Far di una chiesa un «vero santuario»
Confraternite romane e reliquie tra pratiche devote, reti sociali, strategie di sacralizzazione (SECC. XVI-XVIII)
p. 57-92
Résumé
Tramite l’esame di fonti istituzionali, come gli atti della Visita apostolica di Urbano VIII (1624-1630) e gli inventari dei luoghi pii redatti dopo Concilio Romano del 1725, nonché di un singolare caso di ego-document, i diari di Camillo Cybo, il saggio ricostruisce l’evolversi dell’atteggiamento delle confraternite romane verso le reliquie, con un’attenzione specifica per gli articolati meccanismi di socialità ad esso legati. Se tra fine Cinquecento e metà Seicento si riscontra un approccio sostanzialmente « devozionale » ai sacri resti, dai primi decenni del XVIII secolo, si assiste all’affermarsi progressivo di una tendenza all’accumulo indiscriminato. Si tratta di percorsi diversi, ma accomunati dalla volontà di attribuire agli spazi confraternali quel surplus di sacralità indispensabile a conferire loro una specificità nella complessa topografia religiosa complessa romana.
Texte intégral
Premessa
1Nel corso dell’ultimo mezzo secolo, gli studi relativi alle reliquie si sono moltiplicati configurando sempre più l’argomento come un autonomo filone di ricerca all’interno del panorama storiografico1. L’oggetto-reliquia è stato pertanto analizzato tanto nelle sue prerogative di carattere più strettamente religioso e devozionale, quale veicolo privilegiato del rapporto esistente tra il santo e i suoi devoti, mediato dalla fondamentale azione degli «impresari» del culto2, quanto in un’ottica capace di cogliere il più articolato insieme di dinamiche sociali e di rapporti di forza tra poteri e istituzioni differenti che si sviluppa intorno a esso e alla sua valenza sacrale3.
2Elemento comune a pressoché tutti i principali studi sul tema tuttavia, è stato per lungo tempo il prevalente inserimento entro una cornice cronologica che va in genere dalla tarda antichità al Basso Medioevo4. Negli ultimi due decenni, tuttavia, lo specifico atteggiamento tenuto in ambito cattolico nei confronti delle reliquie a partire dalla metà del Cinquecento ha cominciato a essere il centro di un rinnovato interesse in sede storiografica. Da un lato si è tornati a riflettere sui termini di un dibattito erudito di lungo periodo relativo ai criteri di veridicità e dunque di autenticazione delle reliquie, sviluppatosi dapprima sull’onda delle accuse provenienti dagli ambienti riformati, a partire dal celebre Traité des reliques di Calvino (1543), e poi proseguito anche negli stessi ambienti cattolici, con ritmi serrati, specie dal Settecento5.
3Nelle pagine che seguono si cercherà di evidenziare quali siano stati gli usi e le funzioni affidati, in una realtà particolare qual è quella degli ambienti confraternali romani d’età moderna, ai sacri resti, attraverso un esame dei patrimoni di reliquie posseduti dalle compagnie laicali e della loro evoluzione effettuato a partire da due punti di osservazione: la visita apostolica secentesca di Urbano VIII e gli inventari redatti dopo il Concilio Romano del 17256, per poi soffermarsi su due significativi casi specifici.
Le reliquie nei luoghi sacri confraternali tra Sei e Settecento
4Nell’ambito della tradizione confraternale romana d’età medievale e della prima età moderna, il culto delle reliquie non sembra rappresentare un elemento di coesione devozionale di importanza primaria. Nessuno dei sodalizi di devozione medioevali, infatti, si originò specificamente attorno al culto di un corpo santo, né di una reliquia della Passione del Cristo, di cui pure la città di Roma poteva vantare una ricchezza difficilmente eguagliabile7. Nella realtà dell’Urbe, nonostante il grande rilievo attribuito già nei tempi antichi alle spoglie mortali dei santi all’interno della topografia sacra, l’associazionismo laicale sviluppatosi tra il XIII e il XV secolo sembra restare sostanzialmente estraneo alla loro valorizzazione e circolazione8.
5L’attenzione devota delle compagnie romane d’epoca medioevale fu piuttosto catalizzata dalla potenza delle immagini, che pure alle reliquie si legano talvolta in maniera simbiotica nell’ambito di specifiche strategie di mise en scène del sacro9. Oggetto di particolare venerazione, furono soprattutto le icone mariane, tanto le più antiche, considerate acheropite, come quelle di S. Maria Maggiore o di S. Maria in Aracoeli, quanto le umili Madonne raffigurate sui muri esterni o agli angoli delle strade, alla cui gestione si applicarono spesso proprio dei sodalizi laicali, che talvolta potevano esercitare sulla sacra immagine un pieno possesso10.
6Al contrario, il fervore nei confronti delle reliquie in quanto tali, seppur presente, pare esercitarsi non tanto al livello della religiosità collettiva e organizzata, quanto piuttosto sul terreno della pietà individuale e spontanea11, che prescinde sostanzialmente dal possesso diretto di tali oggetti di devozione da parte delle istituzioni laicali.
7È solo a partire dal secondo Cinquecento che le reliquie iniziano ad assumere un’importanza via via più significativa nella vita delle compagnie laicali, assolvendo a funzioni di diverso genere. La nuova tendenza deve esser letta, da un canto, come un effetto del prestigio assunto nella fase post-tridentina dall’istituzione confraternale, tale da configurare queste associazioni, sempre più dominate dalle élites cittadine laiche ed ecclesiastiche, come soggetti in grado di gestire patrimoni sacri anche ingenti12. D’altro canto, in tale evoluzione non si può non vedere anche un effetto di quella proliferazione delle reliquie estratte dalle catacombe che, a partire proprio dall’epicentro romano e dalla cinquecentesca riscoperta della subterranea civitas13, dà il via a una circolazione ancor più massificata di tali oggetti sacri all’interno del mondo cattolico14.
8Per tentare di definire anzitutto un panorama complessivo dell’atteggiamento dei gruppi laicali rispetto alle reliquie nel corso dell’età moderna, è utile rivolgersi, quale primo punto di osservazione, ai dati della visita apostolica di Urbano VIII (1624-1630). Su un totale di 122 sodalizi laicali individuati, il visitatore apostolico tace completamente sulla presenza di reliquie di proprietà dei confratelli in ben 74 casi, di cui solo 31 riguardano compagnie prive di una loro autonoma sede15. In un paio di casi, inoltre, egli esplicita l’assenza totale di reliquie16. Quando presenti, in alcuni casi limite le reliquie sono mal conservate, al punto da non poter essere correttamente ispezionate17. Più di frequente il visitatore registra che le reliquie sono indecenter detentae18, magari perché poste all’interno di reliquiari che è possibile aprire senza l’ausilio di chiavi, esponendole dunque al pericolo della profanazione19. La cattiva conservazione dei sacri resti si accompagna inoltre, di frequente, all’assenza della documentazione necessaria ad attestarne l’autenticità, al punto che i decreti della Visita accomunano talvolta, sotto pena di scomunica, gli obblighi di tempestivo intervento20.
9Anche dove correttamente conservate, le reliquie non autenticate sono largamente presenti: nella chiesa di S. Maria di Monserrato della nazione aragonese l’intero patrimonio reliquiale, che ammonta a oltre 60 pezzi, risulta essere privo della necessaria documentazione, mentre la confraternita del SS. Sudario dei Piemontesi possiede una serie di reliquie quae sola antiquitatis veneratione probantur21. Spesso all’assenza di documentazione si aggiunge inoltre l’anonimato dei sacri resti. Nella chiesa dei SS. Barbara e Tommaso dei librai, l’incaricato della visita sottolinea con malcelato scetticismo il fatto che certe ossa mortuorum fossero venerate quali reliquie di santi imprecisati; parimenti privi del cartiglio recante il nome sono i frammenti sacri rinvenuti nella chiesa di S. Giovanni in Mercatello, officiata dalla confraternita dei Catecumeni e Neofiti22. Presso la compagnia di S. Angelo in Borgo erano infine conservate reliquie definite genericamente de sanguine plurimorum martyrum, senza che ne fosse in alcun modo precisata l’appartenenza23.
10La maggior parte delle confraternite segnalate risulta possedere, in ogni caso, solo poche reliquie autentiche, sebbene esistano anche patrimoni abbastanza ingenti, appartenenti soprattutto ad alcune istituzioni di ascendenza medioevale, come l’arciconfraternita del Gonfalone o i sodalizi nazionali di S. Luigi dei Francesi e di S. Maria in Campo Santo Teutonico24.
11Assai di rado, in questa fase, le confraternite romane vantano il possesso di corpi di martiri interi; quando ciò avviene, si tratta in genere di corpi conservati da secoli all’interno di chiese in seguito affidate ai sodalizi laicali. Indicativo in questo senso è il caso della confraternita della Pietà dei carcerati che nel 1585, allorché ottiene da Sisto V l’assegnazione dell’antica chiesa di S. Giovanni della Pigna, entra in possesso anche dei corpi dei santi Eleuterio e Genesio, antichi dedicatari del luogo di culto25. La compagnia, pur senza sviluppare nei propri iscritti una particolare devozione nei confronti dei due martiri, tentò di valorizzare questo pio possedimento dandone alle stampe una versione italiana della Vita26. Già nel 1592, tuttavia, i corpi santi in questione, a eccezione di alcune ridotte porzioni che rimasero alla compagnia, riposte sotto l’altar maggiore27, furono traslati nella chiesa di S. Susanna alle Terme, in cui trovarono posto sotto l’altare della cappella dedicata al martire Lorenzo da Camilla Peretti, sorella del pontefice Sisto V. Il trasferimento fu celebrato, come d’abitudine, con una solenne processione che permise ai fratelli e ai semplici devoti di lucrare un’indulgenza plenaria28. In tale circostanza si può leggere certamente nell’atteggiamento del pontefice la volontà di favorire la propria congiunta e con essa il prestigio del casato, ma in controluce pare di intravedere anche una differente preoccupazione. Il breve scarto di tempo che separa l’assegnazione della chiesa di S. Giovanni della Pigna alla confraternita della pietà dalla traslazione delle reliquie nella cappella di S. Susanna può essere la spia di una certa cautela da parte del pontefice nei confronti di un sodalizio ancora «giovane», con ogni probabilità ancora privo di un forte radicamento nella vita religiosa cittadina e soprattutto della partecipazione di quelle élites laiche ed ecclesiastiche che assicura alle confraternite laicali prestigio e protezione. La Pietà dei carcerati, in sostanza, rappresentava un soggetto ancora «debole» nella prospettiva dei rapporti di forza cittadini e inadeguato alla gestione di un patrimonio sacrale ambito.
12Se dall’analisi delle modalità di conservazione si passa a distinguere per grandi categorie il patrimonio complessivo delle reliquie segnalate dai visitatori, comprese quelle prive di autentica29, il quadro che se ne ricava è dominato, com’era prevedibile, dalla marcata prevalenza delle reliquie dei santi (fig. 1): su un totale di 484 elementi segnalati, queste ultime raggiungono l’87,3 % circa del totale, seguite a grandissimo distacco da quelle del Cristo (9,6 %) e della Vergine (5,6 %).
13All’interno delle singole categorie, di un certo interesse si rivela in particolare la varietà delle reliquie cristiche, probabile retaggio pre-tridentino: ai frammenti della Santa Croce – che rappresentano da sole poco più del 24 % del totale della categoria – e degli altri strumenti della Passione (colonna, flagelli, corona di spine, spugna…) e a quelli che rimandano al tema della Natività (mangiatoia, fasce…) si affiancano infatti altre presunte testimonianze tangibili del passaggio del Cristo sulla terra. Abbiamo infatti menzione di un certo numero di reliquie che richiamano diversi momenti della vita pubblica di Gesù: vi è per esempio una generica reliquia de loco ubi Christus praedicavit30 ; un’altra de horto ubi Christus sudavit sanguinem et aquam, che rimanda chiaramente all’Orto del Getsemani e ai momenti che precedono l’arresto di Gesù31 ; una reliquia de monte Tabor, chiaro richiamo al luogo in cui la tradizione è solita situare la Trasfigurazione32 ; addirittura un frammento de quinque panibus ordaceis, i pani d’orzo, cioè, al centro dell’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci33.
