Edifici di culto cristiano in area ostiense
Alcune riflessioni alla luce dei più recenti dati archeologici
p. 289-318
Résumés
In questo contributo si propongono alcune riflessioni sugli edifici di culto cristiano tardo-antichi/altomedioevali individuati in area ostiense (città e suburbio), per alcuni dei quali sussistono ancora dubbi e incertezze sul loro effettivo utilizzo, sulla struttura architettonica e sulla cronologia. Per l’ambito urbano sono stati riconsiderati alcuni contesti archeologici, anche di sepolture, rinvenuti in vecchi scavi ed alcuni edifici riconosciuti come rivolti al culto cristiano, con un riesame delle strutture murarie ancora conservate e con nuovi spunti interpretativi circa la loro effettiva planimetria, approfondendo in un caso anche l’aspetto storico-archivistico di riferimento. Inoltre è stato verificato il rapporto con gli edifici precedenti sui quali furono costruite queste strutture cristiane ed il loro collegamento con la viabilità urbana. Riguardo agli edifici cristiani del suburbio (la basilica di Pianabella, la basilica di S.Ercolano e la basilica di S.Aurea) si sono individuati alcuni aspetti comuni nelle loro costruzioni, essendo tutti localizzati in aree funerarie, col medesimo orientamento e collegati ad importanti viabilità del territorio.
This paper proposes some considerations on the late ancient/early medieval Christian buildings (churches, chapels, etc.) identified in Ostia and its suburban area, for some of which there are still doubts and uncertainties about their actual use, their architectural structure and their chronology. About the urban area, some archaeological contexts, including burials, found in old archaeological excavations and some buildings, recognized as used for Christian worship, have been revised with an examination of the still preserved walls and of their hypothetical plans, analyzing in one case also its historical-archival aspects. Furthermore, the relationship with the previous buildings on which these Christian structures were built and their connection with the urban road network were verified. Regarding the Christian buildings in the suburb (the basilica of Pianabella, the basilica of St. Ercolano and the basilica of St. Aurea), some common features have been identified: all of them are located in the burial areas, with the same orientation, and connected to important roads of the suburb of Ostia.
Entrées d’index
Keywords : Ostia, suburbia, churches, burials, masonry
Parole chiave : Ostia, suburbio, chiese, sepolture, muratura
Texte intégral
Il contesto urbano
1Studi archeologici di alcuni decenni fa hanno indicato il periodo di «massima depressione» della città di Ostia tra la seconda metà del V e la prima metà del VI secolo1. Presumibilmente a questo periodo, caratterizzato da un susseguirsi di vicende belliche legate ad arrivi di popolazioni barbariche a Roma e nel suo territorio costiero2, sono da riferire una serie di sepolture sparse, rinvenute sia nell’immediato suburbio3, che all’interno della città di Ostia. Molte di queste tombe erano prive di elementi chiaramente databili, benché possano senz’altro considerarsi postantiche, in quanto vennero a posizionarsi per lo più all’interno di edifici pubblici con tutta evidenza non più utilizzati, in particolare terme e horrea, mentre in città non sembrerebbero esserci attestazioni in aree abitative sicuramente private4. Forse questi ritrovamenti sepolcrali in tali specifici contesti urbani non sono dipesi dal caso: si potrebbe infatti ipotizzare che le sepolture si vennero effettivamente a concentrare in quegli edifici, come per esempio terme, magazzini ed anche aree sacre pagane, che nel V-VI secolo erano stati senz’altro abbandonati per una trasformazione radicale della vita cittadina ostiense, dovuta alle invasioni, all’interruzione dell’acquedotto, alla cessazione o comunque alla notevole limitazione dei commerci marittimi, al mutamento dei costumi e delle abitudini ludiche della popolazione, al cambiamento dei culti religiosi. Tale trasformazione dei contesti sociali, economici e religiosi potrebbe perciò aver indirizzato la localizzazione dei luoghi di seppellimento, in modo senz’altro non preordinato ed organizzato, all’interno di edifici sicuramente abbandonati.
2In relazione ad edifici di culto cristiano, l’esistenza di una tomba fu segnalata da Lidia Paroli all’interno delle Terme del Mitra (fig. 1), purtroppo senza altre informazioni; secondo quanto indicato, parrebbe da localizzarsi nell’area occupata in epoca tarda dall’aula cristiana (vedi oltre)5. Non vi sono elementi per ipotizzare la datazione di questa sepoltura, potendosi considerare solo molto genericamente come terminus post quem il periodo nel quale avvenne con tutta probabilità la cessazione d’uso dell’impianto termale e l’inizio dell’utilizzo cristiano di parte dell’edificio (IV-V secolo).
Fig. 1 – Ostia Antica, planimetria con indicazione degli edifici cristiani presi in considerazione in questo contributo.

1: Oratorio di S. Ciriaco; 2: Basilica cristiana costantiniana; 3: Basilica cristiana nelle Terme del Mitra; 4: basilica di Pianabella; 5: chiesa di S. Aurea; 6: chiesa di S. Ercolano. I triangoli rossi indicano in modo orientativo i rinvenimenti di nuclei di sepolture all’interno della città e nel suburbio nominati nel testo (rielaborazione grafica di A. Carbonara - S. Pannuzi su planimetria pubblicata in Heinzelmann 1998, fig.1).
3Un’area di sepolture era presente anche all’angolo tra il Decumano e la via delle Corporazioni, presso il cd. oratorio cristiano di S. Ciriaco, costruito su un alto strato di rialzamento del piano di calpestio al di sopra del ninfeo posto sul lato orientale della cavea del Teatro: di questo edificio ci occuperemo più avanti (fig. 1, 2, 3)6. Anche in questo caso è attualmente difficile verificare con precisione l’ambito cronologico delle tombe rinvenute ai primi del Novecento, tra l’altro già sconvolte,7 benché la situazione generale del ritrovamento descritta da Dante Vaglieri, con il riutilizzo di «sarcofagi (pagani) interi e frammenti di altri», la presenza di un sarcofago strigilato attribuito alla seconda metà del III secolo, con la rappresentazione di Orfeo nel riquadro centrale, insieme alla famosa iscrizione cristiana relativa ad un Quiriacus8, e quanto ancor oggi parzialmente visibile, farebbero pensare ad un uso sepolcrale dell’area già in epoca tarda, secondo alcune ipotesi continuato nell’Alto Medioevo in collegamento con l’oratorio cristiano9.
Fig. 2 – Ostia Antica, visione da ovest delle strutture rinvenute nella zona a sud-est del Teatro lungo il Decumano fino a Porta Romana.

PaOant, AF, inv. B 1981, a. 1911 – autorizzazione prot.4963 del 17-12-2020
Fig. 3 – Ostia Antica, visione da nord delle strutture rinvenute nell’area a sud-est del Teatro all’angolo tra il Decumano e via delle Corporazioni.

PaOant, AF, inv. B 2110, a. 1913 - autorizzazione prot. 4963 del 17-12-2020
4Attualmente in quest’area, subito a nord dell’abside parzialmente conservata dell’oratorio, è ancora visibile una tomba alla cappuccina10, coperta da un bauletto in calcestruzzo (tipo cupa) (fig. 4)11, recentemente restaurato, il cui livello d’imposta sembrerebbe ben al di sotto dello spiccato dell’alzato del muro absidato dell’oratorio ed invece compatibile con quello del vicino basolato stradale di via delle Corporazioni. Inoltre un’altra tomba infantile, realizzata in cassetta di laterizi,12 è indicata da Lidia Paroli come ancora ben visibile sul Decumano ed inglobata in una muratura tarda, attribuita dalla studiosa alla facciata dell’oratorio di S. Ciriaco,13 costruita subito sopra il basolato della strada romana (fig. 5, B). Oggi un lato di questa cassetta in laterizio si intravede ancora, inglobato nel lacerto murario segnalato dalla Paroli, costituito da varie fasi costruttive. Tutte queste strutture risultano oggi pesantemente restaurate, tanto da non facilitare una lettura della loro struttura originaria ed una interpretazione della loro reale funzione e cronologia (a questo proposito, vedi oltre nel testo).
Fig. 4 – Ostia Antica, visione da nord della tomba “a cupa” ancora visibile a nord del ninfeo a sud-est del Teatro.

Foto S. Pannuzi
Fig. 5 – Ostia Antica: A: abside dell’Oratorio di S. Ciriaco vista da est; B: presunto resto della facciata dell’Oratorio di S. Ciriaco vista da nord-ovest, dove è visibile parte della tomba a cassetta fittile.

Foto S. Pannuzi
5Da tutti questi ritrovamenti si può dedurre che la necropoli ritrovata in quest’area dal Vaglieri fosse sicuramente precedente alla costruzione dell’oratorio e forse connessa con quello che lo studioso definisce, in verità in modo non molto chiaro, un edificio di epoca tarda, probabilmente scoperto, inserito all’angolo tra la curva della cavea del Teatro, il Decumano e via delle Corporazioni. Questa costruzione sarebbe stata definita a nord e a sud da due colonnati tra loro paralleli e pavimentata con piccoli frammenti marmorei (fig. 6, E)14. Al di sotto di questo piano pavimentale, che veniva ad obliterare il ninfeo orientale del Teatro ed un piccolo ambiente quadrangolare riconosciuto allora come una latrina15, fu rinvenuto uno strato di riempimento di circa m. 1,10 di spessore, nel quale erano presenti frammenti di statue, una delle quali definita di epoca tarda dal Vaglieri16. Lo studioso ipotizza che questo «edificio» realizzato in epoca tarda (V-VI secolo?), potesse essere una prima «memoria…dedicata ai martiri ostiensi»17, compagni del vescovo Ciriaco, secondo il racconto agiografico martirizzati durante l’impero di Claudio il Gotico ad arcum ante theatrum18, poi riconosciuto nell’arco di Caracalla, costruito sul Decumano all’altezza del Teatro poco più ad ovest dell’area in oggetto19.
Fig. 6 – Ostia Antica: planimetria delle strutture rinvenute negli scavi degli anni 1908-1913 nell’area a sud-est del Teatro.

Da Vaglieri 1914, tav. IV
6In realtà, ad Ostia, l’unico edificio che possa con assoluta certezza indicarsi come luogo in cui si svolgeva il rito cristiano nel periodo dopo la pace della Chiesa, è quello della basilica individuata alcuni anni fa, nella sua evidente struttura planimetrica, dall’équipe del DAI grazie a prospezioni geofisiche, analisi delle foto aeree e saggi di scavo20, e riconosciuta come la cattedrale costantiniana dei Santi Pietro, Paolo e Giovanni Battista, citata dalle fonti (fig. 1, n. 2)21. Tale basilica fu costruita all’inizio del IV secolo su un potente strato di livellamento, che andò a obliterare del tutto i resti di una precedente insula di periodo traianeo-adrianeo22, forse già abbandonata. Secondo la ricostruzione dell’équipe tedesca, l’edificio di culto e la parte orientale dell’atrio conservarono l’orientamento antico; invece il lato occidentale dell’atrio, per seguire la disposizione assiale del nuovo edificio cristiano, risultò avere un diverso andamento rispetto alle strutture di epoca imperiale sottostanti, che, posizionandosi ortogonalmente alla strada antica, divergevano come orientamento dal resto dell’insula23. La basilica risultò così non in asse con la viabilità precedente.
7Comunque, dalla sovrapposizione tra la planimetria riferibile alla fase imperiale e quella della fase paleocristiana, si nota come per la costruzione della basilica non sia stato riutilizzato come fondazione quasi nessuno dei muri più antichi, evidentemente per la maggior parte non più visibili al di sotto dell’alto strato di rialzamento del piano di calpestio24. La chiesa con l’atrio era localizzata all’interno dell’isolato lungo via del Sabazeo e non direttamente sulla strada, come forse si sarebbe potuto ritenere più ovvio.
8Secondo le ultime ricerche dell’équipe del DAI, la cattedrale costantiniana era di dimensioni notevoli, a tre navate con una sola abside e un grande quadriportico antistante, secondo la canonica pianta delle prime basiliche cristiane, e non a cinque navate come gli importanti ed imponenti edifici religiosi costantiniani costruiti a Roma25. Affiancato al lato meridionale dell’atrio era un piccolo edificio, identificato come un battistero, aggiunto al complesso forse nel V secolo26. Presso il lato interno del muro di facciata della basilica e nell’atrio è segnalato il rinvenimento di sepolture entro sarcofagi pagani riutilizzati27. Le ricerche archeologiche hanno evidenziato che nel corso del VI secolo il complesso edilizio venne gradualmente abbandonato nella sua parte più occidentale, cioè quella del quadriportico, ed in particolare il suo lato nord. I dati di scavo indicano qui tracce di «semplici strutture di case in parte affondate nel terreno con pavimenti in battuto e focolari»28, come anche sul lato sud dell’edificio di culto, a cui si addossò esternamente una di queste povere abitazioni. Invece l’abside della chiesa, parte fondamentale dell’edificio per lo svolgimento delle funzioni liturgiche, fu restaurata ancora all’inizio del VII secolo29. Purtroppo non rimangono notizie dalle fonti scritte riguardo a questi restauri, che dobbiamo comunque presumere di committenza papale, vista la funzione di cattedrale svolta dell’edificio, secondo l’ipotesi accettata da tutti gli studiosi che si sono occupati di questo argomento, per la cronologia del complesso e la rispondenza alle fonti cristiane30. Tale interesse dimostra come Ostia mantenesse ancora in questo periodo una qualche configurazione urbana, anche se all’interno di un panorama desolante rispetto alla ricchezza e alla prosperità dell’età imperiale, come d’altronde è stato verificato anche per l’urbe romana31.
