Il Santuario della Bona Dea fuori Porta Marina a Ostia
Nuove osservazioni
p. 327-343
Résumés
Parmi les recherches menées dans le cadre de notre thèse « Les suburbia d’Ostie antique. Nouvelles recherches sur l’évolution urbaine de la ville, de la fin de la période républicaine jusqu’à l’Antiquité tardive » (sous la direction de Daniele Vitali), les espaces suburbains d’Ostie furent étudiés et en particulier la zone de la Porta Marina. C’est à l’aune de ces nouveaux travaux que le dossier du sanctuaire de la Bona Dea, à l’extérieur de la Porta Marina (IV, viii, 3) fut réexaminé. L’ensemble des données connues du site provenant de sources diverses (publications, journaux de fouille, dessins, photographies aériennes, etc.) a été intégré à un SIG et complété par de nouvelles observations sur le terrain et l’exploitation des archives du parc archéologique Ostia antica. Cet article apporte donc un éclairage nouveau sur le sanctuaire, notamment à travers l’étude de son emplacement et de l’évolution du bâti dans un contexte urbanistique diachronique, l’analyse des différentes phases de construction et les découvertes majeures faites sur le site.
As part of the research carried out for my PhD thesis entitled « The suburbia of Ostia Antica. New researches on the urban evolution from the late Republican period to Late Antiquity », carried out between 2014 and 2018, adviser prof. Daniele Vitali (Université de Bourgogne – Franche-Comté, Dijon), the suburban areas of the ancient city of Ostia (Rome, Italy) were examined, with particular attention to the area outside Porta Marina.
Thanks to these studies it was possible to carry out an overall review of the data on one of the oldest buildings in the maritime quarter, the Sanctuary of the Bona Dea outside Porta Marina (IV, viii, 3). The data coming from different types of sources (publications, excavation journals, drawings, aerial photographs, etc.) was integrated into a GIS, and was completed by new surveys and studies both in situ and in the Archives of the Parco Archeologico di Ostia antica.
This paper presents a new interpretation on the sanctuary, through the precise localization of the building in its diachronic urbanistic context, the analysis of the main building phases and the examination of the main finds related to the sanctuary.
Entrées d’index
Mots-clés : Ostie, Sanctuaire de la Bona Dea, suburbium, construction, Antiquité tardive
Index chronologique : Antiquité tardive
Keywords : Ostia, Sanctuary of the Bona Dea, Roman suburbia, ground raising, Late Antique Ostia
Texte intégral
1Il culto della Bona Dea, antica divinità della fertilità e della salute venerata con riti riservati alle donne1, è attestato ad Ostia dalla presenza di due santuari. Uno, il più antico, è quello identificato e scavato tra il 1959 e il 1970 da Maria Floriani Squarciapino nella regio V (V, x, 2) (infra, fig. 3)2. Il secondo, di più recente costruzione, è quello situato nel suburbio fuori Porta Marina (IV, viii, 3) (fig. 1, 2) (Calza, 1942 ; Van Haeperen, 2019, p. 204-206). I due santuari presentano caratteristiche comuni : un piccolo tempio tetrastilo senza podio all’interno di una corte porticata, racchiuso da un recinto con accesso unico non in asse con il tempio, entro il quale vi sono vari ambienti annessi. Queste caratteristiche, comuni anche ad altri casi noti sul territorio italiano, permettono di definire una tipologia ricorrente per i santuari dedicati a questa divinità (Cébeillac, 1973, p. 549-552).
2In questa sede si presentano alcune nuove osservazioni sul Santuario della Bona Dea fuori Porta Marina scaturite dalla tesi dottorale dello scrivente, avente come oggetto le aree suburbane di Ostia, con particolare attenzione al quartiere fuori Porta Marina3. Grazie a tale lavoro è stato possibile procedere ad un riesame complessivo dei dati noti sul monumento, integrati da nuovi rilievi e studi sia in situ che presso gli archivi. L’insieme dei dati, provenienti da fonti anche molto diverse tra loro (pubblicazioni, giornali di scavo, rilievi, fotografie aeree, ecc.) è stato inserito all’interno di un apposito GIS, che ha permesso la completa integrazione e interrogazione degli stessi.