14Per quanto concerne la categoria relativa ai santi, il dominio delle figure martiriali è schiacciante (fig. 2). Spesso difficilmente identificabili con certezza per l’assenza totale, accanto al nome, delle indispensabili coordinate agiografiche34, i santi dei primi secoli della storia cristiana superano addirittura il 75 % del totale, lasciando ben poco spazio a quelli di altre epoche.
15Se si escludono i personaggi propri della tradizione scritturale, che arrivano al 14,3 %, le altre categorie sommate tra loro superano a malapena il 10 %, con i santi dell’età moderna e ancor più quelli d’epoca altomedioevale quasi del tutto assenti. Tra gli effetti collaterali di una simile distribuzione cronologica delle reliquie, vi è anche lo scarso peso dei santi appartenenti agli ordini religiosi, che assommano appena 15 menzioni, pari al 3,1 %.
16Passando ad analizzare la situazione settecentesca, a un primo sguardo il quadro quantitativo per grandi categorie che è possibile delineare a partire dal campione di 100 inventari degli anni 1720 non è molto differente da quello riscontrato un secolo prima (fig. 3).
17Anche in questo caso, su un totale di 450 frammenti sacri chiaramente identificabili, vi è un nettissimo primato delle reliquie di santi, per quanto queste ultime si rivelino in leggera diminuzione relativa (dall’88 all’84,4 %), lasciando un certo spazio all’incremento percentuale delle prestigiose reliquie del Cristo, che passano dall’8,5 al 9,6 %, e soprattutto della Vergine, il cui incremento è di oltre 2 punti (dal 3,3 al 5,6 %).
18Analizzando le reliquie cristiche (fig. 4), l’aspetto più significativo consiste senz’altro nell’evidente aumento, sia assoluto che relativo, dei frammenti della Santa Croce, che arrivano a sfiorare il 75 % delle reliquie componenti la categoria (30 su 43 totali), mentre totalmente assenti risultano quelle reliquie, riscontrate cento anni prima, che rimandavano non agli oggetti tradizionalmente venerati per essere venuti a contatto con la persona del Cristo ma direttamente ai luoghi fisici teatro della sua azione. Si tratta dunque di trasformazioni che vanno nella direzione di una sorta di «disciplinamento» delle tipologie reliquiali ammesse alla venerazione dei fedeli. Un processo articolato, che prevede naturalmente l’esclusione di reliquie che fuoriescano dal novero di quelle più comuni e, di contro, la scelta preferenziale – da parte dell’istituzione stessa o del soggetto che fornisce la reliquia – di altre, come quella del legno della Croce, capaci di rispondere maggiormente all’esigenza di coniugare il livello di massimo prestigio insito nel possesso di una reliquia del Salvatore alla piena corrispondenza dell’oggetto in questione ai criteri di autenticità codificati dalla tradizione35.
19Per quanto concerne la nutrita categoria dei resti sacri di santi, tuttavia, le differenze riscontrabili tra il patrimonio complessivo secentesco e quello settecentesco si fanno ancor più significative. La prevalenza delle reliquie dei santi delle origini, per quanto ancora spiccatissima, si riduce in maniera molto netta, passando dal 75,1 al 55,5 %. A determinare una simile riduzione dell’importanza relativa di questa categoria, a fronte del modesto incremento che interessa le figure d’epoca tardo-antica (da 4,7 % a 5) e altomedioevale (da 0,7 % a 1,3), è anzitutto la crescita più o meno uniforme delle reliquie dei personaggi delle Scritture (dal 14,3 al 20,3 %) e del Basso Medioevo (dal 4 all’8,2 %). A colpire maggiormente, tuttavia, è il notevole balzo in avanti compiuto, all’interno di questo quadro quantitativo, dai santi dell’età moderna, che da un quasi insignificante 1,2 % arrivano a costituire quasi un decimo del totale delle reliquie dei santi (9,8 %), divenendo in maniera in qualche modo sorprendente la terza categoria in ordine di importanza.
20La maggiore apertura nei confronti del culto di personaggi più recenti, specie se legati alle vicende storiche del sodalizio, si esprime in maniera emblematica nel caso dell’arciconfraternita delle Anime più bisognose del Purgatorio. Fondata attorno al 1683, ma eretta ufficialmente solo tre anni dopo da papa Innocenzo XI (1676-1689) che se ne fece membro e si adoperò per il suo progresso, la compagnia sviluppò in sé una singolare venerazione nei confronti del pontefice, per il quale, morto in fama di santità nel 1689, si apriva già nel 1691 il processo informativo romano in vista della beatificazione. L’iter per il riconoscimento della santità di papa Odescalchi era tuttavia destinato a rallentare sotto il peso delle obiezioni del promotore della fede circa numerose questioni riguardanti il suo pontificato, fino ad arrestarsi definitivamente con la conclusione del processo, sancita l’8 agosto 1744 da Benedetto XIV36. Negli anni 1720 in ogni caso la confraternita, a dispetto delle severe norme che vietavano le manifestazioni di culto nei confronti di personaggi la cui santità non fosse ancora ufficialmente riconosciuta, custodiva gelosamente come reliquie alcuni oggetti che gli erano appartenuti: un Agnus Dei, ma soprattutto
sacco e cordone di corda, corona di legno negra, croce e testa di morto tutta di legno che benedisse e si indossò la santa memoria del venerabile servo di Dio Innocenzo papa XI, nostro fondatore e istitutore, autentico con due sigilli di cera di Spagna37.
21Il legame tra la venerazione nei confronti del fondatore e la storia della compagnia era inoltre costantemente rinnovato dalla lettura periodica delle vicende da cui ebbe origine la compagnia, mentre al fine di celebrare la protezione del venerabile sull’istituzione da lui beneficiata era stato composto un Compendio de’ miracoli compiuti per mezzo del sacco di Innocenzo XI38.
22In una prospettiva più generale, nel corso del XVII secolo e nei primi due decenni del successivo è dunque possibile assistere a un riequilibrio almeno parziale tra le categorie, con un’ascesa particolare dei santi dell’età moderna e della tradizione biblica, ben esemplificata dal grafico che pone a confronto i due patrimoni (fig. 5).
23Gli elementi di differenza non esauriscono tuttavia alla sola diversa distribuzione interna delle sotto-categorie. A dover essere segnalata, anzitutto, è l’accresciuta importanza relativa delle reliquie di santi legati agli ordini religiosi, che quadruplicano la propria entità passando da un ben poco significativo 3,1 % al 12,9.
24Esito della convergenza tra le strategie di promozione cultuale messe in atto per lo meno da alcune delle istituzioni di clero regolare coinvolte, da una parte, e le opzioni cultuali maturate autonomamente negli ambienti confraternali, dall’altra, questo aspetto concorre a spiegare l’avanzare in ottica quantitativa dei santi del secondo millennio. A prevalere all’interno di quest’ultima categoria, segnando l’incontrastato primato di francescani e oratoriani sono, non a caso, due santi come Francesco d’Assisi e Filippo Neri, il cui culto si lega a famiglie religiose molto attive nella cura spirituale del laicato e nei confronti dei quali, al contempo, altri indicatori della devozione confraternale, come gli altari e le immagini delle sedi confraternali, hanno indicato chiaramente il continuo rafforzarsi della venerazione (fig. 6)39.
25La tipologia di fonte presa in considerazione per il Settecento, quella degli inventari, non consente ovviamente di raffrontare in maniera compiuta le modalità di conservazione materiale delle reliquie, al fine di verificare se si fosse posto rimedio a quella situazione di degrado abbastanza diffuso documentata durante il pontificato barberiniano.
26Pur mancando la specifica prospettiva del visitatore apostolico, deputato a ravvisare le irregolarità in tutto quanto concerne i meccanismi di gestione del sacro, sembra tuttavia di poter registrare le spie di qualche cambiamento, anzitutto in rapporto al concetto di autenticità delle reliquie. A proposito delle reliquie prive di autentica, quando segnalate, si precisa che queste ultime, in ragione dell’incertezza incombente sulla loro veridicità, non possono essere esposte alla venerazione dei fedeli. È il caso della confraternita degli Agonizzanti, a esempio, presso la cui chiesa si conservano due «credenzini coloriti filettati d’oro, con dentro diverse reliquie incassate in diversi reliquiarii i legno dorato vecchi, senza autentica, quali perciò non si espongono »40.
27Frequentissima è invece la segnalazione del fatto che le reliquie in questione siano regolarmente accompagnate dalla loro autentica. Nella propria chiesa di S. Bartolomeo, per esempio, la modesta confraternita professionale dei «vaccinari», i conciatori di pelli, possiede otto reliquie ma tutte munite di autentica41. Allo stesso modo, l’inventario della compagnia dei SS. Faustino e Giovita della nazione bresciana ne segnala una soltanto, quella del legno della Santa Croce, ma anche in questo caso si precisa come questa sia debitamente autenticata42. Numerose sono invece le reliquie munite di autentica di proprietà della già citata compagnia degli Agonizzanti, che oltre alle menzionate reliquie non esponibili possiede almeno una ventina di altri sacri frammenti che espone regolarmente in chiesa e in oratorio43.
28Nella prospettiva dei redattori degli inventari, talvolta, il fatto che l’autenticità sia corroborata dai necessari documenti sembra divenire l’aspetto più significativo. In diversi casi, infatti, le fonti si limitano ad accennare genericamente, quasi con sufficienza, alle reliquie, fornendo soltanto il numero dei reliquiari in cui esse sono conservate e, naturalmente, dando segnalazione del possesso delle rispettive autentiche44.
29Tale apparente noncuranza, che per lo meno traspare dalle fonti, sembra essere riservata, a esempio, ai frammenti dei corpi santi estratti dalle catacombe romane, che vengono esposti alla venerazione pubblica dei fedeli senza il minimo accenno alle circostanze storiche del loro martirio. Nell’inventario redatto dall’arciconfraternita del SS. Nome di Maria in S. Bernardo al Foro Traiano, per esempio, sono segnalate accuratamente le reliquie ritenute, evidentemente, più preziose (alcuni frammenti del legno della Santa Croce, del velo della Vergine e del pallio di san Giuseppe, oltre alle reliquie ex ossibus dei santi Bernardo di Chiaravalle, dedicatario della chiesa, e Francesco di Paola); il breve elenco è tuttavia concluso dalla generica menzione di «due cassette di pero negro fatte a urna con suoi specchi con entro diverse reliquie di santi battezzati »45.
30Alla luce di quanto si è detto, è forse possibile ipotizzare che le differenze non lievi che è possibile riscontrare nell’arco cronologico preso in esame, tanto sul piano della composizione per categorie dei patrimoni reliquiali, quanto su quello formale del possesso, siano l’effetto di un processo di più o meno consapevole rinnovamento dei singoli patrimoni reliquiali. Un rinnovamento che non consiste soltanto nell’introduzione di nuovi frammenti sacri di minore o maggiore entità, ma anche nella sostituzione di quelle reliquie anonime o comunque prive di autentica, non più accettabili in un clima di rinnovata attenzione da parte delle gerarchie ecclesiastiche. L’impressione generale che da questi elementi è possibile trarre, in ogni caso, è che il mondo delle confraternite laicali sia pervenuto nel corso del Seicento a una fruizione dell’oggetto-reliquia più «ordinata» e rispettosa delle normative canoniche.
31Una conferma, per quanto parziale, a tale ipotesi ci viene dalla visita apostolica effettuata presso la chiesa dei SS. Venanzio e Ansovino, sede della confraternita dei Camerinesi. In tale occasione, infatti, l’ecclesiastico incaricato visitavit sacras reliquias quas invenit in altari S. Annae, in arcula lignea foris deaurata cum quatuor clavibus bene munita et intus decenter ornata. Inoltre, omnes habent suas authenticas quas diligenti perlectas et consideratas ab illustrissimo et reverendissimo domino episcopo eidem parocho tradidit ut in archivio praedictae ecclesiae parochialis custodiuntur. Reliquie ben tenute dunque, dotate di autentiche ordinatamente conservate, anche se non manca la segnalazione di abusi di altro genere:
Inde monuit eumdem parochum quod nullo modo permittat dictas sacras reliquas tangi vel tractari a laicis cuiusvis ordinis seu dignitatis iuxta monitum divi Gregorii et etiam expresse prohibuit eas asportari a infirmos cum hoc esset abusus detestabilis46.
