La pianta della Certosa e la pianta di Francesco Piranesi
p. 213-254
Texte intégral
Controlli diacronici in relazione agli scavi
1Come noto, nel 1781, circa due anni dopo la morte del padre, Francesco Piranesi pubblica una nuova pianta di Villa Adriana; pianta che, fino ai giorni attuali, appare attribuita al solo Giovanni Battista Piranesi, ovvero a Giovanni Battista e Francesco Piranesi, benché quest’ultimo si attribuisca la piena paternità dell’opera, «Francesco Piranesi Incisore di S.M. il Re di Polonia & Arichitetto Romano disegnò, ed incise nel 1781» .
2Le sei tavole che costituiscono la pianta, complessivamente dedicata
ALLA MAESTA’ DI STANISLAO AVGVSTO RE DI POLONIA PROMOTORE LIBERALISSIMO DELLE BELLE ARTI FRANCESCO PIRANESI ARCHITETTO ROMANO VMILI E CONSAGRA,
3come si legge nel cartiglio, contengono, ciascuna, una porzione di legenda che, complessivamente, termina con un
Avvertimento al Lettore. Esibisce questa Pianta l’aggregato delle Fabbriche esistenti sopra un Colle disteso, e vario di Poggj della magnifica gran Villa edificata dall’Imperadore P. Elio Adriano, la quale dal suo nome fù chiamata Elia, e dal territorio di Tivoli Tiburtina. Le Fabbriche sono ritratte dal piano di ogni Poggio sopra quali s’inalzano. Elleno furono intitolate con nomi celebri dé luoghi maravigliosi delle provincie dell’Impero Romano, Come attesta Sparziano […] Occupa questa Pianta diverse Fabbriche esistenti un Colle disteso da Tramontana a Mezzo giorno, che ha di lunghezza circa tre mila passi, di larghezza un settimo nella più distesa, parte: l’uno de lati della sua lunghezza é rivolto a Levante, e l’altro a Ponente verso la Campagna di Roma. Il sito denominato Tempe, e gli Inferi, come anche quello per le Selve, e Parchi degli Animali, dovea esser molto maggiore di quello immaginato intorno alle ritratte Fabbriche. In una Pianta generale, a parte si daranno gli Edifizj, che s’incontrano in questa parte dell’Agro Tiburtino. E per piena intelligenza di questa superbissima Villa, si incideranno le parte in grande di alcuni Edifizj, come altresi un’altra Pianta delle Fabbriche, che investono il Monte, unitamente ai suoi sotterranei, i quali soltanto qui sono accennati con punti per non confonderli colle Fabbriche, che gli sono sopraposte. Conviene per fine persuadersi, che gli Edifizj di questa Villa superavano ogn’altro tanto per la magnificenza, che per l’ornamento, e per la loro vaga, e bizzarra figura: Dalle quali cose molto possono profittare, i Professori di Architettura […]
4Sembra pertanto evidente che Francesco Piranesi abbia in essere un programma editoriale di ampio respiro, la cui impostazione non si discosta dalle opere già pubblicate dal padre ed entro il quale era compresa la pubblicazione di altri elaborati e, in particolare, di una pianta della parte meridionale della Villa, «unitamente ai suoi sotterranei» e di pianta territoriale tiburtina, nella quale erano previsti anche gli edifici della Villa «che s’incontrano in questa parte dell’Agro Tiburtino», oltreché di disegni di singoli complessi, «le parte in grande di alcuni Edifizj» . Un programma editoriale, dunque, che sembra coincidere con quanto ipotizzato in merito alle intenzioni di Giovanni Battista1, che corrisponde a quanto riscontrato nella pianta della Certosa in relazione alla predisposizione di altri disegni e che, infine, trova pieni raffronti con il numero di disegni di Villa Adriana posseduti dalla bottega piranesiana, come trasmesso nella petizione firmata da Pietro e Francesco Piranesi2.
5Al ricordare la rapida successione degli eventi, a partire dal 1777, anno nel quale Gondoin trascorre un lungo periodo a Villa Adriana, al termine del quale, all’incirca all’inizio dell’estate, tornando in Francia dona tutto il lavoro a Piranesi, che a sua volta scrive la medesima data sulla pianta ricevuta, per passare al 1778, anno della morte, a novembre, di Giovanni Battista Piranesi e al 1781, anno della stampa della pianta di Francesco Piranesi, si rende indispensabile verificare se la pianta di Gondoin (della Certosa) sia realmente da considerare quale l’elaborato che Francesco adotta per il disegno definitivo della sua pianta.
6Le sole indagini utili per ottemperare tale verifica sono costituite dai raffronti tra la pianta della Certosa e quella del 1781, nonché con le precedenti3 e dal controllo dei cambiamenti occorsi nel sito archeologico tra la seconda metà del 1778 e la fine del 1780, dato che, sebbene l’arco temporale che separa la morte di Giovanni Battista dalla stampa della pianta firmata da Francesco Piranesi sia realmente esiguo, dalle fonti è possibile stabilire che, nel medesimo periodo, l’area della Villa è stata interessata da numerosi scavi. Anche in questo caso nella letteratura moderna si riscontra una certa confusione, sia con riferimento all’identità del patrocinatore degli scavi, sia in merito alle date, all’entità e alle tipologie dei ritrovamenti, nonché per quanto concerne la localizzazione degli sterri. In particolare, per quel che concerne le attività occorse nel periodo successivo alla morte del conte Fede4, si nota che sono variamente attribuite al conte Centini, oppure al cardinale Marefoschi, o anche al monsignor Marefoschi5, ovvero a tutti costoro, insieme o a gruppi di due6, e i fraintendimenti, in effetti, dipendono dalle poche fonti alle quali fare riferimento, sebbene dalle medesime, e in maniera sufficientemente esplicita, si possa immediatamente recepire la distinzione tra i personaggi e i loro ruoli, a partire dalla certezza che il conte Fede muore senza eredi diretti:
Apertosi il suo testamento si è veduto, che restituisce la dote alla Sig. Contessa Gatolini sua seconda moglie, e dichiara erede con stretto Fidecommisso una di lui Nipote, Sposa del Sig. Conte Centini d’Ascoli, e istituisce esecutor testamentario l’Eminentiss. Marefoschi Zio del predetto Sig. Conte7.
7La famiglia maceratese dei conti Marefoschi Compagnoni8 vanta alcuni prelati e, tra questi, il cardinale Mario, documentato anche da De Novaes9 quale
nobile Maceratese, nato a’ 10 Settembre 1714, segretario di Propaganda Fide, quindi creato Prete Cardinale del titolo di S. Agostino, Arciprete della Patriarcale Lateranense, e prefetto della sagra congregazione de’ Riti; pubblicato nel concistoro de’ 10 di Settembre di quest’anno stesso, morto in Roma d’anni 67 non compiti a’ 23 Dicembre 1780,
8e in seguito da Lee che, a proposito delle nozze morganatiche di Carlo III Stuart con Ludovica de Stoelberg Guedern, celebrate nel 1772 a Macerata, proprio nella cappella del palazzo della famiglia Compagnoni Marefoschi, appena ristrutturato10, chiarisce la posizione sociale, a carattere internazionale, del cardinale, «A noble family of the province, the Compagnoni-Marefoschi, one of whom, a cardinal, was an old friend of the Stuarts, had placed their palace at the disposal of the royal pair »11. Ben documentato è anche l’interesse antiquario di Mario Marefoschi, già quando vestiva i panni di monsignore, «mons. Marefoschi, segretario de’ Riti, prelato veramente studioso, collettore d’antichi monumenti, e che vive ritirato »12, nonché in seguito, dopo l’elezione cardinalizia, quando entra a far parte dell’Accademia dell’Arcadia e viene proclamato accademico d’onore dell’Accademia del Pantheon anche sulla base delle frequentazioni con il cardinale Passionei, con Winchelmann, Conca e Mengs. D’altro canto, a partire dall’informazione secondo cui il conte Felice Centini13 di Ascoli Piceno è sposato dal 1739 con la sorella del cardinale Mario Marefoschi, Maria Pandolfina Compagnoni14, si chiariscono le parentele tra queste famiglie, che possono essere completate vagliando la possibilità che il medesimo conte Felice Centini sia stato padre di Giovanni Battista Centini15, marito della nipote della seconda moglie del conte Fede.
9Su tali premesse si chiariscono sia i motivi per cui il conte Giovanni Battista Centini eredita le proprietà del conte Fede, sia le ragioni per le quali il fidecommisso testamentario venga individuato nel parente più eminente della coppia, il cardinale Mario Marefoschi.
10Benché la stampa dell’epoca riporti che «Il Sig. March. [sic!] Centini erede del fu Co: Fede, con le debite licenze, ha determinato d’intraprendere una Cava di antichità nei rimasugli della celebre Villa Adriana di Tivoli »16, la scarsa attenzione dell’erede nei confronti delle collezioni antiquarie del conte Fede, associata a un manifesto interesse a carattere economico, emerge immediatamente dopo, «Volendo S.S. [Pio VI Braschi] vieppiù arricchire il Museo Clementino Vaticano di rarità ha fatto comprare dal Sig. Conte Centini, nipote, ed erede, del fu Conte Fede il nobile Studio di Cammei, medaglie, e altre antichità state da esso raccolte »17 ; non stupisce, pertanto, che gli scavi nella Villa vengano intrapresi dallo zio del conte Centini, il cardinale Mario Marefoschi18 e, pur quanto il cardinale dimostri sempre di voler mantenere in suo possesso i migliori resti ritrovati, Penna19 sottende comunque un interesse speculativo, derivante dalla grande eco suscitata dai fortunati ritrovamenti di Hamilton20, ma ciò potrebbe essere riferito a pezzi di minore importanza, trovati nel corso degli scavi e non adeguatamente documentati21.
11La prima notizia di un ritrovamento eccellente è del gennaio 177922 (fig. 197, 198):
Ne’ scavi fatti aprire dall’Emo Sig. Card. Marefoschi ne’ Fondi del fù Conte Fede alla Villa Adriana son fin’ora stati trovati tre Quadri di finissimo mosaico, uno de quali rappresenta un combattimento di Centauri con Tigri, e Leoni, e gli altri due Paesaggi con Armenti, e Pastori; con molta probabilità di rinvenire altri considerabili Monumenti.
12Il sito del ritrovamento è descritto nella legenda della pianta di Francesco Piranesi e spetta all’area di Palazzo:
37. Triclinio con Ale di Colonne di Travertino ricoperte di finissimo Stucco, e corrisponde nel piano del Giardino 13: Nel pavimento erano incassati cinque quadri di finissimo Mosaico, fra quali quello dé Centauri. 38. Conclave nobile con pavimento di Mosaico bianco, con fascie colorate, ed in mezzo un Quadro con Maschere sceniche racchiuso da un festone con foglie graziosissime, e nastri gentilmente avvinti. Questo corpo di Fabbrica é stato scoperto nella cava fatta dal Cardinale Marefoschi à favore degli Eredi del Conte Fede23.
13Al verificare l’area dei ritrovamenti nella pianta della Certosa emerge che tali ambienti fanno parte delle aggiunte a sanguigna. Dato che la notizia dell’apertura degli scavi è del giugno 1777 e che Gondoin è a Parigi nell’agosto successivo, è ovvio stabilire, innanzi tutto, che tali aggiunte sono successive alla partenza di Gondoin; inoltre, dato che la notizia del ritrovamento dei mosaici è diffusa nel mese di gennaio 1779, che Giovanni Battista Piranesi nel 1777 «made journey with his son Francesco to Naples and Magna Grecia, collecting the material for his Paestum series »24 e che muore il 9 novembre del 1778, nel pensare che gli interventi a sanguigna siano di Giovanni Battista si dovrebbe ritenere che li abbia eseguiti subito dopo la partenza di Gondoin, oppure prima di ammalarsi, nella prima metà 177825 ; ipotesi, questa, che potrebbe trovare riscontro in Cabral e Del Re, che terminano il volume all’inizio del 177926, laddove avvisano « L. Corridori, e stanze da abitare attorno ad una piccola piazzetta, delle quali in uno scavo di quest’anno se ne sono scoperte alcune pavimentate di mosaico »27 e, sebbene non menzionino il responsabile degli scavi, tutto reca a confermare che si tratta delle operazioni condotte da Marefoschi, al quale, pertanto, occorre attribuire anche scavi negli Hospitalia, come d’altro canto succintamente esposto da Francesco Piranesi, unico testimone dell’insieme dei ritrovamenti, «42. Corpi di Fabbriche isolate scoperte in tempo della cava suddetta [di Marefoschi]» (fig. 199).
14Nell’ammissione della correttezza di quanto trasmesso da Francesco Piranesi in merito agli scavi nell’area di Palazzo occorre ritenere che, dei famosi mosaici Marefoschi, quello composto da quattro maschere incorniciate con un fastoso festone di foglie e nastri abbia costituito la decorazione centrale dell’ambiente antistante la cd Basilica di Palazzo28, nel quale attualmente è conservata una fascia di mosaico policromo, e che i restanti abbiano fatto parte della decorazione centrale della pavimentazione della Basilica (fig. 200; tav. 5), nella quale, la decorazione era molto più articolata rispetto a quanto oggi apprezzabile29, come emerge dalla descrizione dei successivi scavi tardo ottocenteschi30:
Negli ultimi giorni del mese è incominciato lo sterro di una grande sala di forma basilicale, posta all’angolo sudest dell’atrio maggiore sopra descritto, e divisa un tempo in tre navi, per mezzo di colonnine di travertino rivestite di stucco. Il pavimento è di musaico policromo, e di perfettissimo artificio; ma rimangono soltanto i grandi fascioni a scacchi e rombi rossi, neri, verdi, gialli e bianchi, i quali incorniciavano cinque quadri figurati, scoperti e sottratti nei secoli decorsi.
15Per meglio inquadrare l’autore delle correzioni a sanguigna apportate sulla pianta della Certosa un’ultima informazione perviene da Visconti che, nel descrivere il mosaico con le quattro maschere e festone, ben indicato anche cromaticamente, «Otto rami di quercia, che sembrano svelti dall’albero durante l’autunno, parte ancor verdi, parte già vicini ad inaridire, adornano e riempiono questa fascia, e son legati fra loro con larghi nastri bianchi, turchini, e gialli; ciascun de’ quali è orlato d’altro colore »31, ne indica le dimensioni e la posizione all’interno di un ambiente che definisce di pianta quadrata e lato «di palmi 16 »32. Un ambiente quadrato in prossimità della Basilica si vede esclusivamente nella pianta della Certosa e corrisponde, in quanto a forma e a rapporti dimensionali, all’ambiente mediano del complesso, che presenta murature sagomate da nicchie e raddoppiate su tre lati. Le notevoli imprecisioni visibili nella pianta della Certosa in merito alla posizione di tale ambiente suggeriscono che l’aggiunta a sanguigna è stata frettolosamente tracciata prima del completo sterro dell’area e, comunque, prima di qualsiasi operazione di rilevamento dimensionale, da cui si potrebbe verificare la sua attribuzione a Giovanni Battista Piranesi e, di conseguenza, si conferma quanto prima ipotizzato, ossia che i mosaici vengono ritrovati entro il 1778 e che la notizia viene divulgata nel gennaio 177933. Si deve, inoltre, ritenere che Visconti, per la redazione della sua nota, abbia visto la pianta della Certosa e non quella del suo fraterno amico Francesco Piranesi nella quale, in conformità alle piante di Contini 1668 e a quella del 1751, nei paraggi della Basilica non compaiono ambienti di forma approssimabile a un quadrato (fig. 201).
16Che la parte disegnata a sanguigna nella pianta della Certosa possa essere attribuibile a Giovanni Battista, redatta all’inizio degli scavi del cardinale Marefoschi, è ulteriormente verificabile osservando la rappresentazione del complesso degli Hospitalia, nella quale si nota come la geometria della struttura abbia un assetto decisamente meno completo in relazione allo stato attuale, benché diverso rispetto a quanto documentato nelle precedenti piante, con la sostanziale aggiunta del secondo criptoportico (minore) di Palazzo nella parte Nord-Est del complesso. Del corpo di fabbrica adiacente è visibile esclusivamente l’impianto idrico – che si trova a una quota superiore di oltre 3m rispetto alla quota di calpestio degli ambienti – disegnato prima a lapis con riga, poi ripassato a sanguigna con qualche rilevante variante. A tal proposito, nelle legende di Contini 1668 e del 1751 si legge che tale corpo di fabbrica è suddiviso in «Nove stanze [...] con nicchie sfondate in dentro, di dove scaturivano fonti» e nel disegno del 1668 si vedono, sul lato Est dei 9 ambienti, 9 recessi dei quali, l’ultimo a Nord, di dimensione longitudinale all’incirca pari alla metà dei precedenti, con 8 spazi interposti e di dimensioni simili a quelle dei recessi, mentre nella pianta del 1751, certamente tracciata da una mano meno consapevole, sono indicati 6 ambienti, 1 recesso e 6 spazi. Nella pianta della Certosa, nella quale, come già accennato, non sono segnalati gli ambienti, il disegno a lapis mostra 6 recessi, tra l’altro di dimensioni assai ridotte, e 7 spazi, mentre il disegno a sanguigna conferma solo 5 recessi e mezzo e 5 spazi e mezzo, dei quali l’ultimo a Est è intersecato dalle strutture del criptoportico minore di Palazzo; Francesco Piranesi, nella sua pianta, diminuendo la dimensione del primo ambiente a Nord, riesce a disegnare 6 recessi con altrettante vasche che interpreta quali «43. Sostruzione del Giardino S. ornata di Fontane» (fig. 202) e l’insieme delle informazioni spinge a ritenere che desume le informazioni in parte dalla pianta del 1751 e in parte dall’osservazione di quanto via via emerso dagli sterri.
17In seguito ai rilievi recentemente condotti da chi scrive e all’individuazione di una condotta idrica fiancheggiante il limite Est di Palazzo, a circa 20cm sotto il piano di campagna, è possibile definire che il braccio orientale del criptoportico minore, sia i contigui ambienti degli Hospitalia sono stati soggetto di una trasformazione occorsa in età adrianea, dipendente dalla costruzione, o dall’adeguamento, di un poderoso impianto idraulico, con la conseguente obliterazione di tutte le finestre originariamente dislocate sulle murature Nord-Est di entrambi i complessi (fig. 203). Sono pertanto da rigettare tutte le fantasiose ipotesi sviluppate da parte delle letteratura, per lo più tratte dalla legenda di Contini, in merito a uno stravagante connubio tra cubicola e fontane. La struttura idraulica, nel tratto fiancheggiante gli Hospitalia, presenta le caratteristiche proprie un impianto idraulico a pelo libero composto da un sistema di vasche allineate contenenti chiuse e paratie disposte per il superamento di un notevole dislivello lungo una breve distanza. La rasatura delle murature occidentali dei cubicola al di sotto di 2 m di elevazione non permette di stabilire con certezza se, in seguito alla tamponatura delle finestre, gli ambienti abbiano preso luce da finestre disposte sopra le porte, ossia aperte sull’ambiente centrale, benché questa sembri costituire l’ipotesi più ragionevole (fig. 204).
18Il braccio opposto del complesso, a Sud-Ovest, è indicato quale dato incerto in entrambe le piante tardo settecentesche, anche se nella pianta di Francesco Piranesi, benché nella legenda sia chiaramente leggibile che si tratta di «scoperte in tempo della cava suddetta», è riportata la medesima forma già disegnata da Contini. Entrambe le piante, inoltre, sono tra loro discordanti rispetto all’estensione della struttura, mentre riportano, diversamente dai precedenti elaborati, un lungo raddoppio murario, parzialmente colonnato nella pianta della Certosa, parallelo al portico del cd Giardino delle Biblioteche. La pianta della Certosa, nell’estremita meridionale di tale raddoppio, prevalentemente disegnato a lapis, riporta la presenza di una scala che appare anche nella pianta del 1781, simmetricamente opposta a un’altra rampa gradinata. Altresì, con riferimento alla parte trasversale, adiacente alle sostruzioni di Palazzo, le due piante tardo settecentesche segnalano l’andamento e la posizione, quest’ultima errata, del criptoportico minore di Palazzo, disegnato a sanguigna nella pianta della Certosa e precisato nella pianta di Francesco Piranesi (fig. 202). L’innesto tra le strutture degli Hospitalia e le sostruzioni di Palazzo presenta una particolarità nella pianta della Certosa, nella quale appare la lettera «D» che, scritta con lapis, nel confermare l’esistenza di un disegno in sezione, purtroppo perduto, suggerisce che si tratta di un ambiente ipogeo, non pienamente illustrabile nel medesimo elaborato planimetrico (fig. 205).
19L’insieme dei dati rappresentati nella pianta di Francesco Piranesi e nella fase a sanguigna della pianta della Certosa, errati in termini di posizionamento delle strutture del terrazzamento, del criptoportico e dell’impianto idraulico, conferma pienamente che l’interro dell’area degli Hospitalia prima degli scavi Marefoschi34 era considerevole, tale da non consentire di verificare la presenza degli ambienti del complesso, e che entrambi gli elaborati vengono redatti nel corso degli sterri, come dimostrabile dall’errata localizzazione del criptoportico minore, riportata a sanguigna nella pianta della Certosa e pienamente accettata nella pianta di Francesco Piranesi, e dalla completa assenza degli elementi strutturali e decorativi che sagomano la muratura del terrazzamento. A tal proposito, quindi, occorre immaginare che l’interro dell’area prima degli scavi sia stato prossimo alle quote della prima elevazione del terrazzamento di Palazzo (area Nord-orientale) con un andamento in pendio da Est a Ovest, tale da raggiungere una quota pari a quella oggi riscontrabile nell’area centrale del Cortile delle Biblioteche, ossia simile a quanto riportato nella legenda della pianta continiana, laddove, alla voce 29 della lettera F, è scritto che gli ambienti di cui si tratta fanno parte di «edifizji, che sono spianati rasente terra» (fig. 205-209). In definitiva è possibile ritenere che prima dell’intervento del cardinale Marefoschi nessuno abbia investito risorse nello sterro degli ambienti di tale complesso a partire dalla certezza che le murature erano «spianate rasente terra» e che, solo dopo i fruttuosi sterri eseguiti nell’area di Palazzo, che versava in condizioni simili35, le indagini siano state estese al limitrofo complesso degli Hospitalia. Ricordando però, che i ritrovamenti dei quadretti di mosaico avvengono all’inizio del 1779 e che il cardinale Mario Marefoschi muore alla fine del mese di dicembre del 1780, gli scavi degli Hospitalia non possono che essere stati condotti tra la metà del 1779 e la fine del 1780, da cui risalta l’impossibilità per Giovanni Battista di apportare ulteriori modifiche a sanguigna sulla pianta; noto, altresì che Francesco stampa il suo elaborato nel 1781, tutto induce a ritenere che alla fine del 1780, quando si suppone che gli sterri abbiano già posto in luce parte delle strutture, Francesco Piranesi abbia già inciso la seconda lastra della sua pianta nella quale è rappresentata l’area in questione.
20Occorre infine aggiungere che, come meglio si vedrà in seguito, nella pianta stampata sono riportate alcune delle informazioni pertinenti le variazioni all’assetto dei luoghi e allo stato delle conoscenze indotte dagli scavi condotti dal successore e nipote del cardinale, il monsignore Giovanni Francesco Compagnoni Marefoschi. In assenza di dati circostanziati e inerenti ulteriori campagne di scavo eseguite all’interno dei perimetri della Villa nel corso degli anni compresi tra la redazione delle due piante, le uniche analisi sviluppabili possono essere condotte esclusivamente mediante il raffronto tra i due elaborati settecenteschi e la comparazione, limitata a quanto risiede entro gli attuali confini demaniali, con l’ultima pianta prodotta a partire da un rilevamento generale dell’area demaniale della Villa (RiVA 2006-2012).
Raffronti e verifiche grafico/architettoniche
21A partire dalla certezza che la pianta della Certosa e quella di Francesco non risultano pienamente sovrapponibili, la qual cosa già escluderebbe l’ipotesi per cui una sia la preparatoria dell’altra, dal primo esame condotto in comparazione spicca la qualità della pianta della Certosa, nella quale gli edifici sono rappresentati in maniera assai corretta e, in molti casi, paragonabile a quanto attualmente verificato36 (fig. 210). Intraprendendo i raffronti dalla prima tavola della pianta del 1781, ossia dall’area settentrionale della Villa, si iniziano ad apprezzare le prime differenze tra i due elaborati, laddove quanto disegnato come ipotesi nella pianta della Certosa, in quella stampata assume una chiara connotazione architettonica, ben evidenziabile nel caso dell’inesistente Teatro Latino, ossia nei resti dell’Ippodromo ligoriano. A tal proposito, Penna37 indica che:
Piranesi volle rintracciare questo edifizio [il Teatro Latino], allorchè si scoprirono nel 1775, i muri che sostenevano il primo cuneo de’ gradini nel fossetto, e qualche traccia della scena, che in oggi neppur questa si ravvisa. Seguendo la pianta de’ citati autori [1781], si trova che questo Teatro, esternamente era cinto da un portico con 19 arcuazioni: sei scalari a doppia rampa, conducevano alle gradinate interne del teatro, che era a due precinzioni, e l’orchestra era lastricata con tavole di marmo quadrate, secondo il detto del Ligorio. Sul pulpito la scena fu decorata con un gran emiciclo ornato di nicchie, e lateralmente il proscenio aveva due portici, retti ciascuno da sei pilastri, e dietro a questi due vasti saloni. Sei camere pur vi erano dietro la scena per commodo degli attori: ed altre tre vaste sale, occupavano l’indietro, esse comunicavano l’una coll’altra, e ad esse salivasi dalla parte di dietro per una scala a rampa. Il moderno viottolo che esce dal cancelletto al N. 2, piega e traversa il teatro passa sul pulpito della scena, ma non si scoprono più vestigia di sorta alcuna.
