Le piante secentesche
p. 105-126
Texte intégral
Le ragioni del nuovo finanziamento barberiniano di una pianta ortogonale
1Quanto per ora discusso permette di validare l’ipotesi dell’esistenza di una pianta di Ligorio, o a lui attribuita, revisionata da Contini tra il 1634 e il 1636; una veduta che, sebbene non giudicata «esatta», è comunque tanto apprezzata dal cardinale Francesco Barberini da meritare l’esibizione nel luogo dove sono custodite le sue rarità più preziose. Tutto ciò, se da una parte contribuisce a porre fine all’equivoco storico dell’esistenza della pianta di Ligorio, dall’altra, tuttavia, non rende chiare le ragioni per le quali lo stesso cardinale, trent’anni dopo aver conferito a Contini l’incarico di revisionare la pianta, affidi al medesimo architetto il compito di redigerne una nuova. Pianta, quest’ultima, la cui paternità è fortemente affermata dallo stesso Contini nella dedica del volume stampato nel 1668 per divulgare l’opera oramai compiuta non senza grandi difficoltà:
Franciscus Continus aggressus exquirere per insanas primum substructiones singula persecutus exin foris quae superant adhuc parietinas et rudera observate contemplatus ac metitus omnia tabulam hanc privatum fructum laboris sui publicam facit plana totius areæ descriptione proposita: quam ex vero desumpsit orthographia erecti operis adiecta quam animo ex vestigiis extantibus et ex singularum commensu partium informavit haud poenitendum operæ pretium sive ad antiquam romanorum magnificentiam principum æstimandam oculis sive ad præsentium rerum aliquando futurum occasum evidenti præteritarum exemplo repræsentandum.
2Se le ragioni all’origine dell’incarico traspaiono in quanto affermato dall’architetto, la conferma si ottiene all’analizzare il testo in parallelo con la prima memoria continiana scritta in Villa, sul muro del percorso nelle sostruzioni di Palazzo. Come già accennato, infatti, nel 1634 l’architetto chiarisce che l’incarico ha avuto per oggetto il riconoscimento dell’antico aspetto della Villa, antiqua faciem, mentre nel 1668 il suo compito consiste nella rappresentazione piana e ortogonale di quanto resta, ossia dello stato in cui versano le strutture della Villa, facit plana totius areæ descriptione proposita.
3Il cardinale Barberini, quindi, nel 1666 ritiene opportuno disporre di un’informazione grafica dettagliata, ortogonale, della Villa imperiale; non più, quindi, un «ritratto», bensì un elaborato misurato e misurabile. Quella che anima il cardinale è, dunque, una logica nuova che può essere stata indotta da più motivazioni, anche a carattere economico, ma che, certamente, trae origine dai temi di dibattito scientifico/culturale affrontati dai membri del suo entourage.
4Uno dei prodromi di tale nuova maniera di pensare dipende dall’arrivo a Roma di Athanasius Kircher. Il gesuita, dopo un faticosissimo viaggio, come al solito ben testimoniato nell’epistolario di de Peiresc1, giunge a Roma tra la fine del 1633 e l’inizio del 16342 con l’incarico di insegnare scienze e lingue, e colui che riesce nell’intento di fargli ottenere tale incarico è proprio il cardinale Francesco Barberini, non senza l’encomiastica intercessione di de Peiresc3, motivato dalla chiara fama che già riveste Kircher.
5L’arrivo del gesuita arricchisce la cerchia di intellettuali protetta dal cardinale Barberini: in stretto contatto con i più eminenti scienziati del tempo, Kircher è anche un esperto delle lingue ebraica e della copta, nonché studioso di egittologia e di geroglifici; tutte materie che rientrano negli interesse dei Barberini e, in particolare, di Urbano VIII e del «cardinale nepote» Francesco. Se, infatti, entrambi posseggono manoscritti redatti in tali lingue e sono desiderosi di ottenerne la traduzione, il cardinale è animato da un ulteriore motivo dato che, quasi in concomitanza con l’arrivo di Kircher, ha ottenuto e fatto portare nel giardino del suo palazzo al Quirinale i pezzi di un obelisco rinvenuto fuori Porta Maggiore, in prossimità del circuito delle mura Aureliane, per il quale ha subito affidato a Bernini il compito di progettare una base al fine di abbellire i giardini del medesimo palazzo4 (fig. 89).
6Uno dei compiti iniziali attribuiti dal cardinale al gesuita è proprio quello di tradurre i numerosi geroglifici incisi sulle superfici del monumento e gli erronei risultati ottenuti da Kircher non permetteranno a Francesco Barberini di apprezzare che si tratta proprio del monolite fatto realizzare da quell’imperatore, Adriano, la cui Villa tiburtina è oggetto di tanto interesse5 e del quale costantemente vengono trovati e analizzati documenti, come nel caso dell’epitaffio adrianeo scritto per commemorare il cavallo Boristene6, studiato dall’onnisciente de Peiresc nel 16297 (fig. 90).
7Tra i tanti dibattiti a carattere scientifico e culturale stimolati proprio da quest’ultimo, uno in particolare inizia a coinvolgere l’attenzione di Kircher, tanto da spingerlo a intrattenere una serrata relazione epistolare con gli esponenti di maggiore spicco della ricerca scientifica europea; un dibattito basato sulla necessità di rivedere la geografia e la cartografia, anche a partire dei recenti principi e strumenti introdotti da Galileo, diffusi e vivamente perorati sempre da de Peiresc. Quest’ultimo, infatti, già dal 1628 indicava che la riforma di tali materie doveva essere prevalentemente affrontata su saldi principi scientifici, «he was alwayes desirous to see Geography reformed »8, e a tal fine chiedeva supporto ai maggiori esponenti di tale materia, tra i quali Pieter de Bert (Petrus Bertius), l’oramai anziano geografo fiammingo, in quell’anno impiegato presso la corte reale parigina, «about which he then wrote to Petrius Bertius, exhorting him »9.
8Gli sforzi di de Peiresc avranno il primo esito solo quattro anni dopo la morte di de Bert, ossia quando, nel 1632, il cardinale Richelieu incarica de Peiresc e Gassendi, quest’ultimo professore di matematica e astronomo, di preparare un dossier di testi e mappe, «esatte», delle coste mediterranee, da usare a scopi militari. Ma il pieno successo occorre nel 1647, dieci anni dopo la morte di de Peiresc, quando l’oramai potentissimo primo ministro di Francia, quel cardinale Mazzarino che nel primo ventennio del secolo aveva «fatto ogni cosa per entrare nel servizio del Cardinale Antonio [Barberini] »10, a nome del dodicenne re Luigi XIV incarica l’ingegnere di corte, Jacques Gomboust, di redigere la nuova pianta di Parigi seguendo i più avanzati principi e metodi scientifici, «des règles de la Géométrie et des pratiques du compas et de la bussole »11, nonché innovativamente concepita con sottese finalità politico-amministrative; si tratta, infatti, di una delle operazioni propagandistiche poste in essere da Mazzarino per manifestare al resto dell’Europa la supremazia francese anche in ambito scientifico, attraverso l’espressione della grandezza e della monumentalità della capitale del Regno12.
9È la prima volta, quindi, che viene prodotta una pianta di città per volontà politica ed è la prima volta che riceve l’apprezzamento del pubblico una pianta rilevata secondo i più moderni principi trigonometrici13, nonché disegnata quasi completamente in vista ortogonale, solo con i maggiori edifici della città rappresentati in assonometria; si tratta, quindi, dell’indicazione di un importante cambiamento di pensiero che inizia a pervadere la società Nord europea e che induce a quella rivoluzione scientifica nel settore della cartografia urbana14 che in Italia raggiungerà il pubblico favore solo cent’anni dopo, con la nolliana «esattissima» pianta di Roma.
10L’incarico della pianta di Gomboust dipende da un insieme di condizioni al contorno che si vengono a creare nell’ambito parigino, tra le quali un ruolo di primo piano è assunto dalla fondazione dell’Academia Parisiensis (che in seguito diverrà l’Académie des Sciences) organizzata da padre Marin Mersenne, nella sede conventuale parigina dell’ordine religioso dei Minimi di S. Francesco di Paola, nel 1634, ossia proprio l’anno contrassegnato dall’arrivo di Kircher a Roma; accademia, questa, che Mersenne fonda al fine di favorire gli scambi a carattere culturale e scientifico tra tutti gli esponenti del mondo intellettuale dell’epoca15. Tale pensiero, che ricalca appieno l’agire di de Peiresc (che, assieme a Galileo e a Kircher, non manca di divenire corrispondente dell’accademia parigina), è subito apprezzato dai maggiori scienziati e intellettuali dell’epoca, con interessi volti, per lo più, alle discipline filosofiche, matematiche, fisiche, geometriche, geografiche, astronomiche e ottiche16.
11Il fervore accademico parigino non trova corrispondenza a Roma; tra il 1630 e il 1633, con la morte di Federico Cesi e la condanna di Galileo, gli accademici sono frastornati e, tra loro, il cardinale Francesco non lo è da meno, travolto dall’ammirazione nei confronti dello scienziato pisano e dalla dovuta fedeltà alla chiesa inquisitrice; tra l’altro le pressanti questioni politiche che iniziano a permeare Roma non gli permettono di dedicarsi alle attività intellettuali, come egli stesso dichiara in una lettera inviata a de Peiresc: «Non mi lasciano molto tempo vacuno le mie ordinarie occupazioni, è però non mi sarà permesso di godere, come più desiderarei molto frequentemente la dolce conversazione di esso Sig.re di Boissieu, et non senza grande mia mortificazione, che vedrò contra mia voglia impedito il godimento di quello che più bramerei, e vorrei »17.
12La situazione sembra appianata nel giro di tre anni18 tanto che, nel 1639, alla morte del fidato Ménestrier e su raccomandazione di Cassiano Del Pozzo, il cardinale assume immediatamente un nuovo antiquario, quel Leonardo Agostini che, nominato nel 1655 commissario di tutte le antichità di Roma e del Lazio, avrà modo di scavare a Villa Adriana19.
13Tutto si capovolge di nuovo il 15 settembre del 1644 quando, 48 giorni dopo la morte di Urbano VIII, viene eletto al soglio pontificio Innocenzo X Pamphili e per l’intera famiglia Barberini si concretizza quel triste periodo, le cui avvisaglie erano in essere già dalla morte del Papa20, che Domenico Bernini, figlio di Gian Lorenzo, protetto dai Barberini, indicherà quale «Avversione di Innocenzo contro i Barberini» e «Persecuzione contro il Cavaliere [Bernini] »21.
14In seguito all’elezione, Innocenzo X inizialmente agisce sul membro più debole della famiglia, il laico Taddeo Barberini, al quale viene «tolta la dignità di Generale della Chiesa e messagli anche in pericolo quella di Prefetto di Roma »22, mentre il cardinale Antonio
se ne stava in guardia: cosicché visti alcuni suoi servitori in prigione, impensieritosi del suo grave rischio, pensò bene di darsi alla fuga: e, segretamente in fatti se ne partì da Roma, raggiunse Genova e, imbarcatosi, si ricoverò in Francia (settembre 1645) dove pur giunsero sul principio dell’anno seguente Francesco e Taddeo. In Roma sequestri di tutte le entrate godute nello Stato ecclesiastico dal cardinale; distribuite le sue cariche ad altri cardinali; deputato un valente fiscale a rivedere i conti della sua amministrazione; pubblicato un editto con cui gli si minacciava di togliergli tutto e anche il cappello ove dentro sei mesi non comparisse innanzi alla giustizia: e perchè i Barberini fecero dire al papa di esser francesi e quindi ordinarono si alzassero alle porte dei loro palazzi gli stemmi di Francia, un’altra bolla (21 febbraro 1646) in cui si dichiaravano decaduti dal diritto d’intervenire nel conclave tutti i cardinali che, senza permesso del pontefice, fossero assenti da Roma. Così si colpivano a un tempo il Mazzarini e i Barberini23.
15In effetti i Barberini, tra il 16 gennaio e il 3 marzo del 1646 sono riuniti a Parigi, «sur l’invitation du cardinal Mazarin, vinrent demander un refuge à la France, et l’hospitalité au palais naissant de la rue de Richelieu. Etablis, pour ainsi dire, au milieu des projets et des constructions »24, e, dato che i due fratelli cardinali dimorano nel palazzo di Mazzarino (già Tubeuf25), fino al 164826, si deve ritenere che siano stati testimoni dell’incarico affidato a Gomboust.
16Due uomini politici, entrambi con un’elevata preparazione nel campo scientifico e culturale, quali sono i fratelli cardinali, non possono che aver recepito l’innovazione introdotta da Mazzarino, comunque derivata dalla grande attività svolta in quel settore dall’oramai scomparso de Peiresc. Se, pertanto, nei primi anni successivi al rientro della famiglia a Roma, le attività scientifico/culturali dei fratelli cardinali subiscono un ovvio periodo di sospensione, dipendente dalla necessità di chiudere il periodo di «avversità» – non senza aver recuperato denari e dignità cardinalizia –, sarà a partire dal 1654, anno del matrimonio tra Maffeo Barberini e Olimpia Giustiniani (il figlio di Taddeo e la pronipote del papa), o, meglio ancora, dal 1655, anno della morte di Innocenzo X e dell’elezione di Alessandro VII Chigi, che i Barberini riescono a riprendere uno stile di vita simile a quello che li aveva contraddistinti dodici anni prima27 e, quasi a testimoniare il rinnovato interesse per quella «riforma della cartografia e della geografia» che tanto avevano perorato de Peiresc e Kircher, proprio nel 1655 giunge a Roma il nuovo segretario assunto dal cardinale Antonio, il giovane gesuita e geografo Michel Antoine Baudrand che, appena quattordicenne, nel 1647 aveva già collaborato con Briet, «qui imprimoit alors son livre de la Geographie ancienne & nouvelle, dont le jeune Baudrand corrigeoit les épreuves »28.
