Aspetti della scultura ostiense alla luce di recenti indagini archeometriche
p. 129-154
Résumés
51 sculture provenienti da Ostia antica sono state sottoposte ad analisi archeometriche per poter determinare l’esatta provenienza dei marmi impiegati. Le statue, distinte per ritrattistica imperiale e privata, ritratti di filosofi greci, statuaria maggiore e di arredo, offrono un primo ampio panorama di approfondimento capace di chiarire aspetti riguardanti gli scultori e gli artisti coinvolti, gli allestimenti e le datazioni. L’uso di marmi differenti nella scultura, come anche nell’architettura, non è mai casuale e riflette sempre, tranne diverse eccezioni che devono essere approfondite e comprese, gli stretti legami esistenti tra committenza, botteghe di produzione e le qualità dei marmi impiegati.
51 sculptures from Ostia were submitted to archaeometrical analyzes in order to determine the exact origin of the employed marbles. The statues, distinguished by imperial and private portraits, portraits of Greek philosophers, major statues and smaller ones, offer a first broad panorama of in-depth analysis able to clarify aspects concerning sculptors and artists, layouts and chronologies. The use of different marbles in sculpture, as well as in architecture, is never left to chance and always reflects, with several exceptions that must be deepened and understood, the close links existing between clients, production ateliers and the employed marble qualities.
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Keywords : Ostia, sculpture, marbles, archeometric analyses, marbles origin
Parole chiave : Ostia, scultura, marmi, analisi archeometriche, origine dei marmi
Texte intégral
1La scultura antica è intimamente legata al materiale impiegato, il marmo, che spesso può offrire per la sua provenienza inediti spunti di approfondimento e di studio riguardanti produzioni, maestranze, botteghe e scultori e può, alle volte, definire anche specifici ambiti cronologici di riferimento. Il panorama dei marmi bianchi scultorei utilizzati durante l’antichità romana sembrava fondarsi sino ad alcuni anni fa su esaurienti e dettagliate conoscenze delle rispettive fonti di approvvigionamento. Tuttavia, a quelli di origine greca, quali il pentelico, il pario di Marathi (lychnites) e Chorodaki, il tasio di Aliki o di Capo Vathy, e agli altri di provenienza microasiatica, come il proconnesio, il docimeno, l’efesio o l’afrodisiense, se ne è aggiunto un altro, ignoto fino ad una decina di anni fa, le cui cave sono state individuate nell’antica Caria presso l’attuale villaggio di Göktepe in provincia di Muğla1, non lontano da Aphrodisias, centro rinomato nell’antichità per la sua tradizione e produzione scultorea. Nel distretto estrattivo di Göktepe si cavava non solo un marmo bianco statuario di altissima qualità, ma anche uno nero, non meno pregiato del precedente, oltre ad una varietà bicroma bianca e nera impiegata anche essa, come le altre, per la scultura. Soprattutto quello candido si è rivelato essere uno dei marmi bianchi statuari più diffusi in epoca imperiale a partire dal periodo traianeo, impiegato per opere scultoree di altissima committenza. La fortissima similitudine macroscopica e analitica con il marmo di Carrara, anch'esso a grana fine, ha determinato purtroppo negli anni una inesatta identificazione del marmo di molte sculture, erroneamente attribuite al lunense invece che all’asiatico afrodisiense di Göktepe.
2Il presente studio si pone nel filone delle indagini archeologiche e archeometriche condotte ormai da diversi anni non solo sulle cave di origine dei marmi statuari, ma anche su manufatti esemplificativi di particolari tematiche, quali, ad esempio, la ritrattistica imperiale2, o di particolari ambiti geografici. In quest’ultimo caso l’analisi si è focalizzata su importanti contesti scultorei urbani3 e provinciali, quali Atene, Aphrodisias4, Leptis Magna5, Cherchel6 e Chiragan7.
3I manufatti, oggetto del presente approfondimento, sono stati sottoposti ad analisi archeometriche degli isotopi stabili dell’ossigeno (δ18O) e del carbonio (δ13C), all’individuazione delle tracce dello stronzio (Sr), del manganese (Mn) e del ferro (Fe), alla spettroscopia EPR e, infine, alla definizione della grana dei litotipi impiegati (MGS, maximum grain size). I dati ottenuti sono stati confrontati con la banca dati di riferimento, basata su una vastissima campionatura delle più importanti cave di marmi bianchi del mondo antico per un totale di circa 1.500 campioni, in modo da poter determinare su base scientifica l’esatta origine dei marmi impiegati per la scultura ostiense in esame8.