22Si deve quindi ritenere che la pianta della Certosa riporti la situazione come si presentava dopo gli scavi fatti eseguire da Piranesi nel 1775 e che, di conseguenza, non si può che stimare che l’intero assetto del presunto teatro, la cui organizzazione strutturale/architettonica, come riportato nella descrizione, potrebbe coincidere con quella di un «Hippodromo», come appare nella pianta di Francesco Piranesi, è completamente attribuibile a una fantasia interpretativa di quest’ultimo (fig. 211).
23Con riferimento all’area tra i due complessi, nella pianta definitiva si legge l’attribuzione dell’idronimo al fosso orientale della villa, indicato quale «Rivo del acqua ferrata», e anche a tal proposito si ritiene che l’attribuzione del nome faccia parte delle scelte adottate da Francesco Piranesi, certamente copiato dalla pianta del 1751, o derivato da una errata interpretazione della pianta di Cabral e Del Re38. In nessun’altra delle cartografie prodotte prima del 1781, infatti, è riportato tale idronimo39, mentre, come accennato, nella sintetica mappa territoriale che Cabral e Del Re inseriscono nella loro opera si nota con precisione che è attribuito a un ramo secondario che scaturisce dall’area del cd Liceo (fig. 212).
24Altresì, in merito alle numerose diramazioni idriche che, sempre nella pianta di Francesco Piranesi, segnalate con linee tratteggiate, caratterizzano l’area occupata dal «Teatro Latino» non si ritiene possano essere state riscontrate nel corso degli scavi piranesiani dato che nella pianta della Certosa, certamente verificata da Giovanni Battista, appare solo la diramazione principale. È, quindi, assai probabile che tali corsi d’acqua derivino da una scelta di Francesco Piranesi, mirata a giustificare l’alimentazione della fonte, «co i suoi ponti», che si legge nel Trattato ligoriano, richiamato anche da Contini (1668), «nascono da più fonti acque, che scorrono nel sudetto rivo, che irriga la valle», e riportato nella legenda della stampa del 1751, «Luogo detto fosso de’ cedri, nel quale nascono da più fonti acque, che scorrono nel suddetto rivo che irriga la Valle» .
25Poco discosto dal Teatro Latino si trova il complesso della Palestra, rappresentato in maniera conforme in entrambe le piante tardo settecentesche, ma dissimile dalla situazione oggi riscontrabile40. Nella medesima area si osserva una successiva uguaglianza tra i due disegni nel caso del già discusso Ninfeo di Tempe e del soprastante Tempio di Venere, laddove in entrambi gli elaborati si nota come l’adozione contemporanea di due differenti piani sezionatori orizzontali, usati per mostrare condizioni strutturali localizzate a più di dieci metri d’altezza l’una dall’altra, induca a notevoli fraintendimenti. Interessante, inoltre, è la differenza della definizione delle parti rilevabili, segnalate sempre con tratto scuro, e di quelle ricostruite pertinenti le sostruzioni del terrazzamento, nonché ninfeo, occidentale; nella pianta della Certosa si evidenzia una situazione maggiormente corrispondente a quanto attualmente visibile, mentre Francesco Piranesi dimostra una notevole approssimazione nel riportare, a tratto marcato, solo tre moduli sostruttivi, peraltro attualmente non presenti, della porzione meridionale dell’intera struttura. Entrambe le piante, inoltre, evidenziano la presenza di un sistema ipogeo che nella pianta stampata non solo è molto più articolato rispetto a quanto disegnato nella pianta della Certosa, ma che assume dimensioni e diramazioni pertinenti una sorta di snodo viario, tanto quanto, in effetti, emerge nella legenda, laddove, sebbene la voce «Ninfeo» riporti una spiegazione molto vaga, «16. Conicoli per uso del Ninfeo», al numero 25 della voce «Biblioteche» si legge dell’esistenza di un «Corridore sotterraneo di communicazione con quelli del Ninfeo». Tale sistema, già accennato in precedenza, è composto da un insieme di strutture idrauliche, alcune delle quali (lato Sud) pertinenti una fase pre adrianea, successivamente adeguate alle esigenze della Villa imperiale (ambienti Sud-Ovest, tra i quali due con tracce di pitture murali) e associate a un criptoportico (lato Ovest) (tav. 6; fig. 213, 214).
26La qualità delle informazioni in merito agli ipogei di quest’area, in particolare quando confrontata alla genericità adottata da Francesco Piranesi nella stesura della sua pianta, induce a qualche ulteriore considerazione di interesse. Nella generalità, come in precedenza accennato, la pianta della Certosa illustra ben poche delle numerose strutture in sotterraneo che caratterizzano la Villa e, in particolare nelle aree settentrionali, fino al sito delle Grandi Terme, sono sommariamente indicati solo gli ipogei di Palazzo e il criptoportico imperiale a Est della palestra delle Grandi Terme. Se nulla è proposto in merito all’organizzazione delle Cento Camerelle41, un solo segno è interpretabile quale indicativo della presenza del criptoportico di collegamento tra il Giardino-Stadio e il Teatro Marittimo, mentre sono completamente assenti i sistemi ipogei pedonali che interessano le aree del Vestibolo e di Piazza d’Oro. Altresì, è solo nella parte centro-meridionale che, nella pianta della Certosa, iniziano a essere indicate le parti in sotterraneo: talora a lapis (come nel caso delle cd Neviere), il più delle volte a sanguigna, quasi sempre tracciata con il supporto di una riga o stecca, fatta esclusione dell’ipotetico percorso di collegamento tra le aree di Roccabruna e dell’Accademia, che appare tracciato a mano libera, benché sormontante un segno tirato con lapis supportato da riga.
27L’assenza, nella prima porzione della pianta, di quanto esistente sotto il piano di campagna conferma quanto ipotizzato a proposito della ideazione di un progetto più consistente, come peraltro dichiarato in seguito da Francesco Piranesi; un progetto nel quale la pianta avrebbe dovuto costituire solo uno degli elaborati previsti: la proiezione planimetrica vista dall’alto, da associare, quanto meno, a una sezione orizzontale, illustrativa di quanto esistente sotto la quota del piano di campagna, ovvero a più disegni di dettaglio delle singole parti ipogee, come testimoniato dalle lettere maiuscole che, nella pianta della Certosa, talora appaiono affiancate a complessi con porzioni ipogee o, all’epoca, con livelli inferiori interrati. La presenza delle strutture ipogee illustrate nelle aree meridionali della Villa, pertanto, potrebbe essere letta come una scelta motivata dalla minore quantità di edifici fuori terra, tale da consentire la rappresentazione di entrambe le realtà senza incorrere in troppi fraintendimenti, ovvero potrebbe essere interpretata quale una decisione alternativa al progetto iniziale, indotta da una necessità nel frattempo occorsa. Al mantenere la possibilità, sempre più concreta, che la pianta della Certosa sia prevalente frutto del lavoro ideato ed eseguito da Gondoin e al ricordare che Quatremère de Quincy scrive chiaramente che Gondoin è «Forcé de renoncer [...] porta ses vues moins haut», si può ritenere che nel corso di una fase avanzata delle indagini l’architetto francese abbia dovuto ripensare al progetto inizialmente preposto e, pertanto, nell’abbandonare l’idea di una seconda pianta, abbia deciso di associare la rappresentazione delle parti ipogee a quella delle parti in superficie. In ogni caso, da quanto desumibile dai pochi indizi a disposizione, occorre ammettere che gli elaborati desunti dai rilevamenti degli ipogei nella parte centro/ settentrionale della Villa – certamente prodotti, quanto meno a livello di eidotipi, da Gondoin o forse anche da Piranesi, comunque donati dal francese alla sua partenza nel luglio del 1777 – facciano parte del materiale grafico disperso in seguito al saccheggio dell’abitazione piranesiana nel 179942.
28Nell’area prossima al Casino Fede, in posizione all’incirca ortogonale rispetto all’area del Tempio di Venere, in entrambe le piante appare un elemento di stretta derivazione continiana, disegnato, nella pianta della Certosa, solo a lapis chiaro e con riga, come avviene per le strutture non documentabili, mentre nella pianta stampata appare addirittura completato con la numerazione delle voci della legenda all’interno dei vani, corrispondenti a «14. Albergo con Portico per uso dé Castellarj, o Fontanieri del Ninfeo» (tav. 6; fig. 215). Altresì, nel caso del Teatro Greco, più volte discusso, il confronto tra la pianta della Certosa e quella attuale pone in luce le invenzioni disegnate da Francesco Piranesi, tra le quali l’impianto planimetrico del complesso43 e l’inserimento dell’inesistente Tempio di Nettuno.
29Una nota a parte merita la porzione areale compresa tra il lato dell’immaginario «Ippodromo» continiano e l’intersezione di più tracciati viari, antichi e moderni. In tale area, infatti, in entrambe le piante sono ben visibili due minuscoli edifici dei quali quello di maggiori dimensioni, a imposta quadrangolare, nella pianta stampata è contrassegnato dalla ripetizione, specchiata, del n. 5, dipendente da un errore di incisione della lastra; entrambi gli edifici, nella legenda sono indicati quali «5. Magazzeni per Orzo, Fieno, e Paglia – 6. Edifizio rotondo con quattro ingressi, rivestito da Nicchioni» e, ovviamente, se per il primo edificio la funzione attribuita deriva direttamente dal limitrofo Ippodromo, Francesco Piranesi non si pone il problema di accostare un «deposito per fieno» a un minuscolo e raffinato padiglione quadrilobato. In merito all’identificazione di tali edifici si potrebbe riconoscerli in quanto rinvenuto da Hidalgo44, oppure nelle tracce visibili dalla foto aerea che, però, sembrano essere ben più corrispondenti all’edificio documentato da Ristori Gabbrielli tra le proprietà giù appartenute a Visconti45, indicato quale «Casetta della Vignarola»; edificio già demolito negli anni della redazione della pianta della Certosa (fig. 216).
30Nella seconda tavola di Francesco Piranesi, oltre all’area di Palazzo della quale si è già discusso con riferimento agli scavi del cardinale Mario Marefoschi, alcune particolarità di interesse hanno per oggetto il Teatro Marittimo; complesso del quale, solo nella pianta del 1781, appare la disposizione degli ambienti dell’isola più simile a quanto oggi visibile, a meno dei collegamenti tra l’isola e il portico anulare, costituiti da quattro ponticelli, la cui presenza è legittimata nella legenda, «10. Edificio circolare con Portico ornato di Fontane per delizia; ha nel mezzo dell’Arca una Fabbrica esternamente circolare, con quattro piccoli Ponti, che passavano sopra l’Euripo, o Canale di Acqua, che scorreva tra il Portico, e la Fabbrica di mezzo», che appaio direttamente mediati dalla pianta del 175146 (fig. 217, 218). I chiari riferimenti, nella pianta della Certosa, al disegno dell’organizzazione interna dell’isola che appare nella pianta del 1751 e la totale assenza di qualsiasi collegamento tra l’isola e il portico anulare, sono elementi che confermano che un nuovo sterro del complesso è stato eseguito dopo la morte di Giovanni Battista47.
31Per completare le informazioni pertinenti il Teatro Marittimo, parte della moderna letteratura48, facendo riferimento a Sebastiani49, identifica nell’ambiente centrale dell’anello colonnato il luogo del ritrovamento, nel 1777, del Fauno in rosso antico che in seguito confluirà nelle raccolte del Vaticano. Francesco Piranesi, però, riporta il ritrovamento agli anni del conte Fede e indica il luogo in un minuscolo ambiente esterno al complesso (fig. 218):
17. Essedra con Nicchia, ove dal Conte Fede fù rinvenuto il Fauno di Marmo rosso, ora nel Museo Vaticano, come anche Frammenti diversi di Statue, e Marmi mischi in ogni parte di questo Edifizio. Ella é rivolta di fronte alla longa Area K. che é di fianco al Pisianatteo, che servir dovea di delizioso Giardino
32Alle informazioni di Francesco fa riscontro Penna, «Il Conte Fede fu quello che ebbe la sorte di scoprire questo bel Fauno, (*Vedesi il luogo nel T./. p. 19) che presso di una nicchia nel fondo del giardino, annesso alle Biblioteche giaceva sotto le rovine»; luogo che, nella pianta, corrisponde alla cd Basilica di Palazzo.
33Successivamente anche Visconti dimostra qualche difficoltà nel definire il luogo del ritrovamento del Fauno conservato in Vaticano, laddove scrive che «Il Prefetto delle Antichità lo acquistò per ordine di Nostro Signore dai Signori Conti Centini eredi del fu Conte Fede insieme con [...] monumenti tutti scoperti nella villa Fede a Tivoli, ch’era già Villa Adriana, eccetto però il Fauno, che fu trovato in altra parte della stessa villa Adriana appartenente a’ Signori Bulgarini, che ora è denominata Palazzo »50. Al ricordare che Furietti aveva trovato proprio nell’area dell’Accademia il Fauno dei Musei Capitolini, oltreché numerosi pezzi di una statua simile, sembra evidente che Visconti faccia confusione tra i numerosi Fauni provenienti da Villa Adriana. Certo è, comunque, che per quel che concerne l’esemplare dei Musei Vaticani, se rimane saldo il ritrovamento nei confini delle proprietà del conte Fede, nulla di certo può essere affermato per il Teatro Marittimo.
34Nell’area limitrofa, a Sud del Teatro Marittimo, risiede il gruppo di edifici che, per le fastose tracce di decorazioni rinvenute e per le raffinate innovazioni compositive, tecniche e tecnologiche riscontrate, possono essere debitamente riconosciuti quale il nucleo centrale della Villa, ossia edifici che vengono realizzati seguendo una progettazione ex novo e che, pertanto, presentano le caratteristiche di maggiore interesse per la ricerca del linguaggio architettonico e la distribuzione funzionale di età adrianea51 (fig. 219). Nella pianta della Certosa risalta il disegno eseguito con penna a inchiostro e, al considerare che i segni tracciati con tale tecnica, associata all’uso di una riga, sormontano sia i segni a sanguigna (attribuibili a Giovanni Battista Piranesi, redatti nel corso della fase di verifica), sia i sottostanti a lapis (attribuibili a Gondoin e quindi pertinenti la prima fase di stesura), peraltro non visibili nella parte del cd Edificio con Peschiera/Palazzo d’Inverno, l’uso della penna potrebbe essere imputato a Mori, intervenuto nel corso di una successiva verifica dell’elaborato, condotta in seguito alla morte di Giovanni Battista. Si ritiene in questo caso di poter pienamente escludere un intervento di Francesco Piranesi dato che la rappresentazione dell’intero complesso adottata nella sua pianta non corrisponde a quella della pianta della Certosa (fig. 220). In entrambe le piante l’edificio è disegnato in sezione orizzontale, eseguita alla quota dell’ultimo livello di calpestio e le uniche segnalazioni della copertura dell’edificio sono segnalate con segno punteggiato e riferite alla copertura a crociera del cubicolo imperiale e dell’ambiente antistante; la copertura di quest’ultimo ambiente, però, appare priva dell’oculo di illuminazione nella pianta del 1781, mentre il medesimo elemento è demarcato, con segno molto scuro, nella pianta della Certosa. Altre differenze, come l’assenza, nella pianta stampata, della muratura dell’ultimo ambiente nell’angolo Nord-occidentale, associata alla presenza di tre aperture sul fronte Ovest, peraltro inesistenti, costituiscono informazioni minime rispetto all’unico vero elemento di diversità tra i due elaborati, costituito dall’esistenza, nella pianta della Certosa, anche della pianta del primo livello di elevazione e di una porzione del secondo, nel quale si trova anche il Criptoportico dell’Edificio con Peschiera. Il perimetro murario di quest’ultimo ambiente è delineato a penna con punta molto fine, certamente sostenuta da una riga, è parallelo alla muratura perimetrale del livello superiore e presenta solo una interruzione, corrispondente all’adito di accesso a Ovest, dal Palazzo d’Inverno. Dato che Francesco Piranesi descrive correttamente la decorazione dell’ambiente nella legenda, «Pinacoteca. 1. Galleria scoperta, che ha di sotto un’altra chiusa per Pitture, la Volta, e le Pareti sono dipinte a grotteschi. Ne ripartimenti delle medesime erano appese le Tavole dipinte», si deve ritenere che, all’epoca della redazione di entrambe le piante, il livello dell’interro del Criptoportico sia stato tale da impedire di apprezzare la presenza degli altri due accessi, a Nord-Est e a Sud, che hanno altezza mediamente pari all’imposta della volta52.
35Sempre nella pianta della Certosa, a Ovest rispetto all’accesso al Criptoportico, si vedono due ambienti oltre i quali, verso Sud, è delineato un corridoio con andamento Nord-Sud che non trova raffronti nella situazione attuale se non per il primo tratto, a Nord, nel quale si trova la scala di collegamento con il livello superiore del Palazzo d’Inverno53 ; altresì nessun cenno può permettere di riconoscere, nel medesimo disegno, la seconda rampa di gradini (all’inizio della quale si trovano, sull’imposta della volta di copertura, le firme di Piranesi e di Mori in precedenza discusse) che, con andamento ortogonalmente ruotato rispetto alla precedente, permette di raggiungere il primo livello del Palazzo54. Tale livello, posto alla quota più bassa, mediamente pari a 95.25m slm, con il calpestio che supera di 1.25m la quota del piano di campagna del Giardino-Stadio e che è inferiore di poco più di 8m rispetto alla quota di calpestio dell’ultimo livello, è rappresentato con estrema cura e precisione. A tal proposito occorre precisare che dei due livelli inferiori del Palazzo d’Inverno dislocati sul fronte del Giardino-Stadio le notizie sono assai scarse a partire da Contini che indica che tra la quota dell’ultimo livello e quella inferiore potevano essere misurati 20 palmi di differenza, ossia 4.67m. Se nella legenda della pianta definitiva non appaiono informazioni a tal proposito, ulteriori notizie possono essere desunte solo a partire da Penna, sia nella pianta – in cui la rappresentazione del terzo e ultimo livello, nella parte occidentale del settore centrale, è obliterata in favore della proiezione planare dei resti, crollati, della volta di copertura della sala del primo livello – sia nella descrizione della veduta del prospetto55, sia, infine, nella descrizione della veduta delle «Camere inferiori del Pulvinare», laddove si legge dell’esistenza di un «pianterreno del Pulvinare vi sono cinque Camere, ed un lungo corridore che passando dietro alle medesime ha con tutte comunicazione. Esse sono della medesima forma e costruzione di questa, soltanto hanno alcune variazioni nelle misure [...] Le pareti erano ricoperte di un finissimo stucco, e poi dipinte a spartimenti con variati colori», da cui è possibile stabilire che una parziale ripulitura del primo livello del Palazzo sia stata eseguita tra gli anni della stampa della pianta di Francesco Piranesi e quelli durante i quali indaga Penna. Dato, inoltre, che anche la condizione di interro dell’area del Giardino-Stadio è ben documentata da Penna, nelle cui tavole si evidenzia come la quota dell’interro sia superiore a quella delle soglie delle finestre dell’ordine inferiore del primo livello del Palazzo, si deve ritenere che tra il 1777 e il 1780 la quota dell’interro sia stata più elevata, tale da rendere pressoché impossibile l’identificazione, l’esplorazione e la documentazione del primo livello dell’edificio (fig. 221, 222). La comparazione tra le due piante tardo settecentesche e quella di Contini pone in luce che, tra il 1668 e la seconda metà del Settecento, sono stati compiuti alcuni movimenti di terra nella parte Nord-orientale del Giardino-Stadio, laddove recenti e definitivi sterri hanno permesso di ritrovare una sfarzosa latrina singola56, e nel limitrofo versante a monte del complesso, parallelo alla muratura Est del Giardino-Stadio, segnalato dalla presenza di un percorso di collegamento tra il Palazzo d’Inverno e le Terme con Eliocamino. Tale percorso nella pianta continiana è giudicato ipogeo e termina direttamente dentro l’edificio termale57 ; l’ambiente con latrina, ben separato dal soprastante percorso, è disegnato con un accenno di recesso absidato a Nord, con due porte d’accesso solo sulla muratura Ovest. Nella pianta della Certosa il percorso è correttamente disegnato in quota58, è posto in collegamento con la scala a Nord della latrina e, all’interno di quest’ultima, si distingue la piccola abside in asse con la porta sulla muratura Sud. Francesco Piranesi, nella sua pianta, mantiene l’andamento del percorso59, eliminandone, però la scala, e annulla anche l’ambiente della latrina, disegnando un inesistente allargamento del portico Est del Giardino-Stadio (fig. 224). Tali variazioni permettono quindi di ipotizzare che il definitivo crollo della copertura della latrina sia occorso nel periodo di stesura della pianta di Francesco, impedendo a questi di credere all’esistenza del recesso absidato, e che tale crollo sia derivato dalle operazioni di sterro dell’area a monte, dalle quali era emerso l’andamento del percorso60.
36Nella pianta del 1781 appare un lungo «Corridore sotterraneo di communicazione alle parti della Villa», tracciato con segno puntinato a partire dalla Sala dei Filosofi, passante per tutta l’estensione longitudinale e occidentale del Giardino-Stadio, fino a raggiungere l’anello ipogeo del grande Vestibolo. Sebbene il primo tratto possa parzialmente coincidere con il criptoportico che collega il Teatro Marittimo con il Giardino-Stadio, l’incertezza del disegno, resa manifesta dall’abbondanza di linee punteggiate, e la dislocazione errata delle strutture murarie, in asse con l’ala del portico occidentale del Giardino-Stadio, sono elementi che, assai simili alle soluzioni proposte nella pianta del 1751, inducono a ritenere che Francesco Piranesi abbia preferito quest’ultimo elaborato alla pianta della Certosa, nella quale è presente solo un minimo tratto del «corridore», proprio nell’area del criptoportico del Teatro Marittimo, indicato mediante due linee parallele, una a lapis estesa fino alla Sala dei Filosofi e l’altra, a sanguigna, accennata solo in prossimità del Giardino-Stadio.
37La parte del percorso ipogeo che, nella pianta di Francesco Piranesi, interessa tutta la parte occidentale del Giardino–Stadio deve considerarsi inesistente61 e direttamente mediata dalla pianta del 1751, per cui il suo inserimento deve essere imputato a Contini; la medesima considerazione, al momento, è valida per la parte del percorso ipogeo che attraversa obliquamente le Piccole Terme, mentre diversa è la questione per quanto concerne l’ultimo tratto, pertinente l’anello ipogeo del Grande Vestibolo, che si analizzerà più dettagliatamente in seguito.
38Nella categoria delle invenzioni derivate da peculiari interpretazioni tipologiche è possibile inserire il colonnato che circonda quasi tutto l’edificio delle Terme con Eliocamino, elemento che appare per la prima volta nella pianta della Certosa, nella quale le colonne sono disegnate tutte a lapis nero, mentre nella pianta stampata sono riproposte con segno leggero, benché nella legenda sia attestata la presenza di un «23. Portico, che circonda porzione de’ lati del medesimo Bagno» . Dalla stessa legenda, inoltre, si percepisce quanto già intuibile nella pianta della Certosa in relazione allo stato dell’edificio, «21. Corpo di Fabbrica assai rovinato con Stanze di varia figura, che servir potevano di Bagno alla Foresteria. 22. Stanza di Bagno circolare, con Nicchie, e Fenestre ornate di Colonne, le quali riguardano il Ponente. Ha de passaggi nei Apoditeri, Laconici, ed altre parti del Bagno» . La precisazione in merito alle finestre ornate di colonne, inoltre, permette di evidenziare un’ulteriore differenza tra le due piante; se, infatti, Francesco Piranesi disegna 6 colonne, nella pianta della Certosa sono rigorosamente, e correttamente, evidenziate le impronte di pilastri a sezione rettangolare (fig. 225).
