IL «principe nuovo»
Lorenzo de’ Medici duca di Urbino e Francesco I
p. 247-262
Résumé
Dopo la battaglia di Marignano, la politica di riavvicinamento di papa Leone X al vincitore fu finalizzata all’ottenimento del sostegno francese per il controllo territoriale della Chiesa. Durante le trattative per il concordato a Bologna, il pontefice ottenne il tacito assenso di Francesco I alla « impresa d’Urbino », ovvero allo spodestamento del duca Francesco Maria Della Rovere in favore di Lorenzo de’ Medici, che si insignorì del ducato nel 1516. La guerra che ne scaturì nel 1517 mise a dura prova le finanze ecclesiastiche e imbarazzò i Medici sul piano internazionale. Questo contributo si propone di analizzare gli intricati rapporti fra la dinastia fiorentina e la corona francese, e l’ambigua posizione di Francesco I il quale, pur finanziando in parte le azioni militari e le ambizioni politiche di Lorenzo, forse agì anche a sostegno del Della Rovere. Negli anni successivi, nonostante il matrimonio fra Lorenzo e Madeleine d’Auvergne, sposa scelta dal re per suggellare una duratura alleanza familiare, i rapporti fra il papato e la Francia erano destinati a incrinarsi perché le reciproche ambizioni territoriali vennero a collidere violentemente.
Texte intégral
Marignano: «hora ci mostriamo animosi et solleciti»
1In un recente intervento abbiamo analizzato il momento critico in cui l’incoronazione di Francesco I crea delle aspettative irrealistiche da parte dei Medici, convinti di poter persuadere il re a cedere putativamente la corona di Napoli a Giuliano de’ Medici1. Lo scopo del presente contributo è di analizzare le reazioni del re di Francia alle pretese di Lorenzo de’ Medici verso il ducato di Urbino. Ma per far questo dobbiamo considerare in quale posizione si trovasse il nipote di papa Leone X prima di Marignano. Quel momento critico rivelò le attitudini dei prìncipi italiani nei confronti del monarca francese.
2Una delle lettere del cardinale Giulio de’ Medici, allora legato a Bologna, scritta il giorno stesso della battaglia, quando la notizia (poi rivelatasi falsa) della vittoria degli Svizzeri gli era appena pervenuta, è perfetta per illustrare il contesto:
Primo sia laudata el omnipotente dio di tanto beneficio etc. V.S. facia ogni diligentia che havendo questa ventura che colle gente sonno costì fornischa questa victoria et tanto più è necessario che hora ci mostriamo animosi et solleciti, quanto primo siamo stati venissi. Questo dicho non tanto per V.S. quanto per el Ill.mo S. Viceré [Cardona], imperhò che havendo superati svizeri in questa nostra sollicitudine consiste tutto el interesse di Nostro Signore et delli confederati.
V.S. sia contenta essere diligente di havere li particulari et mi avisi subito et di quello insieme col Ill.mo predicto siate per fare, che mi pare non lassiate niente indrieto2.
3Il cardinale suggeriva di offrire un animoso e sollecito soccorso ai presunti vincitori svizzeri per conto del Viceré spagnolo. Tre giorni dopo, la situazione era capovolta. Il trionfo dei Francesi metteva in grave difficoltà i Medici:
La S.V. cometterà a quel tale che delibererà mandare a Svizeri che in caso si trovassi di voglia di non pensare più a combattere et non potendoli persuadere al star forte contra franzesi et vindicharse delle iniurie, ma che più presto li truovi inclinati allo accordo, si sforzi procurare in modo appresso a decti elvetii che in le loro conditione ve includino anchor la Santità di Nostro Signore cum quelli più habili capituli che faccino a beneficio di sua Beatitudine3.
4La proverbiale combattività elvetica era ridotta a ben più miti consigli ed invece di «vindicharse delle iniurie» gli Svizzeri e i loro ex-alleati pontifici erano costretti ad acrobazie diplomatiche. Si noti il subitaneo passaggio dalla patetica richiesta di clemenza all’arroganza totale perché i capitoli fossero a «beneficio» di Leone X. In questo gioco di rischi calcolati e compromessi spericolati, il giovane Lorenzo si mostrava pronto al tradimento della confidenza del papa, a cui doveva tutto, per sottomettersi al re di Francia:
come ho più volte facto mandare al X.mo io penso havere a dependere in tucto da S. M.tà et però vorrei facessi intendere al gran maestro [Jacques La Palice] o a Rubertet come mons. di Tricarico [Lodovico Canossa] ha portato e’ capituli sottoscripti dal papa et che il X.mo si faccia monstrare quelli et li confermi [...] perché così è la voluntà del papa et se lui dice altro da parte lo fa per vedere se potessi migliorare le conditioni dello accordo, ma per questo non è che il papa non si contenti di quello che ha sottoscripto ma questo bisogna che facciate con gran cautella et non conferiate con alcuno si non con questi che io vi dico et li confortiate a fare intendere questo al Re per parte mia perché la servitù che ho con il X.mo et il desiderio che ho che lui et il papa sieno d’accordo mi stringe a darli notitia di tucto et se non facessi così non mi parrebbe satisfare a S. M.tà né al papa né ad me medesimo et come dico di sopra questo officio è necessario sia secreto et perché io penso ad ogni modo che l’accordo si habbia a firmare4.
5Che la posizione filofrancese fosse segretamente sostenuta dal capitano fiorentino anche prima di Marignano ce lo dimostra un’importante lettera di Francesco Vettori (l’ombra inseparabile di Lorenzo e colui che aveva preso il posto di segretario del «principe nuovo» tanto agognato dall’amico Machiavelli), indirizzata ad un influentissimo ottimate, Lanfredino Lanfredini:
Voi sapete che al Signore [Lorenzo] non è mai piaciuto che’l papa fussi contra a Francia ma che poteva far lui altro che ricordare et in questo non è manchato; discostarsi dal papa o tenere altre pratiche fuori dalla volontà sua li pareva fussi chon pocha reputazione dell’uno et dell’altro [Lorenzo e il papa] et nondimeno mai ha restato poi ci partimo di ricordare a monsignore R.mo [Giulio de’ Medici] che è bene pensare all’achordo [...] siché per lui non è restato mentre è suto chostì et poi che le chose non si componghino, nella guerra non credo sia da confidare, pure donde si procede e’ franzesi non chorrono sì presto chome sogliono et non hanno anchor preso Pavia [...] Io non mancharò di ricordare quello iudicherò sia a proposito della città et del Signor capitano el quale chome dico di sopra è tutto vostro5.
