Mercato della terra e commercio mediterraneo nel versante tirrenico tra X e XI secolo
p. 363-382
Résumés
A partire dai primi decenni del 900 nel commercio della terra scompaiono i tradizionali strumenti di pagamento, in argento o in solidi di Bisanzio, sostituiti dalla moneta d’oro di provenienza musulmana e siciliana, il tarì. Questa trasformazione è frutto del principale coefficiente dello sviluppo dell’economia rurale: il commercio; la fascia tirrenica si trova proiettata all’interno del flusso di scambi in «import» ed «export» che animano il Mediterraneo musulmano. Commercio alimentato lungo tutta la costa prevalentemente da operatori di origine amalfitana e che fornisce il più valido aiuto all’agricoltura locale. Insomma, la chiave della fortuna del mondo rurale tirrenico sta tutta nell’inserimento delle città meridionali in uno spazio economico mediterraneo prevalentemente musulmano.
The land market is crucial for understanding the development of the rural economy in the Tyrrhenian coast of Southern Italy between the 10th and the 11th century. From the beginning of the 10th century the traditional silver coins or the Byzantine solidi were replaced by a gold coin of Muslim origin, the tari. This transformation is the result of the development of the rural economy, because, in this age, the Tyrrhenian coast is projected into the flow of trade in import and export that animates the Muslim Mediterranean.
Texte intégral
1Nella fascia tirrenica compresa tra Napoli e Salerno, in un’area geograficamente non enorme ma caratterizzata da quattro diverse e ben distinte compagini politiche (i tre ducati di matrice bizantina di Napoli, Amalfi, Sorrento e il Principato longobardo di Salerno)1, a partire dai primi decenni del X secolo avviene una rivoluzione economica epocale, chiaramente rivelata dal commercio della terra: quasi improvvisamente, nelle transazioni scompaiono i fin ad allora tradizionali strumenti di pagamento, le monete d’argento o i solidi di Bisanzio, sostituiti dalle monete d’oro di provenienza musulmana e siciliana, i ruba‘i detti poi tarì. Una trasformazione radicale che si afferma con delle differenze da contesto a contesto, da città a città. Partiamo dal centro posto più a Sud, da Salerno. I documenti di area salernitana pubblicati nel Codice Diplomatico di Cava svelano questo scenario. Se, dal 792, compaiono ben 59 compravendite, tutte pagate in denari d’argento coniati a Salerno2, dal 908, in maniera brusca, tutto cambia: sparisce l’argento (verrà adoperato, fino alla fine dell’XI secolo, solo in cinque casi su ben 221) e il tarì diventa la moneta corrente delle compravendite, cui, in maniera più rada, si affianca il solido d’oro di Bisanzio, detto solidus costantineus. Nello stesso torno di tempo (a partire dal 907), ad Amalfi comincia a circolare il tarì, con una lunga stabilità che fa sì che raramente ci si preoccupi di precisare il tipo, segnalato solo di tanto in tanto e unicamente nel X secolo, con la menzione di tarì cassimini, dal nome del califfo Abu al-Qasim, che regna tra il 934 e il 945; o di tarì buctumini, dal nome di Abu Tamim, il califfo al-Mu‘izz, che governa tra 952 e 9753.
2Diversa è la situazione napoletana. Qui la spinta conservativa è molto più forte e l’uso di moneta musulmana più tarda. Fino al 935 si usano solo i solidi di Bisanzio. Da questo anno, però, ad essi si affiancano i tarì che penetrano nel mondo napoletano in maniera massiccia. Così, dalla metà del secolo, il mercato locale si giova di un doppio livello di monetazione: uno più rigido, istituzionale, tradizionale, appartenente all’area di Costantinopoli; l’altro, di derivazione musulmana, che si propone inizialmente come moneta divisionale. Per un po’, le due monete vengono usate in contemporanea, con pagamenti effettuati nelle due forme: in cantum con solidi; e in fractum, con la nuova moneta. Dagli ultimi decenni del secolo, però, il tarì siciliano soppianta il solidus, che sparisce da Napoli come moneta reale e si trasforma in moneta di conto. La data precisa di questo passaggio si può indicare: è il 987 e, per la prima volta, il solidus non compare più nella realtà e i curiali fissano il cambio a 4 tarì per ogni solidus4.
3La rivoluzione monetaria è stata dovuta all’immissione nel mercato tirrenico di oro africano. I musulmani sparigliano l’economia dell’Italia meridionale introducendo grosse quantità d’oro, che proviene dal Sahara e dalle miniere del Sudan. Lo sfruttamento minerario svolge un ruolo fondamentale. Il trasporto dell’oro diventa l’affare principale del commercio trans-sahariano. Colonne di cammellieri berberi trasferiscono l’oro grezzo dai centri di deposito della regione Senegal-Niger fino ai grandi centri carovanieri del nord, sul bordo settentrionale del deserto, fino ai porti della costa. Tuttavia, questo afflusso d’oro trova un’altra fonte di alimento, proveniente dai saccheggi e dalle razzie (basti pensare alle enormi quantità d’oro sottratto a chiese e monasteri cristiani che giocano un fondamentale ruolo di riserva). Questa corrente d’oro monetato è favorita, peraltro, da un altro fattore: il progresso delle tecniche di trattamento del minerale, grazie all’utilizzo del metodo dell’amalgama, procedimento che impone l’alto uso di mercurio: per il quale entra in lizza il mercurio spagnolo che arriva da Almaden (al-ma’din, la miniera per eccellenza). Mercurio che viene esportato per ogni dove, dalla Sicilia al Marocco, dal Sudan all’Egitto, dalla Nubia alla Mesopotamia, all’Asia centrale, all’Oceano Indiano5.
4Grazie a questi innesti, alle grandi quantità d‘oro scavate, al rinnovamento delle tecniche, all’utilizzo di materiali chimici che dalla Spagna giungono in tutto il mondo musulmano, battere moneta diventa relativamente semplice. Come attesta intorno all’850 il geografo Ibn Hurdadbeh per il quale l’abbondanza di circolante è tale che ogni borgata, anche la più piccola, è ricca di monete d’oro. Una corrente che innerva tutto il mondo musulmano e i paesi commercialmente ad esso collegati. Come avviene in Sicilia, dove, dall’Africa e dall’Egitto, arriva molto oro, che qui viene trasformato in moneta e si diffonde nel Mezzogiorno tirrenico, riuscendo a superare l’esame capitale che qualunque nuova divisa deve subire nel corso della sua apparizione: cioè il confronto con le altre presenti. Un confronto che, nel caso meridionale del tarì, risulta assolutamente vincente.
5Questo flusso d’oro dall’Africa verso il Sud Italia però non è sempre costante. Dalla metà dell’XI secolo la corrente subisce un violento arresto. Specialmente a causa della crisi hilaliana nell’Africa del Nord, che saccheggia il paese e crea una barriera fra gli emirati della costa e le lontane fonti di approvvigionamento d’oro6. Ma è forse anche la situazione di anarchia politica siciliana a creare penuria e a far calare la lega del tarì isolano. Allora i continentali fanno da sé. E, ad Amalfi e a Salerno, si coniano dei tarì d’imitazione, con iscrizioni che cercano di contraffare quelle musulmane, perlopiù di fantasia. Si tratta di monete svalutate. Impure. Le salernitane contengono meno di un terzo d’oro e più della metà è argento. Quelle di Amalfi, meno del trenta per cento. Sono monete di adattamento, surrogati, che comunque circolano e anche molto. Seppure con delle riserve da parte di chi le adopera. Anzi spesso, si richiede un adeguamento al cambio tra tarì coniati nelle zecche meridionali e quelli musulmani. Per capirci, venticinque solidi di tarì di Amalfi, vengono scambiati a Napoli, nel l063, con venti solidi di tarì in meliore moneta. Oppure, nei pagamenti di terra o di merce, si richiede espressamente che venga effettuata non con tarì di Amalfi ma in moneta antica, quella musulmana, ossia con monete buone de illis monetis veteris7. La fiducia dell’acquirente, ora come allora, risiede nella buona qualità della moneta. E quella coniata dai musulmani resta superiore.