39Prossima alle Terme con Eliocamino è la cd Caserma dei Vigili, a Est dell’Edificio con Peschiera, complesso per il quale la letteratura ha a lungo dibattuto la destinazione d’uso a partire dalla mancanza di decorazioni lussuose, per finire con la particolare organizzazione planimetrica, la cui similitudine con le tipologie degli acquartieramenti del corpo dei vigili del fuoco ha permesso l’attribuzione dell’errata definizione nominale. Contini interpreta il complesso quale un «[G] 62 – Edificio dove era un corritore nel mezzo ed stanze libere dall’una e dall’altra parte con sei Appartamenti di famiglia», cui fa eco Francesco Piranesi che, però, con riferimento agli ambienti settentrionali, suggerisce una fruizione di rango più elevato,
[Ospitali] 14. Diversi aditi, che dal Giardino passavano a seguenti Bagni, ed all’Abitazione delle Famiglie. / 15. Corpo di Fabbrica per Liberti, e Famiglie della Foresteria, e per i Ministri necessarj. /16. Salone con diversi ordini intorno di meniani per ripartire i Famigliari né varj piani delle Celle a volta tramezzate dà Sorali. / 17. Celle sud. con piccioli Spiragli per il lume. / 18. Cenacoli, o Sale per la Famiglia degli Ospiti. / 19. Stanza per il Custode.
40Tale interpretazione sembra derivare, con le opportune mediazioni, da Cabral e Del Re laddove indicano che l’intero complesso sarebbe un «a. Edificio con camere libere, e piccoli finestrini, il quale probabilmente serviva alla famiglia nobile» (fig. 226). Sarà Penna il primo a definire il complesso quale «Quartiere dei Vigili», non senza aver richiamato le similitudini tipologiche con edifici di età imperiale62, mentre spetta ad Ashby63 una prima ricognizione critica,
Here, in the central portion of the main palace, is a building of somewhat similar plan, called in the earlier descriptions by various names: Ligorio [pianta 1751] and Piranesi [pianta 1781] consider it to have formed part of the accommodation for the emperors’ guests; Nibby does not seem to mention it at all. According to Sebastiani the popular name for it was cucina del palazzo (Viaggio a Tivoli, p. 274). The name caserma dei vigili was given to it by Penna, Viaggio, I. 30, 31. who also gives views of the exterior and interior. Winnefeld shows it accurately in his plan, Villa des Hadrian, taf. VII. S. but does not deal with it in the text, and Gusman, La Villa Imperiale de Tibur, 91, who repeats the view of the interior given by Penna (but without giving the number of the plate!) with two more views of his own, has no opinion on the subject. Lanciani (Villa Adriana, 35) remarks ‘avrà servito probabilmente per alloggiare il basso personale di corte. Se ne attende ancora lo scavo’.
41Benché l’attesa di Lanciani sia ancora oggi in divenire, i risultati delle indagini sviluppate hanno permesso di migliorare la conoscenza del complesso, sia in relazione all’esistenza, nel sottosuolo, di alcune condotte idriche, una delle quali di dimensioni significative, sia in merito alla verifica della funzionalità dello scarico della latrina multipla64 mediante lo studio delle pendenze rilevate, nonché in relazione alla generale funzione dell’edificio, per il quale l’ipotesi di una funzionalità abitativa, probabilmente per i liberti (secondo livello di calpestio) più vicini all’imperatore e per i loro servitori (primo livello di calpestio), sembra probabile.
42È interessante notare che nella pianta continiana e nelle successive è rappresentata solo parte della geometria strutturale del complesso da cui si deve desumere che all’epoca del rilievo eseguito da Contini l’edificio era pressoché completamente interrato65. L’analisi tra le piante della Certosa e del 1781 induce a ritenere l’avvenuta esecuzione di sterri parziali, come evidenziato dalla presenza, in entrambi gli elaborati, della scala mediana dell’ambiente centrale. L’assenza della seconda scala66, dislocata nell’angolo Nord-Est dell’ambiente nel settore meridionale, suggerisce il permanere dell’interro di quella porzione dell’edificio, così come completamente interrati erano gli ambienti del corpo con latrina multipla, aggiunto a Ovest, dei quali non si vede traccia nelle piante, mentre all’epoca di Contini dovevano essere parzialmente visibili, ovvero intuibili, i resti murari della porzione meridionale, rappresentati con una suddivisione strutturale diversa da quella attualmente apprezzabile67.
43In entrambe le piante tardo settecentesche risaltano, inoltre, alcuni particolari tra i quali le numerose aperture disposte a interruzione delle murature, la presenza di setti nell’ambiente centrale e la dimensione della scala dislocata nel medesimo ambiente. Si tratta di elementi che compaiono, per la prima volta, nella pianta della Certosa, disegnati con lapis chiaro e obliterati dai segni sovrapposti a sanguigna, solo parzialmente ripresi da Francesco Piranesi nella sua pianta; in quest’ultima, tra l’altro, di dimensioni certamente più adeguate a quanto oggi apprezzabile, è l’imposta della scala dell’ambiente centrale. Noto che la maggior parte delle aperture nelle murature, in particolare le porte, rappresentate della pianta della Certosa corrispondono a quanto attualmente visibile nel secondo livello di calpestio del complesso, è possibile stabilire che la quota dell’interro dell’edificio era sufficientemente elevata e comunque non inferiore all’imposta delle voltine del ballatoio, ossia tale da consentire di interpretare le voltine impostate su setti murari, da cui segue che il disegno della pianta della Certosa è una sezione orizzontale tracciata a una quota di poco superiore rispetto a quella del calpestio del secondo livello del complesso. L’evidenza delle correzioni presenti nella pianta del 1781, elencabili nella chiusura della maggior parte delle aperture murarie e nel ridimensionamento della scala, permette di stabilire che Francesco Piranesi, dopo aver stilato il suo disegno preparatorio, ha ritenuto di dover verificare la situazione in sito e tale operazione può essere dipesa solo dalla verifica di quanto visibile in seguito a nuovi scavi. Tra l’altro, dato che la pianta rappresentata da Francesco è un misto dei due livelli di elevazione del complesso, non si può che ammettere che il sopralluogo sia avvenuto all’inizio degli sterri e, dato ancora che nella pianta stampata sono ben evidenti le finestre e le porte chiuse con campiture aggiunte, risulta ovvio che si tratta di correzioni apportate alla lastra già incisa (fig. 227; tav. 7). Da tutto ciò si deve dedurre che gli sterri sono stati avviati nel 1781 e, pertanto, non si può che attribuirne la paternità al nipote del defunto cardinale Marefoschi, il monsignore Giovanni Francesco Compagnoni Marefoschi.
44Nel settore orientale del complesso sono attualmente visibili alcune murature delle quali una, ad andamento mistilineo, è documentata in tutte le piante, a partire da quella di Contini. Nel medesimo settore, inoltre, le stesse piante riportano, con segno leggero, una muratura rettilinea, sviluppata verso Est, oggi visibile al livello pressoché pari a quello della fondazione, benché ancora visibile negli anni degli studi di Winnefeld. Nella legenda della pianta di Francesco Piranesi l’ambiente racchiuso da tali murature, parte del complesso noto come Sala con Pilastri Dorici, è inserito nella voce «Ospitali» e definito quale «7. Atrio con ale, e fondo in porzione di Cerchio, con Nicchie per l’Immagini del Tablino» . Tali «ale» sono ben segnalate da due file di colonne, assenti nella pianta della Certosa, e in entrambe le piante è visibile, espressa con i segni pertinenti il carattere ipotetico, una serie di tre vani disposti in successione lungo il lato Sud dell’ambiente che nella legenda della pianta stampata sono indicati quali «8. Stanze con passaggio all’Atrio, e al Giardino» . Nelle piante precedenti l’ambiente è disegnato con molti più dettagli e con un’organizzazione interna più articolata; in particolare, nella legenda della pianta continiana (1668) si legge che si tratta di una « G. 20. Essedra ornata di sette nicchie», da cui si deve ritenere che nella seconda metà del Seicento le nicchie erano in uno stato tale da consentirne l’individuazione; al ricordare, inoltre, che la Caserma dei Vigili era interrata fino alla sommità delle murature, si può immaginare che la struttura muraria con le nicchie doveva, in quegli anni, doveva raggiungere una altezza simile a quella dell’adiacente edificio (fig. 228).
45Di interesse è il riscontro del numero dei pilastri che, all’interno della grande sala, danno il nome al complesso; se, infatti, nella pianta di Contini sono, a meno di quelli in posizione angolare, 4 lungo i lati corti e 6 nei lati lunghi, nella pianta della Certosa sono correttamente 6 e 10 e nella pianta del 1781 sono 4 e 8. La congruenza tra quanto oggi osservabile in sito e quanto indicato nella pianta della Certosa, nel riaffermare la qualità di tale elaborato, ancora una volta permette di verificare le immotivate scelte ottemperate da Francesco Piranesi all’atto della redazione del disegno della sua pianta (fig. 229, 230).
46Medesime verifiche sono diffusamente eseguibili, con risultati simili, nell’intera area di Palazzo con l’unica esclusione del Ninfeo che nella pianta del 1781 non presenta particolari varianti rispetto alla pianta della Certosa. In questo caso, inoltre, il confronto con la pianta di Penna permette di attestare che il complesso è stato oggetto di minimi sterri poco dopo la pubblicazione della pianta del 1781; che tali sterri non siano stati particolarmente accurati è dimostrato dalla pianta Francesco Piranesi nella quale il complesso, definito «11. Oecio Corintio, o Salone per i gran Conviti con Colonne »68, ovvero una «Basilica Imperiale »69, è rappresentato privo dei due minuscoli ambienti (latrine?) ricavati nello spessore della muratura concava disposta frontalmente al Ninfeo, della scala a Ovest della medesima muratura e della parte di completamento della grande vasca antistante (fig. 231).
47Altresì, attribuibili agli scavi condotti dal cardinale Marefoschi possono essere ritenuti gli ambienti allineati che appaiono solo nella pianta stampata e dei quali i primi due sono indicati in legenda quali «12. Stanze per commodo, ed uso del medesimo [Oecio Corintio]», mentre i successivi sono richiamati nella voce pertinente il più distante «29. Cavedio con tre Ale di Portico, e Fontana» e definiti quali «30. Conclavi intorno al detto» . Tali ambienti, quando letti nell’insieme di quanto oggi apprezzabile nell’area, possono essere ipotizzati quali parti di un complesso, probabilmente, in origine, a due piani70, organizzato secondo uno schema a parziale simmetria assiale (fig. 232, 233).
48Nella parte settentrionale dell’area di Palazzo, oltre agli ambienti citati, entrambe le piante sono disegnate adottando un piano sezionatore misto, ossia tale che una parte, disposta a quota inferiore, permette l’illustrazione dell’area interessata dalla presenza dei criptoportici, ritenuta più interessante sia per il fascino che generalmente rivestono gli ambienti ipogei, sia per le decorazioni del criptoportico maggiore i cui resti sono particolarmente suggestivi (fig. 234, 235; tav. 8). Tale scelta, che come già osservato induce notevoli problemi per la definizione di quanto visibile all’epoca della redazione di ciascuna pianta, consente di segnalare alcune peculiarità, non riscontrabili nella letteratura moderna, presenti nei bracci Est e Nord della struttura ipogea, definibili in termini di percorsi, parzialmente murati, dei quali due, affiancati nel braccio orientale, sono presenti nella pianta di Contini 1668, e in quella di Francesco Piranesi 1781, mentre il terzo, lungo il braccio settentrionale, non è mai stato documentato. L’assenza nella pianta della Certosa dei due percorsi affiancati potrebbe dipendere esclusivamente dalla scelta mirata a definire con maggiore puntualità l’area superiore, ossia a chiudere il perimetro del peristilio ivi immaginato.
49Nella parte superiore del terrazzamento di Palazzo, nella porzione Nord-Est, il raffronto tra le due piante, relazionato a quanto oggi visibile in sito, evidenzia le notevoli incertezze nell’interpretazione dei resti, dipendentemente dalla loro frammentarietà e dalle numerose variazioni apportate, in età adrianea, sia alle strutture preesistenti, sia a quelle di nuova elevazione. Gli unici elementi documentati dell’intricato insieme attualmente visibile consistono nell’innovativa latrina di forma circolare, a sette sedute tra loro parzialmente separate mediante setti murari, e nei limitrofi ambienti termali71 dei quali la parte più conservata, rappresentata sia nella pianta di Contini, sia negli elaborati tardo settecenteschi, sebbene non correttamente interpretata, è la vasca delimitata a Ovest da una muratura semicircolare. In questo caso si assiste a una notevole differenza tra le piante della Certosa e quella stampata; nella prima, infatti, il complesso termale è disegnato con lapis a tratto leggero, indicativo di una ricostruzione ipotetica, mentre Francesco Piranesi, nella sua nella pianta, certamente supportato da informazioni suppletive ottenute in seguito agli scavi del monsignore Marefoschi, assume l’organizzazione ipotetica come dato certo e disegna tutto con segni scuri (fig. 233, 236). A fronte dei dati desumibili dalle verifiche archeologiche condotte in occasione dei lavori di restauro di parte dell’area72, occorre riscontrare l’errore commesso da Francesco quanto meno nella definizione degli ambienti che, nella sua pianta, sono indicati dai nn. 30 e 31, e che nella legenda sono interpretati, rispettivamente quali «Conclavi intorno al detto [29. Cavedio con tre Ale di Portico, e Fontana]... Stanze di transito ad un picciolo Peristilio», mentre sarebbe possibile confermare, in assenza di ulteriori dati e sulla base delle specifiche tipologiche indicate, la possibilità che lo spazio contrassegnato dal n. 32 sia stato un «Peristilio con Pilastri Dorici di Marmo», la qual cosa, con particolare riferimento alla presenza di pilastri, è ammessa da Lugli73 (fig. 236). La medesima certezza dell’esistenza di strutture, indicate, però, solo a carattere ipotetico nella pianta della Certosa, si osserva nella pianta stampata con riferimento al grande peristilio segnato con il n. 24, «Pinacoteca, o Galleria degli Ospiti, con Peristilio di Colonne interno, e Nicchie corrispondenti al mezzo dell’intercolunni. Essa resta al paro del Poggio del Giardino S. ma alquanto più depressa dà corpi delle Fabbriche della Foresteria, e dell’Imperiali descritte. Ha i passagj ad un altro corpo di Fabbrica situato sull’istesso piano». Nel caso in questione, come osservabile dal confronto tra le piante, Francesco Piranesi disegna con tratto scuro pressoché tutta la parte settentrionale del peristilio, mentre nella pianta della Certosa, come nella pianta di Winnefeld74 e in quella desunta dall’ultimo rilevamento di dettaglio75 sono pochissimi gli elementi restanti di tali strutture, pressoché esclusivamente elencabili nelle due murature disposte negli angoli opposti a Nord.
50Per chiudere l’area di Palazzo resta da affrontare l’analisi della parte occidentale nella quale i primi risultati ottenuti dalle indagini archeologiche intraprese da Hidalgo hanno immediatamente posto in luce novità di particolare interesse76, passibili di fornire indicazioni assolutamente innovative sia in merito alle preesistenze repubblicane, sia in relazione alla poetica progettuale adrianea. Le novità riscontrate sono ancora più interessanti al considerare che tale area è, oggi come all’epoca di cui si tratta, notevolmente alterata, con i resti murari che, in particolare nel settore settentrionale, spesso non superano il metro di elevazione oltre la quota di calpestio superiore del terrazzamento (fig. 237).
51Tra le uniche certezze per ora affermabili è l’errore interpretativo commesso a partire da Contini, tendente a considerare il Triclinio con stibadio77 quale «Tempio di figura circolare, del qnale [!] ora n’è restato in piedi solo la metà [...] »78, richiamato nella legenda della pianta di Francesco Piranesi quale «9. Dieta di forma sferica con Nicchie per Statue, con ingresso sul Giardino della Foresteria», del quale recentemente è stata formulata l’ipotesi, sostenuta da studi e confronti proporzionali, che possa essere stato una sorta di prototipo tipologico, molto semplificato e dimensionalmente ridotto, del Serapeo79. Altresì, come desunto dalle indagini di rilevamento RiVA, condotte precedentemente alle campagne di scavo di Hidalgo, e dalle ispezioni del Ninfeo parzialmente interrato, sottostante la cisterna recentemente documentata80, la porzione del terrazzamento in oggetto non sembra essere interessata dal proseguimento, da Nord verso Sud, del percorso semi ipogeo, (nel primo tratto del quale si trovano le memorie di Contini, Piranesi e Gondoin lungamente discusse) segnalato da Contini nella sua pianta e in seguito ripreso nelle due piante tardo settecentesche.
52A Sud-Est del Ninfeo di Palazzo e della Sala con Pilastri Dorici, parzialmente collegate mediante percorsi ipogei, si trovano le strutture dell’area di Piazza d’Oro, per lo più prospicienti la Valle di Tempe. In questo caso si tratta di uno degli esempi più evidenti delle correzioni apportate da Francesco Piranesi rispetto a quando apprezzabile nella pianta della Certosa e, come già riscontrato in altre aree, sono modifiche direttamente mediate dalla pianta del 1751. Unico elemento che, diverso dalle piante precedenti, deriva dal disegno della pianta della Certosa, è il Ninfeo Sud di Piazza d’Oro; da cui si deve ritenere che l’area sia stata oggetto di scavi prima della stesura della pianta della Certosa, consentendo ai redattori di disegnare pertinentemente la struttura (fig. 238). Ulteriori e minime differenze tra quanto riportato nella pianta della Certosa e nelle precedenti sono, pertanto, da attribuire alle fasi iniziali degli scavi intrapresi, all’incirca a partire dal 1780, dal nipote del cardinale Marefoschi.
53Nell’area a Ovest dell’insieme dei complessi della Piazza d’Oro, talora nota quale «Macchiozzo »81, entrambe la piante mostrano almeno un elemento di novità rispetto a quanto documentato nelle piante precedenti, consistente nell’intersezione tra due elementi murari tra loro disposti perpendicolarmente che, nella pianta della Certosa sono affiancati a tre «A», mentre nella legenda della pianta stampata sono descritti quali «[Palazzo Imperiale] 44. Altri avanzi di Fabbriche distrutte». La localizzazione di tale elementi nel rilievo RiVA 2006 permette di riconoscerli in componenti di un complesso del quale la Soprintendenza82 ha rinvenuto, nel 2005, un ambiente di forma rettangolare, con i perimetri elevati poco più di qualche decina di centimetri, del quale resta gran parte della decorazione pavimentale con la zona centrale per lo più in sectilia marmorea a modulo rettangolare e tessitura a canestro, mentre quella perimetrale è in mosaico (fig. 239). L’evidenza di più tecniche nell’esecuzione della decorazione pavimentale, oltreché di parti sommariamente aggiunte, è un chiaro indicatore del riuso di tale ambiente, probabilmente occorso in epoca tardo antica; altresì la sua assenza nella pianta continiana83 e la mancanza di qualsiasi indicazione rapportabile all’area nei testi di Ligorio sono questioni che indurrebbero a ritenere che la demolizione del complesso sia avvenuta già prima del Cinquecento.
54Nella medesima area il confronto tra le tre piante pone in luce, ancora una volta, la particolare propensione di Francesco Piranesi nell’attribuire maggiore validità alle informazioni desunte dalla pianta del 1751 rispetto a quanto riportato nella pianta della Certosa, come evidenziabile nel caso della rete infrastrutturale ipogea (condotti idraulici e percorsi viari), mentre completamente attribuibile a Francesco è il disegno di un tracciato viario, lastricato e referenziato con la dicitura «Strada antica», che appare sempre e solo nella sua pianta, uscente dal corpo Est del cd Vestibolo (fig. 240) Come infatti già leggibile dai dati emersi in seguito alle indagini condotte da Reichardt84 nel 1933, la strada non avrebbe potuto attraversare uno degli ambienti coperti del complesso: una grande grande sala nella quale le tracce di decorazioni pavimentali in opus sectile dimostrano un uso prettamente imperiale. Con riferimento alla strada, alla luce del ritrovamento all’interno dei giardini centrali del Vestibolo di un tratto di strada selciata, obliterato in età adrianea, si potrebbe ritenere che durante il periodo della sua permanenza in Villa, tra il 1771±1774 e il 1777, Francesco Piranesi abbia potuto vedere emergere tratti viari in seguito a operazioni di sterro eseguite in quell’area; solo successivamente, nel disegnare la sua pianta, potrebbe aver confuso l’area del ritrovamento, spostandola più a Est. Certo è comunque, che il caso del Vestibolo è uno dei pochissimi esempi nei quali è evidente che Francesco Piranesi sceglie la soluzione, parzialmente errata, proposta nella pianta della Certosa e ciò, quando vagliato in relazione all’inserimento, nella pianta della Certosa, della scala monumentale con le due fontane fiancheggianti, induce a ritenere che la scelta di Francesco dipende dall’evidenza di quanto emerso dagli scavi all’epoca in corso. Ipotesi, questa, che è avvalorata da una scritta, «aperta avanti», apposta a sanguigna sulla della Certosa, in posizione limitrofa all’ambiente prospiciente le Piccole Terme, dalla quale si deduce che, nel 1777-1778, almeno quella porzione di muratura era ancora parzialmente visibile o, quanto meno, correttamente interpretabile, mentre l’omissione della medesima apertura nella pianta definitiva sottolinea, ancora una volta, come Francesco Piranesi, nei casi dubbi, sia sempre prevalentemente propenso ad adottare le soluzioni desunte dalla pianta del 1751 (fig. 241).
55Nella pianta stampata, nonché nelle precedenti, a partire da quella di Contini, appare il tratto orientale del percorso ipogeo del Vestibolo disegnato in maniera simile a quanto oggi verificabile, ossia con l’ultimo braccio, a Est, di forma curva e intersecato con la scala di collegamento con la quota del giardino del Vestibolo. L’assenza, nella pianta della Certosa, di qualsiasi cenno indicativo dell’esistenza di un elemento strutturale di tale imponenza e rilevanza, nel confermare quanto in precedenza ipotizzato in relazione alle originarie intenzioni del rilevatore, volte a produrre almeno due piante della Villa delle quali una, la sezione orizzontale, avente per oggetto tutte le parti dislocate a quote inferiori rispetto a quelle apprezzabili mediante una vista dall’alto, costituisce un ulteriore dato con cui accreditare la paternità di tale elaborato a Gondoin.
56Con riferimento all’anello ipogeo, i rilevamenti condotti hanno permesso di confermare quanto in precedenza attestato dalla letteratura in relazione alle diverse fasi edilizie adrianee dalla cui successione ha avuto origine l’intero sistema strutturale, nonché di migliorare le informazioni pertinenti il braccio settentrionale per il quale è oramai possibile affermare che è stato realizzato in seguito a una modifica del complesso delle Cento Camerelle, come dimostrato dal ritrovamento, avvenuto in seguito a scavi condotti dalla SBAL (Adembri), di due murature tra loro disposte a formare un angolo retto, rinvenute in adiacenza della muratura settentrionale del primo tratto del percorso ipogeo, in prossimità dell’accesso dalla strada carrabile che segue l’andamento del braccio meridionale delle Cento Camerelle. Noto che il primo ambiente di tale braccio, contiguo alle strutture dell’anello ipogeo, è l’unico a presentare dimensioni, in larghezza, dissimili dai restanti e che le murature emerse in seguito alle operazioni di scavo hanno dimensioni e allineamenti coerenti con quelle del medesimo braccio, all’eseguire una semplice verifica grafica è possibile evidenziare che le murature rinvenute erano parte integrante delle Cento Camerelle e che, prima di essere tagliate per rendere possibile la costruzione del sistema ipogeo, completavano dimensionalmente il primo ambiente, rendendolo simile agli altri85 (fig. 242-244). La seconda fase degli interventi adrianei, volta alla realizzazione del tratto sottostante il giardino disposto tra i due complessi termali, è testimoniata sia dalle differenti tecniche esecutive poste in opera, sia dalla mancanza di ammorsatura tra le strutture, sia dalle incrostazioni calcaree presenti dall’intradosso fino al cervello delle due volte di copertura nonché dalla presenza di numerose finestre a bocca di lupo, il più delle volte tamponate, lungo le murature perimetrali; altresì, attribuibile a una ulteriore fase è il braccio meridionale, il cui collegamento con il restanti bracci del percorso ipogeo deriva dall’apertura della muratura orientale del braccio mediano, orientato da Nord a Sud. Tenendo in considerazione che nel braccio meridionale si trova la struttura di raccordo idraulico della condotta di scarico del Canopo con una condotta simile che, dopo aver percorso in sotterraneo il braccio mediano e il braccio meridionale, prosegue sotto la pavimentazione della strada carrabile, non si può che attribuire la realizzazione di tale tratto dell’anello ipogeo, con il conseguente adeguamento delle strutture esistenti, alla fase della costruzione del Canopo86. Con riferimento all’intera estensione dell’anello ipogeo87, la legenda della pianta stampata nel 1781 indica che si tratta di un
corridore sotterraneo, che dalla Strada degli Alloggiamenti delle Guardie [Cento Camerelle] communicava cogl’altri corridori per passare ai diversi Edifizj della Villa. 17. Sbocco con Gradi del medemo nell’Area delle seguenti Terme per coloro, che doveano passare all’altra parte dell’Area, ove erano gli Alloggiamenti de Liberti, e Villici, che restavano nella sostruzione del Pretorio. Per detto corridore non solo passavano le Famiglie rustiche, ma anche le Guardie, e le Sentinelle, che da Corridori sotto il Poggio P. [altura a Est dei due complessi termali] seguente si ripartivano ai loro posti in tutto le Abitazioni Imperiali. Questa parte che dava l’ingresso [Vestibolo] alle Fabbriche del Palazzo Imperiale è quasi del tutto distrutta per cagione di coltivare il terreno a Vigneto. Ma da cavi ivi fatti si sono scoperti i fondamenti dell’Ale del Portico dell’Atrio [Vestibolo, ambiente in asse con la scalinata], e del passaggio al Tablino [Vestibolo, ambiente con murature sagomate a semi cerchi e semi rettangoli, a Ovest]. I rocchi di Colonne, e frammenti di Capitelli, Basi, Architravi, Fregj, e Cornici ivi ritrovate nel lavorare il terreno, ne confermano l’ornamento,
57da cui si ottiene la conferma che alcuni scavi sono stati condotti in tempi prossimi a quelli della stesura della pianta di Francesco Piranesi.
