Franz Ehrle e la storia delle università italiane
p. 249-267
Résumé
Nella produzione scientifica di Franz Ehrle, l’edizione degli statuti della facoltà di teologia di Bologna è l’unico contributo specifico alla storia delle università medievali, tema che vide impegnato ben più ampiamente il suo amico e compagno di lavoro Heinrich Denifle. Nel preparare l’edizione, progettata fin dal 1914, ma pubblicata solo nel 1932, il dotto gesuita si giovò di una rete di scambi intellettuali che ben rappresenta il profilo della cultura storiografica italiana dell’epoca: ebbe infatti come punti di riferimento da un lato l’ambiente nobilmente provinciale degli storici bolognesi cultori delle memorie dell’Alma Mater studiorum, dall’altro quello internazionale degli studiosi che a Roma facevano capo alla Biblioteca e all’Archivio Vaticani, e agli Istituti storici stranieri. Il materiale edito da Ehrle comprende non solo gli statuti e i documenti pontifici per la facoltà bolognese, ma anche l’elenco dei teologi che ottennero il magistero e furono incorporati nel Collegio dal 1360 al 1500. Una documentazione di interesse principalmente storico-istituzionale, che Ehrle, storico della scolastica, affronta tuttavia spinto anzitutto dal desiderio di ricostruire il contesto nel quale si elaborò e si trasmise il pensiero teologico nel Trecento e nel Quattrocento. Da questo punto di vista la sua impresa ha avuto, con poche eccezioni, un’eco limitata presso gli studiosi italiani, che pure da più di ottant’anni continuano a ricorrere alla sua edizione per leggere il testo degli statuti e conoscere i nomi dei teologi bolognesi del tardo medioevo.
The only direct contribution of Franz Ehrle to his friend Heinrich Denifle’s history of the medieval universities was his edition of the statutes of the theology faculty of Bologna, founded in the 14th century. The Jesuit published this edition in 1932, as a result of exchanges with Bolognese university experts and Austrian librarians with knowledge of the manuscript conserved in the library of the University of Vienna. He edited not only the most ancient statutes of the theological faculty, but published also, in their entirety, the sources which refer to the foundation and its continued history to the year 1500. Ehrle’s interest in the faculty’s history was driven by his desire to understand medieval conditions and methods of teaching theology rather than the mere history of institutions. Scholasticism was his main interest. Ehrle’s work was well received and much used. It failed, however, to this day to arouse any real interest in the history of theological teaching, a subject too often seen by Italian historians as marginal, having been monopolised in both medieval and modern times by the religious orders.
Texte intégral
1 Tra i progetti di ricerca ai quali Ehrle si riproponeva di tornare nel 1914, lasciando la Biblioteca Vaticana, c’era l’edizione degli statuti trecenteschi della Facoltà di teologia dell’università di Bologna. Nella vasta produzione scientifica dello studioso questo lavoro era destinato a rimanere l’unico dedicato all’università da un punto di vista storico-istituzionale1. Altra cosa infatti è il suo interesse per la scolastica come tema di storia delle dottrine, al quale molto opportunamente il presente volume ha previsto di dedicare uno specifico contributo. Un unico lavoro, dunque, ma così importante da fare di Ehrle un protagonista di quella fervida stagione di studi che alla fine dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento ha posto le basi della storiografia sull’università in Italia.
Interlocutori e corrispondenti
2Nella prima parte di questo contributo cerco di riscostruire la storia dell’impresa. Lo farò presentando una piccola galleria dei «numerosi personaggi che hanno contribuito in una o altra maniera al compimento della pubblicazione», per usare le parole di Ehrle2: prima i suoi interlocutori bolognesi, e poi alcuni altri. È un modo per intravvedere quale fosse, agli inizi del nuovo secolo, lo stato degli studi sulla storia delle università, quali gli interessi, le risorse, i metodi, in particolare rispetto al settore certamente meno frequentato, quello della storia dell’insegnamento teologico.
3Nella sale della Biblioteca Vaticana Ehrle aveva avuto modo di incontrare spesso Augusto Gaudenzi3. Bolognese, nato nel 1858 e formatosi nelle discipline storico-giuridiche, questi era uno studioso infaticabile, capace di mettersi alla prova su molti e vari temi della storia medievale italiana; usava ricorrere per le necessità della sua ricerca alla cortesia del prefetto, non solo come guida nella biblioteca da lui diretta, ma anche come tramite per contatti con altri studiosi, in particolare di area germanica4. Nel caso che ci interessa, le parti si invertirono. Lo stesso Ehrle racconta:
Al tempo in cui ero ancora Prefetto della Biblioteca Vaticana […] mi lamentavo un giorno col prof. Gaudenzi, allora uno dei più assidui frequentatori della Biblioteca […], perché non erano ancora pubblicati gli antichi statuti della Facoltà Teologica dell’Università di Bologna, essendo essi per lo studio della filosofia e teologia scolastica una vera necessità. Il prof. Gaudenzi al sentire le mie parole subito si mise a mia disposizione per ottenere il desiderato manoscritto dei detti antichi statuti5.
4Il «desiderato manoscritto» apparteneva alla facoltà teologica bolognese, e l’arcivescovo di Bologna, cui Gaudenzi si rivolse (si trattava di Giacomo della Chiesa, allora alla vigilia di diventare papa Benedetto XV), ebbe qualche difficoltà per convincere i dottori del collegio a metterlo a disposizione del pur autorevolissimo studioso tedesco. Come lo stesso Della Chiesa suggerisce in una lettera a Ehrle del 22 marzo 19146, la causa di quella scarsa disponibilità va cercata proprio nella persona dell’intermediario, appunto il Gaudenzi. Questi non era certo la persona più adatta a sollecitare con successo un favore dai teologi bolognesi: in occasione di una vertenza di carattere patrimoniale tra la mensa vescovile e il comune di Cento, aveva sostenuto in sede giudiziaria le ragioni della piccola città emiliana7. Forse c’entravano anche un po’ i rapporti non sempre idilliaci tra l’arcivescovo e i vertici della Chiesa bolognese, ma questo ovviamente la lettera non lo dice. Le difficoltà furono poi superate; del resto la vicenda risaliva agli ultimi anni dell’Ottocento e forse i fuochi che avevano alimentato il conflitto tra gli ambienti ecclesiastici e gli studiosi di orientamento liberale si erano ormai un po’ spenti, o si nutrivano ormai di una materia diversa da quella che aveva incendiato gli anni immediatamente successivi al 1870. Comunque, il codice degli statuti, affidato a mani sicure, raggiunse Roma. Vi sarebbe rimasto circa 18 anni: tanti ne richiederà il completamento dell’edizione.
5Ma il sostegno di Gaudenzi all’impresa non si limitò a questo primo passo. Fu grazie a lui che Ehrle entrò in contatto con l’ambiente degli studiosi attivi nell’Istituto per la storia dell’università di Bologna e nella Deputazione di storia patria per le province di Romagna.
6La Deputazione aveva mostrato interesse per il progetto di edizione degli statuti dei teologi diversi anni prima che esso fosse fatto proprio da Ehrle. Nella seduta del 6 gennaio 1889 il socio Carlo Malagola8, che l’anno prima aveva pubblicato la monumentale edizione degli statuti dei giuristi e degli artisti e medici9, sottolineava l’importanza del documento, pur confermando che era stato opportuno non pubblicarlo nella sua raccolta (dovremo tornare sulla giustificazione da lui addotta). In una precedente seduta della Deputazione, a seguito di una segnalazione del socio corrispondente Arthur Goldmann, si era accennato ad un altro manoscritto del testo statutario, conservato, questo, nella biblioteca universitaria di Vienna, dove Goldmann lavorava; seguì uno scambio epistolare tra Malagola e Goldmann sulla metodologia da adottarsi per l’edizione10. Anche il secondo testimone degli statuti, conservato nel codice viennese, era dunque ben noto agli studiosi che a Bologna si occupavano di storia dell’università.