17Le ragioni dell’assunzione di Baudrand da parte del cardinale Antonio non appaiono tra gli argomenti discussi dalla letteratura, come, d’altro canto, quasi nulla è noto in merito al segretario se non la sua attività di geografo e cartografo svolta anche nel corso nel periodo di residenza in Italia che, come riportato dalle minime fonti biografiche, si protrae, sempre al servizio del cardinale Antonio Barberini, fino a poco prima della morte di quest’ultimo, avvenuta nell’agosto del 167129. Certo è che Baudrand è in contatto con Petit30 e, ovviamente, con i maggiori geografi e cartografi dell’epoca; altrettanto certo è che la stampa delle sue opere di tema geografico e cartografico è curata nella bottega di Giovanni Giacomo de Rossi fino al 1669 e, in seguito, le ristampe sono prodotto della bottega del figlio adottivo dello stampatore. Sono proprio le attività e la spietata concorrenza tra le botteghe della dinastia dei de Rossi che, in questi anni, palesano il fermento scientifico nell’ambiente culturale della città, ancora diviso tra i conservatori che perorano la qualità delle piante vedutistiche e gli innovatori che cercano di affermare le nuove tecniche cartografiche31.
18Appaiono, dunque, chiari i motivi per i quali il cardinale Barberini, trascorsi gli anni de «l’avversione», dopo aver recuperato denaro e tranquillità, nel 1666, nel tornare a occuparsi di questioni a carattere culturale e conscio del dibattito cartografico in essere, riprenda il tema della pianta della Villa Imperiale tiburtina e, accogliendo la richiesta di Contini, finanzi il nuovo rilievo dell’opera e la conseguente stampa del volume.
Contini, Kircher e i Barberini
19Il quadro degli avvenimenti che intercorrono tra i due incarichi conferiti dal cardinale Barberini a Contini nell’arco di un trentennio suggerisce le ragioni scientifiche che motivano il secondo incarico e sottende un rinnovato interesse antiquario dei Barberini nei confronti della Villa imperiale tiburtina. La seconda metà del Seicento è, di fatto, connotata dalla rifioritura di opere pertinenti la storia di Tivoli e, con essa, di Villa Adriana, come indicato anche da Pierattini32,
Nel 1646 il Marzi pubblicò la sua Historia di Tivoli, che in seguito trovò una ristampa in edizione ampliata, a Roma nel 1665. Quello stesso anno in appendice all’opera del Marzi vide la luce la Serie dei Vescovi e dei Governatori di Tivoli, di cui era autore un ospite del cardinale Spada, l’abate Michele Giustiniani. Di questa cerchia culturale faceva parte anche il canonico Fabio Croce, che nel 1664 pubblicò il suo Idillio sopra le Ville di Tivoli, che riscosse molta ammirazione.
20Al risveglio letterario fa eco l’iniziale produzione di stampe a carattere paesaggistico nelle quali è raffigurata la parte archeologicamente più accattivante della città, come nel caso delle due vedute pubblicate da Gio. Giacomo De Rossi nel Vestigi delle Antichita di Roma, Tivoli, Pozzuolo & altri Luochi con incisioni di Sadeler, o delle vedute tiburtine Gaspard Dughet Poussin (cognato del più celebre Nicolas), cui iniziano a fare eco le vedute di parti della Villa Adriana, come, pe, l’acquaforte Ruine d’un temple de la villa Adriana tratta da un disegno di Asselijn; opere che ricevono il favore del pubblico anche in funzione della bellezza, della quantità e delle particolarità di quanto si continua a rinvenire nel sito archeologico adrianeo. In effetti, le eccellenze artistiche della Villa33 attraggono sempre più visitatori e studiosi, come trasmesso da Bellori in merito agli studi condotti da Algardi, «Siché Alessandro, oltre li buoni esempi di Rafaelle e di Giulio Romano, trasferissi a Tivoli a disegnare qualche reliquia della Villa Adriana tanto celebre »34, e ancor più numerosi sono coloro interessati alle opere, già asportate, visibili a Roma, le cui citazioni sono sempre più frequenti35.
21Tale interesse ha le basi anche nel rianimato fermento culturale posto in essere da Alessandro VII Chigi; pontefice che, se negli anni di Urbano VIII aveva particolarmente ammirato il clima di vivacità scientifica e culturale, anche a carattere internazionale, animato, anche e non solo, dai membri dei circoli protetti e incoraggiati dai Barberini, nel corso del pontificato di Innocenzo X, benché per lo più vissuto fuori dall’Italia, non aveva molto apprezzato la stasi intellettuale della corte Pamphili.
22Anche l’acceso dibattito che anima gli stampatori romani in termini di esattezza delle sempre più frequenti piante della città, iniziale frutto della riforma della cartografia già perorata da de Peiresc e da Kircher, è assimilato dal nuovo pontefice in termini politico/ amministrativi, tanto che
nel 1660, allo scopo di effettuare tassazioni più congrue [inerenti la percorribilità delle strade, ossia la riforma della Taxa viarum], Alessandro VII dispone che ciascun proprietario di casale giacente lungo le strade consolari debba far eseguire da un perito agrimensore la pianta esatta della sua proprietà e che ciascun proprietario di vigna debba consegnare una dichiarazione della superficie e della qualità del terreno, detta assegna. Pur se raccolte secondo una volontà unitaria e istituzionale, le mappe del Catasto Alessandrino presentano un carattere fortemente eterogeneo e ciò è dovuto sia alla realizzazione a cura di diverse mani di agrimensori che ai diversi periodi in cui furono redatte, essendo alcune di esse copie di disegni più antichi, già in possesso dei proprietari. Il rilevamento delle tenute dell’Agro non ha come unico scopo quello di ottenere una migliore conoscenza dei fondi e delle proprietà per scopi fiscali. A questo, infatti, si associa anche un motivo di politica agraria, finalizzato a precisare le caratteristiche e le possibilità produttive delle aziende allo scopo di assicurare i rifornimenti alimentari alla città. Per questo motivo le mappe presentano regolarmente non solo una perimetrazione esterna accurata, ma anche una precisa suddivisione interna, con le relative misure e le principali categorie di uso del suolo presenti nell’Agro Romano: terreno seminativo a coltura estensiva suddiviso in quarti agricoli, prato, pascolo, bosco, raramente vigna e giardino intorno agli edifici del casale e per le tenute costiere anche macchia e tumoleto, boschi o macchie per la caccia.36 (fig. 91).
23In tutto ciò le maturate conoscenze agrimensorie aprono a Contini le porte della «Presidenza delle Strade» nella quale lo si trova quale «architetto sottomastro di strade», carica tecnica alla quale competeva la cura di interi assi stradali, seconda solo a quella di «mastro »37, riservata a membri del clero e direttamente attribuita dal pontefice. Con tale ruolo Contini, tra il 1659 e il 1661, è attivo redattore di rilievi e piante per il redigendo Catasto Alessandrino38 ma appare anche quale autore di mappe redatte per istituzioni religiose, come, per esempio, il monastero di S. Paolo39, oppure per privati (firmate semplicemente come «Francesco Contini »40), tra i quali, ovviamente, si trova il principe Maffeo Barberini al servizio del quale riprende le attività professionali quale architetto di «case »41 ; ruolo, quest’ultimo, che manterrà fino alla morte e che lo vedrà attivamente impegnato nella sistemazione del palazzo padronale e nelle altre costruzioni barberiniane a Palestrina42, e che, probabilmente, sarà funzionale per la redazione della nuova pianta della Villa imperiale tiburtina.
24Al ricordare che l’annosa querelle sollevata da Salza Prina ha per oggetto proprio la pianta di Villa Adriana che Kircher inserisce nel suo Latium, certamente copiata dalla continiana, ma priva, a detta della studiosa, delle giuste referenze in merito all’autore, si rende innanzi tutto necessario verificare se l’omissione della paternità deriva dal normale modus operandi kircheriano, oppure se è stata determinata da una qualche peculiarità. Ciò può essere analizzato a partire dall’opera sulla storia di Palestrina43 scritta da Giuseppe Maria Suares, bibliotecario del cardinale Francesco Barberini, nella quale sono presenti diverse illustrazioni a firma di Ménestrier e di Cassiano del Pozzo e altre ancora incise da Domenico Castelli su disegni di Pietro da Cortona, tutti membri della Familia Eminentissimi Cardinalis Barberini44, tra i quali spicca l’assenza di Contini. L’architetto, quindi, alla luce di quanto osservato, non può essere genericamente definito «architetto dei Barberini», bensì deve essere considerato al servizio del solo ramo laico della famiglia e ciò potrebbe costituire un primo indizio in merito alle scelte compiute da Kircher.
25Poco meno di vent’anni dopo la pubblicazione dell’opera di Suares, Kircher stampa il Latium, e nel volume, oltre alle diffuse ed elogiative citazioni rivolte a Suares, a Menéstrier e a Cassiano Del Pozzo, ai quali attribuisce la paternità di alcune illustrazioni45, inserisce due tavole ricostruttive del Santuario46 di Palestrina, stampate in un solo foglio doppio, e la tavola del particolare del mosaico del Nilo, già tutte inserite nell’opera di Suares; inoltre, nelle due tavole ricostruttive Kircher omette qualsiasi referenza in merito ai disegnatori e incisori e, addirittura, nell’ultima indica chiaramente che si tratta di un Fragmentum musiva arte concinnatum, quod tamen in nostro lithostroto non continetur ex Suaresio47 (fig. 92).
26Scorrendo le pagine del Latium si nota che sono presenti altre tavole prive di credenziali, interposte a numerose illustrazioni, tutte comprensive dei nomi dei rispettivi autori, come nel caso della prima tavola, nella quale è illustrato l’intero territorio laziale, Studio & Opera Authoris & Innocenzo Mattei Monachi Camaldulensis, o del Tusculani Territorii, parzialmente copiata dalla Cluverianis Tabulis Geographica48 o, ancora, della veduta a volo d’uccello di Palestrina e della tavola raffigurante l’intera porzione rimasta, e ricostruita, del mosaico del Nilo, opere di «Agapito Bernardini pittore prenestino »49. Sarebbe possibile, pertanto, stabilire che le tavole anonime siano opera di Kircher, se il suo nome non apparisse, con la chiara credenziale di autore, Aut. Ath Kirc., nella tavola illustrativa della Regionis Volscorum50 e se alcune illustrazioni non fossero evidenti copie tratte da lavori pubblicati in precedenza, se non contemporanei, come nei casi della pianta di Tivoli tratta da Stoopendaal51 e della continiana pianta di Villa Adriana.
27Tali basi potrebbero verificare quanto prima prospettato in merito alla probabilità che il comportamento kircheriano sia indotto da una sorta di cortigianeria, tale da fargli segnalare solo i più illustri protetti dei cardinali Barberini; ipotesi che potrebbe trovare supporto dalle citazioni del tale Agapito Bernardini, noto che questi è incaricato dal cardinale Francesco52. Altrimenti sarebbe possibile pensare che i mecenatistici rapporti tra i cardinali Barberini e Kircher si siano interrotti53 o, ancora, più realisticamente, si può stimare che Kircher inserisce le credenziali solo nei casi in cui può disporre delle lastre originali, ossia che ciò non avviene quando fa incidere nuove lastre, copiandole da stampe già pubblicate54. Prima di verificare le ipotesi, però, si rende necessario discutere altre informazioni inerenti l’approccio scientifico di Kircher a Villa Adriana.
28Come si legge nella sua autobiografia, Kircher frequenta Tivoli già dal 1661, «Essendomi nel detto anno recato a Tivoli per recuperare le forze, e contemporaneamente raccogliere materia sull’antichità per completare il Latium »55, e, nel corso di tale soggiorno, visita il santuario della Mentorella, tra Palestrina e Tivoli, già oggetto uno dei suoi lavori minori, Historia Eustachio-Mariana56, dato alle stampe nello stesso anno della pubblicazione del lavoro di Suares. Anche in quest’opera Kircher ha modo di inserire alcuni disegni e, tra tutti, emerge il Corographia nova Montis Vulturelli seu Polani57, una mappa territoriale nella quale compare anche la localizzazione della «Villa d’Adriano» e del Ierocomium olim Villa Traiani Caesaris, idem est58. Le informazioni in merito alla Villa Elia tiburtina, però, sono assai scarne e non si allontanano da quanto appare nelle piante territoriali stilate in anni precedenti, con l’eccezione della peculiare attenzione dedicata da Kircher ai tracciati e alle strutture di ricetto e di derivazione degli acquedotti antichi59 che, tuttavia, nella mappa appaiono completamente estranei all’ambito della proprietà adrianea (fig. 93). Dato che il medesimo tema è ben sviluppato del Latium60, si deve ritenere che lo studio inserito nell’opera della Metorella sia stato tra le basi fondanti della ben più poderosa e successiva opera e, a latere, si deve affermare che, diversamente da quanto indicato dalla letteratura, Kircher inizia a raccogliere materiale per il Latium, quanto meno per la parte tiburtina, già una decina di anni prima del 1661.