58Come accennato, la parte orientale del Vestibolo è interposta tra i due limitrofi complessi termali della Villa, le Piccole Terme e le Grandi Terme, la cui rappresentazione, in entrambe le piante, assai poco è dissimile da quanto oggi osservabile (fig. 245-248). Nell’area interessata dalle Grandi Terme e, in particolare, nelle porzioni Nord-Est ed Est, nella sola pianta di Francesco Piranesi appare segnalata un’organizzazione ipogea88 la cui complessità, nel discostarsi da quanto presente nelle piante precedenti, dimostra una conoscenza più dettagliata, certamente derivante da sterri che, si deve ritenere, sono stati condotti dopo la morte di Giovanni Battista Piranesi. Al valutare, però, che nella pianta della Certosa le uniche indicazioni inerenti la parte ipogea in questione sono segnate esclusivamente a sanguigna e che, nella pianta stampata, in prossimità dello snodo dei percorsi ipogei (nella porzione tra le Piccole a Grandi Terme), la muratura del terrazzamento è disegnata esattamente come nella pianta della Certosa, compreso uno strano elemento di forma rettangolare e un lato sagomato con un arco di circonferenza, si potrebbe anche immaginare che gli scavi siano stati intrapresi nel corso della redazione della pianta della Certosa e che siano stati completati prima della stampa della pianta del 1781.
59Nell’area compresa tra le Grandi Terme e il cd Pretorio si riscontra un successivo dato dal quale è possibile desumere l’accuratezza della pianta della Certosa, laddove è segnalato un elemento tracciato con lapis, costituito da una orma all’incirca rettangolare e con il perimero disegnato con due linee parallele, a sottendere una non ben definita struttura muraria. Nelle due estremità (Est e Ovest), si notano, noltre, segni tracciati con il compasso, mentre a Ovest, disposti in prossimità delle murature di limite delle Grandi Terme, sono due archi di circonferenza paralleli (fig. 249). A parte tali ultimi segni, dei quali non è possibile trovare riscontri nella situazione attuale, il perimetro di forma mediamente rettangolare potrebbe essere interpretato quale un indizio del corpo di fabbrica emerso in seguito alle indagini condotte dalla Soprintendenza negli anni Settanta del secolo appena passato89, il cui interno è suddiviso in una serie di ambienti allineati, ra i quali una latrina multipla in posizione pressoché centrale, alcuni contraddistinti da murature con tracce di decorazioni pittoriche parietali, talora eseguite su due diversi e sovrapposti strati di malta.
60Altresì, con riferimento al poderoso edificio a Sud, il cd Pretorio, in nessuna delle due piante sono visibili le informazioni pertinenti e strutture di sostegno dei percorsi orizzonali di collegamento agli ambienti disposti alle diverse quote in elevazione, i cui resti sono ben visibili a terra, da cui è definibile che, all’epoca della loro redazione, il livello dell’interro superava di almeno qualche metro a prima quota di calpestio del complesso, come d’altro canto ben visibile nella veduta piranesiana; nella medesima veduta, inoltre, è rappresentata la porzione della volta di coronamento superiore delle strutture, la cui attuale assenza non stupisce, noto che la siuazione odierna è frutto degli ultimi eventi bellici (fig. 250, 251). In questo caso il conronto delle piante tardo settecentesche pone n luce, ancora una volta, almeno una erronea nterpretazione attribuibile al solo Francesco Piranesi, inerente la forma degli ambienti a Est dell’ultimo livello, che, però, nell’essere associata ad altre informazioni più corrette rispetto a quanto disegnato nella pianta della Certosa, potrebbe costituire un indicatore di attività di scavo intraprese nel periodo trascorso tra la redazione delle due piante. Nella pianta stilata da Francesco Piranesi è adottata la vista dall’alto e, pertanto, la rappresentazione ha per oggetto quanto oggi noto quale Padiglione panoramico del Pretorio, ossia una costruzione adibita all’uso imperiale, eretta a partire dalla quota di coronamento delle sostruzioni, pari a ca 10 m oltre il livello di terra degli ambienti sostruttivi. Altresì, nella pianta della Certosa è adottata una sezione orizzontale mista e tale che la parte orientale ha prevalentemente per oggetto la pianta del livello sottostante, sebbene compaiano anche cenni, per lo più tracciati a lapis, degli ambienti dislocati al livello superiore, la cui rappresentazione occupa la restante parte della pianta. Dei due minuscoli ambienti orientali di tale livello, solo il primo, a Est, mantiene le murature e la copertura, oltre a tracce di decorazione pavimentale in opus sectile e porzioni dello zoccolo in rosso antico alto 20 cm; di particolare interesse è la nicchia, ricavata nell’angolo acuto tra le murature Est e Sud e coronata con una calotta semi ellittica, che potrebbe suggerire un uso dell’ambiente quale latrina singola. Il secondo ambiente presenta solo le tracce delle murature che, però, indicano con chiarezza che, differentemente da quanto rappresentato nella pianta stampata, aveva un perimetro di dimensione simile al limitrofo. Lo schema compositivo dei due ambienti, che richiama quello adottato nel Ninfeo di Palazzo, ossia un’esedra affiancata a due elementi portanti e cavi all’interno, prospiciente un giardino con ninfeo posto frontalmente, potrebbe confermare l’ipotesi dell’estensione meridionale delle strutture elevate a partire dal terrazzamento del Pretorio. Sempre nel caso dell’ultimo livello del Pretorio, nel confronto tra le piante si osserva come sia più corretta, nella pianta di Francesco Piranesi, la quantità e la posizione delle particolarissime murature alleggerite, ossia dei raddoppi murari con ampi cavedi interni, che nella pianta della Certosa appaiono in numero eccessivo; in nessuna pianta, inoltre, è indicata la presenza di una scala ascendente a un livello ancora più in alto, i cui resti sono visibili all’interno dell’ambiente dislocato nell’angolo Nord-Ovest.
61Come prima accennato, a Sud del Vestibolo inizia la vallata artificiale del Canopo, le cui spalle sono costituite, a Est, dalle sostruzioni occidentali del terrazzamento del Pretorio e, a Ovest, dall’edificio attualmente occupato dal Museo, mentre a Sud si trova il complesso del Serapeo (fig. 252). L’edificio del Museo, come in precedenza osservato90, appare nella planimetria che, attribuita a Ligorio, comprende un’area estesa fino a Roccabruna e i numerosi confronti eseguibili tra le diverse piante, supportati dallo studio della situazione attuale, permettono di evidenziarne alcune particolarità, a partire dal numero degli ambienti dislocati al livello più basso del complesso. Se, infatti, Ligorio disegna la parte settentrionale dell’edificio suddividendola in 6 ambienti sul fronte Est e 3 su quello Nord, Contini aggiunge la parte meridionale e inserisce, nell’insieme, ben 22 ambienti91 dei quali l’ultimo a Sud è indicato, con estrema precisione, quale il vano di una scala a due rampe e pianerottoli coperti con volte a crociera (ovviamente la medesima soluzione appare nelle piante di Kircher e del 1751). Nella pianta della Certosa e in quella del 1781 gli ambienti sono 20 e allo stato attuale se ne possono contare 21, comprendendo sia la latrina multipla a Nord, della quale rimangono solo minime elevazioni delle murature perimetrali, sia quella, parimenti multipla, a Sud (fig. 253, 254). L’assenza, nella pianta ligoriana, della parte meridionale del complesso, quando associata alla recente indicazione del riscontro, sulla volta di uno degli ambienti di tale parte92, di date riferite agli anni 1537, 1602 e 1610, indica che lo sterro è avvenuto dopo il 1610 e prima del 1632 (anno di inizio delle frequentazioni di Contini) e ciò è confermabile dall’osservare che in tutte le piante è indicata l’intercapedine tra le due murature del lato occidentale93, accessibile sono attraverso un’apertura muraria all’interno del terzo ambiente Sud, al livello terreno, come ben riportato solo nella pianta del 1906, mentre nella pianta della Certosa tale apertura è segnalata all’interno del nono ambiente da Nord94 (fig. 255).
62Il complesso del Museo attualmente occupa la parte intermedia di un terrazzamento e, benché presenti una forma planimetrica regolare, è organizzato in più livelli di calpestio disposti a diverse quote e tali da dividere l’intero corpo di fabbrica in due parti delle quali quella settentrionale è elevata a partire da una quota assai prossima a quella del Canopo. La seconda parte, a Sud, ha il primo calpestio a una quota superiore di circa 3 m rispetto al piano del Canopo e la differenza tra le quote di calpestio all’esterno era superabile da una scala, documentata nella sola pianta di Francesco Piranesi, i cui resti sono attualmente visibili in prossimità della rampa gradinata moderna. Dal punto di vista dell’organizzazione strutturale, quanto rilevabile dell’intero complesso del Museo indica, pertanto, un sistema di fondazioni discontinuo e impostato rispetto a diversi livelli sia lungo l’asse Sud-Nord, sia lungo l’allineamento perpendicolarmente opposto nel quale i corpi di fabbrica hanno le murature che spiccano dalla quota superiore non meno di 10 m rispetto al piano di campagna del Canopo. Come correttamente disegnato nella pianta della Certosa, gli ambienti, tra loro allineati, all’interno delle due parti, hanno mediamente dimensioni simili in larghezza e uguali in lunghezza (ca 4.50×6.30 m)95 a meno di quello posto al margine meridionale che, molto più stretto, era adibito a latrina multipla e che ha larghezza pari a 2.10 m. In nessuna delle piante storiche è indicata la seconda latrina multipla, disposta nella parte opposta, a Nord, rinvenuta nel corso delle indagini svolte negli anni Cinquanta del secolo appena passato e restaurata ca quarant’anni dopo. Tutti gli ambienti sono coperti con volte a botte, prendono luce esclusivamente dal fronte orientale e, a esclusione della latrina Sud, le murature di divisione interna conservano modiglioni modanati di travertino di altezza pari a ca 35 cm, talora solo i fori di alloggiamento, a indicare l’originaria presenza di solai. Solo la latrina meridionale conserva le quote del piano pavimentale, talora tracce della decorazione di finitura a mosaico bianco, nonché tutta struttura poggia-piedi, comprensiva della canalina per lo scorrimento dell’acqua per la pulizia, i mutuli sui quali in origine era poggiato il piano della seduta e larghe porzioni di superfici parietali intonacate con poche e labili tracce di decorazioni pittoriche (fig. 254). Come accennato, nei restanti ambienti ispezionabili del medesimo corpo sono completamente assenti le pavimentazioni, se non addirittura la struttura sottopavimentale, mentre l’assenza di rivestimenti parietali è assolutamente diffusa, anche nel corpo settentrionale, a meno di poche tracce in prossimità delle volte. L’analisi delle murature prive di rivestimenti pone in luce la presenza di numerosi fori, alcuni dei quali identificabili quali buche pontaie, altri per i quali non sembra escludibile la pertinenza a una decorazione marmorea, come dimostrabile dai rigorosi allineamenti lungo le orizzontali, disposti non oltre l’intradosso dei modiglioni di travertino che sostenevano solai lignei (fig. 256, 257). La maggior parte degli ambienti, inoltre, conserva porzioni, talora quasi complete, delle decorazioni pittoriche delle volte con ripartizioni e soggetti che richiamano le tavole di Brunias96.
63L’insieme delle informazioni disponibili, che si è ritenuto doveroso fornire in relazione all’assenza di documentazione inerente tale complesso, permette lo sviluppo di diverse possibilità di interpretazione in merito al suo originario uso; se nella sua pianta Francesco Piranesi riprende quanto in precedenza proposto da Cabral e Del Re97, aggiungendo solo quale chiosa a proposito delle frequentatrici del complesso, «Sostruzione del Poggio Z che forma due piani de Cubicoli con Volte dipinte, e con Portico sul Canale da dove le Meretrici, che accorrevano alle Feste Canopiche potessero osservarle», la possibilità che il complesso possa essere stato realizzato quale foresteria è stata recentemente posta in discussione in seguito all’analisi delle numerose note, talora anche disegni e graffiti, apposte sulle superfici intonacate delle volte o delle murature verticali, che rimandano a un’intesa frequentazione militare, sebbene in anni successivi a quelli adrianei98. A fronte della possibilità che i fori documentati al livello inferiore degli ambienti possano essere interpretati, in seguito a studi più approfonditi, funzionali all’aggrappaggio di decorazioni marmoree e in relazione all’esigua altezza massima che tali ambienti avrebbero avuto, pari a ca 2.18m, assai dissimile, per difetto, all’altezza degli ambienti al livello superiore, pari a ca 3.62, si potrebbero ritenere valide entrambe le interpretazioni e immaginare un riuso, con relativa ristrutturazione dell’intero complesso, compresa la suddivisione in due piani e la costruzione della latrina settentrionale, in età antonino-severiana; a tal proposito, pertanto, occorrerebbe valutare la necessità, nel corso di anni successivi all’impero adrianeo, di ospitare un cospicuo numero di militari all’interno della Villa, tanto da rendere insufficienti gli acquartieramenti certamente predisposti da Adriano e da rendere necessaria la ristrutturazione del complesso del Museo.
64Poco oltre il complesso del Museo, a Ovest, si trova l’edificio di Roccabruna, già trattato in precedenza99, a proposito del quale Francesco Piranesi, nella legenda indica che è circondato da «Portici intorno del piano inferiore del Tempio ricavati da Fondamenti da Noi scoperti e da Modiglioni di Travertino esistenti su Muri con porzione di Volta »100, testimoniando la sua partecipazione alle attività di scavo condotte dal padre. L’analisi di quanto rappresenta in pianta, in effetti, pone in luce la notevole attenzione dedicata alla struttura porticata che circonda il dado di base del monumento; struttura che, costituendo una novità rispetto alla pianta di Contini 1668 e a quella del 1751, si potrebbe interpretare quale frutto degli scavi piranesiani. Le differenze evincibili dall’esame in comparazione con la pianta della Certosa impongono, però, alcune osservazioni. In particolare si nota che, benché entrambe le piante, come altre volte riscontrato, siano state redatte adottando una sezione mista, ossia facendo uso di due piani sezionatori orizzontali101, la complessa geometria strutturale dell’edificio è meglio indicata nella pianta della Certosa nella quale appaiono segnalate le due finestre e l’unica porta del salone centrale, mentre del porticato esterno, disegnato solo a lapis, sono segnale solo le posizioni degli elementi perimetrali, comprese le basi delle colonne, senza, però le indicazioni delle ipotetiche coperture. L’interpretazione proposta da Francesco in merito alle due finestre laterali, chiaramente disegnate quali passaggi dall’esterno all’interno del salone centrale, induce a ritenere che gli scavi piranesiani siano stati condotti molti anni prima del 1781, come potrebbe essere verificato da una più attenta osservazione della veduta di Roccabruna la cui redazione è certamente attestabile a qualche membro della bottega piranesiana, se non proprio a Giovanni Battista. In particolare, dalla riproduzione disegno, che come dimostrato mediante una verifica eseguita secondo i principi della restituzione prospettica risulta particolarmente accurato in termini dimensionali, emerge la presenza di una croce a sormontare la torretta eretta sopra il dado di base e ciò permette di stabilire che il disegno è stato eseguito prima del 1773, anno della soppressione della Compagnia del Gesù alla quale il complesso apparteneva; la qual cosa, d’altro canto, è verificabile dalle vedute di Penna e di Rossini, nelle quali la croce è assente (fig. 259). Ben visibile, inoltre, nel disegno piranesiano, appare la quota dell’interro esterno, pari alla soglia della finestra, ossia, come confermato sia dalla misure di rilievo, sia dalla restituzione prospettica, pari a ca 1.5 m oltre l’accertata quota di finitura della pavimentazione esterna al dado di base e, altrettanto visibili sono i resti di murature e di colonne che, affioranti da un terreno particolarmente smosso e alterato sono tra loro allineati a formare un perimetro esterno all’edificio, nonché in posizione e con dimensioni corrispondenti a quelle oggi misurabili. Tutto ciò reca a confermare la possibilità che la veduta sia stata redatta in occasione degli scavi piranesiani, nel corso dei quali emergono, nuovamente portati alla luce, i resti delle strutture che in origine circondavano l’edificio, e, in tal caso, si può ritenere che gli sterri siano stati eseguiti nel 1771, anno nel quale Giovanni Battista può disporre dell’aiuto, in Villa, di Mori e di Francesco. Se tali ipotesi convalidano quanto prima proposto, non permettono di pervenire ad individuare l’identità dell’autore della veduta, attribuibile sia a Mori, sia a Giovanni Battista Piranesi, benché consentano, attraverso il parallelo con le successive vedute disegnate da Penna e da Rossini, di migliorare il quadro delle conoscenze in relazione a Roccabruna. Si conferma, infatti, che l’esistenza delle volte a crociera di chiusura superiore dei «Portici» trasmessa nella pianta del 1781, e confermata nella legenda, è solo frutto della fantasia interpretativa di Francesco Piranesi, evidenziabile dall’assenza, sulle superfici murarie rappresentate in tutte le vedute disponibili, di qualsiasi cenno pertinente tale struttura, e che, almeno fino al 1771, ossia al periodo di redazione della veduta piranesiana, il dado di base conservava gran parte dell’integrità geometrica, fino agli spigoli superiori. La conformazione attuale dell’edificio, assai simile a quanto visibile negli elaborati di Penna e di Rossini, deve essere pertanto riferita ad attività occorse tra il 1771 e il 1825102 e tali attività dovrebbero essere stimate di natura antropica, probabilmente derivate dalla costruzione dei minuscoli edifici rappresentati da Rossini, noto che gli eventi sismici registrati nel medesimo periodo non avrebbero potuto recare danni consistenti a un edificio di tali caratteristiche103.
65Tornando agli sterri condotti da Piranesi, inoltre, una successiva conferma del mancato raggiungimento del piano di calpestio originale perviene dall’assenza, nella legenda della pianta del 1781, di qualsiasi informazione inerente le decorazioni pavimentali, oggi spesso conservate solo in traccia, talora in porzioni più o meno ampie. Tra queste, in particolare, giova segnalare il ritrovamento occorso nel 2005104 di due lacerti di mosaico al livello superiore dell’edificio, uno dei quali, costituito da tessere di portasanta, di dimensioni pari ca 2 cm di lato, sull’estradosso di resti della volta della prima sostruzione a Sud, in prossimità della latrina singola105, mentre il secondo, poco discosto, al lato della muratura di limite meridionale della scala d’accesso al cubicolo, è costituito da tessere di dimensione, materiale e orditura pari a quelle della pavimentazione all’esterno dell’edificio, nel livello inferiore (fig. 260-262; tav. 9, 10).
66A Sud-Est di Roccabruna la vallata del Canopo è contraddistinta dalla presenza della grande vasca centrale ritrovata in seguito agli scavi Aurigemma106 ; il riscontro di quanto inizialmente disegnato da Contini107 conferma l’assenza di scavi nella vallata: le dimensioni proposte dall’architetto secentesco per la vasca, palmi 720 per 200, sono all’incirca pari a quelle dell’intera valle con l’esclusione del Serapeo, ossia ricalcano quanto indicato da Ligorio nei suoi scritti108 (fig. 263).
67Nella pianta della Certosa e in quella del 1781 l’area interna alla valle non presenta indizi di corsi d’acqua, anche se Francesco Piranesi, nella legenda, ha modo di scrivere che, in posizione mediana e trasversale, vi è un «11. Canale per le Feste Canopiche»; l’incertezza di tale interpretazione è ben riscontrabile nel disegno, laddove il n. 11 è posto al centro di due linee parallele che attraversano longitudinalmente l’intera vallata. Anche in questo caso si dimostra come la pianta della Certosa contenga le informazioni più attendibili; nell’elaborato, infatti, non sono riportati suggerimenti estranei rispetto a quanto all’epoca visibile e, come tale, nulla è rappresentato in relazione al corso d’acqua. Altresì Francesco Piranesi, sempre incline a validare quanto trasmesso dalle fonti precedenti a scapito di quanto disegnato nella pianta della Certosa, in questo caso palesa una sorta di incertezza nell’accettare pienamente la soluzione continiana di una sola, enorme, vasca centrale e ciò potrebbe derivare da quegli elementi immaginari che lo inducono a disegnare un irreale e irregolare perimetro, delimitato da «Cordonate laterali del Canale di comunicazione sopra i lastrici del Tempio, e de Poggi Y.Z. a quali servivano di sostruzione. Quivi facendo cavare i P.P. Gesuiti ritrovarono quelle Statue Egizie, che sono nel Museo del Campidoglio» . Nella pianta redatta da Pierre-Adrien Pâris nel corso del suo pensionariato, ossia attorno ai primi anni Settanta, la forma della vasca è parimenti irregolare, sebbene meno definita di quella proposta da Francesco. Dato che già dal suo arrivo a Roma, nel 1769, Pâris è assunto da Giovanni Battista Piranesi quale professore di architettura di Francesco, è possibile ritenere che l’irreale forma derivi da qualche idea tipologica desunta da Pâris. Che, d’altro canto, l’impostazione disegnata da Pâris, nonché quella rielaborata da Francesco, ottenga notevole considerazione nel corso del tempo è dimostrato da quanti, a esclusione di Penna e di Winnefeld, hanno variamente riproposto tale forma (fig. 264).
68Sebbene in seguito agli scavi di Aurigemma la vasca sia oramai nota in termini dimensionali, posizionali e formali, alcuni dubbi permangono in relazione alla parte conclusiva dell’intero complesso a Nord, noto che, all’incirca in asse con la linea virtuale tra il Museo e il Pretorio, in prossimità di quest’ultimo, sono state rinvenute tracce di una scala (Adembri 2005) e, altresì, noto che le strutture pertinenti l’organizzazione delle aree ai due lati lunghi della vasca proseguono nella medesima direzione. (fig. 265).
69Della parte meridionale del complesso, ossia il cd Serapeo, si possiede una conoscenza più esaustiva, sia per l’ampia documentazione iconografica, sia per le informazioni trasmesse in tutti i testi di Ligorio, nonché, fondamentalmente, per i risultati dei più recenti studi109, dai quali, oramai, si può affermare che l’intera struttura è definibile quale un sofisticato espediente architettonico110 progettato con estrema raffinatezza al fine di celare la recondita funzione di castello delle acque, ossia di una struttura idraulica per il superamento del notevole salto di quota, e la conseguente distribuzione idrica, delle acque provenienti dagli spechi a Sud e incanalate verso i complessi dislocati a settentrione, a quote inferiori di oltre 15 m111 (fig. 266-268).
70Gli studi di dettaglio dell’intero complesso hanno permesso di implementare la conoscenza di molte particolarità costruttive, talora di dettaglio, come nel caso delle soluzioni di continuità di scarico delle cascatelle al livello sottopavimentale (fig. 269), e di formulare anche qualche ipotesi in merito al completamento della decorazione dell’intradosso della cupola, costituita da minuscole tessere in prevalenza di pasta vitrea azzurra e oro112, che potrebbe essere posta in relazione con la decorazione pittorica – ancora presente, sebbene sempre più evanescente – di una calotta absidale nelle Grandi Terme113 (tav. 11). Altresì, con specifico riferimento alle analisi condotte in merito alle quote degli interri nel corso del tempo, è possibile migliorare il riconoscimento del prospetto del Serapeo in uno dei disegni che Leonardo redige per l’allestimento scenico dell’Orfeo di Poliziano; disegno che, sebbene contenuto nel Codice Arundel (f. 224r) proviene dal Codice Atlantico, è stato datato proprio tra il 1500 e il 1501, ossia pertinente l’anno in cui Leonardo testimonia il suo viaggio a Tivoli114.
71Con specifico riferimento alla parte meridionale della Villa, quasi interamente ricadente in diverse proprietà private, in assenza di rilevamenti di dettaglio non è possibile eseguire analisi puntuali, benché qualche cenno di interesse si riscontra nell’area dell’Accademia che nella pianta della Certosa contiene anche le indicazioni pertinenti alcuni percorsi ipogei, tracciati a sanguigna supportata da riga, dell’area con le cd Neviere e della successiva con il cd Grande Trapezio, nella quale tali ipogei, i primi disegnati a lapis e i secondi a sanguigna, presentano un tracciato regolare, eseguito con il supporto di una riga, tanto da assume la dignità di un elemento fuori terra (fig. 270).
