La forza vitale di un’idea: l’Impero insegnato allo Studium di Padova nel primo Quattrocento
p. 105-128
Résumés
Il saggio propone di considerare gli Studia medievali come spazi di comunicazione politica, e quindi di esaminare se e come in essi si parlasse di impero nella prima metà del Quattrocento. Si presentano pertanto alcuni punti cruciali dell’insegnamento di tre docenti di diritto civile e canonico presso lo Studium di Padova, Raffaele Fulgosio, Francesco Zabarella e Antonio Roselli, impegnati non solo sulla cattedra, ma anche nella vita pubblica e in particolare ai concili di Costanza e Basilea. Sulla base di scritti tipologicamente diversi – commentari, consilia e recollecta universitari – vengono enucleate informazioni e interpretazioni relative ai poteri dell’imperatore eletto ma non ancora incoronato, al sovrano come dominus mundi e all’universalità delle sue leggi, all’obbligo per i pontefici di rispettarne i diritti temporali. I recollecta di uno studente di Roselli, Johannes Hinderbach, e una collettanea del suo collega di studi Johannes Heller permettono di cogliere l’interesse che tali questioni poterono suscitare fra studenti destinati a svolgere ruoli di rilievo alla corte imperiale e nelle chiese. La ricchezza dei dati raccolti e la vivacità dell’interesse riscosso fra il pubblico studentesco porta a concludere che il “discorso sull’impero”, se considerato in una prospettiva più ampia rispetto alla tradizionale storia delle idee, mantenne intatta la sua vitalità e attualità nel milieu universitario dell’Italia quattrocentesca.
This essay considers the medieval Studia as spaces of political communication and examines whether and how empire was thematized there during the first half of the fifteenth century. It presents some crucial aspects from the teaching of three professors of civil and canon law at the Studium of Padua: Raffaele Fulgosio, Francesco Zabarella and Antonio Roselli. They were not only active as teachers, but also engaged in public life more broadly, particularly at the Councils of Constance and Basel. It is shown that different types of texts – comments, consilia and recollecta – dealt with the powers of the elected but not yet crowned emperor, his sovereignty as dominus mundi, the universality of his laws, and the obligation for popes to respect his temporal rights. The recollecta of one of Roselli’s students, Johannes Hinderbach, allow us to grasp the interest that these questions could arouse among students destined to play important roles at the imperial court and in ecclesiastical offices. The richness of the materials and the vivacity of the interest among the students leads to the conclusion that the “discourse on the empire”, if considered in a broader perspective compared to the traditional history of ideas, maintained its vitality and relevance in the academic milieu of fifteenth-century Italy.
Entrées d’index
Keywords : civil law, canon law, university, councils, empire
Parole chiave : diritto civile, diritto canonico, università, concili, impero
Texte intégral
Gli Studia come spazi di comunicazione politica
1Lo spunto per il mio contributo viene dalla convinzione che il “discorso sull’impero” di età tardomedievale rischierebbe alla lunga di suonare astratto se non si prestasse attenzione all’efficacia delle parole scritte o pronunciate e ai modi della loro ricezione. Per superare una storia delle idee dalla pur nobile tradizione,1 di recente si è suggerito di guardare alla cultura politica: un «quadro ricco di “immagini del mondo” al cui interno si realizza la vita politica concreta, guidata di norma da interessi – non solo materiali – di attori che operano, pensano, hanno sentimenti e sensazioni». Un quadro, cito ancora Karl Rohe, «in cui è possibile molto, ma non tutto ciò che sarebbe pensabile in linea teorica».2 In questa prospettiva, Luise Schorn-Schütte ha proposto una ricerca “storicizzata” delle idee politiche che esamini, sulla scia di Rohe, non solo il contenuto (il che cosa), ma anche l’espressione (il come), che di tali immagini del mondo fu elemento costitutivo; dedicando quindi uno sguardo privilegiato al processo di comunicazione politica.
2Da queste e altre suggestioni nasce il tentativo di considerare l’ambiente universitario come spazio comunicativo. Nella misura in cui la lectura, la repetitio e altre forme didattiche poterono comportare l’elaborazione e disseminazione di nozioni e informazioni intrecciate all’interpretazione e all’analisi, alla valutazione e al commento, negli Studia si poté elaborare anche un “linguaggio”, nell’accezione formulata da Schorn-Schütte.3 Ammessa come realistica tale impostazione, si tratta allora d’indagare il contesto di formazione, mediazione e ricezione del “discorso sull’impero” in ambito accademico, per verificare quel gioco fra attori politici, pubblico e media nel quale secondo McNair consiste la specifica comunicazione politica.4
3Se nel Medioevo “è la dottrina giuridica a fornire il linguaggio al pensiero politico”,5 quella dottrina giuridica fu nel contempo finalizzata al governo degli uomini: finis scientie nostre est regere, sosteneva attorno al 1460 Francesco Vivaldi da Mondovì, già docente a Pavia e poi a Basilea.6 Sul nesso fra insegnamento e attività pratica si è da tempo insistito, guardando agli esperti di diritto come protagonisti della vita pubblica, dal Duecento al Quattrocento e oltre, nelle vesti di podestà, giudici, amministratori, consiglieri o legati.7 Una speciale attenzione è stata volta al genere letterario dei consilia:8 nel 2004 Eberhard Isenmann ha dedicato un denso saggio proprio alla figura dell’imperatore come monarcha modernus e princeps nei pareri di giuristi dei secoli XV-XVI, si è orientato cioè ai consilia di quegli esperti che, movendo dal diritto canonico e romano-giustinianeo appreso negli anni universitari, furono sollecitati a sviluppare argomentazioni nell’attualità e immediatezza di casi concreti, a formulare pretese politiche da parte imperiale o, ancora, a redigere pareri su incarico di “città d’impero”.9
4Lo studio di Isenmann mostra in qual modo le conoscenze teoriche furono declinate per risolvere problemi specifici – il versante applicativo della dottrina. Da parte mia vorrei invece spostarmi più a monte, sul “dialogo” che poté instaurarsi fra docenti di diritto e studenti, sulle reazioni o meccanismi di feedback che poterono risultarne. È una pista di ricerca costellata d’insidie, a partire dal rischio di sopravvalutare il ruolo dei docenti in quanto “attori politici” e dalla difficoltà di reperire fonti eloquenti.10 Che la lezione si aprisse a temi non strettamente scientifici è certo; per fare solo un esempio, Francesco Zabarella si preoccupava di informare i suoi studenti sui buoni costumi e sulle necessità dell’esistenza quotidiana, in modo che vivessero in modo dignitoso – così Pier Paolo Vergerio, e nemmeno Raffaele Fulgosio lesinò ai suoi studenti ammaestramenti pratici o commenti a eventi politici.11 Nonostante le difficoltà, vale allora la pena di tentare d’indagare il contributo al “discorso sull’impero” nell’aula scolastica e nella possibile interazione fra le diverse funzioni rivestite dai docenti di diritto, che spesso si mossero fra riflessione teorica, insegnamento, attività pubblicistica e politico-diplomatica.