29Nelle tavole che Kircher inserisce nel Latium emergono alcune interessanti indicazioni in merito alla logica che il gesuita adotta per illustrare ciò che ritiene rilevante nelle diverse porzioni territoriali nelle quali divide l’ambito regionale. Si nota, infatti, che per ogni tema procede secondo una vera e propria catalogazione per tipi cartografici, a partire dalle tavole corografiche, Chorographica Delineatio, passando poi a quelle topografiche, Tusculani territoriii topographia, alle vedute, Descriptio, alle piante e ai prospetti di singoli monumenti, Delineatio, per finire con le tavole che, inserite infra testo, non derivano da rilevamenti, bensì sono spesso elaborate sulla base di precedenti mappe allo scopo di illustrare alcune peculiarità ritenute di prevalente significato61.
30La particolare propensione di Kircher nell’illustrare gli elementi da lui giudicati di particolare importanza, facendo ricorso a più tavole è chiaramente sinonimo di quella evoluzione dei metodi di rappresentazione, in particolare di quelli rivolti all’illustrazione cartografica, dallo stesso gesuita perorata e che, sebbene ancora molto lentamente, sta coinvolgendo anche l’ambiente romano. Il delicato momento di passaggio tra una rappresentazione tradizionalmente consolidata e la nuova maniera, assai più rigorosa dal punto di vista scientifico, si riscontra, infatti, anche nelle scelte che Kircher adotta per illustrare le peculiarità del territorio tiburtino e, all’interno di questo, di Villa Adriana. Scelte che, nel Latium, sono estrinsecate dalla presenza di tre elaborati grafici le cui diversità sono da porre strettamente in relazione alle informazioni che il gesuita vuole trasmettere. Se, infatti, nella minuscola tavola redatta per dimostrare come l’antica Pedum62 sia in posizione baricentrica rispetto al triangolo con vertici in Tibur, Tusculum e Roma, Kircher sottende la sua conoscenza del metodo trigonometrico, oggetto già di numerosi studi condotti con specifico riferimento alle misurazioni geodetiche63 (fig. 94), nella mappa Territorii tiburtini Veteris et novi Descriptio. Una cum Veterum villis Oppidis aliisque Locis commemorationes digns il gesuita illustra Villa Adriana (fig. 95), certamente in maniera molto sintetica e adottando la tecnica della veduta a volo d’uccello, tale quale compete a una raffigurazione soggiacente al proposito commemorativo dell’intestazione. Infine, quale corredo alla descrizione analitica dei resti della Villa imperiale tiburtina, Kircher inserisce l’Exactissima Icnographia della Villa Adriana, ossia la pianta copiata dalla continiana, che costituisce l’unico caso di una rappresentazione rigorosamente planimetrica.
Riscontri e verifiche tra le piante di Contini e di Kircher
31Sulla base di quanto sinora visto, se da una parte si giustificano le ragioni che inducono Kircher a inserire nella sua opera la pianta ortogonale della Villa, tratta da quella che solo poco meno di 3 anni prima era stata pubblicata da Contini, dall’altra sembra abbastanza chiaro che il cardinale Francesco Barberini finanzia il rilevamento, la restituzione grafica e la stampa della pianta di Contini, aderendo a chiari principi mecenatistici che, come tutto reca a credere, potrebbero essere prevalentemente dipesi da specifica richiesta dello stesso Contini, desideroso di applicare i più moderni principi scientifici – dei quali, l’architetto, oramai in età avanzata64, deve essere considerato in pieno possesso – a quella Villa che aveva iniziato a studiare trent’anni prima e per la quale, evidentemente, voleva riscattare la fallimentare esperienza precedentemente svolta.
32Certo è che nel 1666 e sicuramente fino al 1668, anno nel quale Contini pubblica la sua pianta e Kircher ottiene l’imprimatur del suo Latium, il cardinale Francesco custodisce ancora, «gelosamente», la veduta della Villa attribuita a Pirro Ligorio, come testimoniato proprio dal gesuita, ed altrettanto certo è che nel 1750 l’abate Ridolfino Venuti, solo un anno prima della «riedizione» della pianta di Contini, non solo afferma che è nota l’assenza di una pianta di Ligorio, «che io non ho vista», ma indica anche chiaramente, e correttamente, che la maggior parte della distruzione della Villa è avvenuta proprio dai tempi di Ligorio in poi, dato che una delle ragioni per trovare la pianta di Ligorio consisterebbe proprio nel «vederla [la Villa] come cavata in tempi, che la fabbrica era più intera» . Venuti, inoltre, prosegue affermando che, in quel momento, esistono due piante della Villa imperiale tiburtina, una redatta da Kircher e l’altra da Contini, sebbene quest’ultima «non so quanto accurata e veridica »65.
33Il giudizio di Venuti in merito alla qualità della pianta di Contini è assai particolare e merita una riflessione più accurata in relazione alla marcata differenza che lo studioso sottende tra quest’ultima e l’elaborato di Kircher. A tal ragione occorre prendere le mosse dalla letteratura e osservare che, subito dopo Venuti, tra i primi a riportare una diacronia complessiva degli studi inerenti la Villa, non scevra di fraintendimenti, vi sono Nibby e Canina; in particolare, il primo ha modo di precisare che:
La pianta di Ligorio accompagnata da una esposizione, rifusa da Francesco Contini e messa in latino, fu pubblicata separatamente, poi inserita nel Latium del Kircher l’anno 1671: e nuovamente riprodotta col testo latino e italiano nel 1751. Questa pianta colla citata esposizione, servì di norma alle descrizioni di Kircher, Volpi, Cabral, e di quanti mai hanno scritto su questo soggetto: e specialmente dee riguardarsi come base di quella bellissima pianta, oggi divenuta molto rara, data alla luce da Francesco Piranesi nell’anno 178666.
34A partire dalle erronee affermazioni per le quali la pianta di Ligorio sia quella di Contini del 1668, «pubblicata separatamente», sebbene «messa in latino», e poi inserita nel Latium, si percepisce che per Nibby la questione è divenuta ancora più intricata e ciò è sottolineato da Canina quando inizialmente specifica:
Dal Ligorio Pirro si hanno diverse memorie su Tivoli ed in particolare sulla villa Adriana, che furono esposte intorno l’anno 1634 e di nuovo pubblicate in Roma nell’anno 1751 da Contini Francesco col titolo, Pianta della villa Tiburtina di Adriano Cesare. Una importante illustrazione si ha dal padre Kircher Atanasio nel suo Volume pubblicato in Amsterdam nell’anno 1671 col titolo, Latium67
35e quando in seguito approfondisce, non senza continuare ad attribuire alla pianta di Contini l’intestazione pertinente la ristampa del 1751,
Quindi la surriferita narrazione del Ligorio, corredata dalle osservazioni fatte dal medesimo Antonio Del Re e Francesco Marzii, come venne dichiarato dal Kircher, fu da esso riprodotta unitamente alla pianta della villa stessa nel […] Latium pubblicata nell’anno 1671. Venne anche in precedenza di tale pubblicazione la medesima pianta corretta dall’architetto Francesco Contini e fatta incidere in grandi fogli per disposizione del cardinale Francesco Barberini governatore di Tivoli col titolo: Villae celeberrimae ab Adriano Caesare in agro tiburtino extructae vera et exactissima ichnographia ab Pyrrho Ligorio olim, postea a Francisco Contini recognita et descripta, jussu eminentissimi Francisci Card. Barberini68.
36Se già da queste prime indicazioni si desume che all’inizio dell’Ottocento è rimasta la chiara memoria della pianta di Ligorio, mentre è obliterata la pianta di Contini del 1668, la letteratura successiva contribuisce a confondere la questione, come nel caso di Kähler che, innanzi tutto, e chissà come, indica la data nella quale Ligorio avrebbe disegnato la sua pianta, per poi attribuire a Contini solo la ristampa del 1751, affermando che l’avrebbe preparata nel 1634 ma che sarebbe stata stampata da Kircher nel 167169.
37A partire dal primo lavoro che Salza Prina dedica al tema, la letteratura successiva elimina Ligorio dalla lista degli autori e, in accordo con la studiosa, mantiene saldamente la convinzione che la pianta pubblicata Kircher è una mera ristampa di quella continiana, sempre e comunque tratta dall’originale eseguito tra il 1634 e il 1636.
38Escludendo da tali considerazioni la parte inerente Ligorio, diffusamente trattata in precedenza, occorre rivolgere l’attenzione alla questione secondo cui Kircher «fece reincidere su rame la pianta del Contini »70, che risulta affrontabile solo mediante un’attenta verifica dei due elaborati e, in particolare, occorre analizzare con maggiore attenzione il Latium di Kircher al fine di evidenziare alcune particolarità in merito alla parte inerente Villa Adriana. Il poderoso e diffusissimo volume ha dimensioni pari a 39 × 25cm con le pagine di circa 37×23.2cm e, al leggere l’indice, disposto in chiusura delle prime pagine stampate senza numerazione, dopo l’antiporta allegorico, il ritratto con la dedica a Papa Clemente X, e la prefazione al lettore, si ha modo di apprezzare la sequenza logica adottata da Kircher per lo sviluppo dell’opera; il volume, infatti, è composto da cinque Libri, dei quali il primo è dedicato alla origine e alla storia del Lazio, il secondo è suddiviso in quattro parti nelle quali sono trattati, nell’ordine, l’Ager Latinus propre dictus, l’Ager Tusculanus, Præneste sive ager Prænestinus, la Regio Labicorum, Hernicorum, aliorumque in meditullo Latii. Il terzo Libro è completamente dedicato al De Antiquitate Tyburtinæ Urbis e, nella parte seconda, al capo III, tra le pagine 145 e 153, si trova un testo dedicato alla De Celeberrima Villa Adriani Imperatoris, in Agro Tyburtino.
39Se, pertanto, dall’indice si riscontra esclusivamente il maggior peso attribuito al territorio tiburtino, il solo al quale sono dedicati ben due Libri71, la questione si complica a partire dalla pagine successive. Come emerso dallo spoglio degli esemplari custoditi in numerose biblioteche, infatti, esistono almeno quattro varianti principali dell’impaginato delle quali la più diffusa è quella che, dopo l’ultima pagina dell’indice, presenta il fascicolo il Totium Plani Villa Adriana declaratio generalis, ossia la legenda della pianta continiana tradotta in latino. Il testo, pariteticamente alla struttura del volume, è impaginato entro due colonne tra loro separate mediante una linea verticale ed è suddiviso, come nel Dechiaratione (legenda) di Contini, in XV capitoli. I fogli che compongono tale fascicolo non sono numerati e, diversamente dall’intero volume, non hanno l’intestazione al capo di ogni pagina72; il fascicolo, inoltre, come visibile nelle copie custodite in alcune biblioteche73, termina con un foglio che contiene una tavola, debitamente incorniciata e con cartiglio, ma carente di barra grafica, nella quale è rappresentata l’area di S. Stefano, tratta dalla pianta di Villa Adriana di Contini.
40La seconda variante dell’impaginato comprende i volumi nei quali la tavola illustrativa dell’area di S. Stefano è seguita dalla prima tavola cartografica, quella della corografia del Lazio redatta da Innocenzo Mattei di cui si è discusso in precedenza, seguita dal «Libro I», la cui prima pagina reca l’indicazione numerica, «Fol. 1» . Tale indicazione, espressa mediante la successione in numeri arabi, si ritrova in tutte le pagine successive, comprese quelle che, a partire dalla 145, contengono, al capo III del terzo Libro, il De Celeberrima Villa Adriani Imperatoris in Agro Tyburtino. Questo testo, completamente dissimile dal continiano, deve essere pienamente attribuito a Kircher e, benché molto mediato da Ligorio, come leggibile dalle diffuse citazioni, costituisce la testimonianza diretta delle esplorazioni di Kircher nella Villa e, più in particolare, nelle aree di proprietà dei gesuiti e nelle porzioni meridionali del sito archeologico, come dimostrabile dalla trattazione, molto più ampia e dettagliata rispetto alle rimanenti zone. La descrizione della Villa, che Kircher suddivide in più paragrafi e sotto paragrafi74, è completata, tra le pagine 150 e 153, dalla Brevis Compilatio. Præcipuorum Locorum, quæ in praesenti hujus Villae, Ichnographia Spectantur, nella quale l’autore sintetizza la legenda continiana della pianta.
41La terza variante contiene, sempre con le medesime caratteristiche editoriali prima descritte, il testo del Totium Plani di Villa Adriana inserito tra le pagine 152 e 153, ossia precedente la pianta della Villa imperiale tiburtina75, mentre il medesimo testo, sempre seguito dalla pianta, si trova alla fine del volume, dopo l’Index Rerum ac Materiarum, nelle copie che rientrano in una sotto-variante.
42La quarta e ultima variante comprende i volumi che presentano l’incollatura delle due tavole in cui è suddivisa la pianta e i volumi nei quali è stata incollata anche la tavola dell’area di S. Stefano, in maniera di ottenere una pianta completa, senza soluzione di continuità.
