I caratteri della società eretriese arcaica
p. 15-26
Texte intégral
11. Il più antico documento sulla società euboica e sulle sue caratteristiche è costituito dal passo dedicato all’isola e ai suoi abitanti nel Catalogo omerico delle navi, Il., II, 536-545, con il connesso richiamo di Il., IV, 463 s. Secondo queste testimonianze l’Eubea è la patria degli Abanti, che occupano l’isola da nord a sud, Calcide ed Eretria incluse. Questo stato di fatto non è solo omerico: infatti tutta una tradizione indica l’Eubea come terra degli Abanti e attribuisce all’isola stessa il nome di Ἁβαντίς1. In particolare Ἁβαντίς l’Eubea tutta era detta nell’Aigimios «esiodeo»2, dove, tra l’altro si faceva largo posto alla saga di Io3, a quest’ultima collegando il nome che l’isola in seguito aveva assunto. Per tutto ciò negli Abanti si è identificata la primitiva unità etnica dell’isola4. L’unità si riscontra nella colonizzazione abantica della ionica Chio da un lato5 e delle epirotiche Orico e Thronio dall’altro6, fondazioni proprio perciò ben distinte dalle successive, di Calcide e/o Eretria e non più genericamente abantiche od euboiche.
2Questa unità abantica, tuttavia, fin da Omero, mostra segni evidenti di un legame privilegiato con Calcide. Nella tradizione omerica, come in quella esiodea delle Eoie7, il capo degli Abanti euboici è Elefenore, figlio di Calcodonte (Χαλκωδοντιάδης): di un personaggio, cioè, legato a Calcide sia dal nome che porta, sia dalla tradizione, pur essa mitica delle lotte tra tebani e calcidesi8. Il legame torna nella tradizione su Abas, padre di Calcodonte, che viene considerato figlio di Aretusa, la fonte di Calcide9. Questa era, in un oracolo arcaico che si riferisce al primato militare di Calcide, patria di ἄνδρες δουρίμαχοι10, qualifica che richiama tanto la caratterizzazione di αἰχμηταί, desiderosi di infrangere colle aste le corazze nemiche, assegnata nel Catalogo agli Abanti; quanto la caratterizzazione degli Euboici come δουρικλυτοί11, in un testo di Archiloco che la tradizione erudita, rappresentata da Plutarco12, riferisce agli Abanti.
3Ancora nelle tradizioni locali, rappresentate dagli Εὐβοιϰά di Archemaco ὁ Εὐβοεύς13, calcidesi sono i Κουρῆτες, che in quanto ὄπισθεν κομῶντες ripetono la caratteristica acconciatura degli Abanti omerici. Analogamente se la θησηΐς, secondo la tradizione attica riferita da Plutarco 14 e Polieno15, non è che la versione ateniese della κουρά abantica fatta propria da Teseo, Teseo viene nella stessa tradizione collegato ad Elefenore, Χαλκωδοντιάδης16, e all’isola di Sciro17, colonia di Calcide18.
4D’altra parte se in tutti questi casi il legame Abanti-Calcide funziona a livello esclusivamente mitico, in altri casi il legame stesso si rivela operante in relazione ai Calcidesi storici. Una tribù Abantis è attestata in Calcide19 e Calcidesi vengono attestati tanto in Eritre, in particolare nella zona del suo territorio più a stretto contatto con Chio20 — colonia, come si è visto, abantica — quanto in Teo21. Se ne può quindi concludere che la partecipazione abantica alla colonizzazione ionica, si traduceva in pratica nel contributo calcidese alla stessa.
5Non sembra dubbio, quindi, che se la tradizione sugli Abanti rappresenta un’unità etnica paneuboica, essa rappresenta, tuttavia, fin dalle prime attestazioni omeriche-esiodee l’egemonia di Calcide in tale unità etnica.
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62. La conferma della validità di queste tradizioni abantiche nella Eubea arcaica, viene data dalle attestazioni omeriche ed esiodee. Intanto la partecipazione abantica alla colonizzazione di Chio si inquadra in un contesto di relazioni della Eubea colla Beozia e colla Tessaglia22. In particolare sono interessate le zone della Beozia più a stretto contatto colla Eubea: la zona di Hyrie-Tanagra, Tebe, la zona del lago Copaide.
7Si tratta delle stesse zone interessate da una possibile dominazione euboica23, e da rapporti coll’Eubea che, stando alla ceramica, risultano particolarmente forti nel protogeometrico beotico; un’epoca, 900-850 a.C., di forte integrazione dell’area tessalica, euboica, beotica-settentrionale (Orcomeno, lago di Copaide), cicladica24, cioè appunto delle aree connesse alla colonizzazione abantica di Chio. Colonizzazione, non si dimentichi, per la quale la documentazione disponibile non va oltre l’età protogeometrica25.
8Più difficile è valutare l’antichità dell’altra colonizzazione abantica, quella in Epiro, golfo di Valona e zona degli Acroceraunii. La distinzione tuttavia di questa ondata colonizzatrice dalla successiva colonizzazione eretriese di Corcira26, suggerisce come un terminus ante quem l’ultimo terzo dell’VIII secolo, epoca cui risale la prima ceramica greca di Palaiopolis27.