9Da mettere sicuramente in connessione con l’utilizzo della basilica è il rinvenimento di livelli di frequentazione della via del Sabazeo fino al VII secolo, con battuti che superavano anche i livelli dei crolli murari degli edifici circostanti, situazione del tutto confrontabile con l’area urbana di Roma nello stesso periodo32. Queste sono tra le poche tracce di vita riferibili al periodo altomedioevale chiaramente individuate dal punto di vista archeologico-stratigrafico all’interno dell’area della città romana, che ci permettono di accertare come ancora nel VII secolo si vivesse in qualche modo stabilmente entro le mura urbiche, anche se la popolazione doveva essersi notevolmente ridotta rispetto ai secoli precedenti33. Infatti, doveva ancora permanere una comunità cittadina che frequentava la chiesa cattedrale partecipando alle funzioni liturgiche, malgrado l’edificio avesse probabilmente perso lo splendore di un tempo, utilizzando la viabilità di collegamento tra la basilica e le altre parti della città (via del Sabazeo).
10Le ricerche dell’équipe del DAI hanno evidenziato che il totale abbandono della basilica e delle abitazioni circostanti risale alla seconda metà del VII secolo34, mentre la spoliazione definitiva e sistematica dell’edificio dovrebbe essere avvenuta in epoca carolingia. D’altronde proprio all’VIII-prima metà del IX secolo si datano le più tarde ceramiche rinvenute nell’area centrale della città35, mentre si segnalano chiare testimonianze di vita nel territorio suburbano (vedi oltre).
[S.P.]
11Riguardo al periodo coevo all’utilizzo e all’abbandono della prima cattedrale di Ostia non rimangono purtroppo dati certi riguardo alla sistemazione dell’edificio cristiano all’interno delle Terme del Mitra, riferibili all’età adrianea36, poiché gli scavi del Calza, effettuati intorno al 194037, non hanno verificato la possibile esistenza di stratigrafie tardoantiche/altomedioevali, né hanno approfondito le modalità del cambiamento d’uso dell’impianto termale, non lasciando alcuna concreta documentazione archeologica circa il periodo di utilizzo cristiano dell’edificio e poi del suo abbandono (cfr. fig. 1, n. 3)38. È stato ipotizzato che la nuova struttura, probabilmente un oratorio o una chiesa39, benché non appaia “canonica”40, sia stata realizzata sfruttando un grande e articolato ambiente posto sul lato settentrionale delle terme41, adiacente al frigidarium, aprendo un’abside in opera listata nel muro nord della sala (fig. 7); forse questa trasformazione avvenne nel V secolo42, benché il Calza ipotizzasse addirittura la prima metà del IV secolo43. A questo proposito risulta molto interessante che l’équipe del DAI abbia accertato di recente una continuità d’utilizzo fino al VII secolo di via della Foce, strada sulla quale gravitava questo edificio44. Ciò non sembra casuale, anche se questo percorso costituiva innanzi tutto un collegamento fondamentale tra il centro cittadino e la foce del fiume, e pertanto la persistenza del suo uso potrebbe non essere collegata con la presenza dell’edificio cristiano.
Fig. 7 – Ostia Antica, Terme del Mitra: visione dell’ambiente dell’impianto termale riutilizzato come aula di culto cristiana.

PaOAnt, AF, inv. B 3331 - autorizzazione prot. 4963 del 17-12-2020
12Attualmente, oltre a rimanere di non facile comprensione il momento ed i modi con i quali in questo edificio avvenne il passaggio dalla funzione termale a quella religiosa, risulta anche difficile comprendere quale fosse la reale struttura planimetrica della sala nel momento del suo utilizzo “cristiano”45. Si vede chiaramente che l’abside in opera listata fu realizzata tagliando il muro rettilineo settentrionale della grande sala, mentre non è chiaro se nello stesso momento furono anche chiuse le due aperture ai lati della nuova abside, che portavano verso l’esterno del complesso; per quanto è possibile verificare attualmente46, tutto ciò avvenne senza operare un livellamento delle strutture precedenti ed una colmata generale, come invece avvenne per la cattedrale costantiniana. Parrebbe infatti che l’edificio, al momento della sua funzione “cristiana”, abbia sostanzialmente conservato la struttura architettonica di epoca medio-imperiale, venendo soltanto adattato per il nuovo uso in alcune parti interne, senza rilevanti sconvolgimenti edilizi. Tra l’altro, da quanto è possibile verificare attualmente, appare abbastanza evidente che sia stato mantenuto in gran parte lo stesso livello pavimentale delle antiche terme47.
13Riguardo allo sviluppo longitudinale dell’ambiente cristiano, per il quale non sono state avanzate ipotesi precise, si potrebbe ipotizzare che questo comprendesse tutto l’ambiente del uestibulum (o basilica thermarum) ed anche il frigidarium fino al suo muro di chiusura meridionale, che lo separava da quello che è stato definito l’antico tepidarium (fig. 8)48. Se questo fu lo spazio effettivamente occupato dall’ambiente cristiano, risulta però senz’altro poco chiaro come avvenisse il collegamento tra l’aula di culto e la viabilità esterna, in quanto attraverso l’antico tepidarium non poteva esservi un accesso diretto da via della Foce, né da altre strade ad essa perpendicolari, vista l’esistenza di altri ambienti intermedi, per i quali non rimane alcun dato circa il loro utilizzo in epoca tarda.
Fig. 8 – Ostia Antica: planimetria della Terme del Mitra con indicazione dei possibili ingressi all’aula di culto cristiana dalla viabilità cittadina.

Rielaborazione grafica S. Pannuzi da planimetria in Nielsen – Schiøler 1980, fig. 2
14Da quello che risulta invece attualmente, sulla base anche della ricostruzione spaziale e funzionale dell’impianto termale realizzata a suo tempo da Nielsen e Schiøler, è evidente che la parte più meridionale dell’ambiente “cristiano” fosse collegata attraverso uno stretto e non diretto passaggio ad una stanza definita apodyterium49, vano a sua volta rivolto con un’apertura verso la strada secondaria (via delle Terme del Mitra), perpendicolare a via della Foce, dove si è ipotizzata in origine la presenza di una serie di tabernae e di un portico (cfr. fig. 8)50. Inoltre, la parte più settentrionale del grande ambiente, quella absidata, presenta ancor oggi un’apertura verso un piccolo ambiente quadrangolare ad est, anch’esso con un accesso sulla strada. Inoltre, un accesso forse secondario all’ambiente cristiano avrebbe anche potuto avvenire attraverso l’apertura, di ampiezza molto limitata, presente lungo il muro occidentale della sala, prospiciente alla strada parallela a via delle Terme del Mitra sul lato ovest dell’antico edificio termale51. Tutte queste aperture, poste sui lati lunghi del grande ambiente, risultano in posizione non canonica per un edificio di culto cristiano52, ed essendo particolarmente strette, non sembrano adatte all’ingresso ad un’aula di culto, che si immagina dovesse contenere un certo qual numero di fedeli. Comunque, per la complessità planimetrica e strutturale dell’impianto termale, per le diverse fasi murarie presenti, ancora da ben evidenziare strutturalmente e cronologicamente53, e per la particolare presenza anche di un mitreo che occupò un ambiente sotterraneo, probabilmente in un periodo molto precoce54 (per poi essere abbandonato, così si ipotizza, nel momento di occupazione cristiana delle strutture sopraterra),55 sarebbe necessario un nuovo completo ed approfondito studio archeologico-architettonico dell’intero edificio, con un accurato rilievo anche degli alzati, in modo da poter identificare con maggiore precisione e correttezza le trasformazioni avvenute in tutto il complesso edilizio.
15In ogni caso, una caratteristica molto singolare di quest’aula di culto è la presenza di una seconda abside, parallela alla prima sopra descritta, costruita in mattoni di riutilizzo direttamente su un pavimento in grandi tessere di mosaico messe di taglio: il suo limitato spessore e l’assenza di fondazioni sembrerebbero consentire solo una molto limitata elevazione56. A questa appaiono connesse due colonne, poste sui lati est ed ovest e poggianti con la base sullo stesso pavimento57. Davanti a quest’abside, a circa 3 metri di distanza, è presente un lacerto murario conservato ad una quota molto bassa, interpretabile probabilmente come la base di una colonna o di un pilastro, posto sulla stessa linea di due tronconi di muro, legati ai muri longitudinali della sala, plausibilmente da interpretare come i resti di due ampie arcate che in origine dovevano separare la grande sala in due settori comunicanti, similmente a quanto presente sul lato meridionale dell’aula. Attualmente, ai due setti murari sopra indicati, sono appoggiati i calchi di due dei quattro pilastrini, ritrovati duranti gli scavi novecenteschi. Purtroppo non si conosce il punto di effettivo ritrovamento di questi pilastrini: il Calza riporta che furono «trovati lì presso» le due absidi, senza però fornire altri particolari che avrebbero potuto invece essere molto utili per la ricostruzione di questa parte dell’ambiente58. Due di questi conservavano all’interno di un clipeo uno staurogramma affiancato dall’alfa e dall’omega e tutti e quattro presentavano i tipici incassi laterali per l’inserimento di plutei o transenne a costituire una recinzione59. Tale ritrovamento, per la presenza di chiari simboli cristiani, fa ovviamente pensare alla sistemazione di uno spazio separato dal resto dell’aula, quello che in un tipico edificio di culto cristiano verrebbe indicato come presbiterio. Purtroppo però la mancanza di dati circa l’originaria collocazione di questi pilastrini non consente di ricostruire con maggiore certezza l’articolazione e l’utilizzo di questo spazio cristiano.
16Inoltre, è molto difficile ipotizzare con plausibilità quale funzione avesse la seconda piccola abside costruita sul pavimento della sala. La struttura con cui forse potrebbe essere possibile istituire un qualche confronto è il cd. bema siriaco, che presentava però per lo più un orientamento dell’abside opposto rispetto a quello del muro absidato dell’edificio di culto nel quale era sistemato60. Le precise funzioni liturgiche e la struttura di questo particolare organismo caratteristico delle chiese di area siriana, che poteva presentare forme in parte diverse, sono ancora oggi oggetto di studio e approfondimento61. Non sembra impossibile che in una città come Ostia, popolata da genti straniere e da numerosi gruppi di popolazione di varia provenienza orientale, una comunità cristiana, forse originaria dalla sponda medio-orientale del Mediterraneo, abbia potuto realizzare, in un periodo ancora precoce di affermazione del Cristianesimo (fine IV-V secolo), una struttura liturgica caratteristica del suo luogo di provenienza, magari rielaborata in una particolare variante, all’interno di un diverso contesto sociale e religioso. Tra l’altro, a questo proposito, si ricorda il ritrovamento proprio in via della Foce, presso le Terme del Mitra, di due mense d’altare62, una delle quali senz’altro di tipo orientale e databile al IV-V sec. e l’altra inquadrabile nel VI secolo, che potrebbero essere messe plausibilmente in relazione con l’edificio cristiano, inserito proprio in quest’epoca all’interno del complesso termale.
17Abbiamo già accennato sopra al cosiddetto oratorio di S. Ciriaco, scavato nel 1910 dal Vaglieri presso il Teatro, unanimemente definito di culto cristiano fin dall’epoca del suo rinvenimento. L’identificazione del santo derivava, come abbiamo visto, dall’ iscrizione presente su una lastra marmorea relativa ad un sarcofago, datato alla metà del III secolo d.C. e rinvenuto nei pressi, nell’ambito di un’area di sepolture con tutta probabilità precedente alla costruzione dell’oratorio (vedi sopra)63.
18Come si è detto, l’edificio venne costruito su uno dei due ninfei semicircolari prospicienti al Teatro, quello più orientale all’angolo tra il Decumano e via delle Corporazioni (cfr. fig. 1, n. 1)64. Certamente queste strutture, all’epoca in cui fu costruito l’edificio cristiano dovevano essere con tutta probabilità già obliterate: lo spiccato dell’alzato dell’abside altomedioevale infatti si pone ad una quota molto più alta, presentando tutt’altro orientamento. Il Vaglieri infatti trovò un alto strato di riempimento tra la vasca semicircolare del ninfeo e la struttura absidata più recente, con all’interno anche il frammento di una delle colonne relative alla fase costruttiva precedente (cfr. fig. 5, A)65.
19La costruzione del piccolo edificio cristiano è stata attribuita inizialmente da diversi studiosi ad un arco cronologico abbastanza vario tra il V e l’VIII secolo66, venendosi più di recente a precisare alla metà del IX secolo per un più puntuale confronto tra i miseri resti murari della costruzione ostiense e murature romane e portuensi67. Quest’ultimo periodo dell’Altomedioevo, tra quelli proposti in precedenza per la realizzazione della struttura, risulta senz’altro meglio circostanziato e maggiormente attendibile. L’apparente contraddizione di una nuova costruzione proprio in un periodo di crescente abbandono della città, quando si era venuto a costituire, anche giuridicamente, il nuovo abitato di Gregoriopoli, presso la chiesa suburbana di S. Aurea (vedi dopo), è stata spiegata con la forza del ricordo del martirio dei compagni del vescovo ostiense Ciriaco, avvenuto secondo il racconto agiografico nei pressi del Teatro, un’area dove doveva già esistere una qualche memoria martiriale ed un luogo di sepoltura già nei secoli precedenti all’edificazione dell’oratorio (vedi supra)68.
20La costruzione altomedioevale appare oggi costituita in alzato da una muratura alquanto precaria e instabile, forse anche a causa delle modalità di scavo messe in atto al momento del ritrovamento e dei restauri moderni, notevolmente invasivi e forse non del tutto rispettosi dell’originaria struttura. Da quanto è possibile verificare attualmente, risulta chiaro che la fondazione dell’abside fu costruita contro terra, appoggiandosi alle strutture imperiali sottostanti, appartenenti al precedente ninfeo. Al di sopra delle fondazioni, la muratura si presenta verso l’esterno più irregolare, con l’utilizzo in alto di mattoni ed in basso di tufi di grandezze diverse, mentre verso l’interno, sopra un filare di blocchi di tufo e travertino abbastanza squadrati, il paramento è costituito da mattoni di riutilizzo messi in opera con filari ondulati69, muratura effettivamente tipica a Roma nell’VIII-IX secolo70.
[S.P., A.C.]