43Come chiaramente intuibile, le caratteristiche tipografiche illustrate e la fioritura di varianti del volume hanno per oggetto esclusivamente la disposizione e il numero delle tavole contenenti gli elaborati grafici pertinenti la Villa e la diversa collocazione del fascicolo nel quale è riportata, tradotta in latino, la Dechiaratione di Contini e tali differenze, quando associate alle date nelle quali Kircher chiede l’imprimatur (1668) e stampa l’opera (1671), nonché quando analizzate in relazione alla data di stampa del volume di Contini (1668) e alla data della morte di quest’ultimo (luglio 1669), iniziano a fare luce sulle ragioni di tutta l’intricata questione del debito kircheriano nei confronti di Contini.
44Maggiore chiarezza può essere fatta analizzando, per comparazione, gli elaborati grafici, a partire dalle loro diverse posizioni e formati, per poi passare al controllo della rappresentazione dei complessi e del territorio e, infine, all’analisi degli stilemi grafici. Innanzi tutto, dai volumi del Latium nei quali la pianta della Villa è presente su due tavole separate, senza la porzione di S. Stefano, si osserva che entrambe sono stampate su fogli doppi e che ciascuna delle due porzioni è debitamente incorniciata mediante una fincatura perimetrale (fig. 96). Di tali porzioni la prima, in ordine di rilegatura, è quella con il disegno della parte meridionale della Villa, nella quale è inserito un artistico cartiglio da cui si apprende che si tratta della
Villæ Celeberrimæ, ab Adriano Cæsare in Agro Tiburtino Extructæ vera et exactissima Ichnographia ab Pyrro Ligorio olim. postea a Francisco Contini recognita, et descripta, jussu Eminentissimi Francisci card Barberini
45e, conseguentemente, emerge che Kircher indica, forse con troppa sintesi, che la pianta della Villa, già disegnata da Pirro Ligorio e rivista da Contini, da quest’ultimo è stata successivamente rilevata e descritta, ossia che, diversamente da quanto sostiene Salza Prina, il gesuita, pur ricordando il più illustre precedente, attribuisce a Contini la paternità della pianta che pubblica.
46Occorre sottolineare, inoltre, che le due porzioni planimetriche non sono perfettamente unibili, come ben evidenziabile dalla generale mancanza degli allineamenti e, più che mai, dall’assenza, nella prima tavola (con cartiglio) della porzione di completamento dell’edificio a imposta rettangolare del quale una muratura appare prossima al bordo laterale, destro, della seconda tavola; tale edificio, disegnato interamente da Piranesi e indicato da Penna quale «Tempio di Pluto», del quale oggi rimangono alcuni resti, con tratti di pavimenti a mosaico a disegni floreali e geometrici76, è indicato nel Dechiaratione di Contini77 quale edificio diruto del quale si vedono «sei stanze sotterranee sotto un monte di rovine», mentre nella pianta dello stesso autore il disegno è simile a quello riproposto da Kircher, a conferma della stretta derivazione tra i due elaborati (fig. 97).
47Al verificare i casi che rientrano nella quarta variante del Latium e, in particolare, quelli in cui i fogli sono incollati, in modo di avere l’intera estensione planimetrica su una sola superficie, risalta l’esistenza di due cartigli, dei quali il primo è inserito in uno spazio di risulta nella porzione centro-meridionale della Villa, mentre il secondo si trova nella tavola che contiene la pianta dell’area di S. Stefano, disposto nella parte in basso a destra e costituito da un elaborato fregio delle iscrizioni, composto da un cappello cardinalizio che sormonta lo stemma dei Barberini sotto il quale si legge che la pianta è dedicata al cardinale Francesco dalla casa editrice di Johan Janszoon Waesberge e degli eredi di Elizeus Weijerstraet,
Hanc Villæ Hadrianæ Ichnographiam / D.[edicat], D.[icat], D.[onat] / Joannes Janßonius a Wæsberge / & / Hæredes Elizaei Weÿerstraen78.
48Prima di procedere nell’analisi delle ragioni per le quali la casa editrice di Amsterdam dedica quella sola porzione di pianta al cardinale79 occorre, però, esaminare più nel dettaglio l’elaborato, anche in confronto a quello continiano. A partire da un previo controllo visivo condotto con riferimento alla variante a tavole riunite, risalta che la porzione della pianta dell’area di S. Stefano ha un rapporto di riduzione grafica assai diverso rispetto a quello adottato per le due tavole nelle quali è stampata la pianta della Villa (fig. 98). Gli esemplari del Latium che contengono i disegni così riuniti, pertanto, mostrano una pianta alterata che, al netto dello spazio grafico, raggiunge un’estensione in lunghezza pari a circa 1.16m e di circa 37cm in altezza, ossia pochissimo più grande della metà della pianta di Contini che, si ricorda, è contenuta all’interno di un perimetro rettangolare di dimensioni pari a circa 22.1 × 70.3cm (fig. 113).
49Nel contesto delle analisi semiotiche, sempre con riferimento alla medesima tavola, si osserva come, in Kircher, la rappresentazione dell’area circostante i complessi architettonici di S. Stefano sia notevolmente dettagliata, tanto da potersi definire quasi iconica, più che mai per quel che concerne i perimetri e le suddivisioni interne degli appezzamenti coltivati; particolarità, questa che la differenzia notevolmente rispetto sia alle due altre tavole, sia alla pianta continiana (fig. 99).
50All’estendere tale controllo alle due restanti tavole, infatti, è possibile osservare che le uniche porzioni nelle quali compaiono aree agricole perimetrate sono esclusivamente quelle dislocate nella parte occidentale della Villa, a partire da Roccabruna, ossia tutte rientranti nella tavola senza cartiglio. In particolare, in tale tavola, in prossimità del versante Ovest del Pecile, si notano le uniche indicazioni letterarie pertinenti l’uso agricolo dei suoli, delle quali la prima, Planities, agrs, vineis, olivisq conferta, è ovviamente prossima all’area più interessata dalla presenza di perimetri agricoli80, mentre la seconda, ancora più a Ovest, recita Vallis quæ terminat Villam Adrianam ab ortu e, infine, la terza, scritta in parte nella seconda tavola e in parte nella prima, all’incirca parallela all’andamento delle sostruzioni del terrazzamento dell’Accademia, indica che si tratta della Vallis quæ terminat ab ortu et meridie.
51Oltre alle piccole aree recintate, campite con minuscoli segni disposti alla rinfusa, che talora richiamano iconicamente specie vegetali di piccole dimensioni, altre volte più prossimi a un simbolico puntinato, la rappresentazione dei suoli non costruiti è generalmente redatta mediante segni iconici (alberelli con ombra al piede, tutti della medesima dimensione e forma) e simboli; con riferimento a questi ultimi, come si vedrà più diffusamente in seguito, a fronte di una ricerca svolta per comparazione di elementi simili, è possibile definire che si tratta di stilemi prettamente adottati nel contesto della scuola cartografica dei Paesi Bassi, il che sottende che la pianta di Contini sia stata copiata da un disegnatore/ cartografo olandese e, probabilmente, proprio ad Amsterdam dallo stesso van Waesberge, cartografo e discendente da una famiglia di cartografi.
52Entrambi i tipi di segni sono presenti in gruppi omogenei, ordinati o non, a indicare, pertanto, la differenza tra le aree ad uso agricolo rispetto a quelle con vegetazione spontanea; queste ultime, ovviamente, sono più dense nelle immediate prossimità dei resti archeologici e nelle aree contraddistinte da condizioni morfologicamente avverse all’uso agricolo, come nel caso della Vallis quæ Tempe Adriana includit. Proprio a delimitare tali aree si nota la ripetizione dei segni che indicano la presenza di scarpate, sormontati da ulteriori segni che evocano la presenza di vegetazione arbustiva incolta e tale insieme grafico è l’unico che presenta notevoli similitudini con il corrispettivo adottato da Contini nella sua pianta (fig. 100 a-b).
53In effetti, l’ambito delle analisi mirate alla comparazione dei metodi adottati da Contini e da Kircher per la rappresentazione dei suoli permette di riscontrare le maggiori differenze tra i due elaborati. Nella pianta continiana, infatti, l’intera superficie non costruita e interna al perimento della Villa è interessata dalla presenza di un insieme di segni non ordinati, costituito da minuscole linee zigzaganti, a tratto libero e andamento orizzontale, alternate a punti. Tale insieme, talora associato al disegno di sporadiche alberature, è tanto diffuso e omogeno da indicare un assoluto disinteresse, da parte di Contini, per le informazioni inerenti l’uso dei suoli, ovvero sottende l’adozione di un espediente grafico utilizzato per far risaltare le parti costruite e il perimetro dell’area archeologica.
54Una delle differenze più significative tra la pianta continiana e quella di Kircher consiste nella presenza, riscontrabile esclusivamente nella pianta kircheriana, di alcune informazioni letterarie, per lo più i nomi dei complessi, scritte all’interno di taluni edifici, che dimostrano la volontà, da parte del gesuita, di migliorare la leggibilità dell’elaborato e, nello stesso tempo, di fornire qualche minima informazione aggiuntiva rispetto a quanto riportato nelle due trattazioni dedicate a Villa Adriana e contenute nel suo Latium. In particolare, tra tali informazioni spiccano quelle che, scritte con caratteri maiuscoli e contenute nella prima tavola, indicano che le aree del Liceo e del Pritaneo contengono complessi distrutti; altresì, nella seconda tavola, all’interno della pianta del complesso del Teatro Greco – Ippodromo, disegnato in conformità alla pianta continiana a meno di minime variazioni nella suddivisione muraria interna al corpo di fabbrica a Sud della cavea, emergono le note di maggior interesse, se non altro in funzione di quanto in precedenza discusso in merito a tali strutture81.
55Innanzi tutto, all’interno del perimetro dell’immaginario ippodromo continiano è possibile leggere Atrium ingens porticibg [sic.] inclusum est principium theatrici districtus, mentre all’interno della cavea del Teatro Greco si legge Colymbythra e, nell’area tra tale complesso e il continiano teatro dislocato oltre il fosso di Tempe, la cui presenza è sottolineata da Kircher con l’indicazione di Scenarium, è indicato che si tratta del Theatralis Villæ districtus. Come è possibile notare, pertanto, Kircher sembra essere dubbioso in merito all’esistenza di un ippodromo adiacente alla cavea del Teatro Greco, tanto che in pianta non indica la presenza di tale struttura, sebbene la citi nel testo82, mentre dimostra notevole sicurezza nell’attribuire al Teatro Greco quella funzione naumachia, poi fermamente ripresa da Francesco Piranesi, così come è sicuro nell’attestare la presenza del secondo teatro ligoriano nelle strutture indicate da Contini e dislocate in sponda destra del fosso di Tempe.
56Una successiva, benché minima, informazione perviene da quanto Kircher scrive nell’area del Pecile, laddove, nella parte settentrionale, indica che si tratta del Palatium Poecilis e nella parte opposta, oltre il muro di spina, scrive Poecile Villæ, quasi a voler sottendere l’esistenza di una netta divisione tra una zona più propriamente «palaziale», ove per tale si deve intendere adibita anche allo svolgimento degli uffici imperiali, e una prettamente attribuita all’otium. Tale distinzione, che potrebbe essere sostanziata anche dalle ulteriori scritte dalle quali si legge che una grande porzione orientale della Villa, ossia tutta la zona compresa tra il Cortile delle Biblioteche fino a Piazza d’Oro, è di pertinenza delle Biblioteche, Bibliothecæ pars, la qual cosa non risulta però essere oggetto di discussione nel testo, a dimostrazione che la decisione di apporre informazioni aggiuntive è pertinente all’ultima fase di elaborazione, appena precedente la stampa.
57Le analisi condotte in comparazione tra i due elaborati non possono che contemplare anche il controllo del disegno dell’architettura e, in generale, in questo settore è possibile notare che i tratti grafici adottati dai disegnatori di Kircher per la rappresentazione planimetrica degli edifici sono abbastanza sciatti, talora tanto approssimati da alterare completamente le forme architettoniche, benché particolarmente simili a quelli adottati da Contini per la redazione della «pianta piccola »83 ; il che, se da una parte indica una completa ignoranza dei soggetti copiati da parte del disegnatore, dall’altra conferma che, come già accennato, la copia è avvenuta ad Amsterdam e indica anche, chiaramente, che Kircher ha delegato ai suoi disegnatori il compito di ridisegnare la pianta di Contini, senza curarsi di verificare la qualità del prodotto ottenuto. Caso a parte è costituito dal Teatro Marittimo, del quale sono completamente ed erroneamente modificate le dimensioni e le forme interne dell’isola e quelle esterne del giardino con ninfeo, da cui occorre ritenere una specifica attenzione di Kircher nei confronti del complesso.