32Sebbene nella fonte citata si registri il rispetto dei criteri formali di conservazione delle reliquie, in quest’ultima raccomandazione è possibile percepire l’eco del profondo rapporto che unisce le reliquie e i devoti: in questo caso i membri della comunità camerinese, che appaiono ancora pervasi dalla fiducia nelle potenzialità taumaturgiche dei pignora sanctorum, dalla necessità di entrare in contatto fisico con esse, attraverso la sfera sensoriale tattile, al fine di trarne un beneficio immediato di natura materiale47.
33Il particolare punto di osservazione offerto dagli inventari redatti dalle confraternite, ci induce tuttavia a spingere oltre la riflessione sui dati a nostra disposizione. Anzitutto, i numerosi e generici riferimenti a gruppi di reliquie non nominate individualmente e dunque non facilmente quantificabili48, permettono di ipotizzare in maniera assolutamente plausibile che il patrimonio reliquiale complessivo delle confraternite romane dovesse essere assai più ampio rispetto al numero delle reliquie che è stato possibile identificare (450). Tale patrimonio era inoltre distribuito tra un numero di istituzioni proporzionalmente assai maggiore rispetto al passato: se negli anni ’20 del Seicento, a quanto risulta dalla fonte esaminata, poco più di un terzo delle associazioni menzionate era dotato di reliquie, a distanza di circa un secolo ben 65 sodalizi sui 100 censiti possono vantare il possesso di al meno un frammento sacro. La convergenza tra i due dati lascia pensare insomma a una più generalizzata circolazione delle reliquie negli ambienti confraternali, che sembrano aver progressivamente assunto lo statuto di soggetti qualificati alla loro gestione.
34La modalità di registrazione delle reliquie all’interno degli inventari si presta tuttavia anche a una diversa e più generale considerazione. Il fatto che gli amministratori incaricati di redigere la documentazione in questione accennino con una certa noncuranza alle reliquie possedute, tralasciando spesso il nome dei santi cui esse appartengono e soffermandosi invece sul numero dei reliquiari posseduti dalla confraternita e sulla documentazione che attesta l’autenticità dei sacri può rappresentare il sintomo di un più generale atteggiamento sviluppato dai corpi confraternali nei confronti delle reliquie. Pur dimostrandosi attenti a segnalare nel minimo dettaglio tutte le singole immagini di devozione conservate dal sodalizio, essi si accontentano spesso di registrare genericamente la presenza di reliquie, facendo riferimento tutt’al più alla loro abbondanza, limitandosi magari a dar conto con maggior dovizia di particolari di quei sacri resti ritenuti più preziosi. Parallelamente allo sviluppo di una maggiore attenzione al concetto di «autenticità» dell’oggetto-reliquia, sembra dunque affermarsi, per lo meno nell’atteggiamento dei vertici delle istituzioni, un approccio differente alla reliquia stessa, basato non tanto sulla venerazione individuale e sulla fiducia nei confronti della specifica virtus, attiva o presunta, che il singolo fedele era disposto a riconoscerle49, quanto piuttosto legato a una concezione di «sacralità per accumulo», in cui il prestigio dell’istituzione riposa sulla quantità e sulla varietà delle reliquie possedute più che sulla valenza devozionale del singolo oggetto e sulla sua valorizzazione50. In questa particolare prospettiva, l’autentica diviene fondamentale perché il prestigio dell’istituzione poggia sul possesso legittimo delle reliquie e sulla possibilità di esporle a tempo debito al pubblico dei devoti, entrambi garantiti dalla documentazione rilasciata a tal fine dalle autorità competenti51, e non sulla venerazione dei fedeli stessi nei confronti dei singoli pignora, che pure, come si è visto nell’esempio camerinese, sembra permanere. Tale atteggiamento dunque, lungi dal sostituirsi all’approccio che potremmo definire «devozionale» al singolo oggetto sacro, si affiancava a esso, agendo soprattutto in una prospettiva di vertice e delineando un percorso alternativo – non concorrenziale anche se neppure necessariamente compresente – all’interno di una strategia unica di valorizzazione sacrale dei luoghi confraternali.
La circolazione delle reliquie tra promozione cultuale, reti sociali e strategie di sacralizzazione
35L’osservazione dei patrimoni di reliquie delle confraternite romane, con il delinearsi delle due diverse forme di fruizione di tali oggetti sacri, impone una riflessione su alcuni dei principali aspetti del meccanismo che occupa un ruolo fondamentale nelle dinamiche di circolazione delle reliquie e dunque nella costituzione dei patrimoni stessi, cioè quello della donazione.
36Lungo tutto l’arco cronologico considerato, raramente le donazioni possono essere inserite con ragionevole certezza entro strategie miranti a stimolare all’interno delle associazioni nuovi culti. Due casi tuttavia sembrano fare eccezione in maniera netta: quelli di san Carlo Borromeo e del neocanonizzato Filippo Neri. Per quanto concerne queste due figure – oggetto di un culto radicato presso l’associazionismo cittadino –, la presenza di reliquie in varie chiese può essere infatti presumibilmente ricondotta a una più o meno organica strategia di promozione del loro culto da parte, rispettivamente, del cugino Federico – a lungo dimorante a Roma egli stesso e dunque legato da rapporti diretti con le confraternite della città, e arcivescovo di Milano dal 159552 – e della congregazione oratoriana.
37Per quanto concerne san Carlo, celebre è l’episodio della donazione del suo cuore alla chiesa dell’arciconfraternita dei Lombardi, che all’indomani della canonizzazione del Borromeo aveva aggiunto il suo patronato a quello tradizionale di sant’Ambrogio, associandone il nome alla propria intitolazione. La donazione, festeggiata il 22 giugno 1614 con una solenne cerimonia di traslazione, era infatti l’effetto di una perfetta coincidenza di intenti tra la comunità dei Lombardi a Roma, desiderosa di accrescere il prestigio della propria istituzione mediante una reliquia insigne del santo nuovamente scelto come co-patrono, e l’arcivescovo Federico, determinato a offrire al culto del cugino Carlo una adeguata ribalta romana53.
38Accanto a tale eclatante episodio, tuttavia, la menzione di altre donazioni ci restituisce l’idea di una strategia di promozione cultuale cosciente e di proporzioni più ampie. Entro il 1626, a esempio, alla piccola compagnia di S. Giuliano in Banchi era stato donato un frammento della spugna con cui fu lavato il corpo del santo, munito di un’attestazione del cardinale Federico datata 19 marzo 161354. Da una visita apostolica successiva (1695), inoltre, la stessa compagnia risultava in possesso di un’altra reliquia del santo, consistente nella sua berretta cardinalizia, lasciata in forma di deposito da alcuni milanesi che, «non molto doppo la morte di quel santo», avevano intenzione di fabbricare una chiesa di S. Carlo in Banchi, progetto in seguito non realizzato55. Allo stesso modo, l’arciconfraternita di S. Girolamo della Carità poteva vantare un frammento spongiae, qua exenteratum corpus sancti Caroli Boromei fuit sanguine siccato, ab illustrissimo cardinali Borromeo de anno 1625 ad hanc ecclesiam transmissum56.
39Con il passar del tempo i canali di diffusione delle reliquie si fanno più variegati, come sembra indicare la donazione di alcuni frammenti di «spugna e tela tinta del suo sangue» a favore della compagnia della Pietà e alla chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini da parte di un nobile confratello laico, Ottaviano Acciaioli, nel corso del Seicento57.
40Anche nel caso di Filippo Neri, come si accennava in precedenza, in diversi casi è possibile collegare direttamente la circolazione delle reliquie a un preciso disegno di promozione cultuale, messo in atto in questo caso dal principale «gruppo di pressione »58 impegnato prima nell’ottenimento della canonizzazione, poi nella più ampia diffusione della devozione al santo, vale a dire la congregazione dell’Oratorio. Già nel maggio del 1622 infatti, a pochi mesi dalla canonizzazione avvenuta il 12 marzo e in prossimità, non a caso, della prima celebrazione della festa del santo (26 maggio), i padri della Vallicella provvidero a fornire alla chiesa di S. Girolamo della Carità, presso la cui comunità di sacerdoti Filippo Neri aveva lungamente dimorato, una sua reliquia de interioribus59. Similmente, entro il marzo del 1626, fu beneficiata di un reliquiario cum reliquiis sancti Philippi Nerii habitis a patribus sancti Philippi Nerii, ut asseruerunt, degentibus in ecclesia S. Mariae in Vallicella la compagnia delle SS. Cinque Piaghe, la quale, fondata nel 1603 presso la chiesa di S. Trofimo in via Giulia, aveva ottenuto già entro il 1623 di reintitolare il proprio luogo di culto proprio al santo fiorentino60. Meglio documentata è poi la donazione di una reliquia de precordiis a beneficio della compagnia della Trinità dei Pellegrini, attestata da un istrumento notarile vergato dal notaio capitolino Paolo Vespignani in data 18 maggio 1640. A compiere formalmente l’atto di cessione, che giungeva anche in questo caso a ridosso della ricorrenza liturgica, è infatti il padre oratoriano Fausto Latini; ma il tutto, a testimonianza del diretto coinvolgimento dei vertici della congregazione oratoriana, si svolge cum assensu et praesentia admodum reverendi patris Virgilii Spadae ad praesens dictae venerabilis congregationis superioris61.
41Il fenomeno avrebbe in seguito assunto maggiore ampiezza, evidenziando le coordinate di una circolazione delle reliquie non direttamente dipendente dalle dirette strategie di diffusione stabilite dagli oratoriani romani e in cui si possono forse individuare i caratteri di una pia emulazione tra sodalizi attorno a un culto molto diffuso nel contesto religioso cittadino; almeno altre otto confraternite, in ogni caso, furono dotate entro gli anni Venti del Settecento di reliquie del santo fiorentino62.
42Si trattava sempre, in ogni caso, di reliquie di contatto – in particolare frammenti delle vesti – o dei «precordi», vista la ben nota ritrosia degli oratoriani della congregazione romana a cedere parti del corpo del fondatore, gelosamente custodito nella Chiesa Nuova. Strenua fu, a esempio, l’opposizione dei padri della Vallicella rispetto alle richieste avanzate dalla congregazione oratoriana di Napoli, che per lungo tempo richiese alla casa romana una reliquia di Filippo Neri. Allorché nel 1638 i padri di Napoli ottennero, grazie all’appoggio di Anna Colonna, moglie di Taddeo Barberini e dunque nipote del papa regnante, un breve pontificio che ingiungeva alla comunità di Roma di cedere una reliquia ex ossibus del santo, da parte di quest’ultima si arrivò a far trasportare in un luogo segreto la cassa con i sacri resti, pur di scongiurarne la frammentazione. L’intervento diretto di Urbano VIII riuscì in ogni caso a forzare la mano agli oratoriani di Roma, obbligandoli a cedere una costola e una vertebra del Neri, ma ebbe quale effetto anche l’accrescersi delle precauzioni dei padri, che decisero di deporre quanto rimaneva del corpo santo in una cassa ferrata chiusa a fusione, rimasta inviolata fino al 192263.
43Come si accennava in precedenza tuttavia, al di là di questi due casi specifici, le donazioni, più che legarsi a compiuti progetti di innovazione cultuale, concernono reliquie che si collegano per lo più con la consolidata identità devozionale dei sodalizi in questione. Alla base di questo tipo di donazioni pare anzi esserci anzitutto la volontà, in primis dei vertici dei sodalizi, di trasformare le sedi confraternali in veri e propri «santuari urbani», capaci di catalizzare la pia attenzione dei devoti di questo o di quel santo. In tal modo può esser letta la donazione nel 1598, da parte del pontefice Clemente VIII, della reliquia del braccio di san Rocco all’arciconfraternita dedicata al santo. La nuova funzione sacrale attribuita alla chiesa confraternale avrebbe per altro trovato implicita conferma quando, il 18 agosto 1624, lo stesso pontefice Urbano VIII si recò processionalmente a venerare la reliquia, al fine di impetrare sull’Italia e su Roma in particolare la protezione del santo dalle minacce della peste che già imperversava in Sicilia64.
