La restituzione del maltolto nei testamenti bolognesi dai documenti dell’archivio di stato
p. 87-109
Résumé
L’articolo presenta i primi risultati di una ricerca in corso sul fenomeno delle restituzioni dei profitti illeciti, prevalentemente quelli di origine usuraria, disposte nei testamenti bolognesi del XIII e XIV secolo. Riassunte rapidamente le questioni dell’usura, dal punto di vista dell’etica economica medievale, e del contrasto fra normativa statutaria comunale e diritto canonico sulla liceità dell’interesse creditizio, si esamina la prassi testamentaria in materia di restituzione degli illeciti guadagni e si focalizza infine l’attenzione sul caso bolognese, documentato da un ricchissimo patrimonio di testamenti, provenienti dagli archivi conventuali di San Francesco e di San Domenico e oggi conservati presso l’Archivio di Stato di Bologna.
Texte intégral
1Nel caso di Bologna, più forse che per altre realtà cittadine, le fonti testamentarie sono rimaste ai margini della ricerca sulla storia del credito e dell’usura, che si è giovata invece di una grande abbondanza di contratti di mutuo e di fonti fiscali1. Documenti di grande interesse, questi ultimi, certamente in grado di alimentare numerose riflessioni sul tema dell’entità, della tipologia e degli andamenti dei contratti, sulla politica degli investimenti messa in atto dai gruppi bancari, sui rapporti fra credito e potere e così via. Quelle fonti risultavano tuttavia meno aperte, e inevitabilmente, sul versante più intimo e suggestivo degli atteggiamenti mentali dell’uomo d’affari nei confronti del divieto canonico dell’usura e della natura peccaminosa di ogni interesse creditizio2. Su questa densa tematica, al crocevia fra storia del credito ed etica economica medievale, la ricerca ha fatto sì passi rilevanti in tempi recenti, valorizzando anche fonti testamentarie, in ambito toscano e veneto ad esempio, ma non a Bologna, dove pure si conserva un patrimonio documentario due-trecentesco di straordinaria ricchezza. È probabile, anzi, che proprio l’abbondanza delle fonti testamentarie bolognesi abbia scoraggiato finora una ricerca organica su questo tema. Le riflessioni che offro al nostro seminario vorrebbero delineare dunque, in primo luogo, il panorama documentario in cui potrebbe muoversi una ricerca sulle restituzioni testamentarie a Bologna, proponendo poi qualche essenziale e del tutto provvisoria linea interpretativa dei dati emergenti da un primo sondaggio delle fonti.
2Gli atti di ultima volontà rappresentano probabilmente non più di un terzo della documentazione notarile dei secoli XI-XIV conservata dall’Archivio di Stato di Bologna3. I testamenti conservati in originale sono un numero piuttosto scarno fino al 1270: sei per il secolo XI, 28 per il XII, 220 per i primi settant’anni del Duecento. Nell’insieme dunque poco più di 250 documenti, abbastanza equamente distribuiti fra alcuni archivi monastici e conventuali consultabili ora presso l’Archivio di Stato. La situazione cambia radicalmente in conseguenza della normativa statutaria del 1265, redatta sotto la direzione dei frati gaudenti Loderingo degli Andalò e Catalano dei Catalani. I nuovi statuti creavano le premesse per una vera rivoluzione documentaria: tutti i contratti notarili che riguardavano cifre superiori alle 20 lire di bolognini dovevano essere registrati presso il nuovo Ufficio dei Memoriali; per i testamenti in particolare il legislatore prevedeva anche una diversa prassi conservativa: il testatore, cioè, poteva far registrare l’atto a proprie spese presso l’Ufficio dei Memoriali, oppure depositarlo in originale, segreto e sigillato, presso la sagrestia del convento dei Predicatori o quella dei Minori4.
3La riforma fece sì che le due sagrestie divenissero luoghi privilegiati di conservazione di testamenti originali, e non solo per quelli che istituivano i conventi dei Mendicanti come eredi o come titolari di legati, o per quelli che designavano i frati come esecutori testamentari, numerosi, come vedremo, nel caso di testatori usurai. D’altra parte, ai due conventi gli statuti riservavano un ruolo archivistico e istituzionale di rilievo, destinando loro la seconda e la terza copia dei registri Memoriali, i cui originali erano affidati alla Camera actorum del Comune. Più in generale, la nuova legislazione imponeva agli organi di governo e agli uffici comunali un più rigoroso controllo dell’autenticità e dell’accurata conservazione dei documenti notarili. L’effetto si manifesta con immediatezza davanti ai nostri occhi: limitandoci ai testamenti, si passa dai 220 dei primi settant’anni del secolo XIII a più di 5.500 documenti per il periodo 1270-1350, conservati nell’archivio di San Francesco (poco più di 2.500) e in quello di San Domenico (quasi 3.000)5. A questa mole occorrerebbe aggiungere, naturalmente, i testamenti registrati nei Memoriali, che sono in grande maggioranza diversi da quelli conservati in originale, come prevedeva la legislazione, e che assommano per il solo periodo 1265-1300 a più di 15.000, ma a parte ogni considerazione quantitativa, le registrazioni dei Memoriali risulterebbero scarsamente utili alla nostra ricerca, dato che si limitano a riportare le publicationes dell’atto (nome del testatore, data e luogo, nomi dei sette testimoni), non fornendoci elementi sui legati e, fino al 1290, neppure sul patrimonio e sugli eredi designati6. Questo ci consente di escludere, senza troppi rimpianti, i Memoriali dal nostro orizzonte di studio, e tuttavia, pur limitandosi ai testamenti conservati in originale dagli archivi conventuali di Predicatori e Minori, la ricerca non potrà proporre al momento che un campione molto ristretto a fronte di una documentazione di tale abbondanza e, da questo punto di vista, pressoché inesplorata. Esilissimo, anzi, e del tutto provvisorio, il nostro campione prenderà in esame una trentina di testamenti su circa 5.500, datati fra il 1251 e il 1349, tutti depositati, come dichiara la nota di versamento che segue le pubblicazioni chiudendo l’atto, presso la sagrestia di uno dei due conventi, dopo essere stati sigillati alla presenza del priore dei Predicatori o del guardiano dei Minori. Nonostante questi limiti, il repertorio cercherà di essere rappresentativo sia di banchieri di professione, esponenti delle famiglie creditizie più potenti e immatricolati alla Società del Cambio, per i quali l’usura costituiva un rischio professionale pressoché inevitabile, sia di prestatori occasionali, che avevano ceduto alle lusinghe del turpe lucro, pur provenendo da famiglie dell’aristocrazia fondiaria o dalle professioni giuridiche. Fra gli appartenenti alle famiglie del Cambio troveremo Pepoli, Baciacomari, Tettalasini, Pizzigotti, Beccadelli e così via; a rappresentare onorevolmente la più antica nobiltà bolognese i Lambertini e i Galluzzi, mentre Giovanni Mantighelli, Lambertino de’ Paci e il notaio Pietro Maranesi saranno chiamati ad interpretare il ruolo del giurista-usuraio7. In quegli anni d’altra parte, come ricorda una nota sentenza di Roffredo Beneventano, a Bologna Quicumque habet pecuniam ut possit fenus committere incontinenti efficitur campsor…8.
4La restituzione dei male ablata è, senza eccezioni, la prima clausola del testamento, sempre introdotta da in primis o primo, e preceduta solo dal proemio, in cui si succedono: data e nome del testatore, arenga, cenno alle condizioni mentali e fisiche del testatore, tipologia dell’atto e sua destinazione conservativa, cioè il deposito del documento sigillato presso la sagrestia conventuale, confermato in coda all’atto da un’apposita nota9. Alla fine dell’area introduttiva e prima dell’elencazione di altri legati, vengono disposte le restituzioni. Procederò nell’esposizione seguendo lo schema proposto dai trattati scolastici, quello oliviano in primo luogo, in tema di restituzioni: che cosa si restituisce, chi deve restituire, a chi si deve restituire, perché e come si deve restituire10. Affronterò infine il tema di alcuni legati pro anima, contigui ma distinti rispetto a quelli delle restituzioni.
