Introduzione generale. Una guerra per la libertas?
p. 21-35
Texte intégral
Milan est une ville ronde et sans rivière jetée au milieu d’une plaine parfaitement unie, et que coupent cent ruisseaux d’eau vive. C’est au contraire dans une vallée assez peu large, dessinée par des montagnes pelées, et tout contre la colline qui la borne au midi, qu’on a bâti Florence
Stendhal, Rome, Naples et Florence
1Nel suo diario di viaggio, pubblicato nella prima metà del XIX secolo, Stendhal annotava le proprie impressioni di fronte alla varietà del panorama cittadino italiano, attardandosi spesso in giudizi negativi quando si trattava di descrivere le sue esperienze fiorentine1. Se si pone attenzione alle parole usate dall’autore, l’opposizione tra Firenze e Milano, i «duo Italiae culmina»2, non resta solo sul piano geografico ma arriva a sottintenderne anche uno ideologico: Milano è ronde, ossia senza asperità, aperta, respira, ed è situata in mezzo a una pianura armoniosa nelle sue forme, mentre a Firenze è l’elemento roccioso, duro, a caratterizzare la topografia della città. Milano, quindi, pur priva di un governo napoleonico ormai sconfitto ma che in ogni caso le aveva lasciato la sua eredità, era unita, coesa, prolifica come la propria idrografia, mentre Firenze, stretta in limiti naturali soffocanti, non poteva che apparire frammentata e isolata.
2Nella storia italiana, l’opposizione tra Firenze e Milano andava in realtà ben oltre questi aspetti geografici e affondava le sue radici nel Medioevo, fondandosi soprattutto sulla coppia libertas-tyrannis3. La storiografia dei secoli XIX e XX sfruttò ampiamente questo binomio quando non lo sovra-interpretò, finendo spesso col vedere nel Rinascimento italiano, come fece Hans Baron, un’epoca dominata dalla lotta per la libertà e dall’opposizione alla tirannia4. Effettivamente, pur non negando l’importanza cruciale di Baron nel campo degli studi sul Rinascimento, Brian Maxson et Nicolas Scott Baker hanno chiaramente riconosciuto che una tale visione divideva in maniera strumentale l’Italia del Quattrocento in regimi repubblicani e regimi tirannici5. L’obiettivo esplicito di uno dei lavori di Maxson e Scott Baker fu proprio di proiettarsi «after civic humanism», ossia di rivedere il Bürgerhumanismus de Baron, la cui lettura degli eventi è stata a lungo egemone sugli studi sul Rinascimento italiano.
3L’idea del tiranno che soffoca la libertà non era e non è, infatti, un paradigma accolto unanimemente, essendoci cittadini di regimi repubblicani ritenuti come dei tiranni, e tiranni apprezzati e non giudicati quali nemici della libertas6. Ne deriva una funzionalità del topos tirannico, che appare chiara quando si pensa ad esempio che, mentre per il cancelliere milanese Antonio Loschi le comunità soggette a Firenze erano «sub acerbissima tyrannide suffocatis»7, la Signoria rassicurava quelle stesse comunità ricordando loro che
noi non solamente per lo proprio stato, ma etiamdio per quello degli altri comuni di Toschana, i quali si regghono in libertà e stato popolare e guelfo, continuamente veghiamo sopra i rimedii utili et expedienti a preservare la nostra libertà e de’ predicti altri comuni8.
4Orgogliosi o dormitores, chi più dei Visconti poteva, tra XIV e XV secolo, dirsi tiranno e ne aveva ricevuto l’appellativo9 ? In una riunione del 3 agosto 1424, dopo la cocente sconfitta fiorentina presso Zagonara10, Rinaldo Gianfigliazzi prese la parola per incoraggiare i suoi concittadini alla lotta contro il duca di Milano, e incitarli a battersi contro una famiglia che aveva mostrato da sempre una volontà di predominio su Firenze e una congenita tendenza allo stroncamento della libertas. «Vicecomites nobis semper inimici fuerunt, et nos subicere quesiverunt. Terreri non debemus per infeliciter gesta, sed vitam exponere pro nostra salute!», esclamò11. Effettivamente, al momento dello scoppio delle ostilità, nel 1423, Firenze aveva già lungamente affrontato i Visconti di Milano. Queste guerre avevano segnato la repubblica e spinto a riedere la propria configurazione non solo dal punto di vista politco-territoriale ma anche rispetto alla costruzione di una identità civica12. Notevoli studi di storia politica e culturale sull’Italia del XIV e del XV secolo ci permettono però di apprezzare la distanza tra la situazione trecentesca e quella successiva13. Due elementi mostrano qui la loro pregnanza: lo slittamento dell’attributo di tiranno dal piano giuridico a quello morale, che svilisce la questione – come vedremo proprio per Filippo Maria – e sposta l’ago della bilancia ex parte esercitii14; la proiezione territoriale in direzione statale (relativamente alla struttura e alle risorse, naturalmente, non in senso istituzionale) di molte delle città italiane15.
5 Firenze era ormai in una fase di consolidamento territoriale e di riorganizzazione socio-politica, in piena costruzione dello stato regionale (o territoriale)16, ma il caso fiorentino non era certo isolato. Consapevolmente o meno, Venezia aveva rielaborato parte della propria configurazione costituzionale passando da commune a dominium, e anche per quanto riguarda le altre potenze è rilevabile un’evoluzione simile, se non altro negli intenti17. Ne conseguiva, ad esempio, che le alleanze strette contro l’avanzata viscontea non si presentarono più sotto la forma di coalizioni tra città (come fu il caso della lega di Bologna del 1392, fondamentale contro Gian Galeazzo18) ma di leghe tra agglomerati politico-territoriali forniti ormai di stimoli e risorse per condurre un’attività diplomatica più articolata e strutturata.
