Lo zolfo in Sicilia in età romana. Dalle miniere ai mercati
p. 231-254
Résumés
Tra le materie prime che viaggiavano sulle onerarie romane c’era senza dubbio lo zolfo siciliano. L’area solfifera agrigentina, dunque, per un lungo periodo di tempo, si caratterizza come il centro di un intenso scambio commerciale che aveva nello zolfo, utilizzato in agricoltura, medicina, purificazione delle lane, in guerra, per la preparazione di alcune armi, e in altri, molteplici, usi domestici. A differenza di altre merci, ma analogamente a diverse materie prime (piombo, ferro, legname, marmi) l’archeologia dello zolfo e delle sue aree produttive non può contare, come nel caso di vino e olio, sullo studio dei contenitori in cui viaggiava. In questo contributo si fa il punto della situazione e si espongono alcuni importanti reperti, le tegulae sulphuris, che sono l’unico fossile guida, in attesa di approfondite indagini stratigrafiche nelle zolfare antiche (che ho individuato sul terreno) per lo studio di questo ramo importante dell’economia romana. Particolare attenzione, infine, viene posta alle associazioni commerciali, in particolare a quelle degli Annii e degli Atinii, documentate anche nell’industria solfifera.
Among the raw materials which travel in naves onorariae, whithout a doubt was the Sicilian sulphur. The territory of Agrigento can be presented, for a longtime, as the central place for intense trading exchange in sulphur, which served in agriculture, medicine, wool purification, at war for preparing weapons, and for many others domestic uses. Unlike others goods, as raw materials (lead, iron, wood, marmor), the archaeology of sulfur and its production areas canno’t rely, as for wine and oil, on the study of the containers in which the product travelled. The paper explains the whole situation and presents some important artefacts, the tegulae sulphuris, which are for now the sole fossile guides, awaiting thorough stratigraphical researches on ancient sulphur explotations we have already identified, which will be useful in the study of that important field of the Roman economy. Last, we focus on trading associations, especially that of the Annii and the Atinii, also documented in the sulphur industry.
Entrées d’index
Keywords : roman sulphur, markets, trade associations, epigraphy
Parole chiave : zolfo e zolfare romane, mercati, associazioni commerciali, epigrafia
Note de l’auteur
Nelle more di stampa è uscito il mio volume La produzione di zolfo in Sicilia in età romana, Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2018 in cui sono affrontati i punti di cui discuto nel presente contributo e la cui redazione ha tratto molto vantaggio dal colloquio madrileno dell’ottobre del 2014 ancora una volta mi è gradito ringraziare per questo gli organizzatori.
Texte intégral
Premessa
1Tra le materie prime che viaggiavano nel Mediterraneo almeno fin da età romana c’è senza dubbio lo zolfo. Il suo reperimento, le modalità atroci con cui veniva cavato, raffinato ed esportato, associati alla difficoltà di reperirlo, dato che i giacimenti più importanti sono in Sicilia con sporadici affioramenti minori in altri siti mediterranei, hanno determinato la nascita di una fitta rete di contatti tra la Sicilia centro-meridionale e le aree di utilizzo.
2Nonostante ciò, tuttavia, la produzione siciliana di età romana rimase «silente»: non ne parlano le fonti letterarie, né rimangono fonti iconografiche. Solo una particolare classe di epigrafi ne conserva traccia e per questo, fin dalla seconda metà dell’800, è stata oggetto di segnalazioni e recensioni. Si tratta delle cosiddette tegulae sulphuris (o tegulae mancipum sulphuris), tegole che riportano, speculari, delle indicazioni circa la proprietà della miniera, sul concessionario della licenza di estrazione e sulla provenienza del minerale. Queste indicazioni venivano trasferite, attraverso l’uso di casseforme, ai lingotti di zolfo negli impianti di raffinazione e sui lingotti si potevano leggere al momento della loro commercializzazione.
3Ritengo che occorra spiegare questo silenzio che va ben oltre il naturale naufragio di documentazione causato dagli anni. In effetti, però, la condizione degli uomini e lavoratori nelle zolfare siciliane nel corso dei secoli è stato oggetto di un numero elevato di studi, ma solo in contesti in cui si notavano momenti di particolare crisi. La domanda di zolfo fu costante fin dall’antichità, quanto meno da quando si utilizzò il minerale per le sue qualità disinfettanti. Per questo motivo la parte centromeridionale della Sicilia fu al centro di una fitta rete di scambi commerciali.
4In particolare, se è vero che lo zolfo è presente fin dai poemi omerici per purificare gli ambienti e che continua ad essere citato dalle fonti letterarie per le sue caratteristiche comburenti (si veda, ad esempio, la descrizione tucididea dell’assedio della città di Platea), solo con l’aumento della domanda di minerale, dovuto al fabbisogno agricolo, si dovette rendere necessaria una migliore organizzazione dello sfruttamento minerario e, in particolar modo, di quello dei filoni agrigentini1. Oggi, quindi, ci troviamo una grande mole documentaria fornita dalle tegulae cui non corrisponde, purtroppo, una altrettanto ampia documentazione della presenza del minerale nei luoghi di consumo. A tal proposito, però, si osserva un fenomeno particolare: da un lato le fonti letterarie tacciono sullo zolfo siciliano, dall’altro le fonti epigrafiche e quelle archeologiche2 testimoniano che, almeno dal momento in cui Roma controlla la produzione siciliana, fu intenso lo sfruttamento delle miniere.
5In età moderna l’industria mineraria fu particolarmente attiva a partire dal secondo quarto del XIX secolo e i guasti che essa apportava furono sicuramente fra gli elementi fondamentali della cosiddetta «questione meridionale», almeno per le aree siciliane interessate dai processi estrattivi. Suscitava già sdegno l’infima condizione dei livelli di manovalanza più bassi della filiera produttiva, tanto che gli stessi Sonnino e Franchetti ne parlano sottolineando il particolare status sociale dei minatori e il contesto in cui, periodicamente, si «reinserivano»3.
6In questo saggio mi propongo di illustrare i risultati di una indagine sulla estrazione dello zolfo in Sicilia in età romana, sull’impatto che ebbe sul territorio agrigentino e sulla diffusione del minerale sui mercati mediterranei4.
Introduzione
7Lo zolfo è un minerale che fa parte della cosiddetta «Serie Gessoso-Solfifera» che si concentra nell’area della Sicilia centro-meridionale oggi compresa, grosso modo, fra le province di Enna, Agrigento e Caltanissetta con un’estensione complessiva di circa 1500 Kmq. Per lo sfruttamento, lo zolfo veniva separato dalla matrice gessosa attraverso un processo di fusione. Se fuso, a basse temperature, il minerale diviene un liquido giallastro di consistenza vischiosa; quando brucia, si forma anidride solforosa altamente dannosa per l’ambiente e per la salute.