Che cosa si deve restituire e in quale misura
5Oggetto della restituzione sono tutti i male ablata, acquisiti con l’usura (per usurariam pravitatem) o con qualunque altro mezzo illecito. Il verbo che esprime la sottrazione illecita è extorquere (omnia quae reperitur extorsisse a quibuscumque è l’espressione più ricorrente), e questo, per inciso, sembra richiamare in modo molto suggestivo il lessico tradizionale delle usurpazioni dei beni ecclesiastici, da cui deriva, secondo la critica più recente, tutta la dottrina delle restituzioni11. I proventi usurari sono dunque quelli di cui con maggiore frequenza di dispone la restituzione, sia da parte dell’usuraio stesso, sia ad opera di testatori che sono discendenti o eredi di usurai, tenuti a restituire i proventi delle illecite attività del genitore o del nonno o bisnonno, o anche del marito defunto: il caso è piuttosto frequente, a testimonianza del fatto che spesso le disposizioni testamentarie degli avi non avevano trovato piena esecuzione da parte dei commissari, il che naturalmente proiettava sugli eredi le conseguenze spirituali dell’inadempienza, prolungando cioè nelle generazioni il potere contaminante di quelle ricchezze. Ma i nostri testamenti documentano anche numerosi casi di male ablata di origine non usuraria, esplicitamente dichiarati al momento di disporne la restituzione. Si tratta ad esempio dei proventi di malversazioni e appropriazioni indebite, compiute durante attività di governo, ai danni di comunità cui dunque va restituita la somma corrispondente. Ruggero Galluzzi, che aveva svolto mansioni di podestà di bandiera nel territorio di Medicina, incarica i suoi esecutori di provvedere a due restituzioni, ciascuna di 20 lire di bolognini, a vantaggio delle comunità della villa e del castello di Medicina, cui aveva indebitamente sottratto quei denari12. In altri casi si istituiscono legati per il risarcimento di danni provocati per negligenza nell’esercizio di importanti funzioni politiche o amministrative. Lambertino de’ Paci, esponente di una famiglia che aveva fornito numerosi e autorevoli consulenti giuridici al governo comunale, ha coscienza di aver provocato un danno grave alle istituzioni cittadine durante un’ambasceria svolta anni prima: quantifica il danno in 50 lire di bolognini e dispone la restituzione di questa somma al Comune di Bologna13.
6Le professioni giuridiche offrivano, a quanto pare, frequenti occasioni di illeciti guadagni e il testamento del notaio Pietro Maranesi proietta alcune luci su questo interessante scenario14. Al momento di dettare le sue disposizioni, nell’ottobre del 1300, Pietro ha coscienza di aver indebitamente acquisito parte del patrimonio (terra, casa e suppellettili) del suo vicino Dondideo di Ognibene. Non sa però quanto di tutto questo vada effettivamente restituito, né sa indicare con precisione i destinatari della restituzione, essendo nel frattempo morto il danneggiato. Si affida quindi ad una commissione di sapienti, che verrà designata dai suoi esecutori testamentari. A questi sapienti è delegato il compito di stabilire l’entità della restituzione e individuarne i destinatari. Altre fonti contribuiscono a dare spessore e interesse alla vicenda15. La vittima dell’estorsione, Dondideo, era figlio di un eretico cataro, Ognibene da Mantova, processato a Bologna nel 1291 da frate Galvano da Budrio, vicario dell’inquisitore domenicano Florio da Vicenza. Lo stesso frate Galvano compare ora, nel 1300, nel ruolo di consigliere spirituale di Pietro Maranesi e, come vedremo tra breve, di numerosi altri testatori afflitti da problemi di coscienza, ruolo delicato e spesso compensato anch’esso con lucrativi legati. In questo caso particolare, sembra probabile che il testatore si fosse appropriato, all’epoca del processo del 1291, di beni appartenenti alla famiglia dell’inquisito, e che l’allora inquisitore, ora suo consigliere, al corrente dei fatti, gli abbia imposto la restituzione di quelle illecite acquisizioni.
7Quanto si deve restituire? Tutto ciò che è oggetto di una acquisizione illecita va restituito, in misura integrale fino al completo risarcimento, qualora si tratti di cifre note attraverso documenti scritti o dichiarazioni attendibili di testimoni o giuramento di chi subì l’estorsione. È previsto, e molto frequente peraltro, il caso che le cifre da restituire non siano definite nell’atto nella loro precisa entità, in quanto il testatore non ne ha esatta cognizione; le vittime di usure o altre estorsioni che potranno dimostrare i loro diritti andranno comunque risarcite, ricorrendo se necessario al patrimonio ereditario. Vi saranno tuttavia, come tutti i testamenti di grandi usurai prevedono, estorsioni che comunque non verranno risarcite, perché le vittime, titolari di quei crediti, sono morte senza eredi, o sono troppo lontane, o ignare della possibilità del risarcimento. Sono questi i veri male ablata incerti, per i quali i testatori stabiliscono cifre da destinare a iniziative pie o assistenziali, affidandone l’esecuzione ai loro commissari con la consulenza di religiosi esperti. Per i prestatori di professione si tratta in genere di cifre modeste, dato che l’attività creditizia era solitamente sostenuta da documentazione piuttosto precisa. Nella maggioranza dei casi, le somme destinate alla restituzione dei male ablata incerti non superano le 5-10 lire di bolognini; ci sono però nel nostro piccolo dossier due eccezioni significative. Bolognino Basacomari, che fa testamento nel 130916, ha coscienza di essere tenuto a restituzioni ingenti di usure, che non verranno richieste, per l’antichità dei contratti, la morte degli estorti, l’assenza di eredi e così via. Ritiene che la cifra complessiva di questo debito sia superiore alle 500 lire e quindi stabilisce di destinare questa somma alla costruzione di una chiesa nelle sue proprietà di Varignana, edificio poi effettivamente realizzato, come documentano numerose altre fonti17. Inferiori, ma pure consistenti, le cifre destinate ai male ablata incerti da Marchesino Manaresi, che nel suo testamento del 1300 fa riferimento a cinque contratti, o “promesse di debito”, per complessive 100 lire di bolognini, in cui si impegna a restituire quei denari ai frati di San Domenico, rappresentati dal sindaco del convento, che provvederanno a destinarli nel modo più opportuno ad opere di misericordia18. L’entità della restituzione è dunque integrale, se compiuta dall’usuraio o disposta nel suo testamento, ma nel caso non infrequente che di fatto non venga eseguita, e ricada quindi sugli eredi, ognuno di questi sarà tenuto a provvedervi in proporzione alla propria parte di eredità e, qualora anche gli eredi non lo facciano in vita, saranno a loro volta tenuti quantomeno a disporre la restituzione nelle ultime volontà: vediamo così in alcuni casi prolungarsi il debito da una generazione all’altra, mentre, secondo la dottrina agostiniana tramandata dal Decretum e dal Liber Sextus19, peccatum non dimittitur nisi restituatur ablatum: nel frattempo dunque l’anima dell’avo avrebbe atteso pazientemente in Purgatorio che gli eredi distratti adempissero all’obbligo. Torneremo tra breve su questo interessante tema con qualche esempio concreto.
Chi deve restituire
8La frase che comunemente introduce il legato della restituzione è «se non vi avrà provveduto il testatore»; è teoricamente previsto quindi che il responsabile delle estorsioni risarcisca personalmente, prima di morire, le sue vittime. Questo di fatto non avviene quasi mai e della restituzione sono incaricati i commissari, designati dal testatore e nominati nell’atto, normalmente alla fine dell’elencazione dei legati e prima della istituzione degli eredi. Il che esprime come nel testamento la restituzione preceda, sul piano etico e giuridico, la designazione ereditaria. Prima si dovrà procedere a restituire il maltolto, poi si potrà entrare in possesso dell’eredità.
