Ceramica d’importazione greca dell’VIII secolo a.C. a Sant’Omobono: un aspetto delle origini di Roma
(Pl. 7-8)
p. 45-54
Texte intégral
1L’origine di una città risponde ad una dinamica impossibile ad analizzare in tutti i suoi dettagli. Il caso di Roma è illuminante sotto vari punti di vista1 . Secoli di pregiudizi che affondano le loro radici nelle stesse fonti letterarie hanno inteso spiegare il fenomeno della fondazione di Roma in vari modi nei quali, comunque, erano di prammatica i richiami a differenze razziali e linguistiche, a contrapposizioni tra genti «incineratorie» e genti «inumatorie». La situazione archeologica ha favorito l’ipotesi che il centro urbano originario fosse dislocato sul Palatino, dove si sono rinvenute tracce di abitati riferibili alla prima età del Ferro. È un fatto, però, che l’ipotesi si basa su un argumentum ex silentio, perché gli altri colli non sono stati indagati con identica accuratezza, ed anzi uno dei più importanti, la Velia, legato anch’esso alle origini leggendarie di Roma, è addirittura scomparso per lasciar posto ad una strada. Un elephas antiquus2 ed una tomba della fase IV3 secondo la classificazione cronologica del Müller-Karpe indicano a sufficienza l’importanza che questo disgraziatissimo colle avrebbe avuto per lo studio delle fasi preistoriche e degli insediamenti urbani presso il Tevere.
2Ma è verosimile che anche un colle come il Campidoglio, sul quale secoli di attività edilizie hanno impedito una sistematica indagine delle fasi urbane più antiche, dovette essere frequentato durante la media e tarda età del Bronzo, e la prima età del Ferro4. I frammenti di ceramiche d’impasto rinvenuti a Sant’Omobono, sulle pendici del Campidoglio, sembrano presupporre una presenza di abitati nella zona a partire almeno dalla metà del II millennio a.C.5. La documentazione è ovviamente lacunosa e non priva d’interrogativi, ma è significativo che anche sul Campidoglio dovette esserci probabilmente un abitato, a stretto contatto con quello del Palatino, e come quest’ultimo direttamente affacciato sul Tevere. Il fiume sembra essere il comune denominatore dei due villaggi e, forse, la causa prima della loro rapida evoluzione. Ricco di fauna ittica, come dimostrato dai rinvenimenti nelle necropoli del Foro Romano6, il Tevere era anche navigabile. Da un punto di vista commerciale, non può sfuggire il fatto che i colli Palatino e Campidoglio, cui si può aggiungere anche l’Aventino sebbene manchino completamente per questo colle reperti archeologici dell’età del Ferro, controllavano una zona che sappiamo essere un nodo di traffico tra i più importanti in ambiente laziale. Appena a sud dell’isola Tiberina erano, in epoca storica, il portus di Roma ed il Foro Boario legato appunto ad attività commerciali e marittime. Qui era, inoltre, il più antico guado sul Tevere, quello dove fu in seguito costruito il Ponte Sublicio. In pratica, dai colli affacciati sul Tevere si controllavano le vie provenienti dall’Etruria e dalla Sabina; chiunque avesse voluto raggiungere con relativa facilità il territorio sabino e falisco da una parte, e l’etrusco dall’altro, avrebbe dovuto passare per questa zona. Non è un caso, perciò, che la coagulazione dei nuclei urbani disposti sui colli circostanti l’ansa dell’isola Tiberina, avvenisse con una certa rapidità non appena una spinta esterna creò le circostanze favorevoli per lo sviluppo dei traffici commerciali.
3La circostanza è direttamente collegata con il passaggio dalla fase II Β alla fase III della cultura del Ferro di Roma-Colli Albani7. È un momento capitale nella storia italica che segna l’inizio della colonizzazione greca in Italia Meridionale e contemporaneamente lo sviluppo dei rapporti commerciali tra Greci ed Italici dopo i primi sondaggi presupposti dalla presenza di coppe c.d. «cicladiche». A Roma, in un momento pressappoco contemporaneo, la necropoli del Foro Romano non è più adoperata per deposizioni di adulti, a favore della necropoli dell’Esquilino8. Non è difficile, credo, presupporre in via ipotetica un rapporto tra i due fatti. È su questo punto che la ceramica di Sant’Omobono, rinvenuta negli scavi compiuti a più riprese dal 1959 in poi, getta nuova luce (Fig. 1).