9La ripresa di tali tradizioni (e quindi la loro vitalità e funzionalità) in epoca arcaica è provata dalla particolare natura della tradizione riflessa in Omero. Il passo relativo agli Abanti e all’Eubea (Il., II, 536-545) appare, infatti, come un insieme di hapax. La citazione delle varie città euboiche, a parte Calcide, è solo in questo luogo. Isolati sono i tratti più caratteristici di questi Abanti: le ὀρεϰτῇσι μελίῃσι di v. 543, di cui il solo μελίῃσι torna in Od., XIV, 281, e l’ὄπιθεν κομόωντες, variante del formulare κάρη κομόωντες. Isolate sono anche le posizioni di Εὔβοιαν (v. 536), πολυστάφυλον (v. 537), ἔφαλον (v. 538), Ἐλεφήνωρ (v. 540), Ἄβαντες (v. 542).
10L’esistenza di una tradizione si intravede dietro: Εὔβοια, cfr. Il., II, 536, Od., III, 174, VII, 321, Η. Αp., 31 e 219, e Hes., Aigimios, fr. 296, M.-W.; Ἄβαντες, cf. Il., II, 536 e 541, IV, 464 e Hes. Eoie, fr. 204, 53 M.-W.; Χαλκίς, cf. Il., II, 537 e 540, XIV, 291 (dove è però menzione dell’omonimo uccello), nonché Od., XV, 295, H. Αp., 425; ma soprattutto dietro Elefenore il Calcodontiade, la cui fama è affidata a un intero verso formulare, ripetuto in Il., II, 541 e IV, 464, Hes. Eoie, fr. 204, 53.
11In conclusione: una tradizione relativa agli Abanti di Eubea e al loro capo, il Calcodontiade Elefenore, viene raccolta in Omero, ma in termini moderni, di dissoluzione cioè dell’antico linguaggio formulare, irrigidito in un determinate assetto ritmico e lessicale. La conclusione può essere ancora rafforzata, tenendo conto del fatto che per questa Eubea descritta nel catalogo, vale la stessa situazione che si verifica per l’Etolia: ossia manca la menzione di qualsivoglia località non nota in età storica e quindi mancano sicuri agganci a una tradizione nata in epoca diversa dalla geometrica28. A ciò si aggiunge che per Karystos manca ogni documento di insediamento miceneo ο preistorico e per Styra ogni segno di occupazione tardo elladica ο della prima età del ferro29.
12La tradizione abantica, d’altro canto, evidenzia in Omero tutta una serie di elementi di chiara origine locale ed autoptica: la natura marina di Kerinthos, la rocca di Dio, la viticultura che caratterizza Istiaia, la serie dei toponimi euboici costituenti hapax. Questo dato fa corpo con gli altri da tempo notati30, che parlano in favore di un’origine continentale e beotica del Catalogo: in primo luogo il rilievo che vi hanno i Beoti e i loro vicini, sproporzionato rispetto al ruolo che effettivamente giocano nell’azione del poema.
13L’osservazione riceve ulteriore luce dal rilievo che, come si vide, nella tradizione esiodea hanno gli Abanti di Eubea e il loro capo Calcodontiade (Eoie, Aigimios) e viene ulteriormente confermato dalla tradizione su Esiodo stesso. Come è noto nei versi 654-662 delle Opere si legge del viaggio del poeta a Calcide e della sua vittoria ai giochi in onore di Amfidamante. Sulla base di essi era sorta tutta una tradizione che da un lato chiariva le circostanze della morte di Amfidamante (la guerra lelanzia)31, dall’altra favoleggiava di un agone Omero-Esiodo32. Un fatto restava in ogni caso fuori di dubbio: il legame di Esiodo (o della sua scuola) con Calcide, che è alla base di tutta la costruzione.
14In conclusione questa tradizione abantica, con tutto ciò che essa implica, era la tradizione che ancora nell’epoca della definizione per iscritto dei poemi omerici e dei prodotti della locale scuola esiodea era obbligato punto di riferimento a proposito dell’Eubea. Perfettamente coerente, pertanto, appare il collegamento di questa tradizione alla tradizione su quello che restava l’evento capitale dell’Eubea arcaica, ossia la guerra lelanzia; collegamento che si è già visto affiorare attraverso il legame κουρά abantica-Cureti calcidesi-guerra lelanzia.
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153. Accertata cosὶ la vitalità ancora in età arcaica della tradizione abantica, resta allora da chiedersi di quali valori essa fosse il veicolo. A questo proposito due sembrano gli elementi significativi: la predilezione per lo scontro ravvicinato e un particolare tipo di κουρά. Gli Abanti vengono infatti qualificati con quella che è la qualifica tradizionale di Ares: essi sono θοοί, come θοός è Ares33. Si tratta di una caratteristica che è propria di chi è impegnato nella mischia34 e in particolare dei πολεμισταί35 e dei πρόμαχοι36, cioè gli specialisti della guerra o i combattenti più valorosi, schierati pertanto nelle prime file.