5Nell’arco cronologico preso in esame sono almeno tre i giuristi attivi allo Studium di Padova che si prestano a questa prima ricognizione: Raffaele Fulgosio, Francesco Zabarella e Antonio Roselli. Tre figure di peso molto diverso: la dimensione intellettuale e l’attiva partecipazione alle grandi sfide dell’epoca pongono Zabarella ben al di sopra della maggioranza dei suoi colleghi e dei contemporanei.12 Da parte sua Antonio Roselli, autore di un trattato sulla Monarchia e impegnato in seno al concilio di Basilea, fu per temperamento e azione ben più incisivo rispetto al pur rinomato Fulgosio.13 Ma tutti e tre furono coinvolti in questioni d’impero ed entrarono in relazione con Sigismondo di Lussemburgo – Roselli anche con Federico III. Una prima indagine sui loro scritti di natura didattica può pertanto fornire qualche traccia per un percorso da esplorare sistematicamente in futuro.
Raffaele Fulgosio e le reminiscenze dal concilio di Costanza
6Raffaele Fulgosio (1367-1427) è stato recentemente al centro di un ampio e dettagliato studio monografico di John Cable.14 Studente dal 1381/1382 e dottore utriusque iuris nel 1391, Fulgosio fu a lungo docente a Pavia prima di essere chiamato, nel 1407, allo Studium di Padova. Nell’inverno del 1407-1408 egli aveva però insegnato per un breve periodo a Siena, entrando in contatto con la curia di Gregorio XII che colà soggiornava e sostenendo l’iniziativa dei cardinali per la convocazione del concilio in Pisa, a soluzione dello scisma.15 Nel 1414, giunto al concilio di Costanza al seguito di Giovanni XXIII, aveva svolto un’importante attività di consulenza come avvocato conciliare, intervenendo in diverse occasioni.
7Al suo ritorno nello Studio padovano egli fece tesoro di quell’esperienza, parlandone più volte ai suoi studenti. Ne rimane traccia nei suoi commentari, un genere della letteratura giuridica che appunto John Cable invita a ripercorrere quale testimonianza “quasi-orale”, cioè fedele, dell’attività pratica del docente svolta nella classe.16 In essi Fulgosio citò l’evento conciliare trattando proprio di argomenti che in maggioranza riguardavano la maiestas imperiale. I nodi affrontati si possono così sintetizzare: poteri dell’imperatore eletto e non ancora incoronato dal papa; storicità della Donazione di Costantino, vigenza e revocabilità di essa; tirannicidio, quanto al legame di lealtà nei confronti dei governanti; infine eventuale vigenza delle leggi imperiali fuori dell’impero.
8Le prime due questioni erano emerse all’indomani dell’arrivo a Costanza di Sigismondo, appena eletto re dei Romani. Alla sua prima comparsa in pubblico questi aveva indossato la corona appunto imperiale, e nella messa mattutina di Natale aveva letto la quinta lectio anziché la settima.17 La messinscena aveva suscitato mormorazioni (murmur) e una vivacissima altercatio, che Fulgosio schizza agli studenti (tanta est super hoc altercatio, quod vix posset referri).18 La disputa nasceva non solo dall’uso della corona imperiale anziché regia, ma anche dalla scelta della quinta lectio,19 che dall’epoca di Carlo IV veniva letta dagli imperatori, non dai re, nel cosiddetto “ufficio di Natale”.20 Il passo lucano così recitato rimandava esplicitamente all’autorità dell’imperatore Augusto: Exiit edictum a Caesare Augusto ut describeretur universus orbis (Lc2,1), e pochi decenni dopo sarebbe stato sfruttato da Antonio Roselli come “höchste autoritative Instanz” per fondare l’orbis terrarum dominium imperiale – in precedenza vi aveva fatto appello Bartolo da Sassoferrato per bollare come eretico chi tale dominio avesse negato.21
9Il docente patavino accennava pure alla posizione dell’imperatore rispetto a regni che non ne riconoscevano la sovranità, come il regno di Francia e in particolare il regno di Aragona. A suo dire, i rappresentanti di quest’ultimo avevano dichiarato di essere giunti a Costanza non per obbedire alla convocazione imperiale e ancor meno a quella papale – erano difatti seguaci dello scismatico Benedetto XIII, bensì per il puro desiderio (zelus) di risolvere lo scisma. Da ciò, cioè dal rifiuto di obbedire alla convocazione di Sigismondo, discendeva secondo il giurista il problema della giurisdizione imperiale fuori dal territorio dell’impero.22
10I preziosi spunti offerti dai Commentarii mostrano come l’attualità irrompesse nell’aula universitaria e quanto il “discorso imperiale” fosse urgente. Riguardo ai contenuti, Fulgosio offriva ai suoi studenti elementi di contesto e dati di cronaca, frammenti delle varie posizioni emerse a Costanza e anche delle proprie, ad esempio il suo convincimento riguardo la pienezza dei poteri del re dei Romani appena eletto, la non revocabilità della Donazione di Costantino e l’applicabilità teorica delle leggi imperiali al regno di Francia (ovvero della Qui sunt rebelles di Enrico VII nel caso del tirannicidio).23 Nel commentario al Digestum vetus il tema imperiale sgorgava fin dalle prime battute del testo legislativo: Fulgosio moveva dalla natura epistolare del Proemio e della costituzione Omnem (D. 1.1.1),24 quindi dal titolo e dalla dignità del mittente, in questo caso l’imperatore Giustiniano; da una questione propria dell’ars dictandi circa il nome di chi, fra mittente e destinatario, dovesse essere preposto in base alla carica rivestita, egli sviluppava un piccolo insieme di riflessioni sulla figura imperiale e sui suoi poteri. Constatava anzitutto che ai suoi tempi il nome del papa era preposto a quello dell’imperatore, dal che si sarebbe potuta dedurre la superiorità pontificia, giustificabile, sulla base della Venerabilem (I, 6, 34), con il fatto che l’imperatore eletto era dal papa confermato e incoronato – quod autem in stricta disputatione sit, hoc non est nostrum iudicare.25 Ed era appunto qui che si connetteva il ricordo di Costanza, giacché al concilio si sarebbe dubitato proprio di tale subordinazione – vidi dubitatum in concilio Constantiensi ̶ affrontando la discussione della donazione costantiniana. Dagli appellativi francicus, germanicus di cui Giustiniano si fregiava nell’Omnem, Fulgosio deduceva poi la soggezione della Francia all’impero; dal titolo di cesare passava, tramite un piccolo excursus storico (Giulio Cesare come pater familias il cui successore era stato il figlio adottivo Ottaviano), alla delicata questione della trasmissione della carica imperiale per successione o per elezione, con un ulteriore riferimento ad un anonimo trattato presentato a Costanza, dal quale aveva appreso il momento storico in cui nell’impero germanico si sarebbe optato per il sistema elettorale (con Ottone III).26 E a proposito dell’appellativo flavius di Giustiniano, Fulgosio poteva ricordare che, come il Barbarossa, anche Sigismondo di Lussemburgo, ut vidi, habet barbam rubeam.27