I marmi bianchi della scultura romana
4Diversi erano i marmi statuari dell’antichità romana e tra questi ancora oggi per il vasto pubblico il più conosciuto è, senza alcun dubbio, la lychnites dell’isola di Paros in Grecia, cavato alla luce delle torce nelle gallerie sotterranee nella valle di Marathi, come ricorda Plinio nella Naturalis Historia9. La fortuna di questo marmo, noto anche come Paros I, doveva essere determinata certamente dalle sue caratteristiche morfologiche, la grana media, ma soprattutto la traslucenza, che conferiva al suo bianco una particolare tonalità calda. Cavato però in blocchi al massimo di medie dimensioni10 non consentiva la realizzazione di statue eccezionalmente grandi, per cui il suo uso privilegiato era destinato a teste ritratto d’inserimento, busti o sculture di dimensioni minori. A fianco di questa qualità pregiatissima, se ne cavava un’altra sempre a Paros, da considerare però come un marmo pario di seconda scelta che era presente anche nelle gallerie sotterrane di Marathi, ma che caratterizzava nella sua totalità il distretto nella valle di Chorodaki, situato a poca distanza dal precedente. Questo marmo, conosciuto meglio come Paros II, era qualitativamente inferiore alla rinomata lychnites, sempre a grana media, bianco con striature grigiastre e non traslucente e spesso macroscopicamente ed analiticamente non distinguibile dagli asiatici proconnesio e afrodisiense. Dall’Attica, come è noto, proveniva il pentelico, cavato poco lontano da Atene sulle pendici occidentali dell’omonimo monte, e destinato non solo alla grande architettura di Atene e di Roma, ma anche alla produzione scultorea di grandi, medie e piccole dimensioni e di teste ritratto, a cui bene si addiceva questo marmo a grana fine, caratterizzato però alle volte dalla presenza di sottili venature micacee. Sempre dalla Grecia insulare provenivano il marmo tasio dolomitico, caratterizzato da un bianco candido, cristalli medi e brillanti, cavato presso Capo Vathy e dintorni lungo la costa nord-orientale di Thasos, dove, ad Aliki nella parte sud-orientale dell’isola, si estraeva, invece, fino alla piena epoca bizantina un marmo a grana media, bianco grigiastro utilizzato prevalentemente per la produzione di elementi architettonici. Per scopi simili era utilizzato principalmente anche il marmo proconnesio, un marmo a cristalli medi e di colore tendenzialmente grigiastro, estratto in Asia Minore presso Saraylar lungo la costa settentrionale dell’isola di Marmara, che alle volte, più raramente e a seconda di particolari necessità dimensionali, poteva trovare anche un impiego nella statuaria. Un marmo macroscopicamente simile proveniva dalle cosiddette cave di città di Afrodisia, usato localmente non solo per l’architettura ma anche per una vastissima produzione scultorea, mentre in ambito urbano il suo uso sembrerebbe intimamente legato a botteghe o scultori afrodisiensi, o asiatici in senso lato, che dovevano farne uso in modo puntuale per la loro produzione artistica. A circa 40 km a sud di Afrodisia erano le cave di Göktepe. Scoperte solo recentemente (2006) producevano un marmo a grana fine particolarmente adatto non solo alla ritrattistica, ma molto apprezzato anche per la statuaria minore d’arredo, per cui si utilizzava anche la sua varietà nera, oltre che quella bicroma bianca e nera. Dalle cave di Docimium in Frigia proveniva il famoso pavonazzetto, usato in architettura o per le statue di barbari prigionieri nella sua qualità brecciata, mentre la varietà monocromatica bianca, dai toni caldi e sempre a grana fine, fu usata frequentemente per importanti creazioni di gruppi scultorei11 nonché per la ritrattistica di alto rango. Infine, ricordiamo il marmo italico per eccellenza, il lunense, cavato nelle Alpi Apuane sin dalla tarda età repubblicana e che ha caratterizzato l’architettura urbana e ostiense di epoca augustea, ma che ha trovato un largo impiego anche nella scultura a partire dalla primissima età imperiale. Si tratta di un marmo bianco a grana fine cavato nei bacini di Colonnata, Miseglia e Torano, dove, tra l’altro, come ci ricorda sempre Plini12, fu cavato probabilmente in località Polvaccio il migliore statuario delle Apuane. La scoperta del marmo di Göktepe e la corretta riassegnazione di molte sculture il cui marmo era stato identificato precedentemente come lunense, ha consentito di circoscrivere meglio l’uso del marmo di Luni nella ritrattistica e nella statuaria della prima e media età imperiale, e rilevarne un impiego quantitativamente minore rispetto ad altri marmi bianchi di origine greca o asiatica13.
Marmi bianchi della scultura e della ritrattistica ostiense
5La recente disponibilità da parte della Direzione del Parco Archeologico di Ostia Antica ha consentito di esaminare un cospicuo gruppo di sculture conservate nel Museo degli Scavi14, a cui se ne affiancano altre, ora nel Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo alle Terme (tab. 1, cat. 2, 3, 12, 17, 19, 22, 25, 29), sempre di provenienza ostiense. La scelta delle sculture da sottoporre a prelievo e ad analisi archeometriche ha seguito criteri tipologici e di contesto cercando di costituire raggruppamenti rappresentativi sia dal punto di vista tipologico, che qualitativo, quantitativo e cronologico. Su un totale di 51 manufatti esaminati prevale, con 29 sculture, la ritrattistica imperiale o di alto rango (fig. 1-4; tab. 1, cat. 1-29), seguita dalla scultura di medie e grandi dimensioni con 10 esemplari (fig. 6; tab. 1, cat. 35-44), statue di arredo di piccole dimensioni per un totale di 7 opere (fig. 7; tab. 1, cat. 45-51), per concludere con le teste-ritratto di filosofi greci e di un principe ellenistico in numero di 5 (fig. 5; tab. 1, cat. 30-34), tutte sculture databili tra la fine del II sec. a.C. e il V secolo d.C. e che offrono nel loro insieme un primo ampio panorama qualitativo della scultura ostiense.
La ritrattistica imperiale e di alta committenza
629 sono le sculture di questo gruppo (fig. 1-4; tab. 1, cat. 1-29) che coprono un arco cronologico di cinque secoli, dalla tarda età repubblicana con il ritratto di Augusto dalla Via dei Vigili (fig. 2.b; tab. 1, cat. 6) al V secolo con il ritratto virile dal Decumano presso la Via dei Molini (fig. 2.e; tab. 1, cat. 26). Prevale con ben 12 attestazioni il marmo bianco di Göktepe (fig. 1.a-l; tab. 1, cat. 3, 7, 10-13, 15, 16, 21, 24, 25, 28), seguito dal lunense (fig. 2.a-f; tab. 1, cat. 5, 6, 8, 14, 25, 9) e dal paros lichnite (fig. 3.a-f; tab. 1, cat. 7, 9, 17, 19, 23, 27) testimoniati rispettivamente da 6 ritratti; 2 sono i ritratti sia in tasio di Capo Vathy (fig. 4.a-b; tab. 1, cat. 1, 20) che in docimio (fig. 4.c-d; tab. 1, cat. 4, 18), mentre il pentelico è rappresentato solo da un singolo ritratto (fig. 4.e; tab. 1, cat. 22).
Dall’età augustea all’epoca flavia: la lychnite di Paros, il lunense e il pentelico
7Dal punto di vista cronologico i ritratti ostiensi rispecchiano quanto già riscontrato in ambito urbano con una prevalenza della lychnites di Paros in epoca augustea – giulio claudia, per cui si rimanda al ritratto virile dalla domus di Apuleio (fig. 3.f; tab. 1, cat. 27), a quello di Agrippina Minore (fig. 3.a; tab. 1, cat. 2) e alla testa di Domiziano (fig. 3.b; tab. 1, cat. 9), quest’ultima rinvenuta nella tomba di Julia Procula all’Isola Sacra. In lunense è la testa di Augusto (fig. 2.b; tab. 1, cat. 6), forse una testa da inserimento per una statua capite uelato15, ritenuta da alcuni un’opera lavorata a Ostia su prototipo urbano16 e che ricorda per impostazione e l’uso del lunense di eccellente qualità la statua dell’Augusto di Via Labicana a Roma17. L’uso sporadico del marmo pentelico è testimoniato dalla grande testa ritratto di Vespasiano (fig. 4.e; tab. 1, cat. 22) forse proveniente dal Campo della Magna Mater, da alcuni considerato però un ritratto rilavorato di Nerone, anche se la parte posteriore più che rilavorata potrebbe non essere stata mai rifinita18.
