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La rappresentazione epigrafica dell’infanzia servile nella Regio ottava : alcuni esempi


Texte intégral

1Nel mondo romano la vita era suddivisa principalmente in tre periodi : pueritia, iuuentus, senectus1. Varrone2 avrebbe aggiunto l’infantia, che precedeva la pueritia, e la adulescentia, che precedeva la iuuentus. Anche a parere di Censorino3, che pure cita Varrrone, le fasi della vita erano cinque : pueri (fino ai 15 anni), adulescentes (fino ai 30 anni), iuuenes (fino ai 45 anni), seniores (fino ai 60 anni), inde usque finem uitae () senes appellatos, quod ea aetate corpus senio iam laboraret. Isidoro di Siviglia, nel capitolo De aetatibus hominum delle sue Etymologiae4, parla di gradus aetatis sex : infantia (fino ai 7 anni), pueritia (fin ai 14 anni), adolescentia (fino ai 28 anni), iuuentus (fino ai 50 anni), aetas senioris, id est grauitas (fino ai 70 anni), senectus (fino alla morte)5.

2In questo contributo intendo privilegiare l’analisi di alcuni monumenti sepolcrali architettonici, pertinenti ad alcune località e relativi territori della regio VIII, di schiavi infantes secondo quest’ultima definizione, vale a dire entro i 7 anni di età, anche se non è possibile determinare con certezza questa età sulla base della sola fisionomia del ritratto, in mancanza della scrittura epigrafica che attesti il numero degli anni del defunto. Il solo ritratto, inoltre, non permette di identificare, inequivocabilmente, il gruppo sociale di appartenenza e talvolta anche la stessa scrittura epigrafica. Agli schiavi bambini era proibito indossare la bulla, quindi un bambino che la indossava doveva essere di condizione libera, ma la bulla non compare certamente in tutti i ritratti di bambini liberi6.

3La lettera 47 a Lucilio propone una riflessione senechiana sulla schiavitù. A parere di Seneca gli schiavi sono homines, sono contubernales (cioè abitano nella stessa casa del padrone), sono suoi humiles amici. Addirittura, secondo l’ottica stoica, sono conserui, in quanto il fato domina le esistenze di entrambi, schiavi e padroni. Il padrone che mangia a dismisura circondato da schiavi muti e terrorizzati dalle sue possibili intemperanze e violenze è un uomo incapace di controllare le proprie passioni e, conseguentemente, incapace di amministrare correttamente e di valorizzare le sue proprietà. Il padrone deve sapere esercitare la virtù, prime fra tutte la moderazione e la temperanza, che sono la garanzia della stabilità dei rapporti di potere.


4Questa riflessione pare essere sottesa in uno dei casi senz’altro più noti di rappresentazione epigrafica dell’infanzia servile nella regio VIII. Si tratta di un monumento funerario, già reimpiegato a Ferrara nel monastero di sant’Antonio Abate, che è oggi conservato nel lapidario dei musei civici di arte antica di Ferrara (Santa Libera) (fig. 1) ; la pietra è databile, su basi tipologiche, iconografiche e paleografiche alla metà del I sec. d.C.7 La stele calcarea a pseudoedicola è formata da un alto zoccolo e da una nicchia delimitata da due paraste. Il coronamento è costituito da un timpano triangolare, sormontato da due leoncini acroteriali ; all’interno del timpano è raffigurato un leprotto o un coniglietto che rosicchia una carota. La nicchia ospita la figura intera di un bambino, vestito con tunica e mantello ; questo bambino regge con la mano destra un grappolo d’uva e nella sinistra stringe al petto un uccellino. La sua anagrafe è incisa sull’epistilio, mentre lo zoccolo ospita il carmen sepolcrale che, alle consuete note di rimpianto per una mors inmatura, unisce cenni biografici del piccolo defunto. Si tratta di Festius (scrittura contratta di Festivus)8, delic(atus) o delic(ium) di Papirio Prisco. Il carmen lo ricorda così :

Parua sub hoc titulo Festi / sunt ossa lapillo, / quae maerens fato condi/dit ipse pater. / Qui si uixisset domini / iam nomina ferret. / Hunc casus putei detulit / ad cineres.

Fig. 1 - La stele di Festius. © La Monaca 2007, p. 170.