7Oltre che con la Deputazione di storia patria, a Bologna Ehrle entrò in contatto con la Commissione per la storia dell’università. Le celebrazioni dell’ottavo centenario della fondazione dello Studium bolognese, arbitrariamente fissata al 1088 per volontà del rettore Giosuè Carducci, avevano dato un impulso straordinario alle ricerche in questo settore. Il numero e la qualità delle pubblicazioni (edizioni di fonti e studi) uscite intorno al 1888 non ha l’eguale in nessuno dei periodi successivi. Quello della storia dell’università (sviluppato come un tema medievistico, dato che si trattava esclusivamente della storia delle origini dell’istituzione) fu sin dall’inizio un territorio frequentato specialmente da studiosi di orientamento liberale: in un clima segnato ancora dai conflitti ideologici che avevano accompagnato la nascita e i primi decenni dello Stato unitario, da molti si voleva vedere nella nascita dell’università la riscossa dello spirito laico contro l’oppressione clericale dell’alto medioevo11. Quando Ehrle darà inizio alla sua fatica, lo abbiamo appena detto, il clima politico-culturale è ormai molto cambiato: è passata una generazione, e sta finendo la lunga età giolittiana. Anche la ricerca sull’università ha bisogno di nuovi stimoli. Nel 1907, in concomitanza con il terzo centenario della morte di Ulisse Aldrovandi, si era data vita a una «Commissione per la storia dell’università di Bologna» con l’obiettivo di rilanciare la ricerca e le pubblicazioni12. Fu questa Commissione il punto di riferimento istituzionale dell’impresa di Ehrle. Morto Malagola nel 1910, egli vi ebbe come interlocutori, oltre a Gaudenzi, almeno altri due personaggi: il segretario Albano Sorbelli (1875-1944), direttore della biblioteca dell’Archiginnasio e storico di Bologna medievale13; il vicepresidente Emilio Costa (1866-1926), studioso insigne di storia del diritto romano e dal 1897 docente di quella disciplina nell’ateneo bolognese14. Ehrle ricorderà tutti con riconoscenza, nella prefazione al volume degli Statuti, per «il grazioso invito a pubblicare i suddetti statuti nella loro Collezione»15. A questo lavoro, infatti, la Commissione aveva fin dall’inizio tenuto come a cosa propria, parte del suo programma editoriale. Non a caso, si era subito preoccupata di spedire ad Ehrle tutti i volumi pubblicati a propria cura fino al 191416.
8Dopo questi inizi, non sappiamo molto dei rapporti di Ehrle con la Commissione nei lunghi anni che occorsero per il completamento del lavoro, se non che la cura editoriale fu affidata ad Albano Sorbelli17. Sia pure a distanza di quasi vent’anni, il volume uscirà nel 1932, come primo di una nuova collana avviata dalla Commissione, ormai riorganizzata come «Istituto per la storia dell’università di Bologna»18. La collana, che non avrà vita molto lunga, si chiama Universitatis Bononiensis monumenta19. Dal progetto iniziale di edizione degli statuti dei teologi sono passati quasi vent’anni, c’è stata di mezzo la guerra e il difficile dopoguerra, la prolungata assenza di Ehrle da Roma e la sua elevazione al cardinalato, con tutti gli impegni che ne conseguirono. Ma i reciproci impegni tra Ehrle e i Bolognesi sono stati mantenuti: anche il codice degli statuti può finalmente tornare nella sua città, dove è ora conservato presso la biblioteca del Seminario interregionale dell’Emilia Romagna, in qualche modo erede dell’antica Facoltà di teologia20.
9Per una parte notevole, dunque, l’unico lavoro di Ehrle di storia dell’università può essere messo in relazione con il contesto culturale e istituzionale bolognese del primo Novecento. Ma non si possono trascurare due fatti: anzitutto che era nato da interessi di ricerca lontani da quell’ambiente; in secondo luogo che reca forte l’impronta di un autore provvisto di cultura e di interessi scientifici internazionali. Diremo tra breve dell’interesse che può avere animato Ehrle all’impresa; per quanto riguarda i suoi interlocutori fuori dell’ambiente bolognese, il primo da ricordare è ovviamente Heinrich Denifle. Nel 1914, Denifle era morto da quasi 10 anni, e già da prima aveva allentato la sua collaborazione alla comune impresa dell’Archiv für Literatur– und Kirchengeschichte, chiusasi poi definitivamente nel 1900. Ma è inevitabile che Ehrle continui a dialogare con lui nelle pagine del libro sulla facoltà teologica di Bologna. Utilizza il suo lavoro sulla nascita delle università europee21 per molte informazioni di carattere generale; di più, condivide quasi in tutto la sua interpretazione della nascita e del primo sviluppo delle università in Italia. Per quanto riguarda specificamente gli statuti bolognesi, Ehrle ricorda che entrambi i testimoni del testo erano noti a Denifle: egli li aveva consultati per la preparazione del secondo volume del Chartularium di Parigi, dove se ne pubblicano alcuni estratti22. Su quell’edizione, come vedremo, il dotto gesuita non esita a manifestare qualche perplessità.
10E, sempre a proposito di manoscritti, bisogna ricordare che i rapporti di Ehrle con Arthur Goldmann e la conoscenza che grazie a lui egli poté avere del codice viennese passarono certamente per altri canali che non la Deputazione di storia patria per le province di Romagna, di cui pure, come abbiamo visto, questi era socio corrispondente. Nei confronti del bibliotecario viennese, Ehrle si dichiara debitore per più di un motivo: Goldmann gli aveva inviato un’accurata trascrizione della parte del codice necessaria per l’edizione, e gli era stato prodigo di informazioni e di suggerimenti23. Ma altri personaggi erano intervenuti a facilitare i rapporti con Vienna: Denifle ringrazia Ludwig von Pastor (1854-1928) e Heinrich Pogatscher (1864-1937), storico e anch’egli bibliotecario della biblioteca universitaria di Vienna, all’epoca distaccato presso l’Istituto storico austriaco di Roma24.
11In conclusione: il lavoro di cui ci stiamo occupando, radicato da un lato nell’ambiente degli storici bolognesi, dall’altro inserito nella rete ampia dei rapporti scientifici che si allacciavano a Roma tra gli studiosi facenti capo alla Biblioteca e all’Archivio vaticano, e agli Istituti storici stranieri, dà una bella testimonianza degli effetti che poté produrre l’incontro fra una cultura nobilmente provinciale come quella di Gaudenzi, Malagola, Sorbelli e la ricerca storica europea, il cui fervore, nel polo di attrazione rappresentato nel primo Novecento dalla sede papale, è ampiamente evocato dal presente volume. Un caso non unico in quel tempo e in quell’Italia, che dal punto di vista degli studi storici fu tutt’altro che un’ «Italietta» .
Contenuti e interessi dello studio sulla Facoltà di Teologia
12Vengo ora ai contenuti dell’opera. Mi limiterò a brevi cenni sui documenti pubblicati e sui materiali utilizzati per l’edizione. Dirò poi qualche cosa sui temi affrontati in quella che Ehrle chiama Introduzione, ma che in realtà è un ampio lavoro storiografico di più di duecento pagine.