8Il sistema usato era quello dei cosiddetti «calcheroni» in cui il minerale veniva accumulato e riscaldato per autocombustione fino al raggiungimento della temperatura di fusione. Ancora fino a poco tempo fa in Sicilia si procedeva con questo metodo secolare5 (fig. 1). L’attività mineraria siciliana constava di due grandi periodi: da dicembre fino a luglio aveva luogo solo lo scavo, da luglio in poi si procedeva all’accatastamento ed alla fusione.
L’utilizzo dello zolfo in agricoltura: la posizione di M. Rostovzev
9Anche nell’antichità la domanda di zolfo era molto elevata e i filoni siciliani cominciarono ad essere sfruttati. Una delle questioni fondamentali che riguardano la storia delle attività estrattive siciliane, concerne la destinazione finale del minerale raffinato e dunque, in altri termini, il motivo per cui si diede avvio ad una produzione su larga scala. In epoca moderna, in Europa, l’impiego di zolfo contro un particolare tipo di parassita, l’oidium Tuckerii, consentì in molti casi di salvare il raccolto e l’economia basata sulla viticoltura6. Il grande exploit della moderna estrazione fu generato anche dai nuovi metodi di produzione della soda che, agli inizi del XVIII secolo, costituiva uno degli sbocchi principali del minerale prodotto in Sicilia.
10Preliminare, dunque, allo studio della produzione del minerale, della sua diffusione e del suo impatto sull’economia in età antica è, senza dubbio, la domanda relativa al suo impiego.
11M. Rostovzev analizzò il problema della destinazione finale del minerale siciliano sul mercato e sui suoi possibili impieghi7. Egli intuì, giustamente a mio modo di vedere, che lo zolfo fu impiegato soprattutto come anticrittogamico dagli agricoltori e che, proprio per questo, la sua grande diffusione sia da connettere strettamente alla presenza di impianti viticoli nelle province.
12I trattati De Agri cultura dalla media età ellenistica alla tarda antichità, in effetti, parlano ampiamente dell’utilizzo dello zolfo in agricoltura8. A questi si devono aggiungere le notizie e accenni di vari autori Virgilio in primis9. Catone10 prescrive lo zolfo, assieme ad altri ingredienti come il bitume, contro le infestazioni di convolvolus nelle vigne (fig. 2):
Convolvolus in vinia ne sit. Amurcam condito, puram bene facito, in vas aheneum indito congios II. Postea igni leni coquito, rudicula agitato crebro usque adeo, dum fiat tam crassum quam mel. Postea sumito bituminis tertiarium et sulpuris quartarium. Conterito in mortario seorsum utrumque. Postea infriato quam minutissime in amurcam caldam et simul rudicula misceto et denuo coquito sub dio caelo. Nam si in tecto coquas, cum bitumen et sulpur additum est, excandescet. Ubi erit tam crassum quam viscum, sinito frigescat. Hoc vitem circum caput et sub brachia unguito; convolvus non nascetur.
Perché le viti non abbiano il convolvolus: piglia della morchia, purificala, mettine due congi in un vaso di rame, falla bollire a fuoco lento, agitandola spesso con un bastoncello, finché non sia densa come il miele. Prendi poi un terziario di bitume e un quartario di zolfo; pestali separatamente in un mortaio; poi versa queste polveri minutissime nella morchia calda e continua a mescolare e fa’ cuocere all’aria aperta; perché se la cuoci in un luogo chiuso, quando ci metti il bitume e lo zolfo s’infiammano. Quando questo miscuglio sarà denso come il vischio, lascia raffreddare e ungine il ceppo e i rami della vite. Il convolvolus non comparirà.
13L’operazione di intingere ogni vitigno con lo zolfo doveva essere ripetuta più volte all’anno ad ogni manifestazione dei parassiti. E’ dunque facile concludere che fosse elevata la domanda di minerale nelle regioni a più alta vocazione vitivinicola. Questo già nella media età ellenistica, anche se fu solo con il primo secolo d.C., con la redistribuzione delle aree produttive e con il loro progressivo spostamento verso le Gallie, che questa domanda dovette crescere in maniera esponenziale11.
Ne convolvolus fiat in vinea, amurcae congios duos decoqui in crassitudinem mellis, rursusque cum bituminis tertia parte et sulpuris quarta sub diu coqui, quoniam exardescat sub tecto. hoc vites circa capita ac sub bracchiis ungui; ita non fore convolvolum. quidam contenti sunt fumo huius mixturae suffire vineas secundo flatu continuo triduo.
Affinché la vigna non sia infestata dal convolvolus cuoci due congi di morchia finchè non abbia la consistenza del miele e con una terza parte di bitume e una quarta di zolfo, cuocili all’aria aperta, poiché al coperto potrebbe incendiarsi. Con questo composto ungi le viti attorno al colletto. In tale maniera non attecchirà il convolvolus, alcuni ritengono di affumicare con il soffio di tale mistura le viti per tre giorni di seguito.
14In queste preparazioni, lo zolfo è spesso associato a pece e bitume12. Per avere un’idea sulle quantità di minerale richiesto dai produttori di vino, abbiamo riprodotto il preparato indicato da Catone, applicandolo alle viti. Da questo esperimento si ricava che per una singola applicazione occorre un chilo di minerale per 25 piante circa. Se ne può, quindi, facilmente desumere quanto fosse forte la richiesta ed intenso lo sfruttamento13.
Le tegulae sulphuris
15Prima di essere inviati al porto di partenza, da cui raggiungevano i principali mercati, i lingotti di zolfo venivano contrassegnati con delle iscrizioni apposte, quando il minerale era ancora allo stato liquido, e dunque nel momento stesso della raffinazione, attraverso l’uso di matrici in terracotta che dovevano stare sul fondo di casseforme, verosimilmente in legno.
16Anche in questo caso c’è un elevato grado di continuità con le abitudini e tecniche moderne: anche presso le miniere ottocentesche, infatti, si usava confezionare in lingotti (balate in siciliano) lo zolfo, contrassegnandoli con le cifre dei gestori della miniera. È dalla seconda metà dell’Ottocento che queste epigrafi sono conosciute e Mommsenn pubblicò nel CIL X 2, 8044, 1-9 le prime tegole agrigentine14. Egli le collocò fra l’instrumentum domesticum e attribuì loro il nome che avrebbero poi conservato in letteratura: tegulae mancipum sulphuris. Si tratta di laterizi piani con due alette laterali di vario spessore e a sezione triangolare; il lato posteriore si presenta generalmente molto grezzo e spesso conserva tracce dell’incannucciata su cui erano state stese le tegole nell’officina in attesa della cottura e, molto verosimilmente, nella fase di impressione dell’iscrizione. Sul lato principale ci sono le iscrizioni, ottenute a stampo, in rilievo e che hanno il caratteristico andamento speculare.