11Fulgosio ritornava sul tema imperiale a proposito di D 1.3.9, Non ambigitur senatum ius facere posse, per affrontare la questione della revocabilità della traslazione del potere da parte del populus. Poiché secondo lo ius novissimum al papa spettava l’esame ovvero la consacrazione e l’unzione dell’imperatore, si sarebbe potuto inferire che questi solo dal papa avrebbe potuto essere deposto; ma poi il giurista accennava alla deposizione che hodie fit per Theotonicos, et Deus novit, quomodo habeant monarchiam orbis, in riferimento alla deposizione di Venceslao nel 1400 operata dai principi elettori; e ancora si riferiva alla consuetudine dei secoli moderni, per cui sulla base del canone Adrianus l’elezione papale non poteva avvenire sine licentia imperatoris, et vereor ne res ad pristinum statum revertatur.28 Riguardo D 1.1.5 Ex hoc iure,29 a proposito di chi, in quanto popolo o re libero, avesse il diritto di dichiarare guerra, Fulgosio discuteva della libertà dall’impero, facendo presente che il re di Castiglia e di Aragona liberos se dicunt, come attestavano gli oratori dei due re al concilio di Costanza.30
12Con tali incisi e riflessioni Fulgosio intendeva trasmettere, secondo Cable, non tanto eventuali giudizi politici, quanto un metodo dialettico-argomentativo: gli interessava educare gli studenti, mostrare loro argomenti, punti d’interesse e impostazione della disputa – già Gregorio Piaia aveva del resto parlato dei Commentari come di un’«opera rigorosamente tecnico-didattica».31 Per giustificare l’atteggiamento attribuito a Fulgosio, Cable fa ricorso al concetto di “dissimulazione” e conclude che il giurista non pare impegnato «attivamente o in modo consapevole nello sviluppo di un consistente corpo di pensiero politico, almeno in queste questioni».32 Il docente avrebbe tenuto ben distinte le sue diverse “identità” professionali quale insegnante, avvocato, “consulente quasi-giudiziario” o consulente legale di litiganti.33
13Un Fulgosio “politically correct”? Si devono in ogni caso tener presenti i limiti del genere letterario, giacché il commentario forse non fu così “quasi-orale” come si può pensare. Riguardo Zabarella, ad esempio, Dieter Girgensohn ha osservato che il suo commentario alle decretali era rivolto più a lettori che ad ascoltatori, cioè a praeceptores piuttosto che a studenti di giurisprudenza.34 E in effetti altri sono i tipi di fonte che possono restituirci il coté studentesco, con la dimensione interattivo-comunicativa della lectio di diritto civile o canonico: mi riferisco alle recollectae e alle reportationes che circolarono fra gli studenti e furono eventualmente da questi annotate.
14Prima di passare ad alcune di esse, ancora un’osservazione: i temi sottoposti da Fulgosio ai suoi allievi erano esattamente quelli già affrontati trent’anni prima da Uberto di Lampugnano a Praga, «a giovamento degli studenti praghesi» (ad utilitatem Pragae studentium). Chiamato nel 1381 da Padova a Pavia sulla cattedra di diritto civile, Uberto nel 1385 era stato incaricato di una legazione presso re Venceslao a Praga da parte di Giangaleazzo Visconti. La missione gli aveva dato l’occasione per proporre alcune quaestiones, dibattute pubblicamente «nello Studio praghese», una delle quali riguardava i poteri del re dei Romani prima dell’incoronazione a imperatore, un’altra l’eventuale soggezione di tutti i cristiani all’«impero romano».35 La disputa universitaria si apriva così alla discussione di temi altamente politici, con un professore-ambasciatore inviato a Praga presumibilmente per preparare il riconoscimento al Visconti del titolo ducale e con l’occasione impiegato in un’azione di propaganda a sostegno di Venceslao.
L’elezione imperiale nel consilium di Francesco Zabarella
15Le medesime questioni furono toccate da Francesco Zabarella nella sua attività pubblicistica e didattica. In un consilium databile al 1400, commissionato forse da Bonifacio IX e con ogni probabilità connesso con il processo per la deposizione di re Venceslao istruito quell’anno, Zabarella affrontò cinque punti relativi all’elezione del re dei Romani: con quale diritto i sette principi potessero eseguire l’elezione e con quale procedura; in qual modo l’elezione fosse valida in caso di discordia fra i principi; di quale potestas godesse l’eletto prima dell’incoronazione da parte papale e infine se i principi avessero la facoltà di deporre e rieleggere il re mentre viveva il deposto.36
16Per affrontare il primo punto Zabarella riteneva di dover considerare anzitutto il rapporto fra potestas imperiale e papale. Ricordava pertanto la facoltà del papa di deporre un imperatore criminale, menzionando il caso di Federico II; affermava poi l’immediata derivazione divina dei due poteri; concedeva il trasferimento dei poteri nel principe da parte del popolo romano, ma pure, sulla base della donazione costantiniana per quanto discussa, la disponibilità del papa sui temporalia in actu et exercitio. Anche se la situazione de facto era diversa, diventava chiaro il diritto del papa all’intervento in questioni proprie dell’impero: ex his infertur, quod ad papam spectat de imperio se intromittere.37 Da ciò discendeva che la facoltà elettorale dei sette grandi elettori proveniva dal papa, anche se storicamente risaliva non all’epoca della traslazione dell’impero dai Greci, ma alla morte di Ottone III.
17Zabarella passava ai quesiti successivi, affermando il principio maggioritario, da applicare ai convocati che fossero stati presenti, e sostenendo che l’eletto ancor prima dell’incoronazione papale aveva la plena potestas administrandi. Sul diritto di deporre l’imperatore si faceva però molto cauto, perché non trovava precedenti; pur se, sulla base delle cronache che mostravano Nerone deposto dal senato, una deposizione gli pareva forse possibile, praecipue tacite approbante papa.