3Il Santuario della Bona Dea fuori Porta Marina (IV, viii, 3) fu scavato sotto la direzione di Guido Calza nel maggio del 1941, nell’ambito dei grandi scavi del quadriennio 1938-1942 per l’Esposizione Universale (fig. 4)4.
4Il santuario era composto da un tempietto prostilo e tetrastilo senza podio (6,80 x 9,40 m), posto all’interno di un peribolo di forma irregolarmente trapezoidale (33,20 x 17,35 m) (fig. 5). Tutte le strutture di questa prima fase sono in opera reticolata con ammorsature in blocchetti rettangolari di tufo, ad eccezione di alcune lesene poste sul lato esterno del peribolo, realizzate anche con l’impiego di laterizi. Il tempio è orientato in senso est-ovest, con apertura a oriente, mentre l’accesso al santuario avveniva da nord, attraverso una porta nel muro perimetrale. L’ingresso introduceva nell’ambiente C, avente al centro una piccola ara di tufo in asse con la porta. Dall’ambiente C si accedeva al corridoio D, che conduceva al tempio e ad un vano scoperto di forma triangolare posto ad ovest (vano E), in cui furono rinvenuti alcuni brani di un pavimento laterizio in spicatum. Nella cella del tempio era un mosaico bianco e nero decorato con una composizione di esagoni e di losanghe, di cui si conservano tre lacerti (lato delle tessere : 1 cm)5. Del pronao rimangono solo le quattro basi in travertino (Pensabene, 2007, p. 184, fig. 99, tav. 48.3) per altrettante colonne (non conservate), probabilmente in laterizi o blocchi di tufo rivestiti di stucco. Davanti al tempio è stata individuata la base di fondazione dell’ara, costituita da tre blocchi di tufo appoggiati sulla sabbia (1,45 x 0,70 m). Anche il pronao era pavimentato con un mosaico bianco e nero, sempre con tessere di lato 1 cm, in cui era una tabula ansata contornata da una treccia a due capi su fondo bianco. Si conserva solo parte dell’ansa di sinistra e l’angolo superiore della tabella, in cui si leggono alcune lettere frammentarie : M · I[---] / [---]s[---] (Becatti, 1962, p. 208, n° 392, tav. XII).
5Tutta l’ala meridionale del santuario era occupata da un portico che seguiva il profilo del muro di cinta. Di tale portico è stata rinvenuta gran parte della fondazione in muratura che sosteneva la base continua di blocchi di tufo, sulla quale poggiavano colonne in laterizio (diametro 0,41 m)6. L’ala occidentale del portico era appoggiata al tempio, mentre l’ala orientale conduceva all’ambiente F, cui si accedeva attraverso il cortile centrale.
6L’ambiente F è un vano di forma quasi quadrata pavimentato con un mosaico bianco e nero geometrico costituito da una composizione ortogonale di quadrati formati da quattro rettangoli uguali delineati attorno ad un quadrato caricato da un ulteriore quadrato iscritto7. Il pavimento della fase originale, realizzato con tessere aventi lato di 1 cm, è conservato solo in una fascia larga 0,80 m lungo il muro occidentale. Si sono poi conservati altri brani di pavimento con lo stesso motivo geometrico, ma realizzato con tessere più grandi (lato 1,5 cm) e di tecnica meno accurata. Questa particolare situazione dei restauri ha fatto ipotizzare la presenza di un pesante mobile ligneo che avrebbe preservato un’area di pavimento originario dall’usura, forse un armadio8.
Le epigrafi
7L’identificazione della divinità cui è intitolato il tempio è stata possibile grazie al rinvenimento di un’epigrafe ricomposta da più frammenti (Calza, 1942, p. 163), in cui si leggeva : M(arcus) Maecilius M(arci) f(ilius) [.]urr[---] / aedem Bonae Deae ex su[a pecunia ---] / idemq(ue) prob[avit].
8Un primo frammento (fig. 6, n° 1) fu rinvenuto durante lo sterro del tempietto tetrastilo il 17 maggio del 19419. Pochi giorni più tardi, “nel distruggere un pilastro laterizio viene in luce un’altra parte dell’iscrizione precedente adoperata come materiale di fondazione10” (fig. 6, n° 2, 3). Un ulteriore frammento (fig. 6, n° 4), rinvenuto superficialmente nella stessa zona l’anno precedente, permise al Calza una prima ricomposizione dell’iscrizione11.
