Tra lealtà alla Corona e fedeltà a Roma : I cardinali degli Stati sabaudi dalla Restaurazione alla fine del XIX secolo1
p. 21-32
Résumé
Nel corso del XIX secolo il regno di Sardegna visse una evoluzione territoriale : dapprima (1815) con l’acquisizione della Liguria, poi, con la cessione di Nizza e della Savoia alla Francia (1860). Nella composizione del Sacro Collegio tali mutamenti non furono privi di significato. A rappresentare la monarchia sabauda nel collegio cardinalizio a metà Ottocento (periodo segnato da tensioni fra la Santa Sede e il governo subalpino) si vennero a trovare diverse porpore (in particolare quelle dei cardinali liguri) che con casa Savoia avevano vincoli di fedeltà esili e recenti, mentre i cardinali piemontesi, specialmente quelli di estrazione nobiliare, dovettero cercare un equilibrio fra la lealtà ad un papato assediato dal neonato regno d’Italia, ed una dinastia che, per cingere la corona di quel regno, non aveva esitato a porre fine al potere temporale della Chiesa.
Texte intégral
1Durante l’età moderna Casa Savoia non sviluppò una politica cardinalizia pari a quella delle altre dinastie. Nel contempo, grazie all’indulto ottenuto da papa Niccolò V nel 1452 ed alla sua applicazione ai territori man mano annessi, i Savoia poterono controllare le nomine ai vescovadi ed alle abbazie dei propri Stati, attuando selezioni che risultavano tanto interne alle logiche della corte sabauda quanto esterne a quelle di Roma1.
2Il Collegio cardinalizio era stato un luogo centrale per la politica di Este, Medici e Gonzaga, ma non per i Savoia2. Questi né avevano visto loro membri giungere alla porpora – con la sola eccezione del cardinal Maurizio –, né avevano voluto (o potuto) trattare con Roma perché essa fosse concessa a dei loro sudditi3. Su questo specifico tema la loro politica pare più assimilabile a quella delle grandi dinastie europee, piuttosto che a quella delle altre dinastie italiane4.
3Solo nel Settecento, con l’ascesa al trono regale (prima di Sicilia poi di Sardegna), i Savoia ottennero sia il diritto alla nomina d’un cardinale di Corona5 sia la creazione di una Cappella di corte, guidata da un Grande elemosiniere, che per diversi decenni fu anche un cardinale6. Dalla metà del Settecento poi, diversi arcivescovi di Torino divennero cardinali : da una parte, si trattava di una rottura rispetto al secolo precedente ; dall’altra, di una netta differenza rispetto ad altre capitali italiane (a Firenze, per esempio, nessun arcivescovo divenne cardinale). L’esito di tale politica fu che nel secondo Settecento ben due cardinali sabaudi sfiorarono l’elezione papale, vedendosi sbarrare l’accesso al soglio dal veto delle grandi potenze. Si tratta del tortonese Carlo Alberto Guidobono Cavalchini (1683-1774) e del savoiardo Hyacinthe-Sigismond Gerdil (1718-1802) : nel primo caso il veto venne dalla Francia durante il conclave del 17587 ; nel secondo dall’Impero, che nel 1800 vedeva con preoccupazione che salisse al soglio un cardinale fedele ai Savoia8. Con la Restaurazione il problema del controllo delle élites ecclesiastiche da parte della Corona si ripresentò, con in più la difficoltà della gestione dell’aristocrazia genovese, da sempre fortemente presente a Roma e tendenzialmente ostile al governo di Torino9.
Fra Restaurazione e Risorgimento. Corte sabauda e Collegio cardinalizio : il progressivo allentamento dei legami
4Vittorio Emanuele I (1802-1821) e Carlo Felice (1821-1831), ultimi Savoia del ramo primogenito, erano sinceri e ferventi cattolici non meno dei loro predecessori, ma come questi svilupparono la politica giurisdizionalista tradizionale in Casa Savoia. Diversamente, invece, da quanto operato da Carlo Emanuele III (re dal 1730 al 1773) e da Vittorio Amedeo III (re dal 1773 al 1796), non attuarono una politica cardinalizia. Proprio per questo è interessante che, comunque, diversi sudditi sabaudi giungessero ad ottenere il galero.
5Nel 1829, il Sacro Collegio era composto da 51 cardinali, di cui 40 italiani e 11 di altri quattro paesi europei (Impero, Francia, Spagna, Portogallo). Fra gli italiani, erano 5 a provenire dagli Stati sabaudi : 3 dal Piemonte, 2 da Genova10. Un numero contenuto, certo, rispetto a romani, napoletani e toscani, ma che era comunque significativo. Se si considera la presenza nel Sacro Collegio delle grandi monarchie europee (la Francia esprimeva sei cardinali, due l’Impero e la Spagna ; uno il Portogallo), la presenza dei cardinali sabaudi sembra rimandare più a questa, che a quella degli altri Stati della Penisola.