6Il prudente realismo ispirato dal Vettori, difensore discreto degli interessi della città non meno che del suo signore e padrone, si rivelò provvidenziale. Lorenzo andò presto a trovare il re in Lombardia:
Il Signor magnifico è tuto honorato et charezato dal Re quanto non si potrebbe desiderare più. Circa il congresso del pontefice et questa maestà, non è anchora determinato il luogo, se s’à a fare a Bologna o chostì: se chostì [a Firenze] è più honorevole per Nostro Signore, ma non so già chome a proposito nostro, per più cause: et prima perché questo anno le richolte di grano et vino son sute pichole et tanta gente chonsumerà in un mese quello si consummerebbe in più; oltre a questo bixogna fare spese et donare et havere le gabelle in modo che la città ne patirà assai, che sapete si truova in disordine. Ècci un’altra choxa che mi dà più molestia: voi sapete che in questa città sono molti che chonoscono chostì mercanti et altri, et haranno facilità d’intenderne la pocha satisfactione del modo del vivere che è nell’universale; et penseranno vi stiamo apichati cholla cera, et porriano levare [a] posta loro non in cero, anchora che la voce è ita che tra l’uno et l’altro di questi nostri [Lorenzo e Giuliano] sia pocha concordia et chostì haranno più modo d’intenderlo e’ franzesi che altrove6.
7Dunque vi erano tre cause molto concrete per evitare che l’auspicato incontro con il re si celebrasse a Firenze: le magre raccolte dell’anno, le grandi spese che la città avrebbe dovuto sostenere in caso di una visita di stato di quell’importanza, ma soprattutto l’infelicità dell’ «universale», e infine la mancanza di concordia fra «questi nostri», cioè Lorenzo e Giuliano (che si era di recente sposato con la zia di Francesco I, ma giaceva malato a letto). Tutti questi fattori giocavano contro gli interessi dei Medici e del fragile regime da loro instaurato in città «cholla cera». Quindi andava tesaurizzato il «tanto benigno» atteggiamento del re senza scoprire le proprie carte. D’altra parte, questa estrema confidenza non era scevra da dubbi e sospetti. Alfonsina Orsini scriveva a Lorenzo da Firenze, dove ella governava in assenza del figlio:
tu dici che gli potrebbe venir voglia di questo stato per essere la città bella etc. Ti dico che in Italia ci sono molte altre cose belle come questa città, e che se gli dovesse venire voglia di tutte le cose belle, che gli potrebbe venire voglia di tutta Italia, e fare uno piano d’ogni cosa, e cacciare il papa da Roma, perché tutta Italia insieme è più bella tutta insieme che non è Firenze solo, e non si vuol mai mettere in fantasia le cose oscure e dipingersi nella mente sospetti e paure; e ricorda quel detto di papa Alessandro [VI], che diceva che lui non aveva né sospetti né rispetti né dispetti, quando voleva condurre una cosa a suo proposito, benché io non lodo quella sua fantasia totalmente, perché i rispetti si debbono avere, ma i sospetti e dispetti non sono da chi ha l’animo grande7.
8Gli appetiti segreti di Francesco I non si estendevano fino a Firenze, ma il non troppo magnifico Lorenzo non aveva davvero «l’animo grande »8 e lo avrebbe confermato a più riprese9. Il proverbio riferito dal Guicciardini su Alessandro VI e Cesare Borgia, secondo cui l’uno «non faceva mai quello che diceva» e l’altro «non diceva mai quello che faceva» (Storia d’Italia, VI.2) potrebbe essere applicato anche a Leone X e al nipote, immeritevole dedicatario del Principe, con l’importante caveat che costui faceva solo quello che gli si diceva di fare, e raramente lo faceva bene.
Bologna: «stare a vedere più che si potrà»
9Durante il convegno di Bologna a metà dicembre 151510 le trattative a porte chiuse fra il papa e il re toccarono anche la delicata questione di Urbino. La sostanza del contenzioso è riassunta dal Vettori, secondo la cui versione Francesco I
ricercò ancora che perdonassi a Francesco Maria della Rovere, duca di Urbino, la offesa li avea fatta dello avere preso soldo da lui e poi non voluto cavalcare quando fu ricerco, ma tenuto pratiche strettissime con Francia; e fu openione fusse convenuto seco, ma di questo non si mostrava cosa alcuna. Il Papa non volle consentire a tale domanda, dicendo che voleva punire i sudditi suoi secondo i delitti11.
10Non era la prima volta che Francesco Maria si era sottratto a combattere per un papa contro il re di Francia. Nel marzo 1512 (come dimostra la missione non troppo segreta di Baldassarre Castiglione), il Della Rovere si era rifiutato di sostenere suo zio Giulio II poco prima della battaglia di Ravenna. Nel caso di Marignano, non aveva voluto servire Leone X. Richiesto di inviare le sue truppe senza il suo comando, queste giunte fra Rimini e Cesena dissero di non voler proseguire. Di questa disobbedienza il papa, forse non a torto, considerò responsabile il duca, «essendo probabilissimo che, malvolentieri, si spogliasse delle sue milizie in tempo in cui tutto poteva temere dai Medici »12.
11Al ritorno di Leone X a Roma a fine febbraio 1516 i giochi erano predisposti. Giulio, scrivendo a Lorenzo, esplicita la politica dell’attendismo mediceo, nel caso che la minacciata vendetta di Massimiliano I si fosse concretizzata; solo se la Francia avesse resistito alla forza d’urto imperiale il papa si sarebbe prodigato in modici aiuti al vincitore, nonostante il timore di un potenziale sacco di Firenze:
Hiersera si scripse a Tricarico [Canossa] et se li mandò copia dela lettera di maestro Egidio [da Viterbo, futuro cardinale] et un summario di quelli advisi che erono al proposito del Feltrense [già considerato ex duca e privato del suo titolo],13 comettendoli riscaldassi el X.mo ad far gagliarde et preste provisioni. [...] Pensa anchor Sua S.tà stare a vedere più che si potrà et se Francia non rovina subito porgerli aiuto /94v/ per obligo suo di qualche centinaio di homini d’arme. Di che li altri havendo aiutato anchor loro non si potranno instamente dolere. Ma se li franzesi si defenderanno gaglardamente et faranno le provisioni a tempi come dice el S. Antonio Maria [Pallavicini] che faranno, Sua S.tà andrà di miglor ghambe in adiutarli, perché in facto la victoria de lo Imperatore non fa per la Chiesa né per voi costì, che si vede hanno malo animo contro a cotesta città et credono cavare un thesoro14.
12Si comprende meglio, allora, la reciproca diffidenza fra la Francia e i Medici, pur nominalmente alleati e obbligati al mutuo soccorso. Non a caso il giorno dopo Baldassarre da Pescia scriveva a Lorenzo una lettera cifrata in cui gli rivelava l’intenzione di sostenere discretamente la Francia col pretesto di attaccare Urbino:
Mons. [Giulio de’ Medici] dice che Nostro Signore visto queste cose dell’imperadore ringagliardisi et sendo Sua Santità desiderosa di non mancare a Francia pensa sotto colore di volere fare l’impresa d’Urbino per mettere in ordine tucte sue gente tantum per servirsene in questa impresa quanto adiutarsi et defendere le cose sue et quelle di Francia et questo lo farà per non demonstrare all’imperadore per hora che voglia armarsi contro di lui15.