9Così, del resto, consigliava di procedere la migliore tradizione notarile, rappresentata all’epoca da Rolandino Passaggeri, che invitava il testatore a conferire ai commissari assoluta libertà di disporre del patrimonio, per dare piena esecuzione alle restituzioni. Se occorresse un’ulteriore prova del ruolo di assoluta preminenza che l’opera di Rolandino svolge, fin dai primissimi anni dalla sua pubblicazione, verso il 1255, nell’indirizzare l’attività dei notai bolognesi, ci si potrebbe appunto rivolgere alle questioni dei male ablata e della loro restituzione testamentaria20. Vicinissimo per tutta la sua vita alla spiritualità mendicante, ed in particolare a quella domenicana, Rolandino recepisce con sollecitudine l’ispirazione antiusuraria che proveniva da quella fonte e la traduce nella prassi notarile con la consueta discrezione e ragionevolezza. Già nella rapida attenzione che dedica all’arenga, Rolandino definisce chiaramente la duplice funzione, spirituale e giuridica, del testamento, che deve assicurare la salvezza ultraterrena del testatore, non meno che definire la destinazione del suo patrimonio. Ma è soprattutto nell’approfondita trattazione dei legati che queste due funzioni prendono corpo con evidenza e concretezza. Nel Tractatus formarum i legati sono classificati in quattro categorie: legati per la restituzione dei male ablata, legati pro anima destinati a opere di carità, legati a parenti e amici, legati a madre e moglie. La precedenza assoluta va dunque alla restituzione del maltolto, senza la quale non può esservi assoluzione del peccatore. In questa scelta si esprime in tutta evidenza il prevalente interesse per il destino spirituale del testatore; è questo il punto in cui il ruolo del notaio si accosta più da presso a quello del confessore o del consigliere spirituale. Ne sembra ben consapevole Pietro Boattieri, quando, commentando questo passaggio nella Summa rolandiniana, consiglia ai notai di dare indicazioni in merito ai testatori, ma con discrezione, occulte, non palam, non chiedendo cioè direttamente se sono state commesse usure, per non suscitare vergogna, ma velatamente suggerendo l’opportunità di provvedere ad un’eventuale restituzione21. Nel Flos testamentorum Rolandino affronta poi la questione specifica delle restituzioni, dimostrando conoscenza approfondita dei problemi tecnici ed etici connessi all’attività creditizia, ed elaborando soluzioni efficaci e rispettose dei principi dottrinali. Per adempiere degnamente al proprio delicatissimo compito, il notaio deve orientarsi fra quattro ipotesi, che configurano situazioni personali e professionali distinte. Nel primo caso, il testatore ha pochi male ablata e ha perfetta coscienza delle cifre estorte e delle persone danneggiate: la restituzione sarà quindi semplice e precisa per oggetto e destinatari. Questa, commenta Rolandino, è la via più sicura per la liberazione dell’anima. Può anche accadere, ed è il secondo caso contemplato, che il testatore abbia coscienza delle restituzioni da compiere, ma non voglia renderle pubbliche per timore della cattiva fama, esigenza di riservatezza, questa, prevista anche nel trattato dell’Olivi. Rolandino consiglia di redigere in questo caso una scheda particolareggiata, un documento distinto in cui elencare beni e persone; questa schedula dovrà essere sigillata alla presenza del confessore o del consigliere spirituale e di due testimoni. Il testamento dovrà poi far esplicito riferimento al documento sigillato: l’esecutore designato, cui verrà assegnata un’apposita cifra, dovrà quindi aprire la scheda e provvedere alle restituzioni indicate. Dopo i due casi tecnicamente più semplici, Rolandino configura situazioni spirituali e contabili più spinose. Il testatore può aver compiuto un numero tale di acquisizioni illecite, che sarebbe impossibile elencarle tutte in un testamento ed anche in un documento separato, e tuttavia sa che i suoi creditori sono in qualche modo reperibili. In questo caso dovrà ordinare agli esecutori designati di procedere alle restituzioni sulla base delle prove e delle testimonianze prodotte dagli interessati. L’ultimo caso previsto è quello che riguarda i male ablata incerti: il testatore sa di aver compiuto molte illecite acquisizioni, ma non è in grado di precisare cifre e nomi dei creditori e dubita anche che questi ultimi, per diverse ragioni, possano presentarsi a far valere i propri diritti. È la situazione più complessa, che richiede l’istituzione di un legato pro anima, cioè una somma adeguata che gli esecutori, su consiglio di persone religiose esperte in questa specifica materia, distribuiranno in opere di carità nel modo più efficace per la salvezza dell’anima del testatore. L’integrale risarcimento dei male ablata, certi e incerti, deve precedere dunque ogni altra operazione patrimoniale e a questo scopo l’intero patrimonio è obbligato ai commissari esecutori: ai princìpi dettati da Rolandino si ispirano fedelmente i notai rogatari dei nostri testamenti.
10Quanti sono e chi sono i commissari testamentari dei nostri usurai? Spesso due o tre, talvolta anche cinque o più: nelle commissioni più numerose, che caratterizzano i testamenti dei grandi usurai, sono presenti regolarmente un congiunto del testatore (la moglie, il fratello, un figlio) e quasi sempre uno o più religiosi, minori o predicatori. Si tratta di solito del consigliere spirituale del testatore, spesso anche suo confessore, ma si segnalano, nei testamenti di esponenti delle maggiori famiglie (Pepoli, Lambertini, Baciacomari, Pizzigotti), le presenze non infrequenti dei superiori dei due conventi mendicanti (il guardiano di San Francesco e il priore o vicepriore di San Domenico) e anche quella del vescovo cittadino. In alcuni casi particolarmente complessi, queste commissioni, indipendentemente dalla loro estrazione socio-culturale, sono chiamate a ricorrere alla consulenza di figure esterne, sapienti religiosi giudicati dal testatore particolarmente esperti ed affidabili nel consigliare le procedure più idonee per le restituzioni. Nella funzione di consigliere spirituale, di esecutore testamentario e di sapiente troviamo con una certa frequenza, anche a distanza di anni e in testamenti di famiglie diverse, alcuni frati domenicani, che evidentemente avevano raggiunto una certa specializzazione in quel ruolo, ricavandone prestigio e non piccoli compensi economici, in forma di specifici legati «per le loro necessità»: è il caso dei frati Pietro da Trento22, Galvano da Budrio23, Giovanni Gosberti24, Omobono da Bologna25, tutti domenicani del convento bolognese. La loro competenza spirituale e tecnico-finanziaria si esercita non solo in tema di usura, ma più in generale a proposito di restituzione di acquisizioni illecite, come nel caso di estorsioni compiute nel corso di attività di governo, che i testatori dicono di voler risarcire «secondo coscienza e secondo il consiglio di frate Aldrovando »26.
A chi si deve restituire
11I destinatari delle restituzioni vengono definiti nei testamenti come «coloro ai quali si dimostrerà che le restituzioni siano dovute» oppure «coloro cui si deve restituire a giusto titolo», dunque, rinviando per ora la questione delle modalità di dimostrazione, si dovrà restituire alle persone fisiche o giuridiche che avevano subito l’estorsione oppure ai loro eredi. Nel caso dei male ablata incerti, i destinatari delle restituzioni sono genericamente «i poveri di Cristo», che verranno poi concretamente individuati dai commissari; non è infrequente che queste cifre siano destinate invece al convento dei Predicatori, che provvederà a utilizzarle per il meglio. Ma si tratta, si diceva e con le citate eccezioni, di piccole cifre. Banchieri e cambiatori, ma anche alcuni prestatori occasionali, hanno precisa e documentata cognizione, oltre che chiara coscienza delle usure estorte, sanno quanto va restituito e a chi e per questo prevedono nei loro testamenti che, almeno teoricamente, tutto l’asse ereditario possa essere obbligato a questo uso27.
Perché si restituisce
12Si restituisce in primo luogo per il bene dell’anima del testatore (pro anima mea, pro bono animae meae), ma anche per l’anima di coloro che subirono le usure: quando si dispongono opere di misericordia oppure la costruzione e la dotazione di edifici sacri con i male ablata incerti, queste opere e questi edifici, e gli uffici divini in essi celebrati, devono andare a suffragio delle anime del testatore-usuraio e delle sue vittime, accomunate dunque nei benefici spirituali della restituzione così come erano legate, ma con opposti effetti, dall’azione perversa dell’usura. Se il testatore è erede di usuraio, ma non usuraio a sua volta, la restituzione è fatta a suffragio dell’anima dell’avo, o del marito. Nel caso di figlie di usurai, la restituzione riguarda spesso la dote loro assegnata dal padre: costituita con i proventi dell’usura, viene considerata, secondo la dottrina, ricchezza contaminata e indisponibile, e quindi messa a disposizione per la restituzione. Così Giacoma, figlia di Giacomo Milanetti e vedova di Nicolò Rodaldi, nel 1320 mette a disposizione dei suoi commissari la propria dote, costituita «con la malvagità usuraria del suo defunto padre», affinché essi provvedano a risarcire le vittime e, aggiunge la testatrice, tutto ciò «per consiglio di prudenti religiosi »28. Senza pronunciare inclementi giudizi a carico del padre, di cui è unica erede, Maddalena Lambertini è tuttavia cosciente che il proprio patrimonio è gravemente contaminato a causa di guadagni illeciti. Dispone quindi tutte le necessarie restituzioni, «per la liberazione dell’anima del detto suo padre e della propria »29. In un altro caso, la testatrice è coerede del padre usuraio e dispone la restituzione delle usure paterne in proporzione di 1/5, corrispondente alla propria quota di eredità, come risulta da «un certo quaderno, sigillato col sigillo dei frati predicatori, conservato nella sagrestia del detto convento»30.
13La situazione più interessante è probabilmente quella, cui già si accennava, di usurai figli e nipoti di usurai, che restituiscono per il bene dell’anima propria e degli antenati, in una continuità intergenerazionale di usure e restituzioni. Si tramandavano in questi casi, di generazione in generazione, legati di restituzione non eseguiti, cui si aggiungevano, di padre in figlio, nuove usure e quindi nuove restituzioni. I risultati di queste catene di inadempienze sono documentati, per la famiglia Basacomari, dal testamento di Bolognino del 1309 e da quello del suo erede universale, il figlio Pietro (1319)31. Giacomo di Alberto Artenisi dispone nel suo testamento una restituzione articolata, che riguarda le usure proprie, quelle del padre, del nonno e del fratello, tutti molto attivi nel settore creditizio32. Nel testamento di Giovanni Basacomari si arriva alle usure documentate del bisnonno e si dispone quindi una restituzione per il bene delle anime di quattro generazioni di usurai33. Si tratta in questi casi di operazioni tecnicamente molto complesse, anche se sostenute da precisa documentazione scritta, che prevedono infatti compensi piuttosto alti, fino a 20 lire di bolognini, per gli esecutori testamentari. Per le inadempienze più gravi e recidive, infine, sono previste cauzioni testamentarie da prestarsi al vescovo a garanzia della restituzione: anche su questo torneremo tra breve.
