La ceramica greca o di tradizione greca nell’VIII sec. in Italia meridionale
(Pl. 9-11)
p. 55-67
Texte intégral
La Campania
1Rispetto al quadro descritto nel 1968 nel corso del Convegno di Napoli-Ischia1, nella Campania a Sud del Sarno per il problema che c’interessa non sono emerse sostanziali novità.
2Nell’unico grande centro di tradizione «villanoviana», Pontecagnano, l’orizzonte riferibile, almeno tipologicamente, al Geometrico Medio II, è ancor oggi rappresentato da poche coppe del tipo a chevrons, quasi tutte d’imitazione, rinvenute in contesti databili al secondo quarto dell’VIII sec. (fase II locale). Questo aspetto è anche cronologicamente ben distinto da quello in cui appaiono le prime ceramiche ispirate alla produzione corinzia (fase III): si tratta, come è noto, di coppe del tipo di Thapsos senza pannello e di qualche oinochoe, prodotte in prevalenza nelle colonie euboiche del Golfo di Napoli.
3Probabilmente, una migliore conoscenza della II fase locale consentirebbe di colmare la discontinuità tra i due aspetti: ad esempio in un corredo della fase II finale s’incontra un piccolo kantharos interamente verniciato di tipo corinzio, analogo a varî esemplari rinvenuti nella necropoli pitecusana e ad Itaca2.
4Diverso è il quadro per la ceramica di tradizione greca: nella fase II della prima età del ferro è rappresentata una ceramica d’argilla figulina eseguita al tornio di tradizione euboica e cicladica, che dimostra notevoli affinità con una classe analoga di ceramica diffusa nello stesso periodo in Etruria e nel Lazio, quella che si suol definire convenzionalmente la ceramica di Bisenzio3. L’esemplare più significativo rinvenuto a Pontecagnano è l’olla della tomba 538 con decorazione metopale ad uccelli. Gli elementi principali della decorazione: il rombo riempito a rete, l’uccello, la falsa spirale corrente, sono ben noti sia nella ceramica di Bisenzio che in quella delle isole; la sintassi decorativa rispecchia con rigore modelli del tardo geometrico argivo e ciladico; tuttavia il vaso, per la forma e per la decorazione, non può assegnarsi né alle fabbriche dell’Etruria Meridionale né a quelle delle Isole.
5Anche la brocchetta con cerchi concentrici sulla spalla risponde ad un tipo ben noto a Veio, a Roma ed in genere in Etruria Meridionale: è in fondo il tipo rappresentato nelle tombe XXX e XXXI dell’Esquilino, che trova fin troppo ovvî confronti in ambiente euboico ed insulare4. Anche in questo caso però il vaso di Pontecagnano non trova un preciso confronto altrove, se non altro per la posizione dell’ansa impostata sull’orlo e sulla spalla.
6Queste peculiarità di carattere spiccatamente locale inducono a considerare l’ipotesi di un figulo greco trasferitosi da Pitecusa sulla costa del sinus paestanus; potrebbe quindi trattarsi di un fenomeno parallelo a quello ipotizzato da G. Buchner per l’Etruria5, ma — al momento — molto più circoscritto.
7Diversa è la situazione della Valle del Sarno, come si va definendo in base agli scavi recenti di S. Marzano e S. Valentino Torio. Già nel 1970, facendo il punto sui primi risultati dei nuovi scavi6, era stata segnalata la presenza di ceramica di tipo corinzio databile intorno alla metà dell’VIII sec. La documentazione si è ora notevolmente ampliata e consente di tracciare un panorama meglio definito.
8Tra gli esemplari più antichi di ceramica di tipo greco non manca qualche skyphos che sembra imparentato con le coppe a chevrons: l’esemplare più significativo è quello dalla tomba 69 (Fig. 1) di S. Marzano, che secondo l’amico Ridgway, per le caratteristiche dell’argilla e della vernice, ricorda la ceramica di Al Mina. Il rapporto con le coppe a chevrons è molto meno evidente per gli skyphoi dalle tombe 65 di S. Marzano e 187 di S. Valentino, di esecuzione molto trascurata; anche in questi si conserva però la caratteristica della decorazione a trattini verticali sulle anse, tipica del Geometrico Medio e Recente I. Si tratta, in ogni modo, di vasi molto diversi dalle coppe a chevrons di Veio, Capua e Cuma7 . Problematico rimane il richiamo ad Al Mina: infatti non conosco coppe a chevrons dall’ambiente euboico e dalle sue aree di espansione, con l’unica eccezione della coppa a chevrons ancora inedita da Villasmundo che — come riporta il Voza — è stata attribuita ad officina euboica da G. Buchner8.
9Anche qualche altra forma sembra rientrare ancora nella tradizione del Geometrico Medio II: lo skyphos dalla tomba 126 (Fig. 2) di S. Marzano, con labbro alto e inclinato, è simile ad esemplari corinzî anteriori alla kotyle Aetos 666 e, come questi, presenta due sole fasce sotto la fila di chevrons9.
10L’oinochoe dalla tomba 178 di S. Valentino (Fig. 3), con fila di chevrons sul collo, è identica per la forma ad un esemplare di Corinto che il Coldstream attribuisce al Geometrico Medio II10. Il vaso è probabilmente di fabbrica pitecusana e forse spetta già al Geometrico Recente I, come del resto gli altri vasi già ricordati, per i quali il rapporto di dipendenza dalle coppe a chevrons ha un interesse meramente tipologico.