13Nonostante il pagamento del soldo di tremila svizzeri, Francesco I «prese il denaro, ma [...] rimase di profondo malumore »16. Tra le varie lettere romane all’ambasciatore residente in corte di Francia Lodovico Canossa di questo periodo, quella del 17 aprile 1516 risponde alle forti lamentele francesi contro il papa, accusato di eccessiva ed egoistica prudenza. Benché in curia fossero convinti di avere già
iustificato et purgato ogni calunnia et sospecto che potessi inputarsi a Nostro Signore o nascere ne la mente del Cristianissimo, nondimeno le parole che epso ha usato hanno di nuovo dato fastidio a Nostro Signore; non già perché Sua Santità non resti quieta et scarica ne lo animo, per la conscientia de la voluntà et de li effecti sui, ma perché li pare che il bono animo et le opere sue sieno poco conosciute. Dispiaceli ancora non li sia prestato fede [...]17.
14Nei mesi successivi l’operazione di delegittimazione del duca di Urbino Francesco Maria Della Rovere (il «Feltrense») fu conclusa, quasi senza colpo ferire.18 Non sussistono molte corrispondenze fra Lorenzo e Francesco I, dunque le copie di lettere scambiate fra il re e il duca d’Urbino nell’autunno 1516, fatte appositamente dalla cancelleria, sono particolarmente significative. Ecco la cordiale gratulatoria del re:
Io ho saputo el ducato di Urbino [...] la prefectura di Roma v’è stata data [...] il nostro sancto patre il papa è de’ nostri buoni amici et collegati voi havete anchora più grande e grosse cose, il che per la parte mia molto desidero et di aiutarvene a mio potere et anchora di maritarvi a qualche bella et buona donna di grande e grosso parentado19.
15In risposta, il duca di Urbino, nonché neo-prefetto di Roma, si rallegrava di
quella contenta affectione demonstra el piacere che ha dello stato che m’ha dato la S.tà di Nostro Signore col sacro collegio, mi ha non mancho contentato et dato piacere che mi habbi hauto della gratia factami [...] Quello che la Maestà Vostra dice del darmi donna humilmente e quanto posso ne la ringratio e come dal Numptio di Nostro Signore [Lodovico Canossa] et dallo oratore fiorentino [Francesco Vettori] quella debbe havere inteso, io non ho altro desiderio che pigliarla et per le mani della Maestà Vostra et che sia dia grata a quella20.
16Anche in questo caso la versione agiografica del Vettori in favore del suo signore, in stile volpe e l’uva, sostiene che il duchetto Lorenzo non era ambizioso:
per niente non arebbe voluto tale titolo di ducato, perché conosceva che i popoli amano i principi quando ne tralgono profitto e che tre duchi, che vi erano stati prima, avevono avuto i popoli affezionati [...] Ricusò quanto potette. Ma come poteva lui opporsi al zio Papa et alla madre che non restava di incitarlo e sollecitarlo a diventare duca21?
17La presunta passività di Lorenzo non aveva mancato di suscitare il risentimento di Francesco Maria che
sendo rifuggito a Mantoa, prese stretta familiarità con Lautrech con l’aiuto di Federigo Gonzaga, signore di Bozzolo, il quale si teneva offeso dal Papa e cercava occasione di vendicarsi. Questi due, et insieme e di per sé, instillorono nelli orecchi di Odetto che Francesco avea potuto cognoscere la fede del Papa nella venuta dello Imperatore a Milano22.
18L’allusione alla minacciata missione punitiva di Massimiliano I, già ricordata in precedenza, ci dà la chiave per comprendere l’abile manovra del Della Rovere, sostenuto da Federico Gonzaga, che aveva anche lui un conto in sospeso con Lorenzo. Federico nel 1512 partecipò alla battaglia di Ravenna, in cui i Francesi sconfissero, a prezzo di gravissime perdite, le truppe papali. In quest’occasione il Gonzaga prese in custodia il cardinale Giovanni de’ Medici, che era caduto prigioniero di mercenari albanesi. Nel 1513 il Medici, divenuto papa col nome di Leone X, dimostrò la sua riconoscenza per la benevolenza usatagli dal signore di Bozzole nominandolo comandante della fanteria pontificia, sotto Giuliano de’ Medici. Dopo pochi mesi, però, Lorenzo de’ Medici, che era divenuto capitano dell’esercito fiorentino, revocò l’incarico nell’agosto 1515. Sdegnato da questo modo di procedere, Federico abbandonò il campo pontificio e ritornò al servizio dei Francesi23.
19Dopo Marignano, lo ritroviamo impegnato in una partita di calcio a Milano in cui Francesco I, non troppo regalmente
si travagliava in urtar questo e quello, non havendo rispecto ad alcuno né altri a lui, et li fu dato de molte urtate et ballonate, tra le quali una n’hebbe sul naso, sì forte che li cadevano le lacrime da li occhi, et Sua Maestà sopiatosi una volta il naso tornò alla scaramuza24.
20Finalmente con Federico Gonzaga andava correndo «con grande impeto contra questo e quell’altro», buttando tutti per terra fra grandi risa. Questa scena a metà fra Rabelais e il rubgy ci mostra che tipo di lealtà cavalleresca e virile il re apprezzasse davvero – con Lorenzo giocava a carte, trattandolo solo come un compagno da cortigiane25.
21Al di là delle smancerie, la neutralità praticata fino allora senza pudore dai Medici cominciava a mostrare tutti i suoi limiti. Era un tema trattato anche nel capitolo XXI del Principe e nella corrispondenza di Machiavelli con Vettori, su richiesta del cardinale Giulio. Secondo un’ipotesi che ho già espresso altrove, furono proprio le dichiarazioni contro «il più sacro dei dogmi medicei »26 e non una supposta e impraticabile fede repubblicana a precludere il sospirato rientro di messer Niccolò nei ranghi curiali.
Urbino: «è di certa sorte di cuoio che reggerebbe a una picca»
22Francesco Maria Della Rovere era un osso duro. Con Federico da Bozzole e col segreto appoggio del governatore di Milano, il Lautrec, si preparò a recuperare il Ducato di Urbino. Durante la prima e seconda guerra di Urbino i fatti studiati da vicino rivelano l’atteggiamento assai ambivalente di Francesco I.
23Gli obblighi fra il papa e il re del 3 novembre 1516, confermati il 18 febbraio 1517, consistevano in 12000 ducati al mese per la difesa, 6000 per l’offesa.27 Si percepisce chiaramente, dietro il linguaggio formale, la diffidenza reciproca dietro gli accordi.