4Si tratta di ceramica in argilla figulina rinvenuta in strati di riporto riferibili alla terza fase dell’area sacra, quella posteriore alla distruzione dei templi avvenuta, sembra, nel 510 a.C. circa, in stretta sincronía con la caduta di Tarquinio il Superbo e la fondazione della repubblica9. La caratteristica di questa ceramica è di essere in stretta relazione con la produzione che noi conosciamo come euboica. Mancano ancora pubblicazioni definitive degli scavi di Eretria, di Lefkandi e di Pithekusai che possano permettere un’analisi esauriente delle caratteristiche peculiari di tale produzione, per molto tempo confusa con la contemporenea produzione delle isole del mar Egeo10. A suo modo paradigmatico il problema riguardante l’ubicazione dell’officina del Pittore Cesnola, spostata definitivamente da Naxos in Eubea11. Né meno importante per l’ulteriore sviluppo degli studi ceramici è la consapevolezza di una difficoltà di base nel distinguere la produzione dell’isola di Eubea da quella delle sue colonie, di Pithekusai in primo luogo. Le note che seguiranno hanno perciò carattere puramente indicativo perché, tranne alcuni casi veramente eccezionali, manca la possibilità di distinguere le varie officine euboiche. Ho preso volutamente in esame pochi pezzi rappresentativi, più che sufficienti, comunque, a chiarire alcuni problemi ed a promuovere, spero, utili discussioni12 (Tav. I).
Skyphos tipo Thapsos con pannello, parete. Argilla giallo limone. Superficie ingubbiata color crema. Vernice rosso arancio. Interno verniciato.· Resti di meandri legati a gancio. H 2. Geometrico tardo corinzio. IV Β 2. Inv. 3641.
Skyphos, parete. Arg. arancio rosato. Superficie ingubbiata in bruno avorio. Vernice bruna. Interno verniciato. Resti di un cerchio concentrico. H 1,4. Geometrico medio euboico. IV A 2. Inv. 179.
Skyphos, orlo. Arg. grigiastra con inclusioni di mica. Vernice bruno nerastra. Interno verniciato, tranne l’orlo risparmiato. Lungo l’orlo strisce orizzontali. Sulla parete strisce verticali e parte di una zona metopale. H 2,6. Geometrico medio cicladico. IV 3. Inv. 3635.
Vaso di forma chiusa, parete. Arg. arancio. Vernice arancio. Serie di fasce orizzontali e resti di un cerchio concentrico. H 4,5. Geometrico tardo euboico. Inv. 1704-1706.
Skyphos, parete. Arg. rosso mattone. Ingubbiatura color crema. Vernice bruno rossastra in superficie e rossa all’interno. Resti di due zone metopali con quadrifoglio ed uccello, divise da strisce verticali. All’interno fascia risparmiata. H 3,3. Geometrico tardo euboico. II C2. Inv. 1707.
Skyphos, parete. Arg. rosa arancio. Vernice arancio. Interno verniciato. Resti di una zona metopale con chevrons. H 2,5. Geometrico tardo euboico. IV Β 2. Inv. 3642.
Skyphos, parete. Arg. rosso mattone. Ingubbiatura color crema. Vernice nerastra. Interno verniciato. Resti di strisce verticali. H 1,5. Geometrico tardo cicladico. VI 3. Inv. 3587.
Vaso di forma chiusa, parete. Arg. rosa mattone. Ingubbiatura color crema. Vernice brunastra. Resti di cerchi concentrici legati a tangente. H 2,2. Geometrico tardo cicladico. Inv. 656.
Vaso di forma chiusa, parete. Arg. grigia. Vernice nera. Resti di strisce orizzontali e zona con cerchi concentrici legati a tangente. H 4,5. Geometrico tardo. Inv. 2653.
Vaso di forma chiusa, parete. Arg. grigia. Vernice bruno nerastra. Zona con baccellatura legata con linee ad S. H 2,3. Geometrico tardo. Inv. 165.
Vaso di forma chiusa, Arg. rosa arancio in superficie; il resto grigio per effetto di cottura. Resti di una zona con cerchi concentrici di grande formato. H 3,8. IIC Misto. Inv. 2284 + VI 3, inv. 3634.