L’età traianea e adrianea: la comparsa del marmo bianco afrodisiense di Göktepe
8È nei primi decenni del II secolo d.C., nell’età traiano-adrianea, che il marmo di Göktepe irrompe sullo scenario ostiense con due teste-ritratto ideali postume di altissimo livello, quella di Marciana (fig. 1.g; tab. 1, cat. 15), rinvenuta nelle omonime Terme presso Porta Marina, e l’altra del fratello, l’imperatore Traiano (fig. 1.i; tab. 1, cat. 21), recuperata nella bottega del marmista in una delle taberne del teatro19. Le due teste ritratto sono state attribuite al medesimo scultore20, ipotesi che viene ulteriormente corroborata dall’uso dello stesso marmo, quello afrodisiense di Göktepe, il cui apprezzamento e consacrazione viene testimoniato proprio dal suo impiego per il ritratto di Traiano, ritenuto da molti, non solo il miglior ritratto ideale dell’imperatore, ma addirittura un’eccellenza della ritrattistica romana21. L’aspetto compatto delle superfici levigate del volto, con tonalità simili all’avorio è molto probabilmente la caratteristica che determina la fortuna e l’impiego del marmo statuario di Göktepe per opere scultoree di altissima qualità e committenza. Queste caratteristiche esaltano anche il busto ritratto virile di un ignoto personaggio (fig. 1.l; cat. tab. 1, cat. 28) rinvenuto nelle Terme della Basilica Cristiana e dove il contrasto chiaroscurale pone in netto contrasto le superfici lisce e levigate del busto e del volto con quelle della folta capigliatura e della barba. Persiste l’uso della lychnites di Paros, come attestato dal ritratto di Plotina (fig. 3.c; tab. 1, cat. 17), dal Frigidario delle Terme di Nettuno, ritenuto un’opera di produzione urbana22, che spesso viene posta in stretta connessione con i due ritratti imperiali precedenti23. Tuttavia, l’uso del marmo di Göktepe sembrerebbe legare maggiormente i ritratti di Traiano e di Marciana, simili anche dal punto di vista stilistico, distinguendoli da quella di Plotina in marmo pario e separandoli anche nella loro collocazione originaria.
L’età antonina: l’uso predominante dei marmi asiatici
9Maggiore è il numero dei ritratti di epoca antonina, rispetto agli altri periodi presi in esame. Sono complessivamente 12, tra cui prevalgono i marmi asiatici, quello di Göktepe, in assoluto il più rappresentato con 5 ritratti (fig. 1.b-c, f, j-k; tab. 1, cat. 7, 10, 13, 24, 25), accompagnato da un singolo esemplare in marmo bianco di docimeno (fig. 4.c; tab. 1, cat. 4), seguito da tre in marmi greci, uno in lychnites di Paros (fig. 3.e; tab. 1, cat. 23), due in marmo tasio di Capo Vathy (fig. 4.a-b; tab. 1, cat. 1, 20) e da tre in lunense (fig. 2.a, c, d; tab. 1, cat. 5, 8, 14).
10Nella prima età antonina spicca la testa di Faustina Maggiore dalla calcara delle Terme dei Cisiari (fig. 1.c; tab. 1, cat. 10), realizzata in marmo di Göktepe, come altre due teste della moglie di Antonino Pio provenienti da Roma e dintorni24, ed è ritenuto uno dei migliori ritratti dell’imperatrice, forse postumo, esaltato dalla levigatezza del volto in contrasto con la superficie mossa dei capelli25. Di particolare interesse sono inoltre le due teste ritratto di Adriano e Traiano (fig. 4.a-b; tab. 1, cat. 1, 20), rinvenute assieme ad altri elementi scultorei nella calcara del Caseggiato del Serapide26. Considerate sculture di scarsa qualità artistica realizzate dal medesimo scultore27, forse di origine tasia, come suggerito da John Herrmann28, per cui l’uso del marmo tasio insulare non appare quindi affatto casuale. Nella media età antonina prevale ancora il Göktepe (fig. 1.b, f, j; tab. 1, cat. 7, 13, 24), tra cui spicca non solo il ritratto femminile (fig. 1.j; tab. 1, 24), dalla vigorosa espressività esaltata dalla qualità marmorea, ma anche il busto ritratto di Volcacius Myropnous dalla necropoli dell’Isola Sacra (fig. 3.e; tab. 1, cat. 23), considerato tra i più apprezzati esempi di arte antonina, realizzato da uno scultore di origine asiatica29, ma per il quale è impiegato sorprendentemente la lichnite di Paros e non il marmo afrodisiense dalle cave di città che sarebbe più affine alla supposta provenienza dell’artista. Un caso simile è rappresentato dal ritratto attribuito ad Annia Cornificia (fig. 4.c; tab. 1, cat. 4), rinvenuto reimpiegato in una muratura delle Terme del Foro e per cui venne utilizzato il marmo bianco dalle cave di Docimium, che proprio in epoca antonina sembra affermarsi nella ritrattistica imperiale30. Tuttavia, in questo caso specifico, l’uso del marmo frigio docimeno sembrerebbe porsi in contrasto con l’ipotesi che attribuirebbe la produzione di questa testa ritratto ad una bottega urbana di tradizione attica31, per cui si sarebbe atteso l’impiego se non del pentelico32, quanto meno di un altro marmo greco insulare. Infine, il lunense è attestato in tutto il periodo con due opere realizzate in un’eccellente qualità di marmo statuario apuano, la testa ritratto di Lucio Vero fanciullo (fig. 2.d; tab. 1, cat. 14) e il busto forse di Crispina (fig. 2.c tab. 1, cat. 8), e una in un Carrara di qualità meno pregiata leggermente grigiastra e venata, il ritratto di Antonino Pio33 (fig. 2.a; tab. 1, cat. 5).