44In un primo tempo infatti, per lo meno fino agli anni Sessanta-Settanta del secolo, sembra rimanere sostanzialmente prevalente la volontà da parte dei donatori – prevalentemente personaggi eccellenti – di rafforzare la vita di pietà dei confratelli, incentivando culti già radicati e consolidando il valore sacrale dei luoghi di culto beneficiati. In questa direzione va a esempio la donazione, nel 1627, della reliquia consistente in un dito di santa Caterina all’arciconfraternita dei senesi da parte del cardinal Francesco Cennini de’ Salamandri, originario di Sarteano, presso Siena65, così come la già citata donazione del cuore di Carlo Borromeo.
45Più occasionalmente, tuttavia, la donazione di una reliquia poteva contribuire al formarsi di una devozione, più o meno spontanea, che finiva per trovare sanzione tanto nella sfera della liturgia, quanto in quella dell’autorappresentazione simbolica. È il caso della confraternita di san Francesco di Paola nel rione Monti, nella quale la donazione della reliquia del corpo di santa Severa, nel 1652, stimolò l’insorgere di una fervida devozione nei confronti di questa figura dagli incerti contorni biografici66. Un’identificazione della martire non è infatti semplice, data la scarsità della documentazione della confraternita pervenuta fino a noi67. Il rilievo che, secondo quanto inducono a pensare alcuni elementi indiziari, il culto ebbe all’interno della compagnia, tuttavia, permette forse di ipotizzare che all’interno della compagnia potesse essere ritenuta quella stessa Severa che secondo la tradizione subì il martirio presso la località laziale di Pyrgi (oggi denominata appunto Santa Severa) nel 298, la cui festa si celebra il 29 gennaio68. Attorno alla sacra reliquia si sarebbe in seguito coagulata la devozione di un gruppo specifico di confratelli che decisero di riunirsi in una congregazione particolare – definita nelle fonti «ristretto» – che si premurava di celebrare con la dovuta solennità la santa. L’attività di questo «ristretto» è testimoniata da un memoriale rivolto alla Sacra Congregazione per la Visita Apostolica. Da esso si apprende infatti che
alcuni fratelli della medema compagnia di devoti di santa Severa, il di cui corpo si conserva in detto oratorio s’unirno e contribuirno certa quota di denaro per ciascheduno, con il quale fecero la statua indorata di detta santa, dentro della quale fu collocato il corpo di essa e doppo fecero altre spese per ornare l’altare di detto oratorio con marmi, sotto del quale fu collocato il detto corpo69.
46Fu tuttavia la compagnia nel suo complesso a legarsi a tale devozione al punto da farla divenire addirittura parte integrante di quel patrimonio cultuale costitutivo della propria identità, come dimostra il suo inserimento nello stendardo processionale, che recava appunto l’immagine della Resurrezione di Gesù su una faccia, e quella dei santi Francesco di Paola e Severa sull’altra70.
47A partire dall’ultimo terzo del secolo XVII e soprattutto con l’aprirsi del successivo, le donazioni iniziano farsi più frequenti e abbondanti, ma appaiono sempre meno legate alla volontà di rafforzare una devozione già esistente all’interno dei sodalizi o di introdurne una nuova. Tra i donatori continuano a prevalere gli alti ecclesiastici, che svolgono l’incarico di cardinali protettori o di governatori delle confraternite71. Progressivamente tuttavia, per quanto frammentario sia il quadro messo a nostra disposizione dalle fonti, iniziano ad emergere, quali protagonisti di simili elargizioni, anche soggetti differenti, tra cui spicca senz’altro la presenza di nobildonne72, talvolta religiose73, ma anche di semplici confratelli di medio livello sociale, entrati in possesso di resti di corpi santi probabilmente grazie ai legami di patronage che li legavano alle élites laiche ed ecclesiastiche dell’Urbe74.
48Nel caso di questi ultimi, in particolare, l’obiettivo non era tanto l’esaltazione del prestigio della compagnia e di quello del proprio casato, quanto la prospettiva di acquistare crediti presso la propria confraternita, guadagnando lo statuto di benefattori, che poteva determinare vantaggi in vita e soprattutto dopo la morte, sotto forma di suffragi.
49Era attraverso questi meccanismi sociali via via più complessi, dunque, che anche nelle confraternite romane iniziava a rendersi visibile, con un certo ritardo e con esiti in genere meno clamorosi75, quel processo di accumulo di reliquie e di santuarizzazione dei luoghi di culto che caratterizza larga parte del mondo cattolico a partire dal secolo XVII76. Soprattutto le donazioni settecentesche sembrano imprimere un ritmo visibilmente più sostenuto al processo, come dimostra l’esempio del piccolo patrimonio di reliquie della confraternita di S. Giuseppe dei falegnami: a fronte dell’unica reliquia autenticata che risulti in possesso della compagnia nel corso del Seicento, quella «delle ossa de’ santi martiri Candido e compagni», ottenuta nel 1682, essa ne riceve in dono quattro nell’anno 1730, nove nel 1738 e un’altra nel 174077. Tutte frutto di elargizioni settecentesche, tuttavia, risultano essere anche le reliquie segnalate da altri sodalizi, come quello dei SS. Giovanni Evangelista e Petronio della nazione bolognese78.
50Influiva su tale evoluzione, com’è evidente, il costante aumento dell’offerta di reliquie determinato dalla solerte e spesso spregiudicata opera di estrazione delle squadre di cavatori autorizzate dalle autorità competenti, che continuò a ritmi vertiginosi per tutto il Settecento, nonostante il montare della polemica erudita sui criteri di riconoscimento dello statuto martiriale dei resti ritrovati nelle catacombe79.
51Il reperimento indiscriminato di reliquie, in cui si traduceva una precisa concezione di sacralità «per accumulo», rappresenta senza dubbio un processo dotato di una sua specifica semantica religiosa, ben definita in ambito cattolico dal prestigio antico di tesori reliquiali eccellenti80 e particolarmente giustificata in un ambiente come quello romano caratterizzato da una rivalità devota particolarmente complessa. Esso non poteva tuttavia non risentire anche di influenze come quella esercitata dalla realtà, ormai diffusa nel contesto romano del Sei-Settecento, del collezionismo, di cui sembrava aver assunto le strutture mentali e le modalità di azione fondamentali, anche se non le finalità81. Reliquie come quelle del sangue dei martiri delle catacombe del resto, ormai da tempo costituivano esse stesse materia di vero e proprio collezionismo, entrando a far parte di «tesori» come quello della duchessa bolognese Cristiana Duglioli Angelelli, costituitosi tra il 1645 e il 165082.
«Ad effetto di ricevere da un sì pio benefattore le dette reliquie» . Due episodi di donazioni eccellenti nella Roma del Settecento
La prospettiva di un donatore singolare: il cardinal Camillo Cybo e l’arciconfraternita degli Angeli Custodi
52L’esistenza di un approccio di tipo «quantitativo» alla dimensione sacrale, cui si è accennato per definire l’atteggiamento delle confraternite rispetto ai propri patrimoni reliquiali, è testimoniata in maniera assai significativa anche da una fonte esterna all’ambito propriamente confraternale, le memorie redatte da un donatore particolare, il cardinal Camillo Cybo.
53Nelle pagine della sua autobiografia suo diario il Cybo rivela un interesse notevole per le reliquie, che cerca di procurarsi, ben prima di divenire cardinale (1729), in ogni occasione possibile e che poi conserva presso la sua cappella privata, la quale
a conto di queste [reliquie], e per la qualità, e per il numero, maggiore senza fallo di quello che sia in qualunque altra chiesa del mondo, deve più tosto dirsi un vero santuario che una privata cappella83.
54Il cardinale si rivela del tutto indifferente alle critiche che nel mondo erudito cattolico, hanno cominciato a levarsi numerose, facendosi per altro sempre più radicali e circostanziate, nei confronti degli eccessi relativi al culto delle reliquie. All’interno della sua collezione, la punta di diamante è costituita dal prepuzio di Gesù Cristo, al cui ritrovamento sono dedicate pagine e pagine delle sue memorie; nella cappella, tuttavia, è presente una enorme varietà di tipologie reliquiali.
55Particolare importanza egli attribuisce evidentemente alle reliquie riconducibili al Cristo (diverse porzioni del sangue, parti di ostie mutatesi in carne durante la consacrazione, frammenti della croce) e alla Vergine (capelli e latte). Ma è non senza un certo malcelato orgoglio che rivela anche il possesso di:
più di trentadue corpi de santi martiri cavati da’ cemeterj, tutti col proprio nome, tre de quali sono vestiti, come fossero ancora in carne; diversi ne’ sono ne’ due gradini dell’altare et parte ne rimangono da essere collocati in alcuni reliquiarii che medito di fare quando piacerà al Signore di darmene il modo84.
56Il possesso di un numero ingente di corpi di martiri, anche se non rappresentava certo un unicum tra gli alti ecclesiastici85, forniva evidentemente un notevole apporto al prestigio della collezione, al quale contribuivano tuttavia anche le diverse centinaia di resti più minuti di corpi santi, così come le più modeste, almeno in linea generale, reliquie di contatto di santi più recenti, come certe tele bagnate del sangue di san Francesco d’Assisi e di san Nicola da Tolentino86.
57Le modalità attraverso le quali il cardinale era giunto a costituire il suo ingente patrimonio erano molteplici. La più diffusa è evidentemente la donazione, che testimonia della fitta rete relazionale di cui il prelato poteva godere: tra i suoi benefattori risultano tra gli altri il «cardinale Vincenzo Maria Orsini, poi Benedetto XIII, [che] quando era arcivescovo di Benevento», gli mandò in dono una reliquia del latte della Vergine87, e la «gran prencipessa di Toscana Violante di Baviera», che gli aveva donato «un’ampolla col […] grasso […] di santa Margarita da Cortona, il cui corpo si conserva intiero »88. Vi erano poi casi in cui il futuro porporato ricorreva a scambi, come nel caso di una reliquia datagli «coll’opportuna autentica da monsignor Crispi arcivescovo di Ravenna, in occasione di avergli io fatto parte di molte altre di quelle che sono appresso di me». Il suo spasmodico interesse nei confronti delle reliquie trovava tuttavia espressione anche nella quasi sistematica abitudine di richiedere una porzione delle sante reliquie con le quali entrava in contatto nell’esercizio delle sue funzioni89.
58A essere significativa tuttavia è anche l’importanza che l’ecclesiastico attribuisce al tesoro in rapporto al prestigio e alla funzione della propria persona, ben riassunta dalla frase con cui si conclude la descrizione:
Queste singolarissime grazie riportate da me, delle quali mi riconosco affatto indegno, potrebbero farli novare la verificazione del mio nome di Camillo con quello a cui applicavasi nel tempo de’ gentili la proprietà dello stesso nome, giacché allora il nome di «camillo» era nome di officio, mentre «camilli» si chiamavano i custodi dei dèi, sembrando ora che per eccesso di Sua infinita clemenza abbia voluto il Cielo destinarmi alla cura delli veri dèi, che sono appunto i santi, avendosi nel salmo in proposito di questi «Ego dixi dii estis »90.
59Sulla scorta di una simile impostazione mentale e religiosa, nel 1721, il custode «delli veri dèi» Camillo Cybo, che in quella fase svolge la funzione di primicerio dell’arciconfraternita dei SS. Angeli Custodi, decide di:
arricchire la chiesa dell’archiconfraternita di parte delle più venerabili e sante reliquie che presso di me si ritrovano colla mira di farla divenire in questo modo un vero santuario e conciliarli una devozione e frequenza singolare della città91.
60Il suo dono consiste in un oltre un centinaio di reliquie, tra le quali una, particolarmente preziosa, è oggetto di onori particolari:
E siccome tra le altre reliquie donai anche il corpo di san Clemente martire, composto insieme in tutte le sue parti e riccamente vestito entro a nobile cassa affine di collocarlo sotto l’altare maggiore, così il dopo pranzo di detto giorno [29 settembre] ne volli fare la solenne traslazione, quale seguì col concorso di numerosissimo popolo spettatore della processione fatta con tutto lo splendore e magnificenza, nella quale servì per regolarla la più cospicua prelatura di Roma vestita col sacco della compagnia negl’impieghi di mazzieri, capoprocessionieri e simili, in fine della quale si portò il santo corpo dentro la sua cassa accomodata sopra un ricco talamo portato da quattro diaconi, quali erano parati con tonicelle di color rosso, dopo del quale andai io in abito pontificale. Ritornata in chiesa la processione si cantò il solenne Te Deum con scielta [sic] musica et ogni sorte d’istromenti al rimbombo di numeroso sparo di mortaletti, quale terminato si collocò il santo deposito sotto l’altare alla presenza de testimonj e colle altre formalità dovute92.