72Una considerazione a parte merita l’area di S. Stefano che nella pianta della Certosa è definita da pochi ma essenziali segni inerenti la dimensione e l’organizzazione dei resti, dai quali è possibile percepire l’oramai avvenuto abbandono delle strutture; certo è, comunque, che il disegno deriva da un rilievo speditivo, per lo più una sorta di ricognizione, come dimostrabile dal ripetersi dell’impostazione delle strutture e dalla loro rappresentazione in fuori scala desunta dall’erronea ricucitura della pianta di Kircher (fig. 271, 272).
Gli elementi di novità nella pianta del 1781
73Le possibili conclusioni formulabili sulla base di quanto finora analizzato non possono che far ribadire l’ipotesi secondo cui la pianta della Certosa è un elaborato redatto inizialmente da Gondoin, in seguito ripreso, talora corretto e parzialmente integrato, da Giovanni Battista Piranesi con lo scopo, peraltro non atteso, di eseguirne una stampa. Emerge, inoltre, la certezza che tale elaborato, nell’anno della sua stesura, sia stato affiancato da altri disegni, tra i quali almeno una pianta (o più piante parziali) dei sotterranei, quanto meno di quelli della parte settentrionale della Villa, oltreché alcune sezioni e prospetti, nel pieno rispetto della prassi concernente il disegno di architettura e, ovviamente, della restituzione grafica dei dati di rilevamento; ciononostante, sempre in ragione di quanto discusso, non sembra possibile ritenere che il numero di tali disegni sia stato particolarmente elevato, ossia pari, o simile, ai «250 dessins des plans avec les élévations de la villa Adriana», richiamati nell’inventario dei beni di Francesco Piranesi stilato nel 22 dicembre 1800. Si deve pertanto ritenere che, proprio come indicato nel medesimo inventario, molti di tali disegni siano da attribuire esclusivamente a Francesco Piranesi, che li avrebbe redatti dopo la morte del padre al fine di realizzare il programma pubblicistico annunciato nella pianta del 1781. Ciò trova supporto sia da quanto analizzato in merito alla possibilità, in precedenza analizzata, che Francesco sia l’autore della maggior parte delle vedute della Villa, sia in relazione all’inventario post mortem di Giovanni Battista, stilato nel dicembre 1788, nel quale si afferma della presenza di «diversi disegni del Circolo di Caracalla e della Villa Adriana in Tivoli», custoditi nella prima stanza dello studio, all’interno di un «credenzino di albuccio». Il termine «diversi» adottato dall’autore dell’inventario, associato al duplice soggetto rappresentato e alle piccole dimensioni del mobile che contiene il materiale115, permette, infatti, di considerare una quantità di disegni notevolmente minore rispetto a quella dichiarata esattamente 22 anni dopo.
74Noto che è lo stesso Francesco a dichiarare di essersi occupato del disegno e della stampa della pianta di Villa Adriana116 e dato che, come più volte osservato, tale pianta è prevalentemente desunta da quella del 1751, con alcune, minime, integrazioni reperite dalla pianta della Certosa e altre estranee a tutti i precedenti elaborati, sorge spontaneo interrogarsi in merito alle ragioni che lo spingono a disegnare e incidere una pianta diversa da quella parzialmente elaborata dal padre pochissimo prima, per poi analizzare l’interesse che lo motiva nella redazione degli altri, numerosi, disegni della Villa. Con riferimento alla pianta, si deve ritenere che Francesco sia certo nell’attribuire al padre l’elaborato del 1751 e che, invece, dubiti tanto della qualità del rilevamento condotto da Gondoin da decidere di non adottare la pianta della Certosa; da cui si dovrebbe ritenere minimo, se non nullo, il contribuito di Giovanni Battista nella redazione del medesimo elaborato.
75Di stampo completamente opposto, potrebbe essere la ragione derivante da dissapori familiari117 e, in particolare, dai difficili rapporti tra Giovanni Battista e Francesco, oggetto di più commenti nella letteratura redatta in tempi prossimi allo svolgersi dei fatti, «Avrà però sempre rimorso di esser stato ancor lui motivo d’inquietudine al detto suo Genitore perché un giorno arrivò sino a revortarsegli contro con un coltello alla mano. È ben vero che il Padre troppo lo tiranneggiava e fu cagione che non potendo avere qualche paulo chiedendoglielo, si pose a rubargliene »118. A partire da tali indicazioni si potrebbe ritenere che Francesco, alla morte del tirannico padre, abbia assunto quel tipico atteggiamento di rivalsa che, quanto meno inizialmente, reca a rifiutare qualsiasi supporto proveniente dalle precedenti esperienze.
76Nel caso in esame questa interpretazione potrebbe trovare suffragio nella verifica dei nuovi scavi condotti nella Villa, i cui risultati avrebbero potuto consentire a Francesco di ritenere non meritevole di stampa la pianta della Certosa. In effetti, se già erano emersi suggerimenti validi per entrambe le ipotesi, le informazioni desumibili dalla letteratura storica spingono a esaminare quest’ultimo tema con maggiore attenzione, anche in merito all’interesse di Francesco nell’esecuzione di nuovi disegni architettonici.
77Come già indicato, le attività di scavo sono condotte, in successione, dai due prelati Marefoschi, dei quali il secondo è il monsignore Giovanni Francesco Compagnoni Marefoschi, figlio del fratello del cardinale, il conte Camillo Compagnoni Marefoschi119 che prende il posto dello zio, in Villa, dopo il 1780. Benché i primi risultati ottenuti dal monsignore Marefoschi siano di due anni successivi alla stampa della pianta, le fonti indicano che si tratta di cantieri aperti anni prima dal Cardinale,
1783, 28 giugno. Proseguendosi d’ordine di Mons. Marefoschi, il Cavo in Tivoli nelli scritti beni del Signor Conte Centini d’Ascoli, nella Villa Adriana, ne’ passati giorni furono rinvenuti e già qui trasportate due Colonne di marmo Cipollino dell’altezza di Palmi 16 una di giallo antico brecciato della medesima altezza e due altre di Pavonazzetto alte piedi 12... Lunedì il giorno S.A.S. l’Elettor Palatino [...] andiede al giardino di Mons. Marefoschi ad osservare la bellissima scritta statua ultimamente da esso trovata nel Cavo della Villa Adriana in Tivoli [...] Martedì mattina [...] andò in Casa del suddetto Mons. Marefoschi a vedere li superbissimi Mosaici che ritrovò nella suddetta Cava la chiara memoria dell’ultimamente defunto cardinale suo Zio120.
78Nel 1786 viene diffusa la notizia di ritrovamenti che, per similitudine con quanto ottenuto tre anni prima, potrebbero fare riferimento alla medesima area,
Apertasi nuovamente fino dallo scorso inverno per conto di Monsig. Marefoschi la cava di antichità nei Beni della Villa Adriana in Tivoli, spettanti ai Conti Centini d’Ascoli, vi sono ritrovate una bellissima colonna di giallo antico brecciata della lunghezza di circa palmi 9 e palmi 2 di diametro; due stanze con i pavimenti di pietra detta Africana in lastre dell’altezza di circa once 2 e di palmi 3 riquadrate; una statua di marmo pario rappresentante un Esculapio alta circa palmi 9, mancante peraltro della testa, che si crede possa esser tra le molte ivi trovate, oltre diversi pezzi di pregevoli monumenti antichi121.
79La localizzazione di tale «cava» è riconoscibile nella descrizione della decorazione marmorea di Piazza d’Oro leggibile nella legenda della pianta di Francesco Piranesi e, con riferimento agli scavi, risulta chiaro che erano già in corso da qualche anno:
Palazzo Imperiale, o appartamento estivo. Questa Fabbrica é ne beni del Con. Centini. [...] 5. Peristilio, luogo, che oggi chiamata piazza d’Oro. Le Colonne del detto Portico erano di Marmo Cipollino, e Granito Orientale alternativamente disposte. Quelle nelle Pareti sono di Cemento ricoperte di finissimo Stucco: I Pavimenti erano di Marmo mischi. Scoperti Anni sono dall’indicato suo Possessore. 6. Oecio o Sala Corintia di vaghissima, e capriciosa struttura, che stà di fronte al detto Vestibolo. I suoi ornamenti erano di Marmo mischio con Colonne di Granito122.
80La citazione del conte Centini e l’omissione di richiami al cardinale Marefoschi sono indizi che permettono di stabilire che tale parte della legenda è stata scritta in seguito alla morte del Cardinale, ossia dopo il 23 dicembre 1780 e, quindi, prima dell’arrivo del monsignore Marefoschi. Altresì l’informazione temporale, «Anni sono», indica che gli scavi erano stati intrapresi già prima della morte del prelato.
81Nella pianta della Certosa, per la prima volta appare un assetto planimetrico più dettagliato dell’area e la sua comparazione con la pianta di Francesco dimostra che le innovazioni sono pressoché pienamente adottate, a meno di alcuni richiami alla pianta del 1751, in particolare per le parti ipogee, e di puntualizzazioni (presenza di colonnati, porticati e volte a crociera), dalle quali si desume l’avanzamento degli scavi (fig. 273).
82Poco più a Sud del Ninfeo meridionale di Piazza d’Oro nella pianta della Certosa si osservano notevoli correzioni apportate a un edificio isolato, in termini di dimensione, orientamento e distribuzione interna, rispetto a aquanto illustrato nelle precedenti piante. Tale edificio, nella legenda della pianta di Contini, nonché in quella del 1751, è descritto quale (I, n. 9) «ora tutto rovinato, e pieno di macchia», mentre nella legenda della pianta di Francesco Piranesi (fig. 274, 275) è suddiviso in più voci, tutte pertinenti il
Palazzo imperiale […] 46. Avanzo di magnifica Fabbrica nel Poggio T. molto rovinato. 47. Stanze, ch’erano investite di Marmi. 48. Stanza nobile con volta a crociera, che ha ne lati due Nicchie semicircolari, e nel fondo una tribuna quadrata, ch’era parimente investita di Marmi. 49. Piccioli Corridoii laterali di essa. 50. Stanza di forma sferica. Dalla forma di queste Stanze, ed investiture de Marmi, si conosce, che fosse luogo nobile ma per la grande rovina non si scorge quale fosse anticamente il suo uso.
83A meglio osservare le due piante tardo settecentesche, benché a prima vista i due disegni sembrino simili, emergono specifiche differenze degne di riflessione; innanzi tutto, nella pianta della Certosa risalta che la parte disegnata a matita contiene tratti che sottendono una continuità di estensione verso Est; i medesimi segni a matita, inoltre, sono parzialmente corretti e integrati a sanguigna, da cui si percepisce che, nel corso della stesura delle correzioni, il sito era ancora in scavo, mentre nella pianta di Francesco l’edificio appare chiaramente delineato e ciò potrebbe indicare il completamento degli sterri. Inoltre, dato che l’edificio si trova in un’area esterna alle proprietà già appartenute al conte Fede, si potrebbe ritenere che le «debite licenze» richieste dal conte Centini al Camerlengo nel 1777 possano avere compreso anche scavi da eseguire aree site al di fuori dei suoi confini123.
84Con riferimento agli «scavi Marefoschi» nella Villa, un’informazione molto discussa ha per oggetto il ritrovamento del cd «Sandalenbinder» e si deve ritenere che il responsabile sia il monsignore nipote, dato che talora il ritovamento è notevolmente posdatato, come nel caso Fea, «1793 nello scavo della Villa Adriana ove furono trovati i Discoboli da Marefoschi fu trovato un giovane che si lega la scarpa – rotto – dallo Sperino», recentemente smentito da Papini, «secondo Martin Wagner, agente di Ludwig I, il rinvenimento della scultura avvenne invece intorno alla fine degli anni ’80 a Pantanello per merito del Card. Marefoschi, che intraprese, in collaborazione con il conte Centini, a partire dal 1777 l’ultima grossa impresa di scavo del XVIII sec. a Villa Adriana »124. In merito alle statue citate da Papini la letteratura è varia e fiorita di diverse interpretazioni, tra le quali le più reiterate sono quella che indica il ritrovamento di due Discoboli da parte di Marefoschi – variamente definito conte, cardinale, monsignore –, passando per quella secondo cui entrambi i Discoboli provengono da un non meglio identificato sito nelle Cento Camerelle, per finire con quella che vede in un generico Marefoschi colui che ritrova la scultura del «giovane che si lega la scarpa» nel luogo dei ritrovamenti di Michilli, pur sempre presso le Cento Camerelle, ovvero al Pantanello.
85Nel descrivere il Discobolo trovato da Hamilton al Pantanello, Penna125 scrive che
Di un altro monumento simile in tutto a questo che vi presento ho già parlato nella tavola LXIII ma siccome nel descrivere questi oggetti da principio, ho creduto di porli cronologicamente secondo i diversi tempi in cui vennero in luce così accade che dopo di una statua, seguirà un oggetto di architettura, di poi un busto un quadro di musaico ec. Perciò ho dovuto prima descrivere quello essendo stato rinvenuto in un epoca più anteriore, di questo che nella annessa tavola vi ho espresso;
86in effetti del Discobolo rappresentato nella tavola LXIII del terzo tomo, Penna non indica il luogo del ritrovamento e, nel richiamare la fonte in una notizia riportata da Visconti, ne inserisce la descrizione e il disegno dopo le tavole dedicate ai mosaici Furietti e prima della tavola della «Fontana a foggia di tripode» trovata da Michilli126. Al leggere quanto succintamente indicato da Visconti, «Non voglio però tacere della bellissima copia in marmo Pentelico del Discobolo di Mirone trovatavi l’anno scorso »127, si dovrebbe ammettere che il ritrovamento sia avvenuto tra il 1790 e il 1791 ma, dato che l’autore inserisce l’informazione nella nota inerente «le due teste di quasi colossali dimensioni» trovate nella proprietà del conte Fede e che sottende che sia stato lo stesso conte a ritrovarle, «II Conte Fede non si curò di por nel loro pristino stato i monumenti, né altri dopo di lui», l’insieme dei dati induce a ritenere che un altro Discobolo sia stato precedentemente trovato dal conte Fede e che un ultimo Discobolo sia stato trovato nel corso degli scavi di monsignor Marefoschi. È, però, pressoché impossibile determinare il luogo del ritrovamento del Discobolo di Marefoschi dato che la letteratura è assai confusionaria, come dimostrabile in quanto scrive Gori128 laddove afferma che
Tutte le fabbriche dopo l’elio-camino sino a questo luogo [Piccole Terme], si reputano costituenti l’Imperiale Palazzo. Vi si trovarono due consimili are triangolari aventi ne’ bassorilievi tre Genii di Marte con elmo, spada e scudo, un bassorilievo con Giove nascente, i busti di Adriano, di Antinoo semicolossale, di M. Aurelio, il frammento singolarissimo degli Dioscuri, due somiglianti simulacri del Discobolo di Mirone, gli ermi di Bacco, Arianna ed Ercole, la statua di Elettra, la colossale testa di Cibele, un Toro genuflesso, un grande Tripode marmoreo in cui stanno scolpiti Tritoni e marini Cavalli.
87Come è possibile notare, se già la localizzazione include un’area di notevole dimensione, contenente una cospicua quantità di edifici monumentali, la lista dei reperti citata è composta da un insieme eterogeneo di pezzi la cui descrizione rimanda a ritrovamenti occorsi in più aree e più tempi. Nell’incrociare l’insieme delle informazioni, però, si desume che i tre Discoboli, due dei quali ridotti in frammenti, sono stati rinvenuti in tre luoghi diversi, dei quali il primo, quello del Pantanello, non suggerisce la localizzazione originaria dell’esemplare129 e lo stesso potrebbe dirsi per il secondo che, trovato dal conte Fede, potrebbe essere venuto alla luce in un qualsiasi sito della sua grande proprietà. Altresì per il terzo, trovato da Marefoschi, è escludibile che sia stato rinvenuto nel Pantanello, dato che dopo Hamilton non sono richiamate notizie di ulteriori ritrovamenti importanti in quel sito130.
88Come accennato, parte della letteratura spinge a considerare che Marefoschi abbia ritrovato il Discobolo nell’area delle Cento Camerelle, talora indicando il settore precedentemente scavato da Michilli. Tale ultima localizzazione perviene da una notizia divulgata da Guattani131 in relazione a una successiva scultura, quella raffigurante Endimione dormiente, ritrovata
a qualche distanza dalle Centocelle dentro una piccola stanza rivestita nobilmente a lastroni di marmi diversi, senza però poterli comprendere a quale uso tal camera potesse esser destinata. Si usò dall’Illmo Sig. Conte Marefoschi a cui ella appartiene, ogni diligenza perché nella scavazione non soffrisse alcun danno, e per via di denaro, se ne ottennero i più minuti pezzi, che ne hanno di poi molto facilitato il ristauro, e giovato a renderle la sua integrità.
89Il dato pertinente la proprietà della statua potrebbe indurre ad accreditare la localizzazione dello scavo nell’area settentrionale al piede delle Cento Camerelle solo nell’ammissione che tale area, già di pertinenza dei beni della Compagnia del Gesù, sia stata concessa al cardinale Marefoschi subito dopo la soppressione dell’Ordine132 e che, quindi, il monsignore Marefoschi, ereditando i privilegi dello zio, abbia avuto la possibilità di detenere la proprietà degli oggetti ivi rinvenuti. Anche in questo caso, come di frequente si nota per le questioni inerenti Villa Adriana, si leggono informazioni quanto mai confusionarie per la data del ritrovamento; se infatti, Visconti indica che è avvenuto nel 1782133, più tardi Gori134 specifica che
Nel 1744 verso l’angolo settentrionale delle 100 Celle furono portate a luce le statue di Antinoo Egizio, di Flora, di Arpocrate, ora nel Museo Capitolino, oltre due Gladiatori donati al Principe Reale di Polonia. Nelle vicinanze trovò Monsignor Marefoschi la statua giacente di Endimione riposta al Museo Vaticano,
90anche se, almeno in questa occasione, la data certa perviene da una lettera scritta dal ministro svedese Carl Fredrik Fredenheim che, quale responsabile della committenza e delle collezioni reali, è diretto corrispondente – anche epistolare – di Francesco Piranesi per le attività museali e, tra queste, per l’acquisto dell’Endimione dormiente; statua che, trovata nell’agosto 1783, è venduta il 19 agosto 1785135. Se da ciò si conferma pienamente l’interesse di Francesco nella Villa, a partire dalla data del ritrovamento è possibile stabilire che il responsabile degli scavi è il monsignore Marefoschi, mentre meno immediata è la localizzazione del sito del ritrovamento, dato che il testo del ministro svedese contiene indicazioni controverse, nell’indicare che si trova non lontano dalle Centocelle, in una piccola camera con pareti coperte da diverse specie di marmi, dislocata fuori del palazzo dell’imperatore in Piazza d’Oro, denotata dal n. 3 nella pianta di Francesco Piranesi, prossima all’ingresso del giardino, sul lato dello «stagno dei pesci» . Si tratta, pertanto, di individuare la lussuosa «piccola camera» in un luogo «fuori del palazzo dell’imperatore in Piazza d’Oro» e non lontano dalle «Centocelle» .
91Nella legenda della pianta di Francesco Piranesi risalta l’assenza dell’indicativo nominale «Cento Camerelle» o «Centocelle»; il complesso attualmente noto con tale nome è sempre e solo definito quale «sostruzione del Pecile», ben riconoscibile nella definizione riportata alla voce «5. La sostruzione M. del Poggio del Pecile é formata a diversi piani, a seconda del clivo nel pianterreno dé quali si ripartivano i Cavalli, e le Guardie nelle Celle di sopra» e si tratta dell’area nella quale Francesco richiama gli scavi Michilli.
92Tra i pochi complessi che, nella legenda, sono contrassegnati dalla presenza di più «celle» si trovano il Pretorio, gli Hospitalia e l’ «Ergastulo», ossia le cd Neviere; queste ultime sono definite da Penna136 «Celle Vinarie» e descritte quale
un corridore pure sotterraneo, illuminato da abbaini rotondi, largo 13 palmi, lungo 550 come nota il Contini, ed il Piranesi nelle loro piante, poichè in oggi è quasi tutto ripieno di macerie. Immancabile che per una residenza imperiale, vi doveva essere un luogo per conservare i vini di varj anni, essendo in molta cura presso gli antichi la conservazione di questa bevanda [...] pieno di celle da una parte e dall’altra affatto oscure, larghe 5 palmi profonde 17 [...] si noti ancora la curiosa forma delle pareti, la solidità dello intonaco, che senza esagerazione pare un marmo, e che le celle non ricorrono di fronte l’una coll’altra. Nelle piante dei citati autori, si trova l’andito che divide le celle illuminate da abbaini, ed è lungo 900 palmi, e vi si contano 74 celle, ma in oggi si trovano riempite a bella posta da gran quantità di macerie, che tolgono affatto ogni continuazione fra loro, per cui solamente vi si può praticare per circa 200 palmi.
93Se già il numero delle celle riportato da Penna è assai prossimo a cento, ancora più vicino a tale valore è il numero degli ambienti che appaiono disegnati nella pianta di Francesco, pari a 78137 e descritti in legenda quali «1. Corsia, che divide le picciole Celle, illuminata da feritore nella Volta. 2. Celle, che non ricorrono di fronte l’una all’altra. Il tutto ricoperto di Stucco» (fig. 276). Tale complesso, che si trova nella porzione orientale della Villa, a Sud di Piazza d’Oro138 e ciò potrebbe soddisfare la ricerca in termini di posizione, a patto di trovare la piccola camera segnata con il numero 3, purtroppo inesistente nella porzione della pianta dedicata a quell’area nella quale, peraltro, Francesco Piranesi non indica la presenza di un giardino, ancorché chiami «Piscina» il complesso oggi noto quale Arena.
94Gli unici ambienti che, segnati con il numero 3, nella legenda corrispondono alla definizione di «piccola camera», si trovano in prossimità dell’unico «giardino» dotato di uno «Stagno, o Piscina», e sono proprio nella parte Nord-Ovest del complesso delle Cento Camerelle, inseriti in quell’insieme di resti nei quali è stata individuata l’area degli scavi e l’abitazione dell’avvocato Michilli, considerabili esterni al «palazzo dell’imperatore» solo perché dislocati a una quota più bassa rispetto all’area nobile del Pecile. In questo caso rimane da giustificare solo la questione inerente Piazza d’Oro, che costituisce un problema semplicemente risolvibile a ben leggere le legende delle piante di Contini e del 1751, laddove si nota che esistono due luoghi con lo stesso nome e che, proprio per tale ragione, vengono contraddistinte in base alla loro localizzazione: la prima, corrispondente all’area del casino Fede/Tempio di Venere, è la «Piazza dell’Oro che sta nella Valle», mentre la seconda, oggi l’unica chiamata in tal maniera, è la «Piazza dell’Oro sopra il Colle »139 (fig. 277).
95Valutando le distanze tra le due «Piazze d’Oro» e il luogo presso le Cento Camerelle, sede degli scavi, si osserva che quella «nella Valle» dista all’incirca la metà rispetto a quella «sopra il Colle»; da cui è pienamente possibile validare il sito dei ritrovamenti Marefoschi nell’area delle Cento Camerelle e, più precisamente, al piede del complesso, nel settore meridionale, ossia nell’area già oggetto degli scavi Michilli, laddove nella pianta definitiva esistono più ambienti contraddistinti dal n. 3 (fig. 278).
96Quanto appena analizzato non implica, in ogni caso, che parte dei pezzi più volte elencati, la cui provenienza è comunque, e genericamente, riferita alle Cento Camerelle, non provenga dal settore opposto, ossia da un’area nella quale, a partire dalla pianta della Certosa, è indicata la presenza di un altro complesso; area e complesso particolarmente prossimi al cd Antinoeion. Proprio in questo caso si connotano le maggiori differenze tra le piante tardo settecentesche e le precedenti: se, infatti, nella pianta di Kircher, nell’area era stata riscontrata la delimitazione di un campo coltivato, ovvero l’indicazione di terreni smossi nella pianta del 1751, è nella pianta della Certosa che si inizia a distinguere la forma di un edificio a pianta rettangolare con cella interna che, però, solo nella pianta stampata nel 1781 assume dignità e caratteristiche monumentali, ben indicate nella legenda: «Tempio di Marte, come da Muri e, Frammenti scoperti nel lavorar la Vigna si é riconosciuto» . Edificio, questo, che potrebbe essere riconosciuto nel luogo dei fortunati, nonché precedenti, scavi dei gesuiti, ma che potrebbe essere anche essere identificato con il cd Antinoeion140, dal quale è così poco discosto da indurre a ritenere che Gondoin (al quale si dovrebbe attribuire il disegno in quanto tracciato con lapis molto chiaro, supportato da una riga), nell’accennare la planimetria della struttura, abbia commesso un errore di localizzazione; il che, innanzi tutto, induce a ritenere che il complesso sia stato frettolosamente disegnato e, quindi, suggerisce che le tracce siano emerse appena prima della partenza di Gondoin. La tipologia grafica adottata, priva di qualsiasi segno ringrossato e la totale assenza di segni a sanguigna (attribuibili a Giovanni Battista), indicano la completa incertezza da parte di entrambi i redattori della pianta della Certosa nella definizione del complesso e ciò, quando contrapposto alla completa ricostruzione dell’edificio (compresi tratti di murature marcati con segni scuri) che appare nella pianta di Francesco, conferma che nel 1777 gli scavi erano appena iniziati. È possibile, quindi, ipotizzare che, solo dopo la morte di Giovanni Battista, Francesco, ritornando in sito, abbia potuto apprezzare qualche informazione di maggiore consistenza nel frattempo emersa dagli scavi e, dato che per redigere la sua pianta adotta la localizzazione visibile nella pianta della Certosa, occorre ammettere che non abbia perso tempo per eseguire rilievi più circostanziati (fig. 279, 280).