9Successivamente, grazie al censimento e riordinamento complessivo delle epigrafi ostiensi operato da Fausto Zevi negli anni ’60 del secolo scorso, sono state individuate ben tre ulteriori copie identiche della stessa iscrizione (Zevi, 1968, p. 83-88).
10Un frammento della seconda epigrafe, molto simile alla prima per spessore della lastra e dimensioni delle lettere (fig. 6, n° 5), fu rintracciato tra gli oggetti conservati nel Casale Aldobrandini12. Un altro frammento fu trovato reimpiegato nella pavimentazione nelle terme del Foro (fig. 6, n° 6)13.
11La terza copia è stata ricomposta da dodici frammenti di provenienza ignota (fig. 6, n° 7, 8, 9), dei quali dieci combaciano tra loro e corrispondono in spessore e dimensione delle lettere14.
12La quarta epigrafe, infine, mostra lo stesso testo delle altre, ma su una lastra più piccola e con lettere sensibilmente diverse. È stata ricomposta da tre frammenti (fig. 6, n° 10, 11, 12) rinvenuti nel febbraio del 1939 scavando un portico vicino alla Porta Marina15. Colpisce, in quest’ultima iscrizione, la forma delle lettere, che appare più tardiva rispetto alle altre inquadrabili intorno alla metà del I sec. d.C.
13Il confronto tra i vari frammenti permette di ricostruire il testo dell’iscrizione come segue (Zevi, 1968) : M(arcus) Maecilius M(arci) f(ilius) Furr[---] duo vir/ aedem Bonae Deae ex sua pecunia fac(iundam) cur(avit) / idemq(ue) probavit.
14Le quattro iscrizioni, o almeno quelle monumentali, identiche tra loro, dovevano ornare i lati esterni dell’edificio16. Il duoviro M. Maecilius, che donò il santuario, volle così sottolineare la sua munificenza. Il personaggio è noto ad Ostia solo da questa iscrizione ed è collocabile negli anni tra il 35 e il 53 d.C.17. Tale datazione coincide con quella ricavabile dalla tecnica edilizia18, che concorre nel datare l’edificio entro la prima metà del I sec. d.C.19
Il quadro urbanistico
15In epoca tardorepubblicana, dopo la costruzione delle mura (63-58 a.C. ; Zevi, 1997), fuori Porta Marina si delinearono due orientamenti stradali principali (fig. 7) : uno, testimoniato dall’orientamento del Monumento funerario di Cartilio Poplicola (ca. 2515 a.C. ; Becatti, 1953, p. 113 ; Gismondi, 1958, p. 171-181 ; Zevi, 1976, p. 132-134 ; Cébeillac-Gervasoni, Caldelli e Zevi, 2010, p. 109-112), era perpendicolare al circuito murario ; l’altro, lungo il quale sorgeva il Monumento funerario anonimo (ca. 40-25 a.C. ; Becatti, 1953, p. 113 ; Gismondi, 1958, p. 181-190 ; Pensabene, 2007, p. 128-132), costituiva la diretta prosecuzione del Decumano al di fuori della porta. Questi due assi definivano forse una sorta di ampio largo a “V”.
16Con la costruzione del santuario probabilmente si pavimentò la strada che costituiva la prosecuzione del Decumano verso il mare, abolendo invece il percorso perpendicolare alla cinta muraria, occupato dal peribolo del santuario stesso. La prima pavimentazione stradale fuori Porta Marina sembra infatti essere quella rinvenuta durante gli scavi del santuario, alla stessa quota della sua risega di fondazione, sotto il livello della strada attualmente visibile (a quota 2,30 m s.l.m.) che è verosimilmente di epoca adrianea (Gismondi, 1958, p. 169, nota 2).
17L’analisi delle quote della prima fase del santuario permette di individuare un grande rialzamento del piano di calpestio dell’area avvenuto con tutta probabilità in concomitanza con la costruzione dello stesso. Il piano di spiccato del Monumento di Cartilio Poplicola è a 0,33 m s.l.m., mentre quello del Monumento anonimo è a 0,49 m s.l.m. I pavimenti del santuario si trovano invece ad una quota media di ca. 2,20 m s.l.m., e sono più alti quindi di ca. 1,70-1,90 m (fig. 8). Un simile poderoso rialzamento difficilmente può aver riguardato solo la singola particella del santuario. Anche considerando l’impatto che l’edificio ebbe sulla viabilità suburbana, è più plausibile l’ipotesi di una vasta operazione che interessò più particelle, se non l’intera area attraversata dalla prosecuzione del Decumano fuori Porta Marina. Inoltre, data la prossimità dei monumenti funerari, distanti pochi metri dal peribolo del tempio e in rapporto diretto con le strade attorno ad esso, è probabile che questi fossero già parzialmente interrati durante la prima metà del I sec. d.C., cioè dopo soli 50-80 anni dalla loro costruzione.