16Una analoga predilezione allo scontro ravvicinato appare nella volontà attribuita agli αἰχμηταί Abanti di infrangere le corazze nemiche colle aste di frassino che essi tengono già protese, ὀρεϰτῇσι μελίῃσι. Strabone37 e lo scolio A ad Il., II, 543 intendono aste utilizzate ἐϰ χειρός cioè come arma da combattimento e non come giavellotto. I moderni hanno parlato di oplitismo38. Lo Snodgrass tuttavia ha fatto osservare che una tale conclusione non è corroborata né dall’uso della corazza, che non è esclusivamente oplitico, né dall’eventuale uso del δόρυ ἐκ χειρός, che non è ignoto ad Omero39. Si può osservare, inoltre, che la morte del capo degli Abanti, in Il., IV, 463-469, avviene nel corso di uno scontro tradizionale, cioè con aste che vengono lanciate, e in particolare che Elefenore muore nel compiere un atto assolutamente inammissibile con una tattica oplitica: trascinando un nemico caduto al fine di spogliarlo delle armi.
17Resta 1’ὄπιθεν κομόωντες. Come si è detto un tale uso nega il κάρη κομόωντες degli Achei. Quest’ultimo va spiegato come un tratto specifico degli stessi, da intendere come un costume adottato da una parte degli Achei ο da quella cui la tradizione epica è interessata: di qui le varie, ma complementari, spiegazioni del fatto come costume eroico-aristocratico40 ο come tabù militare41. In questo clima il taglio dei capelli assume un preciso valore rituale: le chiome vengono recise nel corso di cerimonie funebri42 ο comunque di sacrifici43.
18Non diverso, per contrasto, il valore dell’ὄπιθεν κομόωντες, cioè di una particolare κουρά che interessava solo la parte anteriore della testa44. Si dovrà concludere che se i κάρη κομόωντες Achei rappresentano un particolare costume eroico-religioso, gli ὄπιθεν κομόωντες Abanti, isolandosi rispetto a questo costume, in un ambito peraltro sempre mitico ed epico, rappresentano un’ulteriore esasperazione di questo stesso costume.
19In conclusione rispetto alle abitudini aristocratico-militari cui l’epos omerico si riporta, il richiamo alla tradizione abantica già rappresenta nell’Eubea arcaica il richiamo ad una esasperata chiusura in senso eroico-religioso, contrassegnata sia dalla accentuata predilezione per il combattimento a corpo a corpo, sia da un ancor più particolare tipo di κουρά.
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204. Una seconda testimonianza relativa all’Eubea arcaica viene da un noto e discusso frammento di Archiloco, fr. 3 D, riportato da Plutarco, Thes., 5. Qui si accenna ad un combattimento che si accenderà in un πεδίον durante il quale non si tenderanno archi né fionde, perché dato il tipo di esperienza posseduta dai δουρικλυτοί padroni dell’Eubea, il combattimento sarà alla spada.
21Il frammento è assai significativo: in un’epoca tra 680-640 ca., quale è quella cui ci riporta Archiloco45, la società euboica appare, infatti, coscientemente attardata nel culto omerico del combattimento-duello dei campioni.
22Per cominciare l’arco, che non verrà utilizzato durante lo scontro, dopo la parentesi dell’età oscura è ormai tornato in uso46. Alceo cita, accanto alle spade calcidesi, l’arma principale dei signori dell’Eubea secondo Archiloco, gli schinieri ἄρϰος ἰσχύρω βέλεος47. Secondo la testimonianza di un canto iliadico, il quale all’unica testimonianza più completamente oplitica (48 unisce la visione di uno schieramento che si allarga dal centro alle ali e che possiede profondità oltre che lunghezza49, i Locresi οἵ ναίουσι πέρην ἱερῆς Εὑβοίης50, sono quelli che con gli archi e le fionde rompono le file troiane51. Il luogo fa corpo con le novità di questo canto, tanto più che l’attuale caratterizzazione dei Locresi non corrisponde a quella che le forze dei due Aiaci possedevano al momento della rassegna delle truppe in Il., IV, 280 ss.52.
23Il richiamo, d’altra parte, a tradizioni eretriesi legate all’arco, nel mito di Apollo e Melaneo e in quello di Eracle ed Eurito53, conferma ancora per l’età arcaica l’esistenza del problema nell’Eubea stessa. Il mancato ricorso all’arco non da ignoranza, quindi, deriva, ma da rifiuto. Un rifiuto che perpetua una realtà più antica, l’eclissi dell’arco tra il Tardo Elladico III e l’VIII secolo, in forme coscienti, di cui già in Omero si colgono le premesse: di Teucro54, capo dei Locresi, si precisa che egli è valente anche nella σταδίη ὑσμίνη, cioè che non è condizionato ο limitato dalla sua bravura nell’arco; dei Locresi stessi si dice che a loro il cuore non reggeva nella σταδίη ὑσμίνη, perché erano solamente arcieri e frombolieri55. Arcieri d’altro canto erano personaggi spregevoli e sleali come Pandaro e Paride56: e proprio in relazione a quest’ultimo ricorre l’invettiva contro l’arciere, ἄναλκις e οὐτιδανός che colpendo di lontano sfugge alla sorte che gli toccherebbe ove si provasse coll’avversario ἀντίβιον σὺν τεύχεσι57. Le linee di un ideale eroico legato alla prova diretta e ravvicinata sono evidenti ed è altresi evidente l’ideologia cui rimanda il rifiuto dell’arco.