Vaso di forma chiusa, parete. Arg. rosa violaceo. Vernice bruna. Zona con cerchi concentrici di grande formato. H 2,7. II D 5. Inv. 1713 + 1526.
Kotyle, orlo. Arg. giallo limone. Ingubbiatura giallina. Vernice rosso arancio. Interno verniciato tranne una striscia sull’orlo. Decorazione a linee orizzontali. H 0,8. Protocorinzio antico. VI 6. Inv. 3501.
Skyphos tipo Thapsos senza pannello, orlo. Arg. rosata. Vernice rosso arancio; all’interno brunastra. Decorazione a strisce orizzontali. H 2,2. Protocorinzio antico; imitazione di fabbrica verosímilmente pitecusana. II C 3. Inv. 3643.
Lekythos-oinochoe conica, parete. Arg. rosata. Ingubbiatura color crema. Vernice bruna. Serie di strisce orizzontali. In alto, tracce di linee verticali. H 2. Protocorinzio antico; imitazione di fabbrica verosímilmente cumana. Inv. 3399.
5Aggiungerò ai frammenti alcune parole di commento. Il frammento n. 2 è sicuramente pertinente ad una coppa con cerchi concentrici, come dimostra il disegno ricostruttivo, ipotetico solo nella forma dell’orlo e del piede (Fig. 2)13.
6La disposizione del frammento su cui si basa la ricostruzione proposta a cerchi concentrici interi e non a semicerchi, è determinata dall’andamento delle linee di lavorazione al tornio sulla parete interna della tazza. Questa si affianca ai due skyphoi con semicerchi da Veio14 con i quali divide la datazione al secondo quarto dell’VIII secolo a.C., e cioè nel Geometrico Medio finale. Il frammento n. 3 rientra nella serie delle coppe a «chevrons». Su queste ultime penso sarà necessario ritornare perché i tipi vascolari, piuttosto comuni, devono avere avuto una vita lunga, tale, in ogni caso, da poter abbassarne la loro datazione almeno fino alla metà dell’VIII secolo a.C.15. Il frammento n. 5 è pertinente ad una coppa tipo «Castelluccio» (Fig. 3)16.
7In un primo tempo la qualità dell’argilla di colore rosso mattone mi aveva fatto pensare, come per il frammento n. 7, ad una fabbrica nassia17. Gli scavi di Lefkandi e di Eretria, come mi hanno gentilmente comunicato i proff. Boardman e Lily Kahil, permettono di ipotizzare, invece, una produzione euboica con questo tipo di colore dell’argilla. A tale proposito, il noto frammento con uccello dal Foro Romano non appartiene, come è ormai noto, ad una coppa, ma ad un sostegno a forme di trípode. Il rinvenimento del Foro Romano — che non è isolato, come dimostrano i saggi di scavo presso il Tempio del Divo Giulio — ha un’enorme importanza per poter stabilire la presenza di ceramica euboica proprio nella zona precedentemente occupata dal sepolcreto. I frammenti sono stati recuperati in strati dove sono presentí, insieme con ceramiche d’impasto appartenenti alla III fase, tracce di capanne18. Non si è prestata finora la dovuta attenzione a questo particolare, forse perché fuorviati dalla cronología in parte errata degli strati; eppure non può sfuggire il fatto che, ad onta della relativa limitatezza della zona scavata, è la prima manifesta dimostrazione che, in un momento corrispondente secondo me alla metà dell’VIII secolo a.C., nel Foro Romano sorgono i primi abitati. I frammenti nn. 2, 4-8 sono con una certa sicurezza di produzione euboica della madre patria, almeno a giudicare dal colore dell’argilla che non ha eguali a Pithekusai. Il frammento n. 4 è di colore assolutamente uguale al cratere del Pittore Cesnola di Pescia Romana ed allo skyphos rinvenuto insieme con il cratere19. Per quanto riguarda i nn. 8 e 9 si può osservare che, esclusi alcuni crateri dell’Olmo Bello di Bisenzio20 — mediocri lavori di imitazione di vasi euboici in argilla grossolana e vernice di cattiva qualità —, il motivo dei cerchi concentrici legati a tangente è di sicura ispirazione greco insulare21, ed è stato scarsamente recepito in ambiente italico. Identica osservazione vale per il frammento n. 10 a baccelli legati con linee ad S.22 Per i frammenti nn. 9 e 10 è impossibile precisare il luogo di