18Questi elementi gettano nuova luce sul fenomeno dei rialzamenti dei livelli di strade e quartieri ad Ostia20. Se l’interpretazione tradizionale vedeva in queste opere misure legate alle infrastrutture pubbliche in grado di estendersi ad interi quartieri o all’intera città e dunque ben definibili anche cronologicamente come operazioni unitarie (Wilson, 1935, p. 53-54 ; Meiggs, 1973, p. 64-65 ; Pavolini, 2006, p. 32-34), il precoce rialzamento di questa porzione del suburbio fuori Porta Marina, avvenuto forse contestualmente al rialzamento stradale, sembra indicare che tali opere potevano avere anche carattere locale e puntiforme, e che il fenomeno abbia dunque una cronologia scalata nel tempo. Quanto alle cause di tali rialzamenti, le ipotesi più diffuse vedono in essi una protezione dalle ripetute inondazioni del Tevere (o dall’innalzamento progressivo della falda acquifera), oltre ad una funzione statica di rafforzamento del sottosuolo per costruire fondazioni più solide (Jansen, 1999). La febbrile attività edilizia che continuò a Ostia senza soluzione di continuità tra il I e il II sec. d.C. comportò la gestione di enormi masse di macerie dei vecchi edifici distrutti e soppiantati dai nuovi, oltre a ingenti quantitativi di terra di riporto per i necessari livellamenti, contribuendo al complessivo rialzamento dei livelli di calpestio della città. Queste operazioni di rialzamento erano probabilmente la prassi costruttiva preliminare ad ogni nuovo edificio, e dovevano essere regolate da precise leggi.
Le fasi edilizie
19Il santuario presenta una serie complessa di attività edilizie schematizzabili in quattro fasi principali (fig. 9).
20Nella prima fase sono realizzati il tempietto tetrastilo senza podio e il peribolo trapezoidale in opera reticolata.
21In una seconda fase, in opera laterizia, l’ingresso è spostato a nord di 2,85 m e viene ornato con due colonne a rocchi di travertino ; ad est del nuovo vestibolo (amb. A) è creato un ambiente (amb. B) pavimentato a mosaico bianco e nero geometrico con tessere di lato 1,5 cm21.
22A nord dell’ambiente B, a pochi centimetri dal muro, si trova un pozzo in opera laterizia (Ricciardi e Scrinari, 1996, I, p. 54, scheda 42). Con un diametro esterno di 1,84 m, è il più grande pozzo conosciuto ad Ostia22. La sua funzione è da mettere probabilmente in relazione anche con il vicino cosiddetto Foro di porta Marina, che ha una porta laterale direttamente a fianco del complesso. La cronologia della struttura sembra essere la stessa degli annessi a nord del santuario, ma non si può escludere la presenza di un pozzo più antico rimpiazzato (o rifatto) in questa fase. Contestualmente è realizzata anche una grande fontana pubblica sul Decumano, che va ad occupare l’angolo nord-occidentale del santuario (IV, viii, 4) (Ricciardi e Scrinari, 1996, II, p. 231-232, scheda XXV).
23Queste modifiche si possono collocare nella fase di grande espansione edilizia che subì il quartiere in epoca adrianea (Becatti, 1953, p. 129), come testimonia anche il rialzamento di quota nei pavimenti del nuovo annesso (2,49 m s.l.m.), più alti di 0,35 m rispetto a quelli della prima fase. Inoltre, l’acquedotto, indispensabile per il funzionamento del ninfeo, probabilmente giunse nell’area fuori porta Marina non prima dell’inizio del II sec. d.C. (Bukowiecki, Dessales e Dubouloz, 2008, p. 154-164).