13Diversamente da quanto indicato nel titolo, il volume non contiene soltanto i più antichi statuti della Facoltà teologica. Vi si pubblica tutta la documentazione disponibile al tempo di Ehrle utile a testimoniare le fasi principali della storia istituzionale della Facoltà teologica bolognese fino al 1500. Essa comprende tre blocchi, di cui il più consistente è ovviamente quello costituito dagli statuti.
- Le suppliche degli ambasciatori bolognesi inviati ad Avignone per ottenere l’istituzione della facoltà documentano il periodo della fondazione (1359-1360). Fino ad allora inedite, sono pubblicate da Ehrle sulla base dei registri delle Suppliche di Innocenzo VI25.
- Risale alla riforma di Urbano VI un testo composto da 8 articuli che regolano la procedura della concessione dei gradi nelle facoltà di teologia. Benché a conoscenza di una precedente edizione, condotta su un manoscritto dell’Archivio generale degli Agostiniani, Ehrle li pubblica dal solo Vaticano Latino 783, datandoli fra il 1378 e il 138126. Dal testo si ricava che il pontefice inviò il documento a tutte le facoltà di teologia d’Italia, in primo luogo a Padova; ma Ehrle non è a conoscenza del ramo padovano della tradizione, le cui tracce sono affiorate solo negli anni sessanta del Novecento27.
- La terza e più corposa parte dell’edizione raccoglie tutto il materiale contenuto nei codici viennese e bolognese, soltanto però fino al 150028. Secondo Ehrle il fascicolo che ci interessa del codice viennese fu scritto nel 1426 e la parte più antica del codice bolognese, che nel tempo ha poi ospitato aggiornamenti successivi, nel 1440. In entrambi sono copiati, dopo la bolla Quasi lignum vite, con la quale il 30 giugno 1360 Innocenzo VI istituì la facoltà, gli statuti antichi, risalenti al 1362-1364; il manoscritto viennese riporta di seguito l’elenco degli errori condannati dalla Facoltà teologica di Parigi, e con questo si chiude; il manoscritto bolognese non ha l’elenco degli errori ma prosegue riportando la serie delle aggiunte e riforme degli statuti ed altri testi normativi fino all’età moderna. Ehrle, come detto, si ferma al 1500. La parte di gran lunga più estesa (circa 340 fogli su 370) è costituita dalla lista degli addottorati e incorporati nel Collegio dal 1364 al 1824: anche in questo caso l’edizione non va oltre il 1500, fornendo un totale di circa 500 nomi.
14Un esame analitico dei criteri editoriali adottati da Ehrle non è qui possibile. Mi limito ad alcune osservazioni. La una puntigliosa descrizione dei manoscritti che l’editore sviluppa nell’introduzione contiene molti elementi utili per la critica del testo. Ma poi, anche per la parte in cui ha a disposizione due testimoni, egli rinuncia a una vera e propria edizione critica: pubblica il testo dal codice viennese, dando in apparato, o a fianco, nei casi di divergenze maggiori, le varianti del codice bolognese. Interessante il criterio con cui affronta la lista degli errori condannati, presente come si è detto nel solo manoscritto viennese. In questo caso egli utilizza l’apparato per segnalare le varianti offerte da un altro testo contenente la lista: la versione stilata dall’agostiniano Ugolino Malabranca di Orvieto degli articuli attribuiti a Jean de Mirecourt e condannati nel 1347 da 43 maestri parigini, documento pubblicato nel Chartularium Universitatis Parisiensis29.
15Ehrle, questa la conclusione che si può trarre per questo punto, non si serve se non raramente dell’apparato per mettere in luce e per ipotizzare i rapporti tra i diversi testimoni del testo statutario, là dove disponibili, e per tentare di ricostruirne la forma originaria. Da questo punto di vista il suo modo di procedere non è molto distante da quello che rimprovera a Denifle: dando nel suo volume alcuni excerpta degli statuti bolognesi, questi – dice Ehrle – non è stato capace di «intuire in alcun modo la differenza e la relazione che esiste fra i due testi, avendo troppo rapidamente esaminato il codice di Vienna »30. In realtà, neppure Ehrle si impegna in ipotesi circa le relazioni tra i due manoscritti. In particolare poi nel caso della lista degli errori, più che di dare un’edizione critica egli appare in primo luogo preoccupato di raccogliere tutte le notizie storiche disponibili circa gli articoli condannati e i loro autori, dando così spazio più che alla sua acribia di filologo (che è evidente nelle edizioni da lui curate di scritti appartenenti ad altre tipologie testuali) al suo interesse per la storia della letteratura filosofica. Del resto, al tema delle condanne parigine egli riserva molta attenzione anche nel volume sul Commento alle Sentenze di Pietro di Candia, iniziato nel periodo di forzata sospensione del lavoro sugli statuti, tra il 1915 e il 1919, pubblicato nel 1925, e che nel libro sugli statuti bolognesi è espressamente richiamato31.
16Queste ultime osservazioni, facendo emergere una evidente attenzione alla storia delle dottrine scolastiche anche nell’unico lavoro che, nella produzione di Ehrle, non appare immediatamente rientrare in questo tema, possono introdurre bene il punto che esaminerò brevemente ora: quali motivazioni e interessi hanno indotto lo studioso ad affrontare il grosso lavoro dell’edizione degli statuti?
17Come si sottolinea in un recente bilancio storiografico degli studi di storia della teologia nel XX secolo32, e come altri contributi di questo volume confermano, Ehrle aveva definito in età giovanile obiettivi e strumenti del suo impegno di studioso, scegliendo come tema di ricerca la scolastica medievale indagata nelle testimonianze manoscritte, preferibilmente inedite. Si può discutere se il progetto sia stato concepito autonomamente (magari in risposta a stimoli ricevuti dai suoi maestri gesuiti) o in dipendenza dalle iniziative cui Leone XIII diede il via con l’enciclica Aeterni Patris. La vicinanza nel tempo tra la pubblicazione dell’enciclica e le dichiarazioni di Ehrle circa il suo interesse per lo studio della scolastica medievale non sembra in effetti un dato decisivo, tale da avvalorare con certezza l’una o l’altra interpretazione33. In ogni caso, non vi è dubbio che quello per la scolastica fu un interesse precoce e costante. Lo accompagnò per tutta la sua vita, anche se in alcuni periodi non arrivò a trovare spazio fra i suoi tanti impegni34.
18Chiudo subito la premessa, che si affaccia su temi e interrogativi ampiamente trattati in altri contributi a questo volume, e torno al volume di storia dell’università. Ciò che qui preme sottolineare è che nell’affrontare un tipico tema di storia giuridico-istituzionale come quello degli statuti, Ehrle è in larga misura mosso dagli interessi, e potremmo anche dire fornito degli strumenti propri di uno studioso dei testi filosofici e teologici. Non a caso il sottotitolo del volume è Contributo alla storia della scolastica medievale. Lo stesso Denifle del resto aveva visto gli statuti in prospettiva analoga, anche se non perfettamente identica: ha ragione Ehrle quando dice che il suo compagno di imprese editoriali aveva insistito «molto opportunamente sulla loro importanza per l’organizzazione dello studio teologico nella Scolastica medievale »35.