24A conclusione non diversa mena l’analisi relativa all’uso della fionda. Anche per essa si verifica un ritorno a partire appunto da quest’epoca. Ne conoscono l’uso i Locresi in Il., XIII, 71658, ma soprattutto gli Eretriesi, che a colpi di fionda impediscono lo sbarco dei reduci da Corcira, secondo una tradizione che, per essere orientata sulla fondazione eretriese di Metone, è chiaramente di fonte euboica59. Dunque anche in questo caso il mancato uso della fionda è rifiuto. Un rifiuto che, ricollegandosi, nel caso citato dei Locresi, all’alternativa tra il colpire da lontano e la σταδίη ὑσμίνη cui non regge il cuore dei frombolieri ed arcieri, ne ripete, anche in questo caso, l’ideologia di fondo.
25Ulteriori precisazioni permette la menzione della spada come arma principale dello scontro. Anche in questo caso è la tradizione geometrica che viene conservata60 e il combattimento corpo a corpo rimane l’ideale. A questa prassi militare, va sottolineato corrispondeva l’eccelsa qualità delle spade calcidesi61 ed euboiche62, e la corrispondenza è ancora più netta se si tien conto del fatto che in Alceo le spade calcidesi rientrano in un contesto di armi giudicato «old fashioned» nel quale, si badi, l’asta è completamente assente.
26I signori dell’Eubea sono per altro anche in Archiloco δουρικλυτοί. Tali erano gli eroi omerici che seguivano a pieno la prassi geometrica dell’asta lanciata63. A quest’uso si ricollega l’abitudine di portare due ο più lance: e due ne portano i guerrieri raffigurati su un’anfora tardo-geometrica di Eretria64. Il dato concorda con l’uso della spada come arma principale e lascia intendere che i δουρικλυτοί sono gli Euboici nel senso in cui lo erano gli eroi omerici ο geometrici. Tutto cio conferma i dubbi dello Snodgrass circa gli Abanti-opliti, tanto più che in quel caso le truppe non sono mostrate in azione e, quindi, nulla può dirsi sul modo con cui una volta iniziato lo scontro quelle aste protese venivano utilizzate.
27Abbiamo cioè attraverso Archiloco il quadro di un’Eubea coscientemente attardata in forme eroiche di combattimento. Tutto ciò si ricollega evidentemente alla tradizione sulla convenzione militare tra Eretria e Calcide, riferita da Strabone come iscritta su una stele conservata nel tempio di Artemide Amarynthia65. I dubbi avanzati dal Forrest66 circa la validità del collegamento, non sembrano infatti accettabili.
28Intanto l’uso del futuro in Archiloco pone di fronte non ad uno scontro in atto, ma ad uno scontro che avverrà secondo certe modalità; d’altro canto non è credibile che nel combattimento cui allude Archiloco l’arco ο la fionda vengano rifiutati senza un accordo in materia. Lo Snodgrass osserva in proposito che nessuno il quale usi la spada come arma principale può rinunciare alla copertura di fiondatori ο lancieri, senza esser sicuro che anche l’altra parte non ne farà uso67. Come si è visto né arco né fionda sono ignoti all’Eubea di Archiloco e anzi la fionda appariva come arma di massa nell’episodio degli ἀποσφενδονητοί che hanno colonizzato Metone. Sembra chiaro quindi che se il mancato uso della fionda e dell’arco è frutto di un cosciente rifiuto, una convenzione, sul tipo di quella citata da Strabone che faceva divieto di usare τηλεβόλα, sia comunque da ammettere.
29Fedeltà dunque a un costume di tipo eroico ο agonale68, nel momento in cui esso entrava in crisi, onde la fedeltà stessa andava affermata mediante una convenzione apposita: cioè con una chiusura voluta verso le nuove specializzazioni e nuove tecniche con cui esse venivano a far corpo, ὁπλῖται e ψιλοί69. Specializzazioni e tecniche solidali con l’avvento di nuove forze sociali, rispetto a quelle che fino allora s’erano espresse nell’eroe e nello scontro agonale. Non a caso perciò i responsabili della chiusura sono definiti da Archiloco i δεσπόται dell’Eubea. Il termine è significativo. Esso qualifica solidalmente tutto il ceto dominante euboico in un senso che è quello della indistinzione tra potere personale e comunità: δεσπότης rimanda, infatti, al potere del capo dell’οἶϰος, come a quello del tiranno ο del sovrano orientale70.