6In definitiva, abbiamo, per almeno centocinquanta-duecento anni, una circolazione ad ampio spettro che condiziona e caratterizza il volume commerciale e economico del Mezzogiorno. Grazie all’utilizzo di una valuta di carattere internazionale, il tarì musulmano, che rende tutta l’area praticamente omogenea sotto un unico denominatore monetario. Fatto che facilita scambi e commerci, crea fiducia in chi compra e in chi vende; e consente un arricchimento palese. Il Meridione, e in particolare le città della costa tirrenica, si rafforzano grazie alla loro appartenenza a questo circuito che cresce all’ombra del tarì8. Una complementarietà che risulta possibile perché non esistono barriere. Dove il mare Mediterraneo non rappresenta un elemento di chiusura, ma uno spazio vitale di nessi e connessioni. È infatti l’esistenza di un complesso mercato mediterraneo che riesce a mettere in relazione oro africano, mercurio spagnolo, zecche di Palermo con le risorse e i prodotti che fornisce l’Italia meridionale. Un mercato comune musulmano mediterraneo, dunque, che sopravvive a lungo, nel quale ogni minima operazione viene garantita dall’utilizzo di moneta musulmana.
7Tra Salerno e Napoli, tra X e XI secolo, in complessivi 426 contratti di compravendita agricola (numero, già di per sé, considerevole), vengono adoperati 34 248 tarì, equivalenti a 8 562 solidi. Questo afflusso, da cosa è reso possibile? Da un dato di fatto: che, in quest’epoca l’area tirrenica si avvantaggia di una congiuntura straordinaria: della possibilità di essere inserito in un mercato comune musulmano a scala transmediterranea. Infatti, se fino all’invasione della Sicilia il Mezzogiorno è complementare all’area bizantina, è il lungo – e, in molte fasi, terribile jihad – che spinge e allarga oltre modo i confini del suo spazio economico. Nel quale i suoi centri costieri – e, per effetto dell’interdipendenza economica, anche le zone interne – si trovano assorbiti in un circuito economico che va oltre l’Africa e il Medio Oriente. Situazione di cui i mercanti meridionali si giovano, sfruttando con alti margini di ricavo, il vantaggio offerto dall’essere, a tutti gli effetti, nel cuore del commercio Mediterraneo9. E ciò gli consente di gestire un movimento di traffici, danaro, conoscenze, beni, uomini che ha lasciato una lunga scia di tradizioni e di memorie, che spesso sono sfociate nel mito. Il mito della grande potenza delle città tirreniche nell’alto Medioevo. Con, a capo, Amalfi10.
8Dal IX secolo, gli Amalfitani sono stati impegnati, con Gaetani e Napoletani, nella collaborazione economica coi vicini musulmani. La loro forza si è fondata inizialmente sul commercio degli schiavi11. Poi, si è diversificata. A differenza di quanto avvenga nelle altre due città, gli operatori amalfitani hanno un pregio. Hanno maggiori capacità di intraprendenza. Riescono a creare colonie oltremare e rotte di commercio. Sono specializzati nel transito, capaci di speculare sui traffici, di generare arcaiche forme di finanza, di creare primitive «società di mare». E sono in grado di proporsi come il «trait d’union» tra il mercato campano e i grandi porti del Mediterraneo. L’Ifriqiyya fatimide, poi zirita, poi hafside diventerà uno dei principali clienti dell’agricoltura campana, fatta di prodotti agricoli: frutta (mele, fichi, mandorle, melograni ecc.), castagne, nocelle (avellane); vari tipi di cereali (il triticum, l’orzo, il germano, cioè la segale); cipolle, usate anche per la conservazione di uova e carni, molto apprezzate nelle mense siciliane e che generano particolare disprezzo in Ibn Hawqal. Leguminacee: fasoli rubei, fave, ceci. Olio e olive. Il lino. Legname e ferro, grezzo e lavorato. E, naturalmente, il vino, che diventa col tempo il prodotto di punta. Già se ne riconoscono diverse qualità: il vino musto o musto mundo, e il greco. Vino esportato in botti, organeis, orci, anfore, come quelle ricordate da Alessandra Molinari12, il cui consumo è favorito dalla trasgressione dei principi musulmani, per così dire disattenti ai precetti religiosi. Sul cui imbottigliamento, la pulitura dei contenitori e il trasporto a braccia verso i luoghi di imbarco, val la pena di riportare quanto scritto in un contratto di affitto amalfitano del 103613:
Ipsa censura de vino de ipso vino aiutetis eum ad collum levare quod ibidem adducetis ponatis et causa alia similiter et quando descendet unum collum deponetis usque ad mare; et secundum possibilitate vestra vindemiatis et pisetis et imbuctetis in nostra organea et ipsa predicta organea lavetis bene et concietis ut meruerit ut vene ipso vino regere valeant.
9Questa è la scia, nella quale gli Amalfitani coinvolgono altre città campane. Allargando sempre più il proprio raggio d’azione verso la costa pugliese, dove più tardi, nel XII secolo, creano delle proprie colonie. Nella fase iniziale, però, il loro grande elemento di forza sta nella stretta relazione con Salerno e con Napoli, nelle quali si insediano le loro più antiche comunità.
10Salerno, allora. In città si installa un folto gruppo proveniente dalla Costiera amalfitana, che però non viene detto degli Amalfitani ma, cosa del tutto particolare, degli Atranesi14. Un termine che non sembra legarsi al piccolo centro di Atrani, praticamente legato ad Amalfi, ma di complessa decifrazione, con la quale forse si indica la comunità di Amalfitani che si è distaccata dal proprio centro d’origine nel IX secolo e si è sottomessa ai principi di Salerno. Oppure gli Amalfitani presenti a Salerno di prima generazione, vista la compresenza, nei documenti, della distinzione tra Atranenses e Amalfitani. Fatto sta che gli Atranenses godono di grande forza economica. Gli si riconosce un proprio status giuridico autonomo, sempre sottoposti al diritto romano e non a quello longobardo; e godono di una loro specifica identità, con l’uso diffuso dei distintivi cognomi familiari: una pratica poco comune nell’ambito della popolazione longobarda del Principato. Sono, in definitiva, molti, insediati strategicamente nella zona a ridosso del porto, nel vicolo di Santa Trofimena. Una zona dove si incrocia altra gente di diversa provenienza – in special modo greci provenienti dalla Sicilia, musulmani convertiti, Africani, Napoletani, Sorrentini, Ebrei15 – che formano un «melting pot» che ha benefici influssi sulle dinamiche di mercato. Tuttavia, la loro presenza non è forte solo a Salerno: gli Atranenses si stabiliscono anche nella zona di confine tra il ducato di Amalfi e il principato di Salerno, a Vietri, dove possiedono gran parte delle loro colture.
11Gli Atranenses godono del favore dei principi longobardi dai quali ricevono cospicui donativi. Si fanno largo nella società locale, provvisti come sono di enormi mezzi rispetto all’ambiente cittadino, e si insinuano ai gradi più alti dell’élite. Soprattutto trovano nel Salernitano quelle ricchezze agricole che mancano nei loro territori d’origine, in Costiera: una terra brulla e difficile da lavorare, che subisce una trasformazione profonda solo in seguito, nel XII secolo, l’epoca del miracolo dell’agricoltura amalfitana. Ora, invece, con gli enormi capitali a loro disposizione, gli Atranesi irrorano l’economia locale e immobilizzano gran parte delle ricchezze conseguite comprando terra.