11L’orizzonte del Geometrico Recente I è rappresentato soprattutto da coppe che recano la tipica decorazione della kotyle Aetos 666; questi esemplari, quasi tutti di officina pitecusana, appartengono generalmente per la forma ad una variante della kotyle Aetos 666, con labbro distinto, ben nota a Corinto e a Pitecusa11. Solo l’esemplare dalla tomba 190 di S. Valentino, che è di fabbrica diversa, è del tipo canonico ad orlo non distinto; tuttavia la sua decorazione è molto trasandata.
12Al Geometrico Recente I spetta la ceramica di tipo greco dalla tomba 122 di S. Marzano; si tratta di una oinochoe con fila di chevrons sul collo, di fabbrica pitecusana, e di una black-kotyle con rigo bianco all’interno e all’esterno, corinzia d’importazione. Anche l’oinochoe già edita, dalla tomba 23 di S. Marzano, è di fabbrica pitecusana e trova confronti precisi ad Ischia in corredi di questo periodo12.
13Nella seconda metà dell’VIII sec. appare con relativa frequenza la coppa del tipo di Thapsos nella variante senza pannello, sia nel formato piccolo che in quello grande. È anche rappresentato, nella tomba 76 di S. Marzano, il kantharos con decorazione analoga a quella delle coppe di Thapsos con pannello13, d’importazione; si trova inoltre il piccolo kantharos interamente verniciato, frequente ad Itaca e a Pitecusa14: l’esemplare della tomba 111 di S. Marzano, l’unico finora rinvenuto nella Valle del Sarno, è di fabbrica pitecusana.
14Per questo periodo, il corredo più significativo è quello della tomba 168 di S. Valentino Torio, che comprende alcuni vasi di tipo greco (Fig. 4). Delle due coppe del tipo di Thapsos, l’esemplare grande è pitecusano, quello piccolo potrebbe — a mio avviso — essere corinzio: di diversa opinione è il Ridgway, che propende per attribuirlo a Pitecusa. Ad officina pitecusana si devono riferire certamente l’oinochoe ed il grande cratere con becco per versare, l’unico esemplare del genere finora rinvenuto fuori dell’isola. L’oinochoe reca sulla spalla un semplice ornato a volute con bocciolo schematico al centro, più consueto sulla spalla degli aryballoi di tipo rodio-cretese. In questo essa ricorda da vicino l’oinochoe dalla tomba principesca 928 di Pontecagnano, peraltro più recente15. Il cratere è vicino per la forma a quello dalla tomba di Nestore, che presenta una decorazione più semplice (Ridgway).
15In questo periodo fa la sua comparsa una classe di ceramica eterogenea, ma ispirata a modelli greco-orientali: l’esemplare più significativo è lo skyphos con motivi a zig-zag orizzontali dalla tomba 111, che ricorda qualche esemplare di Samo16 . All’ambiente cretese riconduce invece l'aryballos dalla tomba 113, con file di puntolini sulla spalla.
16La ceramica di tipo corinzio continua ad essere attestata nella Valle del Sarno nel periodo corrispondente al Protocorinzio Medio: s’incontra ancora qualche rara coppa del tipo di Thapsos senza pannello, ma soprattutto è frequente l’oinochoe trilobata, accompagnata a volte dalla lekane o dalla coppetta carenata, con o senza piede. L’unico esemplare d’importazione, in questo periodo, è la kylix con ornati a sigma dalla tomba 128 di S. Valentino.
17Un campo da esplorare meglio è quello della ceramica di tipo greco in esemplari d’imitazione analoghi a quelli dell’Etruria meridionale; fenomeni del genere sarebbero di notevole interesse per illuminare eventuali rapporti tra i due ambienti, ma per ora si tratta di una documentazione ancora troppo esigua; ci si limita perciò a ricordare un unico esempio, quello dell’oinochoe dalla tomba 173, di S. Valentino, vicina per la forma e per la decorazione ad esemplari del Geometrico Recente I.
18Come si è mostrato altrove17, già nella prima metà del VII sec. la Valle del Sarno sembra spopolarsi come d’improvviso. In altri centri indigeni della chora campana, dove la vita non si arresta così precocemente, è possibile comunque constatare che l’importazione di ceramica greca o di tipo greco si verifica come fenomeno limitato in un momento immediatamente successivo allo stabilirsi degli insediamenti euboici nel Golfo di Napoli, per esaurirsi già nel corso dell’VIII sec.18.
Il territorio di Taranto
19Come è ben noto, nel corso dell’Età del Bronzo, quest’area era stata al centro dei rapporti tra la Penisola e l’Egeo; anche il Golfo di Napoli non era rimasto estraneo a queste relazioni, tuttavia ne era stato investito in maniera assai più tenue. In ogni modo, come è stato già rilevato19 è significativo che proprio in queste due aree, dopo la parentesi dell’Età Oscura, avvenga una precoce ripresa dei contatti con l’ambiente Egeo.
20Secondo il Lo Porto, frammenti di vasi cicladici protogeometrici esistono tra il materiale rinvenuto a Satyrion ed a Porto Cesareo. A Satyrion, un frammento di anfora di tipo cicladico proviene da un livello con ceramica iapigia protogeometrica riferibile al momento di passaggio dal Bronzo al Ferro; altri frammenti, di fisionomia meno definita, furono raccolti nella stessa località dal Quagliati20. Perplessità sull’attribuzione di questi frammenti al protogeometrico delle Cicladi sono state avanzate dal Coldstream21; dei rinvenimenti di Porto Cesareo è difficile giudicare, poiché finora se ne conosce solo l’esistenza22. Si tratta, in entrambi i casi, di insediamenti di lunga durata, naturalmente aperti a relazioni con l’Egeo; a Satyrion la ceramica micenea appare dal Miceneo III B, mentre a Porto Cesareo l’insediamento nasce addirittura nel Bronzo Antico.