30In conclusione chiusura in senso militare e chiusura in senso politico-sociale coincidono in questa Eubea di Archiloco coll’affermarsi di precise sanzioni e convenzioni, cioè con l’evoluzione in senso più decisamente oligarchico del modello omerico che si tenta di conservare.
31È il livello politico-militare che le antiche oligarchie esprimono nella limitazione del potere politico a ristretti gruppi, 300, 600, 1.000, così come nella limitazione della funzione militare a gruppi altrettanto esigui, come i 300 hippeis di Sparta, i 300 heniochoi e parabatai di Tebe, ο i 1.000 di Argo71.
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325. La presenza di questo livello di evoluzione politico-militare è attestata nell’Eubea arcaica anche per altre vie.
33Intanto è ben noto che tanto Calcide quanto Eretria hanno evoluto delle oligarchie fondate sulla hippotrophia72: hippobotai a Calcide, hippeis ad Eretria. Plutarco, il quale riferisce una tradizione legata a Calcide arcaica e alla tomba esistente nell’agorà della stessa, dunque una tradizione fermata a qualcosa di preciso, attesta la supremazia della cavalleria di Eretria, l’avversaria di Calcide, da cui la tradizione proviene73. Una stele, conservata nel tempio di Artemide Amarynthia a Eretria, ricordava la consistenza dei contingenti militari coinvolti dalla processione per la dea: 60 carri, 600 cavalieri, 3.000 opliti74. Il rapporto cavalieri-fanti è di 5 a 1 e non l’usuale rapporto di 10 a 175. Ma vi è anche ricordo di una realtà più antica, quella del carro: la civiltà del cavallo vi è dunque presente al completo ed è la civiltà in cui la funzione militare era diventata una vera e propria funzione separata76.
34Ancora il racconto di Plutarco prima citato attesta un altro carattere dell’oligarchia allora dominante in Calcide: la pratica della pederastia e il suo rapporto coll’educazione militare. Aristotele, citato dallo stesso Plutarco77, conosceva lo stesso collegamento tra hippeis ed eromenoi, ma come costume tipicamente calcidese: negava infatti il rapporto con Cleomaco Tessalo, e lo ammetteva con un calcidese di Tracia.
35Un canto calcidese, sempre ricordato da Plutarco nel luogo in questione78 esortava i giovani figli degli ἐσθλοί a concedere le loro grazie agli ἀγαθοί, giacché nelle città calcidesi insieme all’ἀνδρεία fiorisce Ἔρως. Di qui la pretesa calcidese riferita da Ateneo79 di localizzare nella propria città il ratto di Ganimede. Esichio, infine, si riferisce allo stesso costume chiarendo il valore della voce χαλκιδίξειν.
36Al di là dei particolari restano ferme due realtà: la pratica della pederastia a Calcide; il suo legame coll’educazione aristocratica e militare. Un legame che accosta Calcide alle società militari della antica Grecia80, e ai loro rituali di iniziazione, in cui appunto rientrava la pratica erotica in questione. Il momento iniziatico militare, d’altra parte, aveva il suo posto anche in Eretria, stando a quel che sappiamo dei riti collegati al culto dell’Artemide Amarynthia, che si confermano essere in qualche modo connessi a queste realtà di Calcide ed Eretria arcaiche81.
37Il discorso si fa più stringente in questo senso se teniamo conto della tradizione dei Cureti in Calcide. Si tratta di una tradizione di formazione assai complessa di cui la versione più completa si trova nelle Dionisiache di Nonno di Pannopoli, XIII 135 ss.: i sette Cureti ο Coribanti figli di Kombe e di Soco vengono scacciati dall’Eubea dal padre, finiscono a Creta e di qui in Frigia, dove si curano di Dioniso; poi passano in Attica e coll’aiuto di Cercope tornano nella terra degli Abanti ad eseguirvi le loro danze armate e a comandarvi le truppe. Questa tradizione si collega alla storiografia locale degli Euboika e Chalkidika: in particolare la tradizione su Kombe-Chalkis veniva riferita da Prosseno82. Punto di partenza è però un luogo dell’Iliade83, in cui viene ricordato che χαλκίς è il nome divino dell’uccello che gli uomini chiamano κύμινδις: e la κόμβη è appunto un uccello84. La tradizione raccolta in età ellenistica da Prosseno nasceva, quindi, dall’incontro tra storiografia locale-antiquaria e tradizione omerica.
38Il carattere di questa tradizione, tuttavia, può essere meglio precisato tenendo conto della personalità dei figli di Kombe-Chalkis. Tra di essi appaiono due Dactyli, Acmone, l’incudine, e Damneo/Damnameneo il martello85 e del resto una qualificazione in senso metallurgico i Dactyli globalmente possiedono86. La confusione tra questi Cureti euboici e i Dactyli è molto significativa: essa richiama infatti la tradizione sui Cureti euboici inventori delle armi87, nello stesso momento in cui richiama il passato metallurgico e militare di Calcide.