19E bisogna dire che gli spunti più originali nell’introduzione di Ehrle si colgono proprio là dove egli cerca di piegare la fonte normativa alle proprie curiosità di studioso dei testi dottrinali. Abbiamo già detto di come egli lavori sull’elenco degli articoli condannati, una delle poche parti del documento che, non occorre dirlo, si presta già di per sé all’operazione. Altrettanto ovviamente gli interessano molto le rubriche statutarie che fissano le modalità degli atti scolastici (letture, dispute, repetitiones...). Proprio perché le norme qui stabilite intervengono direttamente sui contenuti e sulle modalità di produzione del discorso dottrinale, sono certo queste che Ehrle e Denifle hanno in primo luogo presenti quando parlano dell’importanza degli statuti per lo studio della teologia scolastica. Ma a parte questi casi, la natura della fonte non offre una strada facile a un interprete mosso dalle intenzioni del nostro autore, e incline a fare largamente ricorso, nell’argomentazione, alla sua esperienza di storico delle dottrine. Egli tuttavia cerca di sfruttare ogni opportunità, anche concedendosi degli sviluppi un po’ pretestuosi. Un solo esempio. Richiamando l’attenzione sulla qualifica di Averroista attribuita a un Urbanus de Bononia che compare nella lista degli addottorati, e discutendo la data di composizione della sua opera, che l’edizione a stampa del 1492 fissa al 1334, la ritiene poco attendibile: impossibile (questa l’argomentazione) che l’opera di un maestro del primo Trecento mantenesse a distanza di un secolo e mezzo un’attrattiva tale da giustificarne la stampa36. Il ragionamento ha a che fare con il tema, tutt’altro che secondario per la storia dell’insegnamento filosofico nelle università italiane, della continuità o discontinuità fra l’aristotelismo del Trecento e quello del Quattrocento, cioè, per dirla un po’ sommariamente, fra l’aristotelismo degli scolastici e quello degli umanisti. Per completezza aggiungiamo che il giudizio alla base dell’argomentazione di Ehrle, in larga parte condiviso all’epoca e nei decenni successivi, è ora messo in discussione, nel quadro di ricerche che tendono a sfumare l’effetto della discontinuità e a sottolineare invece come in questo campo «l’influsso di testi bolognesi del XIV secolo, anche molto antichi, sia costante e duraturo»37.
20Di fronte alla resistenza della fonte, non meraviglia che Ehrle non riesca sempre a trovare quello che cerca. Succede che egli non riesca a nascondere del tutto la propria insoddisfazione: i casi sono abbastanza frequenti, ma basterà un esempio. A proposito dei criteri che presiedettero alla compilazione dell’indice delle materie aggiunto nel manoscritto bolognese alla fine delle rubriche dello statuto, egli osserva: «Come purtroppo è naturale, la loro attenzione [l’attenzione dei compilatori] è rivolta principalmente alla parte statutaria, per sapere ciò che è legge e che forma l’organismo giuridico della facoltà, e quindi ci rivela poco la vita scientifica, che ci interesserebbe tanto»38. «Purtroppo», «ci interesserebbe tanto»: forzando un po’ la mano, potremmo dire che la sia pur parziale delusione di Ehrle, storico della scolastica, non riguarda solo l’indice delle materie, bensì in certa misura gli statuti stessi, e proprio per la loro natura di testi normativi. Il bilancio che egli fa al termine del suo lungo e faticoso lavoro ha perciò un lieve sapore di rinuncia: non ha «creduto opportuno di corredare […] il testo degli statuti bolognesi con tutte quelle note e illustrazioni richieste dall’interesse che offrono per la storia della Scolastica medievale, essendo a ciò indispensabile la pubblicazione di un numero considerevole di testi e documenti inediti o editi ma meno accessibili»; e ha scelto di limitarsi a quello «che interessa la storia per così dire costituzionale della facoltà teologica e dell’università intera di Bologna». L’aggiunta, nella quale precisa di essersi conformato in ciò «all’intento del R. Istituto che dà ospitalità alla mia pubblicazione» dimostra la sua sensibilità nei confronti degli orientamenti culturali dei suoi interlocutori bolognesi, ma conferma al tempo stesso che la storia giuridico-istituzionale non costituisce il suo interesse originario39.
Recezione e fortuna
21Abbiamo sin qui parlato di un lavoro che ha richiesto al suo autore tanto tempo, tanta fatica e anche tanta disponibilità ad avventurarsi su un terreno, quello della storia delle istituzioni, che non gli era immediatamente congeniale, se è vero quello che ho creduto di poter dire a proposito delle motivazioni che ne furono all’origine. Guardando alla vita postuma dell’opera, mi sembra di poter rilevare che questa grande impresa è stata solo parzialmente valorizzata dalla storiografia sulla storia delle università.
22Naturalmente il libro, per la sua utilità pratica, ha avuto e continua ad avere una frequenza di citazione altissima. Ma come editore, Ehrle è più usato che preso in considerazione. Anzitutto, come spesso accade, la presenza di una buona edizione a stampa ha per qualche aspetto bloccato la ricerca, rendendo meno obbligatorio il ricorso ai documenti originali. In questo senso, un piccolo segnale si può già notare nel fatto che alcuni studiosi posteriori non hanno neppure preso atto dei cambiamenti intervenuti nel tempo nella localizzazione o nella catalogazione dei manoscritti, e continuano a riprodurre quelle dell’epoca di Ehrle. L’ente attualmente proprietario del codice bolognese, il Seminario interregionale dell’Emilia– Romagna, è spesso indicato in modo scorretto40. Il codice viennese, di cui durante il Novecento si sono perse per qualche tempo le tracce, è stato dato ancora per perduto dopo la sua ricomparsa, intorno al 1980; con l’eccezione ovviamente dell’ambiente austriaco, dove anzi il ritrovamento ha dato il via a numerose pubblicazioni41.
23Ma l’esito più paradossale, in quanto certamente contrario a quello immaginato dall’autore di tanta fatica, fu che dopo di lui nessuno rimise mano al codice bolognese per completare la sua opera. Il desiderio da lui espresso circa la pubblicazione delle «matricole» dal 1500 al al 1824, malgrado lo straordinario interesse di questo documento per le ricerche prosopografiche, non si è realizzato se non in parte. I nomi, inediti, dei teologi addottoratisi a Bologna in età moderna sono stati tuttavia recentemente inseriti direttamente dal manoscritto nel database prosopografico ASFE curato dal Centro interuniversitario per la storia delle università italiane, che per il periodo precedente ha invece utilizzato l’edizione di Ehrle.
24A parte il mancato completamento postumo della sua impresa, la scarsa fortuna di Ehrle editore si manifesta soprattutto nel fatto che i criteri con i quali ha lavorato non sono mai stati discussi né, a mia conoscenza, si sono avanzate proposte di emendamento del testo da lui stabilito42. La datazione al 1440 circa della parte più antica del codice bolognese è generalmente accettata; del resto è la stessa proposta da Malagola43. Ma nessuno ha preso più posizione circa la relazione di questo primo esemplare conservato con l’originale perduto. Su questo i due studiosi discordano. Secondo Malagola la copia quattrocentesca riproduce direttamente il testo dello statuto del 1362-1364 nella sua integrità. Secondo Ehrle in quegli ottanta anni ci furono, oggi non conservate, nuove redazioni e copie intermedie44. Proprio su ipotesi di questo tipo Denifle aveva costruito tutti i suoi ragionamenti circa la circolazione dei modelli statutari (in quel caso dei giuristi) in vari Studia italiani, a partire da una recensione dei testi normativi prodotti nelle diverse sedi e collazionati come esponenti di un’unica tradizione45 : per i teologi il lavoro resta in gran parte da fare46.