21Allo Scoglio del Tonno, l’insediamento dell’Età del Bronzo sullo scoglio oggi distrutto al passaggio dal Mar Piccolo al Mar Grande di Taranto, la frequentazione greca è documentata almeno dal Geometrico Medio II, come dimostrano un frammento con decorazione a semicerchi ed una coppa con decorazione a chevrons23.
22Dopo questo orizzonte, che rispecchia in maniera per la verità ancora nebulosa la ripresa delle relazioni con l’Egeo succeduta ai Secoli Oscuri, si percepisce con maggiore chiarezza un precoce interesse corinzio verso quest’area. Tra la ceramica di Porto Cesareo esposta a Taranto nella Mostra del 1969 era un frammento di kotyle, che mi parve di fabbrica corinzia, del tipo Aetos 666. Si tratterebbe quindi di un contatto contemporaneo all’insediamento dei primi Greci a Pitecusa. A Satyrion invece, per questa fase, non sembra esservi ceramica anteriore al Protocorinzio Antico avanzato, epoca alla quale riconducono la kotyle con aironi schematici, quella con ornati a sigma, le oinochoai tronco-coniche, la brocca a bocca circolare ed il kantharos interamente verniciato24. Ceramica del medesimo tipo è presente anche a Scoglio del Tonno, dove esiste — a quanto pare — una lacuna tra questa evidenza e la coppa a chevrons già ricordata25.
23In questo quadro, la fondazione di Taranto si pone come fenomeno relativamente tardo. Fino ad ora, come è noto, il contesto più antico è quello della tomba con aryballos globulare e skyphos con ornati a sigma26 della fine dell’VIII sec.
La Siritide
24Manca del tutto, fino ad oggi, una documentazione relativa a Metaponto, per il periodo iniziale della colonia; alcuni dati interessanti sono invece emersi di recente, grazie agli scavi di P. Orlandini, in quella che probabilmente rimase per lungo tempo la chora di Siris, tra il Basento e l’Agri.
25La più antica frequentazione greca ha lasciato, paradossalmente, le sue tracce, in un abitato indigeno del retroterra27: l’Incoronata, sulla riva destra del Basento. Secondo P. Orlandini, sulla spianata superiore di questa collina esisteva un insediamento indigeno fin nella prima Età del Ferro. Solo intorno al 700 ad esso si sovrappose un insediamento greco coloniale, con case rettangolari dalle fondazioni in pietre non squadrate, con elevato in mattoni crudi.
26In un pozzo dell’abitato indigeno tagliato poi da un doppio pozzo della fase greca, insieme a ceramica d’impasto ed a frammenti enotrio-geometrici del tipo di Sala Consilina II A, sono stati rinvenuti tre frammenti di stile geometrico. Uno di questi, come ben ha visto il rinvenitore, appartiene ad una proto-kotyle riferibile ancora al Geometrico Medio II28. Il frammento è quindi tra i più antichi rinvenuti nel Golfo Ionico, ed ha paralleli in quest’area solo nella coppa a chevrons di Scoglio del Tonno.
27A giudicare dal poco materiale edito, dopo questo frammento nella Siritide non s’incontra ceramica di tipo greco fino al volgere dall’VIII al VII sec., fin quando cioè, secondo l’Orlandini, l’abitato indigeno non viene obliterato dall’insediamento greco. A questo periodo spettano l’oinochoe conica protocorinzia ed il bicchiere di tipo samio29. Tra la ceramica di produzione «locale» spettano a questo periodo i crateri simili a quelli siracusani dalla necropoli del Fusco30. Per la presenza di ceramica d’importazione e di motivi decorativi provenienti dall’ambiente greco-orientale, sembra probabile che ora l’Incoronata segni il limite di espansione della chora di Siris.
28Dalla colonia di Colofone, almeno un frammento — purtroppo inedito — è ancora di stile geometrico: appartiene al collo di un vaso di forma chiusa, con decorazione a meandro riempito a tratteggio obliquo; se si eccettua questo frammento, l’altra ceramica è molto più recente, e non risale oltre gli inizî del VII sec. a.C.: si tratta di kotylai non anteriori al Protocorinzio Medio e di coppe con filetti sull’orlo simili a quelle che si rinvengono a Sibari31; a questi si aggiungono numerosi frammenti di bird-bowls di tipo arcaico.
La Sibaritide
29Anche in quest’area la ceramica più antica di tipo greco non appare nella città achea della Piana, ma in un abitato indigeno che s’incontra, risalendo il corso del Raganello, sulla fascia collinare che alla Piana serve da sfondo. A Francavilla Marittima, nella necropoli indigena di Macchiabate — come ha ben visto Paola Zancani Montuoro — alcune delle tombe indigene contengono qualche raro esemplare di ceramica corinzia anteriore alla fondazione di Sibari. Il fatto fu segnalato già nel 1968, nel colloquio di Napoli-Ischia, a proposito del corredo della tomba 8, che comprendeva due vasi di tipo Geometrico Recente I corinzio: una black-kotyle ed una pisside globulare con decorazione metopale ad uccelli32.