6Nel caso della nostra analisi, l’impulso venne dalla liga, unio et confoederatio stretta nel dicembre 1425 tra le repubbliche di Firenze e di Venezia, dopo i numerosi tentativi fiorentini di far cadere le reticenze veneziane. Anche al tempo delle guerre contro Gian Galeazzo Venezia si era mantenuta neutrale, ma in quel frangente le conquiste peninsulari della Serenissima erano ancora effimere e non si volevano rischiare possibili rappresaglie viscontee19. Negli anni Venti del Quattrocento, invece, lo Stato da Terra era una realtà territoriale concreta e in espansione20. La costruzione di questo spazio politico-territoriale rispondeva, nell’interpretazione data da Angelo Ventura, a un’esigenza non dissimile da quella che aveva motivato la creazione dello Stato da Mar, e cioè ancorare la potenza della città a un vasto dominio territoriale che ne assicuri le sorti21. In un momento in cui le vittorie ottomane facevano vacillare le postazioni veneziane in Oriente, le istituzioni in laguna si resero conto che la minaccia viscontea portata contro Firenze non avrebbe spinto al trasferimento di aziende e mercanti fiorentini in terra veneta – come invece credeva il doge Mocenigo in punto di morte22 –, ma avrebbe limitato ogni possibilità di espansione territoriale della repubblica di San Marco23. L’impegno preso in Terraferma, decisivo per stabilizzare fin dalla fine degli anni Venti del XV secolo un sistema di Stati, divenne dunque il solo mezzo per resistere ed esistere sulla carta geopolitica italiana. Si trattava solo di capire se la nuova dimensione territoriale di Venezia dovesse passare o meno per la difesa della nuova libertas fiorentina24.
7Come ho potuto dimostrare in altra sede25, il neoguelfismo fiorentino non aveva quasi più nulla della tendenza filopontificale medievale: la nuova fede guelfa della repubblica era ormai dipendente dalla florentina libertas, e quindi da un processo di legittimazione tutto interno alla macchina repubblicana, cioè al reggimento26. Si vede chiaramente, quindi, che la florentina libertas evolve (meglio: è obbligata a evolvere) con l’evoluzione politico-territoriale di Firenze: da un lato, questa libertas giustificava l’estensione del potere fiorentino rispetto all’Impero e alle città conquistate, marcando la direzione ormai autonoma e statale della repubblica27; dall’altro, essa restava il perno delle rivendicazioni nel quadro delle guerre contro Milano, nelle quali lotta politica e affermazione ideologica andavano di pari passo28.
8L’apporto umanistico letterario e retorico alla questione è infatti tutt’altro che insignificante. Se con Salutati la florentina libertas si iscriveva ancora in un legame di dipendenza con Roma e indicava il punto di arrivo del fenomeno politico fiorentino, con Bruni essa rappresentava il punto di partenza dei progetti politico-territoriali di Firenze, e diventava una qualità intrinseca e innata della repubblica29. In tal modo, i limiti di estensione di quella florentina libertas andavano a coincidere con l’estensione geografica e giurisdizionale della repubblica. A Firenze, questo passaggio della libertas da armatura ad arma si rivelò cruciale poiché permise alla repubblica di fare il suo ingresso nell’arena politica quattrocentesca senza le difficoltà argomentative della lotta trecentesca30. Inoltre, ciò fornì all’oligarchia fiorentina una base solida per le decisioni da prendere in materia di politica estera, come fu per la guerra, lunga e dispendiosa, contro Filippo Maria Visconti.
9Sono quindi le dinamiche e le modalità di questa «lunga et grande guerra d’Italia» che abbiamo voluto indagare con la nostra ricerca31, calando l’analisi nel contesto politico-diplomatico degli anni Venti del Quattrocento (pur senza dimenticare mai quanto seguì), un momento particolarmente delicato per gli equilibri politico-territoriali della penisola intera, durante il quale la configurazione geo-politica (e per certi versi anche geopolitica) delle Italiae potentiae era in una inconsapevole – ma, a posteriori, piena – fase di elaborazione. Finora l’attenzione degli specialisti si è solitamente concentrata sul secondo Quattrocento, soprattutto su una geopolitica d’età sforzesca, arrivando in molti casi a individuare alla base delle novità diplomatiche di metà secolo un problema di legittimità nell’esercizio del potere32. Tale attenzione ha di conseguenza determinato una sorta di limbo storiografico per anni invece focali per le sorti dell’Italia: il turn-over Albizzi-Medici a Firenze, la successione sforzesca alla guida del ducato milanese, la fine della dominazione angioina su Napoli, persino l’ascesa al soglio petrino di Eugenio IV (con la conseguente sconfitta del conciliarismo33 e il magnetismo tra la Curia e Firenze34) avrebbero infatti modificato in più punti la planimetria diplomatica italiana precedente.