L’età severiana: Göktepe, docimio e lychnites
11Il panorama ostiense, se pur limitato nell’analisi delle sculture considerate per questo periodo in numero di solo 5, conferma quanto già riscontrato per l’ambito urbano, ovvero un persistente uso del marmo bianco afrodisiense di Göktepe. Nello specifico, questo è rappresentato a Ostia da tre teste colossali da inserimento, quelle di Alessandro Severo e Gordiano III (fig. 1.a, e; tab. 1, cat. 3, 12), rinvenute al Piccolo Mercato, e quella di Orbiana (fig. 1.h; tab. 1, cat. 16), dal decumano presso il Teatro, dove era stata riutilizzata come basolo stradale. I due ritratti colossali maschili, frutto di rilavorazioni di ritratti precedenti, «eseguite indubbiamente da uno stesso scultore» (cosi Raissa Calza34), e quello di Orbiana per lo stile e l’identica eccezionale qualità del marmo confermano la predilezione verso questo marmo statuario asiatico a grana fine ancora nel III secolo inoltrato.
12I due busti ritratto di Settimio Severo, dall’Isola Sacra e dalle Terme di Nettuno, rispettivamente in marmo bianco docimeno (fig. 4.d; tab. 1, cat. 18) e lychnites di Paros (fig. 3.d; tab. 1, cat. 19), confermano quanto già riscontrato altrove, ovvero, che per la ritrattistica imperiale di più alto livello, fossero interessate botteghe più accreditate che facevano uso del Göktepe, mentre quelle qualitativamente inferiori impiegassero marmi considerati ormai di seconda scelta o di antica memoria35. Nel primo caso, il busto dall’Isola Sacra (fig. 4.d; tab. 1, cat. 18) è realizzato in docimio bianco, attribuito dal Soechting alla bottega D36 come un busto ritratto da Tolosa, realizzato sempre nel medesimo marmo37. Invece, il busto ritratto loricato dalle Terme di Nettuno (fig. 3.d; tab. 1, cat. 19), più antico cronologicamente del precedente, qualitativamente più elevato, considerato il miglior esemplare del tipo II, il cosiddetto Adoptionstypus, che segue aspetti della tradizione della ritrattistica imperiale del primo II secolo d.C., è stato realizzato forse proprio per questi motivi in marmo pario38.
III e V secolo d.C.: il Göktepe e il lunense da reimpiego
13Quest’ultimo periodo è purtroppo sottorappresentato. Due sculture sono di epoca gallienica, una è in marmo di Göktepe, il busto di “Gallieno” dalla Domus della Fortuna Annonaria (fig. 1.d; tab. 1, cat. 11), l’altra è in lunense, la testa ritratto virile da alcuni ambienti tra il decumano e gli Horrea (fig. 2.f; tab. 1, cat. 29), mentre una terza è ancora in marmo di Luni, un ritratto virile dal decumano presso la Via dei Molini (fig. 2.e; tab. 1, cat. 26). Si può forse solo rilevare che se il busto di “Gallieno” sembra essere scolpito ex novo intenzionalmente nello statuario pregiato di Göktepe, entrambi i ritratti in lunense, ma soprattutto quello tardo del V secolo d.C., nonostante rappresenti un personaggio di alto rango, forse un prefetto della città, con una replica puntuale nei Musei Vaticani39, potrebbero essere stati realizzati con materiale scultoreo di recupero40.
Ritratti di filosofi greci e di un principe ellenistico
14Cinque sono i ritratti di questo gruppo considerati nel presente studio su specifica richiesta della direzione scientifica del Parco Archeologico di Ostia Antica. Si tratta della celebre erma di Temistocle, copia romana da originale del V sec. a.C. (fig. 5.e; tab. 1, cat. 34); di due teste ritratto di Demostene, di cui una del I d.C. dall’Episcopio di Porto, ritenuta la migliore copia dell’originale esposto nell’agora di Atene (fig. 5.b; tab. 1, cat. 31), l’altra, di epoca antonina, proveniente dalla Tenuta Aldobrandini (fig. 5.a; tab. 1., cat. 30), qualitativamente inferiore; dell’Erma di Ippocrate, di periodo traianeo, rinvenuta nella tomba di Julia Procula nella Necropoli dell’Isola Sacra (fig. 5.c; tab. 1, cat. 32); e, infine, della testa del principe ellenistico (fig. 5.d; tab. 1, cat. 33) attribuito al II secolo d.C., proveniente dalla medesima necropoli. Le sculture coprono un arco cronologico tra il I e il II secolo d.C. e evidenziano, per quanto differenti tra loro, che per la loro produzione è stato impiegato unicamente il marmo attico per eccellenza, il pentelico41, scelto probabilmente perché doveva trattarsi del marmo comunemente utilizzato dalle botteghe di tradizione neoattica.
Statuaria maggiore
15La scultura ostiense offrirebbe diversi spunti di approfondimento che qui, per ovvi motivi di opportunità e complessità, sono stati circoscritti solo ad alcune delle opere scultoree rinvenute negli scavi.