97Successivi scavi del monsignor Marefoschi sono trasmessi da Bottini141, «13 novembre 1790 – proseguendosi in Tivoli gli scavi nella villa del fu conte Fede, hanno trovato due superbi busti di Antinoo e di Marco Aurelio e una bellissima ara triangolare intagliata, delle quali antichità ha fatto acquisto lo scultore sig. Pierantoni pel Museo Pio Clementino»; ovviamente, il responsabile degli scavi non può che essere il giovane monsignor Marefoschi, dato che il cardinale è deceduto dieci anni prima e dato che in nessuna notizia emerge la possibilità che il conte Centini si sia occupato attivamente degli scavi142. Ulteriori informazioni si leggono in Penna che, però, per quel che concerne il busto di Antinoo, conferma solo la data del ritrovamento143, mentre per il busto di Marco Aurelio indica anche, e correttamente, il responsabile degli scavi nel monsignor Marefoschi144.
98La generale confusione indotta dalla successione dei due prelati Marefoschi e dal loro rapporto col conte Centini in funzione dell’eredità del conte Fede è di nuovo chiaramente leggibile in Bulgarini quando, a proposito di Piazza d’Oro attribuisce al conte Centini la paternità degli scavi che nel 1783 porteranno alla luce 16 colonne di marmo bigio145 e quando, proprio a proposito dei ritrovamenti occorsi nel 1790, ha modo di presentarli in una maniera assai poco chiara146, tanto da segnalare ritrovamento del solo busto di Marco Aurelio quale proveniente dagli scavi del monsignor Marefoschi.
99La questione si complica ulteriormente in relazione alla localizzazione dei ritrovamenti, dato che avvengono nella grande proprietà già appartenuta al conte Fede anche se, in definitiva, rimangono due sole aree alle quali è possibile attribuire la provenienza dei ritrovamenti del 1790, elencabili nella zona in cui sono gli Hospitalia, la Biblioteca Latina e il cd Triclinio Imperiale e nell’area di Piazza d’Oro e le indicazioni utili per meglio localizzarli possono essere desunte solo da un’operazione di incrocio di dati.
100All’analizzare quanto trasmesso dalla letteratura in merito alle «are triangolari», si dovrebbe stabilire che la prima sia stata ritrovata nel 1790, come scrive Bottini, mentre la seconda nel 1791, come afferma Penna147 che, nell’occasione, ha anche modo di specificare, citando Visconti, che una, «Ara di Marte», è immediatamente acquistata dal Museo Vaticano e l’altra dal «Sig. Jenkins». Se una parziale conferma si ottiene dal testo del curatore dei Musei Vaticani, amico e talora socio in affari di Francesco Piranesi,
La villa Adriana ha somministrato di ciò i più splendidi esempli. Due simulacri simili, copie ambedue del Discobolo di Mirone, vi furono dissotterrati l’anno scorso nel sito della villa Fede, uno acquistato da Nostro Signore, l’altro dal sig. Jenkins. Due are triangolari affatto simili anche ne’ lor bassirilievi rappresentanti tre Genj di Marte coll’elmo, la spada, e lo scudo del Nume, trovate nello stesso luogo ebbero stesso esito. Si noti che nel Museo Kircheriano ve n’ha una terza del tutto conforme, e rinvenuta parimenti ne’ ruderi di quella delizia imperiale148,
101e, noto che Visconti pubblica il VI volume della sua opera nel 1792, si deve ritenere che l’indicazione del ritrovamento, «dissotterrati l’anno scorso», faccia riferimento proprio alle «are» trovate negli scavi del monsignore Marefoschi.
102Il disegno proposto da Penna consente di porre in parallelo tale ara con più oggetti simili, descritti e illustrati a partire da Bonanni149, richiamati anche da Montfaucon150, alcuni conservati a Firenze151, altri a Venezia152, a nessuno dei quali è ascritta la provenienza da Villa Adriana e tutti documentati entro la prima metà del Settecento (fig. 281) così come a un periodo simile occorre richiamare il disegno posseduto da Adam153. L’ammissione che almeno tre elementi simili, se non uguali, siano stati trovati a Villa Adriana induce a ritenere che abbiano fatto parte di un programma decorativo di una grande sala. In tal caso si ritiene di escludere il loro ritrovamento nell’area degli Hospitalia e del Triclinio Imperiale, caratterizzata dalla presenza di complessi che, benché dotati di sale abbastanza ampie, non sembrano essere stati realizzati per una fruizione pienamente imperiale (come suggerito dalle decorazioni non particolarmente lussuose) e da edifici spiccatamente a uso imperiale ma privi di grandi ambienti, come il cd Padiglione di Tempe, che contiene anche un cubicolo a due alcove e una latrina singola, o come nel caso del minuscolo edificio prossimo alla Biblioteca Latina, ben riconoscibile quale una lussuosa latrina a due posti (fig. 282, 283, 285). Sebbene tutto indichi che questa non sia l’area nella quale vengono ritrovati gli oggetti di cui si tratta, in ogni caso occorre ammettere che sia stata sterrata all’incirca a partire dal 1780, come dimostrabile dalla comparazione tra la pianta della Certosa e quella stampata, laddove si osserva che l’elaborato redatto da Francesco Piranesi contiene le informazioni più aggiornate, sebbene tuttavia non ancora pienamente aderenti alla situazione attuale (fig. 284, 285).
103A fronte dell’insieme delle informazioni reperite in merito agli scavi dei due prelati Marefoschi è dunque possibile tracciare un quadro delle modifiche all’assetto della Villa a iniziare dal periodo compreso tra il 1777 e il 1781 e dall’area di Palazzo, indagata dal cardinale Marefoschi che poi estende gli sterri a Sud, nell’area di Piazza d’Oro e a Nord, ripulendo la parte degli Hospitalia, per poi proseguire a Ovest, nell’area delle Cento Camerelle. Alla morte del cardinale, occorsa nel 1780, il nipote monsignore riprende immediatamente le attività e ottiene significativi esiti già nel 1783, completando gli scavi a Piazza d’Oro e in prossimità delle Cento Camerelle. In tutte queste attività, come più volte riscontrabile nelle fonti, è Francesco Piranesi ad intervenire, talora prestandosi anche a operazioni rischiose in termini di esportazione dei reperti, proprio come nel caso dell’Endimione, altre volte acquistando pezzi che in seguito, mantenendo la tradizione paterna, provvederà a vendere non senza averli prima illustrati in apposte stampe. In effetti, dalla verifica delle date di molte illustrazioni inserite nella raccolta Vasi, candelabri, cippi..., risulta evidente che si tratta, per la maggior parte, di disegni e incisioni esclusivamente a lui attribuibili, dato che i soggetti rappresentati, nel pervenire dalle campagne di scavo condotte dal monsignor Marefoschi, vengono rinvenuti dopo la morte di Giovanni Battista. Sono solo pochi gli oggetti che, trovati in precedenza, sono disegnati da Giovanni Battista, e quasi sempre tali disegni vengono in seguito ripresi da Francesco, come nel caso di un elemento marmoreo, mistilineo, con una decorazione a rilievo e motivi floreali, presente in una tavola del primo volume, posto a costituire la base di una vasca ovale. Il ritrovamento dell’oggetto, descritto e illustrato da Penna, avviene vivente Giovanni Battista, «Questo monumento interessantissimo nel suo genere, tanto per la forma, come per l’intaglio, appena scoperto dalle viscere della terra, fu acquistato dal cav. Gio. Battista Piranesi, e posto fra le altre antichità che quell’amatore possedeva, in oggi non si può assicurare ove sia passato e dove esista »154, e, in effetti, lo si trova raffigurato nella tavola dedicata «Alla Signora Eliza Upton Dama Inglese Intendentissima/ in ogni sorta di Arti Liberali/ Il Cav. Gio. Batta Piranesi in atto d’Ossequio D. D. D. »155. Nella medesima tavola, inoltre, si nota un’aggiunta al testo, firmata da Francesco, «Magnifico Altare antico di marmo, che fù ritrovato nella Villa Adriana in Tivoli. Esso non solo si rende particolare per la sua forma, che per la gran copia de’ suoi diversi intaglj. E perchè meglio apparisca la modinatura della Facciata, come parte più interessante, si vedrà disegnata in forma geometrica nella Seguente Tavola»; la «seguente tavola» (n. 33), però, nulla ha che fare con il precedente soggetto che, invece, si trova parzialmente raffigurato nella tavola precedente (n. 31), redatta a firma di Giovan Battista (fig. 286).
104In quest’ultima tavola, dedicata «Al Signor Tommaso Barrett Cavaliere Inglese/ amatore e seguace delle belle arti/ In atto d’Ossequio il Cavalier Gio. Batta Piranesi D.D.D. », è illustrato, infatti, un
Altare antico di marmo ritrovato fra le macerie della Villa Adriana nel sito detto Pantanello. La sua gran Conca e ovata, e sostenuta da due Ippogriffi elegantemente lavorati, e corrispondenti al Secolo felice dell’arte al tempo d’Adriano. Questo Monumento si vede nella raccolta delle antichità del Cavalier Piranesi. Il basamento che regge quest’ara è stato disegnato da un Monumento antico che si vede nella facciata del Palazzo Barberini verso il Giardino.
105Nel catalogo delle opere piranesiane edito a Parigi nel 1894 si legge che le tavole della raccolta «gravés Jusqu’à l’an. 1778. sont publiées par le Chev. Jean Baptistes & les autres du 1779 jusqu a présent par le Chevalier François»; nell’elenco delle tavole, inoltre, al n. 31 si legge di un «Autel antique en marbre trouvé dans les décombres de la Villa d’Adrien, 1774», mentre al n. 32 è illustrata una «Autre vue perspective du meme. 1771». Benché entrambe le illustrazioni siano datate almeno 15 anni prima del ritrovamento del monsignor Marefoschi, le due date presenti nel catalogo, associate alla nota scritta a firma di Francesco Piranesi nella tavola 32, inducono a riconsiderare l’intera questione. Innanzi tutto, come sarebbe logico, la prima delle due illustrazioni (n. 31) dovrebbe essere stata stampata prima della seconda (n. 32), che tra l’altro è correttamente riportata come «altra vista in prospettiva dello stesso», mentre nel catalogo la data di stampa seconda precede di tre anni quella della prima; risalta, inoltre, il titolo di «cavaliere» con il quale Francesco firma la nota didascalica nella seconda tavola.
106A Francesco Piranesi è conferito il cavalierato dello Speron d’oro156 nel 1783, quando, quale agente d’arte di Gustavo III di Svezia, si reca di sovente dal Papa per organizzare la visita del sovrano a Roma157, come ricordato anche da Pietrangeli nel resoconto di tale visita, «Domenica 4 [gennaio 1784] si recò nello studio del suo agente presso la Corte Pontificia cavalier Francesco Piranesi »158. A tal ragione, pertanto, occorre datare la nota scritta al piede della tavola 32 non prima del 1784, ossia almeno 13 anni dopo il 1771, anno richiamato nel catalogo; inoltre, al leggere l’appunto, probabilmente scritto da Laura Piranesi, presente sulla c. 15v del Taccuino B, inerente un «Vaso dedicato s Mad.ma Octon inciso nel 1774 mese di nov.bre» e interpretando «Octon» quale erronea trascrizione fonetica di «Upton »159, si potrebbe pensare che la tavola originale dedicata da Giovanni Battista «Alla Signora Eliza Upton Dama Inglese» abbia avuto per oggetto la sola rappresentazione del vaso sorretto dai due ippogrifi e dal piede centrale, probabilmente tutti pezzi ritrovati da Hamilton. Successivamente, Francesco Piranesi avrebbe modificato l’incisione paterna, aggiungendo la particolarissima base e la relativa descrizione; secondo tale ipotesi e nell’ammissione che la base sia stata ritrovata a Villa Adriana, non si può che attribuire il ritrovamento del «piano di bizzarra idea» agli scavi del monsignor Marefoschi condotti dopo il 1783.
107In definitiva, quindi, si deve ritenere che l’interesse di Francesco Piranesi per la Villa permane in seguito alla morte del padre e almeno fino agli ultimi scavi dei Marefoschi, ossia fino a poco prima delle cruente vicende politiche della fine del Settecento, nel corso delle quali il monsignore Marefoschi e Francesco Piranesi si troveranno a partecipare in schieramenti politici opposti, che saranno alla base della dispersione del patrimonio grafico160 della calcografia Piranesi.
Notes de bas de page
3 Dato che, come lungamente discusso in precedenza, le piante di Kircher e del 1751 derivano da quella di Contini, in seguito si farà prevalentemente riferimento a questa, discutendo le comparazioni con le altre solo nei casi di palese difformità.
4 GU, 1776, p. 558, «Roma 24 agosto. Dopo più giorni di penosa malattia alle ore 4 di notte del dì 21 cessò di vivere il Sig. conte Fede, e con funebre pompa fu sepolto jeri il di lui cadavere nella Chiesa di S. Lorenzo in Lucina» .
5 De Franceschini 1991, p. 405, indica che «fra il 1779 e il 1780 scavarono nel Palazzo Imperiale gli eredi di Fede, Centini, con il Cardinal Marefoschi, che rinvennero nel Triclinio e negli ambienti vicini una serie di quadri in vermiculatum», ripetendo che Piranesi, «1781, Palazzo imperiale 37-39», testimonia lo scavo.
6 Granieri 2008, p. 27, «Alla morte del conte Giuseppe Fede [1776], le sue proprietà furono ereditate dal conte Giovanni Battista Centini, in quanto tutore e curatore di Felice Fede, figlio di Giuseppe. Nonostante il conte Centini non fosse appassionato di antichità, come dimostra la vendita della raccolta Fede ai Musei Vaticani, il suo nome è associato a quello del monsignor Mario Marefoschi che, avendo probabilmente acquisito dagli eredi Fede il diritto di scavare sui terreni di loro proprietà, fu attivo a Villa Adriana tra il 1779 e il 1790».
7 GU, 1776, p. 558; per le questioni matrimoniali, cfr. p. 129, nota 16.
8 Piergallini, Santori Compagnoni Marefoschi, 2011.
9 de Novaes 1805, XV, p. 184, nel quale si legge anche che Marefoschi è eletto cardinale il «29 di Gennajo» 1769. In Piergallini, Santori Compagnoni Marefoschi 2011, p. 133, si legge che Mario è figlio di Giò Francesco Compagnoni e di Maria Giulia Marefoschi e che alla morte dello zio materno (Prospero Marefoschi) viene nominato suo erede e, come richiesto nelle clausole ereditarie, assume anche il cognome Marefoschi.
10 Se già Ferrari-Bravo 2003, p. 39, suggerisce che il palazzo sia «uno dei migliori esempi di architettura civile settecentesca a Macerata [...], risultato della sistemazione di alcune case della famiglia da parte di Luigi Vanvitelli», Barbieri 2011, 2, p. 18, ha modo di sottolineare che «Rimane indubbiamente intrigante l’interrorgativo sulla ‘paternità’ di Palazzo Marefoschi. A Luigi Vanvitelli l’imputa unicamente l’inveterata tradizione: nulla, in tal proposito, è mai emerso delle antiche carte» .
11 Lee 1884, p. 11. L’amicizia nasce nel corso di una ispezione al Collegio Romano, svolto su incarico diretto del pontefice, dal cardinale duca di York (fratello di Carlo III Stuart) e dal cardinale Marefoschi; cfr. Coralli 2006, p. 86. L’ispezione ha origine dalla campagna contro i gesuiti che, intrapresa da Gregorio XIV con l’aiuto operativo di Marefoschi, porterà alla soppressione della Compagnia il 21 luglio del 1773.
12 Morelli 1984, p. 68, lettera di Benedetto XIV, primo agosto 1753.
13 De Dominicis 2011 indica che il conte Felice Centini ricopre la carica di «Cameriere d’onore di spada e cappa» negli anni 1743-1758; ben più ricordato è un omonimo parente, prelato protetto da Sisto V. Solo per una curiosa questione di corsi e ricorsi storici giova indicare che Bonifacio Centini, parente del conte Felice Centini, probabilmente il nonno, è ricordato nella letteratura per aver fatto costruire, a Macerata, il palazzo della famiglia su disegno di Giovanni Battista Contini, figlio di Francesco.
14 Piergallini, Santori Compagnoni Marefoschi 2011, p. 127.
15 Ricordato da De Dominicis 2011 con la medesima provenienza, Ascoli, il medesimo titolo nobiliare e la medesima carica (rivestita, però, negli anni 1771-1774) del conte Felice Centini; è possibile pensare che Giovanni Battista Centini sia nato attorno al 1740 e che nel 1776 abbia avuto, all’incirca, 36 anni. Altre informazioni indicano che nel 1744 è iscritto all’Accademia dei Catenati della quale erano membri sia i Marefoschi, sia i Bulgarini di S. Elpidio a Mare; con particolare riferimento a quest’ultima famiglia, ammessa al Patriziato di Macerata il 26 nov. 1593, si tratterebbe di uno dei rami dell’omonima famiglia, di origine toscana, proprietaria di una parte meridionale della Villa Adriana.
16 DO 7 giugno 1777; Occorre segnalare che la medesima notizia è riportata in GU, 1777, 4, 76, p 606, 17 settembre, sebbene riferita al «conte Centini»; benché la fiorentina GU e il romano DO facciano, quindi, riferimento ai medesimi personaggi, stupisce leggere il diverso titolo nobiliare attribuito a Centini. Al leggere Coronelli 1703, III, p. 1127, si nota l’esistenza di una famiglia «de’ Conti Centini di Roma [...] e di Ascoli» e, dato che lo stesso titolo e la medesima città di provenienza sono riferite in tutte le altre fonti a una famiglia di conti, occorre pensare a un refuso del giornale romano.
17 GU, 1777, 4, 76, p 606.
18 Ibid., 1780, 1, p. 8, 27 dicembre, nella quale appare la notizia della morte del prelato, «Passato come si disse all’altra vita il Cardinal Marefoschi sabato scorso in ieri di anni 46 [sic!, 66] mesi 3, e giorni 13, al di lui cadavere, giovedì imminente si celebreranno le solite Esequie nella Chiesa di S. Marcello, ove interverrà Sua Beatitudine, Sacro Collegio, e Prelatura, e poscia sarà inumato nella Chiesa di S. Agostino suo Titolo. Apertasi la sua testamentaria disposizione [...] La di lui la magnifica Libreria vuole che sia trasportata in Macerata sua Patria da collocarsi nel Palazzo del suo Erede a benefizio di detta Città, [...] Ordina che alcuni quadri di mosaico antico, che per suo conto anni sono fece scavare nel Territorio di Tivoli debbano pure conservarsi sotto Fidecommisso nel suo Palazzo di Macerata, e qualora qualcuno dei suoi Eredi cercasse venderli, in tal caso vuole, che vadano al Museo della Maestà dell’Imperatore Giuseppe II» .
19 Penna 1831-1836, IV, t. CV, informa che gli eredi del fratello del cardinale riescono a disattendere le disposizioni testamentarie.
20 Ibid., IV, p. 3, t. CI-CVI, «Il primo che si mise sulle orme dell’Hamilton e che ne seguì le idee fu Monsignor Marefoschi poi cardinale di Santa Chiesa, il quale incominciò a scavare (secondo il Cabral) nell’anno 1779 quel gran tratto di terreno situato verso il mezzogiorno, dove si ergono gli avanzi del magnifico Palazzo Imperiale» .
21 Borsari 1898, 26, p. 29-31, riporta un documento conservato nell’archivio ducale di Modena nel quale si leggono informazioni che potrebbero rimandare ad altri pezzi trovati dal cardinale: «Roma 1775 marzo 29. Sono stati dall’indicato scavamento fatto nell’antico Circondario della Villa Adriana in Tivoli tradotti a Berna, alcuni frammenti del suolo che serviva di pavimento nelle rinvenute due Camere sotterranee nel detto scavamento e meritano questi frammenti l’universale ammirazione per la finissima tessitura a musaico, colla quale sono formati» . A tal proposito Borsari, però, ha modo di chiosare che «Non è ben chiaro a quali de’ tanti musaici rinvenuti nella villa di Adriano alluda questa breve notizia dell’agente ducale [si tratta di F.G. Marchisio, ambasciatore del Duca di Modena]. Non però al celebre musaico delle colombe, perchè scoperto sino dal 1736, insieme ai due Centauri e, con questi, donato da Clemente XIII al museo Capitolino. Molto probabilmente sono i finissimi e bei musaici che decoravano il pavimento di quattro stanze, trovati negli scavi fatti eseguire dal Marefoschi, nel 1775 e nei seguenti anni, parte de’ quali musaici furono acquistati da Pio VI per ornarne il Gabinetto del museo Vaticano, che da quegli stessi musaici fu appunto detto Gabinetto delle maschere» . Noto che Marefoschi inizia a scavare nel 1777, deve ritenersi parzialmente errata l’interpretazione di Borsari sia nell’anticipare gli scavi Marefoschi rispetto a quelli del conte Fede, sia perché, come avvisa Penna, solo quattro mosaici vengono venduti a Pio IV, mentre i restanti tre rimangono di proprietà del cardinale fino al 1780. I mosaici ritrovati nel 1775 potrebbero non essere quelli di Marefoschi, bensì quelli, trovati nell’Accademia e descritti in un altro documento riportato da Borsari 1898, p. 33-34, «Agli scavi De Angelis e alla scoperta del gruppo di Apollo e delle Muse riferisconsi queste lettere: Roma 8 marzo 1775. Nell’indicato scavo fatto in Tivoli in una vigna situata nel circondario della Villa Adriana si sono trovate due Camere […] Il Pavimento delle due Camere è tutto formato d’un finissimo e ben connesso musaico» . I mosaici Marefoschi sono elencabili in: «Centauro in lotta con leone», Berlin, Antiquarium; «Leone che attacca un toro» (di tale mosaico, la cui descrizione è spesso tralasciata dalla letteratura storica, a fronte di alcune evidenti continuità di disegno, si potrebbe anche prendere in considerazione che sia stato parte integrante di quello con i Centauri), Vaticano, Sala degli animali; «Gregge di capre vicino a una dea stante» e «Gregge di capre vicino a una dea seduta, Maschera e Pantera, Maschera e Grifone e Quattro maschere», Vaticano, Gabinetto delle maschere; in particolare gli ultimi quattro, nel corso di un’operazione di restauro, sono stati inseriti nella medesima cornice che, in origine, racchiudeva solo quello con quattro maschere. Con riferimento al mosaico dei Centauri, Seroux d’Agincourt 1823, III, «Description des planches, p. 12, XIII. Choix des plus belles peintures antiques en mosaïque […] 10. Combat de centaures contre des lions et des tigres; mosaïque admirable trouvée a la villa Adriana en 1779. J’en nommerais l’heureux possesseur, prélat romain, si l’amour des arts était aussi son partage, et l’eût engagé a permettre de prendre, sur l’original même, un dessin qui en aurait mieux fait connaître toute la beauté que celui que je suis réduit à donner ici, d’après la mauvaise estampe qui en a été publiée […] 13. Masques scéniques: ce morceau, autrefois ornement de la villa Adriana, fait aujourd’hui celui d’un cabinet du Musée du Vatican, où il est placé et conservé avec le soin qu’il mérite; car ici rien n’est négligé. le choix de la matière, son emploi, la correction des contours, l’expression, tout est parfait» . Una descrizione del mosaico e dei travagliati restauri è in Braun 1845, p. 225-229; Braun 1848, p. 198-203, t. L.
22 DO, 1779, 424, p. 8. La notizia, senza data, è inserita tra due altre notizie datate 18 gennaio.
23 Bulgarini 1848, p. 121 indica che il ritrovamento avviene nella zona «Tra l’Elio cammino e la grand’area della biblioteca», laddove per «Elio cammino» intende, come Piranesi, l’ambiente semipogeo tra gli Hospitalia e il cd Triclinio imperiale.
24 Hind 1922, p. 3. Non sono certe le date del viaggio, Bevilacqua 2014, p. 792, indica «Non sappiamo quando si svolse il viaggio, né quanto durò: alcune settimane nella seconda parte del 1777 sembra il periodo più probabile» .