Come si restituisce
14La restituzione delle usure, così come l’attività perversa che le ha prodotte, implica operazioni complesse e richiede l’impiego di una grande varietà di documenti scritti. Quelle stesse scritture, quei libri contabili, che erano stati strumento di dannazione per l’usuraio, diventano ora strumenti di redenzione, indispensabili nell’una e nell’altra fase della sua vita. Le restituzioni infatti si basano in primo luogo sui libri della ragione, in cui gli usurai registravano nomi dei debitori, entità dei prestiti e interessi percepiti. A quei documenti ricorreranno quindi gli esecutori testamentari, per restituire ad ognuno le cifre a suo tempo pagate e a quella fonte ogni interessato potrà fare riferimento per essere risarcito. Occorrerà naturalmente provvedere ad informare gli interessati della possibilità di risarcimento e quindi il testatore deve anche predisporre una forma di pubblicazione delle restituzioni nelle zone in cui aveva esercitato l’usura: preconiçare è il verbo che normalmente esprime nei testamenti questa attività di informazione. Lambertino Paci, ad esempio, dispone che a sue spese si proclami (preconiçetur) nella città di Bologna e nelle terre di Casio, Tossignano, Castelleone, Scaricalasino e Lugo, affinché chiunque avesse subito da lui estorsioni si rechi di fronte ai suoi commissari a dimostrare i propri diritti, per ottenere il giusto risarcimento34. Ma nei testamenti si citano anche altri documenti, cui si può fare riferimento per le restituzioni, documenti corrispondenti a quelli che ricordiamo descritti da Rolandino nelle sue opere: cedole e quaderni, appositamente scritti dal testatore e consegnati ai frati del convento domenicano, per essere sigillati col sigillo del priore e poi aperti insieme col testamento, anch’esso, si ricorderà, destinato a quel luogo di conservazione. A questi documenti specifici e riservati, in cui sono registrate le usure da restituire, si dovrà prestar fede, dichiarano i testatori, come ai libri della ragione e alle pubbliche scritture35. Il frate consegnatario di questa documentazione (libri della ragione, cedole, quaderni delle usure) è spesso il consigliere spirituale del testatore ed è sempre uno dei commissari-esecutori, il che facilita queste complesse operazioni, in cui come si accennava troviamo impegnati in modo ricorrente alcuni religiosi: frate Aldrovandino, frate Bonvicino, frate Alberico, tutti domenicani del convento bolognese. Non è raro tuttavia che i documenti per le restituzioni non siano stati consegnati ai frati commissari, ma affidati alla custodia del vescovo, cui ci si dovrà rivolgere all’apertura del testamento. Questa anzi è la norma, nel caso, documentato in una quaestio di Marsilio Mantighelli, in cui il testatore abbia designato il vescovo come esecutore: insieme con la cauzione saranno conservati dal vescovo anche libri e cedole che documentano le usure, anche se gli esecutori sono frati predicatori36. Un certo numero dei nostri testamenti fa appunto riferimento a queste cauzioni-promesse, prestate dai testatori nelle mani del vescovo e rogate da un notaio vescovile, che può essere, ma non necessariamente, lo stesso rogatario del testamento37. D’altra parte tutta questa procedura, che coinvolgeva frati del convento domenicano e apparati vescovili, era facilitata a Bologna dagli stretti rapporti esistenti nel Duecento fra le due istituzioni e dal fatto che per non brevi periodi la cattedra vescovile bolognese fu occupata appunto da un domenicano38.
15In tutti i testamenti è previsto tuttavia che alcune usure non possano essere documentate da scritture: potranno ugualmente essere restituite, purché gli interessati siano in grado di dimostrare i propri diritti attraverso il giuramento e attendibili testimonianze. La completa soddisfazione di tutte le proprie vittime è infatti la prima preoccupazione degli usurai-testatori; per questo, senza eccezione, tutti i nostri atti conferiscono ai commissari piena e assoluta libertà di gestione del patrimonio ereditario, prevedendo, e prevenendo ogni eventuale opposizione degli eredi, che i legati specifici si rivelino insufficienti al risarcimento: anche in questo la prassi notarile bolognese sembra adeguarsi fedelmente alla dottrina.
Oltre le restituzioni
16La restituzione dei male ablata è invariabilmente, come si accennava, al primo posto fra i legati testamentari disposti da banchieri e cambiatori e anche dai prestatori occasionali. Ci sono però nei loro testamenti altri elementi comuni e in qualche modo contigui alla tematica delle restituzioni. Il primo legato pro anima, dopo quello delle restituzioni, è destinato quasi sempre alla chiesa madre di San Pietro, per il risarcimento delle decime non corrisposte (pro restauracione decimarum) e per altri diritti del vescovo39; siamo dunque ancora in un’area tematica vicina a quella delle restituzioni e, più precisamente, nell’ambito delle estorsioni-usurpazioni di beni e diritti ecclesiastici. Seguono altri legati pro anima, piuttosto numerosi e, di solito, elencati nello stesso ordine, a testimonianza di una tradizione comune, effetto forse di un controllo ecclesiastico, che presiede ai testamenti della categoria. Sono cifre da devolvere, in primo luogo, per i «poveri di Cristo», che verranno individuati dai commissari40, e talvolta potranno comprendere un numero variabile di carcerati da nutrire e di fanciulle indigenti, cui fornire la dote nuziale41. Un numero consistente di legati viene poi disposto a favore dei conventi bolognesi. Sembra anzi delinearsi in proposito una gerarchia devozionale piuttosto precisa, perché ricorrono costanti, in questa area dei testamenti dei professionisti del credito, legati a scalare da 20 lire a 1 lira di bolognini: a partire da S. Francesco e S. Domenico, cui vengono destinate le cifre più consistenti (di solito la stessa cifra per i due conventi maggiori); poi cifre via via inferiori per le sedi di Eremitani, Serviti, Carmelitani, Umiliati, frati della Penitenza; e ancora più modesti, ma sempre presenti, legati per gli ospedali dei Devoti, di S. Lorenzo dei Guarini e così via, e infine per i molti romitori disseminati nel territorio bolognese42. A questi legati devozionali fanno seguito quelli personali, destinati a religiosi e religiose, al confessore, al parroco e al cappellano della parrocchia di residenza; tutti gratificati «per le loro necessità personali», talvolta specificate come esigenze di abbigliamento: per una cappa, per un cappuccio.
17Ultimi, ma non per importanza, vengono i legati per le messe in suffragio e per la sepoltura. Le messe vengono richieste di solito in quest’ordine: 1000 entro i primi sette giorni dalla morte, 1000 entro trenta giorni, 1000 entro l’anniversario43. Grande attenzione viene riservata nei nostri testamenti ai legati per la sepoltura, e questo ben si comprende considerando come, per chi si era in vita professionalmente compromesso con l’usura, l’accoglimento dopo la morte in terra consacrata costituisse il pubblico e solenne riconoscimento dell’avvenuta riconciliazione e, quindi, della intatta onorabilità sociale della famiglia. La chiesa scelta per la sepoltura è nella maggioranza dei casi quella di San Domenico, in alternativa la chiesa della parrocchia di residenza o quella in cui è già presente una tomba di famiglia: è questo il caso di Giovanni Mantighelli, che chiede di essere sepolto nella chiesa di San Barbaziano, accanto alla tomba del padre Marsilio44. Per la sepoltura vengono disposti legati consistenti, 10 o 15 lire e anche cifre superiori, in favore delle chiese ospitanti; spesso inoltre i paramenti di seta utilizzati per il baldacchino funebre, che possono valere in alcuni casi vere fortune (fino a 20 o 30 lire di bolognini), vengono poi reimpiegati per realizzare pianete e altri paramenti liturgici, destinati al corredo della chiesa45. Altri specifici legati, infine, sono disposti per opere di misericordia, a favore di poveri e fanciulle da maritare, in occasione dei funerali e poi periodicamente nella ricorrenza della morte, impegnando dunque per anni e anni i commissari-esecutori in queste salvifiche attività a vantaggio dell’anima del testatore46.
