La scrittura della storia nella Napoli angioina: ambienti cittadini, lingue, cultura storiografica
Note de l’auteur
Nell’ambito di un comune lavoro di ricerca pertengono a Chiara De Caprio i § 1, 3 e 5, a Francesco Montuori i § 2 e 4. Prospettive di ricerca e ipotesi qui avanzate s’inseriscono nel quadro di un programma che mira allo studio critico della storiografia volgare del Regno e all’edizione delle diverse sezioni della Cronaca di Partenope e della Breve informazione. Per un quadro più ampio delle ipotesi qui esposte sia consentito rimandare a C. De Caprio, La scrittura cronachistica nel Regno: testi, scriventi, stili narrativi, in Atti della VI Giornata di Studi Medievali (Roma, 2015), Roma, in G. Francesconi, M. Miglio (a cura di), Le cronache volgari in Italia. Atti della VI Settimana di Studi Medievali (Roma, 13-15 maggio 2015), Roma, 2017, p. 227-270, Ibid., p. 31-87 e F. Montuori, Come si costruisce una cronaca, in Ibid.
Texte intégral
Premessa
1Richiamandosi alle prospettive di ricerca di Francesco Sabatini1, è possibile descrivere la cronachistica in volgare del Regno prestando attenzione alle connessioni tra i contesti nei quali furono redatti i testi storiografici e i caratteri “interni” di questi stessi testi, cioè la morfologia materiale dei manoscritti, le forme del libro di storia, le tecniche e gli andamenti narrativi, gli impasti linguistici.
2In questo saggio indagheremo tali connessioni relativamente a una parte del corpus di testi storiografici denominato Cronaca di Partenope (da ora CrP), il più importante aggregato di scritture storiche in volgare della Napoli angioino-durazzesca; in particolar modo, metteremo a fuoco i possibili rapporti della CrP con la Breve Informazione (da ora BI), uno scarno resoconto dinastico di età angioina che potrebbe essere stato fonte di una delle sezioni della CrP 2.
3La prospettiva di ricerca qui adottata è motivata dal fatto che anche nel Regno le cronache volgari furono redatte da figure che riunivano i ruoli di copista, editore e autore3; in questi testi l’istanza narrativa è frutto dell’aggregazione e sovrapposizione di più personalità autoriali, sorte da processi di traduzione e composizione: per tale motivo, le opere si formavano attraverso il montaggio di molti ipotesti e si caratterizzavano per una forte mobilità testuale. Perciò, in sede di analisi, daremo particolare rilievo al rapporto tra “forma del codice” e “forma del testo”, dal momento che in molti casi è proprio la struttura dei codici-collettori a dare “forma di libro” ai materiali che sono raccolti al loro interno: sono, cioè, i codici a dare unitarietà a testi a bassa coesione narrativa, nei quali coesistono sezioni nuove e parti desunte da altre fonti; e sono sempre i codici a manifestare al loro interno la stratificazione delle forme che il testo ha conosciuto nel tempo.
4Pertanto, a fronte delle diverse ipotesi sulla genesi della CrP e della BI, mostreremo l’importanza che dati codicologici, lessico metaletterario, andamenti narrativi e orizzonti ideologici assumono nella valutazione delle possibili modalità di formazione del corpus a partire da un variegato ventaglio di fonti. L’indagine sui caratteri interni (formali e materiali, narrativi e linguistici) dei testi ha, in definitiva, lo scopo di delineare tipologie e profili autoriali e di individuare quali possano essere stati i modi di composizione e i probabili contesti di produzione del corpus trecentesco e della BI.
Il contesto culturale e linguistico
5A Napoli, dopo la conquista angioina e ancora nei primi decenni del Trecento, la produzione cronachistica in volgare stenta a formarsi e a trovare un pubblico interessato4. Il panorama che può essere tracciato è quindi molto povero e riflette la preminenza di altre lingue di cultura nei gusti e negli orientamenti letterari dei gruppi sociali dominanti: l’aristocrazia francese deteneva le maggiori cariche amministrative del Regno; a loro volta, i toscani erano il gruppo più influente nella vivace comunità dei mercanti stranieri, fino ad acquisire uno speciale ruolo politico nell’età di Giovanna I con la nomina di Niccolò Acciaiuoli a gran siniscalco. Coerentemente con questo quadro, nei primi decenni del regno angioino, accanto al latino, lingua della produzione scientifica, giuridica e politica, emergono le lingue galloromanze, al livello dell’aristocrazia, e il toscano, al livello della borghesia5.
6La diffusione della cultura e della lingua francese nel Regno viene in genere misurata attraverso due parametri: i codici di opere in francese compilati, cioè copiati e/o miniati, nel Regno e i testi di opere in francese scritti nel Regno. Tra i primi ci sono testi epici, biblici e storici, ma anche il Trésor, l’enciclopedia del fiorentino Brunetto Latini. Più interessanti i secondi, tra i quali spicca un codice miscellaneo confezionato tra il 1340 e il 1350, il ms. fr. 688 della Bibliothèque nationale de France (BnF), contenente un gruppo di cinque testi storici, tradotti dal latino in francese da un napoletano francofilo: la Chronaca di Isidoro da Siviglia; l’Historia romana e l’Historia Langobardorum di Paolo Diacono; l’Ystoire de li Normant, traduzione dall’originale latino perduto di Amato da Montecassino; l’Historia sicula dell’Anonimo Vaticano nota anche come Cronaca di Roberto il Guiscardo. Questo prodotto storiografico sarebbe stato allestito da un volgarizzatore meridionale per un conte de Militree, un destinatario con possedimenti in Calabria che, come afferma il copista, «trae diletto» dal francese6.
7Sempre a Napoli potrebbe risalire non solo uno dei codici che tramanda la cosiddetta “seconda redazione” dell’Histoire ancienne jusqu’à Cesar, il ms. Royal 20 D I della British Library (ca. 1330-1340, con miniature di Orimina), ma anche la nuova forma del testo, quella «risistemazione [...] che, grazie anche allo spostamento di alcune sezioni, acquista [...] maggiore coerenza narrativa»7. Nel complesso, sembra condivisibile l’idea, recentemente ribadita, secondo la quale la funzione del Regno angioino sia stata quella di irradiare da Napoli la cultura francese verso la Grecia e l’Ungheria, piuttosto che fornire contributi particolarmente originali nella produzione di testi o di copie manoscritte8.
8D’altra parte, nella scrittura amministrativa, a partire dal 1277 e fino alla fine del secolo, il francese appare solo in modo episodico: contrariamente a ciò che avviene nella Francia settentrionale o nell’Oriente latino, infatti, nel Regno solo pochi documenti finanziari vengono scritti nella lingua d’oltralpe; e in essi occorrono forme linguistiche e una formula (en françois vulgal) che ricordano l’interlingua del traduttore «italofono» del BnF, ms. fr. 688. Nella sezione contabile della cancelleria angioina, quindi, nell’ultimo quarto del XIII secolo si passa dal latino al francese per poi ritornare al latino, con una retromarcia che rispecchia la progressiva minore importanza della lingua dei dominatori nel funzionamento della tesoreria centrale.
