Terza parte. Le conseguenze dell’apostolato cattolico tra i cristiani orientali: il caso armeno
p. 305-307
Texte intégral
1Per studiare i rapporti tra gli armeni cattolici e apostolici nel XVIII secolo, sembra inevitabile rivolgere lo sguardo a Costantinopoli, allora non solo la capitale politica e culturale dell’Impero ottomano, ma anche la città con la più grande popolazione armena al mondo. Questa impressione non è sbagliata, ma rischia di essere limitante qualora l’esame si concentri esclusivamente sulla capitale e sulla comunità in questione, senza considerare le sollecitazioni provenienti da altre zone (più che «periferie», possiamo definirle «centri regionali») e da altri gruppi religiosi. Nello specifico, gli eventi che sconvolsero la vita degli armeni stambulioti nei primi decenni del Settecento trovarono la loro origine profonda nei fatti accaduti sull’isola greca di Chio dopo il 1694, furono in larga parte determinati da personaggi originari delle province dell’Anatolia centro-orientale (Sivas, Tokat e soprattutto Erzurum) e si intrecciarono spesso alle vicende della comunità siro-cattolica di Aleppo. Le decisioni prese dalla Congregazione del Sant’Uffizio sui dubbi di carattere dottrinale riguardanti gli armeni, inoltre, ebbero ovviamente un effetto anche su tutte le altre comunità cristiane orientali.
2Ad arricchire questo quadro e a complicarne ulteriormente la ricostruzione contribuisce la grande quantità (ed eterogeneità) di fonti storiche a disposizione e i loro differenti punti di vista. La visione locale espressa nei memoriali dei religiosi cattolici attivi sul territorio dell’Impero deve essere affiancata allo sguardo d’insieme proprio dell’ambasciata francese a Costantinopoli e delle stesse autorità ottomane; le preoccupazioni politiche rintracciabili nella corrispondenza diplomatica si contrappongono a quelle dottrinali espresse dalle Congregazioni romane, in un momento in cui le differenze di strategia missionaria cominciano a produrre significative divisioni nel campo cattolico. Tali divisioni si ritrovano ancor più accentuate all’interno del clero armeno apostolico, il cui vertice continua a cambiare vorticosamente in quegli anni. Questo impedisce l’espressione di una linea di condotta univoca, a favore invece di un atteggiamento oscillante in cui – come vedremo – un patriarca scelto come pacificatore sembrerà rivelarsi come il più accanito persecutore dei cattolici, salvo poi terminare la propria vita scrivendo un memoriale in cui le cause della propria deposizione sono attribuite ad un’eccessiva benevolenza nei loro confronti.
3Nel capitolo 6 si ricostruirà la storia della comunità armena di Costantinopoli prendendo in considerazione i tentativi di accordo tra cattolici e apostolici, le diverse strategie percorse (dichiarazioni di unione o compromessi pratici), così come le violenze scatenate dal loro fallimento e descrivendo infine il lungo processo verso la costituzione dei cattolici ottomani in un corpo separato1. Le fonti esaminate saranno eminentemente francesi, dato il ruolo fondamentale svolto allora dai rappresentanti diplomatici di Parigi e dai missionari gesuiti e cappuccini2.
4Il capitolo 7 affronta invece gli stessi snodi esaminati con l’ottica delle Congregazioni romane, ovvero attraverso l’analisi dei dubbi sottoposti da missionari e fedeli all’esame del Sant’Uffizio e della Propaganda, nel tentativo di chiarire situazioni molto confuse o, più spesso, di sollecitare una qualche forma di tolleranza implicita o esplicita circa la possibilità di comunicare in divinis con gli armeni «scismatici». Oggetto di interesse particolare sarà la documentazione raccolta tra il 1718 e il 1723 dalla Congregazione di Propaganda Fide nel corso di un’inchiesta senza precedenti, durante la quale moltissimi religiosi cattolici attivi in Oriente (dal Cairo alla Georgia, dalle isole greche alla Persia) furono chiamati a rispondere ad un questionario volto ad accertare la diffusione della communicatio non soltanto tra gli armeni, ma tra tutte le comunità cristiane del Levante3.