17Le misure sono standard all’interno di ogni singola serie, ma variano molto con il passare del tempo, così come sono notevoli le differenze tipologiche dei caratteri delle iscrizioni. Gli esemplari conosciuti e recensiti, e fino alla metà del XX secolo, non superavano la decina ma, in ogni caso, erano l’unico documento dell’attività mineraria solfifera siciliana. In altri termini: se non avessimo le tegulae sulphuris non conosceremmo nulla di questa importante attività economica dell’antichità. Lo studioso tedesco (il quale per la compilazione del CIL aveva fatto anche un viaggio in Sicilia annotando di aver visitato le zolfare nissene), però, ne travisò la funzione ritenendo le tegulae equiparabili a materiale da costruzione e, dunque, le epigrafi in esse conservate analoghe ai bolli laterizi.
18In effetti, Mommsen effettuò il suo viaggio in Sicilia nell’ottobre del 1845, periodo in cui generalmente le attività fusorie erano sospese per tutelare i raccolti nei campi dalla devastante azione dell’anidride solforosa prodotta dai forni; è molto probabile, dunque, che, per questo motivo, lo storico tedesco abbia avuto cognizione del lavoro in miniera, ma non dei processi che dovevano portare al prodotto finito. La reale funzione delle tegole fu colta da Antonino Salinas che, con una lettera che verrà poi allegata al CIL annota l’assoluta incongruenza delle tegulae per un uso edilizio data l’assenza dell’incavo posteriore che ne consentisse il montaggio in serie e per l’assoluta rozzezza della faccia priva dell’iscrizione. Salinas, che dichiara il suo debito verso il Treu, osservò una stretta analogia fra la funzione delle tegulae e quella dei contrassegni posti sul fondo delle cosiddette «gavite», delle casseforme, cioè, in cui lo zolfo fuso colava a processo di cottura avvenuto:
Esse non sono affatto tegole, ma bensì vere e proprie forme nelle quali lo zolfo liquefatto riceveva delle lettere rilevate e rovesciate, il nome, incavato e nel senso giusto, del produttore, insieme alla sua marca. Si tratta quindi, non di semplici bolli di figuli, ma di documenti di un valore altissimo per la storia economica della Sicilia nell’antichità15.
19Biagio Pace accolse la tesi di Salinas circa la reale funzione delle tegole e fu il primo a richiamare il passo del Digestum in cui, a proposito del de officio proconsulis, si menziona una condanna ai lavori in calcariam et sulphurariam16.
20Nel 1963, quindi, P. Griffo pubblicò numerose tegulae sulphuris da lui rinvenute ad Agrigento e ritornò su un intervento di emergenza effettuato durante la costruzione della casa cantoniera in località Bonamorone (Agrigento) sulla S.S. 118, in occasione del quale rinvenne un complesso accumulo stratigrafico, interpretato come lo scarico di un’officina ceramica con pozzi e cisterne17. Il contributo di Griffo è quello più completo e in cui viene pubblicato il maggior numero di dati, prima delle sintesi e degli aggiornamenti recenti.
21Nel 1982, Ernesto De Miro pubblica, in occasione del V Convegno di Studi sulla Sicilia Antica, le tegole conservate presso il Museo Regionale S. Nicola di Agrigento e provenienti dagli scavi del cosiddetto «Quartiere ellenistico romano»18. Lo studioso mette in relazione diretta la prosperità di Agrigentum romana, già evidente dai primi risultati delle indagini archeologiche e dalla necropoli di S. Gregorio, con la produzione dello zolfo; egli, inoltre, sistema le iscrizioni sulla base della tipologia del supporto.
22Ma qual era la funzione delle tegulae sulphuris? A chi era rivolto il bagaglio di informazioni veicolato dalle epigrafi e, in ultima analisi, quanto è possibile concludere dallo studio delle numerose varianti attestate e dalla loro ampia diacronia in rapporto con mutate condizioni della proprietà e dell’estrazione?
23Un fatto è chiaro: le tegole compaiono solo ed esclusivamente in contesti provinciali: nel territorio agrigentino, in primis, e in seguito in Acaia a Melos19. Mentre, pur essendo attestate archeologicamente produzioni minori di zolfo in Lazio e Campania20, potrebbe essere la pertinenza a territori italici a far sì che non si abbia notizia, in quei territori, di matrici di tal genere. Del resto, una volta raggiunto il porto di imbarco per la destinazione finale, l’epigrafe, trascritta sul lingotto, perde la sua funzione poiché ha assolto al suo compito tanto di documento fiscale quanto di strumento di garanzia sulla provenienza del minerale.
24Le fonti in merito sono molto chiare: lo zolfo veniva commercializzato ed era diffuso non in lingotti, ma al minuto e in piccole quantità, quanto meno in contesti urbani.
25La letteratura satirica attesta la diffusione in ambito urbano del consumo del minerale puro per usi domestici e tramanda le modalità con cui veniva commercializzato. In particolare, mi sembra non privo di interesse il fatto che Marziale utilizzi l’aggettivo «gregale» per qualificare lo zolfo di cui si disponeva in città. Aggettivo che lascia intravedere una vasta e costante presenza nella vita quotidiana cittadina. Negli epigrammi I, 41 e X, 3 si fa riferimento ad un povero ambulante che va in giro a barattare frammenti di vetro con sulphurata21: transtiberinus ambulator, qui pallentia sulphurata fractis permutat vitreis (I, 41) e quae sulphurato nolit empta ramento vatiniorum proxeneta fractorum (X, 3). Nello stesso senso va inteso il brano – del tutto analogo ai precedenti – dalle Silvae di Stazio comminutis permutant vitreis gregale sulpur22.
26Come si può osservare, c’è un forte legame tra produzione vetraria e diffusione del minerale, sia che fosse utilizzato per la produzione di un mastice per riparare i vetri, sia, più probabilmente, che venisse usato nei forni vetrari.
27L’institor protagonista dei versi di Marziale lo diffondeva, infatti, di casa in casa, a Roma; ne disponeva, quindi, tanto da utilizzarlo come merce di scambio per raccogliere vetri rotti da riciclare23. Accertata la reale funzione delle tegulae, si possono osservare stringenti analogie fra la produzione di zolfo e la relativa marchiatura, funzionale all’esportazione, e quella di altre classi di materiali, in particolare, l’opus doliare24.