16Il torso di Asclepio (fig. 6.a; tab. 1, cat. 36), attribuito alla fine del II sec. a.C., è la scultura più antica considerata ed è realizzata in lichnite di Paros, marmo statuario per eccellenza in quel periodo. Questo marmo insulare veniva estratto in blocchi di medie dimensioni, da qui la necessità di assemblare statue in più elementi distinti, come ben evidente sui fianchi e sul retro della statua in esame. Questo marmo si adattava bene anche alla produzione di statue di medio piccole dimensioni, come testimoniato dalla piccola testa di Afrodite (tab. 1, cat. 35) recentemente rinvenuta negli scavi del sistema fognario lungo il decumano massimo. Anche la sua varietà qualitativamente inferiore, il cosiddetto Paros II, cavata sempre nelle gallerie di Marathi, è qui attestata inaspettatamente nella testa di satirello dalle Terme del Foro (fig. 6.i; tab. 1, cat. 42), in quanto ritenuto opera di scultori afrodisiensi42. Il marmo afrodisiense dalle cave di città, un marmo bianco a grana media, è stato invece riscontrato nelle due sculture provenienti dal ninfeo degli Eroti, copie dell’Eros lisippeo tipo Tespie, ritenute leggermente distinte cronologicamente e qualitativamente, più antico e raffinato l’uno (fig. 6.b; tab. 1, cat. 38), più recente e meno elegante l’altro (fig. 6.c; tab. 1, cat. 39), differenze che hanno indotto a supporle prodotte da due botteghe differenti. Questa ipotesi potrebbe essere riconsiderata alla luce del riscontro analitico del medesimo marmo impiegato per le due statue, prodotte, forse, da una medesima officina, attiva per un lungo periodo e abituata a scolpire il marmo afrodisiense dalle cave di città. Il panorama dei marmi destinati alla statuaria doveva essere ampio e quindi nello specifico riscontriamo la presenza del pentelico per la piccola statua di Vulcano, rinvenuta in una delle gallerie di servizio delle Terme del Mitra (fig. 6.g; tab. 1, cat. 44) e del lunense per la testa di barbaro di una piccola scultura di epoca adrianea (fig. 6.h; tab. 1, cat. 37).
17Vario poteva essere l’uso del marmo per la statuaria maggiore, per la quale determinante doveva essere la possibilità dell’affioramento marmoreo ad essere estratto in blocchi dimensionalmente adatti. Uno di questi marmi era senza alcun dubbio, accanto al pentelico, al lunense e al bianco docimeno, il proconnesio, cavato nel vastissimo distretto dell’isola di Marmara in Asia Minore. Il proconnesio è e rimane, comunque, un marmo prevalentemente architettonico, introdotto a Roma non prima della piena età adrianea, come testimoniato non solo dai grandi complessi monumentali urbani43, ma anche da quelli ostiensi. I grandi monumenti della città, come il Tempio di Roma e Augusto o la Basilica traianea al Foro sono realizzati interamente nel bianco marmo delle Apuane, a differenza del Capitolium, dove buona parte dell’arredo architettonico dell’alzato doveva essere in marmo proconnesio. Ed è questa griglia cronologica a determinare di conseguenza l’inquadramento cronologico della Vittoria di Porta Romana (fig. 6.f; tab. 1, cat. 43), che non può in nessun modo essere riferita alla prima fase tardo repubblicana della principale porta cittadina44, ma che anche con estrema difficoltà sembrerebbe attribuibile al suo rifacimento domizianeo45. Gli sparuti elementi architettonici conservati e in parte riallestiti in situ, attribuiti ad un’officina ostiense, sono in marmo lunense per il primo ordine46, in marmo proconnesio per la partizione dell’attico47. La Minerva alata, rinvenuta ad una certa distanza dalla Porta Romana48, e stata variamente attribuita, sia alla fase originaria tardo repubblicana 49, che a quella flavio-domizianea50 o addirittura a una imperiale più avanzata51, mentre il Meiggs avanza addirittura dubbi sulla sua pertinenza alla porta urbica52. Il riconoscimento del proconnesio come materiale della statua della Minerva rappresenta forse già di per sé un primo elemento cronologico fondamentale, in quanto la sua introduzione e il suo impiego a Roma e a Ostia non è ad oggi conosciuto o documentato prima della piena età adrianea, aspetto che consente di escludere con certezza non solo la datazione tardo repubblicana della statua, ma anche quella domizianea. Parallelamente, significativa è la divisione dell’alzato architettonico in due qualità di marmi differenti, il lunense per quella inferiore e il proconnesio per quella superiore a cui ben si relazionerebbe la Minerva alata, che potrebbe indicare, come nel caso dell’Arco di Tito in summa sacra Via a Roma, realizzato in pentelico nella parte inferiore e in lunense nella parte dell’attico, un’interruzione e una ripresa del cantiere ultimato in un marmo diverso da quello iniziale, forse in un periodo anche di molto successivo53.
18La monumentale statua detta di Massenzio dall’aula absidata c.d. Sede degli Augustali (fig. 6.e; tab. 1, cat. 41), è realizzata in un unico blocco di marmo proconnesio comprensivo di testa, mani e piedi. La scultura, volumetricamente ben distribuita è variamente datata tra l’epoca adrianea e il IV secolo d.C. L’impiego del marmo asiatico, se da un lato non offre purtroppo utili appigli cronologici per la produzione della statua54, dall’altro deve essere stato certamente determinato dalla disponibilità di blocchi dimensionalmente adatti alla realizzazione di una così grande scultura solo parzialmente rilavorata nel volto in epoca tarda. Nel caso della statua di “Massenzio” non sembrerebbe trattarsi nemmeno di un blocco di reimpiego, come risulta invece per la statua di “Fausta”, figlia di Massimiano e moglie di Costantino, rinvenuta nel medesimo contesto e ricavata, senza alcun dubbio, da un elemento di trabeazione reimpiegato per tale scopo55.
19L’Iside di Porto (fig. 6.d; tab. 1, cat. 43) appartiene invece a quel nutrito gruppo di statue in marmo bigio che si possono trovare in diverse città del mondo antico, come ad esempio l’Iside Fortuna di Palestrina oppure la danzatrice di Perge, tutte realizzate nel medesimo marmo bigio scuro di Belevi presso Efeso56. Cavato al di sopra delle rinomate cave di marmo bianco, le cave di bigio, oggi del tutto distrutte dalle moderne attività estrattive, fornivano un marmo grigio scuro in blocchi dimensionalmente adatti a scolpire statue di grandi dimensioni, come l’Iside di Porto accompagnata dal serpente, realizzato nel medesimo marmo bigio scuro.