21Nella ricostruzione architettonico-planimetrica di questo edificio, proposta a suo tempo da Lidia Paroli71, pur con una qualche cautela veniva accettata l’ipotesi sostenuta al momento della scoperta dal Vaglieri, secondo il quale all’oratorio andava riferito con tutta probabilità anche un altro piccolo tratto di muro «alla distanza di m. 8,70 verso est» (cfr. fig. 5, B e fig. 6, A)72. Secondo tale ricostruzione perciò, l’edificio avrebbe avuto uno sviluppo planimetrico limitato, ma comunque compatibile con la sua funzione religiosa. Non è ben chiaro da dove sarebbe avvenuto l’accesso, se dal lato opposto all’abside, come comunemente avviene negli edifici di culto cristiani, ma dove forse all’epoca si conservavano ancora in alzato le costruzioni precedenti73, oppure dal lato lungo, direttamente dal Decumano. Infatti, l’edificio altomedioevale, oltre ad occupare parte del lato nord della carreggiata del Decumano, secondo questa ricostruzione planimetrica sarebbe venuto anche ad obliterare del tutto la sede stradale ortogonale, cioè via delle Corporazioni, viabilità cittadina molto importante, che fiancheggiava il lato orientale del piazzale delle Corporazioni, collegando il Decumano con il corso del Tevere e gli antichi attracchi portuali. Anche se è verosimile che tale collegamento non fosse più indispensabile in periodo altomedioevale, quando le dinamiche economiche e sociali della città e del territorio dovevano essere del tutto cambiate, una siffatta obliterazione stradale costituirebbe comunque un episodio urbanistico particolarmente rilevante, concepibile solo in un’epoca in cui la struttura politico-sociale ed amministrativa della città non esisteva più.
22Sono state però proposte anche altre ipotesi sulla planimetria dell’edificio74, ipotizzando una lunghezza più ridotta, con la facciata direttamente sull’angolo tra il Decumano e via delle Corporazioni (fig. 9). Tale struttura risulterebbe molto piccola, tanto da permettere la presenza all’interno di non più di una mezza dozzina di persone. Per quanto le costruzioni religiose altomedioevali siano spesso connotate da una struttura contenuta e modesta, tale limitatissima dimensione potrebbe riferirsi solo ad una piccola cappellina a ricordo dei martiri, poco conciliabile, però, con la notizia della celebrazione della messa, svolta all’interno della chiesa in età pienamente medievale (vedi oltre), che farebbe presumere una maggior ampiezza dell’edificio, anche se il rito avrebbe potuto svolgersi anche solo con l’officiante e pochi fedeli. Comunque, per la scarsezza di documentazione sui ritrovamenti dei primi del Novecento ed i massicci restauri dei decenni passati, risulta oggi difficile propendere per un’ipotesi o per l’altra. In ogni caso è fondamentale evidenziare che i lacerti murari rinvenuti dal Vaglieri, ed attribuiti alla facciata dell’oratorio, presentano differenti paramenti afferenti a fasi murarie chiaramente diverse. Nessuno di essi pare potersi riferire ad un ipotetico muro di facciata: infatti ad una prima struttura ad angolo, dal paramento in mattoni, si appoggiò successivamente una struttura in cementizio, con una specie di cortina sul lato ovest in tufi e mattoni, che venne ad inglobare la piccola sepoltura in cassa fittile sopra ricordata (vedi supra nel testo). La presenza di due grandi blocchi di travertino e di tufo, sistemati sulla parte più alta attualmente conservata di queste murature, potrebbe riconoscerle come probabili fondazioni della base di un pilastro (o di una colonna) di un portico antistante l’edificio religioso75, oggetto forse di fasi costruttive diverse76. Tale ipotesi è resa verosimile anche dallo spessore dell’interro dell’area in età altomedioevale, indicato dalla quota di spiccato dell’abside dell’oratorio, costruita sopra l’antico ninfeo e definita da una serie di blocchi di tufo e travertino, dalla quota e dalle modalità costruttive simili alla ipotizzata base di pilastro.
Fig. 9 – Ostia Antica: ipotesi ricostruttiva dell’Oratorio di S. Ciriaco con uno sviluppo planimetrico limitato e l’ingresso da via delle Corporazioni, secondo quanto proposto da M. Bedello Tata, L. Spada e C. Belfiore nel 2000.

Da Bedello Tata – Spada – Belfiore 2000, p. 44
23Ancora nel XII secolo, malgrado l’abbandono ormai certo dell’area urbana dell’antica città, la chiesuola risulta esistente ed utilizzata a volte per officiarvi la messa. Ciò è chiaramente attestato da un manoscritto in scrittura gotica del XIV secolo,77 conservato oggi nella Biblioteca Nazionale di Parigi78, ma proveniente dall’Archivio della Biblioteca dell’Arsenale, in cui si narra della Descripcio translacionis sancte Prime vel Monice, scritta nel 1162 dal canonico di Arrouaise Walterus, in cui è ricordato un «Andreas custos» che andava a dire messa in una chiesa dedicata a S. Ciriaco «extra uillam», cioè fuori dal borgo medievale venutosi a formare come nuovo abitato, in origine col nome di Gregoriopoli, intorno alla chiesa di S. Aurea, nel suburbio orientale della città romana. Il documento trecentesco della Biblioteca dell’Arsenale, finora inedito, fu letto da padre Antonio Casamassa durante un suo soggiorno a Parigi79, come riportato nel 1953 da Giovanni Becatti80, che diede una brevissima notizia del suo ritrovamento, in attesa della pubblicazione integrale da parte di padre Casamassa, che poi però non avvenne.
24Avendo potuto ora leggere il documento in originale, è necessaria qualche precisazione rispetto a quanto pubblicato dal Becatti, che, in base alle informazioni del Casamassa, riferisce che dal documento medievale risultava che il presbitero Andrea andava a dire messa nell’oratorio di S. Ciriaco, distante due stadi dal borgo medievale, percorrendo un sentiero dove in mezzo ai cespugli emergevano ancora i resti dell’antica città. Invece, dalla precisa lettura del documento della Biblioteca dell’Arsenale risulta che, nonostante si faccia effettivamente menzione di una «ecclesiam Sancti Ciriaci extra uillam», dove il custode (non presbitero secondo quanto scritto dal Becatti) Andrea andava ad officiare la messa «cum alio… socio suo»81, non fosse questo edificio, bensì la presunta tomba di Monica, madre di S. Agostino, ritrovata secondo il racconto medievale grazie ad un’apparizione miracolosa nell’area della città antica ormai abbandonata («in antiqua Ostia…penitus destructa fuit»)82, ad essere distante due stadi dal borgo fortificato («ab oppido sed quasi stadiis duobus»)83. Perciò, dall’esatta lettura del testo medievale viene meno la localizzazione a due stadi di distanza dal borgo dell’oratorio dedicato a S. Ciriaco, che effettivamente si trova più lontano dall’abitato medievale; ciò non mette comunque in dubbio il riconoscimento di questo edificio, nominato nel manoscritto di Walterus, nei resti della costruzione altomedioevale rinvenuta dal Vaglieri lungo il Decumano, poiché il documento viene a collocarlo certamente al di fuori e ad una certa distanza dall’abitato dell’Ostia medievale («extra uillam»)84.
[S.P.]
Il contesto suburbano
25Mentre Ostia nel corso dell’Altomedioevo doveva apparire sempre più desolata ed in rovina («longo quassata senio, tota nunc uidetur esse diruta»)85, contemporaneamente venne a verificarsi un generale e progressivo fenomeno di spostamento della popolazione dalla città antica verso aree differenti del suburbio, come evidenziato da chiari dati archeologici. Infatti, mentre tra il VII e l’inizio del IX secolo limitati ma significativi elementi testimoniano una continuità di vita, almeno in alcune aree della città, come verificato per la zona della cattedrale costantiniana e per quella dell’oratorio di S. Ciriaco, e come testimoniato da alcuni ritrovamenti ceramici per la zona del magazzino doliare (oggi Museo ostiense) ed anche per altre zone, purtroppo, non più precisamente indicate (vedi supra)86, alcune aree del suburbio cominciarono ad essere sempre più intensamente frequentate, non soltanto per scopi funerari. Tale fenomeno interessò in particolare la zona attualmente indicata come Pianabella, nel suburbio meridionale, presso la basilica funeraria costruita in una vasta area di necropoli e posta su un importante incrocio della viabilità extraurbana, e una zona ad est della città romana, dove sorgeva la chiesa tardoantica/altomedioevale dedicata a S. Aurea (cfr. fig. 1, n. 5). Infatti, presso la basilica di Pianabella si inquadrerebbero nel IX secolo le ultime sepolture rinvenute ed alcune, seppur molto labili, tracce abitative o meglio di frequentazione, con contesti ceramici ben databili87. Invece si segnalerebbero notevoli ritrovamenti di ceramica invetriata altomedioevale88 nell’area intorno alla chiesa di S. Aurea, esistente almeno dal VII secolo89, ma forse addirittura dalla tarda antichità (V secolo?), in un ambito di necropoli di periodo imperiale «foras muros portae Ostiae»90, lungo la via Ostiense91.
26Mentre però l’area abitativa venutasi a creare a sud del perimetro urbano non conobbe una continuità insediativa, quella creatasi nel settore orientale del suburbio ebbe una vita molto più lunga, fino ai nostri giorni. Ed infatti, qui, intorno alla chiesa di S. Aurea, papa Gregorio IV (828-844) fondò con un importante atto di politica temporale una nuova città fortificata, chiamata Gregoriopoli dal suo nome92, la quale trovava proprio nella presenza di un circuito murario il suo riconoscimento come ciuitas93. Il nuovo nome di Gregoriopoli però non ebbe fortuna, evidentemente perché il ricordo dell’antica città romana doveva essere molto forte nella collettività, tanto che già con il suo successore papa Sergio II l’abitato altomedievale verrà chiamato Hostia94, e tale è rimasto fino ad oggi.
27Si può ipotizzare che il concentrarsi della popolazione presso il borgo di Gregoriopoli sia stato condizionato proprio dalla verosimile elevazione a cattedrale di S. Aurea, evento certo soltanto dal XII secolo95, anche se plausibilmente ipotizzabile già dai secoli altomedioevali. Infatti, della cattedrale ostiense di età costantiniana non si ha più menzione nelle fonti medievali, ed è difficile pensare che nella seconda metà del VII-VIII secolo, si sia mantenuta una sede vescovile in un edificio ormai abbandonato, così come l’area abitativa circostante. Tra l’altro, a favore dell'ipotesi di elevazione a cattedrale della chiesa di S. Aurea già in epoca altomedioevale sta anche la cura e l’attenzione per la sua stabilità edilizia dimostrata dall’autorità pontificia in questo periodo, con papa Sergio I (687-701) che in pratica la ricostruì96, e con Leone III (795-816), che oltre a restaurare il tetto dell’edificio97, probabilmente vi fece realizzare anche un arredo liturgico, a cui sono riferibili alcuni frammenti di scultura rinvenuti con tutta probabilità nel borgo, durante lavori effettuati nel corso del secolo scorso, purtroppo in anni ed in contesti non precisati98.
28Nell’area della nuova ciuitas non sono mai state messe in luce strutture abitative altomedioevali, che si dovrebbero immaginare alquanto precarie e modeste, obliterate dagli edifici quattrocenteschi oggi ancora esistenti riferibili alla ricostruzione del borgo all’epoca del cardinale D’Estouteville. Rimane però fortunatamente l’evidenza materiale di una chiara fase altomedioevale nelle mura quattrocentesche del borgo. Già il Meiggs, da alcuni saggi di scavo non meglio specificati, effettuati comunque prima del 196099, riteneva le mura quattrocentesche fondate su un circuito murario di IX secolo100. A conferma di ciò, lungo il lato orientale della cinta tardomedievale-rinascimentale dell’abitato sono chiaramente riconoscibili tratti di muratura attribuibili all’VIII-IX secolo, nelle tamponature delle arcate dell’acquedotto di età imperiale. Queste vennero chiuse proprio per essere utilizzate come mura di fortificazione, caratterizzate da ricorsi di mattoni di spoglio, con una presenza irregolare, ma consistente, di tufelli e blocchetti di marmo di forme varie; questi vengono ad interrompere la già limitata omogeneità della cortina muraria, sfalsando l’andamento dei filari di mattoni, che assumono così un andamento ondulato, come è caratteristico nelle murature di tale periodo101.
29Probabilmente la scelta del sito per la realizzazione di un insediamento fortificato, che doveva proteggere la popolazione dalle incursioni nemiche102, dipese, oltre che da ipotetiche motivazioni religiose connesse al probabile ruolo di cattedrale di S. Aurea, anche da motivazioni topografiche, risultando questa zona molto vicina alla città romana, da cui potevano prelevarsi facilmente i materiali da costruzione. Inoltre l’area era in una posizione favorevole dal punto di vista difensivo e dei rapporti col territorio, in quanto prospiciente l’antica ansa del Tevere, fondamentale via d’acqua fin dall’epoca romana, che in questo modo poteva anche essere controllata militarmente, e localizzata lungo il tracciato dell'antica via Ostiense, che, malgrado l’abbandono e la mancanza di manutenzione, come testimoniato già da Procopio, rimaneva comunque una garanzia per i collegamenti tra il mare e Roma103.
30Anche nel suburbio di Ostia si può dunque constatare l'effetto aggregante realizzato dalle tombe martiriali, o meglio dal ricordo leggendario delle sepolture dei martiri, su cui sorsero gli edifici di culto, all’interno di più estese aree funerarie104. Infatti, proprio nelle più antiche zone di sepolture cristiane ostiensi si vennero a costruire i tre principali edifici di culto suburbani, legati ad importanti martiri locali: la stessa basilica di S. Aurea, la basilica di S. Ercolano nel territorio a sud-est della città, e la basilica anonima di Pianabella, di cui finora nessun elemento storico-archeologico ha consentito di precisare la dedica (cfr. fig. 1, nn. 4, 5, 6)105.