9L’uso del volgare locale, invece, viene progressivamente favorito dall’attenuazione del carattere francese della dinastia e soprattutto dal prestigio del fiorentino, con la circolazione in città di testi e protagonisti della letteratura toscana che stimolano nei regnicoli un duplice effetto di imitazione: innanzitutto viene condivisa la consuetudine di compilare in volgare diverse tipologie di scritture, sia letterarie sia pratiche; e inoltre la lingua adoperata, approfittando della vicinanza tipologica tra i volgari dell’Italia centro-meridionale, cerca di assimilarsi almeno parzialmente alla varietà fiorentina, fondando i presupposti per una stabile e lunga convivenza fino alla prima metà del Cinquecento.
10Le lingue in contatto, come accade di norma, si specializzano: se il prestigio del francese è indiscutibile, come dimostrano i francesismi attestati in testi di ogni livello, è però vero che al volgare locale tocca il ruolo di lingua della prima alfabetizzazione. I pochi testi che emergono dagli archivi e dalle biblioteche mostrano non solo volgarizzamenti dal latino di opere narrative e didascaliche (il De Balneis Puteolanis, il Regimen Sanitatis e l’Historia Destructionis Troie) ma anche testi epistolografici. Questi destano particolare interesse: di fronte all’assoluta mancanza di lettere scritte in francese, si registrano lettere in volgare locale scritte, intorno alla metà del secolo, sia da componenti della corte al più alto livello (la regina Giovanna, il fiorentino Niccolò Acciaiuoli), sia da piccoli funzionari o mercanti del Regno9. Diversi strati della popolazione, quelli che raggiungono un livello medio di alfabetizzazione, sono in grado di scrivere un breve testo a un destinatario per informare su un evento o chiedere qualcosa. La lingua che viene utilizzata non è il francese e nemmeno il fiorentino, ma una varietà di lingua locale considerata valida per usi di media formalità. Per questa varietà di lingua, scritta intorno alla metà del secolo, Sabatini ha adoperato l’etichetta di “napoletano civile”, a significare soprattutto il tentativo di sottrazione di tratti locali e, contemporaneamente, di adeguamento al toscano10. È probabile che questo sia l’effetto più significativo della presenza della comunità toscana e soprattutto fiorentina nel Regno: sono i fiorentini, infatti, a mostrare l’uso della lingua materna sia per la comunicazione estremamente specialistica dei traffici mercantili, sia per le opere letterarie. Le stesse poche sopravvivenze di documenti in volgare meridionale dalla Morea, recentemente segnalati da Fabio Zinelli, sono posteriori al 1350 e alla «conquista» toscana della regione ad opera di Niccolò Acciaiuoli (1338-1341)11.
11Una funzione importante nel promuovere l’uso del volgare locale è svolta dalla diffusione della Commedia di Dante. Guglielmo Maramauro commenta l’Inferno e compila la sua esposizione tra il 1369 e il 1373, utilizzando una serie di fonti elencate esplicitamente all’inizio del suo lavoro; appartiene al periodo durazzesco la mano B del codice Filippino, che inserisce le sue glosse alla Commedia tra il 1416 e il 1430; a monte delle due esegesi esisteva un comune fonte latina, per noi perduta, posteriore al 1356; sono della metà del Trecento tutti quei manoscritti che manifestano fattura napoletana, come per esempio l’M 676 della Pierpont Morgan Library; sono parimenti tutti transitati per Napoli o sono di origine napoletana i codici che formano l’intera tradizione della III redazione del commento di Pietro Alighieri e quelli del commento del cosiddetto Amico dell’Ottimo12. Inoltre, nella prima metà del secolo, a Napoli si osserva la precoce citazione di Dante in memorie personali e in sermonari latini (1322-1326) e si registra la presenza, dal 1334, dell’esule guelfo Graziolo Bambaglioli, autore di un celebre commento in latino alla Commedia. La consuetudine di leggere, copiare e commentare Dante è diffusa nel tempo e negli strati sociali, ed è un’ottima ragione per spiegare la familiarità con il fiorentino che gli scriventi napoletani e la loro lingua scritta manifestano in modo precoce13.
12Di tutt’altro tenore è invece l’influsso di Boccaccio: resta isolato il suo sperimentale uso del volgare locale come lingua della narrazione «leggera e convenevole» nel geniale esercizio giovanile della cosiddetta Epistola napoletana14; né ha rilevanza generale la richiesta di copie del Decameron, molto precoce a Napoli ma estremamente atipica e limitata per lo più all’ambiente fiorentino in città15. Boccaccio invece è, con Petrarca, colui che instilla nei ranghi intellettuali della corte l’attenzione per la letteratura colta e il gusto antiquario e preumanistico, fornendo in qualche modo ai locali nuovi strumenti per leggere e raccontare il passato.
13Sarà proprio da una compilazione di gusto antiquario e ricca di brani di Boccaccio, il cosiddetto commentario liviano16, che partirà la narrazione della storia di Napoli nella prima sezione della CrP. È infatti in questo contesto culturalmente trilingue che il volgare, già adoperato in scritture pratiche e in testi letterari, comincia a manifestarsi anche nella storiografia, in quel complesso di scritture storiche che viene detto convenzionalmente CrP. In attesa che la comunità fiorentina importi il modello villaniano, i tipi disponibili sono per lo più le forme ampie e diversificate della storiografia latina: le cronache di Paolino Minorita; le compilazioni etniche di età normanna; un repertorio liturgico-narrativo come il Chronicon di Santa Maria del Principio; compilazioni antiche di perdurante fortuna, come quelle agiografiche; testi classici come le Deche di Tito Livio17.
La Cronaca di Partenope
14Al rafforzamento delle tradizioni di scrittura in volgare locale e ai processi di costruzione identitaria della Napoli angioina può dunque essere connesso il più significativo aggregato di scritture storiche del Trecento, la CrP.
15Secondo l’ipotesi formulata da Francesco Sabatini, la stesura dei testi e la loro fissazione nel corpus andrebbero collocate tra gli anni di poco precedenti alla metà del Trecento e il penultimo ventennio del Quattrocento, quando il testo si stabilizza in un diverso assetto nella princeps attribuita a Del Tuppo ([Napoli], 1486-1490). Nel pieno Cinquecento, invece, in aggiunta alle più generiche denominazioni di croniche e scriptura, attestate nei manoscritti e nell’incunabolo, si forma la denominazione CrP che poi diverrà il titolo moderno della raccolta18.