24Francesco Maria restava un osservato speciale, come mostra la lettera di Guicciardini a Goro Gheri di fine novembre 1516, che riporta le confidenze dell’agente segreto Cesare Colombo a Bozzole, nel Mantovano. La lettera sembra uscita da una spy story:
Referisce che con lui non era de’ sua altro che tre o quattro, tra’ quali uno messer Orazio [Floridi] suo servitore antico, e che il Duca, o per meglio dire Francesco Maria, aveva in dosso uno saio di velluto, e di sopra uno vestito grande di cuoio grosso e pastoso, che secondo li disse lui, è di certa sorte di cuoio che reggerebbe a una picca [...] Dice che sta con sospetto de’ Franzesi perché li pare abbino usato diligenza di appiccare pratiche seco e volere sapere, sotto coloro di offerirli e trattenerlo, dove lui sia; e in spezie essere stato avvisato del campo franzese che si abbi cura, perché il papa cerca di averlo per mezzo loro28.
25L’atmosfera di sospetto e cospirazione, coi dettagli à la Dumas sul vestiario del «duca» non più «duca», non deve ingannarci sull’inequivocabile ambiguità dei Francesi, che pur tenendolo d’occhio lo stavano di fatto incitando all’azione. La rivincita del Della Rovere è descritta da un cronista imparziale come Cornelio de Fine29, più che dal Guicciardini30 o dal Giovio, che erano giudici tutt’altro che super partes. Il Gonzaga arruolò, forse proprio con denari fornitigli sotto banco dai Francesi, i fanti spagnoli che erano all’assedio di Verona, e li portò al servizio di Francesco Maria, il quale in poche settimane riconquistò il suo legittimo ducato. Dopo questo Blitzkrieg, non resistette alla tentazione di schiaffeggiare pubblicamente il papa inviando una provocatoria lettera al Collegio dei Cardinali31.
26L’imbarazzo del papa aumentò insieme a quello di Lorenzo, che invece di accettare la sfida a singolar tenzone propostagli dal Della Rovere, fece arrestare il suo messo Orazio Floridi, ignorando completamente le regole basilari della diplomazia. Persino Guicciardini ricorda le «cavillazioni» usate contro Orazio «esaminato con tormenti», con la scusa che era un suddito ribelle della Chiesa.
27Che l’ottenimento di confessioni «timore aut vi» non fosse accettato a cuor leggero anche in questi tempi «oscuri» lo si vede dalla lettera di Alberto Pio da Carpi, allora ambasciatore in curia per conto dell’imperatore, che informò Massimiliano I il primo maggio 1517 (cioè quando Floridi e Marcantonio Nini erano infelici coinquilini di Castel Sant’Angelo) che il re di Francia, accusato di infedeltà al suo alleato Leone X nelle confessioni rilasciate dal prigioniero, rifiutava di considerarle legali:
Ser.mus Rex Franciae plurimum incusavit et crim [...] tus est Ducem et praesertim eum accusabat et increpabat ob capturam illius Oratii et quem ad subitum quaestionibus interrogaverint an ipse Rex horum motuum fuerit conscius, dixitque nullam fidem praestandam esse dictis ipsius si qua de eo dixisset, tamquam timore et tormentorum saevitia extorta; M.tas tamen Sua hoc divinare potest ex se videlicet Oratium de sua M.te fuisse interrogatum, id autem scire minime potest. Bellum Urbini in eodem est statu; exercitus Summi Pon.cis fere dissolutus et ut divulsus est, his de causis quas superius dixi. Iussit S.as Sua peditem Vasconum dimitti; non tamen id facere adhuc ausus est legatus, eo quod vereatur illum profecturum ad hostes, vel si recederet desperatum et dedignatum id enim se facturum, aperte minitaturum plurima incommoda esse laturum subditis Ecclesiae; equites Galli auxilio missi petunt victum et alimenta gratis eo quod dicant pecunias eis defficere32.
28Il Gheri, che aveva preso il posto del quondam Segretario Machiavelli de facto et de iure, partecipava al conflitto seduto nella Cancelleria di Palazzo della Signoria, ma gli prudevano le mani, tanto che, insoddisfatto per la lentezza e l’inefficienza degli interrogatori di Floridi, elencò le trentaquattro specifiche questioni strategiche e politiche su cui bisognava estorcere risposte – rivelandoci così quali sospetti nutrisse:
3. Item l’anno passato quando dicto Horatio tornò di Francia che fece ritornare le genti di Francesco Maria che andavano in Lombardia che appuntamento haveva facto in Francia, perché facesse tornare decte gente in dietro
7. quelli danari che furono dati a decti Spagnuoli dal S. Federigho da Bozoli inanzi che Verona fusse data [...] da chi uscirono et chi li pagò
29. Quando Francesco Maria era in mantovano ad che principi et signori ha mandato ad raccomandare la cosa sua33
29Non è facile provare con certezza il doppiogiochismo francese, ma le congetture e i dubbi di Gheri la dicono lunga. Ricordiamo che Lorenzo fu ferito il 29 marzo e che il cardinale Bibbiena divenne legato «con pessimo governo »34 ; il 6 aprile scoppiò un «grande tumulto »35 fra i Guasconi, spina nel fianco dell’esercito mercenario mediceo, alcuni Spagnoli e i Tedeschi, i quali cercarono rifugio presso il Bibbiena. Dopo varie dispute e «sospetto di certa solevatione »36, i Guasconi abbandonarono il soldo papale per porsi al servizio di Francesco Maria, nonostante i 39.000 ducati pagati dal papa nei mesi precedenti37. Il papa e i Fiorentini si sentivano uccellati dai loro alleati38.
30Le tensioni nei rapporti con Francesco I crescevano quotidianamente, e il consueto ricorso alle arti della dissimulazione non bastava più ad arginare il conflitto latente:
Ho visto la lettera di Tricarich [Canossa] la quale mi ha dato un gran dispiacere et mi ha facto molto pensare, prima se questa cosa è facta o artificiosa per metter suspecto a Nostro Signore per indurlo affare quello che vuole el Cristianissimo o pure se la cosa è naturale che egli abbia peggior animo. Io per me dissimulerei quanto potessi et iustificherei la Sua Maestà39.