10La nostra analisi origina dunque dalla costatazione che le coalizioni avviate dai potentati italiani in funzione antiviscontea furono foriere di ampie ricadute sulle decisioni politiche del periodo immediatamente successivo, quando un ridisegno dello schema di alleanze condusse i governi coinvolti prima alla pace di Lodi, e poi alla stipula della Lega Italica, entrambe necessarie per consolidare e ufficializzare il mutuo riconoscimento tra i diversi regimi vigenti35. Gli accordi del 1454 e del 1455, pertanto, appaiono come l’esito di una somma di debolezze interne ai vari stati, più che una dimostrazione delle loro capacità politiche e militari36, e la radice della conflittualità permanente che caratterizzò il XV secolo sta nella densità politica dello spazio italiano37, in cui posizioni e alleanze mutavano in modo rapido e imprevedibile. Senza contare le ricadute cinquecentesche che alcuni fenomeni politico-territoriali, sorti proprio con questa prima guerra antiviscontea, ebbero sugli assetti del primo XVI secolo. In tale ottica, il primo grande scontro quattrocentesco fra Firenze e Milano appare un momento capitale per la definizione degli assetti peninsulari del pieno Quattrocento, e rientrano pertanto tra quegli scontri tardomedievali che, secondo John Watts, diedero un contributo decisivo agli assetti politici e governativi di quel periodo. Quel conflitto costituì infatti l’avvio e lo sfondo per una serie di guerre che sono interpretabili molto plausibilmente come l’ultimo scontro italiano caratterizzato da interazioni politico-territoriali ancora suscettibili di rimodulazioni e capovolgimenti rilevanti38. Il dominio di Gian Galeazzo Visconti, eretto sulle più solide basi delle sue conquiste territoriali ma anche su quelle, meno possenti, delle usurpazioni e degli esborsi di denaro, aveva palesato la sua fragilità nel momento della morte del suo creatore, sopraggiunta inaspettatamente nel 1402. La ricostruzione parziale e talora mutila ad opera di Filippo Maria, unita all’accrescimento dello Stato da Terra dei Veneziani e alla ricollocazione del pontefice all’interno delle politiche del Patrimonium sono tra gli avvenimenti essenziali di un ciclo politico che avrebbe portato ad esaurimento le spinte espansionistiche nella penisola, rendendo in tal modo quella densità politica solo limitatamente riconfigurabile39. Se, infatti, come faceva spiegare il Guicciardini da Piero Capponi ai suoi compagni,
a tempo di Maso degli Albizzi, [i Fiorentini] acquistorono Pisa e molti altri luoghi e augumentorono assai il domino della città […], vedete che dal ‘34 in qua si può dire che non abbiàno augumentato niente del nostro dominio40.
11In effetti, dalla metà del Quattrocento, la maggior parte dei governi sperimentò processi e dinamiche di consolidamento meno convulsi41; e pur considerando, dal punto di vista milanese, le sorti altalenanti della repubblica di Genova42, davvero minore fu l’allargamento dei confini dei potentati italiani, ormai inseriti in quel «sottosistema conflittuale entro il più ampio sistema dei poteri europei», così efficacemente riassunto da Riccardo Fubini43.
12Se è vero che la pace di Cavriana (1441) può essere per certi versi vista come una anticipazione dei risultati diplomatici che caratterizzarono le vicende di metà secolo (ossia gli accordi degli anni 1454-1455)44, è allora il caso di portare all’attenzione che certe soluzioni, soprattutto a Firenze, furono raggiunte proprio come reazione ai deludenti assetti creatisi negli anni Venti del secolo45. Pur appoggiando l’ascesa albizzesca46, che si inseriva pienamente nell’evoluzione politico-territoriale della repubblica47, i Fiorentini si erano mostrati indissolubilmente legati alla tradizione comunale: la proposta statutaria del 1409 era sembrata infatti troppo dirompente48, al punto che i nuovi statuti, approvati nel 1415, furono parzialmente cassati appena due anni dopo49. Già verso il 1424, poi, i segni di dissenso non mancavano, e la Signoria si mostrava titubante di fronte alle scelte militari dei Dieci, espressione inequivocabile del reggimento albizzesco:
però ch’io sono arrivato in uno governo tanto squadernato, che mai ne vidi niuno più: e tra che messer Palla non c’è, e messer Matteo è di sopra occupato, e Banco nella cittadella d’Arezo, Forese nella vinaccia, messer Rinaldo vecchissimo, e tutto il popolo grida che noi siamo quelli che vogliono che governiamo, avegna che lo facciamo malvolentieri per l’onor di chi siede50.
13Ed effettivamente, fin dalla stipula della lega con Venezia (4 dicembre 1425), il malcontento iniziò a serpeggiare in città51, e non più soltanto tra gli strati meno a contatto con la gestione politica (ancora una volta, è a Giovanni Cavalcanti che possiamo rivolgerci per avere vivide descrizioni), ma anche tra esponenti dei più principali. Fu proprio a causa di tale dilagante malcontento che a uno dei più saldi esponenti filoalbizzeschi della classe dirigente, Niccolò da Uzzano, la mutazione dello stato sembrò, nel 1426, un pericolo concreto52. Non è certo un caso, ad esempio, se Dale Kent, nell’intento di individuare il momento dell’ascesa politica medicea, arrivi a situare l’origine dell’opposizione con il gruppo Albizzi – Uzzano proprio al 142653. Parimenti, non ci sembra casuale il fatto che Nicolai Rubinstein parli per Rinaldo degli Albizzi di una preminenza che si restaurò saldamente solo in seguito all’esilio cosimiano54, segno che gli anni dal 1429 (almeno, e cioè con la fallimentare campagna contro Lucca) al 1433 erano stati segnati da una crescente opposizione alla politica albizzesca. È in questo momento che la linea politica medicea, conscia di dover operare – come fecero Maso e i suoi compagni – sul consensus, riuscì a determinare le nefaste sorti della fazione albizzesca55, lavorando sul piano diplomatico in maniera carsica e stingendo fondamentali legami sia col futuro duca di Milano sia col futuro pontefice56. L’analisi e le riflessioni presentate in questo lavoro si posizionano dunque su due scale differenti, seppure interagenti: l’indagine si è concentrata sulla fase incipiente di un contrasto cittadino, tutto interno a Firenze, ma in un momento in cui la qualità e la quantità delle relazioni interstatali influivano in maniera sempre più decisiva sui processi di formazione e consolidamento degli stati stessi, sia dal punto di vista territoriale e giurisdizionale, sia da quello economico-fiscale57.