12Mi sembra utile, a tal proposito, comparare i dati sugli acquisti di terra compiuti ad Amalfi con quelli che avvengono nel Salernitano tra X e XI secolo e che, per semplicità, non riporterò in tarì ma in solidi (scambiato, lo ripeto, con un rapporto 1 a 4), che resta, nella regione, la moneta di conto:
13Ad Amalfi vengono stipulati, tra 950 e 1100, 53 contratti di compravendita16, con una media generale per ogni singola operazione per i due secoli altissima, di 51,3 solidi: sintomo della forte domanda di terra coltivabile in un territorio diffusamente deprivato. Il salto più cospicuo viene compiuto nell’XI secolo: ad un investimento di 192 solidi e un tarì compiuto tra 950 e 1000 ne corrisponde nel secolo successivo uno di ben 2561,1 solidi, attraverso 43 contratti. L’aumento vertiginoso dell’ultimo cinquantennio può essere spiegato con la forte spinta svalutativa dovuta all’utilizzo dei tarì coniati ad Amalfi, come pure con l’aumento della richiesta di spazi coltivati, se consideriamo il prezzo medio raggiunto ad operazione di 81,2 solidi e la vendita record per 600 solidi di tarì pagati nel 1079 per un pastinum «cum fabricis, palmento et balneo», posto immediatamente fuori città.
14Queste cifre che paiono così ingenti si rimpiccioliscono in maniera impressionante se le si confronta con la situazione del mercato della terra salernitano.
15Innanzitutto, ciò che sorprende è il numero di contratti: ben 21617, 119 dei quali siglati solo nella fase 1050-1100; periodo in cui la cifra di investimento si decuplica: da 390,3 solidi a 4104 solidi, ossia il doppio di quanto si investa ad Amalfi. Cifra che impone due considerazioni. La prima, la riuscita dell’investimento compiuto dagli Atranenses, che si basa su un elemento di forza: accumulano il capitale rurale di partenza comprando la terra in argento e la rivendono in valuta pregiata, i tarì d’oro. Il processo comincia con un contratto, uno dei cinque che prevede un importo in argento, che è del 97718, col quale tutto il gruppo degli Atranenses, inteso in maniera onnicomprensiva, senza distinzioni sociali o familiari, composto sia da compratori stanziali quanto da mercanti in viaggio (homines atranenses tam pro se et pro alios atrianenses qui ad navigandum sunt), compra una immensa superficie di quattro miglia al prezzo di 1050 libbre – più di 300 kg d’argento – nell’area di Vietri. Questo è il «plafond» immobiliare, da cui si parte. Beni che vengono verosimilmente suddivisi tra i singoli Atranesi. E comincia la loro approfondita messa a coltura.
16È il primo passo. La produzione di queste terre viene smerciata attraverso i porti di Salerno, Vietri ed Amalfi. Dai ricavi si traggono capitali per comprare altre terre. E comincia una dinamica di scambio vorticosissima, dove i fondi migliori vengono contesi solo ed esclusivamente tra Atranesi e Amalfitani, gli unici «competitors» possibili. Dalla metà del X secolo fino agli anni Settanta dell’XI si scatena una concorrenza che vede contrapporsi le famiglie Maurone Comite, Lupino Comite, Cafarello, Calberusu, Spiczicacanzone, Tomacello, Caccabello, Nasucacza, Dalfino, Cannaverde, Boccapiccola, Sfagilla, de lu Portu ecc. alla ricerca delle risorse di maggior valore aggiunto: fatto che, al di là della svalutazione, spinge, naturalmente, per la legge della domanda e dell’offerta, le terre al rialzo. Se a cavallo tra il X e l’XI secolo le valutazioni rientrano in media tra i 10 e i 20 solidi, dal 1033, ossia molto prima del declino del tarì musulmano, i prezzi schizzano, per appezzamenti di dimensione e capacità produttiva piuttosto modesta, a 100 solidi di tarì, a 120 nel 1046, a 150 nel 1077.
17Solo tra 1070 e 1080 emergono altre figure interessate ad investire somme rilevanti nella terra. E che acquistano in genere dagli unici grandi proprietari, che sono i soliti Atranesi. In primis, i principali esponenti della società salernitana, a partire dal principe Gisulfo, che compra nel 1073, tramite un Landolfo figlio del quondam Pietro, appezzamenti per 300 solidi di tarì da Gemma vedova di Giovanni atranese19. Oppure esponenti dell’aristocrazia longobarda, come il viceconte Vivo, che investe negli stessi anni Settanta quasi la stessa somma di Gisulfo. E, infine, enti religiosi: il monastero di S. Leone di Vietri; la chiesa di S. Maria della Lama; e, in special modo, la badia di Cava, che, dal 1064 fino al 1079, con 6 contratti, acquisisce un vasto patrimonio con una spesa di 480 solidi di tarì. Infine, esponenti della componente artigianale e del commercio – Napoletani, Greci, musulmani di Sicilia o del nord Africa –, taluni dei quali investono nella terra gli elevati ricavi provenienti dalla compravendita di prodotti di lusso. Riporto due esempi, riguardanti l’aurifex Teodoro, che aveva ereditato la sua attività dal padre Basilio siciliano e dalla madre Anastasia, figlia di Giso africano. Nel primo, egli acquista nel 1068 da Adelasio figlio del quondam Romualdo due terre con vigneto per la somma di 148 solidi di tarì, a Vietri. Sette anni dopo, lo stesso Teodoro, in società con Leone figlio di Elia «Greco», per conto delle loro mogli – Maria e Teofane, figlie del fu Basilio «giudice dei Greci» – investe 110 solidi per altri vigneti nella stessa zona20. Per un capitale complessivo, in sette anni, di più di 250 solidi in tarì.
18Il circuito economico terra-commercio-terra messo in moto dagli Amalfitani di Salerno, che si giova dei frutti ricavati dall’inserimento sul mercato mediterraneo della produzione locale, raggiunge anche un altro risultato. Un effetto-rimbalzo, che è quello della diffusione della moneta d’oro come strumento di transazione capillare, adoperata in maniera uniforme in tutto il Principato non solo per le grandi transazioni terriere, ma per ogni operazione, piccola o piccolissima che sia, con una polverizzazione nell’utilizzo che riguarda ogni singolo individuo che viene a beneficiare – in un modo o nell’altro – delle possibilità offerte da un mercato a scala non esclusivamente locale. Piccoli capitali, talvolta composti da pochi tarì, che permettono, a tanti, di fare il grande salto, e diventare proprietari di lotti di piccola, mediocre o infima entità ma comunque proprietari, produttori di merci che possono trovare un largo smercio lungo il Mediterraneo.
19A Napoli, rispetto a Salerno, la situazione è differente. Il mercato della terra napoletano è molto più fiacco se comparato a quello amalfitano o salernitano.
20Il numero dei contratti, tra i due secoli, è di 15721 : più alto di quello amalfitano, ma notevolmente più basso rispetto a Salerno. Tuttavia è il giro di danaro che colpisce: maggiore rispetto agli altri due centri nel X secolo, ma minore in quello successivo. Nel totale si investe per quasi 1053 solidi.
