I grandi ufficiali angioini dell’Italia centro-settentrionale e la guerra. Gli anni di Roberto d’Angiò
Texte intégral
Introduzione
1È in fondo una banalità affermare che per i grandi ufficiali angioini la capacità di combattere e condurre una guerra doveva essere un requisito fondamentale. Gli impegni bellici nell’Italia centro-settentrionale furono pressoché continui e il loro peso è dimostrato dal semplice fatto che nella prima metà del XIV secolo un fratello del re (Pietro di Eboli) e due siniscalchi di Piemonte e di Lombardia morirono in battaglia e che diversi altri grandi ufficiali furono catturati o feriti durante scontri campali1. Come tutti coloro che all’epoca ricoprivano posizioni politiche di rilievo, i siniscalchi erano innanzitutto guerrieri, responsabili della difesa e, eventualmente, dell’allargamento dei territori a loro assegnati2; nelle loro familie erano presenti collaboratori militari, quali i marescialli, e talvolta i capitani di guerra3. Ciò nonostante, tale aspetto del loro profilo non è stato finora oggetto di una specifica attenzione storiografica4.
2Nelle pagine che seguono si intende dunque presentare una prima ricognizione sul problema, concentrata in particolare sul momento di massimo sforzo militare da parte degli Angiò, ossia sul quindicennio 1312-1328, quando le forze di re Roberto si impegnarono intensamente per contrastare i ghibellini e i filoimperiali, in una stagione che si aprì con la vittoriosa opposizione a Enrico VII e passò attraverso disfatte come la morte in battaglia di Hugues de Baux nel 1319 e le sconfitte di Montecatini e Altopascio in Toscana, per concludersi con il successo delle armi e della diplomazia regnicole contro Ludovico il Bavaro5.
3Se infatti l’organizzazione militare angioina negli anni di Carlo I d’Angiò è stata oggetto di una certa attenzione storiografica6, gli eserciti di Roberto sono stati quasi completamente trascurati, in particolare per quanto riguarda l’Italia centro-settentrionale, con l’eccezione delle poche, benché importanti pagine dedicate al tema da Gennaro Maria Monti7. Roberto, da questo punto di vista, sembra esser rimasto vittima della sua stessa politica di comunicazione: il sovrano aveva infatti amato presentarsi quale re sapiente e pio, differenziandosi in tal modo dal nonno Carlo, raffigurato come re guerriero, novello Carlo Magno destinato a piegare con le armi i suoi nemici8. La propaganda di Roberto fu talmente efficace da influenzare anche gli studiosi successivi, che ne restituirono un’immagine stereotipata di re imbelle e passivo9. Come vedremo, invece, tale immagine non corrisponde alla realtà e nei primi decenni del Trecento, grazie a un uso intelligente delle pur non eccessive risorse a disposizione, le forze angioine in Piemonte, Lombardia e Toscana riuscirono a fronteggiare la maggior parte degli avversari e a tenere le minacce più gravi ben lontane dai confini del Regno.
Creazione e organizzazione di un apparato militare
4Dopo la crisi della supremazia angioina in Italia legata alla perdita dei domini piemontesi, fra il 1275 e il 1276, e, soprattutto, alla rivolta e la susseguente guerra del Vespro, la dinastia napoletana riprese con decisionel’iniziativa nel settentrione negli anni che seguirono la pace di Caltabellotta10. Fra il 1304 e il 1306 Carlo II riuscì a ricostruire il dominio sull’Italia occidentale ottenendo la sottomissione di Alba, Cuneo, Savigliano, Mondovì e creando una vera contea, affidata prima al giovane Raimondo Berengario, poi allo stesso Carlo II e infine a Roberto11. Dopo essere salito al trono, nel 1309, Roberto estese poi il suo controllo a diverse importanti città lombarde. In particolare, dopo la morte di Enrico VII, fra il 1313 e il 1314 fu nominato vicario imperiale per l’Italia e assunse la signoria di Parma, Brescia e Cremona, il governo diretto di Ferrara e della Romagna e divenne senatore di Roma. Agli inizi del 1318, infine, anche i guelfi genovesi sottomisero la loro città al governo di Roberto12.
5Roberto dominava dunque su un territorio assai vasto e altrettanto poco coerente, la cui difesa poneva problemi di non poco conto. In tempo di pace, le forze a disposizione degli ufficiali angioini erano assai limitate: siniscalchi e vicari potevano contare su poche decine di cavalieri posti direttamente alle loro dipendenze ai quali, in caso di necessità, si aggiungevano i contingenti mobilitabili nelle città e negli altri centri posti sotto il loro governo. Le limitate risorse finanziarie del Regno e della Provenza, sin dai tempi di Carlo d’Angiò, avevano impedito un capillare presidio dei territori settentrionali13.