Qualche riflessione conclusiva
18Pur su toni di provvisorietà, come ci impone questa fase della ricerca, si può tentare di dedurre qualche elemento di riflessione dall’analisi del nostro dossier documentario. Innanzitutto si dovrà osservare come, con assoluta evidenza e immediatezza, i testamenti bolognesi si propongano a noi come campo di ricerca fecondo e ricco di prospettive incoraggianti. Registriamo infatti la coincidenza di alcune circostanze favorevoli: la grande abbondanza a Bologna di fonti testamentarie dei secoli XIII e XIV ancora pressoché inesplorate; la possibilità di mettere a confronto la realtà bolognese con quella di altri contesti cittadini, meno ricchi di documentazione e anche per questo più studiati; il livello piuttosto avanzato della ricerca tematica su fonti documentarie di altro genere (fiscale, amministrativo) e su fonti dottrinali e normative.
19A parte queste considerazioni generali e programmatiche, è anche impossibile sottrarsi ad alcune suggestioni che affiorano già da questo primo sondaggio. Un dato emerge ad esempio in tutta la sua evidenza dalla fonte, allontanando il caso bolognese da quelli meglio illustrati dalla critica recente. A Firenze, come a Padova e Siena, il circolo virtuoso del denaro è alimentato soprattutto dai male ablata incerti, dalle usure che non potendo essere restituite ai legittimi creditori, le vittime dell’estorsione, andranno destinate a finanziare opere di pietà; è questo d’altra parte il poderoso movimento di denaro che, sotto la direzione degli ordini mendicanti, ha prodotto gli esiti più clamorosi e duraturi in campo assistenziale, religioso, artistico47. Tuttavia, sul piano dottrinale e, soprattutto, nella prassi penitenziale, la via maestra per il pentimento e l’assoluzione dell’usuraio era la restituzione fatta alle vittime dirette dell’estorsione o ai loro eredi: solo nel caso che fosse impossibile individuarle, o in mancanza di eredi, si potevano destinare ad altro uso le cifre corrispondenti. Ebbene, i testamenti bolognesi sembrano delineare in tutta evidenza un quadro di gran lunga prevalente in cui le vittime sono ben note e i male ablata tutt’altro che incerti, certissimi anzi e perfettamente documentati.
20Di grande interesse è anche il repertorio di soluzioni tecniche che i notai propongono alle esigenze patrimoniali e spirituali dei testatori, coordinandosi con la loro articolata documentazione aziendale e realizzando così una efficace e puntuale contabilità delle colpe e dei risarcimenti, condizione necessaria alla salvezza dell’anima e preliminare ad ogni disposizione ereditaria. La corrispondenza molto stretta fra queste soluzioni tecniche e i precetti della dottrina teologica e canonistica coeva è probabilmente da attribuirsi, nel nostro caso, al ruolo centrale che ebbero, nella società bolognese di quegli anni, il magistero e il prestigio professionale di Rolandino Passaggeri, uditore attento della predicazione mendicante ed efficace mediatore di quegli insegnamenti all’interno del ceto notarile. Più in generale, e soprattutto, si afferma con forza nei nostri documenti un’immagine del testamento come spazio esistenziale, oltre che giuridico, in cui fatalmente entravano in conflitto e cercavano una soluzione le tensioni della doppia morale, vissute quotidianamente da quegli uomini d’affari: onorati pubblicamente, nel mondo cittadino, come prestigiosi banchieri e, spesso, figure politiche di primo piano, e tuttavia interiormente tormentati dalla coscienza di aver costruito la propria fortuna con l’usura e l’estorsione. Spettatori molto interessati, ed anzi talvolta sapienti registi di quel dramma, frati francescani e domenicani, confessori e consiglieri dei banchieri, ne incoraggiavano il pentimento e accompagnavano poi le tappe spirituali ed economiche della loro complessa redenzione, per dare infine attuazione, come esecutori testamentari, ai legati di restituzione da essi stessi suggeriti. Abbiamo visto alcuni frati Predicatori (Pietro da Trento, Galvano da Budrio, Omobono da Bologna) entrare in scena ripetutamente al fianco di grandi banchieri e prestatori occasionali, per interpretare questi ruoli che richiedevano doti psicologiche e pastorali, ma anche competenze economiche e giuridiche, ottenendo in cambio, talvolta, piccoli benefici personali e, spesso, importanti benefici per il convento.
21La lotta all’usura, che con quella all’eresia era in quegli anni il primo dovere istituzionale per l’Ordine, si esercitava evidentemente non solo con la predicazione ma anche attraverso la quotidiana condivisione delle esperienze umane e professionali e poteva richiedere discrezione, non meno che rigore. Certo i pericoli di una complicità di fatto erano costantemente in agguato e i giudizi dell’opinione pubblica potevano essere impietosi: isti fratres sunt mali homines… et latrones cavati… et vadunt ad usurarios quando infirmantur et adulantur sibi et sepelliunt eos in Sancto Dominico et accipiunt usuras pro se, nec faciunt restitui illis personis, que debent habere; unde ipsi fratres deberent comburi48.
Annexe
Appendice documentaria
Pubblico qui di seguito due dei 32 testamenti citati nel testo: il primo, del 1275, tratto dall’archivio di S. Francesco, il secondo, datato 1300, da quello di S. Domenico. Nel primo i male ablata non sono specificamente di provenienza usuraria, ma frutto di probabili malversazioni o estorsioni, compiute nello svolgimento di incarichi pubblici. Suggerisce questa interpretazione il fatto che venga anche disposto il risarcimento di un possibile danno arrecato al comune di Bologna, durante una non meglio specificata ambasceria. Nel secondo testamento, che riguarda il patrimonio di un professionista del credito in procinto di affrontare il pellegrinaggio a Roma, i male ablata da restituire sono frutto delle attività usurarie del testatore e di suo padre; per rendere possibili le restituzioni, vengono infatti consegnati a frate Galvano, del convento di S. Domenico, i libri aziendali.
In entrambi i casi viene concessa ai commissari piena facoltà di disporre dell’intero patrimonio, per dare esecuzione alle restituzioni prima di procedere agli altri legati e alle assegnazioni ereditarie. Comune ad entrambi i documenti e a tutti gli altri testamenti citati nel testo, e direttamente riconducibile ai modelli scolastici49, è anche la struttura espositiva, che procede nel modo seguente: proemio (invocazione, data, identificazione del testatore, motivazioni); legati (pro male ablatis, a istituzioni religiose, a parenti e amici); nomina degli esecutori testamentari; istituzione degli eredi; clausola finalis; publicationes.
ASBo, Corporazioni religiose soppresse, S. Francesco, 338/5081II, num. 137.
In Christi nomine amen. Anno a nativitate Domini millesimo ducentesimo septuagesimo quinto, indictione tertia, die septimo mensis Iunii, tempore domini Gregorii pape.¶ Dominus Lambertinus quondam domini Rodulfi Pacis, de civitate Bononie, per Christi gratiam mente et corpore sanus, pro salute sue anime et ne decederet intestatus, presens testamentum sine scriptis de bonis et rebus ipsius in hunc modum facere procuravit. Quapropter in primis disposuit, iubsit et voluit quod omnia male ablata quae reperiretur ipsum abuisse ab aliqua persona seu universitate, seu que possent ostendi, debeant integre restitui de bonis suis, et spetialiter illa male ablata quae continentur in carta seu cedula quam dedit et designavit fratri Aldrovandino de Bononie de ordine Minorum et secundum conscilium et velle fratris Adrovandini predicti. Item voluit et disposuit quod preconiçetur suis expensis per civitatem Bononie et in terra Casi, Tauxignani, Castri Leonis, Scharegaglasini, Lugi et in terra Orbiçani […] si quis […] aliquid indebite abuisse, veniat coram suis commissariis […] restitutio […] omni eo quod ostendere potuerit ipsum indebite abuisse. Item reliquid Lando filio domini Johanini de Casaliclo decem libras bononinorum iure legati. Item reliquid pro anima sua, patris sui et matris sue trecentas libras bononinorum, quas expendi voluit per commissarios suos infrascriptos inter pauperes Christi et miserabiles personas, secundum quod eis melius videbitur, pro animabus ipsorum. Item reliquid ucxori sue domine Mambilie dotem suam et omnes pannos suos de dorso et de lecto et insuper de bonis suis iure legati quinquaginta libras bononinorum. Item voluit quod in domo sua manere et stare possit sine contradictione alicuius persone donec castam vitam ducere voluerit, utendo et fruendo masaritiis suis et domo sua. Item rogavit fratrem suum dominum Belvilanum, nepotes suos dominum Pacem et Fulconem fratres ut debeant renuntiare omni iuri quod abent in bonis suis ratione testamenti patris sui, si quid ius ex ipso aberent, ut eius ultima voluntas melius inpleatur. Item reliquid Gualdratine filie domini Johanini de Casaliclo centum solidos bononinorum iure legati. Item reliquid comuni Bononie de suis bonis quinqueginta libras bononinorum pro restauratione danni, si quod aliquo tempore eidem comuni dedisse ocasione ambascarie vel alia ocasione. Ad predicta omnia complenda, fatienda et exercenda suos commissarios esse voluit et constituit fratrem Bartholomeum, fratrem Aldrovandinum fratres de civitate Bononie, de ordine Minorum, dominum Belvilanum suum fratrem, dominum Pacem et Falconem suos nepotes et dominam Mambiliam eius ucxorem, quibus dedit licentiam vendendi, alienandi et obligandi bona sua et liberam potestatem ubicumque voluerint ad eorum voluntatem, sine contradictionem alicuius persone usque ad integram et plenam satisfactionem omnium predictorum, ita tamen quod ipsi simul et separatim et etiam uno ipsorum defitiente vel nolente predicta exercere alter ipsorum se […] nt et debe […] dimplere. In omnibus vero aliis suis bonis mobilibus et inmobilibus, iuribus et actionibus ubicumque […] fratrem suum dominum Belvilanum in dimidia parte et dominum Pacem et Falconem fratres suosque nepotes et alios eorum fratres in alia dimidia parte suos heredes esse voluit et constituit. Sic voluit, sic iudicavit et haec fuit eius ultima voluntas, quam valere voluit iure testamenti, et si iure testamenti non valeret, saltim valeat iure codicillorum et quolibet alio iure quo melio valere possit. Actum fuit hoc testamentum in capitulo fratrum Minorum de Imola, presentibus fratre Marchisino lectore de Regio, fratre Jacobino de Imola, fratre Thomaxino de Cariolis, fratre Jacobo de Imola, fratre Rainerio de Castro Sancti Petri, fratre Baldoino de Zevençonibus et fratre Nicolao de Ursis testibus de hiis vocatis et rogatis.