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5A l. 1 Mommsen9 integra con il termine delic(atus), mentre Pflug10 con del(icio). Va notata la diversa distribuzione geografica di questi due termini : il primo è attestato nel nord della penisola italica, in Gallia Narbonese e in Dalmazia, mentre delicium e affini si trovano soprattutto a Roma e in Italia centrale e meridionale11. La configurazione del rapporto testo e immagine è abbastanza convenzionale in questa tipologia di documenti : il praescriptum in prosa, contenente l’anagrafe del bambino e il suo rapporto con il dominus (Festius, delicatus), è incisa sulla trabeazione che sorregge il timpano dell’edicola ; il carmen, composto da due distici elegiaci è inciso sullo zoccolo, al di sotto della rappresentazione iconografica del bambino. La gens di appartenenza del dominus, Papiria, è diffusa soprattutto nella regio X (Venetia et Histria)12, ma è comunque attestata anche nel territorio dell’attuale città di Ferrara13. Ciò che è singolare, invece, è il testo del carmen, che unisce parole di compianto convenzionale (parua sub hoc titulo () sunt ossa lapillo, maerens fato) per la mors inmatura di un bambino ad accenni di vita vissuta (casus putei), a riprova di come le circostanze specifiche di questa tragica morte infantile avessero suscitato commozione nelle persone che lo conoscevano e che, evidentemente, gli volevano bene.

6Per quanto riguarda il compianto convenzionale, si può ricordare, come esempio proveniente dalla regio VIII (Forum Corneli, odierna Imola), una stele rinvenuta lungo la via Emilia, circa a due chilometri dalla città. Il monumento funerario è stato posto contra uotum dai genitori, C. Titius Genialis et Anneia Marcella, qualificati come parentes, al loro figlio, morto a un anno, due mesi e venti giorni, in questo caso non di condizione servile in quanto portatore dei tria nomina, C. Titius Genialis, identici a quelli paterni14. Il ritratto del bambino, posto al centro del frontoncino della stele, è accompagnato da una convenzionale rappresentazione grafica del compianto per una morte prematura : nato dulci, erepta luce. Nell’iscrizione di Festio, invece, chi parla in prima persona è il pater, ovviamente di condizione servile e ovviamente anonimo, perché agisce soltanto in virtù del legame naturale che lo collegava al figlio. Le sue sono, infatti, parole di compianto particolare, in quanto lamentano la perdita dell’acquisizione del nomen del padrone ; il dominus, infatti, avrebbe certamente manomesso il suo delicato, se a quest’ultimo fosse stato concesso di vivere più a lungo. Il rimpianto non è quindi rivolto in modo particolare alla morte immatura, rappresentata piuttosto dal ritratto e dai simboli del mondo infantile (il leprotto, l’uccellino, il grappolo d’uva, quest’ultimo forse con anche valenze escatologiche15), ma al fatto che la morte prematura ha impedito al bambino di acquisire la pienezza dei suoi diritti di liberto, qui riassunti nel nomina ferre.


7Un recente rinvenimento modenese16 attesta che il liberto Sex. Peducaeus Eutyches17 dedicò uiuus una stele monumentale con frontone triangolare privo di decorazione e acroteri con girali sibi et / [--- d]elicio suo [posteri]sque (fig. 2). Una lacuna della pietra non consente di conoscere il nome del delicato di Eutyches, il cui ritratto era stato scolpito nella parte inferiore della stele, realtà non consueta nella coeva documentazione modenese. Secondo i più recenti studi dedicati ai delicati, equiparati ai delicia/deliciae18, la documentazione epigrafica pare differenziarsi da quella letteraria (e giuridica) dove la connotazione erotica sembra prevalere nella caratterizzazione del rapporto padrone/delicatus19.

Fig. 2 - La stele dei Peducaei. © Donati, Cenerini, 2013, p. 420.

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8Le iscrizioni sembrerebbero attestare, invece, che il delicatus, per lo più di condizione servile e di giovane età, fosse considerato dal dominus alla stregua di un familiare e amato come un figlio ; inoltre, nel corso della prima età imperiale, si diffonde la moda, anche tra il ceto medio della popolazione, di accogliere nel proprio sepolcro un delicatus, inteso come mezzo ideologico per sottolineare la propria condizione economica e sociale20.