6Fra i piemontesi, le carriere più significative furono probabilmente quelle di Francesco Guidobono Cavalchini (1755-1828) e di Giuseppe Morozzo Della Rocca (1758-1842), entrambe, comunque, nate al di fuori della monarchia sabauda. Cavalchini era stato creato cardinale nel 1807, quando era vice-Camerlengo della Camera Apostolica. Morozzo della Rocca si era formato presso l’Accademia Pontificia di Roma, dove era entrato nel 1778, e nel 1802 era stato creato arcivescovo in partibus e, insieme, nominato nunzio apostolico presso il re d’Etruria, Ludovico di Borbone. Alla Restaurazione era il candidato più naturale alla sede di Torino (restata vacante dopo la morte di mons. Della Torre, nell’aprile 1814, un mese prima del rientro del sovrano), tanto che il Papa nel 1816 lo creò cardinale e nel 1817 lo nominò arcivescovo di Novara. Sempre nel 1816, Pio VII chiamò nel Sacro Collegio anche Paolo Giuseppe Solaro di Villanova (1743-1824), vescovo di Aosta dal 1784 al 1803 (quando aveva lasciato la diocesi in polemica col nuovo governo) e il novarese Giovanni Cacciapiatti (1751-1833). Morozzo e Solaro, appartenenti a due delle principali famiglie della nobiltà piemontese, erano i candidati naturali alle cariche d’arcivescovo di Torino e di Grande elemosiniere, ma le cose andarono diversamente. Per ragioni non chiare, tuttavia, Vittorio Emanuele I non volle avere uno di loro alla guida della capitale. Contro una tradizione secolare, anzi, inizialmente Vittorio Emanuele I non avrebbe nemmeno voluto un piemontese, ma un lombardo : il barnabita Francesco Fontana (1750-1822), un antico allievo di Gerdil, poi generale dell’Ordine, nel 1806, e perseguitato da Napoleone. Nel 1815 Pio VII aveva già deciso di nominarlo cardinale : sarebbe stato quindi un candidato perfetto per la sede torinese. Tuttavia, il papa preferì tenerlo con sé a Roma, dove, nel 1818, lo nominò prefetto della Congregazione de Propaganda Fide. La decisione del papa creò qualche perplessità a Torino, dove la richiesta del re era considerata una semplice formalità, cui Pio VII non avrebbe potuto non dare seguito. Da Roma proposero allora il genovese mons. Giovan Battista Lambruschini (1755-1827), vescovo di Orvieto dal 1807 ed anch’egli noto per le sue posizione reazionarie. Vittorio Emanuele I però aveva rifiutato : « Si c’étoit à Gênes, bien ; mais à Turin, je ne crois pas qu’il convienne »11. In realtà, come notava il conte Pio Vidua, ministro agli interni, dietro al rifiuto del re verso Lambruschini era la « debolezza di non destinare nell’alma capitale di Torino un mitrato non nobile ». « Povero San Pietro », commentava Vidua, « non avrebbe ottenuto il Primato »12. Ci vollero ben altri tre anni per la nomina dell’arcivescovo di Torino : la scelta del re cadde infine sul monaco camaldolese Columbano Chiaverotti (1754-1831). Questi apparteneva ad una famiglia della piccola nobiltà sabauda, non aveva alcun contatto a Roma e non ottenne mai il galero. Vittorio Emanuele I, inoltre, non conferì né a lui né ad altri la carica di Grande elemosiniere di corte, che da allora non fu mai più assegnata13. Neppure quando, nel 1824, Leone XII creò cardinale mons. Teresio Carlo Vittorio Ferrero della Marmora (1757-1831), cavaliere dell’Annunziata.
7Si trattò, quindi, d’una forte cesura con quella che era stata la pratica di governo ecclesiastico seguita nel Settecento. Negli anni fra 1814 e 1831 si consumò, infatti, una marcata rottura fra la corte sabauda ed il Collegio cardinalizio, in contrasto con quanto aveva fatto, con non poca difficoltà, Carlo Emanuele III nel secolo precedente.
8A garantire – almeno formalmente – la presenza di sudditi sabaudi nel Sacro Collegio fu la nutrita pattuglia genovese, un gruppo di cardinali su posizioni politiche schiettamente reazionarie, che ebbe un ruolo importante nello Stato pontificio di Leone XII e soprattutto di Gregorio XVI.
9Durante il regno di Carlo Alberto (1831-1849), il numero dei sudditi sabaudi presenti nel Collegio cardinalizio tornò a crescere, ma con una forte marginalizzazione dell’elemento piemontese. Nel 1840, il Sacro Collegio era composto di 57 cardinali, ma la presenza di non italiani era scesa ad appena 6. Dei 51 italiani, ben 10 erano sudditi sabaudi : una percentuale di tutto rispetto. A determinarla, tuttavia, erano soprattutto i cardinali genovesi : ben 714 ; v’erano poi un sardo (Luigi Amat di San Filippo e Sorso) e due soli piemontesi : l’ottantenne Morozzo della Rocca e Placido Tadini (1759-1847), già vescovo di Biella dal 1829 e poi arcivescovo di Genova (1832-1847). Nel 1848, alle soglie della Prima guerra d’indipendenza, l’elemento piemontese era totalmente scomparso dal Sacro Collegio : su 58 cardinali, i sabaudi erano solo sei, cinque genovesi e un sardo. È importante notare, poi, che alcuni dei cardinali liguri furono in grado di sviluppare importanti carriere sulla scena romana, altrettanto – se non più – che su quella sabauda. Si pensi a Ugo Spinola (1791-1858) : delegato apostolico a Macerata dal 1823 al 1826, fu poi nunzio apostolico a Vienna dal 1828 al 1832, quando venne creato cardinale. Richiamato a Roma, fu nominato legato pontificio a Bologna. Ancor più in alto ascese il sestrese Luigi Lambruschini (1776-1854), fratello del citato Giovan Battista, che, dopo aver studiato a Roma era divenuto assistente del segretario di Stato Ercole Consalvi (che aveva anche accompagnato al congresso di Vienna) e fu poi nominato arcivescovo di Genova, nunzio apostolico in Francia, cardinale nel 1831, e infine, nel 1836, Segretario di Stato, carica che mantenne per un decennio. Il rapporto di figure come Spinola e Lambruschini con la Corona e la corte dei Savoia è tutto da studiare, ma certo la loro carriera non si sviluppò in virtù del loro esser « sabaudi ».