24Nella terza fase, realizzata in un’opera listata che alterna quasi ovunque filari di laterizi a filari di cubilia allettati in orizzontale anziché obliquamente, oltre ad altri tufelli di varie forme e qualità, l’area del santuario subisce una profonda modifica che sembra indicare l’avvenuta cessazione del culto. Tutta l’ala meridionale è distaccata dal tempio e un nuovo edificio, probabilmente a destinazione commerciale, è costruito sopra i muri in reticolato del recinto, precedentemente rasati. Il portico viene demolito e i piani pavimentali sono rialzati di ca. 0,40 m. Nell’ala settentrionale, la parete di fondo della cella è demolita e rifatta con andamento obliquo nella stessa opera listata, evidentemente per allargare la strada che in quel punto formava una sorta di strettoia. Il colonnato davanti al tempio è sostituito da un unico pilastro in mattoni in asse con l’ingresso al tempio stesso, mentre nell’ambiente E vengono realizzate alcune vaschette in muratura.
25Anche se questa serie di radicali rimaneggiamenti è datata dal Calza al III secolo d.C. (Calza, 1942, p. 164), vi sono alcuni elementi che inducono a collocare tale ristrutturazione almeno nella seconda metà del IV sec. d.C. In particolare, ci si deve soffermare su un importante dettaglio emerso dalla relazione di scavo del 1941 : il ritrovamento di parte dell’iscrizione dedicatoria di M. Mecilio, fondatore del tempio, fatta a pezzi e reimpiegata nelle murature del nuovo edificio tardoantico (fig. 6, n° 2, 3). Questo elemento sembra indicare che al momento dei rimaneggiamenti il santuario fosse già abbandonato e allo stato di rudere. Un altro frammento della stessa epigrafe (fig. 6, n° 5), inoltre, è stato rinvenuto reimpiegato nel pavimento di una delle sale delle Terme del Foro, in una fase datata tra la fine del IV e gli inizi del V sec. d.C. Questo potrebbe collocare l’abbandono e la cessazione delle funzioni cultuali in un momento successivo agli editti di Teodosio (378-395 d.C.). Negli stessi pavimenti, del resto, si ritrova reimpiegata anche una dedica frammentaria ad Attis (Cicerchia e Marinucci, 1992, p. 23), il cui tempio era certamente ancora attivo solo pochi anni prima, quando Ceionius Volusianus Lampadius, praefectus urbi nel 363366 d.C., donò una statua di Dioniso.
26Forse un crollo repentino, o semplicemente la cessazione delle funzioni di culto, causarono l’abbandono della struttura. Anche la riduzione (con parziale demolizione) della cella del tempio, del resto, non sembrano compatibili con una continuità strutturale dello stesso. L’area fu poi rioccupata prelevando materiali edilizi direttamente dal rudere del santuario : di qui l’uso estensivo di tufelli da reticolato, e l’uso dei muri del recinto, rasati, come fondazioni per le nuove strutture.
27Nella pianta pubblicata dal Calza nel 1942 (fig. 5 ; Calza, 1942, p. 158, fig. 3), sono indicati muri di rialzamento tardi lungo tutto il perimetro dell’ala meridionale. Tali strutture risultano oggi scomparse in larga parte del perimetro esterno, in particolare, sono assenti lungo i lati meridionale e orientale, mentre restano labili tracce lungo quello occidentale. Anche nella pianta pubblicata nel primo volume degli Scavi di Ostia, nel 1953 (fig. 1 ; Calza, 1953, tav. 11), tali murature risultano assenti, come manca pure uno dei muri che dividevano l’area meridionale in quattro ambienti. Questi dati, da interpretare anche considerando la tecnica di scavo degli anni ’40 del secolo scorso, che prevedeva sovente la demolizione delle fasi più tarde in favore di quelle imperiali, potrebbero indicare che l’estensione originale dell’edificio tardoantico corrispondesse in realtà alla quasi totalità dell’area del santuario, non più esistente come tale. Uno dei quattro pilastri tardoantichi costruiti in questa fase, inoltre, potrebbe essere costituito dall’epigrafe n° 2 e 3 (fig. 6) : rappresentato nella pianta del 1942, e successivamente demolito per recuperare l’iscrizione murata al suo interno, esso risulta assente nelle successive rappresentazioni planimetriche.
