Liberi, liberti e schiavi in un dossier epigrafico da Eporedia (CIL, V, 6785)
Note de l’auteur
Ringrazio François Bérard e Ivan Di Stefano Manzella che con i loro interventi hanno fatto migliorare il mio contributo.
Texte intégral
1Nel capitolo dedicato a Eporedia, l’importante colonia della Gallia Transpadana nell’undecima regio augustea (oggi la piemontese Ivrea), il Mommsen presentò, tra l’altro, l’iscrizione CIL, V, 6785 in questa scheda (fig. 1).
2Si trattava, allora, di una scoperta piuttosto recente, in quanto il monumento era emerso nel 1858, come componente di reimpiego nel chiostro della Cattedrale, destando l’isolata attenzione e una breve notizia da parte di Luigi Bruzza1. Il Mommsen integrò queste indicazioni col suo riscontro diretto, ma non si curò troppo di rilevare le caratteristiche della lapide, nel frattempo murata nel lapidario lungo il porticato del Palazzo Vescovile ; né un sessantennio dopo le avrebbe colte Giuseppe Corradi, che nella scheda al n. 10 nel fascicolo delle Inscriptiones Italiae di Eporedia, apparso nel 1931, di suo aggiunse le dimensioni, la fotografia (fig. 2), la qualità del litotipo (un fragmentum tabulae lapidis uiridis Eporediensis), e un laconico « contulit Mommsen. Recognovi ».
3In seguito, per quanto consta, è tornato a occuparsene soltanto Egon Schallmayer, che ha utilizzato la foto del Corradi e mantenuto l’identica lettura del Mommsen salvo alla linea 13, dove ha correttamente intravisto un nesso fra la D e la I, che unito alla N forma il gentilizio Seruandius, e ha attribuito l’epigrafe a un’entità collegiale indeterminata2.
4L’immagine fotografica prodotta dal Corradi evidenzia peraltro i contorni rastremati verso il basso che distinguono i pilastrini per le erme, ma la sicura conferma si è avuta solo quando, un paio d’anni fa, l’intero lapidario è stato smontato per ricrearlo in una più idonea sede espositiva, offrendomi l’opportunità di esaminare i diversi pezzi della collezione e di appurare che si tratta proprio di un elegante pilastrino di erma di basalto locale, delimitato da una composita cornice modanata e privo della parte superiore, di cm 63,5 x 28,5-25,5 x 17 ; in basso sono i resti di un dente per l’infissione di cm 4,5 x 21 x 14 ; lo specchio superstite è di cm 56,5 x 16,5-14,5, con lettere separate da interpunzioni a virgole apicate e tracce di una recente rubricatura rossa a fini espositivi ; i fianchi e il retro appaiono lisciati con cura, come si conviene per un supporto che rimaneva ampiamente a vista (fig. 3).
5L’iscrizione consiste in un elenco di nomi che, almeno nella documentazione italiana e in specie cisalpina, è del tutto anomalo e inconsueto per una dedica posta su di un’erma3, ed è semmai peculiare delle liste dei fasti, contraddistinte dalla presenza di aggiunte epigrafiche in nominativo che, poste in coda, alimentano il testo. Balza inoltre a colpo d’occhio (ma è sfuggito a tutti gli editori), come nello specchio si siano succedute quattro fasi redazionali, che possiamo far corrispondere ad altrettante « sezioni » testuali : dell’iniziale, che chiameremo « sezione A » (fig. 4), resta solo la prima linea, conclusiva della porzione andata perduta e caratterizzata da lettere capitali di cm 1,2, che per spaziatura e paleografia (soprattutto nella T, nella A e nella R) si diversificano rispetto a quelle nelle successive linee 2-8 della « sezione B », alte cm 0,9-1,1 ed eseguite con tratto più leggero e spazi disuguali (fig. 5).
6La successiva « sezione C », che occupa le linee 9-14, reca lettere di cm 1,1-1,3, apparentemente dovute alla stessa mano e coeve alle sezioni A e B : qui però sono di modulo maggiore, e si distanziano in maniera da riportare anche su due righe i singoli formulari onomastici che nella « sezione B » stanno in una sola (fig. 6) ; infine la « sezione D », che occupa le linee 15-20, si distingue nettamente dalle altre per avere lettere alte cm 1-1,6, e più strette e allungate oltre che più marcatamente incise, abbastanza eleganti e non prive di qualche ambizione grafica, rimarcata pure dall’apex non osservato da alcuno sopra la A alla linea 15 (fig. 7).