16Secondo il quadro tradizionale ricostruito da Bartolommeo Capasso, Gennaro Maria Monti e Francesco Sabatini, il corpus si sarebbe articolato in quattro parti diverse per formazione, argomento e datazione; queste, nel loro complesso, coprono le vicende del Regno dalla fondazione di Napoli all’invasione di Luigi d’Angiò. Aggiornando la divisione tradizionale con nuove indicazioni relative alle tappe compositive, le parti possono essere così descritte:
a) i parte (CrP i): databile secondo Monti al 1326-1343 e secondo Sabatini intorno agli anni Quaranta del Trecento, è una composizione basata su una sintesi di varie fonti classiche e mediolatine di taglio storico-mitologico e agiografico; essa raccoglie leggende e storie sulle origini di Napoli e sulla Napoli di età classica e alto-medievale19; |
b) ii parte (CrP ii): rimaneggiamento della BI (1348-1350) del nobile napoletano Bartolomeo Caracciolo Carafa, riunisce le vicende del Regno dall’età pre-normanna all’età angioina di Roberto e Giovanna I d’Angiò-Durazzo; |
c) iii parte (CrP iii): databile genericamente tra la fine del Trecento e i primi del Quattrocento, è costituita in gran parte, ma non esclusivamente, da compendi di paragrafi della Nuova Cronica di Giovanni Villani; essa è suddivisa in due sezioni: iiiA, dedicata a eventi regnicoli fino al primo quarto del Trecento, e iiiB, a sua volta incentrata su eventi storici a più ampio raggio svoltisi entro il 1287; |
d) iv parte (CrP iv): compilazione di più ipotesti, risalente al 1380-1385, racconta le vicende del Regno dalla seconda spedizione siciliana di Roberto d’Angiò all’invasione del regno da parte di Luigi d’Angiò e al suo ingresso a L’Aquila (1382). |
17Al di là delle diverse fisionomie che il corpus assume nella tradizione, dietro alla composizione e all’assemblaggio delle prime due parti possono agevolmente riconoscersi istanze culturali peculiari dell’età angioina: da un canto, la necessità di dare nuova forma ad antiche narrazioni storiche e agiografiche relative alle origini di Napoli e alle dominazioni che precedono l’età angioina; dall’altro, il bisogno di raccogliere in un disegno unitario le più recenti vicende storiche. Del resto, le stesse trasformazioni cui sono sottoposti i materiali più antichisono connesse al bisogno di aggiornare il rapporto fra memoria storica e identità urbana alla luce dei mutamenti provocati dalla transizione dinastica20. Riunendo in un unico organismo testuale miti d’età classica, leggende di santi, narrazioni delle imprese militari dei napoletani, profili e gesta dei sovrani di età normanna, sveva e angioina, le prime due parti rendevano disponibile per il pubblico dei lettori di testi in volgare un complesso e stratificato patrimonio di storie dal valore fondativo.
18Se su questa funzione fondativa delle prime due parti vi è unanime consenso tra gli studiosi, sono, invece, diverse le ipotesi relative tanto ai modi e tempi di composizione delle prime due parti, quanto ai processi mediante cui si aggrega tutto l’insieme delle quattro parti. Secondo l’ipotesi originaria di Sabatini, nei primi anni Ottanta un anonimo rimaneggiatore avrebbe rielaborato e assemblato le prime due parti, originariamente distinte, inserendo rinvii interni a eventi successivi: avrebbe così preso corpo ciò che possiamo definire “redazione a”. Parallelamente, negli stessi anni si sarebbero formati altri materiali: una seconda redazione (“redazione b”) della cronaca, con innovazioni e interpolazioni soprattutto nella ii parte (per cui si distingue CrP iiada CrP iib); i compendi di storie villaniane (CrP iiiA e CrP iiiB) e la cronachetta durazzesca incentrata su Giovanna I e Carlo III di Durazzo (CrP iv). In seguito, questi materiali sarebbero stati variamente affiancati e integrati dando forma alle diverse fisionomie testuali oggi concretamente rinvenibili: oltre alla “redazione b”, la giustapposizione dei compendi villaniani alla “redazione a” e, infine, l’integrazione della iv parte alla “redazione b”21.
19Aggiornando l’ipotesi di Sabatini, la ii parte va certamente collegata all’attività del nobile napoletano Bartolomeo Caracciolo Carafa. Essa, infatti, può essere considerata frutto del rimaneggiamento della scarna BI, redatta tra il 1348-1350 da Bartolomeo Caracciolo Carafa22. Va notato che la tradizione manoscritta della CrP conserva quasi sempre il colophon originario della BI con autonominazione di Carafa, designazione del testo come «breve informacione» e dedica a Luigi di Taranto. Secondo questa ipotesi, lo stadio originario della BI è trasmesso da un’esigua tradizione costituita da tre soli codici, F3, N4, N523.
20L’aggregato delle prime due parti è dunque un’entità testuale che nasce dall’attività di selezione e riduzione di ipotesti diversi: nelle forme in cui è stato tramandato dalla tradizione manoscritta, esso mostra come, anche nel Regno, la scrittura storica in volgare abbia preso corpo attraverso il rimaneggiamento e l’accorpamento di testi, in latino e in volgare, appartenenti a tradizioni discorsive e generi testuali differenti; le due parti più antiche della CrP sono, infatti, in buona parte il frutto dell’attività di traduzione, riscrittura e giustapposizione di testi in latino di argomento storico, agiografico e mitico, come il Chronicon di Santa Maria del Principio, la Vita Athanasii, il Chronicon di Romualdo di Guarna e la compilazione in latino di materiali classici e medievali tràdita da una sezione del ms. IX C 24 della Biblioteca Nazionale di Napoli. Per tale motivo, le prime due parti della CrP consentono di sottolineare il ruolo centrale svolto dalla prassi del volgarizzamento nell’elaborazione di una tradizione di scrittura cronachistica locale in volgare.
21Inoltre, lo stesso vocabolario metaletterario utilizzato dai copisti-rifacitori delle redazioni tramandate consente di mettere a fuoco il carattere composito delle prime due parti24. Utili indicazioni per comprendere il progetto della CrP possono, infatti, essere tratte dal confronto tra le rubriche iniziali di M1 e di PL (già P per Sabatini), i due codici più autorevoli rispettivamente per la “redazione a” e per la “redazione b”. In M1 il corpus è definito come «croniche»composte a partire da «diversi volume de libre»(«Lequale cose se innarrano tucte in diversi volume de libre sicché in queste presente croniche tucte so’ conposte», M1,c. 23ra rr. 5-8); invece, in PL esso è definito una «scriptura»composta a partire da «diversi volumi e coroniche» («Le quale chuose tucte se narrano in diversi volumi e coroniche et in questa presente scriptura si componino», PL, c. 1r, rr. 4-6). Il lessico usato in M1 descrive, quindi, l’attività di composizione del nuovo testo come un percorso che, a partire da generiche narrazioni («diversi volume de libre»), porta alla costruzione di un testo con un più evidente focus storico («in queste presente croniche»); in PL, invece, emerge una descrizione delle fonti secondo una chiara coppia oppositiva: generiche narrazioni versus cronache («diversi volumi e coroniche»), destinate tutte a confluire in una nuova«scriptura». Al di là delle differenze, in entrambi i casi, i termini così raggruppati mostrano che alla composizione del corpus trecentesco è sottesa l’idea di una riduzione quantitativa e qualitativa di eterogenei ipotesti attraverso il loro montaggio in un nuovo organismo: “comporre” è qui utilizzato nel senso di ‘formare un tutto dall’unione di più elementi’ o, per meglio rimarcare il carattere testuale dell’operazione, ‘accorpare materiali narrativi, tratti da fonti diverse, in una nuova struttura’. Significativo, in quest’ottica, che nella I parte occorra il termine compositore: «[I]nter l’altre et varie cose che so’ in presencia de me compositore de quisto libro solamente scrivere una cosa non m’è greve» (M1, c. 35vb, rr. 12-15).