<Signum> Ego Jacobus filius quondam Preite Bretamoli, imperiali auctoritate notarius, predictis omnibus presens interfui et rogatus scribere scrissi et subscrissi.
ASBo, Corporazioni religiose soppresse, S. Domenico, 182/7516, num. 12. Anno Domini millesimo trecentesimo, indictione tertia decima, die vigesimo setenbris. ¶ Dominus Albertus filius quondam domini Thomaxini de Piçigotis, capelle Sancti Donati, sanus mente et corpore, volens beatorum apostolorum Petri et Pauli limina visitare pro suorum venia peccatorum, nolens decedere intestatus, suarum rerum et bonorum omnium dispositionem, per presens nuncupativum testamentum sine scriptis, in hunc modum facere procuravit. In primis quidem voluit et mandavit quod omnia male ablata patris sui in testamento eius contenta vel quacumque alia occasione extorta ab eo vel dicto patre suo dentur et restituantur omnibus et singulis in libris rationum suarum contentis, vel etiam aliter omnibus et singulis qui de iure probarent se aliquid a dicto suo patre se debere recipere et habere. Pro quibus omnibus observandis et essecutioni mandandis obligavit se et omnia sua bona fratri Galvano de Butrio, ordinis fratrum Predicatorum, et michi notario stipulanti et recipienti, vice et nomine venerabillis patris fratris Johannis Bononiensis episcopi, et vice etiam et nomine omnium quorum interest vel interesse poterit, promitens etiam dicto fratri Galvano dare libros et rationes suas seu patris sui predicti, non obstantibus aliquibus securitatis, depositis et obligationibus factis predecessoribus dicti domini episcopi vel eorum vichariis. Item pro anima sua reliquid quinquaginta libras bononinorum quas distribuy voluit in hunc modum: silicet ecclesie maiori Sancti Petri viginti solidos bononinorum, item ecclesie Sancti Donati quadraginta solidos bononinorum, item ecclesie et conventuy fratrum Predicatorum sancti Dominici tres libras bononinorum, item ecclesie et conventuy fratrum Heremitarum sancti Jacobi strate Sancti Donati tres libras bononinorum, item ecclesie et conventuy fratrum Minorum sancti Françischi tres libras bononinorum, item conventibus S. Marie de Carmelo, Servorum sancte Marie, Apostolorum de burgo Lamarum, Gregorii et Margarite et Sancte Marie de Misericordia viginti solidos bononinorum pro quolibet, item fratri Galvano predicto quadraginta solidos bononinorum, item sorori Bernardine de Sancta Maria de Misericordia viginti solidos bononinorum, item fratri Johanni de Piçigotis ordinis Predicatorum quadraginta solidos bononinorum, item hospitalibus Sancti Laçari, Sancti Bernardi et Devotorum viginti solidos bononinorum pro quolibet, item Clere domine Lamandine viginti solidos bononinorum, item domine Marie uxori domini Adelardi Piçigoti viginti solidos bononinorum, item domine Petriçole quondam Bartholomei Trivilini viginti solidos bononinorum, item pro decem vestibus pauperum decem libras bononinorum, item Flordelixie eius famule decem solidos bononinorum, item fratribus qui presunt pauperibus terre Althedi triginta solidos bononinorum, reliquos expendi iussit circha funus et sepulturam suam, quam sibi ellegit apud ecclesiam Beati Dominici. Item domine Bille uxori sue reliquid dotes suas que fuerunt quadringente libras bononinorum, item reliquid eidem iure legati quinquaginta libras bononinorum et camaram suam totam, item iure legati reliquid eam dominam massariam et usufructuariam omnium bonorum suorum, quamdiu honestam et castam victam duxerit et victam servaverit vidualem, si autem ad secunda vota transierit, tunc in eo casu reliquid ei solum dotes suas et legatum quinquaginta librarum bononinorum et camaram. Item reliquid iure institutionis Bartholomee et Thomaxine filiabus suis trecentas libras bononinorum cuylibet ipsarum, si autem puppillari etate decesserint, tunc filios suos masculos superviventes eis heredes substituit. In omnibus autem suis bonis mobillibus et inmobillibus, iuribus et actionibus presentibus et futuris ad eum spectantibus, Thomaxinum, Johannem et Petrum filios suos sibi equalibus portionibus heredes instituit, et superviventes substituit decedentibus. Si autem uxorem suam filium vel filios habere contingerit, cum predictis fratribus suis sibi heredes instituit. Si autem filiam vel filias habere contingerit, eam vel eas in trecentis libris bononinorum sibi heredes instituit. Commissarios autem et executores huius sue ultime voluntatis et testamenti esse voluit priorem fratrum Predicatorum, qui pro tempore fuerit, et dominam Billam uxorem suam, dans et concedens eis plenam et liberam potestatem, licentiam et auctoritatem vendendi, alienandi et obligandi et apud se iusto pretio retinendi, sine contradictione dictorum suorum heredum de bonis suis e de quibus voluerint, tantum quod integre possint solvere et satisfacere omnia et singula superius scripta et nominata. Tutores autem filiorum suorum esse voluit dominam Billam uxorem suam et Bernardum fratrem suum. Item omne aliud testamentum a se factum cassat et yrritat non obstantibus aliquibus verbis derogatoriis de quibus se petinere asseruit. Item voluit dictum testamentum poni in scaristia fratrum Predicatorum et sigillari sigillo prioris dictorum fratrum. Et hanc esse voluit suam ultimam voluntatem, quam valere voluit iure testamenti, et si iure testamenti non valet vel non valuerit, saltem valere voluit iure codiçillorum, vel cuiuslibet alterius ultime voluntatis quam melius valere potest.
Actum in sacristia fratrum Predicatorum de Bononia, presentibus fratre Galvano de dicto ordine, qui asseruit se cognoscere dictum testatorem, fratre Johanne Alegri, fratre Gerardo de Aççonibus, fratre Jacobino de Prendipartibus, fratre Johanne de Calçina, fratre Phillippino sacrista, domino Çençanome domini Rolandini Pippini, Dominighino Michaelis fratre Sancti Stephani et Johanne Angellini de Sancto Georgio, testibus a dicto testatore ad hoc vocatis et rogatis.
<Signum> Ego Benatus filius Bençevenis de Flesso, imperiali auctoritate notarius, hiis omnibus interfui, rogatus a dicto testatore scripsi et subscripsi.
Notes de bas de page
1 Sullo sviluppo dell’economia creditizia a Bologna in età comunale, la bibliografia è di una ricchezza scoraggiante; per limitarsi alle opere principalissime, si vedano le osservazioni ancora illuminanti di L. Dal Pane, La vita economica a Bologna nel periodo comunale, Bologna, 1957 e i lavori di A.I. Pini, L’Arte del cambio a Bologna nel XIII secolo, in L’Archiginnasio, 57, 1962, p. 20-81; La presenza dello Studio nell’economia di Bologna medievale, in O. Capitani (a cura di), L’Università a Bologna. Personaggi, momenti e luoghi dalle origini al XVI secolo, Cinisello Balsamo, 1988, p. 85-111. Per un minimo aggiornamento tematico e bibliografico mi permetto di rinviare a M. Giansante, L’usuraio onorato. Credito e potere a Bologna in età comunale, Bologna, 2008.