30Allo stesso periodo sembrano riferirsi due kotylai, dalle tombe U 15 ed 88 della stessa necropoli, entrambe in argilla giallino-verdognola. Purtroppo la decorazione è quasi completamente evanida e la superficie è molto sconservata, come capita spesso a Francavilla: dovrebbe trattarsi comunque di kotylai del Geometrico Recente I.
31Un altro vaso suggestivo, dalla stessa necropoli, è quello dalla tomba C.R. 1, in argilla rosata: sembra una derivazione da una coppa a chevrons, anche se talmente alterata da rendere problematica l’identificazione dell’archetipo.
32Come è noto, subito dopo la necropoli indigena sembra esaurirsi; le tombe più recenti contengono ormai esclusivamente ceramica di tipo greco ed appaiono soltanto nella seconda meta del VII sec., dopo uno hiatus di circa un secolo; esse rivelano dunque un sostanziale mutamento di identità culturale negli abitanti del luogo.
33Altri elementi di varia origine concorrono ad indicare che le rive della Piana del Crati erano frequentate, già nella prima metà dell’VIII sec., non soltanto da genti provenienti dalla Grecia ma anche da imbarcazioni giunte dal Vicino Oriente: basta ricordare, a questo proposito, la coppa fenicia dalla tomba S, gli scarabei di tipo egiziano, il sigillo del Lyra Player’s Group dalla tomba 69, databile anch’essa intorno alla metà dell’VIII sec. a.C. Forse la memoria di un’antichissima rotta che, dopo aver costeggiato le coste libiche, toccava la piana del Crati si nasconde nella tradizione del viaggio di Anna, poi Anna Perenna, la sorella di Didone che, prima di raggiungere il Lazio, si arresta «prope piscosos lapidosi Crathidis amnes»33.
34Nel terzo quarto dell’VIII sec., in un momento che probabilmente coincide con la fondazione della colonia achea, la situazione a Francavilla muta repentinamente: le sepolture indigene si esauriscono — come si è accennato — e si determina uno hiatus nel sepolcreto; sulla collina della Motta, dove già esisteva una sporadica frequentazione fin dall’Età del Bronzo, sorge il santuario di Atena, segno tangibile dell’appropriazione della chora da parte di Sibari34.
35Per varietà e per qualità la ceramica greca d’importazione rinvenuta nel santuario, meglio di quella trovata finora nei livelli profondi della colonia achea, rende giustizia alla città famosa per la tryphè e per le relazioni con l’Oltremare. La fabbrica rappresentata con maggiore completezza, nella seconda metà dell’VIII sec., è quella di Corinto: s’incontrano le coppe del tipo di Thapsos con pannello, quelle senza pannello, le kotylai ad aironi schematici, quelle con decorazione a sigma e le black-kotylai del Protocorinzio Antico e Medio, le oinochoai con ventre tronco-conico, gli aryballoi ovoidali e le pissidi cilindriche. Al momento di fondazione della colonia spetta un frammento di kyathos, probabilmente corinzio, riferibile al Geometrico Recente35.
36Tra la ceramica greco-orientale, l’unico vaso che sembra risalire a questo periodo è un’oinochoe rodia tardo-geometrica, simile ad esemplari di Exochi; queste ceramiche divengono invece frequenti nel VII sec., quando s’incontrano le coppe ad uccelli, anche in esemplari molto arcaici, la ceramica figurata di tipo rodio, i calici chioti, i kernoi di tipo samio recanti serie di piccole hydriai.
37Come si è già accennato, gli inizî di Sibari corrispondono cronologicamente alle più antiche testimonianze del santuario di Atena a Francavilla: anche nella colonia achea si trovano pochi frammenti di coppe del tipo di Thapsos con pannello, ed alcuni altri esemplari di coppe analoghe senza pannello. Anche la ceramica databile alla prima metà del VII sec. è relativamente esigua, ed è rappresentata da un numero limitato di kotylai, skyphoi, pissidi ed oinochoai coniche di tipo Protocorinzio Medio36.
38Non è ancora chiaro in che modo si articolasse l’insediamento nella sua fase più anan-tica: anche al Parco del Cavallo, ad aree circoscritte in cui il livello archeologico basale comprende testimonianze che risalgono alla seconda metà dell’VIII sec. se ne alternano altre, immediatamente contigue, dove al contatto con il suolo vergine s’incontra ceramica non più antica della metà del VII sec. a.C.
39Al momento della fondazione di Sibari risalgono i primi contatti tra Greci ed indigeni ad Amendolara, l’insediamento della prima Età del Ferro situato sulla costa ionica, circa km. 25 più a Nord della città achea. In una delle sepolture indigene37 s’incontra infatti la coppa del tipo di Thapsos, forse nella variante senza pannello; le relazioni continuano nel corso del VII sec. a.C.
Crotone38
40I primi dati della città di Miscello indicano che essa è almeno altrettanto antica di Sibari: anche qui si trovano le coppe del tipo di Thapsos con pannello, rinvenute in saggi ubicati in varie parti della città; vi sono inoltre coppe con aironi schematici ed un frammento di cratere corinzio con decorazione a spirali, in una sintassi che ricorda le coppe del tipo di Thapsos con pannello.
La Locride
41Quest’area si configura come uno dei più complessi problemi nella controversa questione della «precolonizzazione». I sepolcreti indigeni di Canale e Janchina, indagati magistralmente dall’Orsi, hanno restituito — come è ben noto — un vasto assortimento di ceramica con decorazione dipinta di stile greco tardo-geometrico39.