14Per Elio Conti, infatti, quello delle guerre contro Filippo Maria Visconti fu il periodo in cui la pressione fiscale raggiunse il suo massimo storico58, ed è innegabile che la serie di contrasti col il duca di Milano ebbe un’influenza devastante sulle casse della repubblica. Fu però soprattutto il conflitto che qui studiamo a rivelarsi determinante. Fin da subito, infatti, a Firenze si sentì il bisogno di frenare l’emorragia finanziaria. La prima guerra antiviscontea obbligò pertanto a non evitare più le proposte di ridefinizione del sistema fiscale che alcune frange della classe dirigente già da qualche anno proponevano, concretizzando un passaggio dal sistema dell’estimo al catasto59. Su tale nesso causale, i giudizi dei contemporanei non lasciano spazio a fraintendimenti: Gregorio (Goro) Dati, che pure aveva vissuto il precedente conflitto antivisconteo e ne lasciò testimonianza60, subì sostanziose perdite finanziarie a causa della lotta tra la repubblica fiorentina e Filippo Maria, al punto che la sua portata catastale sottolinea la presenza di debiti e difficoltà finanziarie per quello che era stato, per lo passato, un ricco mercante61; e Niccolò Machiavelli, nel Proemio delle sue Istorie, ricorda come «di poi, nella guerra che si fece contro a Filippo Visconti, duca di Milano, si vidde come in cinque anni che durò quella guerra <scil. dal 1422 al 1427>, spesono i Fiorentini tre milioni e cinquecento mila fiorini »62.
15L’eccessiva pressione fiscale dovuta alle guerre antiviscontee risulta inoltre essere il motivo ispiratore, la cagione delle Istorie di Giovanni Cavalcanti, che mal sopportava le conseguenze delle forti esazioni tributarie (a causa delle quali era stato messo in prigione), che colpivano non soltanto lui ma anche altri esponenti di famiglie antiche:
La perversa condizione, la insaziabile avarizia, e la fastidiosa audacia de’ malvagi cittadini, i quali erano eletti dalla fiorentina moltitudine a compartire le gravezze m’avevano si ingiustamente prestanziato con gli altri miei simili, che, con assai antichi cittadini, eravamo fatti nuovi bifolchi, e la città abitare non potevamo63.
16Pertanto, sebbene la disponibilità di fonti di natura finanziaria si manifesti in maniera più congrua e dettagliata per gli anni a partire dal 142764, la storiografia sull’economia fiorentina è sempre stata piuttosto lucida su questo punto. Il già citato lavoro di Elio Conti sull’imposta diretta, il prezioso studio (seppur a volte rivisto, per quanto riguarda i dati numerici) di Anthony Molho sulle vicende finanziarie nel primo trentennio del Quattrocento65, i contributi a largo raggio di Giovanni Ciappelli66, o ancora la recente summa di Richard Goldthwaite67 evidenziano infatti come i periodi in cui la pressione fiscale raggiunse i suoi picchi più elevati coincisero proprio con le guerre antiviscontee. Novine, prestanzoni e prelievi vari furono effettuati tra 1423 e 1428, e dal 1424 al 1432 le gravezze pagate superavano molto spesso le rendite68; invece, «valse il Monte, dal ’18 al ’23, fiorini 61 per ciento, che prociedeva dalla abbondanza di danari»69, il che voleva dire che gli investimenti dei Fiorentini erano in quegli anni redditizi70. Tra 1424 e 1427 i costi militari della repubblica si aggiravano attorno ai 470.000 fiorini annui, una somma che di certo non diminuì fino al 143271; in generale, tra la sua ufficiale entrata in guerra (1424) e la seconda pace di Ferrara (1433), la repubblica impose prestanze per circa 4.335.000 fiorini, una riscossione tributaria che per di più gravava sulle spalle di una popolazione decimata dall’epidemia. Se si considera che nemmeno durante l’intenso conflitto contro Gian Galeazzo i costi della guerra erano stati così alti (in quell’occasione, le spese oscillarono tra i 100.000 e i 300.000 fiorini l’anno)72, possiamo notare come le spese per le operazioni belliche contro Filippo Maria Visconti avessero portato le uscite fiorentine a un livello mai toccato prima, con la conseguente attività fiscale che tale innalzamento generò; la repubblica trovò allora nel Monte delle Doti (1425) e nel Catasto (1427) due brillanti espedienti fiscali per far fronte alle necessità finanziarie73. Appare insomma chiaro come l’adozione di un nuovo sistema di ridistribuzione della ricchezza fosse la conseguenza dell’impegno fiorentino profuso in una guerra che vedeva la repubblica toscana affrontare il nemico milanese.
17Dalla costatazione della rilevanza di questa prima guerra contro Filippo Maria Visconti, che innescò meccanismi e cambiamenti su piani plurimi (politico, territoriale, economico, sociale) e su cronologie che in molti casi si dilatano fino al XVI secolo, nasce quindi l’interrogativo che ha sollecitato la nostra riflessione, e che riproponiamo qui in chiusura: quali furono le ragioni, le caratteristiche e le conseguenze dello sforzo diplomatico fiorentino contro l’ennesima minaccia viscontea? In che modo l’intera penisola fu coinvolta in quegli avvenimenti bellici? E come fare oggi una storia della diplomazia che si liberi di un ancor presente sguardo censore per rispondere alle sollecitazioni di una New Diplomatic History, e mostrare dunque la fertilità epistemologica di certi metodi e percorsi di ricerca in ambito storico? La nostra ricerca ruota attorno a tali domande, alle quali abbiamo provato a rispondere mettendo a disposizione del lettore tanto la letteratura storica disponibile quanto la folta documentazione inedita raccolta non solo in ambiente toscano ma anche in diversi archivi italiani. È vero, infatti, che gli eventi di cui trattiamo originarono da uno scontro – ideologico e militare – tra Firenze e Milano, ma la storia fiorentina non è solamente una storia di Firenze, “massimamente perché dalle azioni degli altri popoli e principi italiani nascono il più delle volte le guerre nelle quali i Fiorentini sono di intromettersi necessitati”74. Il rapporto tra vicende politiche e uso della diplomazia è infatti intensamente giocato su di un piano osmotico, fatto di continui rimandi e nessi causali tra gestioni e geografie differenti. Per tali ragioni, ci siamo interrogati sulle cause e sulle pratiche attraverso cui si strutturò la reazione alla nuova avanzata viscontea privilegiando, certo, i percorsi e le pratiche diplomatiche della repubblica gigliata, senza però dimenticare l’orizzonte più vasto, relativo a tutti i protagonisti del conflitto75.