58Se pertanto l’apporto kircheriano alla conoscenza della Villa, con riferimento alla pianta, è da considerarsi minimo, per lo più riferito alle suddivisioni agricole, qualche informazione utile perviene dal testo e, in particolare, nella parte nella quale è brevemente descritta Roccabruna,
Versus occidentale partem ingens vallis occurrit, in cujus edito latere integer adhuc tholus spectatur, in loco, qui hodie Rocca bruna dicitur, & est sub Jurisdictione Tyrocinij Soc: tis JESU ad Sanctum Andream Romæ, ubi mihi quotannis summa sane commoditate tanquam in propria villa constituto, dicta Adrianæ Villæ rudera explorare concessum suit. Atque hi locus, Ligorio & Nicodemo teste, inferorum locus fuisse putatur, in quo per aquæducus subterraneos Adrianus expresserat eos, qui a Poetis memorantur, fluvios, Phlegethontem, Cocytum, Lethen, una cum variis hypogæis, in quorum parietibus tormenta inferorum, vas Danaidum, Rota Ixionis, & fimilia a Poetis efficta depica, teste Lampridio, cernebantur. Veruntamen hunc locum ichnographia Academiæ jungit: alii hoc loco fuisse mancipiorum custodias existimant, qui tum catenarum, quibus onerabantur, sono & strepitu, tum tumultu vociferantium, inferni horrendam, & plenam confusione scenam exprimebant84,
59dalla quale si deduce, innanzi tutto, che Kircher interpreta in Roccabruna gli inferi documentati da Ligorio, cui fa seguito l’indicazione dell’importanza della sede tiburtina dei Gesuiti85, nonché della comodità della residenza ricavata nel medesimo edificio che, ovviamente, all’epoca era stato adeguatamente adattato allo scopo.
60In definitiva, dall’insieme delle analisi eseguite è possibile stabilire che la pianta kircheriana deriva direttamente da quella continiana ma che non è frutto di una copia a calco, come pienamente dimostrabile anche in seguito alla sovrapposizione tra gli due elaborati, e che le uniche varianti di significato sono quelle apportate da Kircher all’insieme morfologico territoriale (tav. 1).
61Riprendendo l’insieme delle informazioni finora acquisite, il quadro della situazione complessiva pone in luce che Kircher nel 1665 pubblica il piccolo lavoro inerente il santuario della Mentorella nel quale si legge che sta lavorando al Latium; da ciò, nulla vieta di pensare che sia stato lo stesso gesuita a perorare il secondo rilevamento di Contini, mirato alla redazione di una pianta ortogonale, al fine di inserirla nel suo volume. Che tale inserimento sia previsto è, infatti, dimostrabile dalla presenza della Brevis Compilatio, inclusa nel volume per il quale Kircher ottiene l’imprimatur il 17 aprile 1668 e, noto che nello stesso anno Contini pubblica la sua pianta, è possibile immaginare che, inizialmente, il gesuita abbia pensato di corredare il suo volume solo con la «pianta piccola» continiana, nella quale sono presenti le divisioni areali richiamate nella Brevis Compilatio (fig. 101).
62Dato che nel maggio del 1670 Kircher deve parzialmente modificare le pagine non numerate del volume86 e ricordando che Contini è morto già da 10 mesi, è possibile pensare che il gesuita, sulla base di insorte divergenze con il cardinale Barberini, non potendo più disporre dei rami, abbia semplicemente fatto copiare la pianta stampata, riducendola di scala, inserendola nelle prime pagine non numerate e associando, in pagina singola, la porzione dell’area di S. Stefano, evidentemente esclusa dal primo progetto grafico. A partire dalla certezza che la pianta di Kircher è copiata, ma non a ricalco, da quella di Contini, occorre tornare al giudizio di Venuti, per il quale la pianta continiana non sarebbe particolarmente «accurata e veridica »87 e aggiungere un giudizio simile, espresso da Pier Leone Ghezzi solo otto anni prima della stampa dell’opera di Venuti, allorquando, in seguito a una sua ricognizione a Villa Adriana, ha modo di documentare che
portai con me la pianta fatta dal Contini p confrontarla e non vi ò trovato... niuna cosa di quello che si vede, e... p questo lo dico con questa certezza concludendo che sono tutti impostori88.
63La particolare negatività di entrambi i giudizi in merito alla pianta di Contini e, più che mai, l’impossibilità, sottolineata da Ghezzi, nel riconoscervi i complessi, induce a dubitare che gli autori facciano riferimento all’elaborato stampato nel 1668 dato che questo, sebbene contenga qualche inserimento fantasioso, come già visto nei casi dell’Hippodromo e del Teatro Latino89, non può assolutamente soggiacere a tali feroci critiche, come d’altro canto dimostrabile attraverso quanto scrivono Cabral e Del Re poco meno di trent’anni dopo Ghezzi:
ci siamo accorti di non pochi abbagli, che varj Scrittori più vicini a noi aveva presi nel giudicar di que’ ruderi. Eraci altresì venuto in mente di farne una nuova pianta: ma ne abbiamo abbandonato il pensiere dopo che presa, quella, che ne fece Pirro Ligorio [stampa 1751], e confrontatala coi miseri avanzi, che ora esistono, l’abbiam trovata esattissima in ogni sua parte; senonchè varj monumenti, che duravano al tempo del Ligorio istesso, e dal Contini ancora, il qual per ordine del Cardinal Francesco Barberini riscontrò la pianta di quel diligente Architetto, adesso sono tutti atterrati, e ridotti a coltivazioni90.
64Al tornare alla frase di Venuti, e in particolare all’evidenza che, secondo lo studioso, la «pianta» di Contini non è simile a quella pubblicata da Kircher, occorre innanzi tutto confermare che in quegli anni il volume continiano del 1668 non sia facilmente disponibile, se non addirittura irreperibile91, da cui deriva che Ghezzi e Venuti debbono avere a disposizione un’altra «pianta», certamente assai dissimile da quella del 1668 eppure, in qualche maniera, pur sempre attribuibile a Contini.
65Tutto ciò, ovviamente, rimanda alla «pianta» di Ligorio e al prodotto del primo incarico affidato dal cardinale Francesco Barberini a Contini nonché, ovviamente, alla dispersione del patrimonio della famiglia da parte dell’ultima erede della casata, quella Cornelia Costanza92 che dal 1738, è attivamente impegnata in uno sfarzoso stile di vita per mantenere il quale inizialmente vende, talora a prezzi irrisori, larga parte delle collezioni raccolte dai prozii, «spinta già nel vortice di ogni fasto, e di ogni lusso, anelava alla preda, quando nel 1738, per la seguita morte dello zio Cardinale, e per la nomina a di lei favore già fatta, si vide alfine padrona di tanta opulenza »93.
66Benché gli inventari Barberini Colonna e gli atti della causa civile, inizialmente intentata dal figlio primogenito di Cornelia, Urbano Barberini Colonna di Sciarra, perché privato del maggiorasco e poi proseguita da tutti gli eredi fino al 1810, riportino informazioni esclusivamente pertinenti i beni di maggiore importanza, come nel caso dell’Obelisco già discusso in precedenza, tutto recherebbe a immaginare che, a partire all’incirca dal 1740, per gli studiosi è divenuta disponibile una pianta Villa Adriana attribuita a Ligorio e identificabile nell’elaborato revisionato da Contini tra il 1633 e il 1636.
67Dalla frase di Ghezzi, però, emerge che l’elaborato tanto criticato non è di dimensioni ragguardevoli, dato che può essere esaminato durante i sopralluoghi condotti in Villa – «portai con me la pianta» –, il che esclude che si tratti di tale disegno, le cui dimensioni (5.36 × 1.80m) mal si prestano a una consultazione in sito. Al ricordare che nella veduta di Stracha compaiono lettere di una legenda apposte successivamente, si potrebbe immaginare che tale minuscola veduta sia stata particolarmente simile alla quella grande, ligoriana revisionata da Contini, tanto da poter essere adottata quale base per le escursioni Settecentesche in Villa; in questo caso si dovrebbe ritenere che le lettere della inesistente legenda possano essere state apposte proprio da Ghezzi.
68Certo è, si potrebbe obiettare, che nel volume di Contini del 1668 è presente anche una pianta completa della Villa, già indicata in precedenza quale «pianta piccola», comprensiva anche dell’area di S. Stefano; tale elaborato, stampato su un foglio doppio, quindi pari poco meno di 1m di lunghezza e inserito dopo la dedica, nonché prima della parte inerente la Dechiaratione, è tracciato con una grafia molto sintetica, se non addirittura sciatta per quel che concerne le forme e le proporzioni degli edifici, tanto da poter essere considerato alla stregua di un eidotipo. Dato, però, che l’impostazione planimetrica dei complessi corrisponde a quella della pianta stampata nei fogli conclusivi del volume, è impossibile riconoscere in tale planimetria l’elaborato consultato da Ghezzi, e ciò, pertanto, conferma l’ipotesi prima prospettata.
69Facendo riferimento alle attività di studio che Ghezzi svolge nella Villa, è possibile individuare il periodo nel quale il disegno attribuito a Ligorio e rivisto da Contini è alienato da Cornelia Costanza, a partire dalla certezza che Ghezzi, nel corso dei suoi iniziali studi a Villa Adriana, avvenuti tra il 1724 e il 1727, redige i disegni che in seguito confluiranno nel codice Ottoboni e che, solo durante il secondo periodo di indagini, ossia a partire dal 1747, può disporre della «pianta di Contini» . Emerge, dunque, la possibilità che il disegno originale (Ligorio rivisto da Contini) potrebbe essere stato venduto dopo il 1727, in dipendenza della necessità di Cornelia Costanza di reperire fondi necessari ai pagamenti per le opere di ristrutturazione del palazzo romano al Quirinale che continueranno, più o meno interrottamente, fino alla sua morte. Pertanto, se prima dell’alienazione, nel corso del suo primo periodo di studi a Villa Adriana, Ghezzi avrebbe potuto consultare il grande disegno originale disponibile nel palazzo Barberini, dopo il 1747 avrebbe potuto fare riferimento al solo disegno di Stracha, ossia all’unico elaborato che, ancora di proprietà di Cornelia Costanza, non solo doveva essere particolarmente simile a quello attribuito a Contini ma che era di dimensioni tali da poter essere consultato in sito e che, come già osservato, presentava caratteri non eccellenti in termini di riconoscibilità dei soggetti raffigurati, tanto da poter essere giudicato completamente errato.
Notes de bas de page
1 Fletcher 2011, p. 28.
2 Ibid.; la presenza di Kircher a Roma nei primi mesi del 1634 è testimoniata anche dalla lettera inviata il 18 marzo da Raffaello Magiotti a Galileo: «Di nuovo, c’è in Roma un Gesuita, stato gran tempo in Oriente, quale, oltre al posseder lingue, buona geometria etc. [...] Ha portato gran copie di manuscritti arabici e caldei, con una copiosa espositione di ieroglifici» . Galileo, tra i maggiori corrispondenti epistolari di Kircher, il 22 giugno 1633 è condannato per eresia dal tribunale dell’inquisizione del quale uno dei membri è il cardinale Francesco Barberini che, però, amico ed estimatore dello scienziato già dagli anni degli studi pisani, evita di partecipare alle sedute; cfr. Pagano 2011.
3 Fletcher 2011, p. 27.
4 Kircher 1654, cap. I, p. 272, Francisci Cardinalis Barberinus cùm Antiquariorum Romanorum nescio quibus coniecturis, alicubi in Agro Verano nobilem Obeliscum latere, intellexisset, laudabili sanè conatu nullum non lapidem movit, ut is inventus discoperiretur. Quod sactum fuit anno 1633. Siquidem in vinea quadam, cuius possessor erat Curtius Saccoccia, eo prorsús in loco, ubi olim Circus Aureliani Caesaris spectabatur & modò non exigua cuìdem vestigia ex ruderibus dignoscuntur, detectus, erutus, persolutaque possessori eius non exigua summa pecuniae, in Palatii Quirinalis, quod Barberinum vocant, aream delatus fuit, ubi & etiamnum in tria fragmenta ruptus perseverat. Paterna 1996, p. 820-821, con riferimento al luogo del ritrovamento indica che «I resti del circo esterni alle mura e l’obelisco, abbattuto e spezzato dai Goti di Totila nel 547 d. C, rimasero visibili almeno fino alla metà del XVI secolo [...] Nel 1570, i fratelli Saccoccia, proprietari della vigna dove giaceva l’obelisco, concepirono il progetto di reinnalzare il monumento e per la memoria di questa impresa fecero iscrivere una lapide che, poiché il progetto non fu realizzato, fu collocata nel 1589 su di un pilone dell’acquedotto Felice, dove è tutt’ora [...] l’obelisco fu recuperato ed acquistato nel 1633 dal cardinale Francesco Barberini, che lo fece trasportare nel cortile del Palazzo Barberini alle Quattro Fontane, con l’intenzione di farlo erigere nel giardino del palazzo, inizialmente su progetto del Bernini, poi di Carlo Fontana. Il progetto non fu mai realizzato e l’obelisco fu donato nel 1773 da Cornelia Barberini al pontefice Clemente XIV, che lo fece trasferire nel cortile della Pigna in Vaticano, con l’intenzione di farlo erigere sul basamento della colonna di Antonino Pio, trasferito anch’esso nel cortile. Nel 1783, il progetto cambiò a favore dell’erezione sulla torre di Porta Pia, ma neanche questo ebbe seguito» . Marucchi 1898, p. 138, completa la storia degli spostamenti dell’obelisco sino alla definitiva sistemazione. Con riferimento al progetto berniniano, la letteratura diffusamente indica che si tratta di quanto sarà realizzato nel 1667 a piazza della Minerva, solo due anni dopo il ritrovamento dell’obelisco proveniente dall’Iseo campense; cfr. Heckscher 1947, p. 156-157.