28Queste caratteristiche comuni sono: la rilevante incidenza sul territorio di entrambe le manifatture (condizionate e condizionanti l’insediamento), la complessa strutturazione dell’impianto produttivo, il forte interesse di imprenditori privati prima cui in un secondo momento si sostituisce, a volte con fenomeni di monopolio, la casa imperiale.
29Nelle serie di iscrizioni si osserva come tra quelle più antiche compaia soltanto un nome al genitivo affiancato, in alcuni casi, dall’indicazione su una seconda linea di scrittura dell’officina di provenienza. A un certo punto, ancora non meglio precisabile, ma probabilmente a partire già dalla prima metà del I d.C., nella prima linea delle iscrizioni è presente l’indicazione di appartenenza dello zolfo all’imperatore con le formule Domini Nostri Augusti, Imp Aug N, Impp Augg NN. In queste iscrizioni segue, alle linee successive, l’indicazione del conductor del filone estrattivo e dell’officina. Si tratta, dunque, di una forte affermazione della pertinenza all’imperatore della potestà di concedere le licenze estrattive. Fanno eccezione a questa regola solo le 5 tegole racalmutesi in cui è specificata solo la provenienza dello zolfo ex prediis M. Aureli Commodiani, e quelle da Grotte in cui si specifica solo l’officina Gelliana senza altri particolari.
30I bolli laterizi servivano a imporre sui materiali i tratti sintetici di un contratto di locatio/conductio, secondo la lettura di E.M. Steinby25, indipendentemente se servissero a distinguere, nell’ambito di una medesima figlina, i mattoni di più produttori, oppure se la loro funzione distintiva fosse attiva in una fase successiva alla produzione quando, in momenti immediatamente precedenti alla loro immissione sul mercato, i mattoni venivano stoccati assieme.
31Per i lingotti di zolfo questo modello è compatibile? L’esigenza di marchiare i lingotti nasce dalla necessità dell’autorità centrale di controllare la produzione, incamerando la somma dovuta per tasse, da un lato, dall’altro per un migliore controllo del prodotto e, di conseguenza, per una corretta attribuzione di responsabilità nel caso in cui quest’ultimo risultasse di scarsa qualità, danneggiato o comunque non soddisfacente le esigenze dell’acquirente. Secondo G. Salmeri, e mi sento di concordare, fu in Sicilia che si dovette introdurre l’uso di marchiare i lingotti di zolfo.
32Ritengo che il tipo della tegula sulphuris derivi direttamente dalle tegole usate in edilizia per la copertura dei tetti e che solo in un secondo momento si sia specializzato come matrice. Negli esemplari più antichi, infatti, non si hanno grosse differenze tanto nella forma quanto nelle dimensioni con le tegole piane a doppia aletta, se si esclude il fatto che sulla faccia posteriore manca l’incasso che doveva consentire il montaggio in serie.
33E’ forse possibile circoscrivere meglio il periodo in cui fu creato il tipo della tegula sulphuris: infatti, su esemplari pertinenti a tre tipi diversi di tegole (fig. 3), compare un solo personaggio interessato anche alla commercializzazione sui mercati urbani del minerale. Si tratta di un certo Aulus Annius Eros, di cui non si hanno altre notizie ma che, senza dubbio alcuno, è in stretta relazione con gli Annii che dedicano ad Augusto e a Gaio Cesare una stele o una statua posta su una base di marmo con iscrizione su entrambi i lati principali rinvenuta fuori contesto in un’area in cui sorge un tempio su alto podio, databile ad età augustea e posto al centro del foro di Agrigento26.
34Sempre lo stesso Annius Eros marchia una seconda tegola a doppia aletta, di modulo diverso, indizio certo di una mutata esigenza commerciale o, piuttosto, di un adeguamento ad un intervento normativo e fiscale teso a regolamentare la produzione di minerale. Su questa tegola si nota anche, sotto la prima linea dell’iscrizione, un evidente tratto continuo: traccia della matrice usata27. In questo esemplare non è presente ancora la zigrinatura, caratteristica delle tegulae sulphuris, mentre il lemma si dispone su tre linee e riporta interessanti indicazioni:
Romae
Auli Annii Erotis
Cattianense
Spica
35Deve trattarsi di una commissione per una partita di minerale destinata a Roma (nella prima linea appunto compare l’indicazione al caso locativo della destinazione finale per lo zolfo), proveniente dall’officina fusoria CATTIANENSIS (va osservato che qui, caso unico in tutta la serie, compare un aggettivo al neutro, senz’altro da riferire alla voce sulpur), fatta dallo stesso Annius Eros che compare nella terza linea dell’iscrizione al dativo chiaramente come destinatario del carico e, probabilmente, come unico corresponsore dei tributi per l’estrazione e la commercializzazione. È molto probabile che il terzo tipo, a doppia aletta con zigrinatura alta e con iscrizione [A. AN]NIEROTIS sia posteriore a questi due esemplari28.
Considerazioni sulle societates: gli esempi degli Annii e di Socidius e Trigonius
36Lo studio dell’epigrafia della produzione solfifera, incentrato soprattutto sull’analisi delle tegulae sulphuris, consente di ricostruire alcuni tasselli sulle sue dinamiche interne. In particolare, è evidente che, nella catena produttiva, si formassero spesso delle societates per l’estrazione e commercializzazione del minerale.
37Una delle serie che conta più esemplari è quella che riporta l’iscrizione Anniorum, associata all’Officina Cassiana, a quella Porciana e, con solo un esemplare, ad una più misteriosa officina Ge-.
38Il genitivo Anniorum, in un contesto ancora pienamente ellenofono, rimanda ad un duale e sembra testimoniare proprio una attività congiunta di un A. Annius Eros e A. Annius Donatus documentati da altre tegole. Si veda, per un confronto l’iscrizione agrigentina su architrave in calcare29: EPI TWN DUWN ANDRWN (fig. 4).
39I due Annii sono attivi, sono sempre altre tegulae sulphuris a documentarlo, tanto nell’officina Cassiana quanto nell’officina Porciana. Segnalo che sono documentate associazioni tra due Auli Atinii interessati al commercio di garum e di altre mercanzie nel Mediterraneo e che un Aulus Atinius è documentato da due tegulae sulphuris agrigentine.