21Non c’è, dunque, a Napoli la grande vivacità e l’intraprendenza che si può misurare a Salerno. Tuttavia, a differenza che nel Principato dove esiste un gruppo di punta costituito dalla popolazione immigrata della Costiera – mentre la componente longobarda appare essere al traino –, a Napoli esiste un mondo molto più variegato, in equilibrio tra la terra e il mercato, che partecipa alle attività agricole come alla commercializzazione dei suoi prodotti. Espressione di un’economia viva, che altrove ho definito un’economia monetaria di produzione e di scambio22. All’interno della quale ci sono tanti Napoletani che pensano in termini di profitto: non mercanti «tout court» – manca infatti quasi completamente nella documentazione la parola negotiator – ma agenti dello sviluppo, che intuiscono le possibilità in gioco: mediatori, negoziatori, imprenditori, organizzatori, marinai, naupigi, incettatori, speculatori, prestatori di grandi somme di danaro, custodes, artigiani... Ruoli che esprimono mansioni analoghe a quelle del mercante, ma con altre sfumature.
22Per capire la forte complementarietà che esiste in città tra capitale mobile e investimenti rurali, prenderò ad esempio la categoria degli artigiani del ferro23. Oltre quelli che vengono definiti semplicemente in quanto ferrari, abbiamo altri nuclei distinti: dei Nigro, dei Pitinarum, dei Cicino, dei Gaudino, dei Papaleo o Papaleone, dei Corbo o Corbulo, dei Mirdilla, dei Latitio, dei Rusco, dei Muca, dei de Davide, dei Bonisculo, dei Sacco.. La loro unità è fondata sull’appartenenza allo stesso gruppo e dall’abitare gli uni a ridosso degli altri, nel vicolo di S. Giorgio in Diaconia, dove verosimilmente sono collocate le loro officine.
23Considerato il numero dei ferrari (più di tredici famiglie coinvolte), si deve desumere che gli affari dovessero funzionare piuttosto bene, sebbene ci fossero all’interno del gruppo delle differenze, basta ragionare sui loro investimenti:
Ferrari | Terre | Investimento (in solidi di tarì) |
Pietro ferrario | 10 | 10 |
Gregorio | 6 | 27 |
Leone Papaleone | 3 | 20.2 |
Stefano Bonisculo | 2 | 51 |
Stefano Latitio | 1 | 12.2 |
Giovanni Corbulo | 1 | 12 |
Leone di Leone Papaleone | 1 | 3 |
Giovanni Cicino | 1 | 2 |
Tot. | 24 | 138 |
24Si va da un massimo di 51 solidi pagati da Stefano Bonisculo per due terreni, agli appena 2 solidi per un solo appezzamento (operazione compiuta da Giovanni Cicino). Anche in questo caso, per quanto grandi o piccole possano essere le cifre, siamo davanti a «surplus» che vengono impiegati nella terra. Eccedenze scaturite da dove? La risposta certa non c’è, ma comunque sembra evidente: tratta dalla vendita di prodotti metallurgici, tanto sul mercato cittadino (dove il ruolo del ferro è determinante per ogni settore della vita quotidiana) quanto, verosimilmente, su quello regionale o extraregionale, come il Nord Africa, dove è notoria la continua richiesta di ferro lavorato e di armi24.
25L’esempio dei ferrari rende chiaro il meccanismo di inserimento di danaro di matrice artigianale e commerciale nel tessuto agricolo e nei suoi processi di produzione. Cifre non elevatissime se rapportate all’ambito salernitano o amalfitano, ma significative, se pensiamo al periodo in cui gli investimenti si producono, tra la prima metà del X e la metà dell’XI. I ferrari non creano nessuna societas, alcuna organizzazione corporativa, né solidarietà di parentes et consortes. Ognuno agisce per sé, autonomamente. Tuttavia la spinta è per tutti analoga: essi perseguono un fine condiviso, che è la ricchezza, attraverso strumenti che si diversificano e con investimenti che mutano: ora la bottega, ora il mercato, ora la terra. Questo modo di agire li fa diventare ricchi, rispetto alla massa dei loro concittadini e li stimola alla crescita sociale25.
26Come a Salerno, anche qui sono gli Amalfitani ad assumere il controllo delle esportazioni. Tale componente è già stabile a Napoli nel X secolo, per gli antichi e forti rapporti di alleanza che legano le due città campane e permettono l’osmosi tra i due gruppi dirigenti, con un amalgama che si fa via via sempre più serrato, considerata anche l’omogeneità giuridica (l’uso del diritto privato romano) che fa sì che gli Amalfitani non si sentano stranieri in città. Gli uomini della Costiera sposano di Napoli abitudini di vita, miti, tradizioni e consuetudini, e ne divengono sua parte attiva, componente integrata e di spicco, con un apporto considerevole, fatto non solo di danaro e investimenti. Essi si sentono e si presentano come domini (il termine che a Napoli contraddistingueva gli appartenenti all’élite), si trasformano in membri della militia, compaiono come giudici, si inseriscono nel mondo ecclesiastico e dei monasteri. Stabiliscono stretti legami col potere ducale, anche con vincoli di parentela. Non sono pochi e i loro nomi noti: i Comite Maurone, i Comite Urso, i Comite Bonito, i de Balneo, gli Spina, i Pantaleone, i Coppola, i Frezza, gli Augustariccio, gli Amalfitano ecc.
27L’esempio più puntuale di questa osmosi tra ambiente amalfitano e società napoletana è fornito dalla vicenda di Sergio Amalfitano, che ha lasciato, nel 1025, uno dei più straordinari testamenti esistenti nella documentazione altomedievale del Meridione26. Sergio è amalfitano, ma la sua prospettiva esistenziale è tutta legata a Napoli, dove vive. Egli è dotato di un patrimonio enorme. Possiede capitali in moneta, case, forni, castelli, chiese, terreni, dipendenti, servi, schiavi. La varietà del patrimonio immobiliare fotografa alla perfezione l’ampiezza dei suoi interessi. Possiede case a Napoli e ad Amalfi. Boschi e frutteti a Capri. Attività produttive in Costiera. Proprietà rustiche, comprensive di schiavi e dipendenti, nell’entroterra campano. Capitali investiti in operazioni di deposito e prestito ad Amalfi e nel suo circondario
28Il suo ambito di manovra, però, va ben oltre. Lo si apprende da quanto lascia alla figlia: una dote, per i canoni del tempo, favolosa, equivalente, in danaro, a ottantuno solidi in tarì. Esso comprende stoffe di lana; drappi serici di manifattura bizantina; tessuti adrisca, con elaborati ricami, provenienti dalla costa provenzale; oggetti per l’acconciatura dei capelli (le flectas), di produzione spagnola. E dei gioielli: le noscicte, pesanti bracciali d’oro corrispondenti ad un peso di centotrentacinque grammi, del valore di ben trenta solidi. Pinnuli, orecchini con dei «pendentifs». Fibule d’oro. Niente che sia frutto della produzione locale. Né i prodotti per l’acconciatura. Né le stoffe di lusso. Né le sete ricamate. Né i gioielli. Sono tutte merci di importazione. Forse comprate a Napoli. O, più persuasivamente, in altri mercati mediterranei: nella stessa Amalfi, oppure direttamente in Sicilia, nei centri egiziani o a Costantinopoli. Il campo di movimento di Sergio, in definitiva, è vasto. Egli è, per molti versi, un mercante. Eppure non si definisce mai negotiator o mercator, ma, come nella migliore tradizione napoletana di cui si sente parte, dominus e miles, che erano i termini che indicavano la sua adesione alla nobiltà locale, cui partecipa in maniera davvero intensa, profonda e sincera, dato anche il suo stretto legame di parentela con gli stessi duchi che governano la città. Termini emblematici di una condizione dove ciò che più conta non è il conseguimento di grandi obiettivi economici ma il raggiungimento del prestigio sociale, grazie all’inserimento della sua famiglia nel migliore ambiente cittadino, dove può vantare di aver raggiunto una posizione ragguardevole.