5Complessivamente, attraverso la ricostruzione degli snodi più problematici della storia degli armeni dell’Impero ottomano nel secolo e mezzo che divide la fondazione delle prime missioni gesuite in Armenia (1680 ca.) dallo stabilimento del millet cattolico (1831) sarà possibile analizzare e discutere i problemi principali affrontati in quegli anni da tutte le comunità cattoliche orientali: il valore civile dei sacramenti amministrati dal clero «scismatico» all’interno del sistema ottomano, la dimensione dunque politica che assumeva il divieto imposto da Roma ai cattolici di farvi ricorso, così come i complicati rapporti che si venivano ad instaurare tra i fedeli e missionari che rispettavano quest’obbligo e quelli invece che si ritenevano costretti a trasgredirlo4.
Notes de bas de page
1 Per uno studio sintetico sull’argomento, si veda C.A. Frazee, The Formation of the Armenian Catholic Community in the Ottoman Empire, in Eastern Churches Review, 7, 1975, p. 149-163.
2 Tra le fonti più utili segnalo la corrispondenza degli ambasciatori francesi a Costantinopoli, Pierre Antoine de Castagnères marchese di Châteauneuf (1689-1699), Charles de Ferriol (1699-1710) e Pierre Des Alleurs (1710-1716), conservata in Archives Nationales (AN), Affaires Etrangères (AE), B/I, vol. 380-389; i memoriali delle missioni gesuite in Anatolia, raccolti progressivamente nelle Lettres édifiantes et curieuses; le relazioni a stampa di T.C. Fleuriau d’Armenonville, Estat présent de l’Arménie tant pour le temporel que pour le spirituel, Parigi, chez la veuve de Jacques Langlois, 1694 e di J. Villotte, Voyages d’un missionaire de la Compagnie de Jésus en Turquie, en Perse, en Arménie, en Arabie et en Barbarie, Parigi, chez Jacques Vincent, 1730 (edita dal p. N. Frizon); le lettere e i documenti della missione cappuccina di Costantinopoli, Archives Provinciales des Capucins de Paris, fonds Constantinople – St. Louis de Pera, in particolare le serie D, E ed O e il manoscritto 1261 della biblioteca. Quest’ultimo è una copia di inizio Novecento, in grafia ammodernata, delle lettere inviate a Parigi dal superiore Hyacinthe-François a proposito degli affari degli armeni, i cui originali si trovano nelle serie summenzionate: R. Kévorkian ne ha pubblicato ampi stralci in Documents d’archives français sur le Patriarcat arménien de Constantinople (1701-1714), in Revue des études arméniennes, 19, 1985, p. 333-371. Avendo svolto la trascrizione dagli originali prima di conoscere il lavoro di Kévorkian, i riferimenti in nota saranno sempre al manoscritto. Utile anche il resoconto di A. de La Motraye, Voyages du Sr. A. de la Motraye en Europe, Asie et Afrique, 2 vol., L’Aia, chez T. Johnson & J. Van Duren, 1727 (ed. or. Travels through Europe, Asia, and into parts of Africa, Londra, 1723). Per ulteriori fonti e bibliografia relative al patriarca Awetik‘, cfr. infra.
3 Le fonti utilizzate sono dunque quelle raccolte nell’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede (ACDF, SO), nei fondi Stanza Storica (St. St.), Doctrinalia e Dubia; e in quello dell’archivio della Congregazione di Propaganda Fide (oggi dell’Evangelizzazione dei Popoli), nei fondi Acta, Scritture Originali riferite nelle Congregazioni Generali (SOCG), Scritture riferite nei Cogressi (SC) e Congregazioni Particolari (CP).
4 Solo nelle ultime fasi di revisione del libro ho potuto vedere G. Aral, Les Arméniens catholiques. Étude historique, juridique et institutionnelle XVIIe-XIXe siècle, Nizza, 2017, che alle p. 70-172 tratta alcuni dei temi che saranno affrontati nelle pagine seguenti.
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