9Come termine di confronto, sempre nell’ambito della regio VIII, può essere ricordato un piccolo cippo in marmo21, rinvenuto in territorio riminese, privo, invece, di qualsiasi elemento decorativo, a prescindere dagli standardizzati urceo e patera sui fianchi del cippo stesso ; esso reca il ricordo di Mansuetus, vissuto 10 anni e 12 giorni ; pose il monumento al proprio delicatus Aemilius Entellus.


10T. V(alerius ?)22 Maximus dedicò il monumento sepolcrale al proprio alumnus23 Neo(n), definito dulcissimus, che era vissuto 2 anni e 58 giorni. Si tratta di un sarcofago a cassapanca in marmo proconnesio, rinvenuto a Voghenza, in territorio ferrarese24 (fig. 3). Il coperchio, a doppio spiovente, è più grande della cassa ed è configurato sul davanti come un tetto di tegole e coppi. I grandi acroteri laterali ospitano due ritratti infantili. « Questi ultimi tramandano l’immagine di un fanciullo apparentemente di età maggiore rispetto a quella dichiarata per il piccolo Neon, per cui, data anche la sproporzione nelle dimensioni fra cassa e coperchio, è probabile che sia stato adattato un coperchio prefabbricato con generici ritratti infantili, forse idealizzati sulla scorta delle rappresentazioni di fanciulli della casa imperiale »25. La fronte della cassa è decorata con una tabella ansata sorretta da eroti che contiene l’iscrizione. Il sarcofago si data entro i primi due decenni del III sec. d.C.26

Fig. 3 - Il sarcofago di Neon. © Rebecchi 1989, p. 392.

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11Dalla città di Ravenna proviene una stele monumentale, suddivisa in quattro registri iconografici ed epigrafici. Nel timpano della stele a pseudoedicola è stata ricavata, contestualmente alla lavorazione generale del monumento, e non in un momento successivo, come indurrebbe a pensare la sua anomala posizione27, una nicchia che ospita, come scrive il Bormann28, un caput puellae (fig. 4). Tale ritratto femminile si identifica con Firmia L. l. Prima. Nella nicchia sottostante sono raffigurati tre personaggi, un uomo, una donna, raffigurati vestiti, e, tra di loro, una bambina, epigrafati rispettivamente L. Firmius L. l. Princeps, Firmia L. l. Apollonia. La scrittura dell’onomastica di queste due persone si allinea su due righe, per rispettare esattamente la posizione di riferimento con il ritratto.

Fig. 4 - La stele dei Firmii. © Donati 1990, fig. XLVII.

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12L’onomastica della bambina, invece, che è raffigurata tra i due, abbracciata dalla madre, è stata incisa su un’unica riga sottostante che occupa l’intera larghezza dello specchio epigrafico, dove a fianco della menzione Lezbiae filiae è scritto sibi et suis de pecun(ia) s(ua) u(iua) f(ecit). I due personaggi che compaiono in caso nominativo sono la liberta Firmia Prima, in prima riga di scrittura, e la liberta Firmia Apollonia ; l’habitus epigrafico sembrerebbe attestare, comunque, che la committente del monumento sia proprio quest’ultima che dedica la stele eretta a sue spese a una colliberta e a un colliberto (tutti e tre sono L. l.) ; quest’ultimo è raffigurato iconograficamente come maritus ; la dedica del sepolcro si estende anche alla figlioletta Lezbia, che compare soltanto con un simplex nomen, e quindi potrebbe essere di condizione servile. Se, invece, la bambina è nata da un iuxtum matrimonium, cioè quando i genitori, Princeps e Apollonia avevano già raggiunto lo status libertino, evidentemente ne è omesso il nomen gentilizio. Più probabilmente, a mio parere29, la bambina è nata quando la madre era ancora schiava e quindi la piccola era di condizione servile. Come scrive Beryl Rawson : « When at least one marital partner was a slave, no formal mariage was possible. Any children born in these circumstances belonged to the mother, or, if she was a slave, to her owner. The father had no formal claim, but the blood relationship was recognized for some purposes, including early manumission of a natural son or daughter and avoidance of incest »30. Se, fino a questo livello della pietra, i legami con i sui di Firmia Apollonia appaiono perfettamente intellegibili, del tutto incomprensibile, agli occhi dell’osservatore contemporaneo, risulta il legame31 con gli altri due personaggi raffigurati nella nicchia sottostante, due iuuenes nati liberi, presumibilmente due fratelli, M. Latronius Sal. f. Secundus e Sal. Latronius Sal. f. Saturninus, anch’essi vivi al momento dell’erezione del monumento funebre, come si evince dalla doppia V apposta sui busti nudi dei loro ritratti. Completa il sepolcro il ritratto vestito di un puer, u(iuus), Speratus, appellato come uerna, che trova posto nel sepolcro sulla base di una « potential affective relationship »32. Come è noto, il diritto sepolcrale postulava la facoltà di concedere la sepoltura (ius mortuum inferendi) anche a estranei nell’area sepolcrale della familia33. In questo caso, però, non si tratta della sola sepoltura, ma della comunicazione su pietra della composizione del nucleo familiare, ovvero della sua « immagine sociale »34.