produzione perché l’argilla e la vernice, anche se di ottima qualità, non presentano caratteristiche peculiari come i frammenti precedenti. Più complesso, se possibile, il problema d.ei frammenti nn. 11 e 12 appartenenti, credo, ad orcioli simili a quelli rinvenuti nelle tombe XXX e XXXI dell’Esquilino (Tav. II)23. Questi orcioli, cui si possono aggiungere ora alcuni vasi in argilla figulina provenienti dalle necropoli di Tivoli e di Veio24, dovrebbero essere datati, come ho già proposto, ancora nel secondo quarto dell’VIII secolo a.C. e non superano, comunque, la metà del secolo, come mi sembra di poter ribadire sulla base dei corredi tombali delle due ultime località citate. L’interesse degli orcioli risiede nella qualità dell’argilla e della vernice, decisamente ottime. Il loro rinvenimento in una zona nella quale, in questo periodo, manca ancora qualunque tradizione circa la lavorazione dell’argilla figulina, permette forse di riferirne la produzione ai primi commercianti greci interessati a contrallare, o comunque a fruire della via tiberina. L’apparente povertà dei prodotti ceramici non deve meravigliare. Si tratta di ceramiche di uso comune, e come tali imitano analoghi tipi di impasto; e d’altronde il vasellame usato quotidianamente dalle popolazioni greche non era certo di qualità più elevata. L’interesse è semmai nel tipo di argilla, dura e compatta, priva di impurità, molto simile, ed anzi indistinguibile ad occhio nudo dall’argilla dei prodotti sicuramente pitecusani. A questo proposito, e quasi a ribadire questo problema, ricordo che nelle necropoli dell’Esquilino la poca ceramica d’argilla figulina riferibile ai momenti iniziali della fase III non presenta un aspetto unitario; si possono distinguere varie produzioni, di cui una è formata dai vasi già citati. Un’altra produzione è rappresentata da alcune ceramiche in un’argilla più friabile e di colore rosato molto pallido, e con una vernice più fluida25. A questa seconda officina che crea — nei limiti che le rade scoperte impongono — forme vascolari diverse, si può forse avvicinare qualche frammento da Sant’Omobono26. Gli askoi di Roma, Decima e Tarquinia sembrano potersi avvicinare a questo gruppo27. I frammenti nn. 1 e 13 appartengono a ceramiche corinzie. Il frammento n. 1 mi sembra uno dei più antichi esemplari di coppa Thapsos con pannello28; il frammento n. 13 è invece l’orlo di una kotyle protocorinzia, di un tipo con orlo leggermente distinto. I frammenti nn. 14 e 15, infine, sono prodotti pitecusani, o cumani, di imitazione corinzia. Il n. 14 potrebbe essere l’orlo di una coppa Thapsos senza pannello29, mentre il n. 15 è, forse, la parete di una lekythos-oinochoe conica.
8Il quadro che esce dall’analisi delle ceramiche di Sant’Omobono non può non lasciare stupiti. La via del Tevere era già nota probabilmente alle popolazioni greche ed italiche dell’Italia Meridionale anteriormente alla fondazione della colonia di Pithekusai, come sembrano far presupporre il vaso a tenda rinvenuto a Capena in una tomba della fase III iniziale, e la coppa «cicladica», sembra di imitazione, poco più antica30. Ma si trattava, finora, di rinvenimenti isolati, mai così consistenti come nel caso di Roma dove, è bene ribadirlo, alla presenza di ceramica sicuramente importata corrisponde la contemporanea presenza di una produzione verosimilmente locale spiegabile, credo, con un insediamento in loco di artigiani greci.
9È chiaro, a questo punto, dove tende il mio discorso. Uno dei nuclei propulsori — certo non l’unico — che hanno portato alla coagulazione dei villaggi sparsi sulle colline prospicienti il Tevere potrebbe essere individuato proprio in un mercato venutosi a creare nel Foro Boario per molteplici ragioni, non ultima delle quali la probabile presenza di commercianti greci — quasi sicuramente euboici — interessati a controllare, a livello di mercato, certo, le strade convergenti presso l’isola Tiberina.