18 Il lavoro è stato suddiviso in tre sezioni, interconnesse e fisiologicamente complementari tra loro: a una prima fase di ricognizione, riconoscimento e analisi del materiale utilizzato, fa seguito uno sguardo analitico al focolaio generato dall’insofferenza di Filippo Maria Visconti verso le restrizioni territoriali, e alle prime reazioni (fiorentine, sabaude, bolognesi, veneziane, papali); queste dinamiche determinarono la formazione di un blocco antivisconteo, da cui scaturirono soprattutto due leghe dirette contro l’azione ducale, che spingeranno verso una risoluzione del conflitto, nel dicembre 1426. In ognuna di queste sezioni l’apparato di note gioca un ruolo importante: aprendo la disciplina a prospettive epistemologiche nuove, vogliamo mostrare come e con quali esiti diversi strumenti e apporti teorici solitamente ritenuti esterni alla storia politica possano intervenire nello studio delle relazioni diplomatiche. Se il risultato più vistoso è dunque la ricostruzione e l’analisi dei percorsi diplomatici intrapresi da Firenze e da altre potenze italiane durante la prima guerra antiviscontea, nondimeno l’intento generale è di mostrare il carattere spiccatamente interdisciplinare del nostro studio, fornendo dunque un cospicuo numero di esempi, approfondimenti e punti di riferimento (molto spesso inevitabili) che, a lettura ultimata, consentono di tenere insieme le fila di dibattiti molteplici.
19Nella Parte I l’esposizione dei materiali e del metodo utilizzato si accompagna a un mélange di analisi storiografica e interpretazione delle fonti: per contestualizzare tanto storicamente quanto storiograficamente il tema della nostra ricerca, presentiamo un duplice status quaestionis (uno relativo alla diplomazia italiana nel XV secolo, l’altro alla prima guerra antiviscontea), per chiudere con una analisi delle premesse che condussero Firenze a iniziative diplomatiche e militari contro il duca milanese. Si opera in tal modo un graduale passaggio verso le Parti II e III, nelle quali l’esposizione si apre in maniera pressoché assoluta alla dimensione politico-diplomatica, attraverso lo scioglimento di nuclei tematici più ampi.
20La prima sezione vuole quindi condurre il lettore alle fondamenta del nostro lavoro, illustrando tipologia e caratteristiche delle fonti utilizzate. I documenti d’archivio sono stati analizzati attraverso un procedimento ibrido, che coniuga il metodo storico con alcuni approcci finora riservati agli studi letterari e filosofici, con l’intento di mostrare non solamente le caratteristiche materiali e i contenuti della documentazione, ma anche le relazioni di quello che abbiamo definito sistema testuale transitivo, e che trovava piena realizzazione nel mundo di carta ben messo in luce da Francesco Senatore.
21Nella Parte II inizia il lavoro di ricomposizione e interpretazione dei materiali raccolti relativamente alla prima guerra antiviscontea, ponendo attenzione ai protagonisti della scena diplomatica76. Ciò che viene messo in luce sono i percorsi intrapresi da Firenze, costantemente alla ricerca di una soluzione che permettesse di chiudere lo scontro senza sfociare in una vera e propria guerra, cercando di coinvolgere a tale scopo soggetti politici molteplici e diversi (i legati di Bologna, i signori romagnoli, l’imperatore, il papa, Venezia o, ancora, il duca sabaudo).
22Tutti questi percorsi diplomatici si rivelarono però fallimentari; in che modo, allora, le parti in campo giunsero a siglare, a fine 1426, quello che sappiamo essere un trattato di pace? È l’interrogativo cui proviamo a dare risposta nella Parte III, che cerca di tenere insieme le fila delle dinamiche che investirono la penisola tra 1425 e 1426 ponendo l’attenzione sui retroscena, e porta a compimento questa prima guerra del lungo conflitto contra et adversus dominum ducem Mediolani.
Notes de bas de page
1 «Afin que l’Italie offrît tous les contrastes, le ciel a voulu qu’elle eût un pays absolument sans passions: c’est Florence» (passioni che, invece, rinviene in Bologna). Stendhal 1919, p. 120.
2 Coluccio Salutati, Epistolario, vol. 3, VIII/20, p. 337.
3 Quaglioni 1983, p. 9; Vasoli 1989; Baron 1953.
4 Baron 1955, p. XXVI; Baron 1928; Baron 1968. Sulla storiografia precedente, rimandiamo almeno a Schiera 1996; Cattaneo 1858; Artifoni 1990; Vallerani 1997; La civiltà comunale 2008; Balestracci 2015; Galasso 2017, p. 89-122, 139-146.
5 Najemy 1992, p. 348 ( «what Burckhardt was to nineteenth-century Renaissance historiography, Baron is to its twentieth-century counterpart»); Garin 1971; Rubinstein 1968; Baggioni 2009; Maxson – Scott Baker 2015, p. 17; Margolis 2015.
6 Nota è l’avversione di Giovanni Cavalcanti per Cosimo de’ Medici, per cui cfr. Giovanni Cavalcanti, Istorie, I, p. 30. Lo stesso sentimento antimediceo del Cavalcanti espresse Alamanno Rinuccini, durante la guerra dei Pazzi, nel suo celebre dialogo sulla libertà, dove l’autore affermava che i Pazzi «sibi patriaeque ablatam libertatem restituerunt» (Alamanno Rinuccini, Dialogus, p. 273). A Milano, ovviamente, i Visconti erano i depositari della libertas, al punto che, rivendicando la superiorità dell’ordinamento principesco su quello repubblicano, Umberto Decembrio aveva dedicato a Filippo Maria la prima traduzione del Πολιτεία (De Republica) di Platone, e Andrea Biglia, nella sua orazione per la morte di Gian Galeazzo, indentificava la salvezza della libertas Italiae con la funzione e la missione stessa dell’esistenza dei Visconti. Simonetta 2004, p. 45; Romano 1915; Vasoli 1989; Zaccaria 1975. Sull’immagine di un Gian Galeazzo veicolo di pace e tranquillità, cfr. Antonio Loschi, Invectiva in Florentinos; Bueno de Mesquita 1941, p. 301.