Statuaria di arredo
20Un nutrito gruppo di statue appartiene alla statuaria minore di arredo delle ricche residenze ostiensi di età imperiali e tardo antica. Quella più famosa è certamente il gruppo di Amore e Psiche (fig. 7.a; tab. 1, cat. 45), che doveva ornare un piccolo cubiculo dell’omonima domus, realizzato nel marmo bianco statuario di Göktepe nel IV secolo, già in uso per questa classe di sculture nella prima e media età imperiale, come testimoniato non solo dal gruppo delle Tre Grazie in marmo bianco (fig. 7.e; tab. 1, cat. 50), ma anche da una statuina in marmo nero di Göktepe, probabilmente raffigurante un centauro (tab. 1, cat. 46), alla maniera dei più rinomati capitolini57. Sempre in marmo bianco di Göktepe, anche se non analizzata, dovrebbe essere la statuina di Venere accovacciata dalla domus della Fortuna Annonaria58. Le altre sculture, databili tra la fine del I a.C. e il secondo secolo, mostrano una maggiore variabilità dei marmi impiegati. Il pario di Marathi, nella qualità di prima e seconda scelta, è attestato complessivamente due volte nella Venere dalla Via della Foce (fig. 7.f; tab. 1, cat. 51) e nel gruppo di Erote su leonessa marina (fig. 7.b; tab. 1, cat. 47), il lunense, come atteso, nel gruppo con bambino su mulo (fig. 7.c; tab. 1, cat. 48) di epoca flavio-adrianea, mentre il proconnesio nel trapezoforo di periodo severiano con scena di pesca (fig. 7.d; tab. 1, cat. 49) dal complesso delle case a giardino.
Conclusioni
21Lungi da volersi considerare come esaustivo, il presente studio rappresenta un approfondimento sulle sculture ostiensi anche alla luce delle più recenti scoperte riguardanti le fonti di approvvigionamento dei marmi in epoca romana. In un panorama conoscitivo che sembrava ormai consolidato, si è introdotta, sempre con maggior forza, la più recente acquisizione, quella dei marmi bianchi e neri di Göktepe in Caria, non lontano da Afrodisia. Questi si affermano con vigore proprio a partire dall’età traiano-adrianea non solo nella ritrattistica ufficiale, ma anche nella statuaria e nella scultura di arredo, modalità che trova in ambito ostiense una generale conferma. Ben 12 sono i ritratti in marmo bianco di Göktepe, tra cui spiccano per qualità e dimensione quelli di Marciana (cat. 15), di Traiano (cat. 21), di Faustina Maggiore (cat. 10), di Alessandro Severo (cat. 3) e di Gordiano III (cat. 12), tra cui eccelle quello postumo di Traiano prodotto assieme a quello di Marciana in una bottega senza alcun dubbio urbana. Insieme alle sostanziali conferme rispetto ad un panorama ormai delineato59, sussistono tuttavia alcune incongruenze tra i marmi impiegati, le sculture e le rispettive botteghe scultoree di produzione che andrebbero approfondite con maggiore attenzione, come nel caso del busto di Volcacius Myropnous (cat. 23) e il ritratto di Annia Cornificia (cat. 4). Nella scultura si prediligeva durante il II-I sec. a.C. lo statuario di Paros, come testimoniato non solo dal torso di Asclepio (cat. 36), ma anche dalla statua di Cartilio Poplicola, proveniente sempre dall’area del Tempio di Ercole60, mentre nella piena epoca imperiale l’uso doveva esser più vario grazie ad una maggiore varietà di marmi disponibili, quali il pentelico per la statua di Sabina come Venere Genitrice61, quella di Julia Procula62 o, quella più tarda, di Giulia Domna come Cerere63, il pario per la Sabina come Cerere64, o il tasio di Capo Vathy per il Perseo con testa di Medusa65. Ed è forse proprio a questo orizzonte cronologico che andrebbe indirizzata cronologicamente la statua della Minerva Vittoria in proconnesio (cat. 43), Degno di nota è inoltre l’uso del marmo afrodisiense dalle cave di città per le due statue di Eroti dall’omonimo ninfeo (cat. 38-39), che attestano l’uso e l’introduzione di questo marmo cario in ambito urbano sin dalla prima età imperiale. Nella statuaria minore di arredo si rileva accanto all’uso del marmo pario, tra il I a.C. e il II d.C., e del proconnesio, a partire dal tardo II secolo, un uso significativo dei marmi afrodisiensi di Göktepe fino alla tarda antichità, in entrambe le varietà bianca e nera, quali le Tre grazie (cat. 50), il centauro (cat. 46) e l’Amore e Psiche (cat. 45).
22L’analisi di questo nutrito gruppo di sculture ha messo in luce come Ostia e le sue sculture siano un riflesso di usi e tradizioni urbane, a cui si affiancano, ovviamente, produzioni di botteghe locali, tra cui emergono diverse opere scultoree di primissimo livello e grandissimo prestigio legate a committenze di prim’ordine, realizzate nei marmi statuari più pregiati da ignoti artisti tra i più qualificati del loro tempo.
Fig. 1 – Ritratti in marmo di Göktepe.

a) Testa colossale di Alessandro Severo, cat. 3; b) Busto di Commodo bambino, cat. 7; c) Testa di Faustina Maggiore, cat. 10; d) Busto di Gallieno, cat. 11; e) Testa colossale di Gordiano III, cat. 12; f) Testa di Lucilla, cat. 13; g) Testa colossale di Marciana, cat. 15; h) Testa colossale di Orbiana, cat. 16; i) Testa colossale di Traiano, cat. 21; j) Ritratto femminile, cat. 24; k) Ritratto femminile, cat. 25; l) Busto virile, cat. 28.
Fig. 2 – Ritratti in lunense.

a) Testa di Antonino Pio, cat. 5; b) Testa di Augusto, cat. 6; c) Busto di Crispina (?), cat. 8; d) Testa di Lucio Vero fanciullo, cat. 14; e) Ritratto virile, cat. 26; f) Ritratto virile, cat. 29.
Fig. 3 – Ritratti in marmo Paros lychnites.

a) Testa di Agrippina Minore, cat. 2; b) Testa di Domiziano, cat. 9; c) Testa di Plotina, cat. 17; d) Busto di Settimio Severo, cat. 19; e) Busto di Volcacius Myropnous, cat. 23; f) Ritratto virile, cat. 27.
Fig. 4 – Ritratti in marmo tasio di Capo Vathy, in docimio e in pentelico

Marmo tasio di Capo Vathy: a) Testa di Adriano, cat. 1; b) Testa di Traiano, cat. 20. Docimio: c) Testa di Annia Cornificia (?), cat. 4; d) Busto di Settimio Severo, cat. 18. Pentelico e) Testa colossale di Vespasiano, cat. 22.