61Il corpo di san Clemente, extractum […] ex coemeterio Ciriacae, era un tempo appartenuto allo zio di Camillo, il cardinale Alderano Cybo93. Quanto alle numerose reliquie secondarie, la loro quantità e il loro assortimento costituisce senza dubbio un aspetto molto significativo: si tratta infatti di sette reliquie cristiche94, una della Vergine95 e ben 166 di santi.
62Sul piano delle categorie di santi, in particolare, il criterio di scelta delle reliquie sembra rispondere a una logica, un’ansia quasi, di completezza: martiri e confessori, papi e vescovi, vergini e penitenti, laici ed ecclesiastici. Allo stesso modo, la collezione donata si rivela completa sul piano delle epoche storiche rappresentate (fig. 7), perché il lungo elenco va da personaggi biblici fino a figure relativamente recenti, il cui processo di canonizzazione risulta ancora in corso, come Luigi Gonzaga, beato già dal 1605, ma canonizzato solo nel 172696.
63Tale impressione di completezza risulta confermata anche se ci si sofferma a considerare lo spazio concesso alle figure di santi appartenenti al clero regolare (fig. 8), che costituiscono il 19,9 % del totale. Nonostante la marcata preminenza dei due principali ordini mendicanti, francescani e domenicani, risultano rappresentate con una certa equità tanto anche le famiglie religiose della tradizione monastica più antica, quanto alcune di quelle congregazioni di chierici regolari sorte nel corso della Riforma cattolica.
64La preziosità di questa donazione, dunque, sembra stare principalmente nelle proporzioni e nell’assortimento delle reliquie che la compongono, capace di attrarre la curiosità dei devoti e di incrementare di conseguenza la valenza sacrale del luogo di culto. Un po’ come avviene nei martirologi, la cui trattazione storica, affidata al susseguirsi degli elogia, è frammentata e ricomposta secondo il ritmo ciclico della liturgia, tutta la storia cristiana è idealmente rappresentata nella somma dei singoli pezzi che, come tessere di un mosaico, compongono collezioni come questa. Mediante la lunga teoria di figure di santi, essa attraversa infatti i secoli, testimoniando per ogni epoca della saldezza della fede della Chiesa. È proprio in quest’ottica, tuttavia, che il singolo frammento perde la sua specifica importanza, dissolvendo le proprie prerogative individuali in quel tutto omogeneo che assume complessivamente una sua semantica autonoma. È attraverso tale meccanismo, pertanto, che nella prospettiva del cardinal Cybo è possibile fare di una chiesa confraternale, magari modesta, «un vero santuario »97.
Confraternite, reliquie, socialità: il caso della confraternita delle Stimmate
65Questo tipo di evoluzione che, pur con accenti e proporzioni differenti e di volta in volta da verificare, pare rivelarsi comune a diverse esperienze laicali romane, può essere seguita in maniera più dettagliata ricorrendo a un altro caso particolare, quello dell’arciconfraternita delle SS. Stimmate di S. Francesco.
66La compagnia delle Stimmate si caratterizzava, oltre che per una intensa vita di pietà, per il possesso di una prestigiosa reliquia, che si costituiva di due preziose porzioni del sangue di san Francesco, frutto di due distinte donazioni avvenute nel corso del Seicento. La reliquia era annualmente portata in processione in occasione della festa delle Stimmate, il 17 settembre, di fronte a folle di devoti del santo e posta al centro di una intensa pratica devota99.
67L’approccio «devozionale» che caratterizza l’atteggiamento nei confronti del sangue di san Francesco sembra essere comune anche ad altre donazioni secentesche, senz’altro meno significative. Quando nel 1662 i fratelli Francesco e Nicolò Ronconi donano la reliquia del martire Valeriano lo fanno con l’esplicita intenzione che essa sia esposta alla pubblica venerazione nel giorno della sua festa:
Desiderando noi […] che le reliquie di san Valeriano martire da noi donata alle Sacre Stimmate per il giorno della sua festa sia esposta, ci dichiaramo per non dare incommodo all’archiconfraternità delle Sacre Stimmate voler dare viventi noi doi scudi l’anno per far celebrare detta festa, ciò è che li fratelli siano obligati a far cantare una messa e che la messa sia aiutata a cantare da’ detti fratelli e non in musica e il resto farne celebrare tante messe private e così piaccia al signor Iddio in vita e in morte, sicome è il nostro desiderio100.
68In tale proposta di finanziare la celebrazione della festa del martire, vi è senz’altro un’intrinseca finalità di autocelebrazione, collegata alla visibilità che inevitabilmente la festività avrebbe concesso anno dopo anno ai due benefattori del sodalizio. Particolarmente significativa nella nostra prospettiva è tuttavia la richiesta che a «cantare» la messa siano proprio i confratelli e non dei cantori salariati, a testimonianza della reale volontà dei due testatori di coinvolgere direttamente il corpo confraternale nella nuova devozione introdotta, arricchendone pertanto la vita di pietà.
69Con l’inizio del Settecento la situazione muta e la frequenza delle donazioni si intensifica: nella prima metà del secolo la compagnia beneficia di non meno di quindici donazioni di reliquie, talvolta multiple e solo parzialmente riconducibili alla matrice spirituale francescana del sodalizio. Non sono note in questo caso le esplicite volontà dei singoli donatori (monsignori, nobili, compagnie aggregate, ma spesso confratelli non illustri), ma è evidente che la maggior parte di tali reliquie non fu mai oggetto di feste celebrate pubblicamente dal corpo confraternale, adempiendo piuttosto alla funzione di accrescere il prestigio dell’istituzione e quello del donatore, ascritto tra i benefattori del sodalizio101.
70Questa tendenza all’accumulo di reliquie prive di una immediata funzione devozionale avrebbe tuttavia toccato il suo apice in maniera clamorosa alla metà del secolo. Il 18 febbraio 1756, infatti, il confratello Filippo Coppetelli, già protagonista nei passati decenni di alcune donazioni di reliquie alla confraternita, di cui faceva parte dal oltre cinquant’anni, rende noto agli ufficiali della compagnia di volere «donare alla nostra archiconfraternita alcune reliquie che si conservano in due suoi armarii »102.
71La donazione, che avvenne formalmente il 7 aprile dello stesso anno, consisteva anzitutto nel «corpo intiero di san Donato martire estratto dal cimitero di Calepodio »103, catacomba sconosciuta al Bosio e scoperta nel corso del Settecento dal custode delle reliquie Marcantonio Boldetti104. Oltre a quest’ultimo, del nuovo tesoro facevano parte diverse centinaia di reliquie minori, rigorosamente accompagnate da oltre 400 autentiche105. Anche in questo caso, come in quello della donazione di Camillo Cybo, la gamma di reliquie andava da quelle del Cristo, della Vergine106 e degli apostoli fino a quelle di figure come quelle dei martiri di Gorcum, non ancora canonizzati – la beatificazione risaliva al 1675107. Per quanto concerne i santi (pari, con tutte le categorie unite, al 98 % circa del totale), è significativo anche in questo caso il relativo equilibrio della ripartizione interna per epoche, con le reliquie dei santi dei primissimi secoli in proporzioni largamente più ampie rispetto a quelle delle altre categorie (37,8 %), ma con queste ultime tutte in quantità significative. Notevole è il rilievo delle figure del secondo millennio, che arrivano a sfiorare il 30 % del totale, ma a stupire è soprattutto il dato dei santi dell’Alto Medioevo, quasi assenti nell’ambiente romano sulla base di tutti gli indicatori finora presi in esame e qui rappresentati, al contrario, in proporzioni paragonabili a quelle dei personaggi delle Sacre Scritture (rispettivamente 7 e 7,9 %).
72Anche in questo caso, l’incidenza dei santi appartenenti agli ordini religiosi è abbastanza elevata (fig. 10): essi sono in totale 95, pari al 20 % del totale. A prevalere nettamente sono le figure legate ai vari rami della famiglia francescana, che da sole costituiscono oltre ¼ del dato complessivo, ma, come si era già registrato per la donazione di Camillo Cybo, numerose tipologie di ordini trovano rappresentanza.
73Il paragone di una siffatta collezione di reliquia con una sorta di «rappresentazione» della storia di Santa Romana Chiesa, già avanzata a proposito della donazione di Camillo Cybo e qui ulteriormente rafforzata dalle proporzioni assai più ampie della donazione108, trova in questo caso conferma in un ulteriore dato, vale a dire la presenza tra i santi menzionati di ben 69 pontefici – dall’apostolo Pietro fino a Pio V Ghislieri –, che arrivano a costituire addirittura il 15 % del totale109.
74La donazione qui descritta rappresentò, com’è evidente, il picco di una tendenza che caratterizzò larga parte del secolo XVIII; le elargizioni infatti sarebbero proseguite anche nei decenni successivi, andando a rimpinguare ulteriormente il ricco tesoro della confraternita110. La tendenza all’accumulo di reliquie, finalizzata all’accrescimento della sacralità e del prestigio dei luoghi della confraternita, manteneva in sostanza immutato il suo vigore.
Per concludere
75L’esame delle fonti prodotte dalle istituzioni romane fra Cinque e Settecento consente di rilevare due diversi atteggiamenti nei confronti delle reliquie di cui gli ambienti confraternali cittadini sono entrati in possesso. Il primo, tipico della fine del Cinquecento e della prima metà del Seicento, sembra fondarsi su un approccio più tradizionale ai resti dei santi, ritenuti dotati di una virtù «attiva» e fatti oggetto di una devozione specifica molto intensa. Soprattutto dai primi decenni del XVIII secolo, a esso se ne affianca progressivamente un altro, basato su una prospettiva decisamente quantitativa, nella quale le reliquie sono considerate nel loro insieme, per la valenza sacrale di cui sono investite in ragione delle virtù «potenziali» attribuite loro. Entrambi gli atteggiamenti sono da intendersi nel contesto di una più ampia strategia di sacralizzazione che si costruisce non soltanto mediante il ricorso ai resti mortali e ad una vasta gamma di reliquie ex contactu che si richiamano al Cristo, alla Vergine e ai santi, ma anche attraverso l’uso sapiente di immagini ritenute in possesso di virtù miracolose. Percorsi differenti, dunque, ma non necessariamente alternativi (nonostante la sostanziale prevalenza ora dell’una ora dell’altro), e in ogni caso aventi quale obiettivo comune quello di accrescere, mediante il conferimento di un surplus di sacralità, il prestigio e le attrattive devozionali degli spazi in uso alle confraternite all’interno di una topografia religiosa, come quella romana, ricchissima e caratterizzata da un alto livello di pia concorrenza.
76Di importanza non secondaria, infine, si rivelano i meccanismi di socialità che si sviluppano nelle confraternite attorno alle reliquie. Specie nei primi due terzi del Seicento, come si è visto, attraverso la donazione di reliquie insigni i membri delle élites cittadine legano indissolubilmente il proprio nome a quello di una compagnia laicale, favorendone lo sviluppo. A loro volta essi traggono prestigio dai progressi del corpo confraternale, su cui esercitano di fatto, in qualità di benefattori, una sorta di patronage. Nel Settecento, con l’ampliarsi del segmento sociale da cui provengono i donatori e l’aumento significativo del numero dei resti di corpi santi, tali dinamiche si manifestano in toni certamente più sfumati. In questa fase, tuttavia, la rete di rapporti di carattere sociale sottesa al fenomeno della donazione non riveste senz’altro un minore interesse. Essa diviene infatti ben più complessa, attraverso il coinvolgimento, nell’interazione con le confraternite, di una molteplice gamma di individui e di istituzioni.
Notes de bas de page
1 Punto di partenza in tal senso, dopo i pionieristici lavori di Hippolyte Delehaye (1927 e 1933), furono studi come quelli di Gagov 1958 e Herrmann-Mascard 1975. Sulla questione delle reliquie come autonomo oggetto di studio si veda la sintetica messa a punto di Mercuri 2004, p. 3-16.