31Fra queste tre basiliche del territorio ostiense si nota una serie di elementi comuni, topografici ed architettonici, che vanno considerati con attenzione per verificare se siano soltanto casuali ovvero siano conseguenza di una comune cronologia e/o funzione (fig. 10). Innanzi tutto è da considerare che tutti e tre questi edifici vennero costruiti in precedenti aree funerarie di epoca imperiale. Le precedenti strutture sepolcrali in parte condizionarono strutturalmente le nuove costruzioni religiose, che paiono caratterizzarsi dal punto di vista planimetrico per una mancanza di ortogonalità nei muri portanti degli edifici. Anche l’edificio di S. Ercolano, che dalla graficizzazione planimetrica conservata presso gli archivi ostiensi sembrerebbe mostrare una maggiore regolarità106, in realtà presenta le pareti longitudinali solo in parte in asse tra loro, in quanto costruite su differenti strutture funerarie romane, obliterate al momento dell’edificazione della chiesa.
Fig. 10 – Ostia Antica, suburbio: planimetrie delle basiliche funerarie presenti nel territorio ostiense.

A: basilica di Pianabella (Paroli 1993, fig. 3, dis. S. Gibson); B: basilica di S. Ercolano (da Pannuzi 2008, fig. 5, PaOant, AD, inv. 7972, dis. M. Merelli a.1987); C: basilica di S. Aurea (da Pannuzi et al. 2006, fig. 7).
32Inoltre, le tre basiliche mostrano delle caratteristiche architettoniche simili, come la presenza dell’abside sul lato ovest107; per le basiliche di Pianabella e S. Aurea è poi attestata all’interno dell’edificio l’esistenza di recinti di formae108, di cui non abbiamo notizia per S. Ercolano soltanto perché non sono stati mai realizzati interventi archeologici all’interno, anche se alcuni recinti per tale uso funerario sono documentati all’esterno dell’edificio, lungo il suo lato meridionale ed anche più a sud, sia in scavi degli anni ’80 del Novecento che in scavi più recenti del 2006109.
33In aggiunta, si possono proporre confronti sulle tecniche murarie impiegate: l’edificio ecclesiale di Pianabella fu realizzato in opera listata110, così come la muratura dell’abside111 e del muro perimetrale meridionale della più antica basilica di S. Aurea112. Quanto a S. Ercolano, invece, risulta molto difficile la lettura della complessa stratigrafia muraria delle pareti longitudinali e del muro di fondo con l’abside, nei quali comunque si riconoscono alcuni tratti di epoca tardoantica e altomedioevale, riferibili ad una fase originaria dell’edificio, che oggi mostra molti rimaneggiamenti riferibili al tardo Medioevo ed oltre. Infatti, lungo la parte bassa della parete meridionale della chiesa, al di sopra del lungo muro romano in reticolato, pertinente a strutture funerarie, è visibile un tratto di muratura in opera listata abbastanza regolare, con filari di tufelli alternati a filari di mattoni113. Nella successione stratigrafica tale muratura precede un’altra unità stratigrafica muraria, costituita in prevalenza da frammenti di mattoni di riutilizzo di varie misure, posti in opera con filari in parte ondulati, che potrebbe ben datarsi all’VIII-IX secolo114. Anche sulla parete nord è visibile un tipo di muratura simile115. A questo stesso periodo fa riferimento il frammento di pilastrino di recinzione presbiteriale, riutilizzato nello strombo di una feritoia aperta sul lato meridionale dell’edificio116. Pertanto, benché i dati per la chiesa di S. Ercolano siano più limitati rispetto a quelli relativi alle altre due basiliche cristiane e sia più complesso ricostruire la sua struttura primitiva, risulta comunque plausibile ipotizzare l’esistenza di una fase costruttiva tardoantica, con continuità nell’Altomedioevo, che, per coerenza strutturale con l’edificio di culto medievale, può plausibilmente riferirsi ad una costruzione dalla medesima funzione liturgica.
34Inoltre, è da notare che tutte e tre gli edifici si pongono lungo precedenti strade romane di una certa rilevanza all’interno della rete viaria del territorio di Ostia. La basilica di Pianabella fu costruita infatti con il lato settentrionale lungo una strada basolata con direzione est-ovest che, con un anomalo gomito proprio sull’angolo dell’atrio della basilica, piegava verso nord per collegarsi con la via Laurentina poco fuori la città romana : tale particolare disposizione stradale, nella ricostruzione della topografia viaria di Pianabella proposta dall’Heinzelmann, risulterebbe in un quadrivio su cui verrebbe a posizionarsi l’atrio della basilica117. Infatti Heinzelmann ipotizza, sulla base dei ritrovamenti di vari nuclei sepolcrali, dell’osservazione delle foto aeree e della conformazione della successione di dune di sabbia presenti nell’area di Pianabella, già messe in evidenzia in un pionieristico studio del Bradford118, che qui venisse a convergere anche un’altra strada, parallela alla via Laurentina nel suo tratto più settentrionale. Infine, un quarto tracciato stradale si sarebbe diretto verso l’attuale località di Procoio, con un andamento nord-est/sud-ovest, divergendo dall’allineamento con gli altri percorsi tra loro paralleli, collegati all’andamento delle dune costiere. Di grande interesse per la ricostruzione delle fasi di vita altomedioevali in questo territorio è il ritrovamento, al di sopra del piano stradale romano che correva lungo il lato nord della basilica di Pianabella, di una serie di livelli di battuti, «formati da accumuli di terra e rifiuti», con l’aggiunta a volte di un po’ di malta, che rialzarono l’antico piano fino ai livelli di VII secolo, testimoniando un’intensa frequentazione della zona fino a quell’epoca, in relazione alla presenza della basilica119.
35Anche la basilica di S. Aurea fu costruita con l’accesso diretto da una strada romana basolata, rintracciata nel corso del Novecento in più occasioni a circa m 1,50 al disotto del piano di calpestio della moderna via del Vescovado120. Riguardo alla chiesa di S. Ercolano, la situazione è anche in questo caso più complessa. Nell’ipotesi topografica degli assi viari del territorio ostiense proposta dall'Heinzelmann non è chiaro il rapporto tra l’edificio ed il presunto asse stradale proveniente da sud121, ipotizzato sulla base dell’allineamento di una serie di sepolcri rinvenuti presso il cimitero moderno negli anni ‘70 del Novecento122. Dallo scavo archeologico preventivo effettuato nel 2006 proprio sul retro della chiesa, lungo la moderna carreggiata stradale (Strada vecchia di Castel Fusano)123, sono emerse una serie di strutture riferibili a sepolcri romani, che non renderebbero compatibile lungo quest’asse il passaggio di una strada. È da notare invece la presenza di moltissimi frammenti di basoli stradali nelle due pareti lunghe dell’edificio di culto all’interno di murature chiaramente postantiche124. Risulta pertanto più verosimile che l’ipotetica strada, proveniente dai sepolcri rinvenuti a sud del cimitero moderno, corresse lungo un tracciato leggermente più spostato verso est e che l’antica chiesa sia stata costruita con l’ingresso proprio su questo percorso stradale evidentemente in origine basolato, smontato poi in parte e utilizzato come materiale da costruzione125.
36Infine, prendendo in considerazione le strutture annesse a questi tre edifici religiosi cristiani suburbani, si nota una situazione in qualche modo analoga in riferimento alla presenza di un atrio di ingresso. Infatti, la basilica di Pianabella presentava un nartece antistante l’ingresso, con il muro di facciata non ortogonale ai muri perimetrali della chiesa; ad esso adiacente era anche una struttura interpretata come un atrio quadrangolare scoperto, di larghezza minore rispetto al nartece ed alla chiesa126. La chiesa di S. Ercolano ha oggi un atrio d’ingresso scoperto, le cui murature sono attualmente quasi del tutto intonacate; là dove appare la muratura si può verificare anche qui la continuità delle varie successioni stratigrafiche evidenziate in entrambi i muri perimetrali della chiesa. Dall’analisi planimetrica sembrerebbe che l’edificio fosse a navata unica, con un presbiterio chiuso in parte da due brevi setti murari ortogonali ai muri perimetrali127, e con un atrio antistante della stessa larghezza della chiesa128. Anche nel caso della basilica di S. Aurea, dopo gli scavi del 2005, è stata ipotizzata la probabile esistenza di un portico o di un quadriportico antistante la facciata, anche se dalle quote alle quali queste strutture sono state rinvenute sembrerebbe più plausibile una loro attribuzione all’età pienamente medievale129; d’altronde l’esistenza di un portico della chiesa sarebbe attestato nel XII secolo da documenti medievali130. Tale struttura avrebbe inglobato almeno parte dell’antica strada romana sotto l’attuale via del Vescovado; la strada, d’altronde, con la costruzione delle mura del borgo avrebbe visto interrotto il suo percorso, perdendo il suo ruolo di collegamento suburbano.
37In conclusione, la presenza di tutti questi elementi comuni fra i tre edifici religiosi presenti nel suburbio di Ostia, indurrebbe a proporre oltre che una medesima indubbia funzione funeraria, forse anche un loro analogo ambito cronologico
[S.P.].
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Notes de bas de page
1 Paroli 1993, p. 171-172; Pavolini 1991, p. 268-270; Paroli 1996, p. 256-257; Pavolini 2006, p. 38-39. Si veda anche Calza et al. 1953, p. 25-26. Per il Meiggs nel V secolo Ostia era già in piena decadenza, con il taglio dell’acquedotto dovuto ai barbari invasori (Meiggs 1973, p. 97-98). Le recenti ricerche effettuate nell’area del Foro hanno evidenziato la realizzazione di interventi (ripavimentazione) almeno fino a circa la metà del V secolo (Gering 2004, p. 299-381; Gering – Lavan 2011, p. 409-509). Su una possibile parziale ripresa della città e del territorio circostante, o comunque un «relativo assestamento» tra la seconda metà del VI ed il VII secolo, ipotizzata anni addietro (Paroli 1993, p. 164 e 172; Paroli 1996, p. 258; Lenzi 1998, p. 248 e 252), i dati a disposizione sono ancora molto limitati e in alcuni casi discordanti (si veda per es. il problema della controversa datazione di alcune tipologie murarie tardoantiche/altomedioevali sulla base della malta utilizzata: Heres 1982, p. 142 e Paroli 1993, p. 164), anche se effettivamente corredati da una certa plausibilità storico-archeologica (vedi dopo nel testo). In ogni caso si possono evidenziare senz’altro in Ostia alcuni limitati contesti che mostrano una continuità di vita fino all’Altomedioevo o comunque dopo il VI secolo, sebbene ad una scala estremamente ridotta e con una struttura insediativa molto diversa rispetto a quella di età classica (vedi dopo nel testo). Non si entra in questo contributo nel merito della problematica riguardante una eventuale contrazione dell’abitato (secondo il Vaglieri verso il mare: Vaglieri 1914, p.16; si veda anche infra nota 7) o viceversa una continuità di occupazione della città per nuclei sparsi nel periodo tra la fine dell’età antica e l’Altomedioevo, in quanto ciò avrebbe bisogno di una complessa trattazione, con una lunga disamina di dati archeologici provenienti da ricerche passate e recenti, che esula in gran parte dall’argomento oggetto di questo studio (per alcune indicazioni si veda: Paroli 1993, p. 163-170; Lenzi 1998, p. 251-254).
2 Zos., 5, 19 e VI, 20: Alarico occupò Porto nel 409, interrompendo il trasporto di vettovagliamenti verso Roma. “Vandalica rabies” parrebbero attestate epigraficamente nell’area della Basilica di S. Ippolito all’Isola Sacra (Paschetto 1912, p. 91-94) e dalla stessa zona dovrebbero provenire monete ostrogote (Paroli 1983, p. 31). È da ricordare a questo proposito il rinvenimento, ad una cinquantina di kilometri a nord di Ostia, presso Ladispoli, di un gruppo di sepolture ostrogote con materiali inquadrabili nella metà-fine del V secolo, sistemate in strutture abbandonate di età romana (Cosentino 1986). Tra le non molte testimonianze storiche sul territorio ostiense in questo periodo, rimane un verso di Rutilio Namaziano, nella descrizione del suo viaggio da Roma alla Gallia Narbonese (a. 415 o 417) (Rut. Nam, red., 1, 179-181, p.122-123), in cui pare intendersi che il ramo ostiense del Tevere presentasse un qualche insabbiamento (a questo proposito: Paschetto 1912, p. 92), benchè le successive indicazioni riportate da Procopio testimonino il contrario. Infatti Procopio ricorda che nel corso della guerra greco-gota la città di Ostia, malgrado fosse in decadenza e non avesse mura a difesa, come quelle di Porto, ospitava gli eserciti bizantini che attraccavano al porto marittimo: in questo periodo le imbarcazioni bizantine, benché con una certa con difficoltà, riuscivano ancora a trasportare le merci necessarie alla città di Roma utilizzando il Tevere come via di comunicazione (Procop., Bell. Goth. 1, 26, (13) e 2, 6, p. 421-423 e 457-459). Evidentemente perciò, dalle differenti notizie riportate su questo argomento dalle fonti tardoantiche/altomedioevali si potrebbe ipotizzare un’alternanza di momenti di insabbiamento con momenti di apertura della foce ostiense del fiume, fenomeni d’altronde ben evidenziati anche dagli attuali studi geologi (si veda per es.: Bellotti et al. 1994; Bellotti 2000, p. 789).
3 Anche nel suburbio ostiense la crisi, generatesi con tutta probabilità durante gli eventi collegati con le prime invasioni barbariche, è stata evidenziata da un abbandono di strutture a carattere commerciale e/o abitativo e da una sistemazione al loro interno di sepolture sparse: inumazioni rinvenute lungo la banchina portuale sull’antico meandro del Tevere; tombe rinvenute nei pressi del cd. Casalone, costruito al di sopra di strutture interpretate come magazzini, tomba a cappuccina tardoantica scavata nello strato di abbandono di un vasto complesso di edifici di età imperiale, con differenti funzioni e con fasi costruttive databili tra il I secolo a.C. e l’età tarda, scoperto in via Ducati - via Gamurrini (Pannuzi 2019b, p. 17 con bibliografia di riferimento).