7Gli individui nel dossier esibiscono in massima parte i tria nomina connotativi di condizione libera o libertina : tra i liberi, annoveriamo senz’altro P. Septicius Varus, il beneficiarius di un governatore della Gallia Belgica e, ammesso che il cognome latino sia di per sé indice di nascita libera, P. Pontius Placidus, P. Livius Sabinus, C. Annius Fortunatus nonché il Fortunatus ricordato all’inizio dell’iscrizione. I rimanenti si direbbero dei liberti, a giudicare dal loro cognome grecanico, tranne i due antroponimi conclusivi della « sezione C » alle linee 13-14, che lo Schallmayer, sulla scorta della modifica consentita dalle due lettere in nesso, ha unificato nell’onomastica di un’unica persona, cioè Servandius Fidus, senza tuttavia escludere l’alternativa di poterli leggere separati4 : se si osserva, però, che solo entrambi sono impaginati in posizione asimmetrica sulla pietra, che della forma Servandius non manca un impiego cognominale5, e che Servandius Fidus sarebbe l’unica persona nella lista a risultare priva di prenome, a mio avviso la seconda opzione continua a rimanere preferibile, anche perché concorre a definire una sequenza gerarchica « a gruppi », che nella « sezione D » anteponeva a tutti il miles beneficiarius, dopo essersi conclusa con i due appellativi servili nella « sezione C ». Non sono invece ravvisabili eventuali legami di parentela fra i vari individui, che dichiarano gentilizi diversi tranne i due Mettii (linee 11 e 20), il cui cognome grecanico li indizia liberti del medesimo patrono, mentre il cognome Hermes più volte ripetuto (linee 3, 10, 12 e 19) è un appellativo servile che doveva essere assai popolare pure a Eporedia, benché non risulti altrove attestato nel suo corpus epigrafico.
8Ma c’è dell’altro : nella « sezione B » alla linea 3 si cominciò a incidere una F al posto della T del prenome, con un trattino mediano poi dissimulato dal segno interpuntivo, ma tuttora distinguibile ; inoltre, la R del gentilizio Vergilius alla linea 8 venne malamente ricorretta su di una E ; nella « sezione C » il nome Volusius alla linea 9 fu reinciso al posto di un nome che venne eraso, come rivela il palese abbassamento della superficie scrittoria ; infine, all’inizio della penultima linea nella « sezione D » fu eliminato un secondo gentilizio, e all’apparenza il suo spazio rimase vuoto. Il Mommsen e il Corradi rilevarono solo questa seconda rasura senza commentarla, ma la modifica alla linea 9 potrebbe dipendere dalla correzione di un errore materiale, dal momento che il lapicida intervenne solamente sul nome, lasciando intatti il prenome e il cognome preesistenti : è perciò verosimile che, nell’assieparsi di gentilizi e di cognomi nella minuta, sulla pietra questi avesse saltato una riga e avesse ripetuto il gentilizio che stava sopra (Vergilius) o sotto (Mettius), per poi ricorreggersi reincidendo il nome giusto (Volusius) sull’erasione che, indagata con la luce radente, a parte il tracciato delle linee di guida non mostra residui di lettere sottostanti. La stessa procedura può spiegare anche la seconda modifica : a prima vista sembra che il taglio sia netto e che il tratto scalpellato non sia stato reinciso, senonché l’illuminazione angolata svela una isolata C iniziale, di modulo più piccolo e certo introduttiva di un prenome o di un gentilizio corto, che poi non venne completato o forse lo fu ricorrendo al pennello, meglio adatto a eseguire lettere così minuscole in uno spazio tanto breve.