10Quel che qui interessa notare è che la rottura fra Torino e Roma sul terreno delle alte carriere ecclesiastiche iniziò ben prima del 1848, ma partì sin dalla prima Restaurazione, col ritorno a Torino di Vittorio Emanuele I. Sino al regno di Carlo Felice questo fenomeno fu meno evidente per la presenza di cardinali e vescovi d’età avanzata che avevano iniziato le loro carriere nei decenni precedenti. Esso divenne, invece, chiaro ed evidente nel regno di Carlo Alberto. Non casualmente, nello stesso tempo le carriere ecclesiastiche uscirono progressivamente dal novero delle strategie sociali delle aristocrazie subalpine, sia sul terreno di vescovadi ed abbazie sia su quello della Regia cappella di corte. Nel 1859, allo scoppio della Seconda guerra d’Indipendenza, la presenza sabauda nel Sacro Collegio era rarefatta. Su 64 cardinali (18 dei quali non italiani) i sudditi del Regno di Sardegna erano appena tre : l’aristocrazia genovese e piemontese era scomparsa, i cardinali Domenico Lucciardi (ligure) e Francesco Gaude (piemontese) avevano un’estrazione sociale piccolo-borghese e le loro carriere erano state tutte interne allo Stato pontificio. Restava a testimonianza d’un passato ormai scomparso, l’anziano cardinale Amat di San Filippo15.
Il Risorgimento e i primi decenni dell’Unità. Dalla lealtà dinastica alla conformità dottrinale : verso nuove logiche di selezione
11La frattura tra Stati sabaudi e Chiesa, consumatasi fra gli anni Cinquanta e Settanta dell’Ottocento (dapprima con l’avvento in Piemonte di una politica di stampo marcatamente liberale, poi con la secolarizzazione e infine con la realizzazione del processo unitario che portò alla fine della temporalità) ebbe evidenti riflessi anche nelle dinamiche relative alla presenza dei sudditi sabaudi nel Sacro Collegio. Se, come si è detto, sino alla Restaurazione la presenza sabauda, numericamente limitata era qualificata dall’appartenenza di un buon numero di cardinali all’élite socio-politica del regno sardo (un dato, questo, reso evidente anche dal servizio a corte e nell’impiego nel governo episcopale delle diocesi del regno, che – si è visto – caratterizza molte delle carriere dei cardinali) con l’ascesa al trono di Carlo Alberto e, successivamente, di Vittorio Emanuele II ed Umberto I, la presenza dei piemontesi si ridimensionò, mentre quella dei sudditi sabaudi, complessivamente intesi, finisce col dipendere in misura sensibile dai liguri. Inoltre tende a scomparire (salvo rarissimi casi) l’abbinamento – in precedenza assai frequente – del cappello rosso a carriere compiute nell’ambito della corte o dell’episcopato nei territori degli antichi stati sardi.
12Fra i cardinali promossi da Pio IX, solamente Alexis Billiet (creato cardinale il 27 settembre 1861) era stato vescovo di una diocesi « sabauda » : quella di Saint-Jean de Maurienne e, dal 1840, quella di Chambéry. Va però detto che un anno prima della sua promozione la Savoia era passata (insieme alla contea di Nizza) alla Francia. Quando ricevette la porpora Billiet (che, assai critico verso le politiche di secolarizzazione attuate nel regno sardo, aveva giudicato favorevolmente il « rattachement » all’Impero francese, divenendo poi un canale privilegiato per la curia romana da cui era considerato « l’interlocuteur ecclésiastique autorisé face au gouvernement français »16) era dunque suddito di Napoleone III il quale, oltre a proporre ed ottenere per lui il cardinalato, lo aveva anche nominato senatore17. Sotto Leone XIII la situazione cambiò di poco : Gaetano Alimonda era vescovo di Albenga quando, il 12 maggio 1879, fu innalzato alla porpora, e da cardinale fu poi assegnato all’arcivescovado di Torino nel 188318. Inverso era il percorso di Agostino Richelmy : già vescovo di Ivrea, era arcivescovo di Torino da due anni quando, il 19 giugno 1899, fu creato cardinale19.