Fig. 5 – Ritratti di filosofi greci e principe ellenistico in marmo pentelico

a) Testa di Demostene, cat. 30; b) Testa di Demostene, cat. 31; c) Erma di Ippocrate, cat. 32; d) Testa di Principe ellenistico, cat. 33; e) Erma di Temistocle, cat. 34.
Fig. 6 - Statuaria maggiore.

a) Torso di Asclepio, lychnites, cat. 36; b) Eros che incorda l’arco, marmo afrodisiense, cat. 38; c) Eros che incorda l’arco, marmo afrodisiense, cat. 39; d) Iside di Porto, bigio antico di Belevi, cat. 40; e) Massenzio, proconnesio, cat. 41; f) Vittoria di Porta Romana, proconnesio, cat. 43; g) Statuetta di Vulcano, pentelico, cat. 44; h) Testa di Barbaro, lunense, cat. 37; i) Testa di satirello, Paros II, cat. 42.
Fig. 7 – Statuaria di arredo.

a) Amore e Psiche, marmo di Göktepe, cat. 45; b) Erote su Leonessa marina, in Paros II, cat. 47; c) Gruppo con bambino su mulo, lunense, cat. 48; d) Trapezoforo con scena di pesca, proconnesio, cat. 49; e) Tre Grazie, marmo di Göktepe, cat. 50; f) Statuetta di Venere, lychnites, cat. 51.
Tab. 1 – Tabella riassuntiva delle sculture ostiensi con relativi dati archeometrici identificativi del marmo distinta per ritratti (cat. 1-29), ritratti di filosofi greci (cat. 30-34), statuaria (cat. 35-44) e statuaria di arredo (cat. 45-51).





Bibliographie
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Notes de bas de page
1 Sul marmo di Göktepe si rimanda a Attanasio et al. 2008; Attanasio – Bruno – Yavuz 2009; Yavuz et al. 2009; Attanasio – Bruno – Yavuz 2010; Attanasio et al. 2012; Bruno et al. 2012; Attanasio et al. 2013; Bruno – Attanasio – Yavuz 2013; Attanasio et al. 2015; Bruno et al. 2015; Attanasio et al. 2018; Prochaska – Attanasio – Bruno 2018; Attanasio et al. 2021; Attanasio et al. c.s.
2 Attanasio – Bruno – Prochaska 2019.
3 Attanasio et al. 2012.
4 Attanasio – Bruno – Yavuz 2014.
5 Musso et al. 2016; Musso et al. 2018.
6 Landwehr et al. 2012-2013.
7 Attanasio – Bruno – Prochaska 2016.
8 Attanasio 2003; Attanasio – Brilli – Ogle 2006.
9 Plin., Nat., 36, 4, 14.
10 Si vedano in proposito quelli esposti a Ostia sulla piazzola 5 nei giardini presso l’Antiquarium, in proposito anche Pensabene – Bruno 1998, p. 9-10.
11 Bruno – Attanasio – Prochaska 2012; Bruno – Attanasio – Prochaska 2015.
12 Plin., Nat., 36, 4, 14.
13 Attanasio – Bruno – Prochaska 2019, p. 179-197.
14 Si ringraziano, per la disponibilità mostrataci negli anni, la Soprintendente Anna Gallina Zevi, Angelo Pellegrino e, da ultimo, la direttrice del Parco Archeologico di Ostia antica Mariarosaria Barbera e i funzionari responsabili Paola Germoni e Cristina Genovese.
15 Boschung 1993, p. 128 n. 41.
16 Helbig 1972, IV, p. 62 n. 3062 (H. von Heintze).
17 Attanasio – Bruno – Prochaska 2019, p. 182-183.
18 Per la bibliografia si rimanda alla nota 5 della tab. 1 cat. 22.
19 Per un primo approfondimento generale su questa bottega di marmista si veda Gering 2018, p. 91-93, Romeo 2019, p. 37-38.
20 Helbig 1972, IV, p. 74 n. 3084 (H. von Heintze); sul ritratto di Marciana si veda anche Wegner 1956, p. 77, 122, il quale però non indica una realizzazione nella medesima bottega delle due teste ritratto di Marciana e Traiano.
21 «…Eine der Spitzenleistungen der gesamten römischen Porträtkunst», cosi definisce Gross il ritratto di Traiano, Gross 1940, p. 112-115, 132. In proposito anche Raissa Calza, Calza 1964, p. 59-60, cat. 89.
22 Valeri 2002, p. 220-221.
23 Alcuni propongono che lo scultore autore delle tre teste ritratto sia lo stesso e ipotizzano anche un allestimento delle tre in un medesimo luogo, Helbig 1972, IV, p. 74 n. 3084 (H. von Heintze). I differenti luoghi di rinvenimento rendono però difficile una loro esatta collocazione originaria e una ipotesi di esposizione unitaria delle tre sculture.
24 Si tratta delle teste ritratto da Marino, ora a Palazzo Massimo alle Terme, inv. 56116, Attanasio – Bruno – Prochaska 2019, p. 230, tab. cat. 42, e quella della Collezione Farnese ora al Museo Archeologico di Napoli, inv. 6080, Attanasio – Bruno – Prochaska 2019, p. 240, tab. 105.
25 Wegner 1939, p. 30; Calza 1964, p. 90-91, cat. 144.
26 Le due teste provengono dalla calcara installata nella taberna presso l’angolo nord-ovest del caseggiato, Lenzi 1998, p. 260, e sono state rinvenute insieme ad altro materiale scultoreo, gambe e braccia, Calza 1964, p. 59, cat. 88.
27 Gross 1940, p. 102-103, 130-13157, tav. 28 a, b:
28 Herrmann 1990, p. 83-84.
29 Calza – Floriani Squarciapino 1962, p. 70-7111; Calza 1978, p. 33, cat. 36.
30 Attanasio – Bruno – Prochaska 2019, p. 197-207, fig. 17-19.
31 Valeri 1998, p. 45-46.
32 Charbonneaux 1957; Fittschen 1991.
33 Dei ritratti imperiali di Antonino Pio ne sono stati analizzati archeometricamente 12, Attanasio – Bruno – Prochaska 2019, p. 198, di cui sei sette in marmo bianco afrodisiense di Göktepe, uno in marmo tasio di Capo Vathy, una testa colossale della Collezione Farnese in marmo pario lichnite e tre in lunense.