29Ciò detto, in ogni caso sono sempre gli Amalfitani a svolgere il ruolo di raccordo tra la città e i porti mediterranei, soprattutto per ciò che concerne uno dei prodotti di punta partenopei, il lino, che viene venduto grezzo o sotto forma di tessuti27. Un recente studio di David Jacoby ha messo in luce le traiettorie dello scambio, che vede Napoli collegata alla Calabria, ai porti della Sicilia, a Costantinopoli, agli scali della Siria e della Palestina sino all’Egitto attraverso navi amalfitane. I panni di lino napoletano arrivano sino ad Alessandria, nonostante l’ampia presenza di manifatture locali: malgrado ciò, la domanda esiste, perché i tessuti napoletani sono probabilmente più a buon mercato28. Insieme al lino, gli Amalfitani esportano dalla città quanto viene prodotto in loco e importano altri tessuti lavorati, greci, spagnoli e del sud della Francia, spezie, papiro e oggetti di pregio, che distribuiscono a Napoli come nel restante Meridione29.
30Terra e mercato, allora. Un binomio ineludibile per la realtà economica delle città tirreniche tra X e XI secolo, grazie al movimento commerciale che anima il Mediterraneo, alimentato dalla domanda e dall’offerta in prevalenza musulmana30. Un gioco dello scambio fatto di derrate, materie prime, schiavi, semilavorati e lavorati ceduti per prodotti di lusso e, soprattutto, oro monetato, che in gran parte viene investito nel comprare terra, generando un circuito virtuoso di crescita, con una bilancia commerciale che è tutta a vantaggio di Amalfi, Salerno e Napoli. Esse si trovano così a far parte di uno spazio economico vasto e articolato, alimentato da rotte e da una rete di empori che ne costituiscono la trama. Un orizzonte che, attraverso la Sicilia, va dalla Spagna al medio Oriente, dall’Adriatico e l’Egeo alle coste dell’Egitto e del Nord Africa: per le nostre città uno scenario ricco di contatti e di reciprocità, che consente di raggiungere degli «standards» di ricchezza e di sviluppo inusitati per i parametri dell’epoca.
Bibliographie
Des DOI sont automatiquement ajoutés aux références bibliographiques par Bilbo, l’outil d’annotation bibliographique d’OpenEdition. Ces références bibliographiques peuvent être téléchargées dans les formats APA, Chicago et MLA.
Format
- APA
- Chicago
- MLA
Bibliografia
Balard 1976 = M. Balard, Amalfi et Byzance (Xe-XIIe siècles), in Travaux et mémoires, 6, 1976, p. 85-95.
Cassandro 1969 = G. Cassandro, Il Ducato bizantino, in Storia di Napoli, 1969.
Cicco 2009 = G. Cicco, La Longobardia meridionale e le relazioni commerciali nell’area mediterranea: il caso di Salerno, in Reti Medievali Rivista, 10, 2009, p. 1-29.
Citarella 1967 = A. O. Citarella, The relations of Amalfi with the Arab World before the Crusades, in Speculum, 42, 1967, p. 299-312.
Citarella 1968 = A. O. Citarella, Patterns in Medieval Trade, in The Journal of Economic History, 28, 1968, p. 531-555.
Citarella 1977 = A. O. Citarella, La crisi navale araba del secolo VIII e l’origine della fortuna commerciale di Amalfi, in Amalfi nel Medioevo [Atti del convegno internazionale (Amalfi-Salerno, 14-16 giugno 1973)], Salerno, 1977, p. 195-213.
Citarella 1986 = A. O. Citarella, Amalfi and Salerno in the Ninth Century, in Istituzioni civili e organizzazione ecclesiastica nello stato medievale amalfitano [Atti del congresso di studi amalfitani 1981], Amalfi, 1986, p. 129-145.
Citarella 1993 = A. O. Citarella, Merchant, Markets and Merchandise in Southern Italy in the High Middle Ages, in Mercanti e mercati nell’Alto Medioevo: l’area eurasiatica e l’area mediterranea, Spoleto, 1993 (Settimane del CISAM, 40), p. 239-282.
Citarella – Willard 1983 = A. O. Citarella, H. W. Willard, The Ninth-Century Treasure of Monte Cassino in the Context of Political and Economic Developments in South Italy, Montecassino, 1983 (Miscellanea Cassinese, 50).
Coniglio 1944-1945 = G. Coniglio, Amalfi e il suo commercio nel medioevo, in Nuova rivista storica, 18-19, 1944-45, p. 100-114.
10.1017/CHOL9780521839570 :Constable 2010 = O. R. Constable in Muslim Trade in the Late Medieval Mediterranean World, in The New Cambridge History of Islam, 2, The Western Islamic World (Eleventh to Eighteenth Century), Cambridge, 2010, p. 633-647.
Delogu 1977 = P. Delogu, Mito di una città meridionale: Salerno (sec. VIII-IX), Napoli, 1977.
Del Treppo – Leone 1977: M. Del Treppo, A. Leone, Amalfi medievale, Napoli, 1977.
De Luca 2010 = M. A. De Luca, Un contributo al dibattito sull’introduzione del quarto di dīnār e sulla sua possibile derivazione da modelli bizantini, in La Sicile de Byzance à l’Islam, a cura di A. Nef e V. Prigent, Parigi, 2010, p. 113-130.
Di Muro 2009 = A. Di Muro, Economia e mercato nel Mezzogiorno longobardo (secc. VIII-IX), Salerno, 2009.
Falkenhausen 1998 = V. von Falkenhausen, Il commercio di Amalfi con Costantinopoli e il Levante nel secolo XII, in Amalfi, Genova, Pisa e Venezia: il commercio con Costantinopoli e il vicino Oriente nel secolo XII, a cura di O. Banti, Pisa, 1998 (Biblioteca del Bollettino storico pisano, Collana Storica, 46), p. 19-38.
Feniello 2008 = A. Feniello, Mercato della terra a Napoli nel XII secolo, in Puer Apuliae. Mélanges offerts à Jean-Marie Martin, a cura di E. Cuozzo, V. Déroche, A. Peters-Custot, V. Prigent, I, Parigi, 2008 (Centre de Recherche d’histoire et civilisation de Byzance, Monographies, 30), p. 291-318.
Feniello 2011a = A. Feniello, Napoli: economia e società, Roma, 2011 (Nuovi studi storici, 89).
Feniello 2011b = A. Feniello, Sotto il segno del leone. Storia dell’Italia musulmana, Roma-Bari, 2011.
Feniello 2012 = A. Feniello, Poteri pubblici nei Ducati tirrenici, in L’héritage byzantin en Italie (VIIIe-XIIe siècle). II. Les cadres juridiques et sociaux et les institutions publiques, a cura di J.-M. Martin, A. Peters-Custot e V. Prigent, Roma, 2012 (Collection de l’École française de Rome, 461), p. 325-342.
Feniello c. d. s. = A. Feniello, Per la storia del commercio mediterraneo del lino. Il caso napoletano (X-XV secolo), in Archivio Storico Italiano, 171, 2013, p. 3-34.
Figliuolo 1986 = B. Figliuolo, Amalfi e il Levante nel Medioevo, in I Comuni italiani nel Regno Crociato di Gerusalemme, a cura di G. Airaldi, B. Z. Kedar, Genova, 1986 (Collana storica di fonti e studi, 48), p. 573-664.
Galasso 1959 = G. Galasso, Il commercio amalfitano nel periodo normanno, in Studi in onore di R. Filangieri, Napoli, 1959, I, p. 81-103.
Galasso 1960 = G. Galasso, Le città campane nell’alto medioevo, Napoli, 1960.