2 Per il concetto di «impresarios of the cult of saints» il rimando d’obbligo è al fondamentale Brown 1981, tanto celebrato quanto discusso, ma universalmente riconosciuto come una delle tappe decisive di una nuova e vitale stagione di riflessione sulle origini e sul ruolo del culto dei santi all’interno del mondo cristiano.
3 Tra i vari studi, ci si limita a citare, tra i più suggestivi: Geary 2000; Bozóky – Helvétius 1999 e in particolare Boesch Gajano 1999; Bozóky 2006.
4 Si veda per esempio il taglio cronologico di un libro, importante anche in una prospettiva metodologica, come Canetti 2002. Si tratta, del resto di una cronologia che, per lungo tempo, ha caratterizzato gran parte degli studi agiografici: cf., per esempio, Fonctions 1991.
5 Sul tema si rimanda al volume Boutry – Fabre – Julia 2009. Per quanto concerne il trattato di Calvino, si veda in particolare Fabre – Wilmart 2009, mentre sul dibattito erudito attorno al tema delle reliquie, si rimanda all’eccellente sintesi di Julia 2009. Di grande interesse, per quanto concerne la prima fase di tali controversie, è anche Boiron 1989. Con specifico riferimento all’enorme flusso di reliquie provenienti dalle catacombe romane lungo tutta l’Età moderna, si faccia invece riferimento principalmente a Ghilardi 2003 e 2006. Una maggiore apertura cronologica sull’età moderna, appena abbozzata in Freeman 2011 (che tuttavia nel suo lungo percorso di ricerca non tiene conto, salvo rarissime eccezioni, della imponente tradizione di studi nel campo dell’agiografia, della storia del cristianesimo e dell’archeologia cristiana in lingua francese e italiana), caratterizza invece il volume collettaneo Boesch Gajano 2005, dedicato a due distinti fenomeni: da un lato l’accumulo di reliquie che conduce alla formazione di veri «tesori» reliquiali; dall’altro le modalità di conservazione e presentazione dell’oggetto-reliquia che consistono nella sua valorizzazione mediante l’uso di preziosi reliquiari. Sul precisarsi delle modalità di autenticazione delle reliquie da parte delle autorità ecclesiastiche e sull’acuirsi della preoccupazione e della polemica circa l’autenticità delle reliquie già nel primo Seicento, infine, si rimanda ancora a Ghilardi 2006 (p. 53-66), 2010 e 2012, ma cfr. anche infra, nota 44.
6 Nel caso della visita di Urbano VIII i dati sono tratti da: Acta sacrae visitationis apostolicae sanctitatis domini nostri Urbani VIII. Pars prima continet ecclesias patriarchales collegiatas et parochiales tam saeculares, quam regulares (Archivio Segreto Vaticano [= ASV], Congregazione Visita Apostolica [= CVA], 2); Acta sacrae visitationis apostolicae sanctitatis domini nostri Urbani VIII. Pars secunda continet ecclesias regulares utriusque sexus (ASV, CVA, 3); Acta sacrae visitationis apostolicae sanctitatis domini nostri Urbani VIII. Pars tertia continet collegia, hospitalia et ecclesias simplices (ASV, CVA, 4) (d’ora in poi Acta Vis. Urb. VIII, I-III). Nel caso degli inventari settecenteschi, si tratta non di una mappatura completa del movimento confraternale, resa impossibile dall’assenza di una visita apostolica altrettanto ben documentata nel XVIII secolo, ma di un campione in ogni caso significativo, rappresentato da circa un centinaio di inventari conservati in una trentina di buste miscellanee (ASV, CVA, 97-130).
7 Un quadro suggestivo in Palumbo 1997. Sulle reliquie romane della Passione, si veda invece Mercuri 2008.
8 Per un panorama sull’associazionismo romano d’età moderna mi permetto di rimandare, oltre che agli studi di Fiorani 1984, 1985 e 2000, Rocciolo 1999, 2004-2006 e 2008, e Rusconi 2010b, ai miei articoli: Serra 2007, 2010 e 2013. Per l’approccio allo studio delle confraternite in una prospettiva di storia delle devozioni, essenzialmente derivante dalla storiografia francese, rimando infine soprattutto ai lavori di Froeschlé-Chopard 1994, 2006 e 2008, Dompnier 2000, 2008 e 2009, Dompnier – Hernandez 2005, e più in generale all’insieme saggi raccolti in Dompnier – Vismara 2008.
9 Cfr. Belting 2001, passim. Sul rapporto reliquie/immagini si rimanda tuttavia anche a Grabar 1946, Schmitt 1999, Thunø 2002 e, per un inquadramento problematico più generale, a Boesch Gajano 2008.
10 Sul tema, oltre che alle recenti, fondamentali riflessioni di Lupi 2008 e 2012, mi permetto di rimandare ancora a Serra 2011a, p. 146-155.
11 Sull’importanza della devozione alle reliquie nella Roma del primo Rinascimento, anche nell’ambito della religiosità laicale, si può vedere Newbigin 2004.
12 Sul tema del rinnovamento cinquecentesco del mondo confraternale italiano, fondamentale è la produzione di Zardin 1997, 2004, 2007, 2010, 2011 e 2012.
13 Il riferimento è alla fortunata definizione della rete dei cimiteri ipogei dal Baronio nel volume secondo dei suoi Annales (Baronio 1594, p. 81). Per l’apporto specifico del Baronio al primo definirsi dello statuto scientifico dell’archeologia cristiana, si veda ora Spera 2012 e relativa bibliografia.
14 Oltre ai già citati lavori di Ghilardi, si vedano Boutry 1979, Signorotto 1985, Saxer 1997 e Cracco – Cracco Ruggini 2003.
15 Sulla questione delle sedi confraternali cfr. Serra 2012b, p. 138-141.
16 Si tratta della confraternite dei SS. Biagio e Cecilia dei materazzari (caret [reliquis]: Acta Vis. Urb. VIII, III, f. 1103r-v) e di quella della S. Croce e di S. Bonaventura dei Lucchesi (reliquia sunt nulla: ibid., f. 1033r-1034v)
17 È quanto accade il 27 settembre 1627 nella chiesa di S. Giovanni Battista dei Genovesi (ibid., III, f. 912v).
18 È il caso della compagnia dei Lapicidari in S. Andrea dei Funari (ibid., I, f. 255r).
19 Tale mancanza è registrata in S. Ivo dei Bretoni (ibid., I, f. 272v).
20 Cfr., per esempio, il decreto ingiunto alla confraternita di S. Ivo dei Bretoni: Reliquarium non clausum aptetur, ita ut a quovis aperiri non possit, fiatque diligentia si extet in archivio memoria quorum sanctorum sint illae reliquiae quae, si inventa fuerit, eorum nomina describantur in vasculis quibus asservantur (ibid., I, f. 273r).
21 Ibid., III, 1019v; ibid., f. 1031r-1032r.
22 Ibid., rispettivamente: II, f. 250v; I, f. 248r
23 Ibid., III, f. 867r-868r. Sulle reliquie del sangue dei martiri, si veda particolarmente Ghilardi 2008 e la relativa bibliografia.
24 Acta Vis. Urb. VIII, rispettivamente: III, f. 856r-857v; I, f. 227r-245r; III, f. 860r-866v.
25 Paglia 1980, p. 145-146.
26 Fulvio 1585.
27 Panciroli 1625, p. 818. Il dato trova conferma anche nella visita effettuata il 13 ottobre 1628 (Acta Vis. Urb. VIII, III, f. 1118r-1119r).
28 Paglia 1980, p. 146n.
29 In questo contesto a essere importante non è tanto la questione dell’autenticità secondo le norme canoniche, quanto tentare di comprendere quale sia la funzione attribuita alle reliquie e la sua eventuale evoluzione. A contare, in sostanza, è soprattutto il particolare punto di vista dei confratelli e dei fedeli che frequentano i luoghi sacri da loro gestiti, partendo dal presupposto che «autentica è la reliquia che la devozione ritiene tale» (Geary 2000, p. 7 e, più in generale, p. 7-13).
30 S. Maria in Campo Santo Teutonico (Acta visitationis Urbani VIII, III, f. 860r-866v)
31 […] in agonia prolixius orabat / et factus est sudor eius sicut guttae sanguinis decurrentis in terram (Lc 22, 43-44). Anche questa reliquia si trovava nella chiesa di S. Maria in Campo Santo Teutonico (Acta visitationis Urbani VIII, III, f. 860r- 866v). Presso la medesima confraternita si conservava addirittura una pars ligni […] de arbore ad quam Deus fuit captus (ibidem).
32 Mc 6, 30-44 e Mt 14, 13-21. L’identificazione del monte della Trasfigurazione con il Tabor, assente nei Vangeli, è ignorata da Origene (Selecta in Psalmos, Ps. 88, 13, in PG, 12, col. 1548) e messa in discussione da Eusebio di Cesarea (Commentaria in Psalmos, Ps. 88, 13, in PG, 23, col. 1092); a definirla in maniera compiuta furono invece Cirillo di Gerusalemme (Catecheses, 12, 16, in PG, 33, col. 744) e Girolamo (Ep. 108, in CSEL, 55, p. 323 e in PL, 22, col. 889; Ep. 43, in CSEL, 54, p. 344 e in PL, 22, col. 491). La reliquia in questione, probabilmente consistente in una manciata di terra, era conservata dalla compagnia di S. Maria di Monserrato della nazione aragonese (Acta Vis. Urb. VIII, III, f. 1019v).
33 Mt 14, 13-21 e Mc 6, 30-44. La reliquia era in S. Maria di Monserrato della nazione aragonese (Acta Vis. Urb. VIII, III, f. 1019v).
34 Sul concetto di coordinate agiografiche, corrispondenti al luogo di sepoltura e alla data anniversaria della deposizione, si rimanda al classico lavoro di Delehaye 1934.
35 Sullo sviluppo del culto alle reliquie della Santa Croce si veda, oltre alle informazioni reperibili nel classico studio di Frolow 1961, Mercuri 2004, p. 25-40.
36 Rusconi 2007 (p. 59-61) e 2010a (p. 279-297).
37 ASV, CVA, 116, Miscellanea 1700, XX, 12, Inventario dell’archiconfraternita della Anime più bisognose del Purgatorio in Gesù e Maria, f. 11r.
38 Nell’inventario è segnalata la presenza di «un libro di tutta la fondatione della nostra archiconfraternita che si legge ogni anno» (Inventario dell’archiconfraternita della Anime più bisognose, f. 11r).
39 Serra 2011b, p. 71-74; sul Neri cfr. anche infra le considerazioni proposte nel paragrafo successivo.
40 Inventario della venerabile chiesa della Natività, f. 7r.
41 Fino al 1571 il luogo di culto era intitolato a santo Stefano protomartire; nel 1572, con l’assegnazione ai «vaccinari» da parte di Gregorio XIII, fu dedicato a san Bartolomeo apostolo. Demolito nel 1721, fu ricostruito a spese dei confratelli e riconsacrato il 21 aprile 1723 (ASV, CVA, 104, Miscellanea 1700, VIII, 3, Inventario […] della venerabile chiesa di S. Bartolomeo Apostolo, vulgo detta de Vaccinari […] fatto il 18 ottobre dell’anno 1726, f. 2r-4v).
42 ASV, CVA, 116, Miscellanea 1700, XX, 2, Inventario della venerabile chiesa de’ SS. Faustino e Giovita de’ Bresciani, f. 5r.
43 ASV, CVA, 97, Miscellanea 1700, I, 16, Inventario della venerabile chiesa della Natività di Nostro Signore Gesù Christo detta l’Agonizzanti, f. 6r-7r.
44 Un solo reliquiario per la confraternita di S. Nicola dei Lorenesi (ASV, CVA, 128, Miscellanea 1700, XLII, 7, Inventario della venerabile chiesa di S. Nicola de’ Lorenesi, f. 3v), sei per quella di S. Francesco di Paola (ASV, CVA, 105, Miscellanea 1700, IX, 17, Inventario della venerabile archiconfraternita di S. Francesco di Paola a’ Monti, f. 4r).