13Come confronto può essere citata la stele pertinente al territorio classense (fig. 5)35, quindi in ambito territoriale contiguo alla stele precedente, che presenta tre ritratti nell’edicola superiore, due, maschile e femminile, in quella mediana e due, entrambi maschili, nella inferiore. L’iscrizione che menziona i primi tre personaggi (un uomo, una donna e, tra di loro, un bambino) ricorda P. Arrius P. f. Montanus, Mocazia Helpis uxor e il loro bambino, che indossa la bulla e che, essendo evidentemente nato all’interno di un iuxtum matrimionum, porta i tria nomina : P. Arrius Pollux.

Fig. 5 - La stele degli Arrii (particolare). © Donati 1990, fig. L.

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14Sulla base dell’esegesi dell’iscrizione nel suo complesso, si evince che questa stele ospita non soltanto la famiglia nucleare di P. Arrius Montanus (lui stesso, la moglie e il figlio), ma anche la presumibile cognata Mocazia Iucunda, il di lei marito Q. Decimius Dacus, optio de triere Pinnata, e i due liberti, P. Arrius P. l. Primigenius e P. Arrius P. l. Castor36. Se, da un lato, tutti i personaggi menzionati sono in caso nominativo, soltanto P. Arrius Montanus e Mocazia Helpis sono raffigurati vestiti, mentre gli altri quattro busti sono nudi, a conferma del ruolo di pater familias di Montano nella costituzione del sepolcro.


15Una stele architettonica del tutto analoga, nella configurazione di ritratti alternati a iscrizioni, proviene dal territorio ravennate (fig. 6)37. I ritratti sono ospitati in tre nicchie di forma rettangolare, di profondità e larghezza decrescenti dall’alto al basso38. Essi raffigurano la famiglia dei Marii. Nella nicchia superiore ci sono tre ritratti : quello del pater familias e committente del monumento sepolcrale (uiuus fecit sibi et suis) C. Marius C. l. Clemens, di colei che è raffigurata come moglie, ma non esplicitamente epigrafata, Maria Sabina Tespiae l(iberta), evidentemente una colliberta, ma non dello stesso patrono ; il ritratto del bambino, quasi certamente il loro figlio, o, per lo meno, rappresentato come tale, non è accompagnato, invece, da nessuna attestazione epigrafica, forse a causa della morte in tenerissima età.

Fig. 6 - La stele dei Marii. © Donati 1989, fig. 105.

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16L’inserimento del suo nome sulla stele non era stato neppure previsto, perché le due righe dell’iscrizione occupano la totalità dello spazio epigrafico loro riservato39. Richard P. Saller ha da tempo richiamato l’attenzione degli studiosi alla cangiante difformità dell’epigrafia sepolcrale che concorre a delineare sentimenti, obblighi e diritti diversi all’interno di ciascuna domus40.


17Un’ipotetica menzione di un’altra bambina di condizione servile nella regio VIII può essere ricercata nell’iscrizione modenese CIL, XI, 853 (fig. 7)41. Questa stele monumentale era nota a Modena già nel XVI sec., come è noto dal cronista locale Francesco Panini. Il seguito a vicende non facili da chiarire, il documento venne disperso. In seguito fu rintracciata e riconosciuta a Bastiglia, a nord di Modena, in suburbana aede antiquissimae familiae de Balugulis, soltanto la parte superiore della stele. Tale ricognizione fu effettuata nel 1752 dal conte Bartolomeo Calori che, due anni più tardi, ne fece dono alla città di Modena. Oggi è conservata nel Museo lapidario estense modenese, campata M sud, 101.