31Giulio de’ Medici si appellava al Canossa cercando di rassicurarlo sul «non stare suspeso et in suspecto di questa amicitia» e servilmente chiedeva il sostegno del re:
Dopo la ferita de la Excellentia del Duca [...] tucta la fede et speranza sua [del papa] è posta nel re Cristianissimo, come in unico figliuolo, colligato suo, defensore de la Chiesa, et desideroso di honore et di gloria. Et per questo ve spaccia volando el presente corriere, et vi si commette che a la ricevuta, subito parliate a Sua Maestà, a Madama [Luisa di Savoia], al Gran Maestro [Artus Gouffier], et a chi altri vi paressi, pregando et stringendo per parte di Sua Santità, quanto più efficacemente potrete, che voglino dimostrarsi hora di che animo et di che voluntà sono verso questa Sancta Sede, et quanto sia loro a core lo honore et lo interesso del Papa et de le cose sue [...] Prima, chiedete lo adiuto de le lance et de li danari, che per lo ordinario sono obligati; di che semo certi non mancheranno. Et di più, se il Cristianissimo volessi servire Nostro Signore, in questo urgente bisogno, di qualche somma di denari, oltre a lo obligo, Sua Santità ne saria buon renditore con perpetua obligatione40.
32Sulla restituzione di fondi, il re nutriva sicuramente forti perplessità. Proprio in quei giorni si consumava a Roma la congiura dei cardinali – un «pasticciaccio brutto» che dimostrava l’enorme bisogno di denaro da versare nelle esauste casse della Camera Apostolica41. Il primo luglio, con la proverbiale elezione dei trentuno cardinali, il papa poté finalmente incassare ingenti somme per chiudere la partita a suon di ducati per un ducato senza valore. L’ingloriosa conclusione della seconda guerra di Urbino incluse nel suo bilancio disastroso i pagamenti di arretrati dei nemici, la liberazione di Floridi, la restituzione dei beni ai vassalli, l’assoluzione delle censure42. Non a caso Machiavelli scelse proprio questo episodio per rinforzare la sua tesi provocatoria che il denaro non è il nervo della guerra nei Discorsi II, 10 (e non si peritò di modificare il testo perché l’esito monetario della guerra era una riprova del suo argomento)43.
33Risolta la penosa questione di Urbino, finalmente ci si poté dedicare alla questione della «donna» lasciata in sospeso. Sul matrimonio di Lorenzo con Madeleine d’Auvergne celebrato nel maggio 1518 con la mediazione di Francesco Vettori alcuni nutrivano forti dubbi.44 Da questa unione non molto duratura nacque Caterina de’ Medici che nel maggio 1519 si lasciò subito dietro i cadaveri dei genitori, e molte complicate questioni di eredità sul ducato da dipanare nei decenni successivi45.
Parigi: «baillasmes cent mille livres tournois à Laurens de Medicis»
34Il cardinale e vicecancelliere Giulio de’ Medici era ben consapevole della necessità di ricucire lo strappo e scrisse a Francesco Maria Della Rovere una letterina suadente:
essendo occorso il caso della buona memoria del Duca Lorenzo, mio nipote, altro in questo negocio horamai non mi preme, se non la dignità et riputatione di Nostro Signore et della sede Apostolica et con quella osservandola per principale obietto in ogni simile attione mia, sempre mi sarò di sommo contento questa et ogni altra occasione, che si offerisca di farle cosa grata. Né a ciò mi muove il non essere con chi tanta congiuntione tenevo, ma ancora la passata già fra l’una et l’altra casa strettezza et amicitia et questa, pareggiate l’altre circonstanze, quando ritrovare si potesse, giudicherei in buona parte recuperato quel, che dal canto mio sempre desiderai conservare. E se Vostra Eccellenza piglierà nel presente negociar suo solamente la via di Nostro Signore, penso s’indrizzerà per il migliore et vero camino di arrivare a’ disegni suoi, al che non mancherò di adoperarmi per sodisfare alla Eccellenza Vostra, quae feliciter valeat46.
35Ma la soddisfazione del Della Rovere non si sarebbe concretizzata che molti anni dopo. Intanto il lavorìo diplomatico portò ad una graduale rottura dell’alleanza fra Leone X e Francesco I, la cui implorante lettera del 19 giugno 1521 ad Alberto Pio nel frattempo divenuto suo ambasciatore a Roma47, probabilmente intercettata perché la ritroviamo nelle carte del Cancelliere Granvelle, elencava la lunga lista di favori fatti dal re al papa, fra cui il sostanzioso donativo per il nipote e la nipotina:
quant sa saincteté me voit aux affaires, il vient faire doléance contre moy. Je ne sçay qu’il veult dire que lui aye refusé […] l’ay favorisé de gens d’armes et argent contre Philippe-Maria [sic per Francesco-Maria! ]48 ; sa niepce a dix mil livres de rente en mon royaume, que donnay libérallement au feu duc d’Urbin son nepveur…49
36Solo una ventina di giorni prima, Leone X aveva firmato l’accordo segreto con l’ambasciatore spagnolo Juan Manuel, i cui effetti si sarebbero visti ben presto. Il voltafaccia del papa nei confronti del re provocò la cacciata dei francesi da Milano e, forse, anche la morte del papa (avvelenato per ordine del re? il giallo non fu mai indagato, sebbene la perizia medica di Giovio fornisse indizi più che sufficienti).
37La storia non finisce qui, perché l’attenzione francese verso i rapporti fra Medici e Della Rovere restò vivissima, come dimostrano per esempio le copie del Sommaire en brief des articles acordez et convenuz entre le cardinal de Medicis et monseigneur le duc d’Urbin50 o della lettera di Francesco I ad Adriano VI, scritta nel luglio 1523 subito dopo la cattura del cardinale Soderini – accusato (stavolta a ragione) di aver complottato un’invasione della Sicilia e una congiura filofrancese51 – insisteva ancora una volta sul contributo dato alla guerra di Urbino:
Et, de notre Regne, avons baillé a feu Pape Léon, gros nombre de gens de guerre, tant à pied que à cheval, pour recouvrer et deffendre le Duché d’Urbin et autres terres adjacentes, <et baillasmes cent mille livres tournois à Laurens de Medicis pour luy aider à souldoier ses gens d’armes pour recouvrer Urbin [...]>52
38L’elezione di Giulio al papato come Clemente VII avrebbe modificato di nuovo gli equilibri di potere, e avrebbe portato alla rinnovata alleanza fra Francia e papato, e alla sconfitta di Pavia. La vendetta il Della Rovere la gustò fredda, dopo il Tumulto del venerdì, e furono proprio Orazio Floridi ad esserne testimone, e Federico da Bozzole attore primario53.
39Che i contemporanei considerassero il duca di Urbino corresponsabile se non correo del Sacco di Roma e della susseguente cattività del papa lo dimostrano anche gli anonimi Capitoli di lettera relativi alla prigionia di Clemente VII:
Di tutto è stato causa il Duca d’Urbino quale o per havere piacere che’l papa si perda o perché iudichassi troppo pericoloso lo accostarsi ha temporeggiato [...]54
40Il matrimonio di Caterina de’ Medici col secondogenito Henri d’Orléans nel 1533 suggellò la fine delle lotte territoriali dirette intorno Urbino, ma la disputa sull’eredità continuò per tutto il Cinquecento.