4 Il Vaglieri attesta durante i suoi scavi nella zona della Caserma dei Vigili e delle Terme di Nettuno il ritrovamento di numerose tombe, da lui definite «non assolutamente tarde» ed attribuibili «ad un periodo ancora antico» (Vaglieri 1914, p. 15; nello specifico: Vaglieri 1909a, p. 199 e 201: tomba con inumato con la testa orientata a nord, rinvenuta nell’angolo nord-ovest della latrina delle terme e tomba in una taberna delle terme, lungo via dei Vigili dentro un condotto fognario; Vaglieri 1909b, p. 238-240 e Vaglieri 1911, p. 282: una sepoltura entro una cassa formata da frammenti marmorei decorati, tra cui alcuni frammenti di sarcofago, rinvenuta in una vasca di un ambiente riscaldato delle terme sul lato nord-ovest; Vaglieri 1912, p. 52 e nota 1: due inumazioni scoperte nel sottoscala sul lato settentrionale della Caserma dei Vigili, in una delle quali fu rinvenuta una tabula defixionis; su questo argomento si veda anche: Lenzi 1998, p. 252 nota 29). Effettivamente, da quanto riportato circa questi ritrovamenti, le tombe messe in luce in questi contesti edilizi non sembrerebbero riferirsi ad un momento avanzato di abbandono della città, ma genericamente ad epoca tarda (V, al massimo VI secolo), e non parrebbero riferirsi a gruppi allogeni, bensì probabilmente a popolazione locale.
Inoltre, un numeroso gruppo sepolture in anfora è stato rinvenuto nella seconda metà del Novecento, «poggiate sui pavimenti» lungo le pareti di due ambienti adiacenti delle Terme Marittime (PaOant, AD, inv.5032, dis. M.A. Ricciardi, a.1973), impianto con fasi di utilizzo dal periodo adrianeo fino probabilmente al V secolo, secondo quanto indicato nella relazione dello scavo novecentesco (Veloccia Rinaldi 1969-70, 8342, p.565: l’autrice mette in relazione queste sepolture con l’attività di due piccole «fornaci», o meglio calcare, impiantate nei ruderi dell’edificio di età imperiale). Dalla planimetria conservata nell’Archivio ostiense (PaOant, AD, pianta delle sepolture negli ambienti 33-34-35, inv.5032, dis. A.M. Ricciardi a.1973), le tombe rinvenute risulterebbero molte di più (n.14) delle cinque indicate dalla Paroli, che aggiunge anche l’attribuzione di «infantili» alle sepolture e particolari stratigrafici non presenti nella documentazione di scavo pubblicata a suo tempo, senza riportare ulteriori fonti di informazione (Paroli 1993, p. 161-162, nota 37).
Poi, tre tombe a fossa, una delle quali inserita in una canaletta fognaria, furono rinvenute ai primi del secolo scorso davanti ai Quattro Tempietti. All’interno di esse è stata segnala la presenza di 3 fibule in bronzo riferite ad un tipo germanico, che permette di inquadrare cronologicamente tali ritrovamenti tra la prima metà del V e gli inizi del VI secolo. Si nota che tutte e tre le sepolture presentavano un orientamento esattamente nord/sud con la testa degli inumati sul lato nord, modalità molto meno usuale dell’orientamento ovest-est presso queste popolazioni (Paribeni 1914, p. 477-478, fig. 23; Paroli 1993, p. 161 e nota 36).
Altri ritrovamenti di sepolture sono riportati nei Giornali di scavo ostiensi anche sotto i pavimenti di ambienti degli Horrea Antoniniani, mentre una cappuccina è segnalata in una delle celle sul lato a nord-ovest degli Horrea di Hortensio (Lenzi 1998, p. 252 nota 29).
In generale, le modalità di rinvenimento delle varie sepolture, ritrovate anche all’interno di condotti fognari, di vasche termali e di celle di magazzini, testimoniano l’indubbia cessazione delle attività svolte all’interno degli edifici nei quali furono sistemate. Ma d’altro canto, se da una parte tali ritrovamenti tombali segnalano la profonda trasformazione della struttura urbana della città e dei suoi modi di vita, per i quali non vi era più una distinzione tra gli ambiti cittadini e quelli funerari, che venivano ad intrecciarsi e a sovrapporsi, dall’altra stanno proprio ad indicare che ancora esisteva all’interno di quel contesto umano una popolazione, che seppur scarsa e con risorse limitate, o comunque di molto inferiori ai secoli precedenti, lì viveva e moriva.
5 Paroli 1993, p. 163 e nota 38, fig. 4: la studiosa riporta nella planimetria a piccola scala l’indicazione di alcuni ritrovamenti sepolcrali nella città in modo ovviamente solo indicativo, ma comunque preciso; perciò anche la segnalazione di questo ritrovamento potrebbe forse ritenersi abbastanza verosimile nella sua localizzazione.
6 Vaglieri 1910a; Vaglieri 1910b; Vaglieri 1910d; Paroli 1993, p. 161-163. In uno dei suoi scritti il Vaglieri specifica che «avanzi di seppellimenti» furono rinvenuti «sotto il pavimento (dell’oratorio cristiano)…sopra (il) piano (dell’oratorio cristiano), e anche in giro» (Vaglieri 1910c, p. 95).
7 Il contesto messo in luce in quest’area viene definito dal Vaglieri già oggetto di distruzione in epoche passate a causa di presunti «barbari» o «pirati» (Vaglieri 1910a, p. 58). Molto più probabilmente invece questi sconvolgimenti avvennero durante le attività di spoliazione e di ricerca antiquaria che ad Ostia si misero in atto fin dal Medioevo, e poi soprattutto dal Quattrocento fino al XIX secolo, principalmente alla ricerca di oggetti d’arte e di materiale da costruzione (Poggio Bracciolini, Epistole; Lanciani 1902, p. 8, 18 e 25-26; in ultimo: Bignamini 2003, p. 37-41). Forse proprio a frequentazioni rinascimentali in questa zona, per motivi oggi difficilmente precisabili, è da collegare la notizia del Lanciani che alla fine dell’Ottocento ritrovò nell’ambiente ad ovest del corridoio d’accesso all’orchestra del Teatro, secondo lo studioso utilizzato in epoca successiva come cisterna, la «sepoltura (di) circa quaranta cadaveri, forse di uomini d'arme del XVI secolo. Presso uno degli scheletri giaceva una bella spada, con le asticelle della impugnatura ricurve e col fodero di cuoio montato in metallo» (Lanciani 1881, p. 120 e p. 149, tav. I n. 29; notizia riportata anche in Vaglieri 1914, p. 74). D’altronde proprio la zona tra Porta Romana ed il Teatro, edificio che alcuni dei primi studiosi ostiensi pensavano fosse diventato un fortilizio in età medievale (Gismondi 1954, p. 293-294; si veda anche: Tomassetti 1977, p. 297 nota 1 e 334; Paroli 1993, p. 168 e nota 60), è stata ritenuta in passato l’area in cui si restrinse la città nell’Altomedioevo (Visconti 1857, p. 309-310 e 312-313: lo studioso indica anche la presenza di un muraglione in mattoni di riutilizzo e malta scadente, con contrafforti tra il Tevere e la parte più orientale della città verso Porta Romana, che ipotizza riferibile alle mura di Gregorio IV; si veda anche Tomassetti 1977, p. 335). Anche più di recente è stata ipotizzato una continuità insediativa in età tarda proprio in questa area centrale della città (Pavolini 1986, p. 34), lontana dai pericoli che potevano venire dal mare e servita dalla viabilità stradale utilizzata per i collegamenti delle attività produttive ancora funzionanti in quel periodo (in riferimento a questo argomento e all’attività delle calcare in Ostia, si veda Lenzi 1998, p. 248).
8 Vaglieri 1910a, p. 60-61, fig. 2-3; Vaglieri 1910b, p. 273-275; Vaglieri 1910c, p. 96-97, fig. 3-4; Vaglieri 1910d, p. 137, fig. 4: in riferimento al rinvenimento dell’iscrizione, sicuramente cristiana (CIL XIV, 5232), il Vaglieri, sempre nello stesso anno ma in differenti pubblicazioni, dà indicazioni diverse, riferendo che fu ritrovata «collocata probabilmente per caso nel sarcofago di Orfeo» (Vaglieri 1910a, p. 61) e che l’iscrizione era su «un frammento di coperchio» del sarcofago (Vaglieri 1910b, p. 274; Vaglieri 1910d, p. 137, fig. 4). Per la particolare espressione epigrafica, molto comune in area ostiense ed utilizzata da epoca pre-costantiniana, si veda: Mazzoleni 2001, p. 284. Per la decorazione del sarcofago (inv.1202) si veda: Calza 1964-1965, p. 220-223, fig. 42, 42a.
9 Paroli 1993, p. 168.
10 Purtroppo le immagini fotografiche relative al periodo dello scavo o di poco successive, conservate nell’Archivio ostiense, non forniscono maggiori elementi riguardo a questa struttura e all’area circostante, in quanto ciò che è rappresentato nelle foto (in particolare PaOant, AF, inv. B 1981, a.1911, e B 2110, a.1913) (fig. 2, 3) non corrisponde in modo chiaro a quanto visibile attualmente, dopo i restauri moderni.
11 L’ambito di datazione di questa tipologia di tombe, attestate in diverse parti dell’Impero (specialmente nell’Africa settentrionale) ed anche nelle necropoli ostiensi (per gli esemplari rinvenuti nella necropoli Laurentina ed in quella dell’Isola Sacra si veda in ultimo: Romanò 2006, con bibliografia precedente; per la necropoli lungo la via Ostiense nell’area di Pianabella: Panariti – Pannuzi 2007, p. 26 e 29, fig. 1; Pannuzi – Cenciotti 2007, p. 58) è per lo più il II-III secolo, ma con significativi utilizzi anche in ambito cristiano fino al VII secolo, specie nell’Italia meridionale, in Sicilia e in Sardegna (su questa tipologia di sepolture si veda per es.: Romanò 2006, p. 196).
12 Paroli 1993, p. 162-163, nota 37.
13 Paroli 1993, p. 169, fig. 7 a.
14 Vaglieri 1914, p. 70, tav. IV, E. Il colonnato più settentrionale in realtà risulterebbe composto da due colonne allineate, ancor oggi visibili. Le due colonne però non presentano la base alla stessa quota, risultando solo quella più occidentale, posta su un alto strato di rialzamento, al livello del piano pavimentale in piccoli frammenti di marmo.
15 Tale edificio è ancora esistente e ben riconoscibile anche in alcune foto scattate immediatamente dopo il ritrovamento nel 1910: PaOant, AF, inv. B 1981 a.1911, inv. B 2110, a.1913 (Vaglieri 1914, tav. IV, C) (cfr. fig. 2, 3). Subito ad ovest di questo, nelle foto d’epoca è visibile ad un livello più alto un tratto del pavimento in piccoli frammenti marmorei, che andava a coprire i resti murari rasati della latrina.
Invece, una foto, che sembrerebbe scattata proprio durante lo scavo di questo settore, mette in evidenza le modalità caotiche e non certo “stratigrafiche” delle ricerche archeologiche effettuate ai primi del Novecento: PaOant, AF, inv. B 1926.
16 Vaglieri 1910b, p. 275: con questo "edificio" pavimentato in marmi frammentari, lo studioso mette in relazione, in modo poco chiaro, un cippo su cui è presente un’iscrizione che ricorda il prefetto dell’annona di Roma del 385 d.C.
17 Vaglieri 1910b, p. 275; Vaglieri 1910d, p. 137-139; Vaglieri 1914, p. 70-71 e 73, tav. IV: B = ninfeo, C = latrina, E = edificio scoperto, presunta memoria dei martiri.
18 Il vescovo Ciriaco e i suoi compagni sono nominati nel Martirologio Geronimiano, e poi riportati nel Martirologio Romano, nelle passiones di Aurea, Censorino e Ciriaco (Acta Sanctorum, Aug. 4, p. 490, 565-566, 755-761; Acta Sanctorum, Sept. 2, p. 518-519 e 522-524; Acta Sanctorum, Nov. 2, 2; BHL 808-813, p. 129; BHL 1722, 1723, p.259; BHL 2055 b). In generale su questi argomenti si veda: Paschetto 1912, p. 177-185; Lanzoni 1927, p. 98-10 e 109. In particolare, sul problema della cronologia leggendaria degli avvenimenti martiriali: Lanzoni 1927, p. 99-101. Riguardo alla sepoltura di S. Ciriaco negli Atti viene indicata una localizzazione fuori della città, come ovvio in un tal periodo (III secolo): «reliquis omnibus cum sancto Cyriaco episcopo apud Ostiam ciuitatem monumenta extruxit» (Acta Sanctorum, Sept.2, p. 524; BHL 1723).
19 Tale struttura è stata analizzata alcuni anni fa in un importante studio da F. Zevi e P. Pensabene (Zevi – Pensabene 1971).
20 Bauer et al. 1999; Bauer – Heinzelmann – Martin 2000; Bauer – Heinzelmann 2001. A questo proposito si vedano anche le informazioni riportate sulle ricerche geofisiche realizzate dal Deutsches Archäologisches Institut Rom, insieme all’American Academy in Rome, tra il 1996 ed il 2001 (DAI Forschungsprojekt 1996-2001) sul sito web: www.ostia-antica.org. Per una ricapitolazione della problematica: Van Haeperen 2019.
21 Bauer – Heinzelmann 2001, p. 278.
22 Sono state individuate anche più antiche fasi flavie riconosciute a livello del suolo vergine (sito web: www.ostia-antica.org).
23 Bauer et al. 1999, fig. 5.
24 Bauer – Heinzelmann 2001, p. 280.
25 Gli architetti di Costantino costruirono a cinque navate la cattedrale del Salvatore e la grandiosa basilica di S. Pietro, ed anche la basilica della Natività a Betlemme. A tre navate invece doveva probabilmente essere la costantiniana basilica di S. Paolo sulla via Ostiense. La basilica ostiense avrebbe avuto una ristrutturazione all’interno alla fine del IV secolo (Bauer – Heinzelmann 2001, p. 280-281).