18Zabarella recuperò le argomentazioni svolte nel consilium entro il suo commentario ai cinque libri delle decretali, in particolare nel commento alla decretale Venerabilem (I, 6, 34). Il commentario, un lavoro molto ambizioso che sopravvive in più stesure e in un autografo degli anni 1404-1410, s’intrecciò con le lezioni allora tenute allo Studio padovano, pur non riflettendole pedissequamente.38 E merita di ricordare come pochi anni dopo, nel 1413, Zabarella avrebbe attinto al medesimo armamentario concettuale in occasione delle trattative con Sigismondo circa il futuro concilio.39
19Dunque gli stessi temi si rincorsero dalle aule universitarie ai consilia, al concilio. Le riflessioni dei giuristi impegnati ora a sostegno di Venceslao (Lampugnano), ora in occasione della sua ventilata deposizione nel 1400 (Zabarella),40 ora per definire il ruolo di Sigismondo come re dei Romani nell’ambito del concilio di Costanza (ancora Zabarella e poi Fulgosio), rimbalzarono fra i loro studenti. In una congiuntura particolarmente delicata per le due autorità universali, i giuristi delle università di Padova e Pavia vi rifletterono sia come docenti sia come “esperti” sollecitati da questioni concrete. Si potrà obiettare, con Cable, che non sappiamo se le nozioni da loro impartite costituissero un vero “discorso”, «a consistent body of political thought on these questions»,41 ma certo esse, in quanto potenzialmente intrise di giudizi di valore, fornirono ai loro studenti le basi per lo sviluppo di convinzioni politiche.
Il dominus mundi di Antonio Roselli nei recollecta di Johannes Hinderbach
20Ne sono testimonianza i testi universitari di un transalpino che studiò a Padova negli anni Quaranta: Johannes Hinderbach (1418-1486).42 Immatricolatosi nel 1434/1435 all’Università di Vienna e ottenuto il titolo di magister artium, Hinderbach s’era avviato agli studi giuridici nella locale facoltà di diritto, per poi passare allo Studio di Padova. Qui si addottorò nel 1452 dopo aver seguito, fra il 1441 e il 1447, docenti di vaglia come Antonio Roselli, Jacopo Zocchi e Paolo d’Arezzo. All’epoca degli studi ebbe contatti con la corte imperiale, ove dal 1448 divenne secretarius, consigliere e ambasciatore di Federico III. I testi di studio degli anni padovani conservati nella sua biblioteca, ricchi di marginalia, permettono una serie di considerazioni circa le possibilità di ricezione e trasmissione del “discorso sull’impero”.
21A Padova il dibattito fu stimolato dalle lezioni di Antonio Roselli di Arezzo,43 l’utriusque iuris monarcha che Hinderbach seguì appena giunto a Padova e che più di vent’anni dopo ricordò ancora con grande ammirazione come «re di tutti i giureconsulti italiani», oltre che suo preceptor e collatore delle insegne del dottorato. Roselli fu celebrato autore della Monarchia, un’opera sul potere imperiale e papale, frutto dell’attività diplomatica a servizio del pontefice e nelle relazioni di questo con il sovrano; il monumentale trattato fu dedicato nella sua prima versione all’imperatore Sigismondo e successivamente a Federico III.44 Come fece con altri suoi scritti,45 Roselli se ne avvalse ampiamente nel corso delle lezioni seguite da Hinderbach, citandolo e rinviando senz’altro ad esso: ut lacius prosequor in opere mee Monarchie.46
22Le idee della Monarchia trapassarono in particolar modo nelle lezioni a commento del primo libro delle decretali, il cui contenuto, specie la Venerabilem (I, 6, 34), aveva offerto al Roselli ampio materiale di sostegno allo svolgimento della prima parte del suo opus magnum.47 Hinderbach vi si accostò nell’estate del 1444, quando collazionò i modica recollecta tratti dalle lezioni del maestro con quelli di un altro docente padovano, Paolo d’Arezzo, e con la plena lectura del citato Francesco Zabarella.48 Il collage che ne risulta è particolarmente prezioso, perché fa toccare con mano quel che circolava fra gli studenti dell’università patavina e al tempo stesso permette di sondare le capacità di “decodificazione” da parte di uno di essi – il suo metodo di lavoro, talora le sue incomprensioni.49
23La Venerabilem offriva l’occasione per discutere di problemi di portata generale, dalla traslazione dell’impero al rapporto fra potere imperiale e papale, dal fondamento giuridico del diritto di elezione dei principi ad altro ancora.50 Uno dei punti essenziali era il ruolo del papato nell’elezione del re dei Romani: da parte curiale ci si avvaleva della decretale per sostenere che il diritto dei principi derivava dal papa; stando ai recollecta di Hinderbach, invece, Antonio Roselli obiettava che il trasferimento non era stato immediate, in quanto la sede apostolica non aveva mai avuto questo diritto né quindi poteva cederlo ad altri, bensì mediate, giacché il diritto di elezione era pervenuto agli elettori tramite la traslazione. Il papato aveva per Roselli una funzione semplicemente strumentale, tesi sostenuta in modo quasi letterale nell’attuale parte V della Monarchia.51
24Hinderbach accolse l’importante annotazione di Roselli circa la mediatezza del trasferimento, e tuttavia pare non comprenderne fino in fondo la portata ideologica perché, quasi a rafforzare la valenza storico-filologica e non politica dell’indicazione, sottolineava il valore temporale dell’avverbio mediate – nel senso di mora, lasso di tempo. Non per caso accostava al commento di Roselli l’osservazione che, dopo il trasferimento ai Germani, si sarebbe discusso del modo di conservare l’impero e si sarebbe allora deciso di affidarlo alla potestas eligendi di sei elettori.52 In questa riflessione era condizionato da Zabarella, che già nel consilium citato aveva sottolineato lo scarto temporale fra traslazione e passaggio alla forma elettorale.
25La posizione del giovane studente era comunque netta. La decretale recitava: «a quei principi riconosciamo, come è doveroso che facciamo, il diritto e la facoltà di eleggere il re, poi di promuoverlo a imperatore».53 «Nota qui», si legge nei recollecta di Hinderbach «“riconosciamo, come è doveroso che facciamo”, poiché è giusto che anche il sommo pontefice riconosca i diritti altrui e non li usurpi, come forse non sempre fanno i papi, specie riguardo ai diritti imperiali e temporali. Infatti essi usurpano e cercano di usurpare per sé e per la chiesa romana la supremazia – anche nel temporale – riguardo a taluni re soggetti all’impero; anzi, danno loro occasione di ribellarsi e di non riconoscere l’impero, come pure avviene in alcuni comuni dell’Italia. Ecco che vengono confutati dai propri testi!».