7 Antonio Loschi, Invectiva in Florentinos cit., p. 126. Sulle scelte lessicali nelle invettive umaniste, Rizzi 2016, che parla di una cultura della diffamazione.
8 ASFi, SM, 49, c. 64v. Su questo legame tra libertas e guelfismo, cfr. Witt 1969, p. 134-145; Ferente 2007.
9 Il riferimento è ovviamente a Gamberini 2016a.
10 Filippo Rinuccini, Ricordi, p. LX: «e fu grandissima rotta, e gran pericolo dello stato nostro» . Su questa sconfitta di Zagonara, si veda Mascanzoni 2004, p. 595-649.
11 Commissioni cit., p. 145.
12 Al punto che Diego Quaglioni ha parlato, per questo periodo, della costruzione di un programma antivisconteo da parte fiorentina. Quaglioni 1989, p. 18. Cfr. anche Tanzini 2008.
13 Si vedano ad es. Origini dello Stato 1994; The Italian Renaissance State 2012; Watts 2009; Lazzarini 2003; A Companion to late medieval and early modern Milan 2015; A Companion to Venetian history 2014. Bisognerà tenere conto anche delle riflessioni contenute in Fubini 1994c; Lo stato territoriale fiorentino 2002; Poteri signorili e feudali 2003; Venice reconsidered 2000; Boschetto 2012; A Companion to the Great Western Schism 2009.
14 Cfr. Capitolo 5. Lo dimostra anche il fatto che a metà secolo i tentativi veneziani di screditare Francesco Sforza in quanto tiranno ex defectu tituli non sortirono alcun effetto. Quaghebeur 2019, p. 377. Senza dilungarci in riferimenti bibliografici, si rimanda almeno a D’Addio 1987; Turchetti 2001; Quaglioni 2014; Cappelli 2016.
15 Watts 2009 riconosce infatti nell’evoluzione politico-territoriale in direzione statale il centro dell’esperienza costituzionale e istituzionale dell’Europa tra Tre e Cinquecento. Interessante, per geografia e proposte, è Kradin 2009.
16 Chittolini 2010a; Lo Stato territoriale fiorentino 2002. Per Firenze, si vedano Cohn 1999; Molho 1968. Sull’uso di “stato regionale” e “stato territoriale” come sinonimi, rimandiamo a Fasano Guarini 1996, p. 147-148.
17 Fabbri 1992; Lazzarini 2003; Fasano Guarini 1978.
18 Bueno de Mesquita 1941, ch. VIII, XI; Tamba 2004, p. 33; Barlucchi 2008, p. 138.
19 Cessi 1914. L’adesione a una lega si realizzò nel marzo 1398 (I libri commemoriali, III, p. 251-252), e anche in quel caso, come fu poi nel 1425, Venezia si riservò la possibilità di giungere autonomamente a un accordo col duca di Milano. Una pace decennale fu infine siglata l’11 maggio successivo. Ivi, p. 256-257.
20 Knapton 2012, p. 133-134; Mallett 1973, p. 122-125, 139-140.
21 Ventura sottolinea anche la l’espansione in Terraferma non costituì un’alternativa alla tradizionale vocazione marittima e commerciale veneziana. Ventura 1979, p. 170.
22 Baron 1952, p. 332.
23 Labalme 1969, p. 112; Piffanelli 2019c.
24 Baron 1955, p. 391-392, cit. in Ventura 1979, p. 170.
25 Piffanelli 2018a. Punto di riferimento importante resta Rubinstein 1986.
26 ASFi, Consulte e Pratiche, 45, c. 78 (18 gennaio 1423), dove si legge che i nuovi ufficiali da eleggere dovevano essere guelfi e fedeli al regime. Della stessa politica accentratrice dipese la nuova formula onomastica elaborata dai Priori: a partire dal 1458, cambiando da Priores Artium a Priores libertatis, la magistratura non incarnò più la tradizione artigiana sulla quale il comune si era costruito, ma si fece portaparola della libertas. Fubini 1987, p. 181.
27 Viti 1992, p. 31-47.
28 Queste rivendicazioni, come del resto le guerre antiviscontee in generale, produssero uno sforzo ideologico enorme, che poté essere utilizzato anche in seguito, da Cosimo de’ Medici (già Kent 1978 aveva riconosciuto l’apporto del conflitto con Milano nel consolidamento del potere mediceo). Sorprende pertanto non trovarne traccia in Field 2017.
29 Coluccio Salutati, Contra maledicum, p. 171: «Quid enim est Florentinum esse nisi tam natura quam lege civem esse Romanum et per consequens liberum et non servum? Proprium enim est Romane nationis et sanguinis divinitatis munus quod libertas dicitur et adeo proprium quod qui desierit esse liber nec Romanus civis nec etiam Florentinus rationabiliter dici possit»; Leonardo Bruni, Laudatio cit., p. 15: «Quamobrem ad vos quoque, viri Florentini, dominium orbis terrarum iure quodam hereditario ceu paternarum rerum possessio pertinet» . Che anche su altre questioni (letterarie e filosofiche) le posizioni dei due «cancellieri-umanisti», maestro e discepolo, non necessariamente convergessero era stato messo in luce da Riccardo Fubini in Fubini 2001a, p. 85 e sgg.