22Sebbene a questa altezza cronologica in area italo-romanza la voce occorra nell’accezione generica di ‘autore’, qui essa sembrerebbe mantenere un legame con il valore originario della parola, che rimanda all’attività di raccolta e assemblaggio di materiali di diversa provenienza (vd. TLIO s.v. compositore e s.v. componitore).
23Come abbiamo visto, nei manoscritti che, come M, riportano il colophon finale con auto-attribuzione a Bartolomeo Caracciolo Carafa, s’individua un’altra voce del vocabolario metaletterario, la parola «informacione»:25
24La sopradicta breve informacione tracta de diverse croniche ve fay a vuy nostro signore re Luyse lo vostro fidelissimo vassallo Bartholomeo Caraczulo dicto Carrafa, cavaliere de Napoli (M1, c. 50va rr. 5-10; ve] ms. che; cfr. The ‘Cronaca di Partenope’, cit., par. 75, p. 281).
25Com’è evidente, non è dato pacifico l’estensione dell’entità testuale a cui il sintagma «breve informacione» si riferisce: essa dipende dai rapporti che si ritiene vi siano fra la “tradizione autonoma” della BI e la ii partedella CrP. Nell’ipotesi qui ventilata, la denominazione di «breve informacione» si riferisce al testo autonomo, da cui, con un processo di adattamento, sarebbe stata tratta la ii parte. In base a quanto proposto da Kelly, il colophon si riferirebbe, invece, a i e ii parte: secondo Kelly, avremmo qui una precisa scelta lessicale che individua, nel suo complesso, l’operazione di composizione degli ipotesti delle prime due parti e definisce l’intera entità testuale che ne deriva. Tuttavia, un’analisi del valore semantico del lessema nell’ambito delle scritture amministrative e storiche (‘sorta di documentazione amministrativa compilata per il sovrano’) fa sembrare il termine assai più adatto a designare un testo dinastico come quello tràdito dai tre codici fiorentino e napoletani (BI), che non l’aggregato di i e ii parte della CrP26. Va inoltre messo in evidenza che anche per questo aspetto è di grande interesse la relazione fra testo e paratesto, giacché in F3, il più antico dei testimoni della tradizione autonoma, si legge una definizione del testo anche nella rubrica di apertura e non solo nel colophon finale:
Brevis conpilacio fata per me Bartolomeus Characzulum dittum Charafam milite de Neapoli, extratta de diversis coronicis, scritta per vulgari de mandato domini domini regis Ludovici (F3, c. 106v, rr. 7-9).
La sopreditta breve informacione tratta de divercze cronace ve fay, nostro signore re Loyse, lo vostro fidele vassallo Bartomeo Caraczolo ditto Carrafa, cavaliere de Napole (F3, c. 110v, rr. 15-18).
26Al termine di questa analisi, si può osservare che i dati qui raccolti chiariscono i modi di formazione dell’aggregato di iparte e iiparte e il “punto di vista” dei copisti-rifacitori delle redazioni tramandate. Pur nella varietà terminologica con cui questa nuova entità viene definita nel corso della tradizione, prevale l’idea di una riduzione almeno quantitativa dell’eterogeneità e voluminosità delle fonti attraverso il loro montaggio in un nuovo “libro”. A fronte di tali modalità di lavoro, unicità del supporto materiale e seriazione cronologica sono le due forme di ordinamento attraverso le quali è data compattezza al nuovo organismo testuale. Se blocchi testuali di transizione e “cuciture” tendono a mimetizzare l’assemblaggio di materiali eterogenei, tuttavia, traccia della diversità degli ipotesti resta nello spostamento degli interessi narrativi tra le due parti: incentrata sulla storia della capitale, la iparte narra dei prodigi di Virgilio-mago, delle vicende eroiche ed esemplari dei santi e della fondazione di culti e chiese; la iiparte, invece, si presenta come una compatta sequenza di nuclei organizzati secondo un andamento dinastico che ripercorre la successione dei signori prenormanni e dei sovrani normanni, svevi e angioini. Inoltre, se gli eventi narrati nelle due parti appaiono come oggetti distinti su cui la scrittura esercita la sua funzione memoriale, è perché essi non vengono inseriti in un’omogenea e compatta routine narrativa. Infatti, pur in un comune impianto stilistico “medio”, sono ben riconoscibili differenze nell’andamento periodale tra iparte e iiparte: più complessa l’organizzazione della iparte, caratterizzata da una maggiore varietà di strutture sintattiche; additiva e paratattica, invece, la linea di sviluppo della iiparte, che affida la sua progressione narrativa alla congiunzione “e” e ai connettori “anche” e “poi”.
27In conclusione, i dati codicologici, il lessico metaletterario e gli andamenti narrativi lascerebbero pensare che le prime due parti della CrP siano state originariamente due testi distinti, aggregati all’altezza della formazione dell’archetipo di tutta la tradizione manoscritta, intorno agli anni Ottanta del Trecento27. Del resto, come vedremo, anche sulla scorta del profilo culturale e ideologico di Bartolomeo Caracciolo Carafa, appare preferibile attribuirgli la redazione della BI, piuttosto che l’allestimento delle prime due parti di CrP.
Bartolomeo Caracciolo e la composizione della Cronaca di Partenope
28Non sono molte le notizie che abbiamo di Bartolomeo Caracciolo Carafa. È un nobile e un uomo politico, nato intorno al 1300, legato alla corte angioina e in particolare a Luigi di Taranto, marito di Giovanna I, su cui «mandato», come abbiamo visto, dichiara di aver scritto la BI28. Negli anni immediatamente precedenti la metà del secolo svolge funzioni di prestigio come esponente della nobiltà cittadina e come ufficiale della corte angioina: è rappresentante della nobiltà di Nido nel governo provvisorio della città durante l’invasione ungherese del 1348 ed è Maestro Razionale nel 1343, incaricato di attività di revisione dei conti degli ufficiali del re per le esigenze delle camera reale29. Il titolo di Breve Informazione ben si adatta alle attività di Bartolomeo Caracciolo Carafa, dal momento che l’acquisizione e la trasmissione dell’“informazione”è uno dei procedimenti principali messi in atto dai Razionali per le funzioni di controllo normalmente esercitate30, e la stessa rivendicazione autoriale nel colofone è un tratto pertinente più a uno scrivente dell’amministrazione che a uno storiografo31.