26Non è chiaro se sia di Hinderbach l’intero notabile oppure solo la soddisfatta esclamazione finale, ma lo stato d’animo è chiaro: i papi devono riconoscere i diritti altrui, specie imperiali.54 E lo studente ribadisce la propria convinzione con una minima aggiunta marginale al decet del notabile: laddove si dice «è giusto che il papa riconosca i diritti altrui», egli postilla: «anzi, è tenuto e deve, come qui si dice!».
27Poco oltre si discute la consacrazione papale dell’eletto. La decretale usa il termine consacrare (inungimus, consecramus et coronamus): per Zabarella si parla impropriamente di consacrazione, perché il vescovo viene consacrato, mentre il re unto. Altrettanto Roselli, il quale contesta l’affermazione di chi, appunto dalla consacrazione, deduceva che «l’amministrazione del potere temporale viene conferita dal papa»: «non è vero né questo testo lo prova. Al contrario, la potestas imperiale deriva da Dio immediate».55
28In questo passo è compreso un nodo importante del pensiero di Roselli, cioè la fondazione stessa dell’assolutezza del potere imperiale. Roselli ribadisce la sua posizione circa la derivazione immediata da Dio, quindi il parallelismo fra eminenza dell’imperatore nel temporale e quella del papa nello spirituale, facendo riferimento a Genesi 1, 16 (Deus fecit duo luminaria magna). Sempre secondo Roselli, se l’imperatore eletto è fedele, non scomunicato né sacrilego, il papa non può negargli l’approvazione. La quale è solo impropriamente una conferma. Difatti la Venerabilem recita che lo ritiene, lo nomina e dichiara idoneo: reputat ipsum idoneum, nominat et denunciat, non dice: eligit vel confirmat.
29Hinderbach accoglie questa posizione, ma aggiunge una riserva: sì, il termine conferma è improprio, anche se è pur vero, come dice Zabarella, che unzione e coronazione hanno valore di conferma: vis confirmacionis.56 Qui pare che lo studente, facendo propria l’interpretazione dello Zabarella, non colga appieno né in modo consequenziale il valore della distinzione fra esame/approvazione e conferma che invece era presente nel Roselli. Tanto più che nella nota marginale continua almanaccando sull’eventuale ritardo nella richiesta di conferma e incoronazione,57 e poco oltre osserva l’inutilità di una conferma speciale diversa dall’incoronazione e dall’unzione, in quanto il papa nell’incoronare conferma e nell’approvare dichiara che l’eletto va consacrato proprio perché va incoronato. È ancora lo Zabarella a condizionarlo, quando il cardinale ritiene che gli elettori possano senz’altro deporre l’imperatore prima dell’incoronazione, mentre dopo l’incoronazione devono ottenere il consenso del papa in forza del «ministero dell’incoronazione, dell’unzione e della consacrazione» o almeno operare con il tacito consenso papale.58 E a proposito di deposizione, lo studente si concede una riflessione sull’attualità: «già ai nostri tempi abbiamo visto che gli elettori hanno minacciato di deporre il neoeletto se non fosse venuto sul Reno [ad partes Reni] a ricevere la prima corona e a provvedere alla res publica».59 In effetti Federico III aveva rinviato a lungo la prima incoronazione ad Aquisgrana, ricevuta a più di due anni dall’elezione (2 febbraio 1440, 17 giugno 1442), venendo per questo ammonito con la minaccia di deposizione; di qui il pertinente recupero della cautela di giudizio manifestata da Zabarella già nel suo consilium,60 con una minima, illuminante specificazione a proposito dell’eventuale deposizione da parte papale: da farsi unacum concilio generali, sfumato da una aggiunta interlineare che trasforma il passaggio in: unacum vel in concilio generali.
30Secondo Roselli l’approvazione papale non è una conferma nel senso del diritto canonico, cioè non conferisce all’eletto la potestas administrandi; l’eletto riceve infatti il suo ufficio direttamente dall’elezione, che ha il suo elemento di maggior peso nel consenso dell’eletto. L’elemento del consenso è ripreso da Hinderbach, che anche qui però non valuta fino in fondo il significato dell’affermazione del Roselli: a margine egli sì lo cita, affermando sulla scia di Cino da Pistoia e Giacomo d’Arena che colui il quale è eletto re dei Romani può ogni cosa al pari di un re coronato, in quanto dall’elezione è reso signore del mondo. Ma esprime alcuni dubbi, in quanto gli altri re, se non sono incoronati e unti non si dicono né vengono detti tali. Hinderbach si ferma cioè a una considerazione comparativa di natura formale, circoscritta al titolo di cui fregiarsi, senza cogliere la sostanza dell’argomento del suo maestro.61 Tanto più che, se secondo i giuristi citati l’eletto è reso dominus mundi dall’elezione e quindi può legittimare, concedere feudi e altre cose, Hinderbach precisa che non può concedere feudi: «ai nostri tempi è diverso, perché l’imperatore lo fa alla presenza dei grandissimi principi elettori, cioè dell’impero, e degli altri, con la massima solennità sedendo in maestà» – anche se al contempo ammette l’esistenza di infeudazioni precedenti l’incoronazione.62 Qui pure, dunque, interviene con una considerazione attualizzante che ridimensiona la forza concettuale dell’effectus dominus mundi.