40Lo stesso fenomeno si ripropone in età tardoantica, probabilmente a partire dalla fine del IV d.C., quando troviamo operanti assieme due personaggi non altrimenti conosciuti: Trigonius e Eustochius (fig. 5). Anche in questo caso la loro attività si svolgeva indistintamente nei due principali distretti minerari agrigentini.
Tab. 1 – Prospetto delle tegulae sulfuris con elementi datanti.
Tipo | Larghezza | Altezza | Iscrizione | Elementi datanti |
I | 36 | 24,3 | A Anni Erotis | Analogia con dedica agrigentina ad Augusto |
II | 36 (circa) | n.d. | A Donati | |
III | 39,7 | 29,5 | Anniorum | Posteriore a I e II |
IV | 41 | 26 (circa) | A Atini | |
V | n.d. | n.d. | Signum bue gradiente | |
VI | n.d. | n.d. | CHonesti/[ex]Officina/ Porc(iana) | |
VII | n.d. | n.d. | Cassiana Domini/ N(ostri)/haedera | |
VIII | n.d. | n.d. | Imp Aug/Cond | |
IX | n.d. | n.d. | SES | |
X | 39 | 33 | Astro spica astro/Ex Praidis M Aureli Commodiani/caduceo | Ante 191 d.C. |
XI | 41 | 41 | Ex Off Gellit Pelori/corona (var. svastica) | |
XII | Imp Aug N/tridente | |||
XIII | 40 | n.d. | Fani Imp/Cond Eu | |
XIV | 42 | 37 | Ex Off Ra | |
XV | n.d. | n.d. | [IMP AVG N] EX [OFFICINA] CASS[IANA] ERV C[IO]- SOS IO [COSS?] | Coppia consolare del 193 d.C. |
XVI | 43 | 45 | Imp Augg NN/Ex Off Cassiana/Cond Eustochii | |
XVII | n.d. | 41 | Auguustorum/ NNostrorum/Off Porcianense | |
XVIII | 40 | n.d. | ExOf/Porcia/Na/Cond Triconi (var. Cassiana) | |
XIX | n.d. | n.d. | Cond Ystochii |
Per un’archeologia delle miniere di zolfo
41Si è, fino ad oggi, avuta una discreta produzione di articoli sulle tegulae sulphuris. Non si sono, tuttavia, mai ricercate le caratteristiche del paesaggio minerario agrigentino in età romana, né, tanto meno, si è approfondito il tema della sopravvivenza delle strutture produttive di quel periodo. Ciò è dovuto a quello che si è dimostrato un «pregiudizio» circa l’impatto che ebbero le attività minerarie moderne30. Era opinione comune, infatti, che gli impianti produttivi moderni avessero completamente distrutto o obliterato con i loro scarichi quelli più antichi.
42Il survey da me condotto ha dimostrato non solo che sono rintracciabili le tracce delle strutture insediative, dell’estrazione e della lavorazione, ma anche che è possibile in alcuni settori del territorio agrigentino, ricostruire il tessuto connettivo fra le varie componenti di questa filiera (fig. 6). In altri termini, è stato possibile ricostruire le reti viarie, le caratteristiche degli abitati, la loro evoluzione nel tempo e la relazione con alcuni dei siti minerari, anch’essi con notevoli tracce di estrazione antica. Sulla base della cronologia di questi siti e del rinvenimento, fra il materiale archeologico di superficie, di nuovi frammenti di tegulae sulphuris ho così ottenuto una cronologia relativa per numerose iscrizioni31.
Le officinae attestate e la loro collocazione sul territorio
43Una presenza frequente e costante su tutto il complesso di tegulae sulphuris è quella del lemma officina, la fabbrica, cioè, in cui veniva estratto e raffinato il minerale. Nel caso delle produzioni laterizie e di lucerne, officina è sinonimo di figlina o comunque è un termine che ne agglutina il significato, comprendendo, in generale, tutta la fabbrica con le varie componenti umane e strumentali: gli impianti e gli addetti alla raffinazione dell’argilla, quelli predisposti alla foggiatura e alla cottura dei pezzi, così come le maestranze specializzate nelle operazioni di fornace e nella decorazione dei vasi pre e post cottura.
44Come i termini aggettivali in –anus/–ana, i denominativi delle officine derivano direttamente dal nome del proprietario o, quanto meno, dal primo proprietario. Si coglie infatti una lunga durata, nelle iscrizioni, degli stessi nomi (in particolare l’officina Cassiana e l’officina Porciana) e dunque deve essere ipotizzato un cambiamento della funzione dei termini: se cioè in un primo momento può esserci stata una diretta correlazione con la proprietà o la responsabilità delle officine fusorie da parte di una determinata famiglia, in seguito, i lemmi assumono un vero e proprio valore toponomastico, tanto che non si sente nemmeno più la necessità di aggiungere il sostantivo officina nelle iscrizioni.
45Del resto, il fenomeno della persistenza onomastica delle officinae è del tutto analogo nel contesto delle produzioni laterizie, soprattutto per quanto riguarda quelle urbane che conosciamo meglio e che è possibile datare con una precisione maggiore. H. Bloch32 osservava come l’officina Marciana fosse attestata per almeno tre secoli, un intervallo di tempo straordinariamente analogo a quello osservabile per le officinae Cassiana e Porciana sulle tegulae sulphuris.
46Il dato archeologico dice che il sito dell’officina Cassiana va ora collocato nell’area della moderna miniera Lucia (alla periferia del centro moderno di Favara, Ag), in cui ho delimitato un’area di dispersione di materiale ceramico costituito nella totalità da tegule sulphuris usate e usurate per il prolungato contatto con il fuoco. Qui ho potuto trovare, assieme a tre tipi inediti di tegole, anche degli esemplari della serie Annius Eros, di cui ho parlato sopra.
47Ho anche rintracciato l’officina Porciana. Le mie ricerche d’archivio, infatti, hanno consentito di individuare il sito esatto dell’officina nel comprensorio racalmutese di Piano della corsa da cui proviene un esemplare, conservato nel Museo di Agrigento, che conserva tracce residue di utilizzo (gesso e zolfo concrezionati sui margini).
48Ancora le ricerche di archivio, incrociate con testimonianze orali, mi hanno permesso di individuare l’officina di Gellius Pelorus nel territorio di Grotte, da cui proveniva uno dei due esemplari di tegola che riportavano questa indicazione. Le ricognizioni topografiche che ho effettuato, mi hanno permesso di scoprire, nel sito di contrada Firrìo piccolo, un terzo frammento dello stesso tipo di tegola. Anche una tegola della serie Anniorum, conservata frammentaria in un solo esemplare, riporta una seconda linea con GE- che potrebbe forse essere integrato in Gelliana e far riferimento alla stessa realtà produttiva della, più tarda, tegola di Grotte.
