notare che già fin dall’inizio troviamo questa ceramica d’imitazione protocorinzia in grande quantità accanto ad altre forme che sembrano oramai diventare tipiche della Campania settentrionale, quali i piatti con bordo verticale spesso biansati con decorazione geometrica per lo più molto semplice. Questa ceramica dell’inizio dell’Orientalizzante Antico è, in media, di qualità migliore della ceramica d’imitazione del periodo immediatamente precedente. C’è stato uno scadimento fra le imitazioni più antiche della prima età del ferro e quelle più recenti. È evidente che i primi prodotti d’imitazione sono stati fatti da artigiani greci che avranno trovato certamente anche degli allievi, chiamiamoli così, indigeni e saranno venute a crearsi delle officine che man mano devono essere arrivate a una produzione di massa, che si accentua soprattutto nei periodi 2b e 2c e che naturalmente esiste anche nell’Orientalizzante Antico e continua accanto ai prodotti di qualità migliore. Quello che mi pare di notevole interesse è che fin dall’inizio del’Orientalizzante Antico appaiono, anche nella ceramica d’impasto, in notevole quantità anche nel senso della percentuale rispetto alle altre forme, delle forme greche: appare la kotyle, per esempio, appare lo skyphos, appaiono brocche di diversi tipi.
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