5 Si deve a Champollion il giovane la prima, sebbene parziale, traduzione del testo con il riconoscimento dei nomi di Adriano, Sabina e Antinoo; cfr. Champollion 1822, p. 31-32, «C’est sur un des obélisques de Rome, celui qu’on appelle l’Obélisque Barbérini, que nous trouverons le nom du successeur de Trajan, Hadrien, qui aima tant l’Égypte et y laissa de si nombreux souvenirs» . L’egittologo studia ancora l’obelisco nel 1825 durante un soggiorno a Roma (come testimonia un documento autografo conservato nel Musèe Royale di Mariemont in Belgio), ripreso da Ungarelli 1842. La letteratura immediatamente successiva è feroce contro il francese, tanto che anche Marucchi 1898, p. 132-139, fa ampi riferimenti alla traduzione di Erman 1893, e di Birch 1852, e non richiama Champollion. Con riferimento alla traduzione più recente e alla particolarmente controversa, se non assai dubitabile, questione della sua originaria collocazione nell’area centrale del complesso arbitrariamente identificato quale Antinoeion di Villa Adriana, si leggano le realistiche tesi esposte da Romeo di Colloredo 2005, p. 5-15, e Romeo di Colloredo 2007, p. 92-98;
6 L’ultimo frammento rimasto della lapide, conservato nel Musée Calvet di Avignone, è illustrato Poezevara 2012, p. 72-73, «L’inscription en marbre a presque totalement disparu aujourd’hui. Les trois fragments connus, dont un seul subsiste. Deux fragments contenant les huit premières lignes ont vraisemblablement été découverts en 1622-1623 dans un champ, au quartier les Tourettes, à 4 km au sudouest d’Apt. Le dernier fragment a été retrouvé au XIXe siècle par le collectionneur Esprit Calvet dans une auberge, près de l’hôtel de ville d’Apt. Le mausolée auquel appartenait cette inscription devait sans doute être déjà détruit au XVI’ siècle» .
7 Gassendi 1657, IV, p. 34-35; cfr. Millin 1807, II, p. 512; Gascou, Janon 2000, p. 61-68.
8 Gassendi 1657, IV, p. 175.
9 Ibid..
10 Gualdo Priorato 1667, I, p. 2.
11 Boutier 2002, p. 10; Boutier 1997, p. 124, «Les mesures de distance peuvent d’autres part, être effectuées ou contrôlées par calcul, une fois une base établie avec précision, grâce au développement de la trigonométrie, qui débute en 1533 avec la publication, à Rome, du traité de Regiomontanus, De triangulis omnimodis, rédigé en 1463, ou celle du Libellus de locorum describendorum ratione du flamand Gemma Frisius» . Diversamente dalla pianta di Bufalini, anch’essa redatta con tali principi e metodi, la novità della pianta parigina è costituita dalla richiesta politica.
12 Non a caso la redazione della pianta, pubblicata nel 1652, è affidata a un tecnico, Gomboust, affiancato a un matematico, Pierre Petit, che già nel 1634 aveva pubblicato un lavoro sull’uso del compasso di proporzione, già studiato da Galileo che, nel 1606, aveva pubblicato con grande successo Le operazioni del compasso geometrico e militare. Petit è autore del testo descrittivo della pianta, Notice Sur le Plan de Paris de Jacques Gomboust, tra l’altro firmato solo con l’acronimo P.P. (cfr. Bonnardot 1851, p. 115, 131) e nel corso della sua carriera riveste le cariche di geografo del re e di intendente generale delle fortificazioni; scrive, inoltre, numerose opere a carattere scientifico per le quali è ricordato da Moreri 1759, VIII p. 230 «célèbre mathématicien [...] a donné des ouvrages de mathématiques & de physique que l’on estime encore».
13 Come accennato, tale teoria prende le mosse dal teorema dei seni enunciato da Regiomontano (la cui diffusione a stampa avverrà solo nel 1533); i prodromi di tali principi, benché vincolati alla sola misura delle distanze (espresse in coordinate polari), sono discussi anche da Leon Battista Alberti, sia nei Ludi Matematici (1445), sia nel suo metodo per il rilievo di Roma, cui fanno seguito numerosi altri studiosi, tra i quali Leonardo da Vinci, che implementa il metodo con l’uso della bussola.
14 Boutier 2005, p. 28-29, «Au XVIIe siècle, la géométrie s’affirme comme une des sciences dominantes. Elle confère rigueur et puissance intellectuelle; elle démontre et convainc. La vue, premier des sens à la Renaissance, perd sa prééminence sur le terrain de la connaissance, dès lors que l’on raisonne, travaille, représente «more geometrico» . Dans cette longue pédagogie intellectuelle de l’abstraction, le plan de ville, lui, aussi, se transforme. Plus exactement, la proportion de mesure et de peinture qui l’avait caractérisé se modifie au profit de la première. Seuls les principaux monuments apparaissent encore en élévation sur le plan de Paris publié en 1652 par l’ingénieur militaire Jacques Gomboust, alors que les terrains bâtis ne figurent plus qu’en pointillés. C’est que les usages du plan, eux-aussi, changent. Le plan, d’aide à la remémoration du voyage, ou de substitut au voyage pour celui qui refuse, ou ne peut partir loin de chez lui, devient un outil, du politique, de l’architecte ou de l’ingénieur, appelé désormais à gérer l’espace, qu’il soit rural ou urbain. Le plan devient alors le produit des spécialistes de la surface terrestres que sont les géographes, à la fois savants de cabinets rompus à la compilation des données collectées de par le monde et mathématiciens experts en relevés astronomiques, qui commencent à couvrir les états de chaînes de triangles autant nombreux qu’indéformables. Ce sont les mêmes équipes qui, désormais, lèvent les cartes des royaumes et dressent les plans des villes. La différence entre toutes ces cartes n’est plus dans la nature des représentations: elle est dans les jeux de l’échelle, qui varie insensiblement du plan de maison ou de rue à la carte du monde» .
15 Sergescu 1948, p. 5-12; per la lista e il numero dei corrispondenti dell’accademia cfr. Fletcher 1996, p. 143- 153; Fayard, Metiu 2013, p. 89-93.
16 Tra i primi partecipanti vi sono Descartes, il dodicenne Blaise Pascal in compagnia del padre Etienne, Niceron (il padre minimo autore del La Perspective Curieuse), Desargues (dai cui studi avrà origine la geometria proiettiva), van Helmont, Beeckmann, Hobbes, Gassendi, Roberval, Fermat, Torricelli, Pell, Huygens, Cavalieri, Barrow, Leibniz, Newton e Petit. Molti di loro, non ultimi Marsenne e Descartes, hanno duraturi rapporti di amicizia e relazioni epistolari con il cardinale Francesco Barberini; mentre quasi tutti intrattengono rapporti scientifici con Kircher.
17 Manuscrits de la Bibliothèque Méjanes, Aix-en-Provence, MSBM1, Manuscrits occidentaux, Fonds PEIRESC, Correspondance littéraire, T. II, lettre B., Ms 202 (1020), p. 75-76, lettera datata 2 giugno 1633. Con riferimento a de Boissieu, si tratta di Denys de Salvaing de Boissieu, avvocato, consigliere del re e primo presidente della Chambre des comptes du Dauphiné.
18 Come appare al leggere la corrispondenza con de Peiresc; cfr. Rietbergen 2006.
19 EAACO, 2, suppl. II, 1994, II, ad vocem «Leonardo Agostini», p. 194. Nella letteratura moderna manca uno studio approfondito in merito agli scavi condotti da Agostini a Villa Adriana.
20 «Per la città non si sentiva che maledicenze et esclamationi con leggersi publicamente le satiriche e brutte compositioni così contro d’Urbano come contro di loro», BAV, Barb. Lat. 4669.
21 Bernini 1705, p. 75-77. Le ragioni di tanta avversione sono principalmente di natura politica ed economica; i filofrancesi Barberini avevano osteggiato la candidatura del filospagnolo Pamphili, la ricchezza acquisita nel corso del pontificato di Urbano VIII era stata usata quale strumento politico per alienare loro il favore del popolo e il cardinale Antonio (sul quale era stato già fatto gravare il sospetto dell’omicidio di «Gualtieri nipote del cardinal Pamfilio che serviva alla camera il cardinal Antonio», Brusoni 1676, XII, p. 407), per opporsi all’elezione di Giovanni Battista Pamphili, aveva fatto leva sul particolare rapporto che legava quest’ultimo alla cognata Olimpia Maidalchini, cfr. Leti 1781, p. 22-26, «un giorno mentrechè se ne stavano i cardinali chiusi in conclave, fu detto a D. Olimpia, che una cosa sola impediva suo cognato il non essere Papa, e questa era l’inimicizia, che aveva con i Barberini: alla qual proposta rispose prontamente; dunque sarà Papa per questa istessa cagione, perché sono troppo odiati i Barberini. […] La notte precedente al giorno dell’ingresso nel conclave il cardinal Pamfilio si trattenne a lunghe conferenze con la cognata, delle quali non ne ho mai potuto penetrare la materia, solo che nell’ultimo addio vogliono che D. Olimpia dicesse al cognato, forse vi rivedrò Papa, ma non già il Cardinale, alle quali parole dicono che soggiungesse: purché voi foste Papessa, io non mi curerei di diventare Papa […] Il Pontificato sarebbe stato soggetto ad una potenza vile di una Donna per l’affetto sviscerato ch’egli portava alla cognata, la quale [...] era padrona assoluta della di lui volontà [...] non era bene di dar motivo di scandalo agli Eretici» . Il testo di Leti si trova in un manoscritto, BAV, Vat. Lat. 9728, Tributo di miscellanee di Roma sacre politiche erudite istoriche in prosa ed in verso offerto da Francesco Cancellieri a Sua Eccellenza milord Francis Henry Egerton nel mese di aprile dell’anno 1813; la prima edizione a stampa, del 1666, è firmata con uno degli pseudonimi usati da Leti, «abbate Gualdi», e ha il titolo Vita di donna Olimpia Maldacchini che governò la chiesa durante il pontificato di Innocenzo X cioè doppo l’anno 1644 sino al 1655.
22 Ciampi 1878b, p. 29.
23 Ibid., p. 30-31.
24 Laborde 1846, p. 11 e n. 41 p. 171.
25 L’opera e le ragioni dell’immane ristrutturazione del palazzo sono oggetto di notevole attenzione letteraria; in particolare, si veda de Ris 1867, p. 73-102; de Cosnac 1885; Dulong-Sainteny 1995 p. 131-155.
26 Il primo a rientrare a Roma è il cardinale Francesco che arriva il 27 febbraio 1648, non prima del cessato allarme per l’epidemia di peste che aveva colpito la città proprio nei due anni precedenti.
27 Significativo, a tal proposito, è quanto accade nel carnevale del 1656, con l’organizzazione della sfarzosissima Giostra dei Caroselli nel cortile del palazzo Barberini in occasione dei festeggiamenti richiesti da Alessandro VII per l’arrivo di Cristina di Svezia; cfr. Fagiolo 2013.
28 Legrand 1705, p. 12; cfr. Beuchot 1811, 3, p. 552.
29 Ibid.. Baudrand partecipa ai conclavi del 1655 (elezione di Alessandro VII) e del 1667 (elezione di Clemente IX) accompagnando il cardinale Barberini. Oltre tale data le informazioni rimandano direttamente al 1691, quando accompagna al conclave Étienne Le Camus, vescovo di Grenoble; dato che il cardinale Antonio Barberini partecipa all’ultimo conclave nel 1670 (elezione di Clemente X), si deve ritenere che Baudrand termini l’attività romana presso i Barberini tra il 1667 e il 1670; a questo ultimo periodo deve essere riferito il rilievo della mappa «Descrittione dello Stato della Chiesa e della Toscana/di Michele Antonio Baudrand Parigino Abbate di Rouvres», che, intagliata da Giovanni Lhuilier, sarà stampata da Giovanni Giacomo de Rossi con dedica al nuovo pontefice, e inserita nel Mercurio Geografico, overo Guida Geografica in tutte le parti del Mondo, t. 116.
30 Pace 2010, p. 209, n. 23; Pace 2011, p. 142, n. 44. Baudrand 1701, p. 993, inserisce una nota relativa a Villa Adriana, «VILLA D’ADRIANO. Ville Adriani, Tiburtina Villa. Ruines d’une maison de l’Empereur Adrien. Elles font dans le Territoire de Tivoli, en la Campagne de Rome, à une lieue du Tibre», benché non la localizzi nelle sue mappe. Su Baudrand anche Woodward 2007, 3, p. 778-779.
31 Per le complesse vicende delle stamperie De Rossi, Antinori 2012, p. 11. La spietata concorrenza in termini di «esattezza» delle piante e di tecniche adottate per la loro redazione, che coinvolge le botteghe dei cugini, è stata trattata inizialmente Hülsen 1915, p. 26-27 e in seguito puntualizzata da Connors, Jatta, 1989; anche Connors, 2012, p. 218-231.
32 Pierattini 1998, p. 71.
33 Come, pe, il «Bacchetto in rosso antico» trovato in seguito agli scavi voluti da Camillo Pamphili all’incirca nel 1646; cfr. Cacciotti, Palma Venetucci 2002, p. 15; Palma Venetucci 2005, p. 35-36; Palma Venetucci 1998, p. 453-468.