29Nella seconda metà del Trecento, nella sua biblioteca l’anonimo compilatore del ms. Vat. Ottoboniano 2940 trova la copia del patto tra il duca Sergio e i Napoletani (IX secolo): Forma privilegii continentis Magnificenciam Nobilium Civitatis neapolis Inventi in domo domini Bartholomei caraczuli dicti carrafe32. L’annotazione, che appartiene a mano diversa dal copista, configura la casa di Bartolomeo come un luogo di conservazione di atti di interesse pubblico. Bartolomeo può essere descritto come uno storico in pectore, che conservava a casa sua le fonti della sua cronaca e i testi fondativi della comunità cittadina, o meglio come un nobile interessato al ruolo politico dei magnati napoletani, della cui legittimazione il patto con il duca Sergio è l’epifania33. In effetti le stesse ragioni della dedica della BI tuttora sono poco chiare: che sia stato il sintomo di una strategia arrendevole di fronte alla forza politico-militare di Luigi di Taranto34 o un tentativo di autolegittimazione presso una delle parti in lotta nella Napoli della metà del Trecento, in ogni caso l’offerta è un atto politico che implica una minima sensibilità storiografica. Bartolomeo Caracciolo Carafa costruisce la sua testimonianza in una struttura ancora saldamente genealogica, e dà un’immagine del Regno che serva a Luigi di Taranto come un documento di continuità nella successione delle dinastie; al contempo, svolgendo la funzione di storico rafforza il suo stato di funzionario e di nobile di Seggio.
30Del resto la personalità dell’autore non è quella di un umanista: Bartolomeo non è assimilabile né a un Paolo da Perugia né a un Dionigi di Borgo San Sepolcro; è un uomo colto, certo, ha familiarità con la storiografia latina e non gli è estranea la consuetudine di comparare diverse fonti, come ci si può aspettare da un uomo di Chiesa e da un uomo di legge; ma l’appartenenza al più antico patriziato napoletano e il ruolo di prima importanza nelle istituzioni sono sufficienti a spiegare lo stimolo alla compilazione storiografica sul Regno a prescindere dall’esercizio filologico e dal culto per la classicità.
31Secondo la Kelly, la i e la ii parte della CrP appartengono a uno stesso autore perché comune è la personalità del volgarizzatore: è un napoletano, uomo di legge, con una solida conoscenza del latino; se non un prete, certamente vicino alla chiesa locale; patrizio urbano, interessato a glorificare la storia di Napoli e gli antichi seggi di Capuana e Nido. Paradossalmente la debole autorialità dei testi storiografici non inficia ma rafforza questa tesi, che intende attribuire a una sola persona il corpus trecentesco che va sotto il nome di CrP. L’assunto della Kelly è coerente, infatti, con quei processi di costruzione dei testi storiografici medievali, per i quali possiamo non attenderci un’omologazione stilistica e narrativa di ipotesti volgarizzati e poi composti in una raccolta.
32Ma ci sono indizi che contrastano con questa tesi. Abbiamo qui ribadito l’esistenza di una tradizione manoscritta autonoma della BI (vd. § 3) e in altra sede si è dato conto dell’ampia costellazione di testi latini e volgari che riportano la storia delle dinastie del Regno35. La ii parte della CrP appare essere una redazione posteriore alla BI. Un primo indizio è dato da una variante attestata nella CrP ii ma assente in tutti i testimoni della BI:
BI: «[Roberto il Guiscardo] la citate de Napole no· pote may aquistare inperrò che era forte de sito e de cavallaria» (F3, c. 107r); «la citate de Napoli non potte may acquistare po’ che era forte de sito et de cavallaria» (N5, c. 78v)36.
CrP ii: «Et da poy per comandamento de la ecclesia tucto lo riame subiugò excepto la nobile cità de Napoli, la quale non pocte may subiugare per lo grande valore de li citadini li quali verilemente resistero» (ed. Kelly § 57, p. 245, 15-17).
33La BI attribuisce alle difese naturali di Napoli e alla milizia nobiliare la resistenza al Guiscardo, secondo quanto asseriva Romualdo di Guarna37, e in modo conforme all’atteggiamento ideologico atteso nel nobile di Nido Bartolomeo Caracciolo Carafa38: invece tutti i manoscritti di CrP ii lodano la virile difesa compiuta dai cittadini, mostrando una diversa e rinnovata sensibilità politica, tipica della i parte della CrP, dove con «citadini» e «napolitani» si denomina una parte di grande rilievo nelle vicende della città, un vero personaggio della storia.
34Un’altra serie di indizi mostra che le due prime parti della CrP non manifestano i pur deboli segni della coerenza di un autore-volgarizzatore, ma le stratificazioni di una costruzione complessa e fortemente condizionata dalle precedenti forme testuali. Sono molti i caratteri separativi di CrP i da CrP ii; le due sezioni sono tramandate sempre insieme nei manoscritti e nelle stampe, ma CrP i mostra segni di autonomia testuale e di recenziorità in alcuni caratteri idiosincratici: numerose glosse punteggiano tutti (e solo) i suoi capitoli; il suo impianto miscellaneo si fonda su inclinazioni culturali che non sono condivise da CrP ii, dal momento che abbrevia e seleziona fonti antiche (talvolta citate in modo esplicito) in una compilazione che intende dare continuità alla memoria cittadina39; solo in CrP i si trovano rinvii a eventi narrati in CrP ii e un enunciatore principale emerge dal tessuto della narrazione esprimendo il suo punto di vista, i suoi gusti, i suoi processi cognitivi. In CrP ii, invece, solo le varianti rispetto alle altre redazioni della cronaca del Regno (cioè a SL, CS, FU) manifestano un desiderio di adeguamento al tessuto ideologico di cronaca urbana proprio di CrP i, mentre le caratteristiche strutturali della sezione, sostanzialmente inalterate rispetto alla BI, rispondono a un gusto sensibile soprattutto alle vicende interne del Regno40. Il compositore di CrP i percepisce un’eccezionale profondità del passato di Napoli e si serve delle compilazioni di antichità e delle fonti orali per scrivere un racconto che dia ragione delle istituzioni, dei cittadini e della storia urbanistica41; la sua rappresentazione collettiva della storia di Napoli aspira a costruire sulle memorie del passato un ruolo politico per la città. Nella trama narrativa della ii parte della CrP, invece, non vi è questa finalità meramente politica che punteggia tutta la i parte e che si manifesta nel rivendicare la “memoria” di Napoli e la nobiltà dei più antichi Seggi attraverso la composizione in volgare di contenuti storici provenienti da più fonti: narrazioni antiquarie, racconti folklorici e testimonianze del cronista.