2 Per un quadro delle attuali posizioni storiografiche e per tutti i necessari riferimenti alla tradizione precedente, si può ricorrere a due recenti raccolte di saggi: Etica e politica: le teorie dei frati mendicanti nel ‘200 e nel ‘300, atti del convegno di Assisi, 15-17 ottobre 1998, Spoleto, 1999; R. Greci, G. Pinto, G. Todeschini (a cura di), Economie urbane ed etica economica nell’Italia medievale, Roma-Bari, 2005. Inoltre della ricchissima produzione di G. Todeschini, si vedano almeno Il prezzo della salvezza. Lessici medievali del pensiero economico, Roma, 1994; I vocabolari dell’analisi economica fra alto e basso medioevo: dai lessici della disciplina monastica ai lessici antiusurarii (X-XIII secolo), in Rivista storica italiana, 110, 1998, p. 781-833; I mercanti e il tempio. La società cristiana e il circolo virtuoso della ricchezza fra medioevo ed età moderna, Bologna, 2002. Sul tema specifico della ricchezza collettiva della civitas, come unica forma di ricchezza compatibile con il dettato evangelico, G. Todeschini, Razionalismo e teologia della salvezza nell’economia assistenziale del basso Medioevo, in V. Zamagni (a cura di), Povertà e innovazioni istituzionali in Italia. Dal Medioevo a oggi, Bologna, 2000, p. 45-54; Id., I mercanti e il tempio… cit. n. 2, p. 135-185; Id., La riflessione etica sulle attività economiche, in Economie urbane ed etica economica… cit. n. 2, p. 151-228; G. Ceccarelli, L’usura nella trattatistica teologica sulle restituzioni dei male ablata (XIII-XIV secolo), in D. Quaglioni, G. Todeschini, G.M. Varanini (a cura di), Credito e usura fra teologia, diritto e amministrazione. Linguaggi a confronto (sec. XII-XVI), Roma, 2005 (Collection de l’École française de Rome, 346), p. 3-23.
3 Riassumo qui i dati offerti dagli scrupolosissimi sondaggi di Martin Bertram, Hundert bologneser Testamente aus einer Novemberwoche des Jahres 1265, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, 69, 1989, p. 80-100; Bologneser Testamente. Erster Teil: Die urkundliche Überlieferung, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, 70, 1990, p. 151-227; Bologneser Testamente. Zweiter Teil: Sondierungen in den Libri Memoriali, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, 71, 1991, p. 195-240.
4 Sull’istituzione dell’Ufficio dei Memoriali e sulla prassi bolognese di conservazione dei documenti notarili e di quelli di governo: L. Continelli, L’Archivio dell’Ufficio dei Memoriali. Inventario, vol. I, tomi 1-2, Bologna, 1988-2008; G. Tamba, Una corporazione per il potere. Il notariato a Bologna in età comunale, Bologna, 1998, p. 199-257; M. Giansante, G. Tamba, D. Tura (a cura di), Camera actorum. L’Archivio del Comune di Bologna dal XIII al XVIII secolo, Bologna, 2006.
5 Sugli archivi conventuali bolognesi, ora conservati nel fondo Corporazioni religiose soppresse (detto anche “Demaniale”) dell’Archivio di Stato di Bologna (d’ora in poi ASBo), si può vedere M. Giansante, Conventi e monasteri nel contesto urbano, in I. Zanni Rosiello (a cura di), L’Archivio di Stato di Bologna, Fiesole, 1995, p. 89-102; Id., Insediamenti religiosi e società urbana a Bologna dal X al XVIII secolo, in L’Archiginnasio, 89, 1994, p. 205-228.
6 G. Tamba, Una corporazione per il potere… cit. n. 4, p. 200-201.
7 Indico qui di seguito la collocazione archivistica dei 32 documenti presi in esame per questa prima fase della ricerca. Dall’archivio di San Francesco: ASBo, Corporazioni religiose soppresse, 335/5078I, num. 9 (Zerra q. Romei de Pepolis, 1251 ottobre 8); 338/5081II, num. 137 (Lambertinus q. Rodulfi Pacis, 1275 giugno 7); 336/5079I, num. 66 (Iacobus q. Guidonis de Lambertinis, 1291 giugno 3); 350/5093I, num. 1 (Franciscus q. Rodulfini Mainerii, 1295 novembre 16); 342/5085I, num. 4 (Iohannes q. Marsilii Manteghelli, 1306 luglio 30); 342/5085I, num. 36 (Bologninus q. Albertucii de Basacomatribus, 1309 luglio 4). Dall’archivio di San Domenico: ASBo, Miscellanea delle Corporazioni religiose, busta 159, 1281 giugno 20 (Iacobus q. Petrizoli Rubei); busta 168, 1295 luglio 21 (Magdalena q. Iacobi de Lambertinis ux. Mini de Becadellis); 1312 giugno 28 (Laurencius q. Nicolai q. Coradini Rubei); 1315 settembre 18 (Rogerius q. Blanchi de Galluçiis); 1321 dicembre 25 (Petrus q. Simonis de Lambertinis); 1337 febbraio 11 (Aço q. Ugolini de Garisendis); 1349 settembre 16 (Iohannes q. Bornioli de Basacomatribus); ASBo, Corporazioni religiose soppresse, 181/7515, num. 49 (Iacobinus q. Aspetati, 1300 gennaio 26); num. 56 (Salamone q. Bombologni Açonis Cavalerii, 1300 maggio 2); 182/7516, num. 12 (Albertus q. Thomaxini de Piçigottis, 1300 settembre 20); num. 21 (Petrus q. Torellini de Maranensibus, 1300 ottobre 5); num. 31 (Marchixinus q. fratris Michilucii de Maranensibus, 1300 novembre 5); 183/7517, num. 73 (Iohanna q. Millançoli, ux. q. Iacobi de Culforatis, 1305 novembre 12); 186/7520, num. 19 (Iohanna q. Iacobi Millanicti, ux. Petri de Piçigottis, 1315 giugno 17); num. 27 (Conte q. Petri de Basacomatribus, 1317 ottobre 11); 187/7521, num. 3 (Matheus q. Aymerici de Rodaldis, 1318 agosto 6); num. 45 (Petrus q. Bolognini Albertucii de Basacomatribus, 1319 ottobre 27); num. 47 (Soldanus q. Castellani de Tetalasinis, 1319 novembre 11); 188/7522, num. 3 (Iacobinus fratris Becadini de Becadellis, 1320 agosto 29); num. 7 (Iacoba q. Iacobi Millanicti ux. Nicolai q. Aymerici de Rodaldis, 1320 settembre 27); 189/7523, num. 12 (Iacobus q. Alberti de Artinisiis, 1324 novembre 28); 190/7524, num. 43 (Thadeus q. Chastellani de Tetalasinis, 1333 aprile 20); 191/7525, num. 15 (Symon q. Guillelmi de Spersonaldis, 1337 maggio 26); 192/7526, num. 19 (Iohannes q. Bornioli de Basacomatribus, 1345 settembre 2); 193/7527, num. 12 (Ghisutia q. Felonis de Basacomatribus, 1348 luglio 31); num. 13 (Petrus q. Bonifatii de Blanchis, 1348 agosto 4).
8 Fra le numerose citazioni del passo: N. Tamassia, Odofredo. Studio storico-giuridico, Bologna, 1894, p. 127; ora in Id., Scritti di storia giuridica, II, Padova, 1967, p. 418.
9 Un esempio della struttura compositiva si troverà nei documenti pubblicati in appendice.
10 Sul trattato di Pietro di Giovanni Olivi, G. Todeschini, Un trattato di economia politica francescana: il “De emptionibus et venditionibus, de usuris, de restitutionibus” di Pietro di Giovanni Olivi, Roma, 1980, la sezione de restitutionibus alle p. 88-108. Una traduzione italiana del trattato in Pietro di Giovanni Olivi, A. Spicciani, P. Vian, G. Andenna (a cura di), Usure, compere e vendite. La scienza economica del XIII secolo, Milano, 1990.
11 Gli autori qui citati alla nota 2.
12 ASBo, Miscellanea delle Corporazioni religiose, busta 168, 1315 settembre 18.
13 ASBo, Corporazioni religiose soppresse, 338/5081II, num. 137 (1275 giugno 7). Il caso era previsto nel trattato di Pietro di Giovanni Olivi: G. Todeschini, Un trattato di economia… cit. n. 10, p. 88-95.
14 ASBo, Corporazioni religiose soppresse, 182/7516, num. 21 (1300 ottobre 5).
15 Acta S. Officii Bononie ab anno 1291 usque ad annum 1310, a cura di L. Paolini, R. Orioli, 2 vol., Roma, 1982, I, p. 1-11.
16 ASBo, Corporazioni religiose soppresse, 342/5085I, num. 36, 1309 luglio 4. Bolognino Basacomari aveva dichiarato all’estimo del 1296 un patrimonio di 8700 lire, costituito in gran parte di crediti: M. Giansante, L’usuraio onorato… cit. n. 1, p. 173.