25Se dall’edizione passiamo al contributo storiografico offerto dall’introduzione, le conclusioni sono di nuovo piuttosto deludenti. È vero che Ehrle, nel tentativo di inquadrare le vicende della Facoltà di teologia di Bologna e dei suoi statuti in una storia a 360 gradi, traccia per quel contributo un disegno forse eccessivamente ampio. Tratta dello sviluppo istituzionale dello Studio bolognese, delle origini delle facoltà teologiche, delle scuole bolognesi nell’alto medioevo, della situazione politica della città nel secondo Trecento. Parla quindi di molte sedi universitarie, anzitutto di Parigi, di nazioni, universitates, collegi dottorali di tutte le discipline (non solo filosofia, ma diritto, arti, medicina), dei rapporti dell’università con l’impero, il papato, i comuni. La prima impressione è che nella maggior parte dei casi non si vada molto al di là di quelli che Ehrle stesso definisce «riassunti», giustificati dalla necessità di dare ordinatamente conto dei risultati raggiunti dagli autori precedenti, che per la storiografia universitaria sono sostanzialmente Savigny, Denifle, Malagola, Rashdall47. Questo carattere della narrazione ha forse impedito agli storici successivi di far tesoro di una delle indicazioni più interessanti che vengono dal lavoro di Ehrle. Il quale, al di là dei tratti apparentemente compilativi, ha alla base un progetto nuovo e ambizioso. Ehrle vuole studiare l’insegnamento teologico a Bologna nel contesto unitario della storia dell’università medievale in Italia, senza fare dell’obbiettiva e innegabile «diversità» delle facoltà teologiche rispetto a quelle di arti e medicina e di diritto una giustificazione per riservare alle prime un interesse storiograficamente separato.
26Per la verità, l’insuccesso di questa proposta di Ehrle, che ancora oggi trova scarsa eco nella storiografia italiana, dipende da cause che vanno ben al di là della forma con la quale essa è presentata. Nel libro, Ehrle rimprovera a più riprese a Carlo Malagola di non aver voluto includere quelli dei teologi fra gli statuti delle università e dei collegi pubblicati in occasione dell’VIII centenario48. Ma Malagola diceva che andava bene così, «perocché a Bologna la Teologia era separata del tutto dallo Studio tanto rinomato delle leggi e delle Arti liberali, costituita a parte e vivente di vita propria»49. Queste parole di uno dei padri della nostra storiografia universitaria descrivono come meglio non si potrebbe quale è lo statuto delle ricerche di storia della teologia in un paese che, a monte, non ha avuto facoltà universitarie di teologia se non nel Trecento avanzato; e a valle, raggiunta l’unità nazionale, ha cessato di comprendere la teologia tra le discipline insegnate negli atenei pubblici50. L’università di Malagola non sente la storia delle facoltà di teologia come parte della propria storia, e gli storici, anche delle generazioni successive, che in quell’università si sono formati lasciano volentieri che questo territorio sia occupato da altri, soprattutto dagli studiosi che si interessano (e quasi sempre appartengono) agli ordini religiosi. Non è stato fino ad ora facile per loro (diciamo per noi) condividere pienamente un progetto come quello di Ehrle che si fonda sull’idea medievale di università come Studium in qualibet facultate.
27Direi infine che questo lavoro di Ehrle ha lasciato una traccia troppo debole proprio rispetto a quella parte del suo progetto che mi è sembrata la più ambiziosa e innovativa: il tentativo di collegare intimamente storia delle istituzioni e storia della letteratura scolastica. Ciò implica, sul piano del metodo, l’impegno di utilizzare il documento normativo per la trattazione di tematiche storico-dottrinali; più in generale, per riprendere l’espressione di Denifle, la capacità di analizzare contestualmente «l’organizzazione dello studio teologico» e i suoi contenuti. In un suo celebre testo, quello in cui si applica a definire lo statuto e i metodi della «storia della pietà», don Giuseppe De Luca evoca il nome di Ehrle, in modo in apparenza sorprendente, dato che sta trattando di letteratura religiosa in volgare o comunque di ambito «non scolastico»:
L’università del giovane regno d’Italia, messa sul punto e stimolata dalle università straniere, tentò di non essere a meno in questa letteratura che in storia antica e in storia medievale, ma le fu grande fatica, e spesso le riuscì una fatica vana. Nelle università protestanti c’erano le discipline teologiche, a sostenere lo storico della letteratura medievale; storico che, in Italia, o non c’era o, quando c’era, doveva da sé provvedersi tutto l’occorrente; ingente sforzo, […] Per dare un testo religioso […] sembra necessario, oltre al paleografo, oltre al glottologo, ancora un terzo uomo: un Ehrle, un Denifle, un Wilmart, un Grabmann; il quale uomo leggendario mancò all’Italia allora, manca ora e mancherà forse per decenni51.
28Il ragionamento funziona anche se sostituiamo alla letteratura religiosa la letteratura filosofico-teologica di origine ed uso scolastico. Ed è ancora la segnalazione di una difficoltà.
29Voglio però concludere in positivo, e dire che la sordità nei confronti di questo aspetto così qualificante del lascito di Ehrle non è stata totale nella nostra storiografia. È questa anche l’occasione per ricordare un grande studioso, che ha dedicato una parte rilevante della sua operosità scientifica a realizzare concretamente quella che in Ehrle mi sembra un’ambizione intelligente e generosa, ma solo parzialmente riuscita. Alfonso Maierù (1939-2011), che è stato a pieno titolo storico della filosofia e storico dell’università, è, per quel che ne so, l’unico che non si è limitato a usare il libro sugli statuti bolognesi, ma lo ha discusso puntualmente, valorizzandone le intuizioni felici e anche criticandone le debolezze di informazione e di metodo52. Il dialogo si sviluppa soprattutto intorno al commento di Ehrle alle rubriche che gli statuti dedicano agli «atti scolastici»: letture e dispute con le loro diverse forme, repetitiones, collationes. Di questo dialogo sarebbe interessante seguire passo per passo lo sviluppo. Ma bastano poche parole a dire ciò che lo studioso italiano sente ancora vivo nel magistero dello studioso tedesco. È la volontà di collocare la produzione dottrinale, i testi degli autori, nel contesto (la scuola universitaria) nel quale sono stati composti e/o utilizzati, con la convinzione che questo non offra semplicemente uno sfondo, bensì un elemento indispensabile all’interpretazione di quelli: intendendosi in particolare come coordinate del contesto, oltre alla disciplina (che resta, con i suoi contenuti e i suoi metodi, oggetto primario d’attenzione), la natura degli atti accademici di cui i testi conservano in qualche modo la testimonianza scritta, le figure istituzionali dei docenti e degli allievi, le norme che regolano il funzionamento della scuola53. Da questo punto di vista, se vogliamo continuare sulla strada indicata da Maierù, penso che Ehrle abbia ancora qualche cosa da dirci.
Notes de bas de page
1 I più antichi statuti della Facoltà teologica dell’Università di Bologna. Contributo alla storia della scolastica medievale, ed. F. Ehrle S.I., Bologna, 1932, rist. anast. 1983 (Universitatis Bononiensis Monumenta, 1) (d’ora in poi Statuti). Non era, quella bolognese, la più antica delle facoltà di teologia italiane: risalendo al 1360, era stata preceduta almeno da quella di Firenze, per la quale è attestato il conferimento di una laurea in teologia nel 1359. Ma certo fin dalle origini ebbe un posto di rilievo nel panorama universitario della penisola, soprattutto per due motivi: la posizione che la città occupava nei territori della Chiesa, e l’appartenenza della facoltà al più glorioso Studio italiano, che solo dal quel momento poté dirsi Studium generale, nella misura in cui questo riconoscimento implicava che gli insegnamenti fossero impartiti in qualibet facultate. Cfr. per una prima informazione (altri contributi saranno citati in seguito) G. Cremascoli, La facoltà di teologia, in L. Gargan, O. Limone (a cura di), Luoghi e metodi di insegnamento nell’Italia medievale (secoli XII-XIV), Galatina, 1989, p. 181-200.