13Dalla metà del secolo si assistette dunque ad una progressiva divaricazione fra le fortune curiali e il prestigio goduto nella corte di Torino : un prestigio che – si è visto – fra Sette e Ottocento aveva invece aperto le porte di molte sedi episcopali e facilitato l’ottenimento del cappello rosso. A supportare l’impressione di questa tendenza vengono i dati relativi alla composizione del Sacro Collegio, al cui interno, dopo la Restaurazione, la presenza di sudditi sabaudi originari delle antiche terre del regno di Sardegna (quelli ai quali il governo di Torino aveva tradizionalmente attinto nel reclutamento del suo personale ecclesiastico, a corte come nella guida delle diocesi) diventa marginale, mentre si rafforza la presenza dei presuli liguri (divenuti sudditi di casa Savoia solamente a seguito del Congresso di Vienna) i quali manifestavano vincoli assai meno saldi con la dinastia regnante. Sappiamo che fra il 1815 e il 1861, le porpore attribuite a presuli nati o divenuti sudditi sabaudi furono 18 : un sardo, 7 piemontesi e 10 liguri.
14La supremazia della componente ligure su quella piemontese all’interno del Sacro Collegio va letta e interpretata al di là del mero aspetto quantitativo. Sappiamo infatti che la presenza di una rappresentanza significativa del clero ligure in Piemonte (e, in particolare, a Torino) nei decenni centrali dell’Ottocento è una vicenda complessa, che si intreccia con le asperità prodotte dalla secolarizzazione avviata dai governi liberali, prima del regno sardo poi del neonato regno d’Italia20. Genovese era Luigi Fransoni (il fratello minore di Giacomo Filippo, cardinale nel 1826), l’arcivescovo di Torino che, dopo essere stato arrestato nel 1850 e imprigionato nella fortezza penitenziaria di Fenestrelle per la dura polemica contro le leggi Siccardi, finì i suoi giorni in esilio a Lione21. Sanremese era invece Giacomo Margotti, il sacerdote giornalista, fondatore a Torino dell’Armonia della religione colla civiltà, testata campione dell’intransigentismo cattolico e della polemica antiliberale22 ; allo stesso giornale aveva collaborato assiduamente, sin dai tempi della sua fondazione, un altro ligure trapiantato in Piemonte, il genovese Gaetano Alimonda a cui – si è detto – nel 1879 venne conferita la porpora.
15Si tratta dunque di personalità estranee (quando non apertamente ostili) alla linea politica condotta dalla classe dirigente liberale piemontese, oppure totalmente svincolate dal contesto subalpino. È il caso di Domenico Lucciardi23, Pier Francesco Meglia24, Placido Maria Schiaffino25, Girolamo Maria Gotti26 – per restare ai liguri – che operarono sempre nell’ambito della curia romana o della diplomazia pontificia, senza intrattenere particolari rapporti con gli ambienti cortigiani. La stessa avulsione dalla corte e dalle chiese degli antichi stati sabaudi connota anche i cardinali propriamente piemontesi : il predicatore Francesco Gaude27 e il barnabita Luigi Maria Bilio28, Matteo Eustachio Gonella29 e Luigi Oreglia di Santo Stefano30 svilupparono le loro carriere fuori dagli antichi stati sardi31, addirittura in Africa affermò la sua fama il cappuccino astigiano Guglielmo Massaja32, che pure era stato direttore spirituale di Vittorio Emanuele II, dal quale ricevette invano pressioni per accettare un vescovado in Piemonte. Che nel reclutamento dei cardinali la Chiesa di Pio IX preferisse sorvolare sull’episcopato subalpino non deve peraltro stupire se si considera che la maggioranza dei vescovi piemontesi (7 su 13) si era mostrata anti-infallibilista nei complessi dibattiti del Concilio Vaticano I33. Il ceto episcopale subalpino (fatto di presuli di estrazione prevalentemente nobiliare, per lo più formatisi nell’Università di Torino, tradizionalmente ligi alla Corona da cui erano stati nominati) si trovò in evidente difficoltà, per i suoi forti legami con la casa regnante, ad assecondare le sollecitazioni provenienti da Roma per una netta presa di posizione in favore della Chiesa assediata. Anche per questo motivo si dovette attendere la fine del secolo, con la porpora dell’arcivescovo Richelmy (1899), per tornare ad avere un esponente della nobiltà piemontese di tradizione filosabauda, cresciuto nella chiesa subalpina a ricoprire la più prestigiosa carica ecclesiastica delle antiche terre sarde.