Fig. 7 - La stele dei Nouii. © Giordani, Ricci 2005, p. 256.

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18Si tratta di una stele parallelepipeda, coronata da timpano, mancante della parte inferiore. Nel timpano e nel sottostante ampio architrave è stata ricavata una nicchia cuspidata, al cui interno è stato scolpito un busto virile. Lo specchio epigrafico è riquadrato da una larga cornice a gola, del tutto simile a quella del timpano. All’interno di questo specchio sono stati ricavati due spazi difformi : una nicchia superiore, di forma rettangolare e di dimensioni maggiori, al cui interno sono stati scolpiti due busti affiancati, uno virile e uno femminile ; una nicchia inferiore, centinata e di dimensioni inferiori, la cui sommità occupa lo spazio inferiore tra la mano destra del busto maschile e quella sinistra di quello femminile. All’interno di quest’ultima nicchia è stato scolpito il busto di una bambina che tiene nella mano destra verosimilmente un frutto, mentre al suo fianco è raffigurata una gabbietta con due uccellini. Ai lati sono rappresentati i simboli della carica di decurione rivestita dal primo personaggio menzionato sul sepolcro : fasci senza scure, il subsellium con la mensa, la cista e il uolumen e altri oggetti42. I fianchi del monumento ospitano fregi vegetali, grappoli d’uva e timone rovesciato tra due delfini scolpiti a bassorilievo. Il monumento si data alla prima metà del I sec. d.C. La prima iscrizione, l’unica conservata a tutt’oggi, è incisa sotto il timpano, ai lati del primo ritratto : L. Nouio L. f. Apol(linari) / decurio(ni) Mutinae. Il cognomen Apollinaris è sicuramente attestato nel mondo romano43, anche se non sembrano esservi dubbi che in questo caso si tratti di un membro del collegio degli Apollinares44, particolarmente documentato a Modena45. La seconda parte dell’iscrizione è nota dal Panini e da Gruterus ex Vrsini schedis46 ; Lodovico Vedriani interviene, sulla base di Grutero, a correggere le imprecisioni di Panini (ad esempio la lettura del gentilizio Nonius al posto del corretto Nouius), come si evince dalle sue note sul manoscritto del Panini47. Secondo la ricostruzione del testo epigrafico accettata dal Bormann si legge : [Nouiae D]onatillae l(ibertae) / [L. Nouius] L. l. Chryseros / [Apoll]inaris / [Nouiae ( ?) Sp]atale / [et sibi] u(iuus) f(ecit) / [in fr(onte) p(edes) ...] in agro pedes IX. Già il Bormann non riteneva certa la presenza del nomen di Spatale48. L’impaginato del manoscritto, infatti, indurrebbe a ritenere che la bambina fosse priva del nomen e, stante anche la sua rappresentazione iconografica, potrebbe essere di condizione servile.


19In questa sede ho proposto l’analisi di un numero limitato di attestazioni di bambini di condizione servile documentati nella regio VIII. Il numero limitato si spiega con la mia intenzione di proporre un’analisi del rapporto tra la rappresentazione iconografica e quella epigrafica, non sempre coerente e di immediata comprensione, soprattutto per quanto riguarda l’attestazione dei precisi legami tra piccoli schiavi e committenti dei monumenti funerari. Si tratta, in ogni caso, di piccoli schiavi « privilegiati », che vengono onorati con la memoria del sepolcro e che, qualora fossero vissuti più a lungo, è ragionevole ritenere che avrebbero ottenuto la manomissione, come attesta chiaramente l’iscrizione del piccolo Festio. Le immagini dei piccoli schiavi proposti dalle fonti, letterarie, epigrafiche e iconografiche : « Affiorano dagli schemi culturali, dalle strutture di pensiero. Il tempo di molte di loro è quello della lunga o della lunghissima durata (…). Talvolta, invece, operano a livello dell’ “inconscio sociale”, al di fuori di ogni processo di razionalizzazione, quasi come presenze archetipiche »49. Indagare il campo della rappresentazione servile non è certamente facile, causa le poche fonti disponibili e il loro, per così dire, condizionamento di base : lo schiavo può essere buono o cattivo, a seconda del grado di lealtà dimostrato nei confronti del padrone e, soprattutto, a seconda degli spazi, urbani e domestici, oppure agricoli, in cui lo schiavo bambino si trovava a vivere50. Christian Laes afferma, a mio parere con ragione, che non c’era nessuna garanzia che un bambino schiavo sarebbe cresciuto in un ambiente stabile51. Ma la rappresentazione della servitù infantile su base epigrafica non può che illustrarci bambini del tutto simili ai loro coetanei liberi, come hanno dimostrato queste pur scarse attestazioni provenienti dalla regio VIII.