35Allora, gli obiettivi compositivi, i caratteri ideologici, le inclinazioni culturali, i marchi della mentalità, i tratti linguistici delle due parti, pur tenendo conto dell’influenza degli ipotesti, non sembrano compatibili con la scrittura di una sola persona e lasciano scorgere la mano di un “compositore”: a lui andrà attribuita la formula di sutura che lega le due parti nell’esordio di CrP ii («Poy de questo è da sapere che») e, probabilmente, la formazione di un esemplare molto simile all’archetipo ricostruibile in base alla tradizione giunta fino a noi. Che questo “compositore” possa essere stato Bartolomeo Caracciolo Carafa è molto dubbio, dal momento che, rivolgendo la propria attenzione alla storia di Napoli, proprio il depositario della Forma privilegii continentis Magnificenciam Nobilium Civitatis Neapolis non sarebbe stato così disattento nei confronti della storia delle istituzioni medievali cittadine, di cui non vi è traccia nella iparte della CrP. Anche la tradizione manoscritta della BI sembra suggerire che solo di questa redazione sia autore Bartolomeo Caracciolo; e i principali indizi cronologici lasciano credere che la giustapposizione di CrP i e CrP ii sia avvenuta negli anni ’80 del Trecento, quando Bartolomeo era già morto e quando ormai era presente il modello della Nuova Cronica di Giovanni Villani, con la sua originale lettura della storia cittadina in un contesto universalistico, il trattamento consapevole ed esplicito delle fonti, l’innovativa discorsività di un testo storiografico diretto a un ampio pubblico locale e sovralocale42.
Conclusioni
36Nel complesso, il lavoro di analisi sin qui condotto ha inteso ricostruire il contesto culturale e linguistico nel quale, nella Napoli angioina, presero corpo scritture cronachistiche in volgare, delle quali sono ricostruiti modi e tempi di formazione.
37Più nel dettaglio, si è mostrato che, come in altri contesti di produzione storiografica in volgare, anche il più importante corpus cronachistico di età angioina è un esempio di costruzione narrativa ad autorialità debole: nella CrP, infatti, nuclei narrativi preesistenti sono debolmente aggregati mediante giunture e passaggi interni che regolano l’articolarsi della narrazione. I dati codicologici, il lessico metaletterario e gli andamenti narrativi hanno permesso di ipotizzare che le prime due parti della CrP siano state originariamente testi distinti, aggregati negli anni Ottanta del Trecento, e non vadano dunque attribuite al nobile Bartolomeo Caracciolo Carafa; secondo questa prospettiva, all’attività storiografica di quest’ultimo andrebbe ascritta la paternità della BI, lo scarno resoconto dinastico poi inglobato nella CrP43. Del resto, come si è sostenuto nel § 4, così come ci è stata tramandata dai tre mss. che la conservano, per contenuti, orizzonte ideologico e struttura, la BI si attaglia al profilo culturale e ideologico di Bartolomeo Caracciolo Carafa assai meglio della composita CrP.
Notes de bas de page
1 F. Sabatini, Napoli angioina. Cultura e società, Napoli, 1975.
2 Per il testo si veda ora The ‘Cronaca di Partenope’. An introduction to and critical edition of the first vernacular history of Naples (c. 1350), ed. S. Kelly, Leida-Boston, 2011, ma anche C. De Caprio, Scrivere la storia a Napoli tra medioevo e prima età moderna, Roma, 2012, p. 17-68 e F. Montuori, La scrittura della storia a Napoli negli anni del Boccaccio angioino, in G. Alfano et al. (a cura di), Boccaccio angioino. Materiali per la storia di Napoli nel Trecento, Bruxelles, 2012, p. 175-201, in part. p. 180. Si elencano i manoscritti citati con le rispettive sigle: per la CrP, M1 = M 973 della Pierpont Morgan Library di New York; PL = I D 14 della Biblioteca Centrale della Regione Siciliana di Palermo; E = alpha H.8.14 della Biblioteca Estense di Modena; per la BI, F3 = Pal. 951 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze; N4 = X C 31 della Biblioteca Nazionale di Napoli; N5 = Vindob. Lat. 71 della Biblioteca Nazionale di Napoli.
3 Sulle modalità di formazione dei testi romanzi e le figure dell’autore, dell’“editore” e del copista vd. Almeno E. Kennedy, The scribe as editor, in Mélanges de langue et de littérature du Moyen Âge et de la Renaissance offerts à Jean Frappier, 2 vol., Ginevra, 1970, I, p. 523-531; A. Vàrvaro, Elogio della copia (1998), in Id., Identità linguistiche e letterarie nell’Europa romanza, Roma, 2004, p. 623-35; A. Vàrvaro, Il testo letterario, in P. Boitani, A. Vàrvaro, M. Mancini (a cura di), Lo spazio letterario del Medioevo. 2. Il Medioevo volgare, 4 vol., Roma, 1999-2005, I, La produzione del testo [1999], p. 387-422; L. Canfora, Il copista come autore, Palermo, 2002; M. Barbato, Trasmissione testuale e commutazione del codice linguistico. Esempi italoromanzi, in R. Wilhelm (éd.), Transcrire et/ou traduire. Variation et changement linguistique dans la tradition manuscrite des textes médiévaux. Actes du congrès international, Klagenfurt, 2012, Heidelberg, 2013, p. 193-211, in part. p. 194-197; I. Fernández-Ordóñez, Transmisión y Metamorfosis. Hacia una tipología de mecanismos evolutivos en los textos medievales, Salamanca, 2012; I. Fernández Ordóñez, El texto medieval: propiedad y uso, in Medioevo romanzo, 39, 2015, p. 45-68.
4 F. Sabatini, Napoli angioina… cit., p. 35, e ora C. De Caprio, La scrittura cronachistica nel Regno…, cit.
5 F. Sabatini, Lingue e letterature volgari in competizione [1992], in F. Sabatini, Italia linguistica delle origini. Saggi editi dal 1956 al 1996, V. Coletti et al. (ed.), 2 vol., Lecce, 1996, II, p. 507-568 (p. 510); N. De Blasi, Storia linguistica di Napoli, Roma, 2012, pp. 19-36; L. Minervini, Il francese a Napoli (1266-1442). Elementi per una storia linguistica, in G. Alfano et al. (a cura di), Boccaccio e Napoli. Nuovi materiali per la storia culturale di Napoli nel Trecento. Atti del Convegno Boccaccio angioino. Per il VII Centenario della nascita di Giovanni Boccaccio (Napoli-Salerno, 2013), Firenze, 2015, p. 151-174.
6 Per un’analisi del manoscritto e per l’individuazione del destinatario, J. Kujawiński, Alla ricerca del contesto del volgarizzamento della Historia Normannorum di Amato di Montecassino: il manoscritto francese 688 della Bibliothèque nationale de France, in Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medioevo, 112, 2010, p. 91-136; F. Zinelli, «Je qui li livre escrive de letre en vulgal». Scrivere il francese a Napoli in età angioina, in G. Alfano et al. (a cura di), Boccaccio angioino. Materiali… cit., p. 149-173; L. Minervini, Il francese a Napoli (1266-1442)…, cit., p. 151-174.
7 Ibid., p. 153.
8 C. Lee, Letteratura franco-italiana nella Napoli angioina ?, in Francigena, I, 2015, p. 83-108 (p. 100).
9 Per un quadro dei testi, F. Sabatini, Lingue e letterature volgari… cit.; F. Sabatini, Volgare “civile” e volgare cancelleresco nella Napoli angioina [1993], in Id., Italia linguistica… cit., II, p. 467-506 (partic. p. 485-86), e N. De Blasi, Storia linguistica di Napoli… cit.