34 Bellori 1672, p. 40; Bellori, 1664, p. 64-65, «nelle celebri ruine della villa Hadriana in Tivoli, vedevansi già molti vestigi del secolo migliore della pittura; ma hoggi non ve ne rimane più alcuno, per essere stati guasti, staccati et portati via. Nella medesima Bibliotheca [di Camillo Massimi] se ne conservano la testa di una Cariatide col capitello di minio et un Tritone che frena un pistrice o bue marino. In questa villa di Hadriano superbissima fin nelle sue ruine et nell’altre di Roma, Rafaello da Urbino, Giulio Romano fecero molto studio in tempo» . Il volume, che appare anonimo nella prima edizione, è oramai attribuito a Bellori; cfr. Pierguidi 2011, p. 225-232.
35 Come nel caso degli scavi Pamphili, occorsi tra il 1645 e il 1655 e inizialmente testimoniati da Bartoli in Amidei 1741, p. 275, 361 e in Fea 1790, p. 275, «incontro alle cento Celle [...] dalli Gesuiti, li quali facendo lo scasso trovarono dieci Statue Egizie di pietra paragone, ma tutte rote, o almeno in parte, le quali furono vendute per una miseria all’Eminentissimo Massimi [...] Innocenzo X, colla direzione di Giovanni Maria Baratta [...] una scala colli gradi di alabastro Orientale, le pareti dei fianchi intersiate di varj mischj, li quali erano intersiati di pietre di gran valore, per quello, che dettero segno alcuni frammenti rimastivi con incassature di metalli corintio indorato» . Con riferimento ai ritrovamenti dei gesuiti nel «Memorie» di Ficoroni si legge una informazione simile: «Molte belle statue di marmo nero egizio, esprimenti Deità Egiziane [...] trovarono nell’anno scorso i P. Gesuiti nella loro Villa di Tivoli situata nelle rovine di Villa Adriana, che da loro restaurate si sono poi la maggior parte vendute» . Si potrebbe trattare, pertanto, di due diverse campagne di scavo, delle quali, la prima ottiene il ritrovamento di 10 statue «tutte rotte», vendute al Massimi, mentre nella seconda vengono rinvenute altre statue, restaurate prima della vendita. Con riferimento alle campagne di scavo Pamphili occorre segnalare che, nelle voci Del Regesto dei pagamenti (1645–1658), in Cacciotti, Palma Venetucci 2002, p. 12,19, si leggono esclusivamente ricevute di pagamento per acquisti, trasporti e tagli di marmi, e tra coloro che vendono i pezzi, più volte appare Giovanni Francesco Bulgarini e una sola volta il nome di Filippo Bulgarini: «1645, A Giov. Franc. Bulgarini di Tivoli p. prezzo di un piedestallo e torso di Rosso con altri pezzi di portasanta scudi venti» c. 23v; «22 ottobre. Al sig. Gio: Franc.co Bulgarini da Tivoli per prezzo di una Colonna d’africano e per un piedistallo di biscio scudi diece 10», c. 103; «Adì 25 ottobre. Io Gio: fran.co Bulgarini confesso haver ricevuto dal Sig. Gio: battista lucatelli scudi dieci m.ta quali sono per prezzo di una colonna di Africano di palmi tredici et un piedistallo di biscio di palmi sette et in fede. Io Gio: fran.co Bulgarini», c. 121r; 5 novembre – Al s. Gio: Fran.co Bulgarini da Tivoli per prezzo di 4 pezzi di colonna di marmo di p.mi 5 l’uno p. 6 piedistalletti di marmo e 3 capitelli di colonne scudi 10», 137; 1646, 8 aprile Al sig. Filippo Bulgarini per prezzo di Portasanta scudi sedici», c. 27r; «Dal 19 giugno al 24. Sig. Gio frac. co Bulgarini p. pezzi di porta santa, et altri mischi scudi sedici e 10». Si potrebbe, quindi, ritenere che inizialmente i Pamphili abbiano indirettamente finanziato gli scavi eseguiti da altri, tra cui i Bulgarini, per poi, in funzione della ricchezza dei ritrovamenti, procedere autonomamente.
36 Passigli 2003, p. 57.
37 Per la storia e le attività della Presidenza delle Strade, Jamonte 2002, p. 107-136; Sinisi 1987, p. 100-118; Schiaparelli 1902, p. 5-60.
38 Dal dicembre 1559 al giugno 1661 è firmatario delle mappe «Sviluppo della strada fuori Porta S. Giovanni verso Marino [...] sino alle case nuove», dicembre 1659 (429/23), «via Aurelia, fuori di Porta Cavalleggeri e Porta Fabrica, fino a Civitavecchia», 30 maggio 1661 (428/32), «Sviluppo della strada fuori di Porta S. Giovanni verso Grottaferrata [...] fino a Ferentino di Campagna», 15 giugno 1661 (429/24) e, della stessa data, «Sviluppo della strada fuori Porta angelica e Castello [...] verso Viterbo, e delle strade verso Ponte Molle e altre strade trasversali [...]» (433/41). Tutti gli elaborati sono firmati con la dicitura «Francesco Contini, architetto sottomastro di strade» . Dello stesso catasto fa parte anche la mappa, disegnata dall’architetto Antonio Del Grande, anch’egli sottomastro di strade, pertinente la via Tiburtina (429/3) da «fuori Porta S. Lorenzo fino al cavaliere confino di Regno» che, benché rappresenti anche l’ambito territoriale nel quale si trova Villa Adriana, segnalando con ottimi particolari sia Ponte Lucano, sia il Sepolcro dei Plauzi, non contiene cenni dell’esistenza dell’area archeologica della Villa Imperiale.
39 Mappa della «Tenuta di Castel Giuliano» del 1660, (433/51).
40 Si tratta delle mappe del «Casale di Corcolle», datata 1660 (430/24), della «Tenuta di Santa Marinella», dello stesso anno (428/15), delle «Tenute poste fuori di Porta Salara: Marcigliano, Torre Madonna, Valle Ornara, Ciampiglia, Massa, Fonte di Papa», del 15 marzo 1660, (431/17) e della «Tenuta di Campo Lione», del 7 febbraio 1661 (433A/36).
41 Tabarrini 2003, p. 115. A tale titolo corrispondono sia le mansioni di progettista architettonico, sia quelle di topografo. D’Onofrio 1967, p. 193, indica che nel «Istrumento della benedizione della chiesa di S. Rosalia a Palestrina», del 7 novembre 1660, è riportato che alla cerimonia partecipa anche Contini quale eiusdem Exc.mi D. Principis architecto. La costruzione di tale chiesa, iniziata prima del periodo di «avversione», su richiesta del principe Taddeo, come indica Moroni 1840-1861, LI, 1851, p. 27, dipendeva dall’aver «ritrovato il corpo a Palermo [di S. Rosalia] sotto Urbano VIII e per avere quella città sperimentato la cessazione della peste; invocandone il patrocinio i Barberini ed i prenestini, anch’essi ne restarono illesi. Incominciata dal principe d. Taddeo, con architettore del Contini, nel 1677 la compì il figlio d. Maffeo. Nel 1692 s. Rosalia fu dichiarata patrona della città» .
42 Come dimostrabile dalle note di pagamento di Maffeo Barberini a Contini per lavori eseguiti a Palestrina che si susseguono almeno fino al 1569.
43 Suares 1655.
44 Suares 1655, p. 288, con riferimento a Gaspare Morello per la chiesa di S. Rocco all’Augusteo.
45 Kircher 1671, p. 37-38, quas amicus, & doctus antiquarius Claudius Menestrier delineavit; p. 49-50, summa con diligentia depicta apud doctrina simul ac nobilitate præclarum Equitem Cassianum de Puteo Lynceum.
46 Kircher 1671, infra p. 96 e 97, Ortographia Tempi Fortuna Præneste e Sciografia Tempi Fortuna Præneste.
47 Ibid., p. 96; si tratta di un particolare del mosaico del Nilo che Suares aveva inserito infra p. 288-289.
48 Philipp Clüver, Latium Utriusque, 1624.
49 Su Bernardini qualche notizia è riportata da Prunetti 1818, p. 34.
50 Kircher 1671, infra p. 247 e 247.
51 Ibid., infra p. 140 e 141.
52 Zevi 1979, p. 20, indica che «lo stesso card. Barberini affidò a un artista prenestino, Agapito Bernardini, il compito di eseguire il disegno del mosaico, quale appariva ormai da un quarto di secolo ricomposto nel Palazzo di Palestrina: incisa nel 1668, è questa la tavola inserita dal Kircher nel suo Latium, alle p. 100-101», in effetti la tavola reca la dedica al cardinale Barberini nella quale è indicata la volontà del prelato per l’esecuzione del disegno e dell’incisione, nonché la data, 1668, che corrisponde a quella scritta al piede della tavola, al fianco del credito ad Agapito Bernardini.
53 La qual cosa potrebbe giustificare, all’interno dell’enorme pubblicistica kircheriana prodotta nella seconda metà del Seicento, le sole due dediche rivolte ai cardinali Barberini, entrambe pertinenti l’Oedipius Aegyptiacus III (Syntagma 5 e 6) del 1654.
54 Evans 2012, testo nel quale, però, l’autore è più interessato ad approfondire gli aspetti della cultura antiquaria di Kircher.
55 Totaro 2009, p. 316.
56 Kircher si dimostra particolarmente devoto nei confronti del luogo, tanto da occuparsi attivamente del restauro, da promuoverlo, a partire dal 1664, quale meta di un pellegrinaggio annuale e da richiedere, come avverrà, di far seppellire il suo cuore sotto l’altare.
57 Ibid., infra p. 168-169.
58 Ibid., p. 178; seguendo le informazioni pertinenti la tradizione, S. Eustachio nasce sotto Traiano e viene martirizzato sotto Adriano e, secondo Kircher, alla famiglia del santo sarebbe appartenuto il fondo in cui verrà eretto il santuario.
59 La presenza di tali strutture nell’area in questione sarà, in seguito, ulterioremente testimoniata da Cassio 1755, e Cassio 1756
60 Kircher 1671, De Aquarum Varietate que in Agro Tiburtino reperiurunt, con una citazione di Villa Adriana in relazione all’Acqua Ferrata a p. 198, e De Aquæductibus Tyburtinis, p. 208-210.
61 Sebbene sia evidente l’attenzione descrittiva, nella generalità le mappe topografiche e corografiche inserite nell’opera, anche in questo caso, poco si discostano, in termini prettamente grafici, da quelle che, a partire dall’esemplare redatto da Eufrosino della Volpaia nel 1547, vengono continuativamente stilate e pubblicate in quegli anni, tra le quali giova segnalare la «Campagna di Roma, Lazio olim; patrimonio di S. Pietro; & Sabina», che, stampata nella bottega di Blaeu, mostra una particolare dedica a Cassiano del Pozzo. Con riferimento alla bottega di Blaeu, la Typographia Blaviana (acerrima concorrente della tipografia che, sempre ad Amsterdam, stamperà il Latium), si tratta dell’editore che aveva curato la pubblicazione della stampa dell’obelisco Barberini. Il testo kircheriano, inoltre, contiene anche numerose vedute di antichità, talora anche ricostruttive, e tavole di dettagli (monete e statue).
62 Kirker 1671, p. 73. Antica città riportata nella letteratura classica, identificabile con l’odierna Gallicano o, comunque, nel territorio limitrofo; cfr. Reggiani, Adembri 1998, p. 120- 124.
63 In particolare si ritiene, benché in assenza di prove documentali, che Kircher abbia letto l’innovativo Eratosthenes Batavus De Terræ ambitus vera quantitate, scritta da Willebrord Snell nel 1617, non solo perché l’autore (che assieme a Frisius è considerato il padre del moderno metodo delle triangolazioni), è un professore di matematica a Leida nello stesso periodo durante il quale Kircher studia la stessa materia nella vicina Fulda, ma anche perché il tema è di particolare interesse per Kircher che, nel Sive Mensa Pythagorica expansa: Ad Matheseos quesita accomodata per quinque columnas..., Roma, 1679, riporta molte delle tavole, talora corrette, delle misurazioni con triagolazione che Snell aveva inserito nel suo Doctrinae triangulorum canonicae: libri quatuor, pubblicato postumo nel 1624 ad Amsterdam.
64 Nato nel 1599, Contini nel 1666, anno nel quale inizia il lavoro per la produzione della sua nuova pianta, ha 67 anni e morirà a settanta anni, il 20 luglio del 1669 (atti Archivio Storico Vicariato di Roma, parrocchia S. Tommaso in Parione), pochissimo dopo aver stampato la pianta della Villa che, quindi, deve essere considerata la sua ultima opera.
65 Venuti 1750, p. 241-242.
66 Nibby 1827, p. 13.
67 Canina 1856, V, p. 102.
68 Ibid., p. 153.
69 Kähler 1958, p. 75; «La pianta disegnata dal Ligorio verso il 1550, ma poi perduta, servì di base a F. Contini per la sua Icnographia Vill. Tib. Adriani Caesaris, che è assai degna di fede nonostante la scala 1: 3000. Fu eseguita nel 1634, pubblicata da A. Kircher, Latium vetus et novum, Amsterdam 1671» .