6Quando, nella tarda primavera del 1312, Roberto d’Angiò decise di prendere esplicitamente posizione contro Enrico VII e di impedirgli di ottenere la corona imperiale in San Pietro14, il sovrano dovette allestire in tutta fretta un apparato militare operativo fuori dai confini del Regno. Il teatro operativo era infatti assai vasto e complesso: Roberto non doveva solo impedire a Enrico l’ingresso in Roma, ma anche difendere i suoi possessi piemontesi, appoggiare la ribellione delle città guelfe nel settentrione e, se possibile, tenere sotto controllo la Toscana e la Romagna.
7Nei decenni precedenti, anche a causa della lunghissima urgenza della ventennale « guerra del Vespro » (che si prolungò dal 1282 al 1302), la presenza militare angioina nell’Italia centrosettentrionale era stata quasi smantellata. Faceva eccezione il Piemonte, dove un continuo stato di tensione e di guerre fra i territori della contea angioina e le potenze confinanti, richiedeva comunque la presenza di un presidio15. Il siniscalco Rinaldo di Letto tra il 1304 e il 1306 aveva ricostituito il dominio angioino con una passeggiata militare condotta con appena 100 cavalieri e 200 balestrieri16. Probabilmente con forze non dissimili aveva partecipato alla guerra di successione del Monferrato, durante la quale, nel 1307, il siniscalco aveva vinto la battaglia di Vignale17; ancora, per garantire un tranquillo trapasso del potere da Carlo II a Roberto d’Angiò nel 1309 furono inviati nella regione diversi fanti arruolati nel Regno e una compagnia mercenaria di 44 cavalieri capitanata da Simon de Ville, di Tarascona18. Con tutto questo, alla fine del 1310 le truppe angioine nella regione, incaricate anche di sorvegliare le mosse di Enrico VII, erano ancora ridotte, dato che ammontavano a non più di 160 cavalieri, di cui 20 ai diretti ordini del nuovo vicario Hugues de Baux e gli altri divisi in tre piccole compagnie arruolate alla bisogna19.
8Negli stessi anni, in Toscana, la presenza militare angioina era basata su un’ambiguità. A Firenze si trovava infatti il catalano Diego de Rat (Diego della Ratta, nella lezione toscana), che comandava un nucleo di 200 cavalieri e 500 fanti suoi conterranei e portava il titolo di maresciallo del re. Egli aveva infatti accompagnato Roberto quando, ancora con il titolo di Duca di Calabria, era stato eletto capitano di guerra del comune di Firenze e dopo la sua incoronazione, Roberto gli inviò le sue insegne regie, a rimarcarne la carica, e lo nominò gran ciambellano del Regno attribuendogli il titolo di conte di Caserta20. Il Rat, però, non era al servizio del sovrano angioino, ma a quello del comune di Firenze, che con lui aveva concluso un contratto di assoldamento ripetutamente rinnovato, e di fatto operava agli ordini della città toscana. Fu infatti il governo fiorentino che fra 1310 e 1311 lo spostò con i suoi uomini in diversi settori del delicato scenario tosco-romagnolo per sorvegliare le mosse dell’imperatore eletto e dei suoi alleati21.
9Soltanto nel luglio del 1311 Roberto decise di rafforzare la sua presenza militare nel settentrione, inviando Gilbert de Centelles quale visconte di Romagna con 200 cavalieri e 500 fanti catalani22. Il Centelles operò intensamente nella regione in collaborazione col de Rat, a sua volta dislocato a Bologna dai Fiorentini, per neutralizzare le locali forze ghibelline23.
10Dopo mesi di difficili contatti diplomatici e di diffidenze, nella tarda primavera del 1312 le trattative tra Enrico VII e Roberto d’Angiò si interruppero definitivamente e fra i due sovrani si giunse a uno stato di tensione che preludeva alla guerra aperta24. Roberto dovette dunque contrapporsi frontalmente all’imperatore e inviò suo fratello Giovanni di Gravina a Roma, a capo di 400 cavalieri pesanti. A questi, secondo Guglielmo Ventura, si aggiunse un contingente agli ordini di Ranieri Grimaldi, che, pro rege Roberto, si portò nella campagna romana per tagliare i viveri agli imperiali25. Enrico, come è noto, entrò nell’Urbe il 7 maggio 1312, ma la resistenza dei guelfi romani, guidati dagli Orsini, arroccati nelle loro fortezze della Torre delle Milizie e di Castel Sant’Angelo e appoggiati da contingenti angioini gli impedì di raggiungere la basilica di San Pietro. Dopo duri combattimenti, il re dei Romani rinunciò a forzare il passaggio del Tevere e si accontentò di essere incoronato imperatore nella basilica di San Giovanni in Laterano, il 29 giugno.Verso la metà di agosto, Enrico abbandonò definitivamente Roma per rientrare a Pisa26. Roberto aveva ottenuto dunque un primo importante successo militare, dato che l’appoggio delle armi angioine fu determinante per la vittoria dei guelfi romani.