2 Statuti, p. ccxvi.
3 Gaudenzi (1858-1916) era più giovane di Ehrle di poco più di 10 anni. Laureato in storia del diritto nel 1880, aveva coltivato molti altri interessi (storia antica, archeologia, arabo) fino a laurearsi in lettere e filosofia nel 1883. Dal 1886 al 1911 fu professore di storia del diritto italiano a Bologna. La sua produzione scientifica spaziò dalla storia dei diritti germanici altomedievali alla storia di Bologna nel medioevo e alla produzione statutaria degli organismi cittadini. La sua attiva partecipazione alle iniziative promosse da Giosuè Carducci per l’ottavo centenario della nascita dell’ateneo bolognese (1888) orientò in misura significativa i suo interessi verso la storia dell’università. Cfr. Gaudenzi, Augusto, in Dizionario biografico degli Italiani, LII, Roma, 1999 (voce redazionale), ora superato da E. Cortese, Gaudenzi, Augusto, in I. Birocchi, E. Cortese, A. Mattone, M. N. Miletti (dir.), Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), I, Bologna, 2013, p. 959-961.
4 Un episodio che illumina questo aspetto è riferito dallo stesso Gaudenzi in una sua relazione circa le ricerche da lui svolte per la nuova edizione del Chronicon Sublacense nei Rerum Italicarum Scriptores (poi non giunta a termine): V. Fiorini, Dei lavori preparatori per la nuova edizione dei Rerum Italicarum Scriptores. Comunicazione al Congresso Internazionale di Scienze Storiche. Roma, 2-9 aprile 1903, in Archivio Muratoriano, 1, 1904, p. 34.
5 Statuti, p. ccxi.
6 Statuti, p. ccxii-cciv: ccxiii.
7 Alla vicenda si riferisce apertamente la lettera citata a nota precedente: «Non fu gradita l’intromissione del prof. Gaudenzi, perché ha fatto qualche pubblicazione contro la causa “della decima di Cento” sostenuta e vinta dal mio predecessore, anzi si pretende che prepari qualche lavoro per tornare sulla dibattuta questione». La causa, che diversamente da quanto ritiene, o teme, l’arcivescovo Della Chiesa nel 1914, si concentrò nel periodo attorno al 1899, diede luogo a una ricca produzione di memorie storico-giuridiche da ambo le parti: a testimonianza di come un’occasione come questa fosse in grado di sollecitare contemporaneamente in un intellettuale come Gaudenzi la curiosità storica, la competenza professionale e l’impegno politico basti il rinvio a due pubblicazioni maggiori: A. Gaudenzi, Sulle decime di Cento dalle origini all’anno 1598: memoria presentata dal municipio di Cento alla ecc.ma Corte d’appello di Roma a sostegno della discussione orale in risposta alle deduzioni storiche sulla origine vera delle decime di Cento contro l’origine giuridica del can. Breventani, Bologna, 1899; Id. (ed.), Documenti relativi alla causa tra il Comune di Cento e la Rev. Mensa arcivescovile di Bologna presentati alla Ecc.ma Corte d’Appello di Roma in parte consistenti in pergamene inedite dei secoli XII, XIII e XIV, Bologna 1899.
8 Cfr. Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, Ser. III, 7, 1889, p. 156-157. Su Carlo Malagola (1855-1910) la bibliografia è scarsa rispetto all’importanza storica del personaggio. Occorre ancora rifarsi alle memorie stese in occasione della morte, tra le quali E. Costa, G. Livi, Commemorazione di Carlo Malagola, in Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, Ser. IV, 1, 1911, p. 278-299, cui segue, alle p. 300-311, l’elenco di 131 pubblicazioni dello studioso; recentemente a San Marino gli è stata dedicata la mostra Carlo Malagola. Lo straordinario raccontatore della Repubblica. Percorso documentale a cura degli Istituti Culturali Archivio e Biblioteca di Stato. S. Marino, Palazzo Valloni, 17 dicembre 2015 – 31 gennaio 2016.
9 C. Malagola (ed.), Statuti delle Università e dei Collegi dello Studio Bolognese, Bologna 1888, rist. Torino, 1966, Bologna 1988.
10 Statuti, p. x. Notizie sul bibliotecario austriaco: Goldmann, Arthur, in Österreichisches Biographisches Lexikon 1815-1950, II, Wien-Graz, 1954, p. 24 (voce redazionale).
11 Sull’argomento la bibliografia è ormai abbastanza nutrita: utilissime riflessioni in G. Arnaldi, Il discorso di Giosuè Carducci per l’ottavo (virtuale) centenario dello Studio di Bologna, in La Cultura, 3, 2008, p. 405-424, rist. in Studi offerti ad Antonio Venditti, Napoli, 2009, p. 161-186. La fioritura degli studi di storia dell’università in questo periodo riflette naturalmente la centralità del tema dell’istruzione superiore nelle politiche dei governi postunitari: della ricca letteratura mi limito a citare M. Moretti, I. Porciani, L’università, in G. Sabbatucci, V. Vidotto (a cura di), L’unificazione italiana, Roma, 2011, p. 631-650.
12 E. Costa, La Commissione a chi legge, in Studi e memorie per la storia dell’Università di Bologna, I/1, Bologna, 1907 (Biblioteca dell’Archiginnasio, Ser. I, 1), p. vii.
13 Sorbelli, Albano, in E. Bottasso, Dizionario dei bibliotecari e bibliografi italiani dal XVI al XX secolo, Montevarchi, 2009, p. 413-427; A. Vasina, Dalla biblioteca all’insegnamento universitario: l’operosità didattica di Albano Sorbelli nell’Università di Bologna, in Annali di storia delle università italiane, 2, 1998, p. 225-230.
14 F. Fabbrini, Costa, Emilio, in Dizionario biografico degli Italiani cit., I, p. 171-175; A. Mantello, Costa, Emilio, in Dizionario biografico dei giuristi cit., I, p. 592-596, dove a p. 593 si ricorda l’impulso dato dal Costa all’Istituto per la storia dell’Università e la sua partecipazione alle attività della Deputazione di storia patria per le province di Romagna.
15 Statuti, p. v.
16 Statuti, p. ccxv. Si trattava di due volumi del Chartularium Studii Bononiensis e di tre volumi di Studi e memorie.
17 Statuti, p. ccxv.
18 Per la storia dell’Istituto v. G. P. Brizzi, Gina Fasoli: la storia dell’Università di Bologna e l’Istub, in F. Bocchi, G. M. Varanini (a cura di), L’eredità culturale di Gina Fasoli, Roma, 2008 (Nuovi Studi Storici, 75), p. 129-140.
19 La collana arriverà a comprendere soltanto quattro numeri, dei quali il secondo e il terzo sono i due volumi del Liber secretus iuris Caesarei, pubblicati da Albano Sorbelli nel 1938 e nel 1942.
20 Durante il periodo di assenza da Roma tra il 1915 e il 1919 Ehrle aveva depositato il codice presso la Biblioteca Apostolica Vaticana. Ringrazio il prof. Gian Paolo Brizzi, presidente del Centro interuniversitario per la storia delle università italiane, delle informazioni che ha voluto raccogliere per me circa la storia delle collocazioni del codice, e per avermi fatto avere le immagini della decorazione del manoscritto, tratte dalla riproduzione digitalizzata fatta eseguire dal CISUI e conservata presso la sua sede a Bologna.
21 H. Denifle, Die Entstehung der Universitäten des Mittelalters bis 1400, Berlin 1885, rist. anast. Graz 1956.
22 Cfr. H. Denifle, Ae. Chatelain (ed.), Chartularium Universitatis Parisiensis, II, Paris, 1991, p. 536 nr. 1068, p. 693-694 nr. 1188. A questa impresa è dedicata ora un’importante sezione del volume A. Sohn, J. Verger, M. Zink (a cura di), Heinrich Denifle (1844-1905). Un savant dominicain entre Graz, Rome et Paris. Ein dominikanischer Gelehrter zwischen Graz, Rom und Paris, Paris, 2015, pp. 113-117, con saggi di Jacques Verger, Nathalie Gorochov et Thierry Kouamé.