Idris 1962: H. R. Idris, La Berbérie orientale sous les Zīrīdes (Xe-XIIe siècles), Parigi, 1962, 2 vol. (Publications de l’Institut d’études orientales, Faculté des lettres et sciences humaines d’Alger, 22).
Jacoby 2008 = D. Jacoby, Amalfi nell’XI secolo: commercio e navigazione nei documenti della Ghenizà del Cairo, in Rassegna del Centro di cultura e storia Amalfitana, 28, 2008, p. 81-90.
Lizier 1907 = A. Lizier L’economia rurale dell’età prenormanna nell’Italia meridionale (studi su documenti editi dei secoli IX-XI), Palermo, 1907.
10.3406/ahess.1957.2595 :Lombard 1957 = M. Lombard, L’évolution urbaine pendant le haut Moyen Âge, in Annales E.S.C., 12/1, 1957. p. 7-28.
Lombard 1971 = M. Lombard, L’Islam dans sa première grandeur (VIIIe-XIe siècle), Parigi, l971.
Martin 1983 = J.-M. Martin, Economia naturale ed economia monetaria nell’Italia meridionale longobarda e bizantina (secoli VI-XI), in Storia d’Italia. Annali VI. Economia naturale, economia monetaria, a cura di R. Romano e U. Tucci, Torino, 1983, p. 179-219.
Martin 2000 = J.-M. Martin, «Chartula in tumbo scripta, bolumen chartacium»: le papyrus dans les duchés tyrrhéniens pendant le haut Moyen Âge, in MEFRM, 112-1, 2000, p. 183-189.
Martin 2005 = J.-M. Martin, Guerre, accords et frontières en Italie méridionale pendant le haut Moyen Âge: Pacta de Liburia, Divisio principatus Beneventani et autres actes, Roma, 2005 (Sources et documents d’histoire du Moyen Âge, 7).
Martin 2007 = J.-M. Martin, La Contea di Sicilia e l’Africa, in Ruggero I Gran conte di Sicilia (1101-2001) [Atti del congresso internazionale di studi per il IX centenario (Troina 29 novembre-2 dicembre 2001)], a cura di G. de Giovanni Centelles, Roma, 2007, p. 105-123.
McCormick 2008 = M. McCormick, Le origini dell’economia europea: comunicazioni e commercio, 300-900 d. C., Milano, 2008.
Molinari 2003 = A. Molinari, La ceramica medievale in Italia ed il suo possibile utilizzo per lo studio della storia economica, in Archeologia medievale, 30, 2003, p. 519-528.
Molinari 2004 = A. Molinari, La Sicilia islamica. Riflessioni sul passato e sul futuro della ricerca in campo archeologico, in La Sicile à l’Époque islamique: questions de méthodes et renouvellement récent des problématiques, in MEFRM, 116-1, 2004, p. 19-46
Monti 1940 = G. M. Monti, Il commercio marittimo di Amalfi fuori d’Italia nell’alto Medioevo, in Rivista di storia della navigazione, 6, 1940, p. 389-401.
Monti 1942 = G. M. Monti, La espansione mediterranea del Mezzogiorno d’Italia e della Sicilia, Bologna, 1942.
Peters-Custot 2009: A. Peters-Custot, L’identité d’une communauté minoritaire au Moyen Âge: la population grecque de la principauté lombarde de Salerne (IXe-XIIe siècles), in MEFRM, 121-1, 2009, p. 83-97.
Poncet 1967 = J. Poncet, Le mythe de la «catastrophe» hilalienne, in Annales E.S.C., 22/5, 1967, p. 1099-1120.
Skinner 1994 = P. Skinner, Urban communities in Naples (900-1050), in Papers of the British school at Rome, 62, 1994, p. 279-299.
Stern 1970 = S. M. Stern, Tarì. The Quarter Dinar, in Studi medievali, 3/11, 1970, p. 177-207.
Storia di Napoli 1969 = Storia di Napoli, II/1, Cava dei Tirreni, 1969.
Taviani-Carozzi 1991 = H. Taviani-Carozzi, La principauté lombarde de Salerne (IXe-XIe siècle): pouvoir et société en Italie lombarde méridionale, 2 vol., Roma, 1991 (Collection de l’École française de Rome, 152).
Travaini 1990 = L. Travaini, I tarì di Salerno e di Amalfi, in Rassegna del Centro di cultura e storia amalfitana, 10, 1990, p. 7-72.
Vitale 1984 = G. Vitale, Case ed abitanti della «regio Nilensis» in età ducale: osservazioni, in Palazzo Corigliano tra archelogia e storia, a cura di I. Brigantini-P. Gastaldi, Napoli, 1984, p. 15-16.
Annexe
Abbreviazioni (fonti)
Antico inventario = L’antico inventario delle pergamene del monastero dei SS. Severino e Sossio, ed. R. Pilone, Roma, 1999, 4 vol. (Fonti per la storia dell’Italia medievale. Regesta Chartarum, 48).
Archivi dei monasteri di Amalfi: Gli archivi dei monasteri di Amalfi (S. Maria di Fontanella, S. Maria Dominarum, SS. Trinità) 860-1645, ed. C. Salvati e R. Pilone, Amalfi, 1986, p. 5-69.
Capasso = Monumenta ad Neapolitani ducatus historiam pertinentia, ed. B. Capasso, Napoli, 1881-1892, 3 vol.
CDC = Codex diplomaticus Cavensis I-VIII, ed. M. Morcaldi, M. Schiani, S. De Stephano, Milano-Pisa-Napoli, 1873-1893, rist. Badia di Cava, s. d. [1981]. Codex diplomaticus Cavensis, IX-X, ed. S. Leone et G. Vitolo, Badia di Cava, 1984-1990.
CP = Il Codice Perris, Cartulario Amalfitano, sec. X-XV, I. Mazzoleni, R. Orefice ed., I, Amalfi 1985-1989, 5 vol..
Erchemperto = Erchemperti Historia Langobardorum Beneventanorum, ed. G. Waitz, MGH, Scriptores rerum Langobardicarum, Hannover-Berlin, 1878, p. 231-264.
Minori = Le Pergamene dell’Archivio Vescovile di Minori, ed. V. Criscuolo, Amalfi, 1987.
Notes de bas de page
1 Sui tre ducati di matrice bizantina, vedi ora Feniello 2012. Per il Principato di Salerno, cfr. Delogu 1977; e Taviani-Carozzi 1991.
2 Per questi documenti, CDC, I, doc. 2 (792), 3 (799), 4 (801), 5 (803), 6 (816), 7 (818), 8 (819), 9 (821), 12 (822), 13 (823), 14 (824), 15 (826), 16 (836), 18 (837), 23 (843), 24 (844), 26 (845), 28 (848), 29 (848), 32 (848), 33 (849), 34 (850), 35 (852), 37 (853), 40 (855), 41 (855), 42 (855), 43 (856), 46 (856), 49 (857), 50 (857), 51 (857), 52 (857), 53 (857), 54 (858), 57 (859), 58 (859), 59 (860), 63 (866), 65 (868), 66 (869), 68 (869), 69 (870), 74 (872), 78 (874), 82 (878), 83 (880), 84 (880), 86 (882), 88 (882), 90 (882), 93 (882), 94 (882), 97 (882), 99 (884), 102 (890), 104 (893), 109 (897).
3 Cfr., a tal proposito, Martin 1983, p. 198-202. Vedi anche Stern 1970; Travaini 1990; e, ora, De Luca 2010.
4 Su questo processo, cfr. Feniello 2011a, p. 202-204.
5 Si rinvia al classico lavoro di Lombard 1971, p. 107-111. Vedi anche Feniello 2011b, p. 125-127.
6 Secondo Idris l’invasione hilaliana definisce l’inizio di una nuova era, caratterizzata da una catastrofe politica ed economica di dimensioni eccezionali per il nord Africa. Per una descrizione dettagliata cfr. Idris 1962, I, p. 205-247. In contrasto con i toni catastrofisti d’Idris, cfr. Poncet 1967. Sui suoi effetti sul Sud Italia, cfr. Martin 2007.