16Appare tuttavia evidente come, nel corso dell’Ottocento – quando più marcata si fa l’internazionalizzazione del Sacro Collegio – l’appartenenza territoriale diventi un elemento sempre meno decisivo nella determinazione degli assetti del Collegio cardinalizio34. Così, se durante il pontificato di Gregorio XVI la presenza di diverse porpore liguri poteva essere facilmente ricondotta all’influenza del Segretario di Stato (« legittimista, conservatore… chiuso all’evoluzione delle idee e alla mentalità moderna »35) Luigi Lambruschini, considerato il capo di un « partito genovese » in curia, sotto Pio IX e Leone XIII altri sono i criteri prevalenti nell’individuazione dei soggetti da insignire con il cappello rosso. La fedeltà al pontefice e la totale aderenza alle sue posizioni si impongono sopra ogni altra considerazione, compresa quella della « patria » di provenienza. Nella scelta di Pio IX di elevare al cardinalato due piemontesi come Bilio e Oreglia, in anni particolarmente difficili per il Papato prevalgono certamente le positive valutazioni sull’intransigentismo dottrinale mostrato dai due presuli, il primo « determinante nella redazione definitiva del Sillabo »36, il secondo membro influente della maggioranza infallibilista al Concilio Vaticano I37. Non diverse furono le motivazioni che nel 1893 portarono all’elevazione di Agostino Richelmy : un presule considerato ultraclericale, « partito da posizioni conciliatoriste per poi approdare ad esiti decisamente ultramontani e antimodernisti »38, sul quale, nella sua veste di vescovo conservatore e intransigente, si erano appuntate più di una riserva da parte del governo39. La distanza venutasi a creare fra il sistema politico di tradizione subalpina e la Chiesa trova un’efficace esemplificazione nella vicenda dell’arrivo a Torino del cardinale Alimonda. Come si è detto al porporato venne affidata l’arcidiocesi di Torino nel 1883. Il suo solenne ingresso, nell’autunno di quell’anno, generò forti tensioni fra cattolici e liberali, ma anche fra poteri dello Stato. Da un lato vi era il governo che, preoccupato dalle polemiche, voleva ridurre al minimo le ricadute pubbliche dell’evento, annullando di fatto la partecipazione delle autorità civili al cerimoniale d’accoglienza40. D’altro canto il sindaco di Torino, Ernesto Balbo Bertone di Sambuy, intendeva garantire all’evento un’adeguata dimensione pubblica e una sia pur sobria presenza istituzionale : ai suoi occhi non era infatti ammissibile che dal governo venisse negato « ad un cardinale l’atto di cortese ossequio che si usò finora ai semplici arcivescovi »41. Il sindaco si era perciò impegnato « a far stare quieti e tranquilli la gioventù cattolica ed altri che volevano sotto il nome di accoglienza al cardinale far nelle vie dimostrazioni di giubilo che sarebbero state evidente eccitamento a controdimostrazioni ». Accogliere il cardinale senza onori sarebbe però stato interpretato (e non solo dai cattolici) come « atto di debolezza » di un governo cedevole a « pochi aruffoni » e incapace « di tenerli ossequienti alle leggi »42.
17Ben diverso era il parere di chi – attraverso un massiccio volantinaggio – contestava l’accoglienza promessa da « un sindaco reazionario » ad un arcivescovo « che ne arriva da Roma » : il cardinale Alimonda era infatti bollato come « il duce dei ribelli del Vaticano, l’agente il più attivo della congiura cattolica che avvolge ormai palesemente l’Italia nelle infami sue spire »43.
18Benché significativa delle forti tensioni che animavano l’opinione pubblica nel secondo Ottocento, l’episodio del controverso arrivo del porporato a Torino lascia trasparire una inversione di tendenza che si manifesterà pienamente nei decenni successivi quando sulla cattedra di Torino si troverà sempre più spesso un cardinale piemontese di nascita e di provata lealtà alla dinastia. Non è forse un caso che proprio fra i cardinali arcivescovi di Torino e la Corona si andò consolidando un’evidente sintonia nell’atteggiamento da tenere nei confronti della più preziosa reliquia dinastica quando (fra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX) si moltiplicarono i tentativi di sottoporre la Sindone ad indagini e ricerche condotte con metodo critico e rigore scientifico. Il duro antimodernismo del cardinale Richelmy (di cui fece le spese anche l’erudito canonico Ulysse Chevallier, costretto – con la complicità della curia romana – ad abbandonare i suoi studi storici sul Santo Sudario44) sulla cui scia si pose anche il suo successore Maurilio Fossati (ugualmente ostile ad ogni tentativo di impiego del metodo critico nell’approccio alla reliquia), convergeva con le rigide posizioni di Vittorio Emanuele III. Per il re, infatti, gli esiti imprevedibili di studi che avrebbero potuto confutare l’autenticità della Sindone rappresentavano un serio pericolo per la dinastia stessa, il cui prestigio era stato costruito nei secoli anche attorno al possesso di quella insigne reliquia45.
Conclusioni
19Questa vicenda non può certo significare, da sola, l’avvento di una ritrovata sintonia istituzionale fra corte sabauda, episcopato subalpino e Sacro Collegio. È tuttavia possibile ipotizzare che le porpore conferite da Leone XIII e, dopo di lui, da Pio X (a Giacomo della Chiesa, futuro papa Benedetto XV), da Benedetto XV (ad Alfonso Maria Mistrangelo,
20Giovanni Cagliero, Tommaso Pio Boggiani, Teodoro Valfrè di Bonzo), e da Pio XI negli anni iniziali del suo pontificato (a Giovanni Bonzano, Luigi Sincero) a presuli assolutamente fedeli a Roma ma non estranei (sia pure con toni e sfumature differenti) alle tradizioni ecclesiastiche, politiche e culturali delle « sabaude » loro terre d’origine, siano da intendere come ragione e, allo stesso tempo, come effetto di una crescente distensione nei rapporti fra Corona e Santa Sede. Se questo timido ritorno nel Sacro Collegio di una presenza se non velatamente filo sabauda, quanto meno non apertamente antisabauda, abbia avuto qualche influenza nell’avvio di un processo compiutosi pienamente con la Conciliazione, rimane questione ancora tutta da approfondire.