31La tematica ritorna a proposito di «che cos’è il potere imperiale, che cos’è il suo dominio e chi vi è sottoposto». Secondo una glossa ripresa anche dallo Zabarella, tutti i re, le nazioni e le province sono giurisdizionalmente soggette all’imperatore che è il dominus mundi; molti tuttavia non lo riconoscono, anzi ogni tugurio e città rivendica il dominio e combatte da pari a pari con l’impero. A questa generica considerazione segue un’osservazione più circostanziata del lector, Paolo d’Arezzo, secondo il quale «nemmeno l’inclito dominio veneto riconosce l’impero». E qui Hinderbach s’infiamma fino all’invettiva: «Vada in malora con i suoi veneti superbissimi! Sarò contento di vedere il giorno in cui la loro altezzosa superbia patirà un naufragio in mare e le loro case saranno pareggiate al suolo e alle onde! Johannes Hinderbach». Firmata la maledizione, Hinderbach continua a inveire con lo stesso tono nei confronti di quanti non riconoscevano l’imperatore: «Lo stesso dicasi contro i fiorentini, sodomiti pessimi, che muoiano bruciati dal fuoco come degnamente meriterebbero! E di tutti quegli altri infiniti che vagano al di fuori della monarchia mondiale, ritenendo giustizia la loro superbia e stimando prudenza la loro pazzia».63
32Da queste e altre note tracima la passione con cui il giovane transalpino studiava e faceva propria la lezione dei suoi maestri. La resa del commento alla Venerabilem, tutto intessuto di cogita, mostra la sua attenzione alle diverse implicazioni del dettato: alla qualità e alle funzioni dei principi elettori quali successori del senato romano; al loro ruolo come collegium, come universitas o quali vicari/compromissari dell’universitas; alle diverse corone imperiali e alle tecniche elettorali adottate, tali da portare a scelte inattese come nel caso del suo Federico III, come pure dei papi Eugenio IV e Niccolò V.64 Nella lettura delle decretali, le suggestioni dell’utriusque iuris monarcha Roselli, così come di Paolo d’Arezzo e del grande Zabarella diventano occasione per esaltare la figura imperiale e denunciare le ingerenze papali o i ribellismi delle città italiane. I temi affrontati erano quelli accennati nel Commentario di Fulgosio, ma ancor prima nelle quaestiones proposte a Praga da Lampugnano e nel consilium di Zabarella – si ritroveranno più tardi nelle Conclusiones di un Peter von Andlau, docente di diritto canonico a Basilea.65 Loci giuridici diversi, dal Digesto alle Decretali, destavano dunque domande che da decenni erano avvertite come di bruciante attualità.66
I consilia padovani dalla biblioteca di Johannes Heller
33Nello Studio padovano, ove la natio transalpina era folta e vivace, le lezioni di uno Zabarella e di un Roselli trovavano fertile terreno. Se ne ha prova ulteriore dalla biblioteca di un collega di Hinderbach, Johannes Heller, ricca di opere umanistiche e di numerosi scritti risalenti allo studio a Padova (1444-1449), i quali attendono ancora valorizzazione.67 In uno di questi manoscritti,68 Heller accostò a testi universitari classici come recollectae, singularia69 e repetitiones anche alcuni consilia, insieme con quell’importante Tractatus de conciliis generalibus completato da Roselli alla fine del 1444 e da questo sfruttato durante le lezioni.70 Nei suoi recollecta Hinderbach puntualmente ne individuò le citazioni,71 segno che anch’egli, come Heller, doveva possederne una copia.
34Fra i consilia trascritti nel manoscritto di Heller figura il consilium redatto da Roselli nel 1444 per la causa riguardante l’episcopato di Frisinga. La cattedra frisingense era allora contesa fra il segretario di Federico III Heinrich Schlick – poi sostenuto da bolle di Eugenio IV – e Johannes Grünwalder, il cardinale di Felice V spalleggiato dal concilio di Basilea.72 Nel suo consilium Roselli interveniva riprendendo alcune argomentazioni svolte nel citato Tractatus de conciliis generalibus, al quale direttamente rinviava.73
35Nel manoscritto di Heller figurano non solo i due testi roselliani, consilium e Tractatus, datati entrambi all’epoca in cui Heller studiava a Padova, ma anche un secondo consilium finora sconosciuto relativo alla stessa causa di Frisinga e fornito da Angelo de Castro, un docente padovano collega di Roselli.74 I due consilia sono preceduti da altri due pareri giuridici altrettanto inediti, redatti nuovamente dalla coppia Roselli/de Castro e riguardanti la cattedra episcopale di Bressanone, oggetto di contesa in una causa contemporanea e parallela a quella di Frisinga.75 Anche a Bressanone l’elezione da parte del capitolo era stata contestata da Federico III, il quale aveva fatto pressione sull’arcivescovo di Salisburgo perché non consacrasse l’eletto, esattamente come per Frisinga. Al pari del Grünwalder eletto a Frisinga, l’eletto di Bressanone, Johannes Röttel, si era mosso anzitutto presso il concilio, ventilando inoltre la possibilità di appellarsi a Eugenio IV,76 e s’era rivolto, egli stesso o il capitolo, ai due giuristi dello Studium patavino, ugualmente sollecitati nella causa Grünwalder/Schlick.
36L’interconnessione fra i quattro consilia stesi per i due episcopati, finora ignota, si ricava appunto dal manoscritto di Heller. L’interesse di quest’ultimo dipese forse da un coinvolgimento personale, giacché almeno dal 1438 Heller deteneva un canonicato nella collegiata di St. Andreas a Frisinga, e a Basilea s’era accompagnato con Ulrich von Nussdorf, preposito di quella collegiata, poi canonico del Duomo e nel 1443 preposito eletto di Frisinga.77 Anche Röttel peraltro disponeva a Frisinga sia di un seggio canonicale sia della prebenda come scolastico del Duomo;78 di fronte alle resistenze dell’arcivescovo di Salisburgo e dopo aver ottenuto la conferma di Felice V, egli si sarebbe indirizzato appunto a Frisinga per ottenere un vescovo disponibile alla consacrazione e a conclusione della vicenda sarebbe stato consacrato proprio dal vescovo ausiliare frisingense.79 Circa i legami fra Heller e l’eletto di Frisinga, il cardinale Grünwalder, va infine ricordato che non solo quest’ultimo era stato vicario generale del precedente vescovo di Frisinga, ma anche che Heller, negli anni 1438-1439 in cui s’era fatto incorporare al concilio, s’era procurato proprio a Basilea due trattati del Grünwalder di argomento filoconciliare.80
Conclusioni
37L’intreccio fra vicende politico-ecclesiastiche da una parte, consulenze dei docenti patavini e loro eco fra gli studenti dall’altra, non potrebbe essere più chiaro. Mentre i recollecta di Hinderbach mostrano il dialogo diretto con i testi, la collettanea di Heller suggerisce una sensibilità per il “discorso sull’impero” in riferimento a questioni beneficiali d’interesse imperiale. Se dai Commentari di Fulgosio riletti da Cable risulta che il docente non riferì l’andamento delle discussioni a Costanza né espose un organico pensiero al riguardo, i recollecta di Hinderbach mostrano la ricezione fra gli studenti delle tematiche imperiali, mentre i consilia posseduti da Heller insieme con il Tractatus confermano la connessione immediata con gli avvenimenti contemporanei.
38Uno studio sistematico e parallelo dei testi studenteschi, in particolare dalla ricca biblioteca di Heller, potrà offrire un quadro più completo della disseminazione e rielaborazione di idee politiche a partire dallo Studio universitario, specialmente interessante sarà poter cogliere la voce di studenti appartenenti ad altre nationes. Individuare i loci in cui la dottrina giuridica si aprì alla riflessione politica potrà per altro verso facilitare la comparazione fra docenti civilisti e canonisti che affrontarono i temi imperiali: Fulgosio parlò della sua esperienza a Costanza e delle questioni attorno all’arrivo di Sigismondo nei suoi Commentari al Digesto e al Codex giustinianeo; nei recollecta di Hinderbach fu soprattutto la Venerabilem a sollecitare le riflessioni dello scholaris.81 Per Heller, i tanti manoscritti di diritto sia civile sia canonico della sua biblioteca attendono un esame a partire dalle loro numerose postille; la produzione canonistica di Zabarella, infine, attesta l’interessante circolazione di idee fra consilia, impegno diplomatico come legato e padre conciliare, nonché il nesso fra commentario e plena lectura, utilizzata quest’ultima da uno studente come Hinderbach.