7 Per questi esempi, Capasso, II/1, rispettivamente doc. 493 e 412.
8 Come rileva M. Lombard 1957, p. 10: «une des constatations faites au cours de nos recherches est la corrélation intime qui existe entre l’afflux de métaux précieux et l’augmentation du volume des monnaies en circulation, d’une part, et, d’autre part, le développement urbain, la multiplication et l’accroissement des villes. Autrement dit, les rythmes monétaire et urbain se confondent pendant le haut Moyen Âge» .
9 Per Augusto Lizier, il commercio di prodotti agricoli «dava il più valido aiuto all’agricoltura. L’esportazione dei locali prodotti agricoli stimolava la coltivazione del suolo, come la stimolava il desiderio ed il bisogno di provvedersi dei ricchi prodotti esotici che il commercio offriva. Inoltre questa attività commerciale favoriva il formarsi di una classe di individui i quali realizzavano nello scambio dei prodotti rurali grandissimi profitti [...] I capitali così accumulati venivano poi immobilizzati nel suolo e si favoriva così la circolazione della ricchezza fondiaria e la si faceva passare nelle mani di proprietari più intelligenti, meglio forniti di capitali e meglio disposti ad intensificare la cultura del suolo e a dare alla produzione agraria un carattere industriale. Ed oltre a ciò il fiorire del commercio favoriva il benessere e l’aumento della popolazione cittadina, ripercuotendosi pel maggiore consumo di prodotti, nel modo più benefico sullo sviluppo dell’agricoltura»: Lizier 1907, p. 149-150.
10 Per la destrutturazione del mito, cfr. M. Del Treppo, Amalfi: una città del Mezzogiorno nei secoli IX-XIV, in Del Treppo – Leone 1977, p. 1-175. Sul commercio amalfitano, cfr. in modo particolare i saggi di A. O. Citarella, sebbene un po’ troppo «amalfocentrici»: Citarella 1967; Citarella 1968; Citarella 1977; Citarella 1986; Citarella 1993, p. 276-279; e Citarella-Willard 1983. Vedi poi ancora Monti 1940; Monti 1942; Coniglio 1944-1945; Galasso 1959; Balard 1976; Figliuolo 1986; Falkenhausen 1998; Jacoby 2008. Per le interconnessioni tra mercato mediterraneo e mondo campano, cfr. Galasso 1960; Cicco 2009; e Di Muro 2009.
11 Circa la celebre lettera inviata da papa Adriano a Carlomagno sul sospetto di una partecipazione romana alla tratta degli schiavi, la cui colpa viene fatta ricadere su nec dicendi greci, nei quali si ravvisano le marinerie tirreniche; e sulle note agghiaccianti relative a Longobardi costretti a vendere i loro figli e parenti a causa della fame, perché «nullam habebant spem vivendi», cfr. Cassandro 1969, p. 255. Si veda poi Erchemperto, 81, 264, 23-31. Circa la vendita di manodopera longobarda proveniente dalla regione di confine tra il ducato di Napoli e il Principato di Benevento, cfr. i commi 4 e 5 del Pactum Sicardi dell’836, la cui edizione ora in Martin 2005, p. 188 s. Sul commercio in generale degli schiavi nel Meridione d’Italia, sui procedimenti e sulle dinamiche, vedi McCormick 2008, p. 874-884. Per uno sguardo sulle dinamiche generali del mercato, cfr. Lombard 1971, p. l94 s.
12 Cfr., di questa autrice, i due articoli Molinari 2003 e Molinari 2004.
13 CP, I, doc. 35.
14 Sui quali, vedi la diffusa analisi compiuta da Taviani-Carozzi 1991, II, p. 800-828.
15 Cfr. su questo tema – e specialmente per la comunità greca – Peters-Custot 2009.
16 Cfr. CP, doc. 31 (957), 60 (966), 63 (971), 74 (974), 21 (979), 5 (981?), 56 (992), 24 (989), 9 (993), 82 (1083), 13 (1004), 41 (1005), 73 (1005), 72 (1012), 58 (1019), 52 (1025), 40 (1029), 39 (1033), 6 (1036?), 37 (1038), 36 (1039), 61 (1039), 8 (1044), 7 (1052?), 4 e 42 (1053), 77 (1054), 70 (1057), 65 (1059), 50 (1061), 44 (1063), 38 (1064), 47 (1061), 46 (1064), 57 (1069), 64 (1077), 78 (1079), 83 (1085), 84 (1089), 86 (1092), 87 (1093), 89 (1097), 92 (1100), 3 (metà XI sec.); Archivi dei monasteri di Amalfi, app. II, doc. 1 (X secolo), 2 (1079); Minori, doc. 3 (960), 4 (961), 6 (994), 7 (1011), 8 (1011), 10 (1019), 24 (1064), 29 (1079), 33 (1093), 34 (1092).
17 CDC I, doc. 124 (908), 128 (911), 134 (917), 137 (919), 138 (920), 147 (927), 150 (930), 153 (933), 162 (936), 167 (940), 172 (946), 175 (947), 188 (955), 191 (956), 195 (957), 208 (960); II, doc. 237 (966), 241 (966), 297 (977), 299 (977), 308 (978), 326 (980), 330 (980), 332 (981), 345 (982), 367 (984), 375 (985); III, doc. 385 (986), 401 (988), 436 (991), 516 (998), 517 (998), 527 (999); IV, doc. 538 (1001), 546 (1002), 549 (1003), 575 (1005), 591 (1006), 617 (1009), 643 (1011), 645 (1012), 645 (1012), 664 (1013), 665 (1013), 678 (1014), 681 (1014), 696 (1017) 698 (1017), 702 (1017); V, doc. 712 (1018), 736 (1022), 737 (1022), 739 (1022), 748 (1023), 754 (1023), 756 (1024), 770 (1025), 782 (1026), 786 (1026), 788 (1026), 798 (1028), 816 (1029), 821 (1029), 821 (1029), 842 (1032), 849 (1033); VI, doc. 871 (1034), 872 (1034), 877 (1035), 908 (1036), 915 (1037), 937 (1039), 944 (1039), 945 (1039), 951 (1039), 962 (1040), 967 (1041), 968 (1041), 971 (1041), 972 (1041), 974 (1041), 976 (1041), 983 (1041), 984 (1041), 993 (1042), 997 (1042), 1010 (1042), 1020 (1043), 1028 (1043), 1034 (1044), 1035 (1044), 1036 (1044), 1043 (1045), 1045 (1044); VII, doc. 1065 (1046), 1069 (1046), 1074 (1047), 1088 (1047), 1092 (1047), 1101 (1048), 1112 (1049), 1122 (1049), 1140 (1050), 1142 (1050), 1166 (1052), 1168 (1052), 1169 (1052), 1176 (1053), 1180 (1053), 1185 (1053), 1200 (1054), 1206 (1054); VIII, doc. 1235 (1057), 1237 (1057), 1242 (1057), 1245 (1057), 1260 (1058), 1261 (1058), 1268 (1058), 1286 (1059), 1294 (1059), 1298 (1059), 1301 (1059), 1304 (1060), 1305 (1060), 1307 (1060), 1310 (1060), 1317 (1061), 1318 (1061), 1319 (1061), 1326 (1061), 1327 (1061), 1332 (1062), 1339 (1062), 1343 (1062), 1346 (1063), 1347 (1063), 1349 (1063), 1350 (1063), 1351 (1063), 1354 (1063), 1358 (1063), 1359 (1064), 1365 (1064), 1368 (1064), 1370 (1064), 1372 (1064), 1376 (1066), 1380 (1064), 1381 (1064), 1385 (1064), 1388 (1065); IX, doc. 4 (1065), 6 (1065), 18 (1066), 20 (1066), 34 (1067), 39 (1067), 45 (1068), 46 (1068), 47 (1068), 49 (1068), 50 (1068), 58 (1068), 65 (1068), 70 (1068), 71 (1069), 72 (1069), 77 (1069), 79 (1069), 81 (1069), 89 (1070), 102 (1071), 111 (1071), 114 (1071), 115 (1071); X, doc. 2 (1073), 3 (1073), 7 (1073), 9 (1073), 12 (1073), 16 (1073), 18 (1073), 29 (1074), 31 (1034), 40 (1074), 54 (1075), 55 (1075), 57 (1075), 59 (1075), 63 (1073), 64 (1076), 65 (1076), 67 e 69 (1076), 70 (1076), 71 (1076), , 72 (1076), 77 (1077), 78 (1077), 79 (1077), 80 (1077), 81 (1077), 82 (1077), 84 (1077), 86 (1077), 88 (1077), 89 (1077), 91 (1077), 94 (1077), 100 (1078), 104 (1078), 109 (1079), 110 (1079), 111 (1079), 112 (1079), 113 (1079), 130 (1080), 134 (1080), 135 (1080), 136 (1080), 139 (1080).