42Sebbene l’Orsi denominasse questo vasellame «paleogreco», in effetti un solo vaso, l’oinochoe della collezione Scaglione40 è realmente d’importazione; è stata attribuita infatti alla fabbrica attica ed in particolare all’officina di Atene 897, attiva nella fase del Geometrico Recente II Β e quindi, nella cronologia del Coldstream, nell’ultimo ventennio dell’VIII sec. In quell’epoca non risulta alcun insediamento greco nella fascia tra Crotone e lo Stretto.
43Come è stato già da tempo osservato, soprattutto dallo Åkerström, l’altra ceramica di tipo greco rivela una ispirazione insulare, con possibilità di confronti nel Dodecanneso e nelle Cicladi: si tratta di una generica coloritura nesiotica difficile da specificare. Quando invece esiste qualche elemento più tipico, i confronti riconducono all’Eubea; si veda il motivo dell’uccello con un’ala piegata ad angolo retto, come una bandierina che sovrasti il corpo, o il motivo del quadrifoglio con riempimento a tratteggio41.
44Il carattere euboico di alcuni motivi decorativi ricorrenti è stato evidenziato dal Coldstream42, secondo il quale questa ceramica è opera di artigiani locali; «lo stile può essere stato trasmesso ai locali solo nel tardo ottavo secolo, molto prima della fondazione di Locri; esso fu probabilmente introdotto attraverso il commercio euboico verso il 730-20, all’incirca nello stesso tempo dell’arrivo dei Calcidesi a Reggio».
45Quanto a Reggio, la situazione non è migliorata dal 1958; l’unico terminus ante quem sulla data dell’insediamento greco è l’oinochoe con fila di chevrons sul collo, prima ritenuta cicladica ed ora riconosciuta «una buona imitazione di una oinochoe corinzia tardo-geometrica nello stile di Thapsos»43.
Conclusioni
46Riprendendo oggi il discorso interrotto nel 1968, in occasione del Convegno di Napoli-Ischia, è possibile dare maggiore concretezza al vago termine di «pre-colonizzazione»44. Se si accetta di riconoscere nella colonizzazione greca di epoca storica un fenomeno di popolamento, non si può dissociare — in linea di massima — il concetto di colonia da quello di una chora da sfruttare, e di una economia di sussistenza. Naturalmente, in questa definizione di massima esistono diverse polarità, ed è emblematica ad esempio l’opposizione tra il modello di Reggio e quello locrese45.
47Il modello «pre-coloniale» è caratterizzato invece dalla frequentazione per l’approvvigionamento di materiali particolarmente pregiati, per lo scambio, e si appoggia a piccoli insediamenti che non assumono mai lo statuto di polis, come è il caso di Pitecusa. Anche all’interno di questo modello, lo schema può complicarsi con forme più complesse di economia, che possono sviluppare in forme nuove l’artigianato e lo scambio46.
48All’interno del periodo «pre-coloniale» sembra ora di poter distinguere due momenti. Il più antico risale al Geometrico Medio; anche a prescindere dalle coppe a semicerchî penduli di Veio47, esso ha lasciato traccia nelle coppe a chevrons da Veio, Capua, Cuma, Pontecagnano, nel frammento con decorazione a semicerchî e nella coppa a chevrons di Scoglio del Tonno48, negli incerti frammenti cicladici di Satyrion e Porto Cesareo49.
49Questo momento sembra distinto da una pluralità di iniziative, cicladica, attica, euboica, e da una labilità di presenze sulla terraferma. Dopo i dati emersi dagli scavi di Veio non è più possibile parlare di rapporti saltuarî ed occasionali; si tratta in ogni modo di iniziative limitate, che non hanno, per le comunità greche dalle quali provengono i naviganti, alcuna rilevanza economica. Siamo, per intenderci, nella logica di «prospectors».
50Nel Geometrico Recente I il fenomeno assume caratteristiche diverse. Le rotte divengono stabili, ed i punti d’appoggio assumono in qualche caso una grande importanza ed una loro autonomia economica, come è il caso di Pitecusa. La pluralità d’iniziative non è mantenuta, almeno a giudicare dalla ceramica: si tratta in massima parte di produzione corinzia; una rotta sembra toccare Porto Cesareo, Scoglio del Tonno, la Siritide, le foci del Crati per risalire forse lungo la costa tirrenica dopo aver varcato lo Stretto. Che il fenomeno avvenga con l’attiva partecipazione euboica, in un momento in cui ancora nella ceramica euboica la tradizione attica prevale su quella corinzia lo si vede da alcuni episodî circoscritti, anche se di grande portata, come quello di Locri e di Pitecusa.
51In questo momento i punti di appoggio, i ports of trade greci, non hanno autonomia riguardo alla sussistenza: si spiega in questo modo la penetrazione di prodotti greci, in gran parte coloniali, nella chora indigena: è il fenomeno che emerge in maniera emblematica nella Valle del Sarno, al punto che quando viene fondata a Cuma la prima colonia stanziale greca, l’importanza dei rapporti con gli indigeni della chora interna immediatamente tende a ridimensionarsi50. Anche nei territorî di Siris e di Sibari la frequentazione greca precede le fondazioni coloniali, e lascia traccia sulle propaggini collinari popolate da indigeni, che sbarrano le piane costiere. Il problema di quello che i Greci cercavano in quest’area è stato già posto da Paola Zancani Montuoro, e per il momento è difficile aggiungere qualcosa alle sue osservazioni51.