45 Venerabile archiconfraternita del Santissimo Nome di Maria, f. 3r. «Reliquie battezzate» sono segnalate anche presso l’arciconfraternita del SS. Sacramento in S. Pietro in Vaticano (ASV, CVA, 128, Miscellanea 1700, XLII, 2, Archiconfraternita del SS. Sagramento in S. Michele e Magno, f. 6v. Un simile atteggiamento è riscontrabile presso l’arciconfraternita degli Angeli Custodi: l’inventario segnala il corpo del martire Clemente, donato dal cardinal Camillo Cybo, tacendo tuttavia delle altre reliquie minori donate parimenti da quest’ultimo (ASV, CVA, 100, Miscellanea 1700, VII, 11, Venerabile archiconfraternita de’ SS. Angeli Custodi di Roma. Inventario, f. 66v). Sulla pratica di «battezzare» i corpi anonimi ritrovati dai vari cimiteri ipogei dell’Urbe con alcuni nomi convenzionali, ciclicamente ripetuti cfr. le pagine, ancor oggi preziose per chiarezza e accuratezza, di Ferrua 1944, p. XIII-XXII; cfr. tuttavia anche: Boutry 1979, p. 881-884; Julia 2009, p. 73-87; Ghilardi 2005, 2009 e 2010.
46 ASV, CVA, 122, Miscellanea 1700, XXVI, 18, Visitatio ecclesiae parochialis SS. Venantii et Ansovini. An. 1727, c. 4.
47 Sulla dialettica tra sfera visiva e sfera tattile, sulla base della quale si intreccia il rapporto e si delineano le differenze di statuto tra immagini e reliquie – ben viva nell’età moderna e fino alle soglie dell’epoca contemporanea –, si è soffermato Pierre-Antoine Fabre nel corso del suo intervento alla tavola rotonda Autour des reliques des «vieux saints»: lieux, usages, échanges (XVIe-XIXe), svoltasi a Parigi il 6-7 novembre 2009, di cui si attendono gli atti.
48 Non meno di 40 riferimenti su un totale di 100 sodalizi.
49 Su questo aspetto cfr. Boesch Gajano 1999, p. 23-24.
50 Per un analogo esempio, quello di una famiglia religiosa di prestigio, come quella dei vallombrosani, si veda Coda 2005, p. 75-76, nonché, in una prospettiva più generale, Coda 2004.
51 In realtà l’esposizione delle reliquie nella città di Roma, anche se autenticate, era sottoposta in ultima analisi all’approvazione fornita direttamente dal cardinal vicario oppure, in sua vece, dal viceregente o dallo stesso custode delle reliquie, che dipendevano dalla autorità del vicariato (cfr. Rocciolo 2004, p. 117-118).
52 Sulla formazione del Borromeo (1564-1631) e sull’importanza, in tal senso, del periodo trascorso nell’Urbe, vedi Gabrieli 1933-1934 e Prodi 1971. Il Borromeo ricoprì la carica di protettore dell’arciconfraternita dell’Orazione e Morte dal 1589 fino al trasferimento a Milano, nel 1595 (per la cerimonia della presa di possesso: congregazione generale del 16 aprile 1589, in ASVR, AOM, 18, Libro dei decreti, 1580-1589, f. 215r-v). Per un quadro complessivo sulle donazioni di reliquie del Borromeo da parte dell’arcivescovo Federico, si veda Besozzi 1997.
53 Treffers 2000.
54 In occasione della visita apostolica risultava che gli iscritti fossero circa 200, ma che solo una ventina frequentasse effettivamente le funzioni comunitarie, quali la recita comunitaria dell’ufficio mariano nei giorni di festa e di quello dei morti ogni prima domenica del mese, le processioni della Settimana Santa e la Visita delle Sette Chiese (Acta Vis. Urb. VIII, II, f. 795r-799r).
55 ASV, CVA, 106, Miscellanea 1700, X, 7, S. Juliani in monte Jordano, sive S. Juliani in Banchi. Anno 1695, f. 2v.
56 Acta visitationis Urbani VIII, III, f. 1074r.
57 ASV, CVA, 119, Miscellanea 1700, XXIII, 4, S. Giovanni de’ Fiorentini e compagnia della Pietà de’ Fiorentini, f. 7v. Se è possibile identificare il personaggio con il marchese fiorentino Ottaviano Acciaioli (Firenze 1581 – Roma 1659), senatore romano ed eletto alla carica di conservatore nel 1644, al quale nella chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini è dedicato un busto commemorativo opera dello scultore Ercole Ferrata, la donazione dovette avvenire attorno alla metà del secolo XVII, e comunque entro il 1659 (sul busto e sulla chiesa in genere si vedano le rapide informazioni Ferrara 1998 e, per uno sguardo più ampio, Rufini 1957).
58 Per la definizione di questo concetto si rimanda al classico Delooz 1969 e per un più rapido quadro a Delooz 1976, p. 240-241.
59 [Adest reliquia] de interioribus sancti Philippi Nerei a patribus S.tae Mariae in Vallicella datis per instrumentum per acta Passarini notarii de mense maii 1622 in thecis ex ligno deauratis decenter custodiuntur (Acta Vis. Urb. VIII, III, f. 1074r).
60 Ibid., II, f. 793r-794v.
61 Istrumento di donazione delle reliquie dei precordi di san Filippo Neri da parte del padre Fausto Latini all’arciconfraternita della SS. Trinità dei Pellegrini e Convalescenti, in Archivio di Stato di Roma, Ospedale Trinità dei Pellegrini, 468, Chiesa. Privilegi e Sacre funzioni, Sagre reliquie, C, Quattro copie publiche di istromenti di donazione di reliquie. Lo Spada era stato eletto preposito della congregazione dell’Oratorio il 10 aprile 1638 (Cistellini 1989, III, p. 2305).
62 Le compagnie in questione sono le seguenti: Agonizzanti (Inventario della venerabile chiesa della Natività, f. 7r); S. Girolamo degli Illirici (ASV, CVA, 97, Miscellanea 1700, I, 15, Inventario della venerabile chiesa collegiata di S. Girolamo degli Illirici); Angeli Custodi (Venerabile archiconfraternita de’ SS. Angeli Custodi, f. 66v); S. Maria della Consolazione (ASV, CVA, 113, Miscellanea 1700, XVII, 4, Inventarii generali dell [a] venerabile archiospedale della Santissima Consolazione di Roma fatti nell’anno 1727), Pietà dei Fiorentini (S. Giovanni de’ Fiorentini e compagnia della Pietà); S. Luca (ASV, CVA, 123, Miscellanea 1700, XLII, 12, Inventario della venerabile chiesa di S. Luca in S. Martina, f. 6v); Congregazione di S. Paolo (ASV, Congr. Visita Apostolica, 122, Miscellanea 1700, XLII, 11, Inventario della congregatione di S. Paolo in S. Carlo a’ Catenari); Camerinesi (Visitatio ecclesiae parochialis SS. Venantii et Ansovini. An. 1727, c. 21); Bolognesi (Relatio ecclesiae et archiconfraternitatis Sanctorum Ioannis Evangelistae et Petronii Nationis Bononiensis, f. 12r).
63 Sull’episodio, la ricostruzione più completa e dettagliata è tuttora quella di Cistellini 1989, III, p. 2298-2301; cfr. tuttavia anche le osservazioni di Gana 2005, che si concentra in particolare sul ruolo della Colonna.
64 L’iscrizione apposta nella chiesa dell’arciconfraternita per commemorare l’episodio riportava il seguente testo: Urbanus VIII Pontifex Maximus propitiando periculis pestilentiae siciliensis imminentibus anno MDXXIV [sic, in realtà MDCXXIV] hanc incussit ecclesiam, et in ara maxima ante brachium S. Rocchi sacrum fecit die dominico 15 Kal. Septembris [18 agosto] eiusdemque auctoritate (ASV, CVA, 104, Miscellanea 1700, VIII, 10, Inventario della venerabile arciconfraternita di S. Rocco, f. 12v). Sull’arciconfraternita si veda Canofeni 1986. L’episodio della peste siciliana del 1624 – su cui si veda Valenti 1985, ma anche, in una più ampia prospettiva, Dollo 1991 – si lega indissolubilmente a quello dell’inventio del corpo di santa Rosalia, per cui si rimanda a Cabibbo 2004.
65 Alla reliquia della domenicana Caterina faceva da contrappunto quella dell’altro protettore della confraternita, il francescano Bernardino da Siena (ASV, CVA, 105, Miscellanea 1700, IX, 10, Relazione e stato della venerabile compagnia di S. Caterina di Siena della Nazione Senese in strada Giulia, f. 5v). Sul Cennini (1566- 1645), si veda Del Re 1964, p. 117-118.
66 Inventario della venerabile archiconfraternita di S. Francesco di Paola, f. 4r. La presenza della reliquia è confermata anche da Posterla 1707, p. 348.
67 Sulla confraternita, fondata nel 1650 ed eretta in arciconfraternita nel 1727, e sulla scarsa consistenza del materiale archivistico a essa relativo, si veda Rocciolo 1986.
68 Di Severa non vi è menzione nelle diverse edizioni cinque-settecentesche del Martyrologium Romanum. Il Baronio, tuttavia, ne ricostruisce brevemente le vicende nei suoi Annales (AE, II, p. 666) e, sulla sua scorta, il Gallonio la ricorda tra le vergini romane (Gallonio 1591, p. 33-34). Bolland ed Henschen, infine, la inseriscono negli Acta Sanctorum al 29 gennaio (AASS Ianuarii, II, p. 946-947).
69 Supplica del «priore et altri fratelli del ristretto di santa Severa nell’oratorio di S. Francesco di Paola alli Monti» alla Sacra Congregazione della Visita Apostolica s.d. [ma dopo il 30 settembre 1727] (ASV, CVA, 105, Miscellanea 1700, IX, 19, Visitatio venerabilis archiconfraternitatis S. Francisci de Paula ad Montes. Anno 1731, f. 14r-v e 19r-v). Il “ristretto” mancava tuttavia di una erezione formale (Memoriale del cardinal Vaio Maria Vai alla Sacra Congregazione della Visita Apostolica del 12 ottobre 1727, ibid., f. 15r-v e 18r-v)
70 Inventario della venerabile archiconfraternita di S. Francesco di Paola, f. 5v.
71 È il cardinale protettore Pietro Ottoboni (1667-1740), a esempio, a donare l’unica reliquia inserita nell’inventario, un frammento della Santa Croce, alla confraternita del SS. Sacramento in S. Nicola in Carcere (ASV, CVA, 118, Miscellanea 1700, XXII, 8, Inventario della venerabile compagnia del Santissimo Sagramento in S. Nicola in Carcere, f. 4r). Sull’Ottoboni, segretario di Stato sotto il pontificato dello zio Alessandro VIII, governatore di diverse città dello Stato Pontificio e segretario del Sant’Uffizio dal 1726 alla morte, si vedano le informazioni proposte in Weber 1994, p. 131, 246, 405 e 812, con relativa bibliografia.
72 Un frammento del velo della Vergine in possesso dell’arciconfraternita della Madonna del Carmine avente sede nella chiesa carmelitana dei SS. Silvestro e Martino risulta esser dono della «baronessa Scarlatti» (ASV, CVA, 124, Miscellanea 1700, XXVIII, 7, Inventario […] della venerabile archiconfraternita della Madonna del Carmine alli Monti, f. 3r).
73 Due reliquiari, il cui contenuto sacro non è esplicitato, risultano donati da «madre Brigida Chellini di S. Silvestro in Capite», monaca clarissa negli anni Sessanta del Seicento alla compagnia della Pietà dei Fiorentini (S. Giovanni de’ Fiorentini e compagnia della Pietà de’ Fiorentini, f. 7v). La Chellini deve essere con ogni probabilità identificata con l’omonima monaca cui lo stampatore romano Bartolomeo Lupardi dedicò una nuova edizione curata a sue spese dell’opera del drammaturgo fiorentino Giacinto Andrea Cicognini L’innocenza calunniata ouero La regina di Portogallo Elisabetta la Santa, edita a Viterbo nel 1663 (Franchi 1988, p. 363). Sul coinvolgimento delle religiose entro la complessa rete del patronage aristocratico nella realtà romana d’Età moderna si vedano Andretta 2000 e Fiorani 1977, p. 63-111; più specificamente sul loro ruolo nella vita culturale e artistica tra Cinque e Seicento si rimanda invece a Pomata – Zarri 2005.