23 Nei confronti di Goldmann Ehrle si dichiara debitore per varie informazioni e suggerimenti. Importante in particolare una notizia, che Goldmann ricava dagli Acta Facultatis theologicae di Vienna, conservati nello stesso manoscritto, sulla base della quale è possibile ipotizzare che l’esemplare degli statuti bolognesi conservato a Vienna fosse quello portatovi dal magister Pietro Rudolfi, di ritorno da un viaggio a Roma nel 1426, o un suo apografo: Statuti, p. ix. Grazie a Goldmann, che era stato corrispondente di Malagola (v. sopra, nota 10 e testo corrispondente), Ehrle poté inoltre conoscere quali fossero i criteri da adottare per l’edizione degli Statuti secondo quello studioso, già morto quando egli si pose all’opera: Statuti, p. v, x.
24 H. Hochenegg, Pogatscher, Heinrich, in Österreichisches Biographisches Lexikon 1815-1950, VIII, Wien-Graz, 1980, p. 151. Pogatscher lavorò come segretario e bibliotecario dell’Istituto Austriaco a Roma dal 1901 al 1915. Cfr. Statuti, p. v.
25 Statuti, p. ccv-ccx, Appendice II (edizione); cfr. p. cxxvii-cxxxiii; a p. cxxxiii-cxxxv, nota 2 Ehrle ripubblica una delle lettere scritte a Bologna dagli ambasciatori per riferire sull’andamento della missione, edita in O. Vancini, Bologna della Chiesa (1360-1376), in Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, Ser. III, 25, 1907, p. 43-108: 77.
26 Per l’edizione v. Statuti, p. ccii-cciv, Appendice I; il commento è alle p. cci-ccii.
27 A tutt’oggi manca del testo un’edizione critica, mentre abbiamo tre distinte edizioni dei tre testimoni noti. Come detto, quella di Ehrle è basata sul Vat. Lat. 783, f. 33v. Il testo offerto dal ms. Dd, 3, f. 195 dell’Archivio generale degli Agostiniani, a lui noto ma non utilizzato, era già allora edito in Analecta Augustiniana, 5, 1913, p. 145-147. Nel 1966 Antonio Sartori ha ritrovato e pubblicato una copia notarile del testo consegnato al vescovo cancelliere dello Studio padovano il 21 febbraio 1385 (Padova, Archivio di Stato, Archivio Notarile, b. 1844), che fornisce tra l’altro indicazioni interessanti circa la tradizione del documento: A. Sartori, Gli studi al Santo di Padova, in Problemi e figure della scuola scotista del Santo, Padova, 1966, p. 161-163; una ed. più recente e migliorata, a cura di Donato Gallo (che ringrazio per i suoi consigli), in A. Poppi, Statuti dell’ “universitas theologorum” dello Studio di Padova (1385-1784), Treviso, 2004 (Contributi alla storia dell’università di Padova, 36), p. 7-11, ove cfr. p. xiii-xv.
28 Per tutta questa parte v. l’introduzione a Statuti, p. vii-x (descrizione del codice viennese), p. xi (descrizione del codice Bolognese); l’edizione degli statuti occupa le p. 1-86, quella delle Matricole degli addottorati e incorporati sino al 1500 le p. 102-129: la lista degli addottorati a Bologna comprende 447 nomi, quella degli addottorati in altra sede e incorporati nel Collegio bolognese ne comprende 50.
29 Cfr. Statuti, p. 66-68 (commento), p. 68-73 (edizione); il testo collazionato da Ehrle è in Denifle, Chatelain, Chartularium… cit., II, p. 610-614 nr. 1147.
30 Statuti, p. xxvi.
31 F. Ehrle, Der Sentenzenkommentar Peters von Candia des Pisaner Papstes Alexanders V., Münster in W., 1925 (Franziskanische Studien, Beiheft 9). Cfr. Statuti, p. 66-67: a titolo di curiosità si può osservare che questo luogo del testo reca traccia della lunghissima gestazione del libro sugli statuti: evidentemente non perfettamente aggiornato al momento della pubblicazione, nel 1932, dà come ancora in corso di elaborazione il volume sul commentario alle Sentenze.
32 G. Coffele, Storia della teologia, in G. Cannobbio, P. Coda (a cura di), La teologia nel XX secolo. Un bilancio, I. Prospettive storiche, Roma 2003, p. 249- 326: 261-262.
33 La Aeterni Patris è del 1879; il commento di Ehrle all’enciclica apparve «a puntate» su Stimmen aus Maria Laach nel 1880, anno in cui il giovane gesuita venne a Roma; di tre anni dopo è lo scritto programmatico sullo studio dei manoscritti, in particolare di Bonaventura: F. Ehrle, Die päpstliche Enzyklika vom 4. August 1879 und die Restauration der christlichen Philosophie, in Stimmen aus Maria Laach, 18, 1880, p. 13-28, 292-317, 388-407, 485-498, rist. in Ehrle, Zur Enzyklika “Aeterni Patris”. Text und Kommentar. Zum 75jährigen Jubiläum der Enzyklika neu herausgegeben von F. Pelzer, Roma, 1954 (Sussidi eruditi, 6), p. 39-116; Id., Das Studium der Handschriften der mittelalterlichen Scholastik, mit besonderer Berücksichtigung der Schule des heiligen Bonaventura, in Zeischrift für katholische Theologie, 7, 1883, p. 1-51, rist. in Ehrle, Zur Enzyklika… cit., p. 117-168. È vero che la dipendenza dalle iniziative pontificie risulta abbastanza sottolineata in scritti più maturi dello stesso Ehrle e più marcatamente in quelli dei suoi interpreti: v. ad es. F. Pelster, Prefazione a F. Ehrle, Die Scholastik und ihre Aufgaben in unserer Zeit. Grundsätzliche Bemerkungen zu ihrer Charakteristik, Freiburg im Breisgau, 19332, trad. it. La scolastica e i suoi compiti odierni, Torino, 1935, p. 11: «Questo scritto […] fu occasionato dai decreti ecclesiastici riguardanti lo studio della Scolastica, specialmente S. Tommaso d’Aquino, dei quali l’autore voleva dare l’intima giustificazione» . Ma è difficile avere la certezza assoluta che questa sottolineatura non sia almeno in qualche misura frutto di una ricostruzione a posteriori.
34 Fra gli scritti programmatici basti citare le Nuove proposte per lo studio dei manoscritti della Scolastica medievale, in Gregorianum, 1, 1920, p. 475-501, rist. in Ehrle, Zur Enziklika… cit., p. 169-190, che ritornano sul lavoro del 1883 a distanza di un quarto di secolo.
35 Statuti, p. xxvi.
36 Statuti, p. 96-97.
37 D. Buzzetti, Linguaggio e ontologia nei commenti di autore bolognese al “De tribus praedicamentis” di William Heytesbury, in D. Buzzetti, M. Ferriani, A. Tabarroni (a cura di), L’insegnamento della logica a Bologna nel XIV secolo, Bologna, 1992 (Studi e memorie per la storia dell’Università di Bologna, N. Ser., 8), p. 579-604: 584-585. La correttezza della datazione alla prima metà del Trecento era stata sostenuta da Ch. Ermatiger, Urbanus Averroista and Some Early Fourteenth Century Philosophers, in Manuscripta, 11, 1967, p. 3-4 nota 3. Avevano invece condiviso lo scetticismo di Ehrle R. Taucci, I maestri della Facoltà teologica di Bologna, in Studi storici sull’Ordine dei Servi di Maria, 1, 1933, p. 24- 42; B. Nardi, Un’importante notizia su scritti di Sigieri a Bologna e a Padova alla fine del secolo XV, in Giornale critico della filosofia italiana, 35, 1956, p. 204-209: 207-208, rist. in Nardi, Saggi sull’aristotelismo padovano dal secolo XIV al XVI, Firenze 1958 (Saggi sulla tradizione aristotelica nel Veneto - Università degli studi di Padova, 1).