26 Bauer – Heinzelmann 2001, p. 281.
27 Bauer et al. 1999, p. 299, 314-316, 324 e 335-340 (sondaggio 4); Bauer – Heinzelmann 2001, p. 281; Heinzelmann 2001, p. 382. Questa riutilizzazione di sarcofagi classici provenienti da necropoli extra urbane in contesti cristiani, sembrerebbe potersi mettere in relazione con quella similare, evidenziata da Vaglieri presso il Teatro di Ostia, anche se in quel caso, purtroppo, non rimangono dati archeologici affidabili per una esatta ricostruzione del ritrovamento (vedi supra nel testo).
28 Bauer – Heinzelmann 2001, p. 280-281; cf. www.ostia-antica.org. Anche il Vaglieri descrive il ritrovamento di «avanzi di poche abitazioni di povera gente», realizzate con materiali di spoglio dalle «tombe devastate» nell’area della città fin a quel momento da lui scavata tra il 1908 e il 1913 (Vaglieri 1914, p. 15): troppo ampia è l’area interessata dalle sue ricerche per tentare di individuare con precisione quali punti intendesse, anche se un accenno interessante viene fatto riguardo alla zona lungo il Decumano tra il Monumento repubblicano presso il Teatro e via dei Molini: «Nel tratto che segue accanto a muri di buona costruzione ma riadattati in antico, si vedono costruzioni mal fatte, di epoca tarda, quali non si è soliti di vedere in Ostia. Solo lo scavo che si deve ancora fare ci potrà dire di che cosa si tratti» (Vaglieri 1914, p. 90). Comunque, si può affermare con certezza che una ricerca archeologica più accurata, durante gli scavi effettuati nel corso del Novecento, avrebbe potuto mettere in luce più numerosi nuclei riferibili a queste ultime fasi di vita, che ora invece ci appaiono solo come pallide tracce di una continuità urbana, non chiaramente definibile nei suoi ambiti topografici e nei suoi limiti cronologici (vedi supra nota 1).
29 Probabilmente dobbiamo immaginare un certo rimpicciolimento del complesso episcopale, nel quale continuava a mantenersi in uso soltanto l’edificio basilicale per lo svolgimento dei riti religiosi. Invece, il grande quadriportico d’accesso doveva essere stato sacrificato per altre funzioni, evidentemente non essendo più necessario in quel momento uno spazio del genere, vista anche la notevolissima diminuzione della popolazione ostiense nel VII secolo, rispetto all’epoca di edificazione della costruzione religiosa.
30 Per es. si veda: Brenk 2001, p. 268-269; Pavolini 2006, p. 239-240; Van Haeperen 2019, Ostia. Basilique constantinienne (reg. III).
31 Per l’ambito romano, si veda per es.: Meneghini – Santangeli Valenzani 2004; Paroli – Vendittelli 2004.
32 D’altronde è proprio il VII secolo il periodo individuato in ricerche passate come un momento di limitata ripresa della città di Ostia: Paroli 1993, p. 164 e 172 (si veda supra nota 1).
33 Con tutta probabilità la diminuzione della popolazione della città di Ostia deve essere avvenuta gradualmente e non in modo repentino, non essendo testimoniati dalle fonti o dai dati archeologici eventi così catastrofici, né naturali (terremoti, alluvioni, etc.), che pure vi furono, né bellici (l’invasione visigota e le vicende della guerra greco-gota danno conto di una città ancora esistente: si veda supra nota 2) da provocare un abbandono improvviso della città. Quello che si nota, piuttosto, è una lenta e progressiva decadenza senza possibilità di ripresa.
34 D’altronde la chiesa di S. Aurea extra urbem comincia a ricevere importanti attenzioni da parte dell’autorità pontificia proprio alla fine del VII secolo con i restauri di Sergio I (687-701), forse assumendo proprio in questo periodo l’elevazione a cattedrale ostiense (vedi dopo nel testo).
35 Ceramica a bande rosse e ceramica invetriata altomedioevale (Forum Ware): Mazzucato 1972, p. 43-44, fig. 89-90-91; Paroli 1993, p. 170, fig. 8 e note 65-66; Paroli 1996, p. 250-251; Pannuzi 2004, p. 198-201; Pannuzi 2005, p. 175-176. Uno di questi reperti ceramici risulta in realtà più recente del IX secolo: si tratta di un’olletta miniaturistica con un rivestimento in vetrina “di transizione” (XI-XII secolo), proveniente da area imprecisata della città romana (Mazzucato 1972, p. 44, fig. 91; Pannuzi 2004, p. 201, fig. 4 n. 11; Pannuzi 2005, p. 176, fig. 5 n. 45). Si deve immaginare infatti che una qualche frequentazione sporadica continuò nell’area urbana ormai abbandonata anche in epoca medievale ed oltre, in primo luogo per la spoliazione di materiale da costruzione dagli antichi edifici (si veda supra nota 7).
36 Nielsen – Schiøler 1980, p. 151; Pavolini 2006, p. 125. Il Calza invece attribuisce l’impianto termale al periodo traianeo (Calza 1949-50/1950-51, p. 129).
37 A questo proposito: Calza 1964-1965, p. 239-240; Broccoli 1984, p. 51. Le poche immagini fotografiche relative allo scavo di questo edificio, conservate nell’Archivio fotografico ostiense, sono datate al 1938-39 (PaOant, AF, B 2708, C 1339, B 2740, B 2476, B 2798, B 2800).
38 Calza 1949-50/1950-51, p.129-131.
39 Difficile dire se l’aula sia stata adibita ad un culto pubblico o privato, come sembra propendere B.Brenk (Brenk 2001, p.264).
40 Questo edificio per la sua atipicità ha creato in realtà molti dubbi circa la sua effettiva funzione, come d’altronde è avvenuto anche per la cd. Basilica “cristiana” sul Decumano, su cui sono state avanzate varie ipotesi anche molto diverse e contrastanti, fino alla ricostruzione proposta da B. Brenk e P. Pensabene alcuni anni fa ed ormai generalmente accettata, che vede nell’edificio una domus aristocratica tardoantica appartenente ad una famiglia cristiana (Brenk – Pensabene 1998-1999; Brenk 2001, p. 265-266, con bibliografia precedente). Esiste inoltre ad Ostia subito a nord del Decumano, poco prima del Foro, un altro edificio anomalo, definito Aula basilicale o del Buon Pastore, caratterizzato dalla presenza di un’abside in opera listata inquadrabile probabilmente nel IV secolo, mai veramente approfondito nella sua struttura e nel suo possibile utilizzo: in questo edificio fu rinvenuto nel 1916, «collocato in una nicchia aggiunta in epoca tarda», senza alcuna migliore specificazione del contesto archeologico-stratigrafico, un frammento di colonnina con un rilievo del Buon Pastore (inv.151), dall’iconografia e dalle modalità esecutive attribuibile forse ad epoca costantiniana (pochi cenni in: Calza 1949-50/1950-51, p. 131, fig. 5; Calza 1964-1965, p. 237-239, fig. 49; Floriani Squarciapino 1979, p. 21; Pavolini 2006, p. 111). Infine, si ricorda anche l’esistenza di un particolare edificio ubicato a sud del Decumano, molto vicino all’oratorio di S. Ciriaco, ricavato obliterando alcuni vani presenti subito a nord degli Horrea di Hortensius, il cui spiccato dell’abside, sicuramente di epoca tarda per la muratura in tufelli e ricorsi di mattoni, si trova ad un livello molto alto rispetto a quello antico della strada e delle strutture circostanti in cui viene ad inserirsi, come già a suo tempo notato anche dal Février (Février 1958, p. 303); da questa zona risulta provenire un frammento di mensa paleocristiana in marmo (PaOant, AF, foto inv. R 1990,2 a. 1971; scheda inv.29064. Si ringrazia per la cortese informazione M. Bruno, che ha svolto una schedatura su questo e altro materiale marmoreo presente ancora nell’area). Ciò rende chiaro che l’attribuzione ad un uso liturgico “cristiano” di un ambiente debba essere fatta con grande prudenza, non essendo sufficiente la presenza di una struttura absidata, né tantomeno il ritrovamento generico, senza riferimenti stratigrafici, di reperti riferibili ad ambito cristiano, ovvero la presenza di un’iscrizione con simboli cristiani, come nel caso della cd. Basilica “cristiana” sul Decumano.
41 Questo ambiente è stato indentificato da alcuni come l’originario frigidarium (Calza 1949-50/1950-51, p. 129; Février 1958, p. 311), mentre da un’analisi più accurata dell’intero impianto termale è stato definito come un grande vestibulum o una basilica thermarum (Nielsen – Schiøler 1980, p.150, G, G). Infatti questa era una sala, probabilmente fin dall’origine articolata in due ambienti collegati da un’ampia apertura, nella quale non risulta presente alcun tipo di struttura riferibile al sistema idrico o tantomeno al riscaldamento. Sono questi gli ambienti più settentrionali delle terme, direttamente collegati, attraverso una grande apertura definita da due colonne, di cui una ancora esistente, con quello che correttamente viene definito il frigidarium, per la presenza di vasche e dell’impianto idrico (Nielsen – Schiøler 1980, p. 150, F).
42 Février 1958, p. 311-313; Broccoli 1984, p. 50-54, Pavolini 2006, p. 126.
43 Calza 1949-50/1950-51, p. 129; Brenk 2001, p. 264: l’autore riferisce la nuova abside aperta nel muro nord dell’ambiente al IV secolo, ma data i pilastrini con il cristogramma (vedi dopo nel testo) al VI secolo, riferendo perciò a quest’epoca l’utilizzo cristiano dell’aula.
44 Si veda Bauer – M. Heinzelmann 2001, p. 281-282; cf.: www.ostia-antica.org.
45 Non è chiaro infatti, benché appaia plausibile, se anche altri ambienti intorno a questa sala siano stati riutilizzati, come ambienti di passaggio o di servizio all’aula religiosa. Infatti, vista la localizzazione di questo grande ambiente al centro del complesso termale, risulta del tutto verosimile che almeno uno degli ambienti di passaggio verso l’esterno sia stato adattato alla nuova funzione religiosa, per consentirne l’accesso da una delle strade che circondavano le antiche terme.
46 Va ricordato, infatti, che è difficile comprendere se la situazione archeologica oggi visibile risponda effettivamente a quanto rinvenuto a suo tempo, o se magari, all’epoca degli scavi delle strutture, non vi siano stati sbancamenti e obliterazioni che abbiano alterato i reali collegamenti tra le strutture antiche.
47 Nell’area strettamente absidale, invece, contrariamente a quanto ipotizzato dal Calza (Calza 1949-50/1950-51, p.129), si potrebbe ipotizzare con tutta probabilità che il piano pavimentale non fosse più basso, ma più alto rispetto a quello del resto della sala, come indicato dall’altezza dello spiccato della muratura in opera listata dell’abside, presente al di sopra di una muratura a mattoni di riutilizzo, forse da considerare una sorta di semifondazione. Purtroppo anche l’analisi della muratura dell’abside sul lato esterno, così come risulta oggi sistemato tutto il contesto edilizio, non aiuta a chiarire le reali motivazioni, se statico-strutturali o altro, per le quali fu utilizzata una diversa tipologia muraria nella sua parte più bassa.
48 Nielsen – Schiøler 1980, p. 150-151, E.
49 Nielsen – Schiøler 1980, p. 150, L; in altro studio invece la funzione di apodyterium viene attribuita ad un ambiente più a sud, indicato come H nella planimetria di Nielsen e Schiøler (Calza – Becatti 1971, p. 33).
50 Nielsen – Schiøler 1980, p. 150, fig. 3.
51 Comunque, dallo stato degli studi su questo edificio, non è del tutto chiaro nemmeno quale fosse il suo ingresso originario in epoca imperiale, se dall’ambiente identificato come apodyterium o da una delle stanze accanto. Infatti, quella che dovrebbe essere stata la sua facciata con portico e tabernae risulta stranamente posta su una viabilità secondaria (via delle Terme del Mitra) e non sulla viabilità principale del quartiere (via della Foce), su cui si affacciano invece degli ambienti di cui non è chiaro il collegamento con l’impianto termale.
52 D’altronde, come già detto prima, tale sala risulta del tutto anomala rispetto ad un utilizzo per lo svolgimento del rito cristiano, che probabilmente in questo caso non era rivolto a tutta la comunità ostiense, ma forse solo ad un piccolo gruppo, magari legato ad una visione particolare del culto o ad una sfera privata, famigliare (cfr. Brenk 2001, p. 264). D’altronde non è chiaro nemmeno se l’impianto termale antico avesse carattere pubblico o privato, anche se si ipotizza con maggiore plausibilità il secondo caso (Pavolini 2006, p. 125); sarebbe allora da approfondire se tale impianto fosse collegato ad ambienti abitativi, ad una domus, o altro. Comunque, da quanto risulta dall’evidenza archeologica, questo edificio, forse proprio perché legato ad una committenza privata, risultò in un certo qual modo modesto, se paragonato alla cattedrale costantiniana, e sicuramente privo all’esterno di elementi strutturali riferibili alla sua nuova funzione religiosa, in quanto completamente inserito all’interno degli spazi dell’antico complesso termale.
53 Nielsen – Schiøler 1980, p. 149-152: malgrado in questo studio si sia evidenziata una complessità costruttiva, vengono poi indicate nei particolari due sole fasi principali, quella termale originaria, con ristrutturazioni all’inizio del III secolo (fase evidenziata anche dal Calza: Calza 1949-50/1950-51, p. 129), e quella tarda con l’utilizzo cristiano di alcuni spazi (IV secolo).
54 Calza 1949-50/1950-51, p. 129; Pavolini 2006, p. 126-127.
55 Le modalità di rinvenimento della statua di culto mitraica, spaccata volontariamente in più pezzi, poi gettati in una fogna, hanno giustamente fatto ritenere che ad un culto si sostituì l’altro in modo abbastanza violento e repentino (Pavolini 2006, p. 126-127).
56 Nielsen-Schiøler 1980, fig. 2. Il confronto proposto da Raissa Calza (Calza 1964-1965, p. 240), per il particolare ritrovamento nell’edificio ostiense di due absidi e di un ipotetico dislivello pavimentale (vedi prima nota 47), con la chiesa di S. Maria delle Grazie a Grado, per la cui struttura absidale si è fatto riferimento ad un modello architettonico “siriaco”, non appare pertinente sulla base di un raffronto puntuale tra le due diverse strutture e planimetrie, in particolare mancando a Grado proprio la seconda abside, singolare caratteristica dell’edificio ostiense.