52Prima di abbandonare l’orizzonte pre-coloniale, occorre soffermarsi a considerare la qualità del vasellame, greco o coloniale, che i Greci offrivano agli indigeni: si tratta in linea di massima della produzione corrente, priva di qualunque attrattiva sia per la forma che per la decorazione. Si ha la netta impressione di scambî ineguali, che presuppongono un indigeno relegato per definizione nella sua condizione di barbaro. Questo almeno nelle intenzioni dei Greci, poiché invece assai spesso il rapporto tra questi due mondi incise profondamente nella organizzazione economica e sociale del mondo indigeno, in maniera più o meno duratura a seconda che in questi ambienti si fosse già avviato un processo di articolazione sociale.
53Diverso è il caso dell’Etruria, dove gli artigiani pitecusani si insediano, dando vita ad una produzione di ceramica di lusso che tiene conto, almeno nelle forme, del gusto del committente52; un rapporto tra eguali, come quello che si verifica in Etruria Meridionale, è destinato a lasciare tracce profonde, nel senso di una osmosi tra gruppi di diversa matrice culturale. Forse un fenomeno di questo genere si deve ipotizzare anche per Locri: se veramente la ceramica di tipo «euboico-cicladico» di Canale e Janchina è stata prodotta in loco, bisogna immaginare un rapporto tra greci ed indigeni ben più intenso di quello consentito da una sosta lungo una rotta. Forse esiste in quest’area un insediamento, un comptoir greco legato all’esigenza di una via istmia tra Locri e Metauro, che consentisse di evitare lo stretto. Ma si tratta di semplici ipotesi, per un fenomeno che comunque va spiegato53.
Notes de bas de page
1 Incontro di studi sugli inizi della colonizzazione greca in Occidente, in Dialoghi di Archeologia, III, 1-2, 1969.
2 L’esemplare proviene della tomba 2325 della necropoli di S. Antonio. Sul tipo, cfr. da ultimo F. G. Lo Porto, NSc, 1964, p. 227, fig. 48 e infra, p. 57, n. 14.
3 Cfr. Dial. Arch., III, 1-2, 1969, pp. 56 s., fig. 15.
4 È il tipo riesaminato di recente da E. La Rocca, Dial. Arch., VIII, 1974-75, pp. 86 ss.
5 Cfr. G. Buchner, Arch. Reports, 1970-71, p. 67. Come si vede, oggi la mia opinione su questo problema non coincide più con quanto sostenevo in Seconda Mostra della Preistoria e della Protostoria nel Salernitano, 1974, pp. 102 ss. Il problema è complesso e ancora da approfondire: cfr. F. Delpino, Mem Lincei, Serie VIII, vol. XXI, fasc. 8, 1977, p. 485, n. 128.
6 Cfr. B. d’Agostino, Tombe della prima età del ferro a S. Marzano sul Sarno, in MEFR, 82, 1970, pp. 571 ss.
7 D. Ridgway, «Coppe cicladiche» da Veio, StEtr, XXXV, 1968, pp. 311 ss.; W. Johannowsky, Dial. Arch., III, 1-2, 1969, pp. 30 ss.; Β. d’Agostino, ibidem, pp. 55 ss.
8 Ringrazio l’amico D. Ridgway per aver voluto esaminare, sia pur sommariamente, con me la ceramica di tipo greco della Valle del Sarno. La coppa di Villasmundo è ricordata da G. Voza, in Archeologia nella Sicilia Sud-orientale, Centre Jean Bérard, Napoli, 1973, p. 57.
9 Per la decorazione cfr. Coldstream, Greek Geometric Pottery (GGP), London, 1968, tav. 17 h; per la forma cfr. piuttosto, ivi, tav. 18 d; cfr. anche lo skyphos da Thera, tav. 39 f.
10 Coldstream, GGP, tav. 18 b.
11 Cfr. B. d’Agostino, in MEFR, 82, 1970, p. 604, fig. 14, dalla t. 21; cfr. inoltre Coldstream, GGP, tavv. 17 h, 18 d, e (Geometrico Medio); S. Benton, BSA, XLVIII, 1953, p. 276, n. 622 (Geometrico Medio). Da Pitecusa: esemplare sporadico.
12 Cfr. B. d’Agostino, in MEFR, 82, 1970, p. 604, fig. 14, dalla t. 21.
13 Cfr. Β. d’Agostino, Popoli e Civiltà dell’Italia Antica, 2, Roma, 1974, p. 35, tav. 12; un esemplare analogo è in BSA, XLVIII, 1953, n. 727, tav. 45, e proviene da Itaca.
14 Per il tipo, cfr. BSA, XLVIII, 1953, p. 292, n. 773, fig. 11.
15 Β. d’Agostino, Tombe «principesche» dell’Orientalizzante Antico da Pontecagnano, MAL, serie misc. II-1, Roma, 1976, p. 40. fig. 25, tav. XXVI.
16 Coldstream, GGP, tav. 64 c.
17 Cfr. B. d’Agostino, La Campania nell’Età del Bronzo e del Ferro, in Atti XVII Riunione Ist. It. Preist. e Protost., 1974, Firenze, 1975, pp. 90 ss., specie p. 101.