38 Statuti, p. 79.
39 Statuti, p. xxii.
40 Si può segnalare come eccezione positiva un lavoro di interesse storico-artistico, le cui autrici, interessate alle illustrazioni del codice (che Ehrle descrive con una certa accuratezza), non si sono evidentemente accontentate dell’edizione. Ne tengono in ogni caso nel debito conto l’introduzione, e fanno dipendere la datazione delle miniature (1439/1440) dalla datazione proposta da Ehrle per la parte più antica del manoscritto. A. Putaturo Murano, A. Perriccioli Saggese (a cura di), La miniatura in Italia. II. Dal tardogotico al manierismo, Città del Vaticano-Napoli, 2009, p. 295.
41 Nell’Archivio dell’Università di Vienna il codice, citato da Ehrle come “codice VII”, porta ora la segnatura THK Th 37. Qualche tempo dopo essere stato utilizzato per la pubblicazione di Ehrle, il codice risulta irreperibile; durante il periodo in cui è stato direttore dell’Archivio Franz Gall (1855-1903) è considerato perduto. Soltanto a partire dal 1983 ritorna alla luce, grazie specialmente all’ostinazione di Paul Uiblein, che per la prima volta poté servirsene direttamente per il suo saggio sull’università di Vienna nel Trecento e nel Quattrocento: P. Uiblein, Die Wiener Universität im 14. und 15. Jh., in Das alte Universitätsviertel in Wien, 1385-1985, Wien, 1985 (Schriftenreihe des Universitätsarchivs, 2). In seguito il codice ha continuato ad essere largamente utilizzato dalla storiografia relativa all’università di Vienna, e quindi per interessi diversi da quelli che avevano giustificato l’attenzione di Ehrle.
42 Devo dire che io stessa, in un articolo sulle edizioni di statuti universitari bolognesi, pur ricordando l’opera di Ehrle, non ho approfondito questi punti: C. Frova, Antiche e moderne edizioni di statuti universitari italiani d’età medievale e moderna, in A. Romano (a cura di), Gli statuti universitari: tradizione dei testi e valenze politiche. Atti del convegno internazionale di studi Messina Milazzo, 13-18 aprile 2004, Bologna, 2007 (CISUI, Studi, 8), p. 145-153.
43 Cfr. sopra, nota 8. Ehrle sviluppa un’erudita discussione per fissare come termini cronologici a monte e a valle rispettivamente il 9 ottobre 1439 e il 1441: Statuti, p. xxvii-xxxi.
44 Lo scriptor quattrocentesco, un abile professionista cui era stato commissionato un prodotto di lusso, lavorò secondo Ehrle su un antigrafo scritto per l’occasione «dal decano o da un’altra persona colta ed autorevole»; questi a sua volta aveva avuto di fronte un testo costituito da due parti: la prima era effettivamente più vicina agli antichi statuti (che Ehrle data al 1364), ma che già (questo è il punto) aveva subito un rimaneggiamento, inglobando revisioni e aggiunte; la seconda parte era costituita da riforme posteriori anche a questa nuova redazione. Statuti, p. xxvii-xxviii.
45 Per il lavoro di Denifle sugli statuti universitari italiani mi permetto di rinviare a C. Frova, Heinrich Denifle et l’histoire des universités italiennes, in Sohn, Verger, Zink (a cura di), Heinrich Denifle… cit., p. 97-109.
46 Ad esempio Antonino Poppi, nella già ricordata edizione (cfr. nota 27) degli statuti dei teologi padovani, non affronta il problema dei loro eventuali rapporti con gli statuti bolognesi, ai quali pure fa riferimento; definendo del resto la prima parte del documento pubblicato da Ehrle come «statuti originari» mi sembra che questo autore non recepisca l’ipotesi su redazioni intermedie perdute: Poppi, Statuti… cit., p. xxiii.
47 Cfr. Statuti, p. xxxii-xxxiii.
48 Vedi in particolare Statuti, p. x.
49 Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, Ser. III, 7, 1889, p. 157.
50 B. Ferrari, La soppressione delle facoltà di teologia nelle università di Stato in Italia, Brescia, 1968; C. Sagliocco, L’abolizione delle Facoltà teologiche nelle Università dello Stato, in A. Ferraresi, E. Signori (a cura di), Le Università e l’Unità d’Italia (1848-1870), Bologna, 2012 (CISUI, Studi, 17), p. 53-63.
51 G. De Luca, Introduzione alla storia della pietà, in Archivio italiano per la storia della pietà, I, Roma, 1951, p. 142. De Luca, è noto, nutriva grande attenzione e rispetto per l’eredità di Ehrle, come mostrò anche con l’impegno che dedicò alla pubblicazione dei suoi scritti: v. in particolare F. card. Ehrle, Gesammelte Aufsätze zur englischen Scholastik, Roma, 1970 (Storia e Letteratura. Raccolta di studi e testi, 50). Il passo che abbiamo citato colpì anche Dionisotti, che lo riprende in un ricordo di De Luca, apprezzandone il valore di richiamo ai debiti che la cultura italiana ha nei confronti di quella europea: C. Dionisotti, Il filosofo e l’erudito, in Italia medievale e umanistica, 4, 1961 (ma 1962), p. 327- 339 (più volte ristampato).
52 Per riferimenti puntuali al lavoro di Ehrle si veda in particolare A. Maierù, Gli atti scolastici nelle università italiane, in L. Gargan, O. Limone, Luoghi e metodi… cit., p. 249-287. Maierù utilizza il lavoro di Ehrle, non solo i testi da lui editi ma anche le sue considerazioni, per correggere errori che rileva nella storiografia e illuminare aspetti che giudica troppo poco chiariti, soprattutto appunto per quanto riguarda lo svolgimento degli «atti scolastici», ma anche aspetti di interesse istituzionale, come lo stato giuridico di maestri e allievi. Il punto principale di dissenso riguarda il concetto di «facoltà»; Maierù (p. 254-255) nota che Ehrle caratterizza correttamente il collegio dei dottori, ma gli rimprovera di identificarlo con la facoltà, termine che nelle università italiane non ha lo stesso significato che in quelle transalpine: prova dell’uso improprio è che, sulla base dell’esistenza dei due collegi dei canonisti e dei civilisti, egli fa dell’unica facultas (nel senso, che è quello italiano, di area disciplinare) due facoltà distinte.
53 Per apprezzare questo aspetto, oltre al lavoro più specifico citato a nota precedente, sarà utile leggere l’intera produzione di Maierù dedicata alla storia dell’università; i lavori principali sono raccolti in A. Maierù, University Training in Medieval Europe, a cura di D. N. Pryds, Leiden-New York, 1994 (Education and Society in the Middle Ages and Renaissance, 3).
Auteur
Professor Dr. Carla Frova, Universität Rom„ La Sapienza“ – Professeur à l’Université de Rome « La Sapienza ».
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Souverain et pontife
Recherches prosopographiques sur la Curie Romaine à l’âge de la Restauration (1814-1846)
Philippe Bountry
2002