49Nel territorio compreso fra gli odierni comuni di Racalmuto e Milena vanno, infine, collocati i praedia M. Aureli Commodiani testimoniati da sei esemplari di tegulae sulphuris: uno, fu rinvenuto in prossimità di contrada Aquilia, presso Milena (Cl); gli altri cinque, invece, furono acquisiti da A. Salinas ed erano stati rinvenuti nel territorio racalmutese.
50Un erudito locale, tale Tinebra Martorana, le descrive accuratamente nella sua opera e, quindi, ho potuto individuare la provenienza di quelle iscrizioni dall’area di necropoli di Contrada Grotticelli, a est del moderno centro abitato di Racalmuto33.
51Inoltre, anche l’officina Ra- va cercata sempre nel territorio racalmutese, nel circondario sud-ovest in prossimità del sito di c.da Garamoli. A Racalmuto, ancora, in c.da Casalvecchio, bisogna individuare una ulteriore officina fusoria: le tegole rinvenute in questo sito, infatti, non consentono di dare un nome all’impianto di raffinazione che comunque è di certo diverso dagli altri finora citati (fig. 7).
52I gentilizi di riferimento sembrano scarsamente attestati in Sicilia (mi riferisco alla gens Porcia, Cassia, Sestia, Atinia), ma di certo nelle tegole più antiche si doveva instaurare un rapporto diretto (ed immediato per il fruitore dell’iscrizione) fra l’opificio e la famiglia che lo controllava; le tegole delle serie successive hanno un apparato epigrafico più complesso con un chiaro riferimento al controllo dell’estrazione da parte dell’imperatore o degli imperatori. Solo in età tardoantica compare la figura del conductor, associata agli imperatori (anonimi) e al distretto produttivo con, spesso, signa che arricchiscono ulteriormente il bagaglio di informazioni trasmesso sui lingotti.
53Inoltre, il fatto che in alcuni casi non sia specificata l’officina sta ad indicare non che sia da inferire un mutato rapporto di produzione quanto, ancora una volta, che il titolare della concessione mineraria fosse anche – e magari solo per alcuni momenti o per alcuni lotti di prodotto – il responsabile delle attività di fusione.
54Molte ville e, più tardi, numerosi villaggi, sono collegati alla filiera produttiva dello zolfo. In questi siti ho trovato un buon numero di tegulae sulphuris, chiaramente stoccate prima del loro uso. È possibile, a questo punto, ricostruire il rapporto fra le officinae e le infrastrutture (ville, necropoli, vie di comunicazione principali e secondarie) in grado di «mettere in rete» ciascun componente della catena e collegarlo con il porto da cui il minerale partiva.
Da Agrigento ad Agrigento: il porto
55La necessità di approvvigionarsi di zolfo rese Agrigento un polo focale nella rete commerciale romana. Ne è testimonianza l’elevato tenore di vita, desumibile dal lusso delle domus urbane finora scavate e da quello delle ville rustiche conosciute nel territorio34. Ad una ricca produzione di vino e altre derrate agricole, di cui le anforette siciliane sono un valido fossile-guida35, si affiancava l’esportazione, effettuata quasi in regime di monopolio, del minerale.
56In quanto sede di uno dei due quaestores, ad Agrigento arrivava la licenza, data dall’imperatore, di estrarre lo zolfo e, di qui, l’input per la produzione delle tegulae sulphuris relative al singolo imprenditore o alla singola miniera36. Sempre ad Agrigento, centro fiscale e di controllo, venivano confezionte e cottele tegulae che, a questo punto, raggiungevano i diversi distretti produttivi. Infine, ad Agrigento, o meglio nel suo porto, dopo aver superato le varie fasi della filiera estrattiva e della raffinazione, giungevano i lingotti di zolfo che, una volta tassati e versato il portorium, venivano imbarcati per raggiungere i principali porti del Mediterraneo. A inizio ‘900 sono state portate alla luce, a S. Leone, sito in cui deve essere individuato l’antico emporium di Agrigento, delle strutture databili tra l’età imperiale e l’età bizantina e interpretate come magazzini37. Non è da scartare, a mio parere, l’ipotesi che questi depositi fossero funzionali allo stoccaggio dei lingotti, alla pesatura per il pagamento della tassa di estrazione, e, infine, al carico sulle onerarie dei lingotti.
57Inoltre, è possibile che anche i proprietari o gestori di miniere risiedessero ad Agrigento stessa che, quindi, acquisì un doppio ruolo nella catena produttiva al suo inizio e alla sua fine.
58Secondo le fonti a noi note, Agrigento non rientra nell’intervento di risistemazione politica promosso da Augusto, tuttavia nel suo territorio si stanziarono, probabilmente, dei reduci della guerra civile38. Data la presenza di miniere di zolfo nel Lazio, è una possibilità concreta che questi spostamenti abbiano contribuito al lancio dello sfruttamento dei filoni siciliani e che dunque ci sia un doppio legame tra la politica di Augusto e l’esplosione della produzione solfifera siciliana.
59Un’epigrafe recentemente scoperta a Marsala (antica Lilybaeum) riporta la titolatura di Agrigento come Colonia Severiana Agrigentinorum. Non mi sembra casuale che proprio Settimio Severo, per il suo curriculum vitae, avesse forti interessi commerciali nell’isola e che, sempre le tegulae sulphuris, ci conservino un praedium Commodianum da cui si estraeva zolfo e che si trovava a poca distanza dal centro agrigentino39. L’elevazione al rango di colonia, dunque, può aver risentito del ruolo chiave dell’area come fornitrice di zolfo.
Lo zolfo nel Mediterraneo: una prospettiva commerciale
60Se si escludono i dati derivanti dall’analisi delle tegulae sulphuris, non ci sono moltri altri indicatori della circolazione dello zolfo.
61Verso la fine degli anni ’60 in prossimità della località Marciana, sull’isola d’Elba, è stato individuato un relitto di una nave datata alla seconda metà del II secolo d.C. che doveva svolgere una funzione di piccolo cabotaggio fra l’isola e le coste toscane40.
62Facevano parte del carico, oltre a minerali di provenienza orientale (huntite), ad anfore di varia origine (Pèlichet 47, Dressel 14, Beltràn IIB, Africana I) e ad un interessante reperto in avorio, anche alcuni grossi lingotti di zolfo, uno dei quali bollato che, ad oggi, costituiscono l’unico testimone della modalità con cui il minerale veniva commercializzato e del ruolo svolto dalle matrici per la marchiatura dei lingotti. Un primo dato ricavabile riguarda il peso. Le masse di minerale pesano circa venti chili. Un secondo dato è la loro forma, tronco piramidale, che consente di ricostruire le dimensioni della cassaforma, probabilmente lignea (fig. 8).