28La quarta fase, infine, corrisponde all’abbandono definitivo dell’edificio, che risulta smantellato e rasato a livello dell’ultimo rialzamento stradale, a 3,30 m s.l.m., cioè oltre 1 m più in alto rispetto ai piani pavimentali originari del santuario23. È possibile ipotizzare che un grosso evento sismico, forse il terremoto che colpì Roma nel 443 d.C. (Guidoboni, 1989, p. 608-609, n° 61), abbia causato il crollo della struttura, probabilmente già piuttosto precaria nella sua ultima fase di vita. Le macerie furono poi rimosse e il terreno livellato24. Questa operazione di messa in sicurezza delle rovine, che aveva anche lo scopo di ripristinare la viabilità dopo i crolli, è confrontabile con quanto documentato nel vicino Mitreo dei marmi colorati (IV, ix, 5) : dopo il crollo dell’edificio, avvenuto entro la prima metà del V sec. d.C. forse a causa del già citato terremoto del 443 d.C., le macerie furono contenute entro un muro realizzato contro terra, con lo scopo di rendere la strada nuovamente praticabile25 (De Togni e Melega, 2020 ; David, 2018).
Bibliographie
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Zevi Fausto, “Brevi note ostiensi”, Epigraphica, 30, 1968, p. 83-95.
Zevi 1976
Zevi Fausto, “Monumenti e aspetti culturali di Ostia repubblicana”, in Zanker Paul (a cura di), Hellenismus in Mittelitalien. Atti del Kolloquium in Göttingen (5-9 giugno 1974), Göttingen, 1976, p. 52-63.
Zevi 1997
Zevi Fausto, “Costruttori eccellenti per le mura di Ostia della Porta Romana”, Rivista dell’Istituto nazionale d’archeologia e storia dell’arte, III, 19/20, 1996/1997, p. 61-112.
Notes de bas de page
1 Sul culto della Bona Dea: Calza, 1942; Cébeillac, 1973; Brouwer, 1989; Rieger, 2004.
2 Il tempio, già parzialmente scavato tra il 1938 e il 1942, non sarà identificato come santuario della Bona Dea prima delle nuove indagini di Maria Floriani Squarciapino (Floriani Squarciapino, 1960; Medri e Falzone, 2018).
3 La tesi, intitolata “Les suburbia d’Ostie antique. Nouvelles recherches sur l’évolution urbaine de la ville de la fin de la période républicaine jusqu’à l’Antiquité tardive”, è stata svolta dal 2014 al 2018 sotto la direzione di Daniele Vitali (Université de Bourgogne – Franche-Comté, Dijon) e Massimiliano David (Università di Bologna).
4 Sugli scavi dell’E42: Scrinari, 1987.
5 Becatti, 1962, p. 208, n° 393, tav. XXI. Per il tipo di decorazione: Balmelle et al., 1985, pl. 213 a.
6 Solo tre colonne furono rinvenute in situ, per un’altezza di 0,30 m (Calza, 1942, p. 163, fig. 3).
7 Becatti, 1962, p. 208, n° 394, tav. XIII. Per il tipo di decorazione: Balmelle et al., 1985, pl. 141 a.
8 Secondo Guido Calza l’ambiente F potrebbe essere stato una apotheca, vano che rientrava nei locali annessi a questi santuari di carattere salutare, in cui si conservavano i medicamenti offerti ai fedeli (Calza, 1942, p. 165; Cébeillac, 1973, p. 531-532).
9 Calza, 1942, p. 163. Archivio Storico del Parco Archeologico di Ostia Antica, Giornale dello Scavo, vol. 27, 1938-1941, p. 60.
10 Archivio Storico del Parco Archeologico di Ostia Antica, Giornale dello Scavo, vol. 27, 1938-1941, p. 60. Si tratta di una struttura più tarda che occupò parzialmente l’area del santuario, di cui si parlerà in seguito.
11 Calza, 1942, p. 163, fig. 8. Archivio Storico del Parco Archeologico di Ostia Antica, Giornale dello Scavo, vol. 27, 1938-1941, p. 60.
12 Nel frammento si legge: [---]o·vir / [---]c·cur. (CIL, XIV, 4679; Calza, 1927, p. 430, n° 174; Zevi, 1968, p. 84, fig. 3).