30 Fubini 2003d, p. 3.
31 Le parole sono di Goro Dati, che decise di raccontare questo conflitto armato, ossia «la storia della lunga et grande guerra d’Italia, che fu a questi nostri dì tra il Tiranno di Lombardia, Duca di Milano, et il magnifico Comune di Firenze». Goro Dati, Istoria, p. 1-2.
32 Fubini 1994c, cap. III, VII, VIII (ma già Mattingly 1955, p. 94 e sgg).
33 Certo, le istanze conciliariste non si sarebbero estinte che a metà secolo, con l’elezione di Niccolò V Parentucelli e la formale rinuncia dell’ultimo antipapa, Felice V (ossia il duca Amedeo VIII); tuttavia, fu con papa Condulmer che il pontefice, approfittando anche della debolezza dell’imperatore d’Oriente, riprese a reclamare il proprio ruolo di supremazia all’interno della Chiesa, convocando un concilio – che egli si premurò di definire sempre come ecumenico e universale – in opposizione a quello basilese (che l’aveva destituito). Watts 2009, p. 291-301 (soprattutto p. 297 e sgg), che sottolinea come, con le vicende di Eugenio IV, si era ormai a un punto in cui «the Pope had emerged as the only plausible leader of the universal Catholic Church» (p. 300). Il testo della bolla Laetentur coeli, che contiene le espressioni del pontefice in merito al concilio da lui convocato, è in Enchiridion symbolorum 1854, p. 578-581. Si veda inoltre Decaluwe 2009 e, più in generale, Fois 1976.
34 Gill 1959; Boschetto 2012.
35 Si veda ad es. Somaini 2012, p. 89-97. Occorre però fare attenzione: come ha abilmente dimostrato Riccardo Fubini, infatti, i due momenti non sono uniti l’uno all’altro da un legame di filiazione, e la Lega italica non è semplicemente uno sviluppo della pacificazione lodigiana. Fubini 1994c, p. 186 e sgg.
36 Stumpo 1986, p. 37.
37 Frigo 1996, p. 119.
38 Cfr ad es. Watts 2009, p. 287, 420; Chittolini 2010a, p. 14. E in effetti le declarationes colligatorum riportate nei trattati della pace di Lodi e della Lega italica mostrano chiaramente come le signorie locali – e, in certi casi, anche alcuni «piccoli stati» – fossero fagocitate all’interno delle «potenze grosse» . Somaini 2012, p. 97-105. Siamo insomma di fronte a quelle che per Riccardo Fubini erano le vere novità sulla scena politica italiana: le Italiae potentiae. Fubini 2003b, p. 91.
39 Si veda ad es. Lazzarini 2003.
40 Francesco Guicciardini, Dialogo, p. 319-320, 389.
41 Si veda Watts 2009, p. 332-335, 381-419 per una analisi delle political cultures del periodo e degli sviluppi nell’arte di governo.
42 Per una visione d’insieme, Heers 1961; Shaw 2012. Più nel dettaglio, si vedano Musso 1993; Musso 1998; Musso 2001; Savy 2016.
43 Fubini 1994c, p. 26. Si veda anche Watts 2009, p. 332-335, 381-419 per una analisi delle political cultures del periodo e degli sviluppi nell’arte di governo (cit. a p. 352). Per le parole del Capponi, cfr. Francesco Guicciardini, Dialogo, p. 389.
44 Griffiths 1999, p. 125-132.
45 Pensiamo soprattutto all’asse Medici-Sforza (Ilardi 1989) e all’inglobamento di Venezia (Fubini 1994c, p. 192 e sgg) e Napoli (Bentley 1995) in una rete diplomatica a maglie meno larghe, che mise da parte la tendenza alla formazione di leghe particolari favorendo una più larga alleanza tra tutte le potenze italiane. Si vedano almeno Soranzo 1924; Ilardi 1969b (p. 143 per la cit. di chiusura); Nebbia 1939; Cessi 1943.
46 Si veda ad es. Najemy 1982, p. 297.
47 «E che questo sia il vero [e cioè che i governi che non riescono a rispondere alle esigenze dei cittadini sono destinati a fallire] si può conoscere per li stati che ha avuti quella città dal 1393 in qua. E cominciandosi dalla riforma fatta in detto tempo da messer Maso degli Albizzi, si vedrà come allora le volleno dar forma di repubblica, governata da ottimati». Niccolò Machiavelli, Discursus Florentinarum rerum, p. 207.
48 Lorenzo Tanzini parla chiaramente di un allontanamento dalla tradizione statutaria trecentesca, mostrando inoltre che la commissione che aveva lavorato alla redazione del testo degli Statuta era fortemente politicizzata, formata da dieci Fiorentini non giuristi. Si veda Tanzini 2002, p. 1, 10.
49 Si vedano Tanzini 2004; Fubini 1990a, p. 56. Le CP rivelano che tra 1416 e 1417 ci furono divergenze in seno alla classe dirigente, poiché molti criticavano il sistema elettorale e il mancato reclutamento di uomini validi tra gli ufficiali della repubblica. Il dato sarebbe forse da mettere in relazione col fatto che gli Statuti del 1415, come ha dimostrato Fubini, vennero poi cassati nel 1417 proprio per la sezione rigardante gli uffici, segno che il malcontento sui metodi di distribuzione degli incarichi. Lantschner 2015, p. 148; Fubini 1987, p. 162; Fubini 1996a, p. 148-149.
50 Commissioni, II, p. 256, Vieri Guadagni a Rinaldo degli Albizzi, 21 ottobre 1424. Il Guadagni segnala dunque al suo amico la situazione di una Firenze piuttosto divisa al suo interno, esprimendo inoltre il rammarico per l’assenza in città dei suoi colleghi.
51 Commissioni, II, p. 552-553.
52 Canestrini 1843b.
53 Kent 1978 (p. 253-288 per una analisi delle conseguenze della guerra di Lucca e degli eventi successivi).
54 Rubinstein 1971, p. 3. Per ulteriori dettagli, si vedano Brucker 1977, cap. VIII, (soprattutto p. 500-507); Racine 2006, p. 172-181.