Notes de bas de page

1 Néraudau 1984, p. 25.

2 Apud Serv., Ad Aen., 5, 295.

3 Cens., Die nat., 14, 2.

4 Isid., Etym., 11, 2, 1.

5 Sull’infanzia in età romana si veda ora Laes 2011.

6 Diddle Uzzi 2005, p. 29. L’A. afferma (p. 31) di escludere dalla sua analisi gli schiavi bambini perché è impossibile identificarli esclusivamente sulla base di criteri stilistici.

7 Pupillo 1999, p. 154, n. 2417.

8 Kajanto 1965, p. 260.

9 CIL, V, 2417.

10 Pflug 1989, p. 160, n. 21.

11 La Monaca 2007.

12 Solin, Salomies 1988, p. 137.

13 CIL, V, 2435.

14 CIL, XI, 6810. La stele, incisa in belle lettere su lastra di marmo alta m. 0,90, larga m. 0,35, risulta già perduta ai tempi della redazione della scheda del CIL. Una mia recente ricognizione (marzo 2014) al Museo e ai magazzini del Museo archeologico di Imola conferma la perdita della pietra.

15 Pupillo 1999, p. 154, n. 2417.

16 Nell’area archeologica denominata « Novi Sad » che in età romana si trovava nell’immediato suburbio, dislocata lungo una strada che dalla via Emilia giungeva al Po e a Mantova.

17 Donati, Cenerini 2013, p. 420-421, n. 11.

18 La Monaca 2007 ; La Monaca 2008.

19 Laes 2010.

20 Cresci Marrone 2003.

21 CIL, XI, 435 ; Donati 1981, p. 112-113.

22 Così Pupillo 1999, p. 157, n. 2425.

23 Sugli alumni rimane sempre valido Nielsen 1999.

24 CIL, XI, 2525. 

25 Pupillo 1999, p. 157, n. 2425.

26 Rebecchi 1989, p. 393.

27 Donati 1990, p. 471.

28 CIL, XI, 178.

29 Cenerini 2003, p. 10.

30 Rawson 2003, p. 266.

31 George 2005, p. 58: « perhaps as employees in the family business ».

32 George 2005, p. 58.

33 Lazzarini 1991 ; Lazzarini 2008.

34 Zanker 2002, p. 133.

35 CIL, XI, 28.

36 George 2005, p. 60.

37 CIL, XI, 195-196.

38 Giorgetti 1989, p. 140, databile alla metà del I sec. d.C.

39 Donati 1989, p. 171.

40 Saller 1994, p. 100-101.

41 EDR, 121899 (A. Raggi).

42 Giordani, Ricci 2005, p. 255-257.

43 Ad es. il nome del console del 169 d.C. P. Coelius Apollinaris attestato in CIL, XI, 405. 

44 Così in CIL, XI, p. 1442 (indices) e Giordani, Ricci, p. 255.

45 Ricci 1977-1978.

46 Panini 1978, p. 32.

47 Della città di Modona. Cronica di messer Francesco Panini, in Biblioteca Estense di Modena, α N. 7.23 (It. 576 e Lt. 790 – ex X D. 31), manoscritto cartaceo in ottavo, sec. XVI, cc. 210, foglio 22.

48 La forma Spatale al dativo è attestata nella regio VIII in CIL, XI, 583 (Forum Popili).

49 Rizzelli 1998-1999, p. 227.

50 Mouritsen 2010.

51 Laes 2010, p. 157.

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