74 Ciò sembra valere a esempio per la donazione delle reliquie di san Trifone alla compagnia del SS. Sacramento in S. Agostino, Nicola e Trifone avvenuta a opera di un certo confratello Giuliano Cicelli (ASV, CVA, 112, Miscellanea 1700, XVI, 13, Inventario di tutte le robbe, suppellettili et altro della venerabile compagnia del Santissimo Sagramento in SS. Agostino, Nicola e Trifone di Roma secondo la consegna datane alli fratelli proveditori pro tempore della medema compagnia, f. 3v).
75 Si pensi alle complesse questioni di carattere sacrale, politico e identitario che si legano a collezioni di reliquie come quella costituita all’Escorial da Filippo II, su cui si rimanda ora al saggio di Lazure 2009.
76 Sull’accumulo di reliquie da parte delle confraternite cfr. l’accenno di Rusconi 1986, p. 498, che inserisce tale tendenza nel più generale fenomeno di moltiplicazione dei referenti devozionali che caratterizza la vita religiosa, in particolar modo dei laici, soprattutto dal Seicento. Sul dato si veda tuttavia anche Fiorani 1978, p. 153-154. Un’analoga cronologia è segnalata ad esempio per il monastero di Montevergine, che vede aumentare il proprio tesoro delle reliquie a partire dalla metà del Seicento, e in modo particolare agli inizi del secolo successivo (cfr. Galdi 2005).
77 ASVR, Arciconfraternita di S. Giuseppe dei falegnami, 305, Notizie particolari sulla confraternita […] (dal 1526 al 1905), fasc. Autentiche delle sacre reliquie [s.d., ma XIX sec.].
78 Relatio ecclesiae […] Nationis Bononiensis, f. 12r.
79 Le estrazioni si susseguivano a ritmi elevatissimi, tanto che secondo il padre Antonio Maria Lupi in meno di un anno e dal solo cimitero di Calepodio furono estratti ben duemila corpi di martiri (Lupi 1734, p. 4; cfr. Ferrua 1944, p. XXXII-XXXIII e Ghilardi 2008, p. 64-65, con relativa bibliografia). Le modalità di riconoscimento dello statuto martiriale ai corpi estratti dai cimiteri ipogei, principalmente fondate sulla presenza del cosiddetto «vaso di sangue», furono oggetto di una annosa querelle erudita che vide la viva partecipazione personaggi del calibro di Papebroch, Mabillon e, successivamente, Muratori, sulla quale si rimanda per intero a De Rossi 1944; per un’agile e convincente sintesi sulla questione si veda tuttavia anche a Coda 2004, p. 98-99n.
80 Cfr., a titolo di esempio, Mercuri 2005, p. 65-72.
81 Sul tema, Ago 2006.
82 Cfr. Ghilardi 2008, p. 58-59.
83 Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II di Roma (= BNCR), Fondo Gesuitico (= FG), ms. 98, Vita del cardinale don Camillo Cybo da lui stesso descritta (= Vita), IV, f. 198r.
84 Vita, IV, f. 200v.
85 Si pensi alle due intere «scatole con corpi santi» di martiri estratti dalle catacombe romane accumulate tra il 1656 e il 1662 dal cardinale Flavio Chigi (Ghilardi 2008, p. 57-58).
86 Vita, IV, f. 201r.
87 Vita, IV, f. 200v. Su Benedetto XIII (1649-1730), si veda De Caro 2000 e relativa bibliografia.
88 Vita, IV, f. 200v-201r. Nata nel 1673 dal principe elettore Ferdinando di Baviera, Violante si sposò nel 1689 con il principe Ferdinando de’ Medici, primogenito del granduca Cosimo III, e ne rimase vedova nel 1713; nel 1717 fu nominata, grazie al sostegno del cognato e futuro granduca Gian Gastone, governatrice di Siena, carica concessale da Cosimo de’ Medici mantenuta fino alla morte, che giunse nel 1731 (Bianchi Bandinelli 1973; Calvi 2008).
89 In almeno due casi, avendo fornito a una chiesa un reliquiario in cui tenere una reliquia in luogo di un altro ritenuto indecente, chiede e ottiene di frazionare la reliquia in questione per poterne avere in dono un frammento (Vita, IV, f. 198v-199r).
90 Vita, IV, f. 201r.
91 BNCR, FG, ms. 89, Descrizione di tutto ciò che à operato il cardinale Camillo Cybo a vantaggio dell’archiconfraternita de’ SS. Angeli Custodi nell’impieghi di primicerio, visitatore e protettore che in diversi tempi à esercitati nella medesima per molti anni (= Descrizione), f. 12r.
92 Descrizione, f. 13r-v.
93 Esemplare dell’autentica fatta da me alle sante reliquie che donai all’archiconfraternita de’ SS. Angeli Custodi, in Descrizione, f. 107r. Il cimitero di Ciriaca, meglio noto come cimitero di S. Lorenzo, dovette svilupparsi a seguito della depositio in quell’area, sulla via Tiburtina, del diacono Lorenzo, martire durante la persecuzione di Valeriano nel 258 (Testini 1980, p. 240-241). Sul cardinale Alderano, si veda Stumpo 1981.
94 ex fascis Domini nostri Iesu Christi; ex lapidibus praesepis in quo natus fuit idem Dominus noster Iesus Christus; particulas ligni s. Crucis Domini nostri Iesu Christi; de velo quo in cruce copertus fuit Dominus noster Iesus Christus suo pretioso sanguine imbuto; de sudario Domini nostri Iesu Christi; ex virgis quibus fuit caesus; ex petra in qua Suum sanctissimum corpus post mortem fuit perunctum (Esemplare dell’autentica).
95 de subucula (Esemplare dell’autentica).
96 Baumann – Cardinali 1967; Sul personaggio si veda pure Giordano 2006 e Giachi 2001.
97 Sulle peculiarità espressive della forma elencativa si veda, in una prospettiva generale, Eco 2009.
98 La presente statistica è realizzata a partire dall’elenco riportato dallo stesso Camillo Cybo nel documento di autentica che accompagnava le reliquie, datato 27 settembre 1721 (Esemplare dell’autentica).
99 Su tali questioni, come pure sulle vicende relative alla nascita e allo sviluppo dell’arciconfraternita delle SS. Stimmate di S. Francesco, mi permetto di rimandare a Serra 2012.
100 Memoriale dei fratelli Francesco e Nicolò Ronconi all’arciconfraternita delle SS. Stimmate del 7 novembre 1662, in Archivio Storico del Vicariato di Roma (= ASVR), Fondo reliquie (= FRe), 100, Autentiche di sante reliquie (1659-1710), XXIII, Autentica no 3 del sangue di san Pio V, de’ santi Giovanni, Matteo, Marco e Luca apostoli et evangelisti. In assenza delle adeguate coordinate agiografiche non è possibile individuare con assoluta certezza il martire in questione; la collocazione romana del culto e delle reliquie, tuttavia, può forse far propendere per una identificazione con quel Valeriano che secondo un’antica tradizione agiografica fu marito di santa Cecilia e dovette subire il martirio con lei, il fratello Tiburzio e altri compagni – secondo l’ipotesi proposta dall’Henschen che ne inserisce la memoria al 14 aprile – nell’anno 229 (AASS Aprilis, III, p. 203-211). Desidero qui ringraziare sentitamente Domenico Rocciolo, direttore dell’ASVR, per l’amicizia e la generosità con cui mi ha costantemente indirizzato e sostenuto nel lavoro di reperimento e classificazione della ricchissima documentazione conservata nel Fondo reliquie.
101 Tra le reliquie francescane vi sono frammenti dello «scapolare del nostro padre san Francesco donato dal fratello Antonio Carlier li 19 febraro 1719», alcune «reliquie di sant’Antonio in un piccolo reliquiario d’argento dato dal fratello Paolo Maria marchese Maccarani l’anno 1729» e una porzione «del celizio di san Francesco lasciato per legato dal fratello Giuseppe Pietro Fiorelli con l’attestato del padre Francesco Maria Galluzzi gesuita», la cui donazione è databile al Settecento grazie al riferimento al Galluzzi (1671-1731), agiografo assai prolifico, principale animatore a partire dal 1706 dell’Oratorio del Caravita, nonché confessore e direttore spirituale apprezzato negli ambienti romani (utile testimonianza dell’ampia fama di santità del personaggio in Memmi 1734; su di lui si veda anche Zanfredini 2001. Per il resto si tratta quasi totalmente di reliquie cristiche, mariane e martiriali (ASVR, FRe, 102, Miscellanea 1700-1892, 19, Privilegi ed elenco delle Sacre Reliquie. Senza data precisa [1685]); fanno eccezione, tuttavia, le reliquie de praecordiis di san Filippo Neri (ASVR, FRe, 101, Autentiche delle reliquie (1710-1891), XXXIV/1748, Autentica de’ precordi di san Filippo Neri), le particulas cerebri et sanguinis concreti, necnon cranii beati Iosephi Calasantii, donate dall’allora preposito generale degli scolopi Giuseppe Agostino Delbecchi in data 12 settembre 1749 (ASVR, FRe, 101, Autentiche delle reliquie (1710-1891), XXIV/1749, Autentica della reliquia del beato Giuseppe Calasantio) e le particulas ex sacris ossibus beatae Hyacinthae de Marescottis, ex velo quo eadem beata dum viveret utebatur et ex spinea corona ac ex cordulis flagelli sanguine aspersis quibus dicta beata proprium corpus affligebat, donate dalla compagnia delle Cinque Piaghe di Viterbo in occasione della sua venuta a Roma per il giubileo del 1750 (ASVR, FRe, 101, Autentiche delle reliquie (1710-1891), XXXV/1750, Autentica della reliquia della beata Giacinta Marescotti dalla compagnia di Viterbo nell’anno santo 1750).
102 ASVR, ASS, 56, […] Libro delle risoluzioni e decreti fatti dalle congregazioni segrete e generali delle venerabile archiconfraternita delle Sagre Stimmate del serafico padre san Francesco dalli 6 ottobre 1754 a tutto il dì 7 ottobre 1757 […], c. 104.
103 Privilegi ed elenco delle Sacre Reliquie, f. 7r.
104 Sulla catacomba si veda Nestori 1971-1972. Tra la vasta produzione storiografica sull’opera del Bosio e per una sua contestualizzazione si veda almeno la messa a punto di Ghilardi 2001.
105 Conservate in due corpose buste: ASVR, FRe, 100, Autentiche di sante reliquie (1659-1710) e 101, Autentiche di sante reliquie (1710-1891).
106 Rispettivamente «della cunna di nostro Signore; del fieno del Presepio di nostro Signore; delle fascie dell’infanzia di nostro Signore; della pietra del sepolcro di nostro Signore; della veste inconsutile di nostro Signore; della veste purpurea di nostro Signore; degli altri vestimenti di nostro Signore» e «delli capelli, delle vesti [e] del seppolcro della santissima Vergine», Madre di Dio (Privilegi ed elenco delle Sacre Reliquie, f. 7r).
107 Su di essi si veda Jansen 1966.
108 A rigore, la grande diffusione delle presunte reliquie martiriali di cui aumenta vertiginosamente la diffusione nel Settecento, con un aumento del dato assoluto pari a quasi il 200 %, avrebbe potuto, per così dire, inflazionare la categoria dei santi dei primi secoli. La lettura delle autentiche, al contrario, evidenzia la netta preminenza tra i martiri non dei santi «battezzati», come ci si poteva attendere, ma quasi soltanto di santi martiri che, grazie al riferimento per lo meno alla patria, è possibile collegare a una solida tradizione martirologica.
109 Sulle vicende legate al riconoscimento della santità dei pontefici, si rimanda ancora a Rusconi 2010a.
110 Si segnalano, tra l’altro, frammenti ulteriori ex ligno Sanctissimae Crucis Domini nostri Iesu Christi (ASVR, FRe, 101, Autentiche di sante reliquie (1710- 1891), XIII, Autentica del legno della Santissima Croce).
Auteur
Università degli Studi di Perugia
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