34 «Basta confrontare la qualità del marmo, le uguali dimensioni e la parte posteriore di ambedue le teste, per riconoscere la contemporaneità delle opere, eseguite per lo stesso scopo e per la stessa occasione», Calza 1978, p. 66.
35 Attanasio – Bruno – Prochaska 2019, p. 207-208.
36 Soechting 1972, p. 157-158, cat. 37. Calza lo ritiene opera di un artista locale, quindi ostiense, commissionata dalla popolazione portuense a favore dell’imperatore, ipotesi che sembrerebbe coincidere con la prima spiegando così non solo l’attribuzione alla bottega inferiore D, ma anche la scelta di un marmo improprio per la ritrattistica. Da tener presente che sui 29 ritratti di Settimio Severo ad oggi analizzati ben 24 sono stati realizzati in marmo di Göktepe, Attanasio – Bruno – Prochaska 2019, p. 255, cat. 207.
37 Attanasio – Bruno – Prochaska 2019, p. 248, cat. 158.
38 Attanasio – Bruno – Prochaska 2019, p. 207.
39 L’Orange 1933, p. 148, cat. 118, fig. 222.
40 Romeo 2019, p. 31-37.
41 I valori analitici sono tutti compatibili con il marmo pentelico, ad eccezione di quelli dell’erma del Temistocle (tab. 1, cat. 32), dove i valori molto bassi del carbonio sono forse dovuti all’alterazione del campione prelevato.
42 Cicerchia – Marinucci 1992, p. 149, cat. A9; Valeri 1998, p. 42-43.
43 Bruno et al. 2002, p. 293-295.
44 Zevi 1996-1997; Zevi 2004, p. 27-28; Zevi – Manzini 2008, in part. p. 188;
45 Savignoni 1910; Keyes 1912; Wilson 1937, p. 82; Meiggs 1973, p. 64;
46 Zevi 1996-1997, p. 67; Pensabene 2007, p. 189-190. Tra questi si ricorda il capitello di lesena, attribuito all’epoca flavia, Pensabene 2007, p. 190-191, contra Freyberger che propone una datazione traiano-adrianea, Freyberger 1990, p. 73, 146.
47 Pensabene 2007, p. 190-191.
48 Vaglieri 1913, p. 229-231.
49 von Hesberg 1998, p. 374-376, che pone la statua a confronto con quelle ora nel cortile di Palazzo Borghese a Piazza Fontanella Borghese, attribuite al Teatro di Pompeo. La supposta similitudine materiale non sussiste, in quanto tutte le statue sono state realizzate in marmo lunense (come da analisi archeometriche ancora non pubblicate), quindi eventualmente compatibili con un periodo tardo repubblicano, a differenza della statua di Ostia scolpita in marmo proconnesio.
50 Calza – Nash 1959, p. 12, fig. 8; Zevi 1996-1997, p. 70; Pensabene 2007, p. 190.
51 Keyes 1912.
52 Meiggs 1973, p. 66. «Since it was found some considerable distance away this must remain doubtful, but the fact that it was made from the same Greek marble as the gate suggests that, at the least, it comes from a contemporary monument.»
53 Bruno – Gorgoni – Pallante 2015.
54 Anche se l’uso del proconnesio potrebbe essere indicativo di un periodo seriore, la medio/tarda età imperiale, non ci sono elementi a sufficienza per propendere per l’uno o l’altro ambito cronologico. Statue di grandi dimensioni della piena età imperiale sono realizzate in questo marmo proprio per la sua capacità di essere cavato in blocchi di grandi dimensioni.
55 La statua di Fausta, inv. 22, mostra sotto la punta del piede sinistro una cavità predisposta per l’inserimento di un perno di vincolo dell’originario elemento architettonico. Dal plinto stesso della scultura si possono ricavare le dimensioni approssimative dell’elemento reimpiegato, nelle quali, con forza si dovuta posizionare la postura della statua femminile. Questi ultimi aspetti, anche se la statua è variamente datata tra l’età adrianea e il IV secolo d.C., si veda da ultimo in modo riassuntivo Romeo 2019, p. 40, sembrerebbero indicare un periodo tardo nel quale era una consuetudine diffusa riutilizzare elementi architettonici recuperati da edifici ormai in disuso, abbandonati o addirittura crollati.
56 Attanasio et al. 2017.
57 Alle sculture di Villa Adriana rimanda non solo l’uso dello stesso marmo di Göktepe, ma anche l’impostazione generale inferiore della figura, nonostante nella scultura ostiense si conservi solo il plinto con gli zoccoli, disposti in modo differente, e l’attaccatura dell’elemento di sostegno.
58 Calza – Floriani Squarciapino 1962, p. 41-42, n. 13; Helbig 1972, IV3051 (H. von Steuben), data all’epoca antonina. I dati analitici, soprattutto i valori isotopici pubblicati da altri, Pensabene et al. 2002, p. 180, n. OM59; Lazzarini et al. 2007, p. 624, n. 19, sono compatibili con quelli di Göktepe piuttosto che con quelli di Carrara.
59 Si rimanda in proposito a Attanasio – Bruno - Prochaska 2019.
60 Calza – Floriani Squarciapino 1962, p. 364; Helbig 1972, IV, p. 36-383028 (H. von Steuben). Per questa statua è stato impiegato, tuttavia, il Paros 2, Lazzarini et al. 2007, p. 622, n. 4.
61 Calza 1964, p. 76-77, cat. 124; Helbig 1972, IV, p. 73, n. 3082 (H. von Heintze).
62 Calza 1964, p. 65-66, cat. 100; Helbig 1972, IV, p. 101-102, n. 3122 (H. von Heintze).
63 Calza 1978, p. 50-51, cat. 63; Helbig 1972, IV, p. 59-60, n. 3059 (H. von Heintze).
64 Calza 1964, p. 79-80, cat. 127; Helbig 1972, IV, p. 71-72, n. 3080 (H. von Heintze).
65 Helbig 1972, IV, p. 50-51, n. 3047 (H. von Steuben).
Auteurs
matthiasbruno[@]libero.it
ISM-CNR — donato.attanazio[@]ism.cnr.it
Österreichische Akademie der Wissenschaften – walter.prochaska[@]oeaw.ac.at
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