63Dunque il suo carico, molto eterogeneo e con merci provenienti anche dall’Oriente, era stato raccolto in uno dei principali porti e per poi essere redistribuito. Di particolare importanza il fatto che la nave avesse la prua rivolta verso il mare, indizio, forse, che stava per riprendere il largo dopo aver scaricato parte della merce. I pani di zolfo rinvenuti fra il carico rappresentano, oggi, l’unico documento sulle modalità di commercializzazione e diffusione. Allo stesso tempo attestano l’assenza di packaging specifico per il minerale (dato in linea, del resto, con le modalità di distribuzione moderne).
64Un altro documento che è forse possibile aggiungere fra i testimoni del commercio dello zolfo è un mosaico africano da Sousse41 di cui vorrei discutere in questa sede. Il mosaico raffigura una nave che carica e, ugualmente, scarica della merce che viene pesata prima di lasciare il porto. Sulla natura di questa merce ci sono state varie proposte: piombo, pietre, legname42. Credo sia possibile avanzare un’ulteriore ipotesi forse non troppo azzardata: potrebbe trattarsi di zolfo (fig. 9). Certo, contro questa mia proposta è la forma che sembra avere la merce trasportata e che parrebbe rinviare a lingotti di minerale. A Sousse, dunque, il defunto avrebbe voluto ricordare il suo rapporto con la produzione di rame o ferro o altro minerale che veniva commercializzato in barre. Tuttavia, l’assenza di filoni di minerale in Tunisia è un dato a sfavore di questa ipotesi. Inoltre mi pare plausibile una non perfetta resa del lingotto di zolfo con la tecnica del mosaico e questo senza tenere conto di come l’unico documento sulla forma che potevano avere i lingotti di zolfo sono, appunto, quelli elbani.
65Forse è difficile pensare all’identificazione della merce come legno pregiato. Del resto mi chiedo il motivo per cui si dovesse prevedere la pesatura per il legname. Ancora, il colore del materiale trasportato è, con ogni evidenza, giallastro, dato che potrebbe spingere ad avallare la mia proposta anche tenendo conto che proprio l’Africa doveva essere uno degli sbocchi naturali dei traffici di minerale e a Mazara, vicus commerciale di Lylibaeum, è stata trovata un’epigrafe di un Lucius Cassius Manilianus, che aveva degli interessi in Africa e la cui famiglia è testimoniata, in tutta la Sicilia, solo nel derivato Cassiana attestato sulle tegulae sulphuris43.
Conclusioni e prospettive di ricerca
66La conoscenza del territorio e la mappatura delle evidenze della produzione di zolfo hanno consentito di avere un valido punto di partenza per proseguire le indagini e poter, così, affinare l’analisi del sistema insediativo collegato allo sfruttamento delle miniere. Una delle molteplici linee di ricerca, ancora ricche di prospettive, è senza dubbio quella derivante dalle indagini archeologiche nelle aree già note e, più precisamente, nelle aree di estrazione. Questo per comprendere cronologia e sviluppo delle miniere, il loro rapporto con il tessuto insediativo e il loro sviluppo nel tempo. In tal senso aiuta non solo la scoperta e il censimento dei tunnel riconducibili ad età romana, ma anche la notizia del rinvenimento, in cantieri sotterranei di estrazione di età moderna, di materiale ceramico romano44.
67Un secondo filone di indagine riguarda lo strettissimo rapporto tra lo sviluppo urbanistico di Agrigentum (e del suo porto) e la produzione zolfifera. Mi riferisco alla lettura diacronica dell’impianto del municipio romano e ad una definizione cronologica delle sue domus più ricche. Ancora, uno sguardo, anche solo da un punto di vista prosopografico, all’Africa da un lato, a Melos dall’altro, consentirebbe di comprendere meglio relazioni che intercorrevano tra le due sponde del Canale di Sicilia e nel più ampio orizzonte del Mediterraneo. Certo il rapporto tra Melos e la Sicilia è rafforzato anche dal fatto che in entrambe si estraesse anche l’allume. La presenza di negotiatores e di imprenditori minerari modificò ampiamente il paesaggio di Melos. Occorre ricordare, ancora, come sia l’allume che lo zolfo fossero presenti in molteplici preparati medicinali (anche se, in questo caso, non si trattava di zolfo mineralizzato, ma di quello nativo, vivum per i latini o apyron per i greci. Di particolare rilievo è il dato della lunga durata, anche a Melos, delle attività delle zolfare. Un recente lavoro45 ha ben messo in evidenza come si sovrappongano, nei siti produttivi melii, gli impianti moderni a quelli romani e, per la prima volta, ha messo assieme i due tipi di tegulae sulphuris rinvenuti sull’isola greca. Del primo tipo, frammentario, si conserva solo la porzione inferiore con una foglia di edera del tutto simile a quella presente nelle serie agrigentine degli Annii; nel secondo tipo, invece, si conserva l’iscrizione (anch’essa retrograda e speculare) ATH[ENAIWN] che sembrerebbe rimandare alla titolarità della città di Atene dei diritti estrattivi dello zolfo di Melos. Purtroppo ancora scarsi sono i dati circa la presenza dello zolfo nei carichi dei relitti mediterranei46.
68Una lunga attività di diffusione dello zolfo mise in costante rapporto le coste e l’entroterra agrigentino con i poli commerciali mediterranei, e questo per un arco di tempo ben più lungo di quanto, invece, durò l’attività zolfifera moderna. Non è un caso ad esempio, allora, se Settimio Severo in persona si sia interessato del centro di Agrigento, se si osserva un costante e stretto rapporto con la Gallia Narbonensis, a partire almeno dal II secolo d.C., se ad Agrigento arrivano, senza soluzione di continuità merci e derrate africane e orientali, e se, da ultimo, si osserva uno stretto controllo da parte del fisco bizantino delle zolfare agrigentine.
Notes de bas de page
1 Sull’utilizzo nei riti di purificazione dello zolfo Omero, Il. XVI, 225-230 e Od. XXII, 478-484. Uno dei più antichi testimoni dell’utilizzo in battaglia è, invece, Thuc. II, 77.
2 E mi riferisco, qui, alle evidenze archeologiche desumibili dall’indagine topografica nei siti interessati dall’estrazione mineraria ed alla raffinazione del minerale grezzo.