9Qui giunti, proviamo a ordinare l’insieme delle informazioni finora raccolte, per interrogarci sulla natura e sulla destinazione che sarebbero state più compatibili col monumento. Cominciando dal pilastrino, tratto da un litotipo pregiato che denota buone capacità di spesa, il suo rapporto lineare fra la base e l’altezza, confrontato con quello desumibile dai consimili supporti pervenuti integri, avverte che il troncone superstite corrisponde grosso modo a due terzi dell’originale6, e che l’iscrizione, dunque, doveva essere abbastanza lunga da contenere dell’altro testo. I quattro differenti stili scrittorii mostrano poi che la funzione elencativa del listato non venne meno man mano che nell’epigrafe i nomi si rinnovavano senza che i più vecchi perdessero di attualità memoriale, e nel complesso focalizzano un nucleo di individui di estrazione sociale eterogenea, che si direbbero accomunati casualmente dalla circostanza richiamata dalla dedica ; le loro identità, però, non furono inserite tutte insieme e in un’unica soluzione, ma vi furono aggiunte di volta in volta, e aggregate per gruppetti a intervalli temporali secondo scadenze prefissate o determinate dal doverle preventivamente raccogliere in un numero minimo per formare ogni singolo gruppo : ne consegue, quindi, che a disporle nel listato provvide una regìa precisa e (come s’è visto) anche bene attenta a rispettare le precedenze sociali all’interno dei vari gruppetti.
10Queste considerazioni di massima conducono in un contesto espositivo che riesce difficile localizzare in una domus : nelle abitazioni private, infatti, le erme erano prevalentemente donate da schiavi e liberti (in genere singoli o a coppie) in onore dei loro domini e patroni7, mentre nel testo eporediese il numero e la varietà dei formulari onomastici esorbitano da un ristretto milieu familistico, e rispecchiano una compagine umana differenziata che, assieme all’impostazione gerarchica della lista, presuppone uno scenario burocraticamente organizzato. Stando così le cose, non resterebbe che propendere a favore dell’ignoto sodalizio collegiale suggerito dallo Schallmayer, se oltre a una presumibile ma problematica componente servile non comparisse nell’elenco anche un beneficiarius legati Augusti ancora in servizio, e per giunta fuori d’Italia8.
11Proprio questa figura, tuttavia, può metterci in grado di superare l’impasse e di congetturare la più verosimile intestazione del monumento, in quanto dalla verifica dei tituli in cui i beneficiarii appaiono in veste di dedicanti, emerge che essi sono pressoché assenti nell’ambito associativo extramilitare, ma decisamente numerosi nella sfera degli omaggi rivolti al Genius loci e al Genius municipi9. In epoca imperiale il culto fu praticato da una variegata umanità in una vasta area geografica, e perciò non sarebbe affatto strano trovarlo adesso pure a Eporedia10 ; vero è che la perdita dell’inizio dell’epigrafe impedisce di conoscerne la struttura completa, però la sua potenziale lunghezza e il concorso di una specifica casistica formulare portano a non escludere che, forse in concomitanza con un personale e consistente atto evergetico a favore della comunità, un ignoto benefattore avesse posto un’erma al suo Genius, tutelandone la conservazione mediante la rendita di un apposito fondo devoluto da lui stesso11. Poiché in evenienze del genere la prassi epigrafica non si spingeva a precisare chi e come se ne faceva carico, provvedendo pure ai periodici apprestamenti cultuali, i nomi della lista potrebbero riferirsi a dei “contributori aggiunti” : ovvero coloro che, venuto meno o ridottisi gli interessi del lascito coll’andar degli anni, o per l’insorgere di altri motivi, a un certo momento sarebbero subentrati nell’onore e nell’onere di chi avrebbe dovuto provvedervi (l’amministrazione civica ?). L’ammontare della spesa, presumibilmente non cospicua e predeterminata come necessaria e sufficiente ad assolvere alla funzione, avrebbe gravato sui gruppetti che man mano si costituivano, e ciascuno dei sottoscrittori avrebbe contribuito con una quota pro capite al raggiungimento del totale previsto per assicurare la regolarità degli interventi manutentivi e cerimoniali, ottenendo in cambio di venire ricordato sull’erma. La sensibile differenza numerica dei partecipanti nei vari gruppetti (almeno 1 nella sezione A, 7 nella B, 4 nella C e altrettanti nella D) induce a sospettare una progredente disaffezione all’iniziativa, ma nemmeno preclude che a partire da una soglia minima l’importo delle contribuzioni fosse incrementabile a discrezione dei singoli fino alla copertura del plafond prestabilito, per cui più il versamento individuale era alto e più l’entità del gruppo si contraeva, e viceversa. Così frazionata, la quota si manteneva bassa, era alla portata di « piccoli » oblatori di non rilevanti disponibilità economiche, e infine rendeva più facile il compito di trovare chi avrebbe assicurato la continuità e la sopravvivenza degli omaggi.