70 Come più volte indicato da Salza Prina Ricotti, cfr. pe, 2001, p. 53.
71 Anche nel quarto libro, De Veterum Urbuim, Fanorumque Celebrium riunis & Situ, necnon de admirandis Naturæ operibus quæ in Tyburtini Territorio etiamnum spectantur, sono illustrate particolarità del territorio tiburtino e, in particolare, la pars I, cap. VII, è dedicata alla storia, riassunta, di S. Eustachio cui fa seguito la pars II nella quale è compresa la tattazione De Aquarum varietate quæ in Agro Tyburtino reperiuntur e la descrizione della Sabinorum Regione e del Voscorum Regno. Infine, il quinto e ultimo libro è dedicato all’illustrazione dell’Ager Pomptinus.
72 Nelle pagine precedenti, anch’esse prive di numerazione, si legge sempre l’intestazione recante il soggetto trattato, pe. Præfactio, Index..., mentre nelle pagine successive, ossia quelle dei capitoli, l’intestazione è composta dal nome dell’autore, ATHANASII KIRCHERI, nelle pagine pari e dal titolo abbreviato dell’opera, VETUS & NOVUM LATIUM, nelle pagine dispari.
73 Come nel caso della Marciana o della Bavarese che possiede anche una copia inquadrabile nella seconda variante.
74 Kircher 1671, p. 146, § I. De divisione Villa Adrianæ e Partium singularium descriptio; p. 148, § II. De partibus Villæ versus plagam meridionalem; p. 150, § II. [sic! III] De reliquis partitionibus Villæ, que sunt Infernus, Campi Elysii, Prytaneum.
75 Ovvero successivo, come, pe, nel caso delle copie della biblioteca dell’Università Complutense di Madrid.
76 Contraddistinti, purtroppo, da un crescente degrado.
77 Contini 1668, M, 12.
78 Gli stessi nomi, pertinenti i proprietari della casa editrice di Amsterdam che pubblica il Latium, appaiono anche nel frontespizio dell’opera. La casa editrice, già di proprietà del famoso cartografo Johan Janszoon (Joannes Janssonius), nel 1664 viene ereditata dalle due figlie – una delle quali, Elisabeth, è sposata con Johan van Waesberge (anch’egli cartografo e incisore) e l’altra, Sara, con Elizeus Weÿerstraen (o Weyerstraet) – che inizialmente decidono di modificare la ragione sociale in Janssonius. Nel 1666, alla morte di Weÿerstraen, appaiono le prime pubblicazioni nelle quali la casa editrice è indicata quale Joannes Janssonius a Wæsberge & viduam Elizaei Weÿerstraen e, tra il 1670 e il 1671, inizia ad apparire la dicitura Hæredes Elizaei Weÿerstraen, a indicare l’avvenuta morte della vedova, cfr. Ledeboer 1869, p. 118-140. Sebbene tutti i proprietari dell’officina siano di religione protestante, Begheyn 2014, p. 49, ha modo di specificare che «On 29 July 1661 the Amsterdam printer and publisher Joannes Janssonius offered the German Jesuit and homo universalis Athanasius Kircher (1601- 1680) 2.200 scudi in a draft contract regarding all of the books of the Jesuits, with Janssonius holding the copyright for the German Empire, England, France and the Low Countries. A month later, on 25 August, Kircher confirmed the contract. It seems that Kircher hoped to avoid Roman censorship by looking for a printer outside of Rome. Janssonius wrote to Kircher on 29 December 1666, informing him about the recent death of his business partner and relative ( «neef») Elizee Weyerstraet, and about the printing of China and other works» . van Dael 2010, p. 602, inoltre, afferma che Kircher «dopo questi [otto anni iniziali trascorsi a Roma in qualità di professore] era libero di studiare e pubblicare i suoi libri. In quei tempi si cercava normalmente un editore della stessa regione della città dove si abitava [...] nel 1665, però, Kircher era divenuto tanto celebre che poteva pubblicare i suoi libri presso la famosa casa editrice olandese [...] Nel 1676 Janssonius aveva già venduto 3220 copie delle sue edizioni di Kircher»; cfr. Ledeboer 1869, p. 118-140.
79 Occorre ricordare che, nella prima variante, probabilmente corrispondente all’originale scelta editoriale, tale porzione planimetrica costituisce una tavola a sé stante, disposta in un settore del volume ben separato dalle due altre tavole.
80 Di particolare interesse, parallelamente al braccio lungo delle Cento Camerelle, è l’indicazione di un’area perimetrata la cui posizione è assai prossima a quella dei resti del cd Antinoeion.
81 Cfr. p. 79-85.
82 Kircher 1671, p. 151, Districuts I, literis ABCD signatus. Theatrum dictum fuissse Ligoriu asserit, eò quod theatris, circis, hippodromis, aliisque innumeris frabricis, uti porticibus, ambulacris, xystis, vestibulis, delubris, coeceterisque llocis, quætum scenicis tum gymnasticis exercitiis serviebat, accommodatus fuerit.
83 Nel volume di Contini è presente anche una pianta di dimensioni ridotte, della quale si tratterà nel seguito.
84 Kircher 1671, p. 150.
85 Tivoli è stata una delle prime sedi della Compagnia del Gesù (come tra l’altro testimoniato dall’incontro, avvenuto proprio nella città tiburtina il 3 settembre 1539, tra Paolo III Farnese e Iñacio del Loyola, nel corso del quale il papa concede l’approvazione alla costituzione della Compagnia). Da una lettera datata 4 ottobre 1596, inviata dal padre gesuita Diego Ximenes a Clemente VIII Aldobrandini (ARSI, Rom. 127, 1, ff.306v-307r), si legge, però, che «più di centomila anime che sono su le porte di Roma nelle montagne incominciando da Tivoli per tutto l’Abruzzo a pena si ritrovarono quindici o ventimila quali habbino fede esplicita, come è necessario che l’habbino per salvarsi», ragion per cui, prosegue il gesuita, occorre che il papa metta a disposizione i fondi necessari e destini il Collegio di Tivoli ad alloggio e punto di partenza delle spedizioni missionarie. Si deve ritenere, quindi, che tale opera missionaria, immediatamente concessa dal papa, abbia incrementato notevolmente il potere e le proprietà della Compagnia nel territorio tiburtino. E’ possibile, pertanto, datare ai primi anni del Seicento l’acquisto dei terreni a Villa Adriana.
86 Al fine di modificare il ritratto e la dedica al pontefice, dato che Clemente IX muore il 9 dicembre 1669 e Clemente X è eletto il 26 aprile del 1670.
87 Giova ricordare che il lavoro di Venuti 1696, come chiaramente indicato nel titolo, Espositione della carta topografica cingolana dell’agro romano. Con la eruditione antica e moderna. Dedicata all’eminentiss. e reverendiss. prencipe il signor card. Pietro Ottoboni [...] dal P. Francesco Eschinardi della Compagnia di Giesù», ha origine dalla precedente opera del gesuita Eschinardi, redatta al fine di descrivere la «Carta Topografica delle tenute dell’Agro», disegnata dallo stesso gesuita con la collaborazione dell’agrimensore Cingolani per richiesta di Alessandro VII allo scopo di ottenere una sintesi, generale e organica, delle carte parziali del Catasto da lui istituito. Con la morte del pontefice il lavoro subisce un arresto fino al 1692, quando Cingolani pubblica la carta che, sebbene contenente una legenda redatta in collaborazione con Eschinardi, risulta comunque carente di più estese descrizioni. A tale scopo, quattro anni dopo, Eschinardi stampa il Espositione della carta topografica cingolana dell’agro romano che, purquanto particolarmente erudito in relazione alla storia di Roma e del territorio circostante, non ottempera pienamente lo scopo descrittivo preposto. Tale ragione, associata alla carenza di copie e alla grande richiesta del pubblico, dato che il lavoro di Eschinardi è apprezzato alla stregua di una guida di viaggio, induce Venuti a ristampare l’opera, non senza averla «accresciuta e corretta», come nel caso della parte inerente la Villa imperiale tiburtina, alla quale Eschinardi 1696, V, p. 337-338, par. 114, aveva dedicato solo un breve e sommario paragrafo, tratto dalle indicazioni kircheriane incluse nel Latium.
88 Come trasmesso da Lanciani 1894a, p. 19-20; in nota Lanciani fa riferimento al suo precedente articolo, Lanciani 1882, p. 226, «Via Tiburtina. LXIX. (3108 f. 152). Piante e spaccati di quello che resta oggi in piedi della... Villa fatta edificare da Adriano imperatore... Dalli disegni che qui si vedono delle sue illustri mine fa vedere distintamente del suo scheletro qual fosse il corpo, era questa oltre alle pitture adornata di statue come suol vedersi dalli tanti fragmenti... che si ritrovamo appreno il conte Fede che a la sua abbitatione in Tivoli sopra le ruine di essa (Le tavole vanno dal f. 153 al 174, e sono importantissime)» . Cfr. Schreiber 1892, p. 105-156, p. 145 per Villa Adriana.
89 Cfr. p. 81-85.
90 Cabral, Del Re 1779, p. 141.
91 Ciò è testimoniato fino agli esordi del Novecento. Reina 1906, p. 313, scrivendo della «pianta di Ligorio», dimostra di non conoscere né il nome di Contini, che chiama «Giuseppe», né la pianta del 1668, tanto che fa riferimento all’elaborato di Kircher: «Questo rilievo, rimasto inedito, servì di base alla pianta rifatta nel 1634 da Giuseppe Contini, pubblicata nel Latium di Kircher nel 1671»; la medesima informazione appare in più scritti pubblicati in anni simili, come nel caso di Nuova Antologia, 211, 843, febbraio 1907, p. 752. L’ipotesi è ulteriormente comprovabile dallo spoglio dei cataloghi di numerose biblioteche da cui si può ammettere che nella Roma settecentesca il volume di Contini è custodito solo nella Biblioteca Chigiana (cfr. Assemani 1764, p. 145); biblioteca, questa, il cui progetto si deve proprio a Contini. Anche in tempi attuali le copie del volume sono poche e possedute solo dalle maggiori biblioteche.
92 Alla morte del Cardinale Francesco, l’intera eredità passa al fratello laico Maffeo Barberini che, nel 1685, la trasmette al figlio Urbano, avuto dalla moglie Olimpia Giustiniani, nipote del papa Innocenzo X. Urbano, nonostante i favori derivanti dalla parentela con il Papa e benché si sposi per tre volte con donne facoltose (la prima moglie è Cornelia Zeno Ottoboni, pronipote del papa Alessandro VIII, la seconda è Felice Ventimiglia Pignatelli d’Aragona, nobile siciliana, anch’essa al secondo matrimonio, e infine la terza è Maria Teresa Boncompagni), mette a dura prova l’economia familiare tanto da essere ricordato quale «grande dissipatore» . Alla morte di Urbano, il fratello, Francesco juniore, anch’egli cardinale, assume gli incarichi di ammistratore del palazzo al Quirinale e di tutore dell’unica figlia di Urbano, Cornelia Costanza, avuta dalla terza moglie. Nel corso di tale amministrazione e in seguito alle nozze della dodicenne Cornelia Costanza con il ventiseienne Giulio Cesare Colonna di Sciarra, il cardinale Francesco juniore fa eseguire lavori di ristrutturazione del palazzo e, in particolare, del secondo piano, nell’ala originariamente dedicata al cardinale Francesco seniore. L’inizio significativo della completa dispersione della collezione di quest’ultimo, pertanto, deve essere fatto risalire alla spensierata amministrazione di Cornelia Costanza, ossia entro il 1797, anno della sua morte.
93 Cause italiane civili, criminali e commerciali discusse dal 1800, Pistoia 1843, 1, p. 30-31, «Doveva Ella, secondo il prescritto da Urbano VIII, e dagli altri tre Cardinali testatori far esatto inventario di tutte le suddette eredità. Di fatti nello stesso anno 1738, tre inventarj ella fece; ma né intieri li fece, né con lealtà. Ebbe in primo luogo la cautela di omettere giudiziosamente molti oggetti di gran valore, quadri insigni, statue, e sculture più rare, perchè voleva disfarsene, senza che apparissero essere appartenenti al jus succedendi. Non volle neppur segnarvi la statua Mnemosine, la dea della memoria, perchè voleva perfino scordarsi di quanto Urbano VIII richiedeva da lei. Ebbe anche l’altra avvertenza, di far segnare nelle stime dei suoi inventarj alli oggetti più rari, i prezzi più infimi, perchè alienandoli non sembrasse aver fatto gran danno» . Il volume è totalmente dedicato al resoconto delle cause Barberini, a partire dall’eredità di Urbano VII, fino a quella che vede coinvolta Costanza Cornelia; in particolare, a p. 30, n. 4, si legge che «Oltre la statua di Mnemosine, mancano la nave di Palestrina, il Sarcofago di Agamennone, e quello di Protesilao, il basso rilievo del Circo, l’Obelisco, i Capofuochi dell’Algardi, un quadro di Claudio e un altro di Domenichino ec.», mentre a p. 31, n. 1, è riportato che «Per esempio la celebre Venere fu stimata nell’inventario Sc. 300, fu venduta da D. Cornelia per Sc. 800, e rivenduta da Jenkins Sc. 12.000. La statua colossale di Giunone era stimata nell’inventario Scudi duecento sessanta, e venduta da D. Cornelia Scudi duemila seicento» .
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