3 Sonnino, Franchetti, 1974, p. 274. La richiesta di modiche quantità di zolfo per queste attività, assieme alla presenza di filoni solfiferi in Grecia, difficilmente poté innescare, prima dell’età ellenistica, la produzione siciliana.
4 Dato lo spazio limitato, tenderò a ridurre al massimo i riferimenti bibliografici e a mantenere il tono discorsivo della presentazione madrilena. Voglio ringraziare D. Boisseuil, C. Rico e M.B. Carre per la fiducia e la grande ospitalità. Per una sintesi efficace sull’industria estrattiva dalla seconda metà del ‘700 fino al XX secolo rimando all’ottimo Pistolesi 2011.
5 Squarzina 1963.
6 Si rammentano le considerazioni di P. Orsi sulla devastazione provocata dalla fillossera e sulle novità del metodo dell’innesto franco. Il parassita, un piccolo afide di origine nordamericana, si diffuse in Europa dopo la metà del 1800 causando una rapida sparizione degli impianti viticoli tradizionali e autoctoni.
7 Rostovzev 1976, p. 75.
8 Catone, De Agri Cultura, 39; Columella, VI, 31.2; VI, 32.2; VI, 38.3; VIII, 5.11; VIII, 15.10.
9 Virgilio, Georgiche, III, 441-451.
10 Catone, De Agri Cultura, 95.
11 Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XVII, 264.
12 La prima era prodotta in Lucania e nel Bruzio (Plinio, Naturalis Historia, XVI, 11; Cic., Brutus 21.85.). Il bitume, invece, è un idrocarburo che si trova in numerosi siti mediterranei. Solino, V, 24 e Plinio XXXV, 179 ne documentano la presenza nell’agrigentino.
13 Speciale – Zambito 2014.
14 Dalla metà dell’Ottocento, data in cui fanno la loro comparsa in letteratura, ad oggi si è accumulata una discreta bibliografia sulle tegulae sulphuris. Bibliografia, però, che non ha finora tenuto conto di un quadro sinottico soprattutto con il dato archeologico e con quello delle fonti storiche: Arias 1956, p. 27-28; Arcifa, Tomasello 2007, p. 199-209; Castellana 1998; Cutaia 2001; De Miro 1982-1983, p. 319-329; Griffo 1948, nr. 3244; Griffo 1963, p. 163-184; Pace 1958; Zambito 2009-2010; Zambito 2014a, p. 225-244.
15 CIL X, 2, p. 998.
16 Pace 1958, p. 420-427. Digestum, 48, 19, 8, 10.
17 Griffo 1963, p. 165-166 su tegole di Bonamorone.
18 De Miro 1957, p. 137-149 e, il più recente, De Miro 2010.
19 Nobilissimum per Plinio (H.N., XXXV, 174) lo zolfo di Melos. Cfr. Mackenzie 1987, p. 75, Pittinger 1975 e il più recente Hall et al. 2003.
20 Quilici – Quilici Gigli 1980 e 1984.
21 Harrison 1987, p. 203-207. In questo contributo, però, non si cita Marziale, X, 3 che anche nella forma richiama I, 41. Confronta anche Smith 1947, p. 46-47. Sull’importanza commerciale dei frammenti di vetro da riciclare si veda ad esempio Auriemma 2000, p. 27.
22 Stazio, Silvae, I.6, 73-4.
23 Marziale, Epigrammi, I, 41 e X, 3, Giovenale, Satire, 5, 46-48.
24 Sulle produzioni laterizie e su alcuni problemi posti dai bolli su tegola: Helen 1975; Manacorda 1993.
25 Steinby 1993, p. 139-143.
26 L’area pubblica del municipio romano ricalca l’agorà della città ellenistica. A sud ovest del tempio su alto podio è stato scavato un ekklesiasterion, mentre subito accanto al tempio con portico si trova un odeion. Purtroppo non esistono pubblicazioni esaustive di questi ultimi due monumenti con l’edizione delle stratigrafie e dei materiali. Su nuove indagini nel centro urbano in rapporto con il suo territorio: Rizzo 2014.
27 De Miro 1982-1983, p. 321 e tav. XXXVIII.
28 Palermo, Museo A. Salinas, N. inv. 55121.
29 IG, XIV, 256.
30 De Miro 1982-1983, p. 324; Wilson 1990, p. 237.
31 Zambito 2014c, p. 137-156 con bibliografia precedente.
32 Bloch 1947, p. 326.
33 Salinas 1901, p. 659-660, cfr. Tinebra Martorana 1982, p. 22.
34 De Miro 2010.
35 Sulle anforette siciliane: Rizzo – Zambito 2014.
36 Sulla vasta bibliografia relativa alla concessione delle licenze si veda Mateo 2003, p. 123-133 e il più recente e ampio Hirt 2010.
37 Sul porto di Agrigento a S. Leone: Caminneci 2014 con bibliografia precedente.
38 Sull’impatto del bellum civile in Sicilia si veda Caliri 2007, in particolare n. 1; Rizzo 1996, p. 75-81; Vera 1996, p. 31-58.
39 Sulla guerra civile e sulle dinamiche che portarono Settimio Severo al potere si veda Letta 2014, p. 129-131 e, più in generale Letta 1991, p. 639-700.
40 Sul relitto di Procchio e sulla sua storia travagliata: sinteticamente Parker 1992, p. 342-343. E poi Zecchini 1982; Poggesi – Rendini 1998; Cibecchini 2010, p. 18-19 e n. 53-54.
41 Nieto 1997, p. 146-159.
42 Su questo mosaico e sulla, difficile, interpretazione della merce rappresentata ho avuto un fitto e proficuo scambio di opinioni con C. Rico e M.B. Carre i cui suggerimenti e osservazioni hanno costituito, per me, un momento di grande crescita e di arricchimento. Per l’interpretazione del carico di Sousse come legna da ardere invece che come lingotti di piombo: Wilson 2013, p. 49 e Wilson et al. 2013, p. 384 e nota 27 (con bibliografia precedente e indicazione del colore giallo-brunastro del materiale trasportato).
43 Bivona 1987 e Christol 2006. Sui rapporti tra Sicilia e Africa, desumibili dalla cultura materiale, si veda il recente volume sulla Sicilia romana: Malfitana – Bonifay 2016.
44 Oltre a numerose fonti orali, raccolte da chi scrive, si ricordi un brano dei diari di un possidente favarese, il barone Mendola, che ricorda una lucerna tardo antica donatagli da un minatore e rinvenuta nella zolfara di Ciavolotta (Favara, Ag).
45 Photos-Jones – Hall 2015.
46 Sostanzialmente siamo fermi al catalogo di Parker 1992.
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