55 Rimandiamo brevemente a Fubini 1994b; Najemy 2006a. Sul consensus, si vedano ad es. Najemy 1982, cap. VIII (soprattutto p. 299-300); Rubinstein 1971; Kent 1975, per alcuni dati numerici.
56 Per i rapporti con Francesco Sforza, oltre al già citato Ilardi 1989, si vedano Fubini 1982a; Fubini 1994c, p. 220-252. L’alleanza Medici-Sforza passava anche per il versante economico, avendo Cosimo aperto una filiale del banco Medici a Milano, una scelta pienamente politica poiché, sul piano dei guadagni, Raymond de Roover ha mostrato come quell’investimento fosse in realtà fortemente antieconomico. De Roover 1988, p. 373-395. Per la relazione con Gabriele Condulmer, prima dell’elezione come vicario di Cristo col nome di Eugenio IV, rimandiamo al Capitolo 6.
57 Isaacs 1996, p. 129; Watts 2009; Lazzarini 2003. Per Firenze, si vedano almeno Pérol 2004; Zorzi 2004.
58 Conti 1984, p. 13
59 Le CP offrono ricchi e costanti dibattiti sulla questione, discussioni che si trascinarono ancora fino al 1427, quando la nuova redistribuzione fu ufficializzata (se non altro in città). Sull’uso politico della redazione di nuovi estimi o dell’introduzione di nuovi sistemi fiscali, cfr. Ginatempo 2000, p. 54 e sgg. Per i metodi precedenti, si può vedere Cammarosano 1988.
60 Goro Dati, Istoria.
61 ASFi, Cat., 66, c. 421v.
62 Niccolò Machiavelli, Istorie fiorentine, Proemio, p. 282. Al confronti, i dodici anni di guerra contro Gian Galeazzo Visconti erano costati “appena” 5 milioni di fiorini. Molho 1971, p. 9-11.
63 Giovanni Cavalcanti, Istorie, I, p. 1.
64 I lavori sul fisco fiorentino più abbondanti sono quelli che trattano degli anni a partire dal 1427; per il Trecento, disponiamo soprattutto di Barbadoro 1929; Ginatempo 2000.
65 Molho 1971.
66 Ora raccolti in Ciappelli 2009b.
67 Goldthwaite 2009 (l’autore è però meno interessato agli sviluppi politici del periodo considerato, tentando di tracciare sostanzialmente le caratteristiche dell’economia fiorentina tra Trecento e Cinquecento; suggeriamo pertanto la lettura di Poloni 2015).
68 Anche famiglie con una economia più solida si trovarono spesso in situazione di difficoltà, che obbligava a trovare soluzioni immediate: a fine 1424, ad es., Rinaldo degli Albizzi si mostrava smanioso di vendere almeno uno dei suoi cavalli, il che lo avrebbe aiutato a pagare parte delle tasse. Commissioni, II, p. 257-258 (lettera di e a Vieri Guadagni, 21 e 28 ottobre 1424).
69 Parole di Giovanni Rucellai, cit. in Conti 1984, p. 32. Per l’analisi dei flussi tributari, cfr. ibid., p. 13-90; Goldthwaite 2009, p. 494-516; Molho 1971, p. 87-112.
70 Goldthwaite – Mandich 1994.
71 Solo tra 1428 e 1429 la situazione non continuò a peggiorare, una stabilizzazione che fu dovuta proprio al fatto che la guerra contro Filippo Maria Visconti aveva visto un momento di più lungo arresto, rotto poi alla fine del 1429 con la guerra di Lucca. Rimandiamo alla lettura di Najemy 2006a, p. 255-261; Bratchel 2008, cap. VI-VII; Griffiths 1999, cap. III; De Roover 1988, p. 78-79.
72 Si veda Brucker 1977, p. 125-186 (per le questioni fiscali, p. 161-165).
73 Per alcune coordinate bibliografiche, si vedano almeno Kirshner – Molho 1977; Kirshner – Molho 1978; Kirshner – Molho 1980; Molho 1986; Karmin 1906; Berti 1860; Herlihy – Klapisch-Zuber 1978; Bettarini 2011.
74 Niccolò Machiavelli, Istorie fiorentine, lib. VII, cap. 1, p. 640.
75 Proviamo in tal modo a rispondere a una delle principali esigenze avvertite da Tracey Sowerby in merito a certi percorsi della New Diplomatic History, secondo cui l’analisi di una relazione diplomatica dev’essere condotta dal punto di vista delle varie parti in campo per poter offrire una comprensione più dettagliata di uno specifico fenomeno diplomatico. Sowerby 2016.
76 Con il termine protagonisti vogliamo intendere tanto i singoli governi quanto il personale selezionato per gli invii diplomatici, che non sempre era chiaramente identificabile in una specifica categoria di inviati quale fu, più tardi, quella degli ambasciatori di professione. Del resto, i percorsi della New Diplomatic History tendono a sottolineare non solo uno statocentrismo contingente e non necessario per la diplomazia di questi secoli ma anche la distanza tra pratiche e comportamenti diplomatici precedenti i secoli XIX e XX. Sowerby 2017; Tremml-Werner – Goetze 2019. Pertanto, pur coscienti delle relative sfumature grammaticali (e quindi delle differenze sul piano lessicale), nel corso del lavoro non sarà operata la distinzione presente in Faizullaev 2014 ( «In diplomatic contexts, states appear as actors […], and individuals as agents», p. 280); inoltre, in ragione del contesto politico-istituzionale all’interno del quale ci muoviamo, i termini attore e agente saranno variamente utilizzati nel corso del lavoro, tanto più che un agente diplomatico, quale Rinaldo degli Albizzi, era innegabilmente anche un attore della vita politica fiorentina.
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