57 Sarebbe auspicabile in un prossimo futuro l’effettuazione di una generale pulizia dell’area, per poter verificare con maggiore precisione tutte le connessioni tra le varie strutture presenti in questo ambiente.
58 Calza 1949-50/1950-51, p. 130, fig. 4; a questo proposito si veda anche Broccoli 1984, p. 51. Anche da un’immagine fotografica conservata negli archivi ostiensi, senza data, ma probabilmente riferibile alla metà del Novecento non sono visibili i pilastrini, evidentemente già rimossi (PaOant, AF, inv. R 3331) (cfr. fig. 7). Comunque questa collocazione dei pilastrini potrebbe effettivamente essere funzionale alla presenza di una struttura di separazione della zona “presbiteriale” dal resto dell’aula al momento del suo utilizzo “cristiano”.
59 Calza 1964-1965, p. 239-242, fig. 50, 50a: i due pilastrini decorati (inv. 1280-1280a) vengono datati da Raissa Calza al V secolo per il tipo di croce monogrammatica, mentre il Brenk (Brenk 2001, p. 264) li data al VI secolo.
60 Molto famoso è quello della basilica di S. Sergio a Resafa. Le due colonnine, ancor oggi presenti nel caso ostiense, potrebbero forse essere riferibili ad una specie di ciborio, secondo quanto attestato nei bema siriaci.
61 Coquin, 1965; Testini 1958, p. 578-595); Tchalenko 1990; Loosley 2012.
62 Calza 1964-1965, p. 242-249, fig. 51 e 53; Pani Ermini 1978, p. 89-117; in ultimo Agnoli 2001, p. 437-438: difficile dire se il manufatto più antico fu importato (forse da Costantinopoli) o se fu realizzato in Ostia da un artista orientale.
63 Per il ritrovamento dell’iscrizione si veda anche supra, nota 8. La probabile dedicazione a S. Ciriaco è in realtà concretamente ipotizzabile da quanto indicato nel documento medievale riguardante la traslazione della tomba di S. Monica (vedi oltre nel testo).
64 Il Decumano, per quanto in parte invaso sul lato nord dalla stessa costruzione dell’oratorio, doveva comunque rimanere una viabilità in epoca postantica ancora transitabile, ovviamente ad una quota più alta rispetto al basolato romano, come indicato dal livello del pozzo «medievale», costruito al centro della strada più ad est, all’incrocio con via dei Vigili. Il Vaglieri mette in relazione la quota dell’edificio di S. Ciriaco con la quota di questo pozzo e di un altro non più esistente (Vaglieri 1909, p. 328 e 411 e pianta allegata – indicati con lettera e; Vaglieri 1910d, p. 139 nota 4).
65 Vaglieri 1910c, p. 95; Vaglieri 1910d, p. 139: lo strato di riempimento aveva un’altezza 0,75 metri dal piano stradale antico.
66 Il Vaglieri propose una datazione al VI-VIII secolo (Vaglieri 1910c, p. 137); il Calza al VI o VII secolo 1949-50/1950-51, p. 124; il Février al V secolo (Février 1958, p. 303); il Meiggs attribuiva l’edificio all’Altomedioevo (Meiggs 1960, p. 391); più di recente la struttura è stata datata nuovamente al VII-VIII secolo (Bedello Tata – Spada – Belfiore 2000, p. 45), ma anche alla fine IV- prima metà V secolo, con continuità di utilizzo nei secoli succesivi del Medioevo (Pavolini 2006, p. 67).
67 Paroli 1993, p.168: tale datazione è stata precisata grazie ai confronti istituiti tra la struttura muraria, con blocchi di tufo nella fondazioni e paramento laterizio nell’elevato, e le fasi murarie relative a restauri altomedioevali delle mura portuensi e le mura leonine romane; un confronto per il paramento esterno dell’abside, definito dalla Paroli in opera listata, è stato istituito con la muratura di restauro altomedioevale evidenziata nel muro sud originario della basilica di Pianabella, costruita in periodo paleocristiano nel suburbio meridionale di Ostia. In realtà, vista la scarsa altezza conservata dell’alzato dell’abside è molto difficile dire se l’esterno fosse effettivamente realizzato con un paramento in opera listata o se viceversa i tufi conservati non fossero presenti soltanto nella parte più bassa del muro, che poi avrebbe potuto continuare nell’alzato con un paramento in soli mattoni, come sulla faccia interna.
68 Paroli 1993, p. 168.
69 Sul lato interno della struttura rimangono anche labili tracce di intonaco bianco di rivestimento, probabilmente da riferirsi all’epoca originaria della costruzione.
70 Gibson – Ward-Perkins 1979, p. 30-57; Gibson – Ward-Perkins 1983, p. 224-225; Coates Stephens 1999; Esposito 2013, p. 83-84 e 87.
71 Paroli 1993, p. 161-163 nota 37 e p. 168-169, fig. 7.
72 Vaglieri 1910d, p. 136; Vaglieri 1914, tav. 4, A.
73 Si veda a questo proposito quanto riportato nella pianta pubblicata dal Vaglieri (Vaglieri 1914, tav. IV) e le strutture visibili nella foto d’archivio relativa agli scavi avvenuti ai primi del Novecento (PaOant, AF, inv. B 1981, a.1911) (cfr. fig. 2).
74 Si veda il cartello turistico attualmente esistente in loco e realizzato nel 2000 con i fondi Giubileo dall’allora Soprintendenza Archeologica di Ostia, insieme ad un depliant turistico sulla II Regione, pubblicato sotto la direzione scientifica di M. Bedello Tata, che realizzò anche i testi insieme a L. Spada e C. Belfiore (Bedello Tata – Spada – Belfiore 2000, p. 44-45).
75 Da quanto riportato nella planimetria del Vaglieri (Vaglieri 1914, tav. IV, A), il tratto murario a mattoni potrebbe in realtà aver fatto parte di una serie di strutture più antiche, costruite sull’angolo orientale tra via delle Corporazioni e il Decumano e lungo il fronte settentrionale dello stesso Decumano, in continuazione ed in avanzamento sulla strada principale rispetto al Portico di Nettuno. Ai resti di questa muratura si sarebbe venuta ad appoggiare la fondazione sicuramente altomedioevale in cementizio che inglobò la tomba a cassetta fittile.
76 Forse questi diversi momenti costruttivi potrebbero essere dovuti ad una precarietà strutturale della costruzione, realizzata con materiale di spoglio, sfruttando murature precedenti.
77 La stessa storia della traslazione nel XII secolo delle reliquie di S. Monica, madre di S. Agostino (Historia translationis reliquiarum Aroasiam, auctore Wallero canonico regulari aroasiensi) era riportata, insieme alla più recente traslazione avvenuta sotto il pontificato di Martino V, in un manoscritto del XV secolo conservato nel monastero di Böddeken, nella diocesi di Paderborn in Westfalia, e trascritto dal bollandista Joan Gamans (1606-1684) («Ex MS. Bodecensis monasterii in Westphalia erutam a Joanne Gamansio nostro»: Acta Sanctorum, Mai 1, p. 486-496). Non essendo mai stata edita la copia trecentesca, finora non era stato possibile verificare se quanto riportato nel documento del XV secolo corrispondesse al manoscritto trecentesco. Da quanto è stato possibile verificare preliminarmente da un confronto tra i due testi, sembrerebbe potersi confermare una certa precisa corrispondenza.
78 Il manoscritto si trova nella Bibliothèque nationale de France di Parigi, nella Collezione della Bibliothèque de l’Arsenal, Anciens fonds, manuscrit latin 251, Extraits de saint Augustin, et documents sur saint Augustin (ms. XIV secolo in latino, francese), all’interno di una serie di documenti medievali del XIV secolo inerenti scritti religiosi riguardanti S. Agostino. Il manoscritto latino, composto da Jourdain de Quedlimbourg (predicatore agostiniano morto nel 1380: Armogathe 2010), riporta la storia scritta nel XII secolo da un Walterus Gautier, abbate d’Arrouaise nel nord-est della Francia, in cui veniva raccontata la traslazione del corpo di «Monice» (chiamata anche «Prima») avvenuta ad Ostia. Ringrazio mia nipote Marta Falessi e Erwan Salomon per aver potuto fare per me copia dell’intero documento, grazie alla cortese disponibilità del personale della Biblioteca Nazionale di Parigi.
79 Padre Casamassa doveva trovarsi evidentemente a Parigi per ricerche archivistiche su S. Agostino e S. Monica, tra i suoi principali argomenti di studio. Per caso probabilmente si imbattè in una serie di documenti medievali del XIV secolo riguardanti S. Agostino, tra cui anche il manoscritto latino con la storia del ritrovamento e della traslazione del corpo di S. Monica e il ricordo della chiesa di S. Ciriaco.
80 Becatti 1953, p.162 e nota 12: il documento viene indicato come “Parigi, Cod.Arsenale 251, sec.XIV.
81 Parigi, Bibliothèque nationale de France, Bibliothèque de l’Arsenal, Anciens fonds, manuscrit latin 251, Extraits de saint Augustin, et documents sur saint Augustin, 12o (f.89). Walteri «descripcio translacionis sancte Prime vel Monice», cum prefatione, f.93v.
82 Ivi, f.93r: dal racconto risulta chiaro che in epoca pienamente medievale non si conoscesse ancora l’esatta localizzazione della tomba di Monica, come riferito a Walterus dai canonici della chiesa di S. Aurea discorrendo nel portico della chiesa dopo la sua presunta scoperta («Nonne mater S. Agustini hic sepulta fuit? Cui unus eorum respondit: Non hic (cioè non presso la chiesa di S. Aurea) sed in antiqua Ostia…». A questo proposito è da ricordare che fu il Casamassa a dare notizia del rinvenimento nel 1945 nel giardino presso la chiesa di S. Aurea di parte dell’iscrizione funeraria in versi della sepoltura di S. Monica, riutilizzata come parziale copertura di uno dei sarcofagi ritrovati nell’area intorno alla chiesa e riferibili con tutta probabilità ad epoca pienamente medievale dalla sintetica descrizione di scavo (Casamassa 1951-1954; PaOAnt, AS, Giornale di scavo 1950, vol.29, p.72-94 riportato in: Pannuzi et al. 2006a, p. 315-317). Malgrado l’iscrizione fosse ancora presente sulla tomba della santa in età altomedioevale, dove fu copiata da un anonimo, senza ulteriori indicazioni circa la localizzazione, e poi tramandata in successivi codici (Anthologia Latina, sive poesis latinae supplementum, 1.140 Carm. 670; a questo proposito si veda in ultimo Boin 2010), è impossibile oggi stabilire dove fosse stata in origine sepolta Monica, se nell’antica necropoli lungo la via Ostiense, dove fu poi costruita la chiesa di S. Aurea, o in un altro contesto funerario ostiense, in quanto nel Medioevo ed oltre il materiale romano usato come reimpiego poteva essere utilizzato anche a grande distanza dalla sua collocazione originaria. A questo proposito Daria Mastrorilli (Mastrorilli 2011) ritiene, senza addurre alcuna evidenza archeologica, che Monica, morta nel 387 in Ostia, fu sepolta dal figlio Agostino con tutta probabilità presso la chiesa di S. Aurea: in realtà non rimane alcun dato storico-archeologico certo su una datazione di tale basilica addirittura al IV secolo, né alcuna fonte alto o pieno medievale che attribuisca a questa basilica la presenza di tale reliquia. Tra l’altro, da quanto descritto nel racconto di Walterus, la tradizione del ritrovamento della tomba ritenuta di Monica risulta nascere proprio in piena età medievale, quando le sue spoglie furono parzialmente trafugate in segreto dallo stesso Walterus per essere portate ad Arrouaise. Poi, una presunta sepoltura di Monica nel Quattrocento sarebbe stata oggetto di una nuova invenzione sotto l’altare della basilica di S. Aurea insieme ad altri supposti corpi di martiri, da parte di monaci agostiniani, che traslarono tali spoglie prima nella chiesa romana di S. Trifone e poi nella vicina chiesa di S. Agostino (Mastrorilli 2011, p. 123-125; Ronzani – Sciberras 2014, p. 21-27). Nessun collegamento sembra esserci stato per secoli, perciò, tra la frammentaria iscrizione tombale riutilizzata nella necropoli medievale venutasi a svilupparsi intorno alla chiesa di S. Aurea e il culto della santa, fino alla scoperta effettuata nel 1945.
83 Ivi, f. 94r.: l’indicazione riportata nel racconto medievale circa la localizzazione di questa presunta tomba della santa fa ipotizzare che potesse trovarsi tra i resti della necropoli orientale/sud-orientale della città antica, ad alcune centinaia di metri di distanza dal borgo medievale (2 stadi = circa 370 m) (a questo proposito si veda anche Mastrorilli 2007, p. 338). Il riferimento «in antiqua Ostia» non deve essere interpretato perciò come “all’interno” della città romana, ma più genericamente come nell’area delle rovine antiche riferibili sia all’abitato antico che alla necropoli, nel Medioevo visti nella loro totalità come “altro” rispetto al borgo sviluppatosi intorno alla chiesa di S. Aurea.
84 Ivi, f. 93v.
85 LP, II, p. 81-82: il passo si riferisce alla fondazione di Gregoriopoli da parte di papa Gregorio IV (827-844), proprio a causa dell’abbandono della città romana.
86 Tale continuità di vita, seppur limitata, nella città antica è stata spiegata con la persistenza di utilizzo anche ad Ostia della struttura portuale, anche se in modo molto più limitato che a Porto, con una sopravvivenza ancora di rotte commerciali nel medio e basso Tirreno riferibili ad alcune merci, come per esempio il vino, ed una persistenza dall’Antichità della produzione del sale e della sua commercializzazione (Paroli 1996, p. 258-261).