12Una rilettura orientativa del testo potrebbe essere, pertanto, la seguente :
[Genio coloniae / Eporediensium (?) / - - - - - -] / Fortunaṭụ[s], / P(ublius) Vibius Helius, / T(itus) Baebius Ĥermes, / P(ublius) Pontius Placîdus, / L(ucius) Anicius Tychicus, / C(aius) Annius Fortunatus, / P(ublius) Liuius Sabinus, / C(aius) Vergilius Apollo, / M(arcus) <<Volusius>> / Hermes, / T(itus) Mettius / Hermes, / Seruan̂d̂ius, / Fidus, / P(ublius) Septicius Várus / mil(es) benef(iciarius) leg(ati) Aug(usti) / prouinc(iae) Belgic(ae), / P(ublius) Atil(ius) Epaphrodit(us), / <<C[- - -]>> Hermes, / T(itus) Mettius Eutyches.
13Nei limiti della sua accettabilità e nei termini che si sono proposti, la sostanza di questa ipotesi porterebbe alla ribalta la concretezza di un problema che veniva a crearsi nella gestione di una monumentalità locale che col trascorrere degli anni diventava obsoleta, ma per vincoli legali o retaggi affettivi o memoriali non si poteva o non si voleva accantonare, benché il mantenerla in opera comportasse comunque dei costi. In tale prospettiva l’aspetto epigraficamente dimesso del monumento, più che la conseguenza di una serie di madornali disattenzioni esecutive sembra l’indice di celebrazioni istituzionali sempre più routinarie e stanche, e assieme alla sua immagine complessiva tende a collocarne la più preferibile datazione entro la seconda metà del II secolo d.C.12 : quando, cioè, era ormai venuto perdendosi il concetto funzionale e allocativo inizialmente insito nelle erme, di pari passo col progressivo estinguersi dei destinatari e degli scopi di un messaggio che aveva inesorabilmente abdicato anche alla sua originaria sobrietà espressiva13.
Notes de bas de page
1 Bruzza 1860, p. 92 n. 2, con commento a p. 94.
2 Schallmayer 1990, p. 689 n. 896. Allo stato conoscitivo attuale l’identificazione del sodalizio continua a rimanere ignota, né ad alcun esito si giunge con un controllo a tappeto nel corpus epigrafico di Eporedia, a tutt’oggi muto sui collegi civici, eccettuati i seviri e Augustali.
3 L’affermazione va presa con la prudenza imposta dalla perdurante mancanza di un corpus delle erme per l’Italia settentrionale, che impedisce di condurre raffronti sicuri ; è nondimeno da ritenersi abbastanza attendibile sulla base delle testimonianze raccolte tempo addietro da chi scrive per l’area occidentale (Mennella 1994), ora da aggiornare sia col materiale milanese e comense (cfr. Sartori 1994 ; Sartori 1994a) sia con le attestazioni specifiche nella banca dati EDR (un’ottantina alla data della consultazione, per cui vd. infra).
4 Il particolare fu rilevato solo sotto l’aspetto impaginativo dal Mommsen, che riprendendo la notazione del Bruzza si limitò a osservare che in corrispondenza dei due appellativi « spatium in lapide uacat ».
5 Solin, Salomies 19942, p. 401.
6 L’accertamento puramente orientativo che ho condotto su alcuni pilastrini di erma di varie dimensioni e giuntici integri dall’area transpadana, Eporedia compresa (CIL, V, 7142, 7143, 7479, 7512 ; InscrIt., XI, 2, 18), ha mostrato che la loro altezza oscilla fra i cm 110 e 150, con punte medie di cm 130 ; questo valore, a parità di ordine di grandezza, è indirettamente suffragato dal rapporto fra base e altezza, rispettivamente misurate al di sotto dello spazio occupato dalla sagomatura per il busto e al di sopra del dente di infissione, che oscilla con una costanza quasi sistematica fra 1 : 0,7 e 1 : 0.8. Applicato all’erma in questione il rilevamento fornisce un rapporto di 1 : 0,9.