39Da tutto ciò una provvisoria conclusione. Al pubblico “internazionale” dello Studium di Padova i doctores di diritto – da Fulgosio a Zabarella a Roselli – proposero riflessioni e giudizi quanto a traslazione dell’impero, modalità dell’elezione del re dei Romani, poteri dell’eletto, giurisdizione imperiale. Il dibattito scaturiva da loci ormai classici come i passi della decretale Venerabilem ma non solo, e si nutriva di questioni attualissime che coinvolgevano in prima persona i docenti patavini. L’elaborazione e la ricezione delle loro idee fu un processo comunicativo complesso e dinamico. L’apprendimento alla scuola patavina permise ad esempio a Hinderbach di dar corpo e vita all’idea dell’imperatore come dominus mundi e dell’universalità delle sue leggi, come pure all’idea dell’obbligo per i pontefici di rispettarne i diritti temporali. Tali convinzioni avrebbero poi improntato la sua attività a servizio dell’imperatore Federico III e all’interno delle strutture ecclesiastiche in quanto chierico e poi vescovo. Altrettanto si può ipotizzare per Johannes Heller, che dal 1451 al 1457 fu vicario generale e officiale del vescovo di Eichstätt Johann von Eych, impegnato quindi nel tribunale episcopale.82 Probabilmente in maniera non del tutto diversa Roselli condizionò i suoi numerosi allievi, fra i quali è ora possibile annoverare gli almeno dieci studenti franconi di cui a Padova fu promotor.83
40Da Lampugnano a Fulgosio, da Zabarella a Roselli, lo Studium poté fungere da fertile laboratorio di riflessione politica, fornendo agli studenti interessati strumenti, contenuti e sollecitazioni per pensare e “dire” storia, realtà e competenze dell’impero – un’idea vitale come non mai, e influenzandone la successiva azione a servizio delle corti o nelle strutture della Chiesa d’ufficio. Se Alexander Lee ha potuto parlare di una “fine dell’impero” per gli umanisti del tardo Trecento e additare ai primi del Quattrocento «the end of humanism’s romance with empire»,84 Helmut Walther ha da tempo sottolineato «l’attrattività della monarchia nella teoria politica dei giuristi dotti del XV secolo».85 I testi di diritto, con i loro esegeti, i loro cultori o “fruitori”, attesero a una figura e una realtà che non erano affatto svanite né dall’orizzonte teorico né dalla concreta vita politica. La “fine dell’impero” era ancora lontanissima.
Bibliographie
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Biblioteche
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Notes de bas de page
1 Schorn – Schütte 2006, p. 54-65 e 77-79; su Rohe p. 83-84. Per quel che segue, si pubblica il testo licenziato nel 2019, con il solo aggiornamento dei link.
2 Rohe 1990, p. 333-334, ripreso da Schorn – Schütte 2006, p. 83.
3 Schorn – Schütte 2006, in particolare p. 82, e cf. Rohe 1990, p. 334.
4 McNair 2017, p. 5.
5 Quaglioni 2004, p. 36.
6 Rexroth 1994; Rando 2019, p. 298.
7 Rinvio solo a Sambin 1982; Ascheri 2008; Gilli 2003; Menzinger 2007 e 2009; Vallerani 2007; Walther 1998; Wejwoda 2012; Wetzstein 2010; Isenmann 2007; Girgensohn 1993.
8 Si pareri giuridici richiesti in specifiche questioni legali, oltre all’ormai classico Baumgärtner 1995: Baumgärtner – Kirshner – Ascheri 1999; Ascheri 2004; Vallerani 2011. Si vedano pure i diversi studi compresi nel primo volume dei saggi in onore di Ascheri: Maffei – Varanini 2014, nonché l’ultimo Woelki – Daniels 2018.
9 Isenmann 2004, in particolare p. 35.
10 Sul tema si veda però già Walther 2002 e ora Woelki 2016.
11 Girgensohn 1993, p. 250; Cable 2015, p. 19.
12 Così Girgensohn 1993, p. 232.
13 Il profilo più recente in Valsecchi 2017.
14 Cable 2015.
15 Ibid., p. 66.
16 Ibid., p. 307.
17 Heimpel 1983, p. 170-173.
18 Cable 2015, p. 180, nota 39.
19 La lettura fu secondo Heimpel 1983 «ein hohes Politikum» (p. 170). L’intera questione è discussa da Cable 2015, p. 167-173.
20 Della lettura da parte di Carlo IV in apparatu imperiali parla Benesch von Weitmühl per l’anno 1373: Heimpel 1983, p. 139.
21 Isenmann 2004, p. 17 e note 8-9.
22 Cable 2015, p. 181-184.
23 Cable 2015, p. 249. La Donazione di Costantino si collegava alla discussione circa il trasferimento dei poteri elettorali al papa. Sul tema del tirannicidio Fulgosio fornì pure un consilium: Cable 2015, p. 271-278.
24 Fulgosio 1554, fol. 3r-4r.
25 Ibid., fol. 3r.
26 Sul tema Buchner 1912 e di recente Lenz 2002, p. 100 e passim.
27 Fulgosio 1554, fol. 3r-3v.
28 Ibid., fol. 10v.
29 D 1.1.5, Ex hoc iure gentium introducta bella, discretae gentes, regna condita, dominia distincta, agris termini positi, aedificia collocata, commercium, emptiones venditiones, locationes conductiones, obligationes institutae: exceptis quibusdam quae iure civili introductae sunt.
30 Fulgosio 1554, fol. 8r. Cf. Cable 2015, p. 181.
31 Piaia 2002, p. 120.
32 Cable 2015, p. 303 (traduzione mia).
33 Ibid.
34 Girgensohn 1993, p. 253; sulla natura del commentario p. 249-250.
35 Erano tre: la terza riguardava la validità del testamento di un usuraio che non prevedesse la restituzione delle usure. Cf. Rando 2016, p. 153; Cable 2015, p. 59-60, nota 134. Sulle quaestiones dibattute da Uberto di Lampugnano già Cavina 1991, p. 118-119, che presenta un’ampia carrellata degli scritti di giuristi ‘italiani’ sull’incoronazione imperiale, compresi Fulgosio (p. 121) e Antonio Roselli (p. 135-136).