25 Ibid., che riporta i documenti cui fare riferimento per validare l’attività, ancora fervida, di Piranesi.
26 L’approvazione per la stampa è ricevuta da da Ennio Quirino Visconti l’8 aprile di quell’anno. È meno realistico pensare che la frase sia stata scritta l’anno precedente e che il testo non sia stato aggiornato.
27 Cabral, Del Re, 1779, p. 143,144, da cui si riconosce la descrizione degli Hospitalia, come meglio identificabile nel seguito della frase: « M. Luogo cinto di grossi muri, quasi del tutto ora spianati, lungo palmi 250, i quali muri il Ligorio da contrasegni crede, che servissero per serraglio degli Augelietti: Vero e però, che apertosi in quest’anno lo scavo in tal sito nel cantone più prossimo alla piazza N. scuopronsi stanze, o gallerie tutte lastricate di bel mosaico, con quadri pur di mosaico di tal lavoro, che sorprendono anche i più intendenti».
28 Lugli 1927, p. 182-183, la definisce «aula porticata» e afferma che «ha un evidente raffronto con la basilica del palazzo dei Flavi sul Palatino e deve essere stata adibita allo stesso uso, cioè a un luogo destinato alle udienze private dell’imperatore. Per la costruzione di questa basilica, come di tutto il gruppo di stanze in G, Adriano demolì quanto di più antico esisteva sul luogo». Con riferimento ai quadretti di mosaico, la letteratura è particolarmente controversa in merito al numero e ai luoghi di ritrovamento; cfr. Visconti 1782 - 1807 (1872, 7), p. 83, n. g; De Carli 1795; Braun 1845, p. 225-229; Braun 1848, Borsari 1889 p. 18-39; Nogara 1910; Becatti 1975, p. 173, 192, Werner 1994; Liverani 1998, p. 8.
29 In sito sono conservate due porzioni, composte da tessere minute con bianche, ordite a 45° e con cornici nere e bianche alternate che chiudere uno sfondo centrale composto da tessere bianche ordite sempre a 45°.
30 Fiorelli 1878, p. 35-37 e p. 68 per le operazioni successive, «XVI. A cagione della mediocre profondità del suolo di scarico, gli scavi degli avanzi attribuiti al palazzo imperiale hanno raggiunto uno sviluppo considerevole. Tutte le sale poste lungo il lato meridionale del peristilio corinzio, descritto nella relazione di gennaio, sono state scoperte, e benché a cagione degli scavi anteriori sieno spogliate della parte più ricca dei loro ornamenti, non mancano tuttavia del pregio di una rara conservazione» .
31 Visconti 1782 - 1807 (7, 1807, Miscellanea), p. 86.
32 Ibid., nota *, «Questo pavimento, e i quadretti di musaico incisi nelle due tavole seguenti, furono tutti scoperti verso l’anno 1780. nella Villa del conte Fede presso Tivoli […] Il musaico e perfettamente quadro, e il suo lato è di palmi dieci e mezzo, quello della stanza che lo conteneva era di palmi sedici; talché fra ’l lato esteriore del fregio e la parete era un intervallo di palmi cinque e mezzo. Il quadretto di mezzo è di palmi due e oncie 5» . L’attuale composizione dei mosaici in un insieme, circoscritto dal festone e comprensivo il quadretto con divinità seduta e gregge di capre, dipende da un restauro la cui esecuzione è inquadrabile ante 1836; anno, questo della pubblicazione del quarto volume dell’opera di Penna 1831-1836, nel quale, nella t. CVI, è indicato l’avvenuto restauro.
33 Non si può fare pieno riferimento, in questo caso, alla data proposta da Visconti, dato che la notizia appare nell’ultimo dei suoi volumi, pubblicato poco meno di trent’anni dopo i fatti e dato che, com’egli stesso afferma, non si tratta di una data precisa, «verso l’anno 1780» .
34 Si deve comunque ritenere che nei secoli precedenti uno scavo era stato eseguito, dato che Contini riesce a disegnare parti degli ambienti che suddividono il complesso nella parte Nord-Est; l’interro scavato nel Settecento, quindi, deve considerarsi quale un accumulo successivo.
35 La qual cosa è sottesa anche da Milizia, Lettere inedite di Milizia al Conte Fr. di Sangiovanni, Parigi, 1827, p. 99, lettera XXXI, 20 marzo 1779, «E dopo tante vane ricerche si sono trovati a Tivoli nella Villa Adriana alcuni monumenti, che si dicono più fini delle colombe del Furietti. Questi sono presso il cardinale Marefoschi, il quale non vuole farli vedere a nessuno se prima non siano aggiustati» . Con riferimento all’area di Palazzo, inoltre, è assai probabile che il ritrovamento dei resti delle terme, siti nella porzione Sud-orientale del terrazzamento, sia da attribuire alle prime indagini di Marefoschi. Tali strutture, infatti, appaiono per la prima volta nella pianta della Certosa e, dato che questa deriva dall’attività condotta da Gondoin con la collaborazione di Piranesi a partire dal 1777 e che Marefoschi subentra, attivamente, nelle proprietà del conte Fede dal medesimo anno, tutto reca a validare l’ipotesi.
36 Cfr. Cinque 2010, p. 19-53.
37 Penna 1831-1836, II, t. CXXXIV.
38 Cabral, Del Re 1779, p. XV.
39 Nella pianta della Certosa si legge «Sorgente dell’Acqua Ferrata» in prossimità del casale Lolli (Liceo) e, al seguirne il corso, si vede chiaramente che si tratta di un adduttore del fosso della Valle di Tempe. In seguito Penna indica il corso d’acqua attribuendogli l’idronimo di «Fosso Valle di Tempe» e Bulgarini, Nibby, nonché la maggior parte degli autori successivi, lo indicano quale «Fiume Peneo», avvalorando la tesi proposta da Ligorio inerente la similitudine tra la «Valle di Tempe» adrianea – solcata da tale fosso – e l’originale Valle di Tempe greca solcata dal fiume Peneo. Inoltre nella mappa della Comarca del 1819 è chiamato «Fosso di Villa Adriana» e la medesima dicitura si trova nella Carta dello Stato Pontificio del 1851, e nell’IGM di Vienna, tavoletta G.15, «Monterotondo, Mojano-Tivoli», mentre nella mappa del Cessato Catasto Rustico (1858) si legge una prima dicitura tracciata a matita che indica «Valle di Tempe» e una stilata a penna in cui, solo nel primo tratto a Nord, è definito «Fosso Galli» e, infine, nella tavoletta IGM «Tivoli», scala 1: 25.000, rilievo 1931, aggiornamento 1936, compare l’idronimo attuale, «Fosso delle Scalette» .
40 Mari 2007, p. 23-27; Mari 2010; Mari, Sgalambro 2012, p. 11-21.
41 41 L’assetto compositivo e strutturale del complesso sostruttivo è inizialmente proposto da Contini 1668, poi copiato da Kircher 1671 e, ovviamente, ripreso nella pianta del 1751. In tutti questi elaborati è sempre indicato con segno puntinato per suggerire una posizione inferiore rispetto a quella del piano di proiezione. L’organizzazione distributiva del complesso scompare nelle piante successive (Penna, Rossini, Gusman, Winnefeld), per poi ricomparire, sempre con segno puntinato, nella pianta del 1906. Solo in alcune piante moderne (pe. De Franceschini, Bertocci e Parrinello) la suddivisione degli ambienti interni appare disegnata, con segno marcato, contestualmente alle linee che oggi costituiscono la copertura del complesso.
42 In tal caso si potrebbe trattare di parte dei 250 disegni della Villa citati nella petizione redatta dai fratelli Piranesi, la cui redazione è attribuita a Giovanni Battista e a Francesco Piranesi. A tal proposito, però, al ricordare che l’informazione è riportata nell’elenco dei beni per i quali i fratelli Piranesi chiedono il risarcimento al governo francese, non è escludibile immaginare che tra gli autori dei disegni, oltre ai due citati, vi sia stato anche Gondoin (che muore nel 1818) il cui il contributo potrebbe essere stato volutamente omesso al fine di ottenere il risultato preposto.
43 Cfr. Hidalgo 2006a, p. 285-286, Hidalgo 2006b, p. 41-42.
44 Cfr. p. 78.
45 Cfr. tav. 2.
46 In Contini 1668 sono indicati, sia nella pianta che nella legenda, solo due collegamenti, in asse con la mediana del complesso.
47 Lo sterro successivo, intrapreso nel 1873, è documentato da Fiorelli 1880, p. 479, e da Blondel 1881, 1, p. 63-67.
48 Pe. De Franceschini 1991, p. 428, 436, n. 6, «nel 1777 una statua di Fauno in rosso antico, oggi al Museo Capitolino»; in questo caso, tra l’altro, l’autrice indica il Fauno che, conservato nei Musei Capitolini, è quello trovato da Furietti.
49 Sebastiani 1825, p. 265, «Dal portico circolare per mezzo di quattro porte, che esistono ancora si andava alla dieta degli Storici gia descritta; per l’altra opposta, ad un ampio peristilio quadrilungo; la terza a destra terminava ad un nicchione rettangolo, presso il quale era altra porta immurata di presente, che metteva in altri stanzini irregolari, ove fu rinvenuto il Fauno di marmo alabandico [rosso antico] del Vaticano; e l’ultima in fine a sinistra portava ad un vestibulo che dava l’ingresso alla Biblioteca» . A p. 184 si legge di un altro «Fauno alabandico» nel Museo Capitolino, proveniente da villa d’Este, e a p. 313, è richiamato un ulteriore «Fauno di rosso antico» appartenente al conte Fede, del quale non viene indicato né il luogo del ritrovamento, né la collocazione successiva.
50 Visconti 1782-1807 (1782, I), t. 47, p. 82, nota *.
51 Cinque 2013, p. 95-150; Adembri, Cinque 2009, p. 47,56; Cinque, Lazzeri 2012.
52 Cfr. Penna 1831-1836, 1, t. 54, «Criptoportico del pulvinare imperiale [...] si potrebbe credere che fosse stato alto 30 palmi, ma essendovi state gettate tante macerie, vi sono luoghi così ingombrati che in oggi appena vi si può passare [...] Una sola via introduceva anticamente a questo Criptoportico».
53 Indicata da Contini 1668, « G. 56. [...] scala che calava all’Appartamento & alle stanze di sotto», non rappresentata nelle piante tardo settecentesche ed è sottesa da Penna, «corridore lungo 30 palmi, largo 10, più oltre vi è un piccolo sito lungo 9 palmi, e passando ancor questo trovasi un altro corridore parallelo al primo lungo 27 palmi, e nel quale si vedono due porte, una era per l’ingresso, e l’altra saliva nel piano superiore; questi corridori sono dipinti nello stesso stile del Criptoportico ma attese le rovine poco vi si può penetrare» .
54 La documentazione più aggiornata dell’edificio, redatta in seguito ai rilevamenti RiVA 2006-2008, comprese le sezioni verticali e le ipotesi ricostruttive, sono in Adembri, Cinque 2009 e in Cinque 2013, p. 111-127.
55 Penna 1831-1836, 1, t. 56: «Prospetto del Pulvinare [...] Il primo piano era alto 40 palmi, ornato di pilastri posti sopra di un zoccolo, che sostonevano una cornice, e nel mezzo de’ pilastri vi erano finestre di varie grandezze, secondo li siti che dovevano illuminare, ma ora ve ne sono rimaste soltanto due, e piccole intestature delle altre. Nel secondo piano alto 30 palmi vi era una gran loggia coperta, guarnita di colonne che reggevano il cornicione, sopra del quale s’inalzava un terzo piano alto 20 palmi, che formava un altro loggiato, separato da pilastri corrispondenti alle sottoposte colonne; e così terminava questa facciata, che la sua altezza totale ascendeva a palmi 90» . L’errore dimensionale commesso da Penna dipende dall’aver considerato i bracci Est-Ovest del livello intermedio pertinenti una ulteriore elevazione; oggi è rilevabile l’altezza di tutti i livelli in seguito a una operazione di restauro mediante la quale è stata ricollocata in sito la parte, crollata, della struttura centrale dell’edificio.
56 Cinque 2008, p. 189-190; 194-197; Adembri, Cinque 2010, p. 204-205; Cinque, Lazzeri, 2012, p. 196-202; Cinque 2013, p. 130-132.
57 Nella legenda di Contini 1668, egualmente alle successive, il percorso è descritto quale «Corridore sotterraneo che dal detto Appartamento [Palazzo d’Inverno] passa alli Bagni [Terme con Eliocamino]» .
58 Benché il tratto a sanguigna, pertinente l’ultimo livello (superiore) del Palazzo d’Inverno, sormonti la parte a lapis, è comunque possibile scorgere la continuità strutturale delle murature dei livelli inferiori e la scala che inizia l’ascesa dal primo ambiente (Nord-Ovest) del primo livello del Palazzo d’Inverno; da cui è evidente che si tratta di un percorso in quota. Come verificato nel corso di recenti ricerche, Cinque 2013, p. 132-133, sviluppate a partire da analisi altimetriche supportate da sezioni verticali, l’originaria presenza di tale percorso è indiscutibile, benché in quota, non ipogeo, e la sua funzione deve essere ritenuta imperiale e non servile, utile per il collegamento il Palazzo d’Inverno e lo snodo tra le Terme con Eliocamino e il corridoio settentrionale del Giardino-Stadio dal quale è anche possibile raggiungere, mediante un criptoportico, il Teatro Marittimo. Si tratta, pertanto, di un percorso certamente originato da una chiara logica progettuale, finalizzata a porre in collegamento diretto i principali edifici del nucleo centrale della Villa.
59 Benché il disegno mostri chiaramente che si tratta di un percorso fuori terra, evidenziato anche dal tratto marcato della porzione di muratura Est della scala, nella legenda Francesco indica che si tratta di un «4. Corridore sotterraneo per passaggio alle contigue Fabbriche» .
60 L’incoerenza tra il disegno e la legenda potrebbe confermare che gli sterri siano avvenuti in fase di completamento del lavoro, dando modo a Francesco di apporre le correzioni solo alla porzione planimetrica e non alla parte scritta.
61 Hoffmann 1980; Cinque, Boso, Campagna RiVA – Diagnosis, 2003-2004, rapporto di ricerca; Cinque, Lazzeri, 2012, p. 194-196.
62 Penna 1831-1836, 1, p. 30.
63 Ashby 1907, p. 321-322.
64 Dislocata nel corpo occidentale, la cui realizzazione, come dimostrato dalla mancanza di ammorsamenti murari con la struttura principale, deve essere attribuita a una fase, sempre adrianea, volta al miglioramento funzionale del complesso mediante anche l’inserimento di altri locali che, in seguito a indagini archeologiche più approfondite, potrebbero anche evidenziare una funzionalità termale.
65 L’assenza della porzione muraria di chiusura dell’ambiente centrale a Sud, oggi elevata fino a una quota inferiore rispetto alle limitrofe, dimostra che nel Seicento l’interro raggiungeva la sommità delle murature.
66 Come desunto da studi in corso da chi scrive, tale scala dipende da una fase, sempre adrianea, successiva alla costruzione del complesso e quasi certamente dipesa dalla realizzazione dell’edificio con Peschiera e dalla Sala dei Pilastri Dorici. L’inserimento di tali complessi, infatti, ha implicato l’erezione di murature che, oltre a impedire il normale accesso dalla porta principale della Caserma dei Vigili, a Nord, avevano lo scopo di celare la presenza del complesso. Dopo aver obliterato l’accesso principale, l’entrata nell’edificio è stata ricavata nell’ambiente meridionale, dietro la muratura del ninfeo della Sala dei Pilastri Dorici e, di conseguenza, è stata realizzata la seconda scala, in prossimità dell’ingresso, per raggiungere gli ambienti del secondo livello.
67 La situazione attuale, in quella porzione, presenta solo pochi tratti di murature, parzialmente interrate.
68 F. Piranesi 1781, legenda, voce Ospitali.
69 Penna 1831-1836, 1, 34.
70 Al primo livello, il cui intradosso si trova a +3.05m sopra il piano di calpestio con tracce di decorazioni pavimentali, occorre attribuire una copertura a falde, come indicato dai fori rettangolari per l’alloggiamento delle travi, ben visibili, a quota +6.50m, su entrambi i prospetti (Est e Ovest) della struttura con muratura concava; cfr. fig. 255.
71 Da Milano 1992, p. 79.
72 Ibid.
73 Lugli 1927, p. 175.
74 1895, l’unica, peraltro, che fornisce informazioni suppletive.
75 Condotto nel 2008 da chi scrive.
76 Hidalgo Prieto, Carrasco Gómez, Cinque et al. 2014, figg. 7-10.
77 Già in parte riconosciuto come tale da Winnefeld 1895, p. 36-40, t. VIII, in seguito oggetto di verifiche archeologiche da Salza Prina Ricotti 2000, p. 199-210.
78 Contini 1668, cap. VII, G 14.
79 Cinque 2010b, p. 62-63.
80 Hidalgo Prieto, Carrasco Gómez, Cinque et al. 2014, figg. 7-10.
81 Sia il nome sia l’attribuzione di «area servile» dipendono da Salza Prina Ricotti.
82 Indagini Adembri, rilievi e restituzioni Baudille, RiVA 2005.
83 Contini 1668, VII, 45, «Piazza attorno a detta macchia, la quale è de’ Signori Altoviti». Solo di recente oggetto di indagini, l’area è più volte citata nei testi di Salza Prina, come prima indicato, con il nome di «Macchiozzo» e con l’attribuzione funzionale di zona organizzata per i servizi della Villa, comprese le cucine. Tale interpretazione, però, può essere discussa in merito al ritrovamento dell’ambiente la cui decorazione pavimentale originale presenta caratteristiche non appropriate a una zona servile e in relazione ai primi risultati dei più recenti scavi nell’area; cfr. Tartaro 2014, p. 5-9; Maiuro, De Angelis, 2014, p. 4; Maiuro 2015, p. 16-17; De Angelis 2014, p. 11, «the dig revealed a large compound of the Hadrianic age combining elements of luxury architecture (e.g., marble-faced walls) with utilitarian structures. In addition to copious amounts of kitchenware - an unusual feature for Hadrian’s Villa, which is better known for the finds of statues - a highly exciting result was the identification of late antique and medieval phases: their analysis will contribute in a substantial way to filling the gap in our knowledge of the history of the Villa between 300 and 1300» .
84 Reichardt 1933, p. 127-140.
85 Tale considerazione, d’altro canto, era formulabile anche prima del rinvenimento delle murature tagliate, dato che la muratura settentrionale del sistema ipogeo che attraversa il primo ambiente non ha ammorsamenti con le strutture adiacenti, come dimostrato dalle cospicue infiltrazioni idriche che, nei secoli, hanno formato particolari formazioni calcaree all’interno dello stesso ambiente.
86 Salza Prina Ricotti 1973b, p. 241-244, che illustra diffusamente le particolarità presenti nei vari bracci.
87 L’attribuzione della destinazione d’uso originaria dell’anello ipogeo, tradizionalmente e saldamente attestata nel tempo, potrebbe essere rivista in seguito allo svolgimento di indagini più approfondite da svolgersi in relazione alle fasi costruttive dell’intera struttura, valutandole in rapporto alle modifiche apportate alle aree in superficie e alle considerazioni sviluppabili in merito alla presenza delle numerose finestre lucifere a gola di lupo (noto che nella Villa i percorsi a carattere strettamente servile non sono illuminati e aerati), nonché mirate alla verifica della funzionalità di numerosi fori che, di dimensioni ridotte rispetto alle altrettanto numerose buche pontaie, sono disposti lungo la muratura meridionale del primo braccio, tra loro perfettamente allineati sull’orizzontale.
88 Adembri et al., 2014; cfr. Salza Prina Ricotti 1973b, p. 225-227.
89 Nel corso dei quali è stato rinvenuto anche il plastico marmoreo di uno stadio; cfr. Caprino 1976, p. 62-71; Caprino 1998; Caprino 1999.
90 Cfr. p. 91, 94, 97; fig. 65, 68.
91 Benché nella legenda indichi chiaramente «K 10 -3 – Due appartamenti di 20. stanze per piano, le quali appianano, e sostengono il poggio, che gli giace sopra verso Ponente Libeccio; ove nelle volte del secondo piano sotto il poggio, si vedono alcune dipinte di spartimenti grotteschi» .
92 Molle 2012.
93 Solo nella pianta di Francesco Piranesi l’intercapedine è correttamente rappresentata con una distanza minima tra le due murature, pari a poco meno di 30cm, ossia quanto resta della lunghezza di un bipedale, posto in orizzontale e con i lati corti ammorsati nelle due opposte strutture in elevazione Tale tecnica costruttiva, con bipedali adottati quali elementi distanziatori e disposti per lo più unitariamente, nonché a varie altezze, è riscontrabile in numerose le soluzioni simili tra quelle ispezionabili della Villa, come, pe, nelle Cento Camerelle, più precisamente nel braccio Sud del terrazzamento del Pecile laddove, però, per limitare le forti spinte indotte dal terreno, la muratura interna è stata costruita adottando la particolare conformazione a semicirconferenze cave e coperte da calotte semisferiche. Come osservabile da alcuni fori disposti nel braccio Sud-occidentale delle Cento Camerelle e in seguito confermato dal ritrovamento della muratura, obliterata, di limite Nord all’interno dell’anello ipogeo del Vestibolo, tale porzione del complesso presenterebbe caratteristiche strutturali simili a quelle del Museo; a tal proposito, pertanto, occorrerebbe considerare errata l’interpretazione fornita da Contini, e in seguito ripresa da molti, per il quale l’intero complesso delle Cento Camerelle, e non solo la parte sottostante il Pecile, sarebbe stato costruito con le medesime soluzioni strutturali.
94 L’apertura, non eseguita in opera con le murature, permette l’accesso a un sistema ipogeo costituito da una galleria principale intersecata da tre bracci. Nella nicchia terminale della galleria centrale è ben visibile l’incisione, nel banco tufaceo, di una croce; benché tale simbolo religioso possa rimandare lo scavo dell’ipogeo a un periodo successivo rispetto a quello adrianeo, la particolare forma degli ambienti evoca, certamente con dimensioni molto più ridotte, quella delle cd Neviere della Villa e pertanto, al momento e con i dati a disposizione, non si ritiene di azzardare ipotesi pertinenti il periodo di realizzazione dell’opera ipogea, in assenza di studi molto più dettagliati in merito all’intero complesso.
95 Le dimensioni in larghezza variano dalla minima, pari a 4.25m del sesto ambiente da Nord (esclusa la latrina), alla massima, pari a 4.60m, spettante al primo e al settimo ambiente da Nord.
96 Con riferimento alle pitture degli ambienti del Museo, che non esaltano in termini di precisione esecutiva, la letteratura non è concorde per una loro datazione in età adrianea. A tal proposito Molle 2012, p. 391, n. 6: «Su queste pitture rimando a C. Molle ‘La decorazione pittorica delle volte delle sostruzioni occidentali del Canopo di Villa Adriana’, in L. Borhy, (dir.) avec la coll. de S. Palágyi et de M. Magyar, Plafonds et voûtes à l’époque antique, Budapest 2004, p. 385-388. La datazione post-adrianea delle pitture è ampiamente condivisibile, anche se, come mi invita a riflettere il dott. Zaccaria Mari, per ora è opportuno non escludere radicalmente l’ipotesi che possa trattarsi di una sorta di ‘anticipazione’ risalente proprio all’età di Adriano» . Per la raccolta di disegni di Brunias cfr. p. 183, nota 87.
97 Cabral, Del Re, 1779, p. 152, «Edifizio nel principio del Colle Occidentale, il quale era lungo quanto la vallata del Canopo alla quale appartiene, e dalla banda opposta gliene corrispondeva un altro simile. Ad una certa altezza escono dalle mura grossi moduli con segno di cornicione da essi sostenuto, sopra cui doveva esservi una ringhiera continuata per tutta la sua estensione a comodo degli Spettatori accorsi alle feste di Serapide. Le stanze di detto edifizio sono forse copia de’ dissoluti ridotti, che gli Autori sopra indicati (Autori citati dal Martiniere) rammentano nell’Egiziano Canopo» .
98 Molle 2012, p. 393, n. 12.
99 Cfr. p. 76, 91-98; fig. 66-78, 173.
100 Voce «Academia»; «4. Tempio di Minerva, del quale non resta, che questo piano inferiore, che serviva di sostruzione per porlo al paro del Poggio A. A. Il superiore é affatto diruto, solamente da frammenti di Cornici, e Colonne striate di Marmo bianco si mostra, che dovea esser d’Ordine Dorico. Questa Fabbrica é chiamata Rocca Bruna» .
101 Tra loro posti a differente altezza, dei quali uno disposto a una quota pari a ca 1.2m oltre la quota di calpestio del salone centrale e l’altro, che interessa la parte meridionale, taglia a ca 5m sopra la medesima quota.