Notes de bas de page
1 M. Simonetta, Oscillazioni di Leone X dopo la morte di Luigi XII: il copialettere di Bibbiena, in Leone X: Finanza, mecenatismo, cultura, Atti del convegno internazionale, Roma, 2-4 novembre 2015, vol. I, Roma, 2016, p. 115-132.
2 Il cardinale Giulio de’ Medici a Lorenzo de’ Medici, Bologna, 15 settembre 1515 a hore xiii (Archivio di Stato di Firenze [d’ora in poi ASFi], Mediceo Avanti Principato [d’ora in poi MAP] CXIII 147).
3 Il cardinale Giulio de’ Medici a Lorenzo de’ Medici, Bologna, 18 settembre 1515 (MAP CXIII 149; ultima carta 149 ter v in diversa mano).
4 Lorenzo de’ Medici a Giovanni da Poppi, Reggio, 6 ottobre 1515 (MAP CXIV 159, c. 163 nella cifra di Francesco Vettori, decifrato a c. 160) (corsivi nostri).
5 Francesco Vettori a Lanfredino Lanfredini, [dal campo di Lorenzo], 24 agosto 1515 (Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, ms. II.V.22, c. 91) (corsivi nostri).
6 Francesco Vettori a Lanfredino Lanfredini, Vigevano, 30 ottobre 1515 (Ibid., c. 95) (corsivi nostri). Si veda anche la successiva lettera scritta da Milano il 13 novembre (Ibid., cc. 96-97): «però Lanfredino mio bixognarebbe che il papa venissi presto a Bologna et che questo Re si partissi satisfacto dillui chome /96v/ credo sarà et che subito questi nostri pensassino di fermarsi in qualche choxa che potessi loro riuscire presto et chon pocha spexa. La maestà del re per questo si può vedere è tanto ben volta che non potrebbe essere più et chome per altra n’ho decto fa tanto honore al magnifico Lorenzo et tante dimostratione che è choxa grande lui li ha [...] chiesto licentia per essere chostì a ricevere il papa et gnen’haveva conceduta ma poi l’à pregato soprasegha. Sempre li dà alloggiamento nella casa propria dove sta lui et li fa la spesa quando vuole stare quivi et in effecto non c’è huomo si ricordi havere visto Re di Francia fare tante chareze a alchuno principe quanto fa questo al magnifico Lorenzo et certamente lui li è satisfacto in tutte le chose si sono maneggiate et il chavalchare et alla chaccia et a correre la lancia et in tutti simili exercitii dove si monstra forteza et dextreza ma credo li siano molto più piaciuti e’ savi suoi discorsi che gli sono parsi amorevoli et veri et certamente quando il magnifico vuole pensare alle choxe è mirabile. Io non so se lui starà insino che possa achompagnare il Re a Bologna opure se ne verrà chostì per trovarvi il papa, il quale chome dico di sopra sarebbe a proposito fussi presto a Bologna perché il Re fussi più presto expedito» (corsivi nostri).
7 Alfonsina Orsini a Lorenzo de’ Medici, Firenze, 25 ottobre 1515 (MAP CXXXVII 707) (corsivi nostri). Cfr. M. Simonetta, Volpi e Leoni. I Medici, Machiavelli e la rovina d’Italia, Milano, 2014, p. 123-124 e 336.
8 Sulla dedica fallimentare del Principe a Lorenzo e sul rapporto con Alfonsina, si veda M. Simonetta, L’aborto del Principe: Machiavelli e i Medici (1512-1515), in «Interpres» (2015), p. 192-228. Notiamo che G. Inglese, La lettera di Machiavelli a Isabella d’Este Gonzaga (settembre 1512), in La Cultura, 52, 2015, p. 41-51 si ostina a considerare «radicalmente implausibile» Alfonsina come destinataria della famigerata lettera alla illustrissima Madonna, non rendendosi conto che implausibile è proprio la candidatura della marchesa di Mantova, alla luce dei nuovi documenti ed elementi ritrovati.
9 Che Lorenzo non avesse mai goduto di grande reputazione a Firenze ce lo ricorda un aneddoto del settembre 1513: quando un mercante in piazza lo definì «Magnifico», un popolano lì presente sbottò: «el Magnifico merda». Un soldato riportò la conversazione e il malcapitato, Francesco del Pugliese, fu condannato dagli Otto ad un esilio di otto anni. Cfr. voce DBI su Lorenzo de’ Medici di Gino Benzoni, che non esplicita la fonte (Istorie di Giovanni Cambi cittadino fiorentino, Firenze 1786, vol. 3, p. 29).
10 Sull’incontro di Bologna fra Francesco I e Leone X cfr. M. Simonetta, Volpi... cit., p. 126 con relativa bibliografia e il saggio di Valeria Allaire Décembre 1515: les entrevues de Bologne. Les dynamiques territoriales et le portrait «italien» de François Ier in questo volume.
11 F. Vettori, Sommario della storia d’Italia (dicembre 1515), in Scritti storici e politici, a cura di E. Nicolini, Roma-Bari 1972, p. 170.
12 F. Ugolini, Storia dei conti e duchi di Urbino, Firenze, 1859, II, p. 199.
13 La lettera del 2 marzo 1516 (riscontrata sull’originale nei Manoscritti Torrigiani) non contiene nessun riferimento al «Feltrense», il che significa che il messaggio confidenziale fu inviato a parte in cifra.
14 Il cardinale Giulio de’ Medici a Lorenzo de’ Medici, Roma, 3 marzo 1516 (MAP CXIII 94).
15 Baldassarre Turini a Lorenzo de’ Medici, Roma, 4 marzo 1516 (MAP CIX 41r-v), decifrata nell’interlinea.
16 L. Pastor, Storia dei Papi nel periodo del Rinascimento e dello scisma luterano dall’elezione di Leone X alla morte di Clemente VII (1513-1534), vol. IV, Parte I, Roma 1926, p. 99.
17 Piero Ardinghelli in nome del cardinale Giulio de’ Medici a Lodovico Canossa, Roma, 17 aprile 1516 (in C. Guasti, I Manoscritti Torrigiani donati al R. Archivio di Stato di Firenze. Descrizione e saggio, Firenze, 1878, p. 112).
18 Per le varie fasi della conquista del ducato di Urbino rimandiamo per brevità al citato Volpi e Leoni.
19 Francesco I a Lorenzo de’ Medici, copia coeva in italiano del 19 settembre 1516 (ASFi, Carte Strozziane [d’ora in poi CS], serie I, 9, c. 186); M. Simonetta, Il matrimonio di Lorenzo e Maddalena (1518): un «ritratto» dei rapporti fra i Medici e Francesco I, in Il sogno d’arte di Francesco I. L’Italia alla corte francese, a cura di L. Capodieci e G. Brouhot, Roma, 2017, p. 37-51.