Notes de bas de page
1 Su questi temi si rinvia a M. T. Silvestrini, La politica della religione. Il governo ecclesiastico nello Stato sabaudo del XVIII secolo, Firenze, 1997 ; P. Cozzo, La geografia celeste dei duchi di Savoia. Politica, devozioni e sacralità in uno stato di età moderna (secoli XVI-XVII), Bologna, 2006 ; J.-F. Chauvard, A. Merlotti, M. A. Visceglia (dir.), Stato sabaudo e Curia romana dal Cinquecento al Risorgimento, Roma, 2015 (CEFR, 500).
2 P. Cozzo, In seconda fila : la presenza sabauda nella Roma pontificia della prima età moderna, in P. Bianchi (a cura di), Il Piemonte come eccezione ? Riflessioni sulla « piedmontese exception » [Atti del seminario internazionale (Reggia di Venaria, 30 novembre - – 1 dicembre 2007)], Torino, 2008, p. 141-159.
3 Sul cardinal Maurizio manca un’opera d’insieme. Per il momento si vedano M. Oberli, « Magnificentia principis » : das mäzenatentum des prinzen und kardinals Maurizio von Savoyen (1593-1657), Weimar, 1998 ; T. Mörschel, Il cardinal Maurizio di Savoia e la presenza sabauda a Roma all’inizio del XVII secolo, in Dimensioni e problemi della ricerca storica, XIV, 2001, f. 2, p. 147-178.
4 A. Merlotti, I Savoia : una dinastia europea in Italia, in W. Barberis (a cura di), I Savoia : i secoli d’oro d’una dinastia europea, Torino, 2007, p. 87-133.
5 P. Cozzo, Una porpora « a lustro della real corona » : Carlo Vincenzo Maria Ferrero (1682-1742) primo cardinale di corona della monarchia sabauda, in A. Merlotti (a cura di), Nobiltà e Stato in Piemonte : i Ferrero d’Ormea fra Quattro e Ottocento [Atti del Convegno, Torino-Mondovì, 3-5 ottobre 2001], Torino, 2003, p. 295-320.
6 A. Merlotti, I regi elemosinieri alla corte dei Savoia, re di Sardegna (secc. XVIII-XIX), in J. Martinez Millan, M. Rivero Rodríguez e G. Versteegen (a cura di), La corte en Europa : política y religión (siglos XVI-XVIII), atti del convegno (Madrid, 13-16 dicembre 2010), Madrid, 2012, vol. 2, p. 1025-1057.
7 Si veda la voce dedicatagli da F. Raco nel DBI, vol. 22, 1979, p. 648-650.
8 Su Gerdil si vedano la voce di P. Stella in DBI, vol. 53, 2000, p. 391-397 e R. Valabrega, Un anti-illuminista dalla cattedra alla porpora : Giacinto Sigismondo Gerdil professore, precettore a corte e cardinale, Torino, 2004.
9 Cfr. A. Merlotti, Nobiltà e corte nella Genova della Restaurazione, in G. Assereto, C. Bitossi e P. Merlin (a cura di), Genova – Torino : quattro secoli di incontri e scontri, nel bicentenario dell’annessione della Liguria al Regno di Sardegna, Genova, 2015, p. 445-466. L’antica Repubblica di Genova era stata unita agli Stati sabaudi nel 1815.
10 I piemontesi erano Giuseppe Morozzo della Rocca, arcivescovo di Novara, Giovanni Cacciapiatti (entrambi cardinali dal 1816), Teresio Maria Ferrero della Marmora (cardinale dal 1824). I genovesi erano Agostino Rivarola e Giacomo Fransoni, chiamati nel Collegio rispettivamente nel 1817 e nel 1826. Tutti provenivano dall’aristocrazia. La composizione del Sacro Collegio si trova nel Calendario generale pe’ Regi Stati (Torino, 1824-1849).
11 Collegno a Vallesa, 17 marzo 1815, in A. Segre, Il primo anno del ministero Vallesa (1814-1815) : saggio di politica sarda, interna ed estera, nel primo anno della Restaurazione, Torino, 1928, p. 222-226. Alla richiesta sabauda accenna G. Piantoni, Vita del cardinale Francesco Luigi Fontana, barnabita, Roma [Congregazione de Propaganda Fide], 1859, p. 108-109.
12 Pio Vidua di Conzano a Vallesa, 17 marzo 1815, in Segre, op. cit., p. 227-228.
13 Le sue funzioni furono assunte dal Primo elemosiniere di corte, proveniente dalle fila dell’antica nobiltà. Fra il 1815 e il 1848 si succedettero a tale carica : Jean-Claude-Marie de Piochet de Salins, dal 1815 al 1819 ; Giuseppe Antonio Cacherano di Bricherasio (1768-1836), dal 1819 ; Luigi Morozzo di Bianzé (1776-1848, nipote del cardinal Luigi), dal 1828 al 1848. Cfr. A. Merlotti, I regi elemosinieri… cit., p. 1035.
14 Si trattava di Agostino Rivarola (1817), Giacomo Fransoni (1826), Luigi Lambruschini (1831) Alessandro Giustiniani e Ugo Spinola (1832), Giacomo Luigi Brignole (1834) e Adriano Fieschi di Lavagna (1838).
15 Non considero suddito sabaudo il cardinal Jacques Dupont, che pur se nato a Iglesias e studente a Torino, s’era trasferito in Francia, divenendovi arcivescovo di Bourges.