36 Zabarella 1581, p. 158-160, nr. 154; Finke 1890.
37 Ivi, p. 158a.
38 Girgensohn 1993, p. 252; a p. 251-252 l’illustrazione del lavoro di redazione e delle diverse stesure.
39 Su questo tema, prossimamente W. Decker, nella sua biografia di Baldassarre Cossa.
40 Finke 1890, p. 631.
41 Cable 2015, p. 303.
42 Su di lui, Rando 2003. Sui testi universitari di Hinderbach ampiamente ibid., p. 45-116.
43 Valsecchi 2013; Valsecchi 2017.
44 Murano 2014, p. 83-91.
45 Ad es. BCTn, ms. 1589, fol. 28: ut dixi in opere meo legittimationum.
46 BCTn, ms. 1589, fol. 38; e cf. fol. 25-26.
47 Rando 2003, p. 98.
48 BCTn, ms. 1589, fol. 157-158, edizione del passo Rando 2003, p. 35-36; e cf. ivi p. 101.
49 Riprendo qui in modo letterale le riflessioni già svolte in Rando 2003, p. 96-115, al quale rinvio direttamente.
50 In tale decretale Innocenzo III (1202) affermava che ai principi elettori era riconosciuta la facoltà di eleggere il re dei Romani; ciò spettava loro di diritto, per antica consuetudine e soprattutto perché tale diritto era pervenuto loro dalla sede apostolica, la quale aveva trasferito l’impero romano, attraverso la persona di Carlomagno, dai Greci ai Germani. Il pontefice però rivendicava a sé il diritto di esaminare l’eletto in quanto responsabile dell’unzione, consacrazione e incoronazione. Infatti egli non avrebbe potuto ungere, consacrare e coronare un eletto che fosse stato sacrilego, scomunicato, tiranno, pazzo o eretico, di qui la necessità di un esame preliminare.
51 Rando 2003, p. 106.
52 Ibid., p. 107.
53 Il passo della decretale suona: Verum illis principibus ius et potestatem eligendi regem, in imperatorem postmodum promovendum, recognoscimus ut debemus, ad quos de iure ac antiqua consuetudine noscitur pertinere.
54 Rando 2003, p. 108.
55 BCTn, ms. 1589, fol. 244; Rando 2003, p. 109.
56 BCTn, ms. 1589, fol. 239.
57 Ibid.: la nota si conclude con un cogitabis (tamen), in rasura su Io. Hin.
58 Ibid., fol. 243.
59 Ibid., fol. 244: credo quod iam temporibus nostris vidimus quod comminati fuerunt deposicionem noviter electo si non veniret ad partes Reni ad recipiendam primam coronam, et (intendendum) et providendum rei publice. Io Hin.
60 La nota di Hinderbach citata nella nota precedente prosegue così: Dicit etiam Cardinalis quod quia hec questio sui temporibus pendebat in facto, non volebat sermonem ultra protendere.
61 Rando 2003, p. 116.
62 BCTn, ms. 1589, fol. 242.
63 Confundatur cum suis Venetis superbissimis! Letarer illum intueri diem quo ipsorum elata superbia naufragium marinum pateretur soloque equarentur ipsorum lares et undis. Ioh. Hin. Ed. in Rando 2003, p. 120.
64 BCTn, ms. 1589, fol. 233.
65 Hürbin 1897.
66 Si veda il giudizio di Zabarella nel consilium del 1400, secondo il quale la questione della subordinazione o meno dell’imperatore al papa era un’altercatio che durava da cent’anni a questa parte: Zabarella 1581, p. 158.
67 Il profilo più recente in Strack 2015. Sulla biblioteca di Heller, ancora da esplorare, p. 148. Nell’impossibilità di farlo di questi tempi, me ne riprometto in futuro un esame approfondito, specie a confronto con i recollecta di Hinderbach.
68 BSB ms. Clm 6661. Sul ms. cf. Belloni 1987, p. 64-67 e Strack 2015, p. 150.
69 Sono i singularia di Ludovico Pontano, sul quale Woelki 2011, p. 30-36, 799-800; Woelki 2014.
70 Belloni 1987, p. 89. Sull’interesse di Heller per trattati e consilia redatti da docenti padovani, p. 88-90, 94 e cf. Strack 2015, p. 150-151.
71 Rando 2003, p. 86-94.
72 Sul consilium Meuthen 1983; Rando 2003, p. 80-81.
73 Ampia disamina del trattato in Weitz 2002. E cf. Rando 2003, p. 82-85.
74 Su di lui Belloni 1986, p. 119-123. I due consilia sono nel BSB ms. Clm 6661, fol. 257r-257v.
75 BSB ms. Clm 6661, fol. 255r-256v.
76 Chmel 1843, p. 235-240. Sulla questione, in relazione con altre cattedre episcopali diventate vacanti in quel torno di tempo, RTA 1939-1963, p. 238-239, con indicazione anche delle lettere di Enea Silvio Piccolomini che ne trattano.
77 Johannes Heller (RAG-ID: ngFV4Q476FX25ubTzEYu6DrI), https://resource.database.rag-online.org/ngFV4Q476FX25ubTzEYu6DrI (consultato il 12.2.2022). La prepositura gli fu contesa dal Grünwalder, v. ora Strack 2015, p. 148-149. Su Ulrich von Nussdorf RG Online, RG V 08974, URL: http://rg-online.dhi-roma.it/RG/5/8974 (consultato il 12.2.2022); Ulrich von Nussdorf (RAG-ID: ngWM6p173VE91lsWqV3l3Uit), https://resource.database.rag-online.org/ngWM6p173VE91lsWqV3l3Uit, (consultato il 12.2.2022). Si veda pure Rando 2003, p. 193-194 e ora, aggiornato, Becker 2006, p. 396, Nr. 60 e ad indicem.
78 RG Online, RG V 05529, URL: http://rg-online.dhi-roma.it/RG/5/5529 (consultato il 12.2.2022). È identificabile con Johannes Rogettel, sul quale https://resource.database.rag-online.org/ngCS6F779CK58ryGwCbr0Aoz (consultato il 12.2.2022). Cf. Becker 2006, p. 376, Nr. 1 e ad indicem.
79 Così Sinnacher 1828, p. 284-287, 300-304, che a p. 303 definisce Giovanni vescovo di Tino e Micone vescovo ausiliare di Frisinga. Giovanni prima e dopo la consacrazione di Johannes Röttel figura come vescovo ausiliare di Trento.
80 Belloni 1987, p. 57; Strack 2015, p. 149.
81 Nello Studium di Basilea Peter von Andlau si soffermò su impero, principi elettori e imperatore leggendo invece il Liber sextus e le Clementine. Su di lui diffusamente Hürbin 1897, p. 83-103.
82 Strack 2015, in particolare p. 154-156 (attività come vicario generale e officiale) e p. 156-161 (studi umanistici e prassi retorica).
83 Bauer 2012, tabella a p. 62; sui rapporti con Roselli, p. 67-68.
84 Lee 2018, p. 181.
85 Walther 2004.
Auteur
Università di Pavia - daniela.rando@unipv.it
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