20 Lorenzo de’ Medici a Francesco I, copia coeva del 7 ottobre 1516 (Ibid., I, 9, c. 187).
21 F. Vettori, Sommario... cit., p. 176.
22 Ibid.
23 La fedeltà francese di Federico, difensore di Marsiglia negli anni a venire, durò fino alla morte. Si vedano le sue varie lettere al Montmorency nei manoscritti della Bibliothèque nationale de France (d’ora in poi BnF), pubblicate in parte da G. Molini, Documenti di storia italiana copiati su gli originali autentici e per lo più autografi esistenti in Parigi, Firenze, I (1836) e II (1837).
24 Un ambasciatore mantovano, Milano, 31 ottobre 1515, cit., in A. Luzio, Isabella d’Este e la corte sforzesca, in Archivio Storico Lombardo, ser. III, vol. 15, fasc. 29, 1901, p. 145-176, p. 166.
25 Sull’incontro di Lorenzo con Francesco I vedi supra.
26 M. Simonetta, Volpi... cit., p. 113. Cfr. Discorsi II 22, in cui Machiavelli lamenta che Leone X, prima di Marignano, «fu persuaso da quegli che lo consigliavano (secondo si disse) si stesse neutrale, mostrandogli in questo partito consistere la vittoria certa».
27 M. Gattoni, Leone X e la geo-politica dello Stato Pontificio (1513-1521), Città del Vaticano, 2000, p. 162, che cita diversi documenti da ASFi, Manoscritti Torrigiani, II, Leone X e la Francia.
28 Francesco Guicciardini a Goro Gheri, Modena, 30 novembre 1516 (F. Guicciardini, Opere inedite. La Legazione della Emilia, illustrate da G. Canestrini, Firenze, 1865, vol. 7, p. 35). Sul ruolo di Orazio Floridi e di Federico da Bozzole in questi anni si veda anche M. Simonetta, Volpi... cit., ad indicem, e Id., Le rôle de Francesco Guicciardini dans le Tumulto del venerdì (26 avril 1527) selon certaines sources non florentines, in Laboratoire italien, 17, 2016, p. 287-306.
29 Cornelio de Fine, Ephemerides Historicae (BnF, Lat. 12552, 101v): «Dux vero Franciscus Maria, licet ad spontaneum exilium abijsset ad tempus, non tamen penitus oblitus est, eum fore Ducem Urbini. Nacta igitur optima occasione cum Laurentius Romae in delitiis versaretur conscriptis clam Hispanorum sex millibus peditum, equitum levis armaturae fere mille, vocatus a suis subditis, in manu forti rediit de mense Maij 1517 [sic, ma da febbraio], maxime gaudio et triumpho ad Ducatum suum Urbinatum, adjuvante consanguineo et cognato tunc Marchione Mantuae et universum Franciscus Maria magno cum suorum applausu, cum ultra modum suis amaretur ob eius optimum et equissimum regimen quia mitissime eos gubernabat» .
30 Sul problema storiografico del ritratto guicciardiniano del Della Rovere si veda M. Simonetta, La Storia d’Italia del pennaruolo. Accusatorie autobiografiche contro Guicciardini, in «Encyclopaedia Mundi». Studi di Letteratura Italiana in onore di Giuseppe Mazzotta, Firenze, 2013, p. 113-147.
31 Francesco Maria della Rovere al Collegio dei Cardinali, Senigallia, 21 febbraio 1517 (scritta da Baldassarre Castiglione, e poi raccolta nelle sue Lettere), pubblicata per la prima volta nelle Lettere di Principi, a cura di G. Ruscelli e G. Ziletti, Venezia 1562, I, 32v-34r). Nell’edizione cinquecentesca si legge «Siviglia» che è chiaramente un refuso. Una copia di questo testo si trova anche in BnF (Fr. 16088, 306v-308v), non datata e mista con vari dispacci e documenti più o meno ufficiali.
32 Alberto Pio a Massimiliano I, Roma, 1 maggio 1517 (Rare Book & Manuscript Library, University of Pennsylvania, Henry Charles Lea Papers, Ms. 414, 5, 18v; la trascrizione è di Luciana Saetti).
33 Goro Gheri a Lorenzo de’ Medici, Firenze, 18 marzo 1517 (ASFi, Copialettere Gheri, 2, 88r-89r: Interrogationi da farsi a Horatio secretario di Francesco Maria; cfr. A. Verdi, Gli ultimi anni di Lorenzo duca d’Urbino (1515-1519), Este 1905, Doc. X, p. VI-VII; M. Simonetta, Volpi... cit., p. 148-149). Cfr. G. Bartolini Salimbeni, Cronichetta sulle ultime azioni di Lorenzo duca di Urbino (indirizzata a Francesco Guicciardini), Firenze, 1876, p. 1-80, p. 41 a proposito di Orazio Floridi: «quello che lui dicessi non si seppe mai particularmente per me: so bene che el Duca [Lorenzo] in Francia ne fu molto incaricato e ne fu fatto gran doglianza per il Re al Nuntio Monsignor di Baiosa et dipoi a Roma tanto che fu detto Oratio rilasciato.»
34 M. Gattoni, Leone X... cit., p. 180 (Biblioteca Apostolica Vaticana [d’ora in poi BAV], Barb. Lat. 5033, ff. 18r-24v, Alcuni scontri militari nella seconda guerra d’Urbino).
35 Bartolini Salimbeni, Cronichetta... cit., p. 63-64.
36 M. Gattoni, Leone X... cit., p. 179-180: San Costanzo «fu dato a saccheggiare a’ Guasconi per mitigare il dubbio che s’haveva di loro»; inoltre il Della Rovere «raccolti i Guasconi mosse l’esercito verso Perugia» (BAV, Barb. Lat. 4905, ff. 150-152r, Congiura contro Francesco Maria I duca d’Urbino).
37 M. Gattoni, Leone X... cit., p. 167 (ASFi, Manoscritti Torrigiani, I bis, Registro 16 gennaio 1517 - 24 maggio 1517, ff. 35v-36r). L’insubordinazione risaliva al 13 maggio 1517.
38 La situazione assai confusa viene così descritta nei Ricordi di Bartolomeo Cerretani, a cura di G. Berti, Firenze, 1993, p. 346: «venne differentia tra guaschoni e spagnoli e se non che gli spagnoli si tirorno sotto le nostre forzze era maltratati. In questo tempo si tratava fra li spagnoli e noi achorddo, e finalmente con dare loro due paghe s’andorno con dio et così bisognò fare un altro achorddo co’ ghuasconi e dare loro danari [...] Mentre queste cose si facevano el papa cho l’oratori di Francia e di Spagna si dolse degli spagnoli et ghuasconi in modo che il Re [Francesco I] manddò in Romagna 400 lance le quali vennono ad Arezzo et ferno in ogni luogho sì pocho profitto e tantto danno ch’el seria stato meglio non fussino venute tantti inghanni e truferie che l’è meglio il tacelle. Così il viceré di Spagna visto venire le gentte franzese manddò nella Marcha 400 lancce spagnuole. Così questi due re c’ucellorno quanto parve loro» (corsivi nostri).