17 Le fonti sono già note a Serafino Calindri, Montagna e collina del territorio bolognese, vol. V, Bologna, Stamperia S. Tommaso d’Aquino, 1783, p. 220-221. La chiesa di S. Giovanni Battista dei Boschi, tuttora esistente in località Gaiana di Castel S. Pietro, ha mutato intitolazione rispetto alla volontà del Basacomari, che nel suo testamento la dedicava a Maria Vergine.
18 ASBo, Corporazioni religiose soppresse, 182/7516, num. 31, 1300 novembre 5.
19 Per un breve inquadramento del tema delle restituzioni dal punto di vista canonistico, O. Condorelli, L’usuraio, il testamento, e l’Aldilà. Tre quaestiones di Marsilio Mantighelli in tema di usura, in W.P. Müller, M.E. Sommar (a cura di), Medieval church law and the origins of the Western legal tradition. A tribute to Kenneth Pennington, Washington DC, 2006, p. 211-228; per una descrizione del processo di coordinamento fra consuetudine e diritto comune sulla questione delle restituzioni testamentarie, si vedrà anche dello stesso Orazio Condorelli, che qui ringrazio per l’anticipazione, Consuetudini delle città di Sicilia e restituzione dei “male ablata”. Tra “ius proprium” e “utrumque ius”, in L. Berkvens, J. Hallebeek, G. Martyn, P. Nève (ed.), Recto ordine procedit magister. Liber amicorum E.C. Coppens, Brussel, 2012 (Iuris Scripta Historica, KVAB, 28), p. 55-91.
20 G. Chiodi, Rolandino e il testamento, in G. Tamba (a cura di), Rolandino e l’Ars notaria da Bologna all’Europa, Milano, 2002, p. 459-582, alle p. 492-496.
21 G. Chiodi, Rolandino e il testamento… cit. n. 20, nota 63.
22 ASBo, Miscellanea delle Corporazioni religiose, busta 168, 1295 luglio 21 (Magdalena q. Iacobi de Lambertinis ux. Mini de Becadellis).
23 ASBo, Corporazioni religiose soppresse, 182/7516, num. 12 (Albertus q. Thomaxini de Piçigottis, 1300 settembre 20).
24 ASBo, Corporazioni religiose soppresse, 186/7520, num. 27 (Conte q. Petri de Basacomatribus, 1317 ottobre 11).
25 ASBo, Corporazioni religiose soppresse, 186/7520, num. 19 (Iohanna q. Iacobi Millanicti ux. Petri Vandini de Piçigottis, 1315 giugno 17).
26 ASBo, Corporazioni religiose soppresse, 338/5081II, num. 137 (Lambertinus q. Rodulfi Pacis, 1275 giugno 7).
27 Così ad esempio, esplicitamente, nei testamenti di Giacomo Rossi (ASBo, Miscellanea delle Corporazioni religiose, busta 159, 1281 giugno 20) e di Ruggero Galluzzi (ASBo, Miscellanea delle Corporazioni religiose, busta 168, 1315 settembre 18).
28 ASBo, Corporazioni religiose soppresse, 188/7522, num. 7.
29 ASBo, Miscellanea delle Corporazioni religiose, busta 168, 1295 luglio 21.
30 ASBo, Corporazioni religiose soppresse, 186/7520, num. 19 (Iohanna q. Iacobi Millanicti ux. Petri Vandini de Piçigottis, 1315 giugno 17).
31 ASBo, Corporazioni religiose soppresse, 342/5085I, num. 36 (1309 luglio 4); 187/7521, num. 45 (1319 ottobre 27).
32 ASBo, Corporazioni religiose soppresse, 189/7523, num. 12 (1324 novembre 28).
33 ASBo, Corporazioni religiose soppresse, 192/7526, num. 19 (1345 settembre 2).
34 ASBo, Corporazioni religiose soppresse, 338/5081II, num. 137 (1275 giugno 7).
35 ASBo, Corporazioni religiose soppresse, 336/5079I, num. 66 (Iacobus Guidonis Lambertini de Lambertinis, 1291 giugno 3); 186/7520, num. 19 (Iohanna q. Iacobi Millanicti, ux Petri Vandini de Piçigottis, 1315 giugno 17) e altri.
36 La quaestio di Marsilio Mantighelli è commentata in O. Condorelli, L’usuraio, il testamento, e l’Aldilà… cit. n. 19, p. 211-228.
37 ASBo, Miscellanea delle Corporazioni religiose, busta 168, 1312 giugno 28 (Laurencius q. Nicolai q. Coradini Rubei); ASBo, Corporazioni religiose soppresse, 187/7521, num. 3 (Matheus q. Aymerici de Rodaldis, 1318 agosto 6); 189/7523, num. 12 (Iacobus q. Alberti de Artinisis, 1324 novembre 28); 193/7527, num. 13 (Petrus q. Bonifatii de Blanchis, 1348 agosto 4).
38 Circostanza che sembra assumere un rilievo particolare nel caso di Giacomo Boncambi, frate predicatore e vescovo di Bologna dal 1244 al 1260, ma anche esponente di una famiglia attiva nel settore creditizio: A. Vasina, Chiesa e comunità dei fedeli nella diocesi di Bologna dal XII al XV secolo, in P. Prodi, L. Paolini (a cura di), Storia della Chiesa di Bologna, 2 vol., Bergamo, 1997, I, p. 97-208 in particolare 130-136.
39 ASBo, Miscellanea delle Corporazioni religiose, busta 159, 1281 giugno 20 (Iacobus q. Petrizoli Rubei); busta 168, 1295 luglio 21 (Magdalena q. Iacobi de Lambertinis); ASBo, Corporazioni religiose soppresse, 181/7515, num. 56 (Salamone q. Bombologni, 1300 maggio 2).
40 Esplicitamente dichiara Taddeo Tettalasini nel suo testamento che «si dovranno intendere per ‘poveri di Cristo’ quelli che verranno indicati come tali dai suoi esecutori». (ASBo, Corporazioni religiose soppresse, 190/7524, 1333 aprile 20).
41 ASBo, Corporazioni religiose soppresse, 193/7527, num. 13 (Petrus q. Bonifatii de Blanchis, 1348 agosto 4).
42 ASBo, Corporazioni religiose soppresse, 182/7516, num. 12 (Albertus q. Thomaxini de Piçigottis, 1300 settembre 20); num. 31 (Marchixinus q. fratris Michilucii de Maranensibus, 1300 novembre 5); 186/7520, num. 19 (Iohanna q. Iacobi Millanicti, ux Petri Vandini de Piçigottis, 1315 giugno 17); 187/7521, num. 45 (Petrus q. Bolognini Albertucii de Basacomatribus, 1319 ottobre 27).
43 ASBo, Corporazioni religiose soppresse, 186/7520, num. 19 (Iohanna q. Iacobi Millanicti, ux. Petri Vandini de Piçigottis, 1315 giugno 17); 188/7522, num. 7 (Iacoba q. Iacobi Millanicti, ux. Nicolai q. Aymerici de Rodaldis, 1320 settembre 27).
44 ASBo, Corporazioni religiose soppresse, 342/5085I, num. 4 (1306 luglio 30). Non è senza interesse la circostanza che nel suo testamento Giovanni Mantighelli disponga la restituzione di alcune usure in modo del tutto consonante al caso configurato dal padre Marsilio, nella quaestio di qualche decennio prima: O. Condorelli, L’usuraio, il testamento, e l’Aldilà… cit. n. 19, p. 219-21.
45 ASBo, Miscellanea delle Corporazioni religiose, busta 168, 1295 luglio 21 (Magdalena q. Iacobi de Lambertinis, ux Iacobini de Bechadellis); ASBo, Corporazioni religiose soppresse, 182/7516, num. 31 (Marchixinus q. fratris Michilucii de Maranensibus, 1300 novembre 5).
46 ASBo, Miscellanea delle Corporazioni religiose, busta 159, 1281 giugno 20 (Iacobus q. Petrizoli Rubei).
47 G. Todeschini, I mercanti e il tempio… cit. n. 1, p. 133-185.
48 Così si esprimeva un artigiano bolognese nel 1299, sostenendo le sue accuse in numerose pubbliche e animate discussioni, fino a doverne rispondere davanti all’inquisitore domenicano, frate Guido da Vicenza (Acta S. Officii Bononie… cit. n. 15, I, p. 232). Più in generale, sulle critiche dell’opinione pubblica al comportamento dei frati in materia di restituzioni testamentarie, si leggono osservazioni interessanti in U. Nicolini, I frati minori da eredi a esecutori testamentari, in Nolens intestatus decedere. Il testamento come fonte della storia religiosa e sociale, Perugia, 1985, p. 31-33.
49 G. Tamba, Una corporazione per il potere… cit. n. 4, p. 139-167.
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Archivio di Stato di Bologna
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