18 È il caso, ad esempio, di Caudium (Montesarchio, BN): qui in una tomba con ceramica d’impasto locale s’incontrano una kotyle d’importazione, con aironi schematici, databile al Protocorinzio Antico, ed uno skyphos di fabbrica greca coloniale. Dopo qualche raro esempio di ceramica di tipo Protocorinzio Medio, sia d’importazione che di produzione pitecusana, i vasi di tipo corinzio ed in genere la ceramica di tipo greco scompaiono fin verso gli inizi del VI sec., nonostante che le tombe indigene attestino un’occupazione ininterrotta del sito. Cfr.: G. d’Henry, Atti 11° Conv. Taranto, 1971, Napoli 1972, pp. 411 ss. tav. CXVIII; ead., StEtr, XLII, 1974, pp. 507 ss., tav. XXXI. Per una prima informazione sul sito, cfr. B. d’Agostino, in Popoli e Civiltà dell’Italia Antica, 2, Roma, 1974, pp. 34 ss.
19 La coincidenza tra l’area di distribuzione della ceramica micenea e quella delle coppe a chevrons in Italia è stata fatta rilevare per la prima volta dallo Johannowsky: cfr. Dial. Arch., III, 1969, pp. 12, 39; cfr. ivi anche le osservazioni di Β. d’Agostino, p. 57, e R. Peroni, p. 61.
20 F. G. Lo Porto, BdA, 1964, pp. 76 ss.; id., NSc, 1964, pp. 220 ss.; id., Atti 9° Convegno Taranto 1969, p. 251.
21 J. N. Coldstream, GGP, p. 373 n. 6.
22 F. G. Lo Porto, Atti 9° Convegno Taranto, 1969, pp. 251 ss. tavv. XVIII-XIX; id., Atti 11° Convegno Taranto, 1971, p. 489, tav. CXXXII a.
23 Su Scoglio del Tonno cfr. W. Taylour, Mycenean Pottery in Italy, Cambridge, 1958, pp. 81 ss., tav. 14.19 con la bibliografia precedente; H. Müller-Karpe, Beitrage zur Chronologie der Urnenfelderzeit nordlich and südlich der Alpen, Berlin, 1959, pp. 30 ss. Per la coppa a chevrons, cfr. B. d’Agostino, Dial. Arch., III, 1969, p. 57, fig. 16.
24 F. G. Lo Porto, NSc, 1964, pp. 222 ss.
25 Per la presenza di ceramica laconica e protocorinzia a Scoglio del Tonno, cfr. F. G. Lo Porto, Atti 10° Convegno Taranto, 1970, p. 357, tav. LVIII b.
26 L. Bernabò Brea, NSc, 1940, p. 483, fig. 49.
27 P. Orlandini, Un frammento di coppa medio-geometrica dagli scavi dell’Incoronata presso Metaponto, in Atti e Memorie Soc. Magna Grecia, n.s. XV-XVII, 1974-1976, pp. 177 ss. Ringrazio il prof. Orlandini per avermi voluto far conoscere l’articolo in manoscritto, e per avermi voluto concedere diapositiva del più significativo dei frammenti della proto-kotyle. Sul sito, cfr. anche P. Orlandini, Scavi archeologici in località Incoronata presso Metaponto, Acme XXIX, 1976, pp. 31 ss.
28 Sembra significativo il confronto con la coppa di Thera, J. N. Coldstream, GGP, tav. 18 e.
29 Oinochoe conica: Popoli Anellenici in Basilicata (PAB), 1971, tav. II; Atti 12° Convegno Taranto, 1972, tav. XXI; D. Adamesteanu, La Basilicata Antica, Cava dei Tirreni, 1974, p. 69. Bicchiere di tipo samio: PAB, tav. II, cfr. per il tipo in generale: J. N. Coldstream, GGP, p. 290, tav. 64 e. Cfr. inoltre D. Adamesteanu, in StEtr, XLII, 1974, pp. 516 s., tav. LXXXVII.
30 Crateri affini a quelli del Fusco: PAB, tav. II; D. Adamesteanu, La Basilicata Antica, pp. 70, 71, 75.
31 Alludo al frammento S 193, che ho appena visto nell’Antiquarium di Eraclea: esso è purtroppo inedito. Per la ceramica arcaica da Policoro, cfr. B. Haensel, Policoro (Matera). Saggi eseguiti nell’area dell’acropoli di Eraclea negli anni 1965-67, NSc, 1973, pp. 400 ss.
32 Sulla necropoli di Macchiabate, a Francavilla, cfr. P. Zancani Montuoro, in Atti 7° Convegno Taranto, 1967, p. 175; 8°, 1968, pp. 219 ss., tavv. XXXI-XXXVI; 9°, 1969, pp. 171 s.; ead., Atti e Memorie Soc. Magna Grecia, NS, ΧI-ΧII, 1970-71, pp. 9 ss. I vasi cui si fa riferimento sono pubblicati in Dial. Arch., III, 1969, pp. 131 ss., fig. Β.
33 Ovid., Fast. III.581.
34 Sul significato del santuario come segno e strumento di appropriazione politica e culturale della chora cfr. l’importante relazione di G. Vallet in La Città e il suo territorio, Atti 7° Convegno Taranto, 1967, Napoli, 1968, pp. 67 ss.
35 Notizie sul santuario della Motta a Francavilla si trovano in Atti e Memorie Soc. Magna Grecia, n.s. XI-XII, pp. 37 ss. Sul culto di Atena cfr. P. Zancani Montuoro, I labirinti di Francavilla ed il culto di Atena, in Rend. Accad. Napoli, L, 1975, pp. 3 ss.