102 La pubblicazione dell’opera di Rossini è del 1826.
103 Nel periodo compreso tra il 1773 e il 1825 Baratta 1901 riporta notizie di almeno due eventi sismici occorsi nell’area tiburtina, p. 298, «1786 luglio ottobre [terremoto a L’Aquila] due lievi scosse state sensibilissime in Ascoli, in Cantalupo ed in Tivoli», p. 809, «1795. Agosto 15. San Gregorio (Tivoli-Roma). Nella notte del 15 agosto si sentirono in San Gregorio presso Tivoli due fortissime scosse che fecero cadere tre case: furono avvertite anche a Frascati» . Le analisi statiche condotte con riferimento all’edificio (cfr. Casella, Tomei, Torcinaro 2005, p. 113- 124) non permettono di attribuire le mancanze strutturali riscontrate a crolli indotti da tali terremoti.
104 Saggi RiVA, G.E. Cinque, B. Adembri, V. Forte.
105 Nella quale è stata ritrovata nel corso delle indagini una lastra spezzata, del medesimo marmo, di dimensioni pari a ca 40 cm di lunghezza per ca 26 cm di altezza.
106 Aurigemma 1958, p. 49-57.
107 Contini 1668, X, K2.
108 Nel Libro, f. 38r e segg., Ligorio riporta la trascrizione di un bollo rinvenuto in sito, in una porzione di muratura crollata, dal quale ottiene conferma che l’area è quella del «tempio canopico di Adriano», usato dall’imperatore per organizzare «baccanali» ai quali intervenivano i proprietari delle ville vicine. L’architetto, inoltre, nel ricordare che tale tipologia comprendeva un euripo, attesta la presenza di tale elemento indicandone l’estensione per tutta la vallata.
109 Per lo più condotti dal gruppo diretto da H. Fahlbusch, Fachnochschule di Lübeck, tra il 2002 e il 2006, i cui risultati complessivi sono in Fahlbusch 2008, mentre l’ipotesi della cortina d’acqua del Serapeo (vedi nota 110) è in Manderscheid, Ganzert 2004, p. 117-124. Tra il 2006 e il 2010 le indagini sono state ulteriormente sviluppate da chi scrive, a partire dal rilevamento cortesemente fornito da Fahlbush quale partecipante al progetto RiVA, mediante l’esecuzione di nuovi rilevamenti di dettaglio.
110 Noto che la parte superiore della cupola è sagomata in maniera di contenere due bracci dello speco di adduzione idrica la cui continuità è attualmente interrotta dal crollo della struttura di copertura e al considerare la presenza, a terra, di due resti di tale crollo, è parzialmente possibile validare la tesi secondo cui la soluzione architettonico-scenografica adottata abbia avuto per oggetto la creazione del suggestivo effetto della «cortina d’acqua», simile a quello ottenuto da Ligorio nella progettazione della «Fontana dell’Ovato» a villa d’Este. L’indubbia presenza di uno speco nelle strutture del prospetto principale, associata alla presenza di cisterne estranee all’adduzione delle nicchie a cascatelle disposte perimetralmente all’ambiente con stibadio, nel consentire di riconoscere la più idonea posizione dei resti crollati, ha permesso di formulare un’ipotesi, di poco differente a quella prospettata dagli studiosi tedeschi. Tale ipotesi, verificata anche mediante ricerche condotte nello specifico settore scientifico e volte alla determinazione della più realistica portata d’acqua negli spechi in cupola, nonché comprensive della costruzione in laboratorio di un modello idraulico di caratteristiche pari a quelle della situazione in sito, indica che l’effetto originale sarebbe risultato, nella parte più alta, simile a quello degli zampilli della fontana della Rometta a villa d’Este, diversamente dalla parte inferiore nella quale gli ospiti dello stibadio avrebbero potuto vedere l’area del Canopo attraverso un velo, frammentario, di gocce d’acqua.
111 L’intero sistema idraulico del Serapeo, come desunto dai rilievi e dalle analisi condotte, comprende almeno un’altra cisterna localizzata nella parte occidentale del complesso e due spechi dei quali il primo di adduzione alla cisterna e il secondo di deflusso da quest’ultima, con andamento indirizzato verso le aree settentrionali e con una pendenza utile per addurre acqua alle latrine dell’edificio del Museo. L’assenza di elementi simili nella parte Est del complesso giustifica l’ipotesi della funzione di castello delle acque per gli edifici a Nord-Ovest, noto che i complessi dislocati a Nord-Est del Serapeo (Pretorio e Grandi e Piccole Terme) ricevevano acqua dalle strutture idrauliche provenienti dalle aree orientali della Villa.
112 Custodite in numerose casse nei depositi della Villa.
113 In una delle nicchie dell’ambiente a pianta circolare che la letteratura riconosce quale sudatio, già disegnata da Ghezzi; cfr. MacDonald, Pinto 1997, p. 182.
114 L’ipotesi del riconoscimento è stata trattata da Marani 1994 e Marani 1995; il disegno è datato a partire dal 1508 e spesso è ritenuto di altra mano, probabilmente di un allievo; cfr. Marani 1999, p. 305-307 e Pedretti 1957, p. 90-98.
115 Moroni 1841, VII, p. 128, richiama la presenza di un «credenzino» al lato dell’altare maggiore di S. Pietro, specificando che serviva d’appoggio al cuscino su quale era posato il messale del papa; si tratta, pertanto, di un mobiletto, non alto, a una o più ante, con o senza cassetti (tiratori) che, nel caso piranesiano, era realizzato con legno di pioppo (albuccio).
116 Come ben si legge anche in basso a destra sulla lastra, «Francesco Piranesi incisore di S. M. il Re di Polonia & Architetto Romano disegnó, ed incise nel 1781».
117 Nel commentare la morte di Giovanni Battista, l’amico Gian Antonio Selva ha modo di scrivere che «In sua casa era in continui dissapori con la Moglie ed i figli ed erasi ridotto a farsi da mangiare da un suo giovine perché si era posto in capo che volessero avvelenarlo»; cfr. Lettere di Selva a Temanza, in Ivanoff 1963, p. 51. Tali malumori sono diffusamente presenti nella letteratura dell’epoca, come nel caso di Biagi 1821, p. 100, a proposito del matrimonio, «Quanto esso sia stato, dappoi felice [...] lo dirà tutta Roma, come lo ha detto durante tutta la sua vita anche a chi non voleva saperlo il frettoloso immaginario marito, lacerato continuamente da sospetti ingiusti, e da quella sua naturale vocazione d’inquietar sempre il prossimo», o di Lombardi 1830, p. 372, «Il Piranesi menò moglie essendosi in un istante incapriccìato di una giardiniera, ma ebbe un matrimonio poco felice perché tormentato dalla gelosia e dal mal umore di inquietar sempre il prossimo».
118 Lettera di Selva a Temanza p. 694, cfr. supra.
119 Come già ben identificato da Caira Lumetti 1990, p. 105 e da Leander Touati 1990, p. 21. Per le note biografiche del monsignore Marefoschi, si rimanda a Piergallini, Santori Compagnoni Marefoschi 2011, p. 191, 229.
120 Borsari 1898, p. 30-31.
121 GU, 1786, XIII, 55, p. 438, 439, 11 luglio; la medesima notizia è riportata anche nei Dispacci di Bottini, Sforza 1887, p. 417, 418. L’abitazione romana dei Marefoschi è indicata da Vasi 1791, p. 69, «L’altro edifizio che finisce d’ornare la piazza Colonna è il palazzo Spada, situato sulla strada del Corso. Esso è abitato da Monsignor Marefoschi, il quale possiede tre superbi Musaici antichi, trovati dal Cardinal Marefoschi suo Zio nella villa Adriana a Tivoli»; altresì, con riferimento alla statua di Esculapio, le prime informazioni pervengono da Guattani 1806, III, p. 91, «Le [statue] qui sotto descritte appartengono al nostro esimio Scultore Sig. Cav. Vincenzo Pacetti, siccome da lui fatte nel decorso di anni 40 [...] 59. Statua dell’Esculapio di Villa Adriana grande sopra al naturale, venduta poi al Sig. Tommaso Hope, con una Statua d’Atleta, grande al naturale»; successivamente Guattani 1806, IV, p. 6-7, conferma l’acquisto nel corso della descrizione di una statua di Esculapio conservata a Frascati, nella villa Conti (poi Torlonia oggi distrutta), di dimensioni «poco meno dal vero, di marmo greco e di tutta conservazione, non avendo di moderno che il braccio, col quale regge il suo consueto bastone col serpe ai suoi tempi [...] solo somiglia ad altro che negli anni scorsi uscì dalle tenebre della Villa Adriana, e fu acquistato dall’Oltramontano amatore Signor Hope» . Gonzalez-Palacios 2010, p. 16, nel saggio «Souvenirs de Rome», informa che Pacetti, l’8 settembre 1784 mostra un Esculapio a Carlo Albacini (fornitore di Caterina di Russia e poi per lunghi anni della corte di Napoli) al quale «piacque e lodò la testa, il petto, la nobiltà della mossa ed altro e la detta testa l’avea presa per antica»; con riferimento a Hope, cfr. Watkin 1968.
122 «Palazzo Imperiale, o appartamento estivo», n. 5. Nibby 1827, p. 40, nel commentare le indicazioni della legenda, ha modo di chiosare in merito alle rettifiche degli errori nella «pianta di Ligorio»: «Piazza d’oro. Il conte Centini a’ tempi di Piranesi possessore di questo sito vi aprì uno scavo, pel quale furono rettificati molti errori del Ligorio, e nel tempo stesso si riconobbe che le colonne del peristilio che l’attorniava erano di cipollino e granito orientale alternate, in numero di 24 ne’ lati piccoli e 35 ne’ grandi: che le inserte nelle pareti, ossia le mezze colonne addossate al muro, erano di laterizio coperto di stucco finissimo onde potessero imitare il marmo: i pavimenti sì del portico che del cortile erano di marmo mischio» . Cfr. Bulgarini 1848, p. 122 «Piazza d’Oro [...] Era circondata da un portico di colonne di marmo bigio con capitelli corintii, sedici delle quali furono rinvenute in uno scavo fattovi nel 1783 dal conte Centini oggi al museo Vaticano, che adornano la sala delle Muse»; a tal proposito occorre segnalare che Bulgarini, in nota, avvisa d’aver tratto l’informazione delle 16 colonne da Visconti 1782 – 1807, I (1872), p. VIII. Al leggere il testo citato, però, sembrerebbe che siano solo i capitelli a provenire da Villa Adriana, «la volta è sostenuta da sedici colonne Corintie tutte d’un pezzo alte palmi 21. di bel marmo di Carrara venato, che terminano in ricchissimi capitelli trovati alla villa Adriana» . L’informazione dei ritrovamenti a Piazza d’Oro è successivamente ripresa da Lanciani 1906, p. 33, «Fu scavata dal conte Centini, al tempo del Piranesi, ed in tale circostanza si riconobbe che le colonne del peristilio erano di cipollino e di granito alternate, contandosene 12 nei lati minori, 18 nei maggiori» .
123 Nell’editto per la «Proibizione della Estrazione delle Statue di Marmo, o Metallo, Pitture, Antichità, e simili», (emanato il 5 gennaio 1750 dal camerlengo, cardinale Valenti) che costituisce l’ultimo della lunga serie di editti simili (validati e incrementati) emanati prima del XIX secolo, si ribadisce la necessità di ottenere la licenza anche per i proprietari dei terreni interessati dagli scavi. Cfr. Fea 1802, p. 79-132, laddove nella «Annotazione per la pag. 5», l’autore riporta per esteso tutti gli editti emanati fino all’inizio del XIX secolo.
124 Papini 2000, p. 27, 28, «Dal Marefoschi la statua sarebbe passata nelle mani di Jenkis e da questo in proprietà del Duca Braschi» . Avagliano 2010, p. 425, chiosa che «Tra le cospicue donazioni cui è legato il nome di Benedetto XIV (1675-1758) vi è una scultura di pregevole fattura e assai buone condizioni di conservazione proveniente dalla villa tiburtina dell’imperatore Adriano. La statua, in marmo lunense raffigura un giovane uomo con la gamba sinistra sollevata e il piede in appoggio su uno sperone roccioso ( [in nota] La scultura fu rinvenuta nel 1740 in una delle camere appartenenti alle sostruzioni del cd. Poikile durante gli scavi condotti dal Michilli tra il 1739 e il 1744 e venne acquistata nel 1742 da Benedetto XIV per il Museo Capitolino) [...] Interessante ricordare che dal parco della residenza provengono altre due sculture: l’Hermes raffigurato nell’atto di slacciare le stringhe del sandalo ora a Copenhagen ( [in nota] La replica di Copenhagen fu rinvenuta a Villa Adriana nel 1769 da Gavin Hamilton. Esposta alla Lansdowne House di Londra fino al 1930, è poi passata alla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen) e l’Hermes di Monaco, che probabilmente appartiene alla serie delle repliche in cui il dio è intento ad allacciare la calzatura, con entrambe le mani portate in avanti lungo la gamba»; cfr. Sismondo, Ridgway 1964, 113-128, p. 115; Caprino 1974a, p. 107; İnan 1993, p. 114-116. Con riferimento all’iconografia del soggetto trovato da Marefoschi, tra le prime fonti è Lange 1879, p. 3-12.
125 Penna 1831-1836, IV, t. LXXXII, Discobolo.
126 Ibid., «Pancrasiate», trovata da Michilli, Roma, Musei Capitolini, Sala del Fauno; Clarac 1830, «Jason» (l’esemplare conservato al Vaticano, illustrato da Visconti 1782 - 1807 (1790, III), t. LXVIII, di ignota provenienza; quello trovato da Hamilton al Pantanello e l’esemplare trovato da mons. Marefoschi).
127 Visconti 1782 - 1807 (1788, IV), p. 17.
128 Gori 1855, p. 62, 63.
129 Come correttamente afferma Bulgarini 1848, p. 128, «questo è distante circa trecento metri dalla villa, e non vi sono fabbriche all’intorno, convien credere che sieno dalla medesima stati trasportati per ivi gettarli» .
130 Nella letteratura talora si legge, citando Bulgarini, di scavi condotti da De Angelis dopo Hamilton; al leggere l’autore tiburtino, p. 128, però, i ritrovamenti di De Angelis sono ben chiariti: «Inoltre da una nota lasciata dal Deangelis che era a parte dello scavo [di Hamilton], apparisce che vi furono anche estratti una statua di Baccante, mancante di varii pezzi, le teste di Pirro, e di Jole, un’erma di un Fauno, una testa di Gladiatore, due vasi con bassirilievi di baccanti, undici torsi di statue, quattordici teste, settantuno frammenti e pezzi di statue di differenti grandezze, quindici frammenti d’ornali diversi, dieci rocchi di colonne di alabastro, porfido, e giallo, ottantuno lastre di alabastro rosso, nero e verde, due iscrizioni una latina, l’altra greca. Piranesi dice che Hamilton rilasciò nel fondo del laghetto quantità di rocchi di colonne e marmi dei più ordinarii che presentemente si troveranno sottacqua, essendosene nuovamente in buona parte riempito» .
131 Guattani 1784, II, p. VI.
132 Nel ricordare che proprio il cardinale Marefoschi è il principale attore che interviene nel processo di soppressione della Compagnia del Gesù (1773), si potrebbe ritenere che tale area gli sia stata concessa alla morte del conte Fede (1744).
133 Visconti 1782 - 1807 (1784, II), p. 65, n. (c), «l’Endimione dormente presso Monsig. Marefoschi, statua pregevole dissotterrata due anni sono nella villa Fede, già villa Adriana, a Tivoli» .
134 Gori 1855, p. 64. Sebastiani 1828, p. 261, che attribuisce la paternità degli scavi al cardinale; Bulgarini 1848, p. 120,121 che scrive che la scultura si trova nei Musei Vaticani.
135 Brising 1911, pp 83-86, «Enligt Fredenheim är Endymion funnen i Augusti 1783, “bland ruinerna af Kejsar Adriani vidsträckta Villa vid Tivoli, icke långt från Centocelle, uti en liten kammare, hvars väggar voro beklädda med flere slags marmor, uti kejsarens palats vid piazza d’oro, under n: r 3 i Piranesis stora plan, vid ingången till trädgården, pä den sidan som är åt fiskdammen. Köpt af Konung Gustaf III den 19 augusti 1785, af ägaren Markisen Giov. Batt. Centini som rådde om jorden, och Monsignor Giov. Franc. Compagnoni Marefoschi, som anställde gräfningen. Statyn är af marmor kallad Greco duro, samt illa restaurerad af Giovanni Grossi. Då den köptes förvarades den i Villa Picchini (Adlerbeth säger Marefoschi, Armfelt Villa Cinque), där konungen såg densamma” (1860 års inventarium efter Fredenheim)»; cfr. Geffroy 1896, p. 446. Caira Lumetti 1990, p. 105 e seg., riporta anche la lettera che Francesco Piranesi invia al ministro svedese, informandolo del ritrovamento. La notizia appare anche nei giornali di quell’anno e, in particolare, nel Notizie dal Mondo, 71, 3 sett. 1785, «27 agosto [...] Il Sig. Cav. Francesco Piranesi per ordine di S. M. il Re di Svezia ha fatto acquisto della celebre Statua rappresentante Endimione dormiente di sublime Scultura già ritrovata nelli scavi della Villa Adriana in Tivoli dalli compadroni Signori Conti Centini, e Marefoschi. La suddetta Statua sì per l’eleganza de’ dintorni, che per il maneggio del marmo, l’espressione, e l’integrità del pezzo può stare a fronte delle più classiche e rinomate. Dal medesimo Sig. Cavaliere sarà spedita quanto prima a quella Real Corte»; cfr. DO, 1785, n. 1112, 27 agosto, p. 13,14, «Il Cav. Piranesi [Francesco] acquista un Endimione scavato a Villa Adriana e l’invia a Stoccolma al re di Svezia» .
136 Penna 1831-1836, II, t. 126.
137 Il numero delle celle varia a seconda dell’autore della pianta; Contini ne disegna solo 60 e nella pianta della Certosa sono 79.
138 In un’area esterna alla proprietà demaniale, nonché suddiviso in diverse proprietà, il che rende particolarmente difficoltosa la conduzione di uno studio accurato.
139 Che già prima di Contini l’area del Tempio di Venere sia stata chiamata «Piazza d’Oro» è confermabile dalla lettura di Ligorio e, in particolare del Libro, f. 37r, laddove scrive che «In un altro cantone di questo Circo [Ippodromo; Teatro Latino] contenuto da altri poggi suddetti [sostruzioni e Ninfei di Tempe] al piano di esso luogo, era unaltro spatio di unaltra piazza, che modernamente si dice Piazza dell’Oro [… f. 38v] e questo è quanto alla parte della Villa che si stende verso Tramontana et all’Oriente, accanto alla parte del portico Poicile».
140 In dipendenza della quantità dei lavori pubblicati, spesso ripetitivi, si riportano solo i primi dai quali è possibile stabilire i risultati ottenuti nel corso degli scavi e le ragioni dell’incerta identificazione: Salza Prina Ricotti 2003, p. 113-144; Salza Prina Ricotti 2004, p. 231-261; Mari 2003, p. 145-185; Mari 2004, p. 263-314; Mari, Sgalambro 2007, p. 83-104.
141 Sforza 1887, p. 438.
142 È altresì nota la sua attività nella vendita dei reperti rinvenuti, come testimoniato da numerose ricevute di pagamento riportate dalla letteratura.
143 Penna 1831-1836, IV, (1836), t. CXX, «fu tratto dalle rovine della villa Adriana nell’anno 1790 ed appena fu scoperto ne ordinò l’acquisto la S. M. di Pio VI per il Museo Vaticano, dove in oggi è collocato nella sala rotonda» .
144 Ibid., t. CVIII, «Questo superbo lavoro ebbe la fortuna di trovarlo nella villa Adriana Monsignor Marefoschi, allorchè cercava i pavimenti, ed in oggi esiste nella prima camera de’ busti al Vaticano»; cfr. Visconti 1782 – 1807, IV, (1792), p. 64,65, n. (c.).
145 Bulgarini 1848, p. 122, «si vede una specie di Basilica, creduta sala d’udienza, alla quale sta prossimo un edificio creduto l’abitazione de’ministri imperiali. Quindi viene la così detta piazza d’oro per la bella situazione e nobiltà degli edificii scopertivi. Era circondata da un portico di colonne di marmo bigio con capitelli corintii, sedici delle quali furono rinvenute in uno scavo fattovi nel 1783 dal conte Centini oggi al museo Vaticano, che adornano la sala delle Muse. Vi era un Tempio creduto di Cerere, di cui si vedono le rovine; molte camere e sale, tra quali una grande ornata di nicchie per statue chiamata da Piranesi Pinacoteca. Stanno prossimi i vasti portici già ornati di colonne che andavano a terminare presso l’Elio cammino. Tra queste fabbriche appartenenti al conte Fede vi furono scavati dal medesimo i seguenti oggetti oggi al museo Vaticano. Due consimili simulacri del Discobolo di Mirone, due are triangolari simili con bassirilievi, rappresentanti tre genii di Marte, con elmo, spada e scudo; il busto semicolossale di Antinoo, un Toro genuflesso, un vaso con bassorilievi; i Dioscuri frammento singolarissimo di scoltura, altro bassorilievo rappresentante la nascita di Giove: e da Monsignor Marefoschi si scavò il busto di Marco Aurelio» .
146 Ibid.
147 Penna 1831-1836, IV (1836), t. CXXV, «Fra le opere dell’arte scultoria che si riconoscono rinvenute in quella delizia imperiale, sotto il nome particolare d’intagli o di sculture di ornato [...] Due di queste are triangolari affatto simili anche ne’ loro bassorilievi, furono trovate in uno scavo fatto presso quei famosi ruderi nel 1791. Questa che vi presento venne acquistata per ordine della sa. me. di Pio VI. per il Museo Vaticano, conservandosi nella galleria dei Vasi e Candelabri, e l’altra l’acquistò il Sig. Jenkins, per cui non si conosce ove sia passata» .
148 Visconti 1782-1807 VI (1792), p. 43, n. (a).
149 Bonanni 1709, p. 6.
150 de Montfaucon 1719, II, p. 132.
151 Zannoni 1817, p. 79-88.
152 Zanetti 1743, II, t. 33.
153 Sir John Soane’s Museum, The travel drawings of Robert and James Adam, 26, f. 65.
154 Penna 1831-1836, IV, t. XCIX, «Parlando dunque del nostro Tripode di marmo, che nella villa di Adriano fu rinvenuto, nel sito detto Pantanello, stando al detto di Piranesi è di un lavoro straordinario, di esecuzione travagliatissima, bello in ogni sua parte. Di forma ellittica è la sua coppa o cratere, esternamente ornata di ovoli, caulicoli, e baccelli. Retta viene da due Grifi animali favolosi consagrati ad Apollo, e per maggior sostegno della coppa, vi è nel mezzo di sotto un piede ornalo divariati fogliami. È situato questo Tripode sopra di un zoccolo anch’esso di forma ellittica, egregiamente scorniciato ed ornato di minuto intaglio, il quale retto viene da sei teste bacchiche, due delle quali sono di fauni barbati con corna di ariete. Il tutto posa sopra di un altro piano di bizzarra idea, che si accosta ad una forma triangolare, il quale resta elevato da terra per mezzo di otto piccoli zoccoli scanalati» .
155 Piranesi, Vasi, candelabri, cippi..., t. 32.
156 Già ottenuta dal padre il 16 gennaio 1767.
157 Caira Lumetti 1990, p. 54; il cavalierato dell’ordine reale svedese della Stella Polare gli è conferito nel 1796.
158 Pietrangeli 1961a, XXXVI, p. 17.
159 Bevilacqua 2008, p. 236; 2, c. 15v. La ricerca mirata a definire l’identità di una nobildonna inglese di nome «Eliza Upton», vissuta negli anni di cui si tratta, ha dato quale esito solo una nota presente nel Liverpool Record Office, City Libraries, in merito alla registrazione della sepoltura avvenuta il «5 Oct 1769, St Peter, Liverpool, Lancashire, England, Eliza Upton», in Work House Register, Burials 1765-1769, p. 67, n. 28, LDS Film 1656377. Nell’ammissione che sia la medesima Eliza Upton cui Piranesi dedica l’incisione, l’ipotizzata modifica della tavola da parte di Francesco potrebbe risultare possibile in funzione dei ca 15 anni trascorsi dalla morte della nobildonna e la modifica della tavola.
160 Il 30 settembre del 1799 la Repubblica Romana, alla quale già dal momento della proclamazione (15 febbraio 1798) Francesco e Pietro Piranesi avevano attivamente partecipato, cade definitivamente in seguito all’abbandono delle truppe francesi e al rientro di quelle napoletane; i due fratelli fuggono a Parigi e poco dopo hanno notizia del saccheggio perpetrato nella loro casa romana da parte dei «napoletani» . Tale notizia potrebbe essere posta in relazione con la presenza a Napoli della pianta della Certosa di Villa Adriana.
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