16 G. Armando, L’annexion dans les sources conservées par les Archives secrètes vaticanes, in D. Varaschin (a cura di), Aux sources de l’histoire de l’annexion de la Savoie, Bruxelles, 2009, p. 183-194, in part. p. 192.
17 C. Sorrel, Billiet, Alexis, in C. Sorrel (a cura di), La Savoie, Parigi, 1996 (Dictionnaire du monde religieux dans la France contemporaine, 8), p. 75-76. Da segnalare che già Carlo Alberto (che nel 1840 aveva conferito a Billiet il Gran cordone dell’ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro) il 3 aprile 1848 lo aveva nominato senatore del regno, carica dalla quale il vescovo si dimise il 21 giugno 1860. http://notes9.senato.it/web/senregno.n sf/6815d997e30cf219c1256ffc00481050/e673951c41917a98c12570690031866b ? OpenD ocument (consultato il 25 gennaio 2017).
18 Oltre alla voce di F. Fonzi, Alimonda Gaetano, in DBI, 2, Roma, 1960, p. 456-457, si veda la voce in DBC, p. 88-89 ; sulla sua esperienza di arcivescovo di Torino cfr. G. Tuninetti, Il cardinal Domenico della Rovere costruttore della cattedrale e gli arcivescovi di Torino dal 1515 al 2000, Cantalupa, 2000, p. 195-200.
19 Si veda la voce in DBC, p. 802-803 ; sulla sua esperienza di vescovo di Ivrea e di arcivescovo di Torino cfr. rispettivamente M. Margotti, I vescovi di Ivrea dal 1805 al 1999 : elementi biografici e spunti di analisi delle lettere pastorali, in M. Guasco, M. Margotti, F. Traniello (a cura di), Storia della Chiesa di Ivrea in epoca contemporanea, Roma, 2006, p. 1-61, in part. p. 35-36 ; G. Farrel-Vinay, Il movimento cattolico nel Canavese (1880- 1924), in ibid., p. 209-296, in part. p. 227-231, 237-239 ; G. Tuninetti, Il cardinal Domenico della Rovere… cit., p. 209-215.
20 Alcune considerazioni in proposito in P. Cozzo, « Due croci vittoriose ed ammirabili ». Stato sabaudo e Repubblica di Genova : legami e tensioni fra geografia ecclesiastica, vita religiosa e dimensione devozionale, in G. Assereto, C. Bitossi, P. Merlin (a cura di), Genova e Torino : quattro secoli di incontri e scontri… cit., p. 271-290.
21 Sulla sua figura G. Griseri, Fransoni, Luigi, in DBI, 50, Roma, 1998, p. 256-259 ; sulla sua travagliata esperienza alla guida della Chiesa torinese cfr. G. Tuninetti, Il cardinal Domenico della Rovere… cit., p. 175-180 ; sui riflessi della questione Fransoni nella corte di Vittorio Emanuele II, P. Gentile, L’ombra del re. Vittorio Emanuele II e le politiche di corte, Torino-Roma, 2011, p. 70-76.
22 Sulla sua figura G. Lupi, Margotti, Giacomo, in DBI, 70, Roma, 2008, p. 176-180 ; sulla direzione dell’Armonia, P. Cozzo, Protestantesimo e stampa cattolica nel Risorgimento : l’« Armonia » e la polemica antiprotestante nel decennio preunitario, in Rivista di storia e letteratura religiosa, XXXVI-1, 2000, p. 77-113.
23 Nato a Sarzana nel 1796, arcivescovo di Senigallia nel 1851, fu creato cardinale il 15 marzo 1852 (DBC, p. 550-551).
24 Nato a Santo Stefano al Mare nel 1810, svolse un’intensa carriera diplomatica, coronata con la nunziatura in Francia ; fu creato cardinale il 19 settembre 1879 (DBC, p. 623-624).
25 Nato a Genova nel 1829, monaco olivetano, fu creato cardinale il 27 luglio 1885 (DBC, p. 856-858).
26 Nato a Genova nel 1834, carmelitano, fu creato cardinale il 29 novembre 1895 (DBC, p. 437-439).
27 Nato a Cambiano (arcidiocesi di Torino) nel 1809, fu creato cardinale il 17 dicembre 1855 (DBC, p. 393-394).
28 Nato ad Alessandria nel 1826, fu creato cardinale il 22 giugno 1866 (DBC, p. 152-155).
29 Nato a Torino nel 1811, fu creato cardinale il 13 marzo 1868 (DBC, p. 430-431).
30 Nato a Bene Vagienna (diocesi di Mondovì) nel 1828, fu creato cardinale il 22 dicembre 1873 (DBC, p. 693-695).
31 Bilio, pur essendo alessandrino di nascita, studiò a Genova e percorse tutta la sua carriera fuori dal Piemonte : dapprima nei collegi italiani dell’ordine barnabita, poi a Roma (G. Martina, Bilio, Luigi Maria, in DBI, 10, Roma, 1968, p. 461-463). Gonella, giunto a Roma grazie ai favori del cardinale Lambruschini, percorse dapprima la carriera diplomatica (dal 1850 al 1866 fu nunzio in Belgio e in Baviera), poi quella episcopale (nel 1866 fu nominato vescovo di Viterbo : C. M. Fiorentino, Gonella, Matteo Eustachio, in DBI, 57, Roma, 2001, p. 670-673). Oreglia, che dopo gli studi lasciò Torino e si trasferì a Roma, venne avviato alla carriera diplomatica : dal 1863 al 1873 fu internunzio in Olanda, nunzio in Belgio e in Portogallo (A. Melloni, Oreglia Luigi, in DBI, 79, Roma, 2013, p. 442-445).