36 Le coppe del tipo di Thapsos con pannello sono pubblicate in NSc, 1969, Suppl. I, pp. 89 s., n. 181, fig. 79; NSc, 1970, Suppl. III, p. 175, n. 349, figg. 183, 219; NSc, 1972, Suppl., pp. 141, 148, n. 297, figg. 65, 165. Sulle classi di ceramica rappresentate a Sibari e la problematica relativa cfr. E. Paribeni, Osservazioni sulle serie ceramiche, in Sibari-Thurii, Atti e Memorie Soc. Magna Grecia, XIII-XIV, 1972-73, pp. 69 ss.
37 J. de La Genière, A propos de quelques mobiliers funéraires d’Amendolara, MEFRA, 85, 1973, pp. 7 ss.; tomba 105, pp. 8 s., fig. 4. Sulla necropoli cfr. inoltre, dello stesso Α., i contributi in RA, 1967, pp. 195 ss.; Klearchos 41-44, 1969, pp. 79 ss.; NSc, 1971, pp. 439 ss.
38 Queste notizie sommarie sui recenti scavi di Crotone mi sono state gentilmente anticipate dal collega C. Sabbione, che qui ringrazio. Ma cfr. ora P. G. Guzzo-G. Iaculli, Archeologia a Crotone, in Prospettiva, 11, 1977, pp. 33 ss., fig. 13.
39 Cfr. P. Orsi, MAL, XXXI, 1926, cc. 333 ss.; Å. Åkerström, Der Geometrische Stil in Italien, Lund-Leipzig, 1943, pp. 37 ss.
40 Oinochoe della coll. Scaglione: P. Orsi, MAL, XXXI, 1926, c. 333, fig. 231; Å. Åkerström, op. cit., p. 40, fig. 12.2; E. Lissi, Atti e Memorie Soc. Magna Grecia, n.s. IV, 1961, pp. 111 s., 180, tav. LIV; Coldstream, GGP, p. 79; The Workshop of Athens 897 (LG II Β) n. 40.
41 Å. Åkerström, op. cit., p. 43, fig. 14. 1, 2, 10. Sul carattere tipicamente euboico del motivo dell’uccello con ala piegata si veda J. N. Coldstream, Bull. Inst. Class. Studies, 18, 1971, p. 9; id., GGP, p. 193, n. 8. Per il quadrifoglio, cfr. p. es. ibid., tav. I b, c: hydria da Calcide; G. Buchner, Atti 3o Convegno Taranto, 1963, p. 268, fig. 2.
42 Coldstream, GGP, p. 372.
43 G. Vallet, Rhégion et Zancle, Paris, 1958, tav. V.1; Coldstream, GGP, p. 325.
44 Una prima posizione di problemi nel senso qui adottato, ma in maniera ancora nebulosa, è in Dial. Arch., III, 1969, pp. 72 s.; su Pitecusa come fenomeno pre-coloniale cfr. B. d’Agostino, Atti 12° Convegno Taranto, 1972, pp. 212 ss. e particolarmente p. 218.
45 Per questi concetti cfr. B. d’Agostino, Appunti sulla funzione dell’artigianato nell’Occidente greco dall’VIII al IV sec. a.C., in Atti 12° Convegno Taranto, 1972, pp. 207 ss., specie alle pp. 219 ss.
46 Cfr. l’analisi del fenomeno di Pitecusa nel contributo citato alla nota 44. Una critica sommaria a quest’impostazione deve riconoscersi in E. Lepore, La Campania Preromana, in La voce della Campania, IV, n. 8, 1976, p. 31.
47 NSc, 1972, p. 256, fig. 36: tomba AA β γ di Quattro Fontanili; D. Ridgway-O.T.P.K. Dickinson, Pendant semicircles at Veii: A Glimpse, BSA, 68, 1973, pp. 191 ss.
48 Cfr. nota 23.
49 Cfr. nota 22.
50 Su questi concetti, cfr. B. d’Agostino, La Campania nell’Età del Bronzo e del Ferro, Atti XVII Riunione Ist. It. Preistoria e Protostoria, Firenze, 1975, pp. 85 ss., alle pp. 95 ss.
51 Cfr. P. Zancani Montuoro, Dov’era Temesa?, in Rend. Accad. Napoli, XLIII, 1969, pp. 3 ss.
52 Cfr. G. Buchner, Arch. Reports, 1970-71, p. 67. L’intuizione del Buchner è confermata dalla presenza di forme tipicamente etrusche ornate con una decorazione affatto coerente di stile euboico: cfr. L. Quilici, Graviscae, in Quad. Ist. Topografia, Roma, IV, 1968, p. 119, fig. 259 a p. 116; D. Ridgway, Arch. Reports, 14, 1967-68, p. 36, fig. 10; F. Canciani, Un biconico dipinto da Vulci, in Dial. Arch., VIII, 1974-75, pp. 79 ss. Sul problema cfr. noltre F. Canciani, Tre nuovi vasi italogeometrici del Museo di Villa Giulia, in Prospettiva, 4, 1976, pp. 26 ss.
53 Il problema di Locri si è complicato con il riconoscimento di un aryballos globulare del Protocorinzio Antico dalla necropoli Lucifero scavata dall’Orsi (cfr. L. Cerchiai, Sesso e classi di età a Locri Epizefiri, in Atti Convegno Internazionale Ideologia Funeraria nel Mondo Antico, Napoli-Ischia, 1977 in corso di stampa). Ciò impone di riflettere sulla data di fondazione di Locri così come viene indicata dalle fonti. In questa prospettiva va rivisto l’intero problema della ceramica di tipo greco di Canale e delle altre necropoli indigene.
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