10Così assumono una loro logica interna alcuni fatti già posti in rilievo dalla moderna indagine archeologica ma che, incasellati nel nuovo quadro, assumono subito un rilievo particolare.
11In primo luogo il passaggio dalla fase II Β alla fase III sembra ora direttamente legato alla fondazione di Pithekusai ed alla presenza di commercianti euboici nel Lazio. Direi di più; se la fase III, come sembra ormai sicuro, dovrà essere anticipata ad almeno il 770 a.C. circa, la fase II B, che sotto il profilo culturale è più affine alla fase III che non alla fase II A, viene ridotta probabilmente a pochissimi decenni di vita che sono quasi una prima presenza di elementi culturali del mondo meridionale — campano in via di grecizzazione, nel Lazio31.
12L’aspetto più rilevante osservabile in questo periodo è rappresentato dal sensibile accentuarsi delle differenziazioni di ricchezza. A tombe decisamente povere si affiancano tombe con corredi dal lusso più marcato. Il defunto della tomba 94 dell’Esquilino, che si è fatto seppellire con la sua armatura ed il suo carro da parata, era certamente di condizioni economiche — e per conseguenza anche sociali — superiori al livello medio32. Anche in questo caso la coincidenza con l’inizio delle attività commerciali su larga scala sulle rive del Tevere non può essere considerata casuale; come non può essere casuale la trasformazione della valle del Foro Romano da sede di necropoli in centro di attività comunitarie, in conseguenza del nuovo ruolo assunto in virtù della sua posizione favorevole rispetto i più importanti colli romani, ed a diretto contatto con il Foro Boario.
13L’attuale situazione delle ricerche archeologiche a Roma non permette di chiarire ulteriormente il quadro, fermo tuttavia su posizioni impensabili fino a pochi decenni fa. La leggenda delle origini, con la sua cronologia considerata approssimativa se non addirittura falsa, sembra poggiare, invece, su dati più sicuri di quanto non si credesse. Il computo per generazioni, puntellato su alcune notizie di indubbia validità storica, ha permesso evidentemente agli annalisti di fissare la nascita di Roma nei limiti dell’VIII secolo a.C. con un certo margine di sicurezza. Anche se il concetto di fondazione per la critica odierna non è identico a quello degli storici romani, allo stato delle indagini bisogna pur dire che qualche decennio prima della metà dell’VIII secolo a.C. si crearono le premesse per la nascita di Roma come nucleo urbano in stretta sincronía con la leggendaria fondazione romulea.
Notes de bas de page
1 M. Pallottino, Arch. Cl., XII, 1960, pl. 1 ss.; Id., St. Etr., XXXI, 1963, p. 3 ss.; Id., in Aufstieg und Niedergang der romischen Welt, I (1972), p. 22 ss.; Id., in Civiltà del Lazio Primitivo (Cat. Roma 1976), p. 37 ss.; G. Colonna, in Popoli e Civiltà dell’Italia Antica, II (1974), p. 283 ss.; Id., in Civiltà del Lazio, cit., p. 25 ss.; M. Torelli, Dial. d’Arch., VIII, 1974-75, p. 27 ss.
2 G. De Angelis D’Ossat, Bull. Com., LXIII, 1935, p. 16 ss.
3 E. Gjerstad, Early Rome, II (1953), p. 280 s. Si tratta della tomba di un bambino sepolto in un dolio.
4 R. Peroni, Bull. Com., LXXVII, 1959-60, p. 7 ss. Recentemente la Fugazzola Delpino ha sollevato la datazione dei frammenti appenninici al Bronzo Medio: M. A. Fugazzola Delpino in Civiltà del Lazio, cit., pp. 17 ss., 65 ss.
5 L’ipotesi che la ceramica sia pertinente ad un abitato sul Campidoglio poggia su dati di scavo sui quali si veda: G. Joppolo, Rend. Pont., XLIV, 1971-72, p. 17 e nota 18.
6 Gjerstad, Early Rome, II, cit., pp. 156, 157 s.
7 L’importanza della svolta è stata inizialmente sottolineata dal Müller-Karpe, seguito praticamente da tutti gli studiosi di protostoria italica e romana in particolare: H. Müller-Karpe, Zur Stadtwerdung Roms (1962), p. 55 ss.; G. Colonna, in Popoli e Civiltà, cit., p. 305 ss. (con bibl. a pag. 334).