87 Coccia – Paroli 1990a, p. 180-181; Coccia – Paroli 1990b, p. 217; Paroli 1993, p. 160-161 e 170. Le ultime fasi di frequentazione dell’area sarebbero riferibili alla spoliazione dell’edificio, avvenuta nel X-XI secolo.
88 Broccoli 1983, p. 173; Broccoli 1986, p. 90; Broccoli 1988, p. 417-423; Pannuzi 2004, p. 192-198; Pannuzi 2005, p. 176-179.
89 LP, I, p.376: vita di Sergio I (687-701).
90 Paschetto 1912, p. 177-179; Lanzoni 1927, p. 98-101; Episcopo 1980; Broccoli 1984, p. 32-41; Broccoli 1986, p. 80; Pannuzi et al. 2006a, p. 311-318; Mastrorilli 2007; Pannuzi 2014, p. 126-127. In questa zona del suburbio orientale il racconto leggendario sembrerebbe porre la tomba di Aurea (BHL 808-813). Ultimamente è stata proposta una precisa datazione al IV secolo, senza ulteriori indicazioni a sostegno, riportando anche una localizzazione della tomba della santa, non giustificabile da alcun effettivo ritrovamento (De Togni – Melega 2020, p. 16).
91 Pannuzi 2019a, p. 191-198; Pannuzi 2021, p. 100.
92 LP, II, p. 81-82: «…ciuitatem aliam a solo ualde fortissimam, muris quoque altioribus, portis simul ac serris et cataractibus eam unidiqui permuniuit… a proprio quod ei erat nomine, id est Gregorio, Gregoriopoli, vocitetur».
93 Sull’attività dei pontefici in questo periodo in territorio romano e laziale e sulla connotazione di ciuitas come abitato fortificato: Pani Ermini 1992, in particolare p. 518-519; Marazzi 1994.
94 LP, II, p.99: vita di Sergio II (844-847) («ciuitatem quae dicitur Hostia»).
95 Tale intitolazione è indicata chiaramente nel manoscritto del XIV secolo, in cui si narra della traslazione di Prime vel Monice: Parigi, Bibliothèque nationale de France, Bibliothèque de l’Arsenal, Anciens fonds, manuscrit latin 251, Extraits de saint Augustin, et documents sur saint Augustin, 12o (f. 89). Walteri «descripcio translacionis sancte Prime vel Monice», cum prefatione, f. 92 v. Lo stesso testo è riportato anche nella trascrizione di XV secolo del documento medievale: Acta Sanctorum, Mai 1, p. 489 (a questo proposito si veda: Mastorilli 2007, p. 336-338 e nota 76). In precedenza si era ipotizzato che un documento del 1335, in cui è indicata Ostia come sede episcopale, dovesse far riferimento senz’altro a tale chiesa (Tomassetti 1977, p. 341), mentre altre ipotesi presumevano che la chiesa di S. Aurea avesse ricoperto un tale ruolo già nel XII secolo (Nibby 1837, p. 439-430).
96 LP, I, p. 376: viene indicato che papa Sergio I «renouauit» la «basilicam sanctae Aureae in Hostis, quae fuerat distecta uel disrupta».
97 LP, II, p.14: viene specificato in questo caso che Leone III «sarta tecta… reparauit ». Inoltre, papa Leone IV (847-855) vi celebrò una messa prima della battaglia con i saraceni («…ore suo missam ecclesia beatae Auree decantauit…») (LP, II, p. 118).
98 Broccoli 1984, p.40-41; Pannuzi 2008, p. 270 e 273-276. Finora questi materiali non sono stati tenuti in adeguata considerazione, in quanto testimonianza di un’importante fase altomedioevale della chiesa, che potrebbe forse essere collegata proprio alla sua elevazione a cattedrale. A papa Leone III si attribuisce la realizzazione anche dell’arredo liturgico della basilica di S. Ippolito all’Isola Sacra: tutto ciò evidenzia l’interesse papale non solo a livello religioso, ma anche politico, per questo strategico territorio costiero strettamente collegato a Roma attraverso il corso del Tevere.
99 Meiggs 1973, p. 100. Il 1960 è l’anno della prima edizione del suo volume su Ostia.
100 Da ricordare, oltre alle indicazioni fornite nella biografia di Gregorio IV circa la fondazione della cittadella fortificata (LP, II, p. 81-82), anche il restauro e la costruzione di torri da parte di Nicola I (858-867) («Hostiensem urbem…in ruinis iacentem…restaurauit, portisque etiam et turribus fortissimis muniens…») (LP, II, p. 164).
101 Pannuzi 2006b, p. 603-604, fig. 4; Pannuzi 2009, p. 13-15.
102 In questo periodo disastrosi saccheggi e distruzioni avvennero nel territorio da parte dei Saraceni: LP, II, p. 81, 99, 118.
103 Procop., Bell. Goth. 1, 26, (13), p. 421-423: nel momento dell’occupazione di Porto da parte di Vitige, quando le navi romane dovettero ancorarsi al lontano scalo di Anzio, Procopio precisa che i Romani non poterono più rifornirsi di vettovagliamenti per via di mare, se non servendosi proprio della «strada di Ostia», benché disagevole e pericolosa. Ciò vuol dire che, nonostante la cattiva manutenzione, la strada era senz’altro ancora percorribile, come poi verrà testimoniato dalla cartografia rinascimentale, che indicherà sempre con grande precisione questo tracciato viario, che con tutta evidenza non fu mai del tutto abbandonato.
104 A fronte di tutto quanto prima analizzato nel testo (vedi supra nel testo), anche per l’oratorio di S. Ciriaco nell’antica area urbana può notarsi lo stesso tipo di fenomeno legato al ricordo martiriale.
105 Riguardo all’ipotetica esistenza in antico nel territorio di Ostia di un’altra basilica martiriale, dedicata al martire Asterio, si veda: Pannuzi 2006a, p. 369.
106 PaOant, AD, pianta e sezioni inv.7972, M. Merelli a. 1987.
107 La basilica di Pianabella e la chiesa di S. Ercolano erano senz’altro edifici a navata unica, mentre l’originaria basilica di S. Aurea, di orientamento opposto all’attuale, secondo quanto rinvenuto negli scavi del secolo scorso, sembrerebbe aver presentato tre navate, come la cattedrale costantiniana.
108 Per la basilica di Pianabella: Coccia – Paroli 1990a, p. 178-179, fig. 1; Coccia – Paroli 1990b, p. 214, fig. 1-2; Paroli 1993, p. 159-169; per la basilica di S. Aurea: Episcopo 1980, p. 228 e 231, fig. 1-2; si veda anche il rilievo planimetrico conservato in PaOant, AD, inv. 9333, dis. V. Mannucci, B. Menichelli (Pannuzi 2006a, p. 374, fig. 4).
109 Pergola 1990, p. 174, fig. 3-4; Loreti 1990, p. 83, fig. 3-40; Pannuzi – Cenciotti 2007b; Pannuzi 2008, p. 254-256, fig. 2-3.
110 Paroli 1993, p. 159. La costruzione dell’edificio viene riferita inizialmente intorno alla fine del IV secolo e poi più precisamente agli inizi del V secolo: Coccia – Paroli 1990, p. 177-178; Paroli 1993, p. 155, Paroli 1999, p. 26.
111 Pannuzi 2006a, p. 371: l’abside della chiesa è visibile da una botola moderna presente sull’attuale sagrato d’ingresso alla chiesa rinascimentale: da notare che il paramento murario risulta molto regolare e che i tufelli presentano tutti una forma quadrangolare (forse di spoglio da un antico edificio in opera reticolata), invece che rettangolare, come più comunemente attestato nell’opera listata tardoantica e come per esempio visibile nell’abside dell’edificio cristiano delle Terme del Mitra. Inoltre, nella muratura dell’abside della chiesa di S. Aurea si nota anche la presenza di letti di malta molto alti.
112 Episcopo 1980, p. 228. Il Broccoli propone senz’altro una datazione tardoantica per i resti di questo primitivo edificio (Broccoli 1984, p. 40); per una ricapitolazione sul problema della datazione della fase costruttiva originaria della chiesa di S. Aurea: Pannuzi 2006a, p. 370-373. L’analisi di alcune immagini fotografiche conservate nell’Archivio ostiense, effettuata alcuni anni fa, purtroppo non ha portato ad ulteriori utili precisazioni circa il problema della datazione dell’edificio (Mastrorilli 2007).
113 In una analisi preliminare della stratigrafia di queste murature è stata indicata come USM 9: Pannuzi 2009a, p. 446, fig. 5.
114 Pannuzi 2009a, p. 446, fig. 5: nello studio preliminare effettuato su queste murature questa muratura è stata indicata come USM 12 e riferita all’Altomedioevo, per la sua modalità costruttiva e per la posizione stratigrafica. Questa tipologia muraria è stata riconosciuta anche in altre murature conservate in ambito ostiense (per es. mura del borgo) (vedi prima nel testo).
115 Pannuzi 2009a, p. 447, fig. 5: si veda USM 26.
116 Pannuzi 2008, p. 271, fig. 11: il frammento di pilastrino presenta la tipica decorazione con una treccia di nastro vimineo a tre capi, caratteristica della scultura altomedioevale della prima metà del IX secolo.
117 Heinzelmann 1998, fig. 1.
118 Bradford 1957, p. 242-248.
119 Coccia – Paroli 1990a, p. 181; Paroli 1993, p. 166.
120 Pannuzi 2012, p. 95-96; Pannuzi 2019a, p. 195-196; Pannuzi 2021, con bibliografia precedente e riferimenti d’archivio. Questa strada romana è con tutta probabilità da considerare il tracciato assunto dalla via Ostiense dopo l’allargamento dell’ansa fluviale verso sud, che mise fuori uso l’originario tracciato rettilineo dell’asse stradale verso Porta Romana. Oltre questo basolato, va ricordato che anche altre tracce di basolati romani, con superiori livelli di battuto, sono stati messi in luce sotto i piani stradali del borgo, evidenziando una continuità d’uso delle strutture antiche fino alla ricostruzione quattrocentesca dell’abitato da parte del cardinal D’Estouteville, a cui è da riferire l’attuale fase architettonico-urbanistica dell’abitato.
121 La scala della planimetria dell’Heinzelmann (Heinzelmann 1998, fig. 1) non consente di verificare con precisione l’effettivo posizionamento della chiesa rispetto alla presunta strada, in quanto tale edificio non viene praticamente indicato. Da quanto graficamente proposto sembrerebbe però che, in modo del tutto inverosimile vista la continuità insediativa del territorio, la chiesa sia stata quasi costruita sopra la strada antica, oppure con le spalle ad essa.
122 Per questi sepolcri: Pannuzi – Carbonara 2007, p. 8; Pannuzi 2008, p. 256, fig. 2.
123 Pannuzi – Cenciotti 2007b, fig. 1: lo scavo preventivo è avvenuto per il passaggio di un grosso cavidotto Acea ed ha portato alla scoperta delle strutture funerarie indicate con i nn. 25, 26, 27.
124 Pannuzi 2009a, p. 445-446, fig. 5: i basoli sono presenti sul lato sud nella fase muraria individuata come USM 8, che va ad appoggiarsi direttamente ad un muro romano in laterizio riferibile alla sottostante necropoli; nella parete perimetrale nord della chiesa, una analoga muratura, caratterizzata dalla presenza di frammenti di basoli (USM 34), si appoggia ad un tratto murario più antico in laterizio (USM 35).
125 Questo tracciato verrebbe poi a raccordarsi con quello rinvenuto più a nord nel 2005, all’interno di un altro cantiere preventivo Acea lungo l’attuale via Gesualdo, subito a est dell’antico acquedotto romano, poi inglobato nelle mura del borgo medievale; tale percorso stradale, con rialzamenti di quota dovuti con tutta probabilità a fenomeni alluvionali, avrebbe avuto una continuità di utilizzo anche in epoca rinascimentale fino ad età contemporanea (Pannuzi et al. 2006b, p. 206-207, fig. 26; Pannuzi 2021, p. 103).
126 Coccia – Paroli 1990a, p. 177; Coccia – Paroli 1990b, p. 214.
127 Si può immaginare che in continuazione a questi setti murari vi fossero una serie di plutei o transenne a chiusura completa del presbiterio dalla navata.
128 Pannuzi 2008, fig. 5. Per la chiesa di S.Ercolano è interessante ricordare anche il rinvenimento, pochi anni fa, di una particolare struttura riferibile ad un contesto funerario di età imperiale (serie di formae): una vasca quadrangolare connessa ad un pozzo, sicuramente utilizzata in una fase originaria per riti funerari. La vasca però presenta una interessante continuità d’uso in epoca successiva, presumibilmente tardoantica, per la realizzazione di un gradino o un sedile realizzato con marmi architettonici di riutilizzo. Questa nuova sistemazione potrebbe indurre in ipotesi suggestive circa la funzione della vasca (uso battesimale), anche se molto più plausibilmente può suggerirsi un utilizzo come fontana e lavacro per i fedeli, strutture spesso testimoniate presso luoghi di culto cristiani in epoca tardoantica e altomedievale (per i riferimenti bibliografici a questo proposito si rimanda a Pannuzi 2008, p. 262, nota 37).
129 Pannuzi et al. 2006, p. 322-323, fig. 7. All’epoca dello scavo purtroppo, per motivi di sicurezza del cantiere, non è stato possibile verificare l’ipotetica esistenza di una fase più antica.
130 Per questa indicazione si veda il manoscritto del XIV secolo: Parigi, Bibliothèque nationale de France, Bibliothèque de l’Arsenal, Anciens fonds, manuscrit latin 251, Extraits de saint Augustin, et documents sur saint Augustin, 12o (f. 89). Walteri «descripcio translacionis sancte Prime vel Monice», cum prefatione, f. 92 v. La presenza di un portico è riportata anche nella trascrizione di XV secolo del documento medievale: Acta Sanctorum, Mai 1, p.489.
Auteurs
MIC, Istituto Centrale per il Restauro – simona.pannuzi[@]cultura.gov.it
Collaboratore archeologo del Parco Archeologico di Ostia Antica – andreacarbonara[@]tiscali.it
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