32 Su Massaja (nato ad Asti nel 1809, creato cardinale il 10 novembre 1884) e sulla sua esperienza missionaria si veda M. Forno, Cardinal Massaja and the catholic mission in Ethiopia : features of an experience between religion and politics, Nairobi, 2013.
33 M. Lupi, Vescovi /1 : dal 1848 alla fine del secolo, in Cristiani d’Italia : Chiesa, società, stato, 1861-2011, Roma, 2011, p. 809-827, in part. p. 813.
34 È comunque interessante notare il progressivo ridimensionamento della presenza dei sudditi sabaudi nel Sacro Collegio nel corso del XIX secolo, in concomitanza con il deterioramento dei rapporti fra il Papato e i Savoia. Se nei pontificati di Pio VII, Pio VIII e Gregorio XVI (1800-1846) tali cardinali sono 18 su 205 (8,78 %) e nel periodo 1815-1861 (dal Congresso di Vienna alla proclamazione del Regno d’Italia) 18 su 216 (8,33), nel periodo 1861-1903 (dalla seconda parte del pontificato di Pio IX alla fine di quello di Leone XIII) essi diventano 10 su 216, appena il 4,62 % del totale.
35 G. Martina, Gregorio XVI, in Enciclopedia dei Papi, III, Roma, 2000, p. 546-560, in part. p. 551.
36 G. Martina, Bilio… cit., p. 462.
37 A. Melloni, Oreglia… cit., p. 443.
38 M. Margotti, I vescovi di Ivrea… cit.. p. 16.
39 G. Farrell-Vinay, Il movimento cattolico nel Canavese… cit., p. 227-231.
40 A fronte della proposta del sindaco di Torino di accogliere il nuovo arcivescovo con lo stesso cerimoniale che era stato usato per il suo predecessore Ricardi di Netro (« il sindaco e la giunta si recherebbero in carrozza di gala alla stazione e dopo aver complimentato il cardinale l’accompagnerebbero al seminario dove il nuovo arcivescovo, indossati gli abiti pontificali, si recherebbe processionalmente alla cattedrale », mentre il re volendo dare « una particolare dimostrazione d’onore all’eminentissimo cardinale » avrebbe dovuto – come a suo tempo aveva fatto Vittorio Emanuele II – inviare alla stazione « due carrozze di corte con livrea rossa, una a disposizione del cardinale per portarlo in seminario e poi all’arcivescovado dopo al funzione, e l’altra con un cerimoniere ed un funzionario di corte per complimentare l’eminenza sua in nome del re ed assistere quanti suoi rappresentati alla funzione religiosa che si farà in san Giovanni » : ACS, Santo Sudario, b. 4, fasc. 6, lettera del can. Anzino al ministero della Real Casa, 24 settembre 1883) il presidente del Consiglio Depretis espresse le sue riserve « essendo ora totalmente mutate le circostanze » (ibid., lettera del Ministero della Real Casa al canonico Anzino, 28 ottobre 1883).
41 Ibid., lettera del sindaco Sambuy al can. Anzino, 3 novembre 1883.
42 Ibid., Sambuy (che aveva commentato l’invera vicenda : « se la maggioranza dei torinesi fosse di semiti o protestanti lo capirei… ma a Torino ! ») dichiarava inoltre di avere una dichiarazione firmata dal comitato di accoglienza che si impegnava a rinun- ciare a qualunque festeggiamento caloroso : ciò « avrebbe dovuto bastare al prefetto per far stare all’ordine i controdimostranti » ma la prefettura, d’accordo con il governo, « non voleva carrozze di corte per non essere moralmente obbligato a guarentire l’ordine ».
43 Una copia mutila del volantino è conservata in ACS, Santo Sudario, b. 4, fasc. 6.
44 A. Nicolotti, Il processo negato. Un inedito parere della Santa Sede sull’autenticità della Sindone, Roma, 2015.
45 A. Nicolotti, Sindone. Storia e leggende di una reliquia controversa, Torino, 2015, p. 193-238.
Notes de fin
1 In questo saggio, scritto in piena comunanza di idee e vedute, sono di A. Merlotti le p. 21-25, di P. Cozzo le p. 25-32.
Auteurs
Professeur associé d’histoire du christianisme et des Églises au Département des études historiques de l’Université de Turin. Ses travaux portent sur les institutions ecclésiastiques et la vie religieuse à l’époque moderne et contemporaine, notamment dans les États de la Maison de Savoie. Il a récemment publié Andate in pace. Parroci e parrocchie in Italia dal Concilio di Trento a papa Francesco (Rome, Carocci, 2014).
Docteur en histoire sociale de l’Europe moderne, dirige depuis 2008 le Centre d’études de la Reggia de Venaria. Il est l’auteur de nombreuses études sur les États de la Maison de Savoie aux XVIIe et XVIIIe siècles, notamment sur les pratiques et les savoirs des milieux dirigeants et de la cour. Depuis 2010, il enseigne dans le cadre de l’école doctorale du Politecnico de Turin.
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