39Le ricerche condotte nella zona di Calcide hanno confermato le notizie di giacimenti minerari, in particolare giacimenti ferrosi88.
40La colonizzazione calcidese tanto a Pithekoussai89 quanto nella calcidica Kleonai90 resta legata alla diffusione delle tecniche metallurgiche. Una mediazione euboica nella reintroduzione dell’elmo nella Grecia di VIII secolo sembra provata, almeno per quegli esemplari che rimandano a modelli anatolici e del vicino Oriente91. Ma è soprattutto da tener presente che in pieno settimo secolo lo scontro fondato sul ξίφος, secondo Archiloco, si collega evidentemente con la fama delle χαλκιδικαὶ σπάθαι in Alceo, cui corrisponde la fama dell’εὐβoικὸν ξίφος in Eschilo92. Il legame è in ultima analisi quello proposto dalla tradizione sui Cureti euboici primi ad inventare e primi ad indossare le armi. Ciò fa supporre che questa tradizione sui Cureti appunto costituisca il modello mitico delle realtà arcaiche ora ricordate. Il sospetto viene ancor più rafforzato se si tien conto del fatto che un altro di questi Cureti euboici, Mimante, è in realtà non solo presente in questa tradizione dell’Eubea, ma è ancora presente nei luoghi in cui la colonizzazione euboica arcaica si è sviluppata: Chio-Erytre, Pithekoussai-Prochyta, Pallene-Phlegra93.
41Infine sempre a proposito dei Cureti euboici, vi è la identificazione già accennata, di essi con gli Abanti, in un luogo di Archemaco, euboico e autore di Euboika94. L’identificazione è fondata: sull’attribuzione ai Cureti di una κουρά, motivo già presente in Agatone95; sull’identificazione di questa κουρά colla θησηΐς96; sulla significazione militare di tale κουρά ο θησηΐς97. Anche a questo proposito si può osservare che la tradizione riposa su elementi più antichi: il carattere militare-aristocratico della κουρά abantica; gli elementi di tipo iniziatico-militare collegati al taglio della chioma98, presenti, sotto altra forma, nell’istituzione calcidese della pederastia e in ultima analisi presupposti dalla chiusura politico-militare della società euboica arcaica. A tutto ciò coerentemente si rapporta la natura corporativo-iniziatica degli stessi Cureti99, eternamente κοῦροι al pari degli eroi omerici100, ma al pari altresì dei componenti le collettività militari del mito, in primis quelle alluse da Esiodo nella descrizione degli uomini di bronzo101. In conclusione la tradizione curetica non alligna a caso in Eubea e proprio per ciò assume forme assai specifiche, come quelle relative alla metallurgia e alla denominazione di χαλκιδεῖς.
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426. A questo punto una conclusione di più vasta portata sembra possibile. Il complesso di tombe eretriesi in discussione si qualifica attraverso: la rigida distinzione delle sepolture di adulti e non; l’abaton da collegare ad un culto ctonio ο funebre, come nei riti agonali; l’hestiatorion ο andreion come momento di separazione ο identificazione di gruppo, fenomeni tutti già segnalati da C. Bérard. Aggiungi il collegamento tra l’edificio a cinque stanze e il rifacimento di questo hestiatorion nonché l’accostamento, operato da R. Martin, di questo complesso al ginnasio arcaico di Taso; aggiungi la collocazione di tutto il sistema in zona extra-urbana e paludosa, propria delle più antiche manifestazioni agonali102. Tutti questi fenomeni sembrano manifestamente solidali con il tipo di istituzioni finora delineate e, in ultima analisi, col carattere eroico-oligarchico della società euboica, abantica ed archilochea.
Notes de bas de page
1 Le fonti sono raccolte in: M.B. Sakellariou, La migration grecque en Ionie, Athènes, 1958, p. 199 n. 1 e, per ciò che attiene più specificamente la tradizione epica, in Lex. frgr. Epos, s.v. Ἀβαντίς.
2 Fr. 296 M.-W. L’Aigimios passava anche per opera di Cercope di Mileto, ora ritenuto contemporaneo di Esiodo (D.L., II, 46), ora invece discepolo di Pitagora (Cic., De nat. deor., I, 107: Clem. Strom., I, 21, 131: Suid., s.ν. Ὀρφεύς).
3 Frr. 294: 295: 296: 297 M.-W.
4 M.N. Kontoleon, A.E., 1963, p. 14 sq.
5 Cf. Sakellariou, o.c., p. 189 sqq.: Kontoleon, l.c.
6 Cf. N.G.L. Hammond, Epirus, Oxford, 1967, p. 384 sq., 494 sq., 657, 701.
7 Fr. 204, 52 M.-W.
8 Plut., Mor., 774 C. Cf. Paus., IX, 17, 3: 19, 3.
9 Aristocrate Λάκων, fr. 5 (IV, 333 M.). Cf. Lex. frgr. Epos, s.v. Ἄβας.
10 Schol. Ab, Il., II, 543. Vedi analogo rapporto in Strab., X, 1,13, p. 449 e Zenob., Prov., 6, 50. Per l’antichità dell’oracolo (VII sec.), cf. H.W. Parke-D.E.W. Wormell. The Delphic Oracle, I, Oxford, 1956, p. 82 sq.