8 Müller-Karpe, cit., p. 34 ss.
9 Joppolo cit. in nota 5, p. 17; E. La Rocca, Par. Pass., XXXII, 1977.
10 Sulla ceramica euboica in generale: J. Boardman, ABSA, XLVII, 1952, p. 1 ss.; Id., ABSA, LII, 1957, p. 1 ss. Su Lefkandi: M. R. Popham-L. H. Sackett (edd.), Excavations at Lefkandi, Euboea 1964-66: a preliminary Report (1968), J. Boardman, Dial. d’Arch., III, 1969, p. 102 ss., figg. 28-29. Sulla ceramica di Eretria: L. Kahil-J. P. Descoeudres, Ant. Kunst, XI, 1968, p. 99 ss.
11 J. N. Coldstream, Bull. Inst. Class. St. Un. London, XV, 1968, p. 86 ss. Contra: E. Walter-Karydi, Arch. Anz., 1972, p. 416. Il rinvenimento di un cratere attribuibile all’officina del Pittore Cesnola nei pressi di Pescia Romana — forse un avamposto vulcente sul Tirreno — favorisce, in linea di massima, l’ipotesi euboica: F. Canciani, Dial. d’Arch., VIII, 1974-75, p. 84 s., figg. 6, 7; E. La Rocca, ibid., p. 98 s., fig. 7; F. Canciani, Prospettiva, 4, 1976, p. 26 ss.
12 I frammenti scelti sono gli stessi presentati nella Mostra sul Lazio Primitivo: Civiltà del Lazio, cit., p. 369 s. I simboli che precedono il numero d’inventario si riferiscono al settore ed allo strato degli scavi 1962-64: vedi Joppolo cit. in nota 5, p. 5 ss., fig. 4, tav. 1. H = altezza (in centimetri). Il presente articolo si presenta come un parziale aggiornamento rispetto al catalogo della Mostra.
13 E. La Rocca, Dial. d’Arch., VIII, 1974-75, p. 91, n. 1.
14 E. La Rocca, Dial. d’Arch., VIII, 1974-75, p. 97 s. e nota 30. In riferimento ad una recensione al catalogo della Mostra del Lazio Primitivo (rec. M. Cristofani, Prospettiva 5, 1976, p. 63), vorrei far notare che le due coppe — non una — a semicerchi pendenti sono «cicladiche» del Geometrico Medio. Esse non sono citate espressamente nel catalogo non perché «ignorate», ma perché la scheda, puramente indicativa, si riferiva in primo luogo alla ceramica romana. La distinzione all’interno del gruppo di coppe «cicladiche» andrebbe fatta semmai distinguendo le coppe a semicerchi dalle coppe a «chevrons» o dalle coppe ad uccello metopale.
15 D. Ridgway, St. Etr., XXXV, 1967, p. 311 ss. Come lo stesso Ridgway osserva (p. 313 s.), anche se rari, skyphoi di questo genere superano talvolta il varco del Geometrico Medio.
16 II tipo di skyphos prende il nome dai frammenti ivi rinvenuti (da ultimo: Dial. d’Arch., III, 1969, fig. 30 b). Tazze analoghe sono state naturalmente rinvenute a Lefkandi e ad Eretria: L. Kahil, Ant. Kunst, X, 1967, p. 134, tav. 38, 6. Attri esemplari euboici da Kouklia (Cipro): V. Karagheorghis, Ant. Kunst, X, 1967, p. 134, tav. 38, 6. Simili anche gli esemplari da Delo: Délos, XV, tav. XXXIX, Bb 51.
17 Civiltà del Lazio, cit., p. 367.
18 Le tracce di capanne sono evidenti principalmente nella sezione D, strati 7, 10 ed 11 (E. Gjerstad, Early Rome, III (1960), p. 270, figg. 165-167). Anche nello strato 12 ci sono elementi che, secondo il Gjerstad, apparterrebbero a rivestimenti di capanne (Gjerstad, III, p. 278, fig. 179, 1, 2). Per la cronologia assoluta ci sono pochi elementi validi perché il materiale degli strati, specie dal 10 al 12, risulta mescolato (Gjerstad, III, p. 275 ss.). Ma si veda anche lo strato 8 con due frammenti di ceramiche d’impasto della fase II A secondo la cronologia del Müller-Karpe: Gjerstad, III, p. 279, fig. 183, 1, 2). II frammento più interessante ai fini della presente ricerca è stato rinvenuto nello strato 10 e presenta una decorazione a piccoli cerchi concentrici (Gjerstad, III, p. 278 s., fig. 181, 4). Ma il rinvenimento non è isolato.