10 F. Sabatini, Volgare “civile” e volgare cancelleresco… cit., p. 482-486.
11 F. Zinelli, «Je qui li livre escrive de letre en vulgal», cit.
12 Il regesto in G. Ferrante, L’‘Inferno’ e Napoli. Spazi personaggi e miti della catabasi negli antichi commenti danteschi, in G. Alfano et al. (a cura di), Boccaccio angioino… cit., p. 219-250, che si occupa soprattutto del soggiorno napoletano di commentatori di origine non meridionale. La tradizione di commenti alla Commedia scritti nel Regno nasce dopo Roberto (S. Bellomo, Dizionario dei commentatori danteschi. L’esegesi della «Commedia» da Iacopo Alighieri a Nidobeato, Firenze, 2004, p. 21); sul tema, A. Mazzucchi, Contributi dell’antica esegesi dantesca a un vocabolario storico del dialetto napoletano, in B. Itri (a cura di), Tra res e verba. Studi offerti a Enrico Malato per i suoi settant’anni, Padova, 2006, p. 79-135, che ricostruisce l’esistenza di un corpus di glosse latine alla Commedia circolanti a Napoli tra 1357-1358 e 1369, cioè tra la redazione β delle chiose di Pietro Alighieri e il commento di Maramauro (p. 82); sulla tradizione napoletana di commenti esogeni vd. le voci Guido da Pisa e Pietro Alighieri, in E. Malato e A. Mazzucchi (a cura di), Censimento dei Commenti danteschi, 1. I commenti di tradizione manoscritta (fino al 1480), Roma, 2011; per l’Amico dell’Ottimo, autore di quella che una volta era considerata la III redazione dell’Ottimo Commento, C. Perna, Uno stemma per le “Chiose sopra la ‘Comedia’” dell’“Amico dell’Ottimo”, in Rivista di Studi Danteschi, XIII, 2013, p. 334-353 (p. 334); sui codici della Commedia a Napoli, A. Mazzucchi, Supplementi di indagine sulla ricezione meridionale della ‘Commedia’ in età angioina, in G. Alfano et al. (a cura di), Boccaccio angioino… cit., p. 203-218; A. Perriccioli Saggese, I codici della Commedia miniati a Napoli in età angioina, in Rivista di storia della Miniatura, 5, 2000, p. 151-158; C. Perna, Una testimonianza della circolazione meridionale della ‘Commedia’: le chiose B del codice Barberiniano Latino 4103, in Bollettino Linguistico Campano, 15/16, 2009, p. 123-142.
13 L. De Rosa, Ricordi, a c. di V. Formentin, Roma, 1998, p. 218; M. Barbato, Il libro VIII del Plinio napoletano di Giovanni Brancati, Napoli, 2001, p. 553-554.
14 F. Sabatini, L’«Epistola napoletana». Esperimento di genere e di modalità narrative, in G. Alfano et al. (a cura di), Boccaccio e Napoli…, cit., p. 13-21 (p. 20).
15 Afferma M. Cursi, Il ‘Decameron’: scritture, scriventi, lettori, Roma, 2007 p. 116: «Se escludiamo le pressanti richieste della colonia fiorentina residente a Napoli nel terzo quarto del Trecento [su cui vd. p. 23-31 e l’articolo in Boccaccio e Napoli cit.] e l’enigmatico caso del codice Parigino Italiano 1474 [su cui vd. p. 76-79] nessun segnale positivo giunge da ambienti italo-meridionali fino alla metà del Quattrocento».
16 L. Petrucci, Lasciti della prima circolazione della ‘Genealogia deorum gentilium’ in un manoscritto campano del Quattrocento, in Studi mediolatini e volgari, XXVII, 1980, p. 163-181; per la datazione di una glossa al commentario a dopo il 1485, F. Senatore, Capys, Decio Magio e la nuova Capua nel Rinascimento, in Incidenza dell'Antico,14-1, 2016, p. 127-148.Per il manoscritto, E. D’Angelo, Una silloge umanistica suessana (scheda per Napoli B.N. IX. C. 24), in Vichiana, ser. IV, 2, 2000, p. 225-239; per i rapporti con CrP i, S. Kelly, The ‘Cronaca di Partenope’… cit., p. 56-65.
17 Per le fonti della CrP, S. Kelly, The ‘Cronaca di Partenope’… cit., Appendix I. Per un quadro delle diverse modalità di riuso delle fonti, F. Montuori, Come si costruisce una cronaca… cit. Per la storiografia meridionale, G. Galasso, Italia e storiografia (VI-XX secolo), in Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti. Il contributo italiano alla storia del pensiero. Ottava Appendice, Roma, 2013, p. 63-96.
18 F. Montuori, Come si costruisce una cronaca… cit.
19 Per alcuni dubbi su una datazione entro gli anni Quaranta e per alcuni indizi a favore di una datazione più tarda, Ibid.
20 S. Kelly, Preliminary Matter, in The ‘Cronaca di Partenope’… cit., p. 3-148, alle p. 27-41; C. De Caprio, La scrittura cronachistica nel Regno… cit.; F. Montuori, Come si costruisce una cronaca… cit.
21 La sola “redazione b” è tradita da due codici, PL ed E; la giustapposizione di iiiA e iiiB alla “redazione a” è testimoniata dalla restante parte della tradizione manoscritta, mentre l’integrazione della iv parte alla “redazione b” caratterizza solo la princeps.
22 Per la plausibilità di questa ipotesi, dopo le riserve di S. Kelly, confronta § 4 e F. Montuori, Come si costruisce una cronaca… cit.
23 Diversa l’ipotesi di Samantha Kelly, che nel 2011 ha curato l’edizione delle prime due parti: queste, secondo la studiosa, andrebbero distinte dalle altre due e considerate in modo unitario, poiché attribuibili a quel Bartolomeo Caracciolo Carafa che si riteneva, invece, autore della BI. Infatti, Kelly nega che la BI sia stata redatta come testo autonomo da Carafa e sia poi confluita nella CrP: la studiosa ritiene, invece, che il colophon con autonominazione di Carafa si riferisca a ciò che Sabatini considerava come le prime due parti della CrP; rovesciando il senso del rapporto, sarebbe quindi frutto di un successivo rimaneggiamento della CrP la versione “autonoma”, di cui, però, Kelly non conosce due testimoni, tra cui F3, il codice più antico. La stesura definitiva della CrP (intesa come insieme delle prime due parti) viene così fissata da Kelly tra l’agosto del 1348 e l’agosto del 1350 (e, in ogni caso, non può superare il 1362, anno della morte di Bartolomeo).
24 Per questa prospettiva di lavoro rimando a M.L. Meneghetti, Sistema dei generi e/o coscienza del genere nelle letterature romanze medievali, in Medioevo romanzo, 37, 2013, p. 5-23.