11 Arch., fr. 3 D. (= 9 L.B. = 3 Tarditi).
12 Plut., Thes., 5, 2 sqq.
13 Fr. 9 Jac. = Strabo, X, 3, 6, p. 465.
14 Thes., l.c.
15 Strat., I, 4.
16 Plut., Thes., 35: Paus., I, 17, 6.
17 Vedi le fonti in Sakellariou, o.c., p. 205, n. 8.
18 Ps. Scymn., 584 sq.
19 IG, XII, 9, 946.
20 Sakellariou, o.c., p. 213.
21 Sakellariou, o.c., p. 181 sq.
22 Sakellariou, o.c., p. 189 sqq., 487.
23 F. Geyer, s.v. Euboia, RE, suppl. IV (1924), c. 377.
24 J.N. Coldstream, Greek Geometric Pottery, London, 1968, p. 341 sq.
25 V. R. d’A. Desborough, Protogeometric Pottery, Oxford, 1952, p. 217: cf. J. Boardman, Early Euboean Pottery and History, ABSA, 1957, p. 9.
26 Hammond, o.c., p. 416 e n. 2.
27 Hammond, o.c., p. 414; Coldstream, o.c., p. 367.
28 R. Hope Simpson-J.F. Lazenby, The Catalogue of the Ships in Homer’s Iliad, Oxford, 1970, p. 54 e 55, n. 29.
29 Simpson-Lazenby, o.c., p. 53 sq.
30 D. Page, History and the Homeric Iliad, Berkeley, 1972, p. 125.
31 Cf. Lex. frgr. Epos, s.v. Ἀμφίδαμας.
32 Cf. P. Mazon, Hésiode, Paris, 1951, X sq.; E. Vogt, Hermes, 102, 1959, 193 sqq.; A. Momigliano, Lo sviluppo della biografia greca, Torino, 1974, p. 28 s.: la tradizione è anteriore al V sec.
33 Il., V, 430: VIII, 215: XIII, 295 = 328 = 528: XVI, 784: XVII, 72, 536.
34 IL, XVI, 422, 494.
35 IL, V, 571: XV, 585
36 Il., V, 536 e cf. VIII, 215: XIII, 295 = 328 = 528: XVI, 784: XVII, 72, 536. Cf. ancora Il., II, 758.
37 Strabo, X, 1, 12, p. 448 e 13, p. 449.
38 H.L. Lorimer, Homer and the Monuments, London, 1950, p. 208, 259 n. 4. Cf. J. Boardman, ABSA, 52, 1957, p. 29.
39 Early Greek Armour and Weapons, Edinburgh, 1964, 178 sq. Cf. i dubbi ancora di P.A. Greenhalgh, Early Greek Warfare, Cambridge, 1973, p. 91.
40 S. Marinatos, Haar und Barttracht, in Archaeologia Homerica, B.I., Kapitel B, Göttingen, 1967, p. 3.
41 Page, o.c., p. 243 e 282 n. 67.
42 Il., XXIII, 46, 151-153: Od., IV, 198: XXIV, 46.
43 Il., XXIII, 144 sqq. Cf. Marinatos, o.c., p. 19.
44 Cf. gli Schol. ad loc. e Plut., Thes., 5.
45 Cf. F. Jacoby, Cl. Q., 35, 1941, p. 97 sqq.
46 Snodgrass, o.c., p. 156, 180: Id., The Dark Age of Greece, Edinburgh, 1971, p. 275.
47 Ζ 34, 5 L.P. Cf. Snodgrass, o.c., p. 183.
48 Il., XIII, 340-343. Cf. Snodgrass, o.c., p. 178 sq.
49 P. Mazon, Introduction à l’Iliade, Paris, 1959, p. 192 sq.
50 Il., II, 535.
51 Il., XIII, 713-718.
52 Cf. Lorimer, o.c., p. 301. Ma cf. Page, o.c., p. 237.
53 Cf. la comunicazione di C. Talamo, infra, p. 53 sg.
54 Il., XIII, 313 sq.
55 Il., XIII, 713 sqq.
56 G.S. Kirk, War and Warrior in the Homeric Poems, in Problèmes de la guerre en Grèce ancienne, Paris, 1968, p. 113.
57 Il., XI, 385-390.
58 Cf. Il., XIII, 716 con 599 sq., dove l’ἐϋστρεφὴς οἰὸς ἄωτος diviene esplicitamente σφενδόνη, e Paus., I, 23, 4. Per tutta la questione cf. Lorimer, o.c., l.c.