19 E. La Rocca, Dial. d’Arch., VIII, 1974-75, p. 98 s., nn. 3-4 (con bibl. prec.).
20 Ad esempio: Å. Åkerström, Der geometrische Stil in Italien (1943), tav. 12, 3 con elementi decorativi desunti da analoghi crateri euboici.
21 Come esempio ricordo proprio il cratere da Kourion del Pittore Cesnola dove, nella decorazione, sono presenti fasce di cerchi concentrici legati a tangente: J. N. Coldstream, Greek Geometric Pottery (1968), tav. 35. Non mancano esempi, tuttavia, al di fuori dell’ambiente euboico, a Thera, ad esempio (Coldstream, cit., tav. 40 c-e) ed a Samo (H. Walter, Samos, V (1968), tav. 13,29).
22 L’elemento decorativo è presente, ad esempio, in un cratere ritenuto nassio dalla Walter-Karydi (ma le differenze tra il gruppo euboico e il gruppo nassio sono in parte ancora da definire): E. Walter-Karydi, Arch. Anz., 1972, p. 401, figg. 26-27.
23 La Rocca cit., p. 86 ss., figg. 4, 5.
24 Civiltà del Lazio, cit., p. 203, n. 2, tav. XXVII C (orciolo da Tivoli). Sui numerosissimi vasi in argilla figulina di Veio, si vedano le relazioni di scavo in NSc, 1963, 1965, 1967, 1972, 1975.
25 Ad es.: anforetta schiacciata tendente al globulare dalla tomba XIII (Gjerstad, II, p. 203, fig. 180, 1); orciolo dalla tomba XXI (Gjerstad, II, p. 207, fig. 184,5); anfora dalla tomba XXXI (Gjerstad, II, p. 213, fig. 188,4).
26 Il materiale sarà pubblicato in uno dei prossimi fascicoli del Bull. Com.
27 Civiltà del Lazio, cit., p. 135 (con altra bibl.).
28 Coldstream, cit. in nota 21, p. 102ss. Per la forma, si confrontino come probabili tipi: M. Robertson, ABSA, XLIII, 1948, p. 10, n. 6, tav. I, 2 (da Aetos); K. F. Johansen, Les Vases Sicyoniens (1923), p. 5, tav. II, 1-2 (da Delfi).
29 Presenti anche a Cuma: E. Gabrici, Mon. Ant., XXII, 1913, tav. XL, 5; Inoltre: B. d’Agostino, N. Sc., 1968, p. 94 ss., fig. 13 (Pontecagnano). Ma il diametro ricavabile del frammento sembra troppo grande per una tazza. Si potrebbe trattare, forse, di un piccolo cratere.
30 G. Colonna, in VIII Conv. Naz. Studi Etruschi ed Italici, Orvieto 1972 (1974), p. 297 ss.
31 Il Colonna ha già posto in rilievo con chiarezza la differenza tra la fase II A e II Β; in quest’ultimo periodo si ha un «generale riassetto del popolamento del Lazio» e, particolarmente significativo, l’apparizione delle prime armi nei corredi tombali: G. Colonna, in Popoli e Civiltà, cit., p. 301 s.
32 Posto già in rilievo dal Müller-Karpe per Roma (cit. in nota 7, p. 55 ss.), il fatto è osservabile anche in altre necropoli laziali (G. Colonna, in Popoli e Civiltà, cit., p. 305 ss.).
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Ettore Lepore, Jean-Pierre Vernant, Françoise Frontisi-Ducroux et al.
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Nouvelle contribution à l’étude de la société et de la colonisation eubéennes
Centre Jean Bérard (dir.)
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Centre Jean Bérard (dir.)
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Ricerche sulla protostoria della Sibaritide, 2
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Il tempio di Afrodite di Akrai
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Luigi Bernabò Brea
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