13 Nel frammento si legge: [---]ecili[---/---]m Bona[---] / ide[---]. Il pezzo fu rinvenuto reimpiegato nei pavimenti a lastre di marmo di una sala delle Terme del Foro (scavi 1927-1929) (CIL, XIV, 5411; Zevi, 1968, p. 84, fig. 2; Cicerchia e Marinucci, 1992, p. 209, n° C91a, fig. 140).
14 Il testo ricomposto è: [---]us[---] M · f · Furr[---/---] ae· ex· su / [---] prob [---]. Di questi frammenti è sottolineata l’evidenza di reimpieghi, oltre all’aspetto di oggetti restati a lungo esposti all’aria aperta (Zevi, 1968, p. 84-85, fig. 4).
15 Archivio Storico del Parco Archeologico di Ostia Antica, Giornale dello Scavo, vol. 24, 1938-1939, giorno 1-II-1939. Sui frammenti ricomposti si legge: [---]M · f · Furr[---]vir / [---]ae· ex[---]cur / [---]bavit. (Zevi, 1968, p. 86-87, fig. 5).
16 Zevi, 1968, p. 87. L’iscrizione più piccola era forse destinata ad essere esposta all’interno. Potrebbe trattarsi di una copia realizzata in un momento successivo.
17 Maecilius potrebbe essere menzionato nei frammenti perduti dei Fasti degli anni 35, 38, e 39-53 d.C. (Van Der Meer, Stevens e Stöger, 2005, p. 93). Secondo Fausto Zevi le iscrizioni sono databili alla metà circa del I sec. d.C. (Zevi, 1968, p. 87). Anche Russell Meiggs inserisce Maecilius tra i duoviri della prima metà del I sec. d.C. (Meiggs, 1973, p. 512).
18 Questo tipo di opera reticolata, con ammorsature in tufelli e scarsissimo uso di laterizi, è in genere testimoniata ad Ostia in età giulio-claudia (Gismondi, 1953, p. 192).
19 Secondo il Brouwer, seguendo Guido Calza, il santuario è databile alla prima metà del I sec. d.C. (Brouwer, 1989, p. 63-67, 407); secondo il Gismondi la costruzione avvenne nel 30-40 d.C. (Gismondi, 1958, p. 169).
20 Sul fenomeno dei rialzamenti dei livelli ad Ostia si vedano gli atti della tavola rotonda tenuta sull’argomento durante il II colloquio internazionale su Ostia antica (Roma, 8-11 novembre 1998): “Rialzamenti dei livelli delle strade e quartieri urbani ad Ostia” (Mols e Van Der Laan, 1999, p. 61-97).
21 Il motivo decorativo è una composizione di croci di campane curvilinee intorno ad un quadrato concavo centrale, tangenti e in colori contrastanti (Becatti, 1962, p. 208, n° 395, tav. LIV). Per il tipo di decorazione: Balmelle et al., 1985, pl. 159.
22 Diametro interno: 1,18 m.
23 La quota di tale rialzamento è stata ricostruita a partire dalla quota di rasatura dei muri del Santuario della Bona Dea (fig. 9). Secondo A. Gering lo spazio reso così disponibile fu utilizzato come «piazzale» pubblico, come altri simili spazi aperti nella città tardoantica (Gering, 2018, p. 313-314 e 395).
24 Calza, 1942, p. 165. Di tale rialzamento, realizzato evidentemente anche con materiali provenienti dagli edifici in rovina lungo il percorso stradale, ci informa anche il Gismondi nella trattazione del Monumento di Cartilio Poplicola: molti frammenti marmorei della facciata del monumento, infatti, provenivano proprio dal “tardissimo rialzamento della via di Cartilio Poplicola” (Gismondi, 1958, p. 172).
25 Anche nel “Caseggiato delle due scale” (IV, ix, 6), attiguo al Mitreo, sono stati documentati importanti crolli attorno alla metà del V sec. d.C. (Graziano, Rosati e David, 2019). Secondo F. Van Haeperen, il crollo del Santuario della Bona Dea si può mettere in relazione anche con la distruzione dell’Edificio con opus sectile fuori Porta Marina, datata agli ultimi anni del IV sec. d.C. Anche in questo caso l’evento sarebbe da associare ad una catastrofe naturale (Van Haeperen, 2020, p. 242).
Auteur
Assegnista di ricerca,
Sapienza, Università di Roma, Dipartimento di Scienze dell’Antichità
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