7 Dalle testimonianze richiamate alla precedente nota 3, si evince che le erme apposte da più di due condedicanti sono sporadiche, se non affatto eccezionali (cfr. CIL, V, 7505 = AE, 1987, 404 = EDR 080507 ; CIL, V, 7512 = EDR 010284 ; CIL, V, 7514 = EDR 010286 ; CIL, V, 7518 = EDR 010290, al momento solo da Aquae Statiellae) ; la constatazione che anch’esse si riferiscano a omaggi in abitazioni private significa che per lo più era questo l’unico spazio in cui i liberti potevano esternare la loro riconoscenza verso il proprio patrono o protettore, essendo di fatto inibiti a fruirne in aree pubbliche cittadine : vd. in proposito Eck 1996b, e in specie p. 307.
8 Per quanto consta, fra i collegiati non figurerebbero militari in servizio (nulla in Tran 2006, nonché in Liou 2009). Quando vi compaiono, i milites rimandano a sodalizi di natura paramilitare, e non hanno nulla da vedere col personale dell’esercito : vd. Waltzing 1895, I, p. 361, 382. Anche la presenza degli schiavi (specie nei collegi di carattere professionale) è controversa, e a ogni modo di riscontro sporadico : vd. Waltzing 1895, II, p. 246, 333, 359, 360 ; Tran 2006, p. 55-65.
9 Il repertorio dello Schallmayer 1990, p. 822, registra all’incirca 90 attestazioni fra quelle indirizzate al Genius loci e quelle rivolte al Genius municipi, per lo più unitamente ad altre divinità del pantheon ufficiale romano. Sul culto e sulla sua diffusione cfr. J. A. Hild, s.v. Genius, in DAGR, II, 2, 1896, p. 1494 ; L. Cesano, s.v. Genius, in DE, III, 1906, p. 468-472 ; W. F. Otto, s.v. Genius, in RE, VII, 1, 1910, spec. col. 1167-1169.
10 In questa linea di comportamento, nella menzione del beneficiario si potrebbe vedere un riflesso condizionato dall’abitudine di onorare il Genius loci/municipi del luogo di residenza o di lavoro (vd. L. Cesano, s.v. Genius, in DE, III, 1906, p. 472, con elenco delle varie categorie di dedicanti). Il militare, insomma, avrebbe iterato, completandolo ed estendendolo pure al Genius di Eporedia, sua probabile città natale, il medesimo atto di culto da lui reso al Genius della località della Gallia Belgica dove era distaccato.
11 La struttura essenziale del testo avrebbe potuto essere : intestazione al Genius della colonia + dedicante + capitale impegnato per la manutenzione e/o per l’abbellimento + eventuale ricordo dell’impensa remissa. Vd. esempi per il settore geografico viciniore in CIL, V, 4016 = ILS, 8373 = EDR 108128 (Arilica) ; CIL, V, 5447 = ILS, 7253 ; CIL, V, 5658 (erma) ; AE, 1951, 94 (Comum) ; 5878 = ILS 6735 = EDR 124197 (Mediolanium) ; CIL, V, 4416 = InscrIt., X, 5, 209 = EDR 090209 (Brixia), oltre nel sempre utile Duncan-Jones 1982, l’elenco generale Funds for Upkeep and Maintenance, p. 206-207.
12 Per una più puntuale cronologia all’epoca severiana in base all’aspetto paleografico dell’ultima sezione di testo propende Schallmayer 1990, p. 691.
13 Di Stefano Manzella 1987, p. 91-92. Il progressivo allungamento delle dediche e la loro concomitante verbosità emergono efficacemente nella successione temporale di AE, 1935, 133 = EDR 073293 ; AE, 1991, 823 = EDR 091286 ; CIL, V, 5888 = EDR 124207 ; CIL, V, 5864 = AE, 1995, 654 = EDR 124183 (II secolo d.C.) ; CIL, V, 5892 = ILS, 6731 = EDR 124211 (tra la prima metà del II e la seconda metà del III) ; AE, 1974, 346 = EDR 075854 ; CIL, XIV, 376 = EDR 143921 (seconda metà del II) ; AE, 1932, 73 = EDR 073192 (prima metà del III) ; CIL, V, 5869 = ILS, 7579 = EDR 124188 (seconda metà del III) ; AE, 1974, 345 = EDR 075853 (tra la fine del II e tutto il III).
Auteur
Università degli Studi di Genova, Scuola di Scienze Umanistiche - giovanni.mennella@unige.it
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