25 Su questo, F. Montuori, Come si costruisce una cronaca… cit.
26 Ibid., e qui § 4.
27 F. Montuori, Come si costruisce una cronaca… cit.
28 De Frede, Caracciolo Bartolomeo, detto Carafa, in Dizionario biografico degli Italiani, 19, Roma, 1976, p. 312-313.
29 Nei Diurnali detti del duca di Monteleone (ed. N.F. Faraglia, Napoli, 1895, p. 6) si narra della negoziazione dei rappresentanti di Napoli presso il re d’Ungheria. Il diploma della nomina di maestro razionale è riportato da B. Aldimari, Historia genealogica della famiglia Carafa, I, Napoli, 1651, p. 98-99. I Maestri Razionali, secondo Annibale Moles (sec. XVI), erano molti e nobili, e in età angioina avevano un incarico di controllo su una serie di mansioni: «Il loro ufficio era di amministrare il regio patrimonio e di controllare l’operato di tutti gli Officiales di nomina regia, come si evince da un privilegio concesso da Giovanna I nel 1350 e riportato integralmente dal Moles. Risulta che i Maestri Razionali avevano anche il compito di dirimere le contese con i mercanti e tra i mercanti, di amministrare attraverso i loro agenti la giustizia civile e mista, di vendere affidare o affittare gli uffici del Regno, compiti tutti, in seguito, rimessi al controllo della Camera della Sommaria» (R. Delle Donne, Burocrazia e fisco a Napoli tra XV e XVI secolo. La ‘Camera della Sommaria’ e il ‘Repertorium alphabeticum solutionum fiscalium Regni Siciliae Cisfretanae’, Firenze, 2012, p. 41-42).
30 Le locuzioni capere informationem e piglyare informatione sono frequentemente attestate nei registri Partium (R. Delle Donne, Burocrazia… cit., p. 222 e passim).
31 F. Delle Donne, Perché tanti anonimi nel Medioevo ? Note e provocazioni sul concetto di autore e opera nella storiografia mediolatina, in Rivista di cultura classica e medievale, a. LVIII, 2016/1, p. 145-166, alle p. 152-154.
32 B. Capasso, Il ‘Pactum’ giurato dal Duca Sergio ai Napoletani (1030?), in Archivio Storico per le Province Napoletane, IX, 1884, p. 324-326. La stessa mano dichiara di aver trovato altri documenti in casa di Ligorio Brancaccio detto Zozo (anche lui di Nido e anche lui sepolto a S. Domenico Maggiore nel 1347) e di Riccardo Passarelli (vivente forse sotto re Roberto).
33 Rispettivamente da F. Sabatini, Napoli Angioina, cit., p. 137-138, e da M. Schipa, Contese sociali napoletane nel Medio Evo, Napoli, 1906, p. 6-7.
34 S. Kelly, The ‘Cronaca di Partenope’… cit., p. 20.
35 F. Montuori, Come si costruisce una cronaca… cit.: Chronicon Siculum incerti authoris ab anno 340 ad annum 1396 in forma diary [...], ed. G. De Blasiis, Napoli, 1887 (ms. Ottob. 2940, della fine del sec. XIV; qui CS), p. 1-7; Sommario Latino documentato in Gasparro Fuscolillo, Croniche, ed. N. Ciampaglia, Arce, 2008 (Testis temporum, 4) (ms. XXVIII D 10 della Società Napoletana di Storia Patria; qui SL), I (p. 3-6); il iii libro della Cronaca dello stesso Fuscolillo, canonico di Sessa Aurunca (d’ora in poi: FU), ivi, a III 1-26 (p. 47-55).
36 Il ms. Vat.lat. 4601, testimone che al posto di CrP ii presenta la BI, è lacunoso: «La cità de Napoli non may» (c. 20r, col.a); Fuscolillo ha sostanzialmente la stessa lezione: «et la cità de Napuli non pocte mai acquistare perché è forte de sito, mura et de cavallaria» (III 10).
37 La vita di Ruggero II in Romualdo II Guarna, Chronicon ed. C. Bonetti, Cava de’ Tirreni, 2001, p. 141: non espugnò Napoli quia civitas illa partim situ loci partim militia munita erat.
38 In un solo altro caso, invece, la parola citadini appare in CrP iia, insieme ai conti e ai baroni del Regno: «Et perdonao ad tucti lo conti, baruni, et citadini che erano scaczati de lo riame per lo re Guilielmo suo patre» (ed. Kelly, § 63a, p. 253, 33); la fonte, Romualdo di Guarna, non ha il tricolo, che è un’innovazione presente in BI nel solo F3, in CS e in FU, e assente in N4 e N5, che hanno solo «conti» e «baroni».
39 In un caso dà conto anche di opinioni contrastanti: «Onde essendo ordinato Anthino consulo et duca de la cità de Napoli [...], habe consiglyo co la universitate de Napoli et ordinaro et fecero andare per altra via la predicta fyumara o viro grosso curso de acqua. Anche habe uno altro opinione, cioè che data li fosse via socto terra a lo mare. Per l’una via o per l’altra, la predicta acqua ogi non vi è» (ed. Kelly, § 51, p. 239, 4-10).
40 Sia in CrP ii sia nella BI il testo termina con la sequenza della genealogia angioina da Roberto a Luigi di Taranto: «A lo quale re Ruberto succese la signyoria de nostra dompna la regina Iohanna nepote sua, che fo figlya de missere Carlo duca de Calabria primogenito de lo predicto re Ruberto, la quale è moglyere de lo nostro signyore re Luyse» (S. Kelly, The Cronaca of Parthenope… cit., p. 280; la lezione di F3 è uguale, mentre N5 ha un’interpolazione su Carlo duca di Calabria, ma in margine presenta la variante dell’altro manoscritto). Nell’esordio invece CrP ii innova rispetto a BI e agli altri testimoni della Cronaca del Regno, attraverso un adattamento che la caratterizza singolarmente: F. Montuori, Come si costruisce una cronaca… cit.
41 Nella prima metà del Trecento il processo di lettura di fonti scritte e orali per indagare sull’origine della città e fondarne la storia politica è compiuta a Firenze da personaggi come Coppo di Borghese Domenichi, influenzato da Dante e Villani e molto vicino a Boccaccio: F. Bruni, Between oral memory adn written traditionin Florence at the beginning of the XIVth century: Coppo di Borghese Domenichi, Andrea Lancia and Giovanni Boccaccio, in J.-Ph. Genet (éd.), L’Histoire et les nouveaux publics dans l’Europe médiévale (XIIIe-XVe siècles). Actes du colloque international organisé par la Fondation Européenne de la Science à la Casa de Velázquez (Madrid, 1993), Parigi, 1997, p. 114-123.
42 Per tutti questi aspetti, confronta soprattutto F. Ragone, Giovanni Villani e i suoi continuatori. La scrittura della storia a Firenze nel Trecento, Roma, 1998.
43 F. Montuori, Come si costruisce una cronaca… cit.
Auteurs
Università di Napoli Federico II, chiara.decaprio@unina.it
Università di Napoli Federico II, fmontuori@unina.it
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