18 CDC II, doc. 299.
19 CDC X, doc. 2.
20 CDC IX, doc. 65 e 70; e X, doc. 59.
21 Capasso, II/1, doc. 1 (912), 10 (922), 23 (933), 24 (934), 25 (934), 28 (935), 39 (937), 44 (941), 46 (942), 54 (945), 55 (945), 56 (956), 61 (947), 63 (948), 65 (948), 68 (949), 72 (951), 78 (952), 89 (956), 94 (957), 95 (957), 96 (957), 101 (158), 103 (958), 109 (959), 126 (963), 128 (963), 140 (965), 141 (965), 144 (965), 147 (965), 148 (965), 151 (966), 157 (966), 161 (967), 174 (970), 176 (960), 183 (970), 184 (970), 188 (970), 194 (972), 195 (973), 197 (973), 200 (973), 204 (974), 211 (977), 218 (978), 221 (979), 224 (979), 226 (980), 228 (980), 235 (982), 242 (983), 251 (987), 253 (988), 258 (989), 263 (990), 264 (990), 266 (990), 269 (990), 272 (991), 284 (994), 287 (994), 288 (995), 289 (995), 299 (997), 300 (997), 308 (998), 315 (1001), 317 (1002), 318 (1003), 322 (1005), 325 (1005), 326 (1005), 332 (1007), 333 (1008), 334 (1009), 339 (1011), 344 (1012), 348 (1013), 349 (1013), 351 (1013), 352 (1013), 360 (1016), 361 (1016), 382 (1019), 383 (1019), 384 (1020), 393 (1021), 394 (1022), 397 (1022), 407 (1026), 412 (1027), 423 (1030), 425 (1030), 427 (1030), 436 (1032), 445 (1033), 447 (1034), 449 (1034), 451 (1035), 452 (1035), 453 (1035), 454 (1035), 456 (1036), 457 (1036), 461 (1037), 469 (1038), 470 (1038), 472 (1041), 474 (1042), 476 (1042), 477 (1043), 490 (1058), 504 (1069), 517 (1073), 526 (1077), 529 (1078), 536 (1085), 542 (1087), 552 (1092), 554 (1093), 567 (1094). Antico inventario, doc. 667, 775, 892, 965, 1000, 1028, 1175, 1422 (in tempore Basili), 1341 e 2042 (1004), 479 (in tempore Costantini), 1704 (1033), 263, 278, 1332, 1443, 1485, 1673, 1674, 1675, 1679, 1711 (in tempore Michaelis), 1450 e 1669 (1036), 346, 370 (in tempore Alexii), 1678 (1088)..
22 Feniello 2008, p. 291.
23 Su questa componente, cfr., per taluni aspetti, Skinner 1994, p. 293.
24 «Les bases métalliques de la vie économique et de la civilisation musulmanes sont fragiles: elles dépendent, une fois de plus, de l’étranger et du grand commerce lointain»: Lombard 1971, p. l77. Che più avanti (p. l80) aggiunge: «les épées de Firanğa, des Francs, c’est-à-dire de l’Occident barbare, sont célèbres» .
25 Sui tentativi di ascesa sociale compiuti da alcuni esponenti del gruppo dei ferrari, cfr. Feniello 2011 a, p. 80-82.
26 Il testamento è riportato in Capasso, II/1, doc. 402 e CP, doc. 81. I due documenti vanno integrati, in quanto la lettura di Capasso elimina alcuni particolari di rilievo, mentre quella del CP risulta filologicamente più appropriata. Una descrizione estesa del documento è in Cassandro (Storia di Napoli 1969, p. 286-289); in Vitale 1984; e in Martin 2005, p. 40-41. Si dilungano sul testamento anche M. Del Treppo (Del Treppo-Leone 1977, p. 38-40); e Feniello 2011 a, passim.
27 Sulla storia del lino napoletano, cfr. ora Feniello c. d. s.
28 Cfr. Jacoby 2008, p. 86-87.
29 Ad esempio, sull’utilizzo del papiro, cfr. Martin 2000.
30 Riporto, a tal proposito, quanto scrive Constable 2010, p. 633: «Muslim trade in the Mediterranean world was strikingly different in the later medieval period than it had been in earlier centuries. During the fifth/eleventh century, control of Mediterranean shipping and commerce began to shift from Muslim to Christian hands as a result of crusade, conquest and the growth of the European economy. In the earlier medieval period, Muslim regions of the Mediterranean had been integrated by commerce and communications, even when they were politically divided under the rule of different dynasties... Muslim trade continued in North Africa and Nasrid Granada, as well as in some Christian Mediterranean ports, but the challenge to commerce and communications, and new political and religious divisions, forced Muslims merchants to shift their business affairs and routes of trade» .
Auteur
Le texte seul est utilisable sous licence Licence OpenEdition Books. Les autres éléments (illustrations, fichiers annexes importés) sont « Tous droits réservés », sauf mention contraire.
Le Thermalisme en Toscane à la fin du Moyen Âge
Les bains siennois de la fin du XIIIe siècle au début du XVIe siècle
Didier Boisseuil
2002
Rome et la Révolution française
La théologie politique et la politique du Saint-Siège devant la Révolution française (1789-1799)
Gérard Pelletier
2004
Sainte-Marie-Majeure
Une basilique de Rome dans l’histoire de la ville et de son église (Ve-XIIIe siècle)
Victor Saxer
2001
Offices et papauté (XIVe-XVIIe siècle)
Charges, hommes, destins
Armand Jamme et Olivier Poncet (dir.)
2005
La politique au naturel
Comportement des hommes politiques et représentations publiques en France et en Italie du XIXe au XXIe siècle
Fabrice D’Almeida
2007
La Réforme en France et en Italie
Contacts, comparaisons et contrastes
Philip Benedict, Silvana Seidel Menchi et Alain Tallon (dir.)
2007
Pratiques sociales et politiques judiciaires dans les villes de l’Occident à la fin du Moyen Âge
Jacques Chiffoleau, Claude Gauvard et Andrea Zorzi (dir.)
2007
Souverain et pontife
Recherches prosopographiques sur la Curie Romaine à l’âge de la Restauration (1814-1846)
Philippe Bountry
2002