59 Plut., Mor., 293 A-B. Cf. B. D’Agostino, Dial. d’Arch, I, 1, 1967, p. 34, n. 39.
60 Snodgrass, o.c., p. 180, 193, 260 n. 39. Cf. Lorimer, o.c, p. 271 sq.
61 Alc., Ζ 34 L.P.
62 Aeschyl., fr. 356 (Sidgwick) = Plut., Mor., 434.
63 Lorimer, o.c., p. 257 sq., 259 sq.: Snodgrass, o.c., p. 136 sq.
64 Greenhalgh, o.c, p. 91. Cf. J. Boardman, ABSA, 52, 1957, p. 29.
65 Strabo, X, 1, 12, p. 448.
66 W.G. Forrest, Hist., VI, 1957, p. 163 sq. Contro vedi già: M. Sordi, La lega tessala fino ad Alessandro Magno, Roma, 1958, p. 44, n. 4.
67 Snodgrass, o.c., p. 180.
68 A. Brelich, Guerre, agoni e culti nella Grecia arcaica, Bonn, 1961, p. 16.
69 Lorimer, o.c., p. 301: Snodgrass, o.c., p. 156, 167, 203, 265 n. 46.
70 Cf. L. S. J., s.v.
71 Cf. M. Détienne, La phalange: problèmes et controverses in Problèmes, cit., Paris, 1968, p. 134 sqq.
72 Arist., Pol., 1289 b. Cf. Hdt., V, 77; Plut., Per., 23; Strabo, X, 1, 8 p. 447 (per Calcide); Arist., A. P., 15, 2; Plut., Mor., 760; Strabo X, 1, 10 p. 448 (per Eretria).
73 Mor., 760 E.
74 Strabo, X, 1, 10, p. 448.
75 Sordi, o.c., 47 n. 2.
76 Cf. oltre al già citato Détienne, o.c., p. 125 sqq., F. Vian, La fonction guerrière dans la mythologie grecque, in Problèmes cit. p. 59 sqq.
77 Fr. 98 R.
78 Carm. pop., 44 D. = Plut. Mor. 761 A-B.
79 XIII, 17, p. 601 EF.
80 H. Jeanmaire, Couroi et Couretes, Lille, 1939, p. 452 sqq.: A. Brelich, Paides e Parthenoi, Roma, 1969, p. 120 sq., 158, 184 sq.
81 Cf. la comunicazione di L. Pulci-Doria Breglia, infra, p. 63 sq.
82 425 F 1 e cf. il relativo commento del Jacoby.
83 Il., XIV, 290 sq.
84 Hsch., s.v. κόμβα, κύμβαι.
85 Hsch., s.ν. Su Akmon vedi ora: R. Arena, P.P. 157, 1974, 269 s.
86 La più antica testimonianza viene dalla Φορωνίς (fr. 2 Kinkel), un poema epico a cui si riferiscono Ellanico e Arcesilao, e che quindi va collocato al più presto c. 600. Cf. W. Schmid-O. Stählin, G.G.L., I, 1, München, 1959, p. 294.
87 Strabo, X, 3, 19, p. 472: Steph. Byz., s.v. Αἴδεψος (Epafrodito). Cf. Jacoby, a 425 F 1.
88 Cf. S.C. Bakhuizen, The two Citadels of Chalcis on Euboea. Topographical commentary on the hills of Chalcis, in AAA, V, 1972, p. 134 sqq. Dello stesso autore ho tenuto presente quanto detto il 6-III-74 nella conferenza presso l’Istituto Olandese di Roma su Iron and Chalcidian Colonization in Italy.
89 Cf. J.J. Klein, A Greek Metalworking Quarter. Eighth Century, Excavations on Ischia, in Expedition, XIV, 2, 1972, p. 34 sq. e la comunicazione di G. Buchner in questo convegno, infra, p. 59 sq.
90 Heracl., Lembo F 62 Dilts (da Aristotele); testo richiamato dal Bakhuizen.
91 Snodgrass, o.c., p. 34 sq., 195, 200, 202.
92 Arch., fr. 3 D: Alc., Ζ 34 L.P.; Aesch., fr. 356 (Sidgwick) = Plut., Mor., 434.
93 Cf. RE, XV, 2 (1932), c. 1713 sq., s.v.
94 424 F 9 e commento del Jacoby, ad loc.
95 Fr. 3 TGF p. 763 = 39 F 3 Snell = Athen., XII 528 D.
96 Plut., Thes., 5: Polyaen, I, 4.
97 Archemachos 424 F 9 e per la θησηΐς: Plut., Thes., l.c., e Polyaen, l.c.
98 A. Brelich, Paides e Parthenoi, Roma, 1969, p. 31, 34, 71 sq., 80 sq., 115, 129.
99 R.F. Willets, Ancient Crete, London-Toronto, 1965, p. 120 sqq.
100 In Omero κοῦροι sono i guerrieri a prescindere dall’età; onde espressioni come κοῦροι νέοι (Il., XIII, 95), πρωθῆβαι (Od., VIII, 262), κοῦρος πᾶις (Od., XIX, 523).
101 F. Vian, La fonction c., p. 59 sqq.; J.-P. Vernant, Mythe et pensée chez les Grecs, Paris, 1966, p. 32 sqq.
102 Brelich, Paides c., p. 66, 132 sq., 183 sqq., 346 e passim.
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