39 Goro Gheri a Bernardo Fiamminghi, Firenze, 24 aprile 1517 (ASFi, Copialettere Gheri, 2, 175r). La lettera è cancellata con delle barre diagonali.
40 Il cardinale Giulio de’ Medici a Lodovico Canossa, Roma, 27 aprile e 8 maggio 1517 (C. Guasti, I Manoscritti... cit., p. 168 e 170-171).
41 M. Simonetta, Volpi... cit., p. 161 e s. con il calcolo dei soldi incamerati nella privazione dei benefici ai vari cardinali coinvolti nella presunta congiura.
42 Ibid., p. 201: pagamento di 45.000 ducati per gli arretrati dei mercenari più 60.000 di compenso.
43 Si stima che la disastrosa guerra d’Urbino costò circa 800.000 ducati, 50.000 al mese, più di quanto tutta la vittoriosa discesa di Carlo VIII era costata nel 1494! Il Cerretani (Ricordi... cit., p. 347) parla di «più che 900 mila ducati» spesi da Firenze e dal papa. Un dettaglio rivelatorio: Giulio de’ Medici inviò Cinzio da Tivoli nel contado di Perugia per contrattare un compenso ai guasconi passati al servizio feltresco; M. Gattoni, Leone X... cit., p. 171 (ASFi, Manoscritti Torrigiani III, Guerra d’Urbino).
44 B. Cerretani, Ricordi... cit., p. 348: «perché il metterssi in mano a tantto re era pericholoso»; cfr. M. Simonetta, Il matrimonio di Lorenzo e Maddalena... cit.
45 Sull’eredità del ducato di Urbino si accaniranno, oltre a Caterina de’ Medici, il cardinale Ippolito e il duca Alessandro dopo la morte di Clemente VII nel settembre 1534, e dopo la morte di entrambi, fra la vedova di Alessandro, Margherita d’Austria, e Cosimo I de’ Medici. Uno studio sulla questione su fonti fiorentine e francesi è in corso da parte di Guido Rebecchini insieme a chi scrive.
46 Il cardinale Giulio de’ Medici vicecancelliere a Francesco Maria Della Rovere, Firenze, 6 giugno 1519 (Lettere volgari di diversi nobilissimi huomini, et eccellentissimi ingegni, scritte in diverse materia, nuovamente ristampate et in più luoghi corrette, Venezia, 1564, III, p. 93-94).
47 M. Simonetta, Alberto Pio, un «diavolo» diplomatico nelle corti d’Italia e d’Europa, in Alberto Pio da Carpi e l’arte della diplomazia. Le «lettere americane» e altri inediti, Carpi, 2015, p. IX-LXII.
48 È curioso che anche Jean Barrillon nel suo Journal (Paris, 1897, I, p. 304) parlando degli aggressivi disegni del papa (aprile 1517) citi «Philippes-Marie, nepveu du feu pape Julles» . Il nome del Visconti duca di Milano, morto nel 1447, prima dell’ascesa di Francesco Sforza, interferiva nella memoria.
49 Francesco I ad Alberto Pio, Vergy, 19 giugno 1521 (Papiers d’Etat de Granvelle, Paris, 1841, I, p. 116-124, p. 123; Bibliothèque de Besançon, Apologie de l’empereur Charles-Quint, Ms. Granvelle 86, fol. 219v-221r, 221r). Nel seguito della lettera sono elencati tutti i benefici ecclesiastici concessi da Francesco I a prelati filomedicei, fra cui lo stesso cardinale Giulio de’ Medici, i cardinali Bibbiena e Cybo, e il vescovo di Tricarico Lodovico Canossa. È da notare che a questa lettera si riferisce il Pio in una appassionata apologia rivolta a Gian Matteo Giberti da Carpi, 25 aprile 1522 (Lettere di Principi I... cit., 73v-75r, 74r): «Che ancora quei Signori dicano hauer lettere intercette, che dichiarano, che io ho cercato, & proposto la ruina loro & c. che habbiano lettere, esser può, ma mie non già. Et che per quele si manifesti, ch’io habbia proposto la ruina, & il danno della Maestà Cesarea & c. non può esser uero, perché non fui mai né autore, né inuentore, né suasore, che fosse fatta alcuna ingiuria, o incommodo alla prefata Maestà» (corsivi nostri). Cfr. M. Simonetta, Alberto Pio... cit., p. xxxii (dove si cita per errore dal tomo II delle Lettere di Principi invece che dal tomo I, nella seconda edizione del 1564). Nelle polemiche degli anni futuri, per esempio nell’opuscolo Pro Divo Carolo stampato a Magonza nel 1527, e persino in un discorso fatto a Roma nel 1536, l’imperatore non cesserà di far riferimento a questa lettera come prova del mal volere di Francesco I contro di lui.
50 BnF, Fr. 3087, f. 235 (senza data, ma probabilmente dei primi mesi del 1522, quando il cardinale era rientrato a Firenze).
51 Sulla congiura del Soderini cfr. M. Simonetta, Volpi... cit., p. 247 e s. e il saggio di Juan Carlos D’Amico in questo volume.
52 Francesco I ad Adriano VI, s.l., 4 luglio 1523 (BnF, Fr. 3002, fol. 1r-5v; in E. Rodocanachi, Histoire de Rome. Les Pontificats d’Adrien VI et de Clément VII, Paris, 1933, Appendice IV, p. 277-279).
53 M. Simonetta, Le rôle de Francesco Guicciardini... cit.; Id. La Storia d’Italia del pennaruolo... cit.
54 ASFi, CS, Serie I, 241 c. 16. Si noti che nelle carte seguenti di questa filza ci sono alcune lettere del 1517 che documentano le fasi salienti della guerra di Urbino, come a dimostrare la tesi di questa anonima denuncia: c. 25, gli Otto a Francesco Vettori, Firenze, 15 maggio 1517: «Li inimici verso Pesero a questi giorni parendo loro essere superiori per alquanto sinistro che dectono alli nostri per tristizia de Guasconi che erono dal canto loro, li quali dipoi in buona parte si unirono con li inimici hanno preso partito lasciare guardato Urbino dalli homini del paese» (corsivi nostri); c. 26, Giulio de’ Medici a Francesco Vettori, Roma, 20 agosto 1517 sulle capitolazioni con Francesco Maria e il ruolo del legato Bibbiena, che l’anno successivo si sarebbe ritrovato alla corte di Francia.
Auteur
The Medici Archive Project, Firenze
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