11Contestualmente, nel nord, il nuovo siniscalco e capitano generale del Piemonte, Hugues de Baux, aveva visto crescere lentamente, ma progressivamente le proprie forze nel corso del 1311 e del 1312, tanto che nel maggio di quest’ultimo anno riuscì a cacciare i ghibellini da Asti e ottenerne la dedizione al re27. Il 27 settembre 1312 venne istituita la carica di maresciallo del Piemonte, attribuita al già ricordato Simon de Ville, i cui uomini erano saliti a una sessantina28. In Toscana, alle forze stipendiate dai fiorentini agli ordini di Diego de Rat si aggiunsero 240 cavalieri ispanici, posti agli ordini di Ferrante, infante di Castiglia, (noto come conte Lopez de Luna), che arrivarono a Firenze fra dicembre e marzo29. Roberto stava dunque producendo uno sforzo organico per rinforzare tutti i principali territori da lui dominati e porre sotto pressione gli avversari da diversi fronti.
12Agli inizi del 1313, di fronte alla minaccia diretta portata da Enrico VII che intendeva invadere il Regno, la mobilitazione delle risorse belliche di Roberto d’Angiò raggiunse la sua massima estensione. Non possediamo purtroppo più i preziosi registri della cancelleria, che consentirebbero una ricostruzione dettagliata dei provvedimenti difensivi, suggestivamente evocati dalle parole di Romolo Caggese: « le difese erano state approntate con ogni cura ed era lecito guardare all’avvenire con fiducia: milizie angioine erano nell’Abruzzo e a Rieti, in Romagna, in Toscana, in Piemonte e in Lombardia e pagate con salari maggiori del solito »30. Tutto questo sforzo, fortunatamente, si rivelò non necessario, dato che, come è noto, il 24 agosto improvvisamente Enrico VII morì a Buonconvento, presso Siena, ben prima di essersi avvicinato alle frontiere del Regno31.
13La scomparsa dell’imperatore, non interruppe le operazioni belliche, ma diede ovviamente nuovo slancio all’attività angioina. Nel corso del 1313 Roberto aveva ottenuto la sottomissione delle città guelfe di Lombardia, di Firenze e di Lucca, il che gli imponeva un impegno diretto per la difesa di questi centri, non più semplici alleati, ma sudditi e parte del proprio dominio. La nomina a vicario dell’Impero per tutta Italia, effettuata da Clemente V il 15 marzo 1315, consolidò ancora di più tale necessità32. Benché la nuova esplosione di ostilità con Federico III di Aragona obbligasse il sovrano di Napoli a concentrare a sud gran parte delle proprie forze, egli non poté sottrarsi alle sue responsabilità nel centro e nel settentrione della penisola.
14Nel nord, furono dunque rafforzate le posizioni con l’invio di contingenti armati in Piemonte e in Emilia. Le attenzioni del re dovevano però concentrarsi sulla Toscana, dove la presa di Lucca da parte dei Pisani guidati da Uguccione della Faggiola, nel giugno del 1314, aveva fatto precipitare la situazione33. Come nel 1312, il comando delle truppe fu affidato a un fratello del re, Pietro conte di Eboli, che mosse verso nord con 300 cavalieri, poi portati a 600 con gli aiuti finanziari fiorentini34. Un contingente di qualche centinaio di uomini era comunque poca cosa rispetto alle necessità e le forze angioine nella regione vennero ulteriormente rinforzate tramite il trasferimento di Simone de Ville da Parma, e, a luglio, di un altro fratello del re, Filippo principe di Taranto, con altri 400 cavalieri e 300 fanti35. Queste truppe, come è noto, furono però quasi annientate assieme a quelle degli altri comuni guelfi italiani nel corso della battaglia di Montecatini, vinta dai pisani e dai ghibellini guidati da Uguccione della Faggiola, il 29 agosto 1315. Durante lo scontro perse la vita lo stesso Pietro di Eboli36.
15Dopo i pesanti rovesci del 1314 e del 1315, per circa un decennio l’organizzazione militare angioina sembra essersi stabilizzata, al fine di mantenere una costante pressione politica e militare sugli avversariin tutta Italia nell’ambito, però, di un approccio prevalentemente difensivo37. Nel nord-ovest, la difesa continuava a basarsi su una stretta collaborazione militare fra il siniscalco di Piemonte, Hugues de Baux, e quello di Provenza, Riccardo Gambatesa, che valicava periodicamente le Alpi per fornire appoggio militare al territorio confinante38; la Romagna, che poteva essere considerata abbastanza sicura, vide comunque la nomina di un vicario dalle provate competenze militari come Diego de Rat, affiancato da una guardia personale di soli 30 cavalieri con i quali riuscì comunque a cogliere significativi successi contro i ghibellini39; in Toscana, infine, il malumore dei fiorentini verso la cattiva condotta dei mercenari provenzali e catalani indusse il re a una politica di pacificazione, eliminando di fatto i propri presidi armati40. A queste terre dopo il 1319 si dovette aggiungere Genova, dove fu lasciato come vicario Riccardo di Gambatesa, trasferito dalla Provenza. Tale apparato sembra aver funzionato abbastanza bene e non fu cambiato durante la lunga guerra “a bassa intensità” contro i ghibellini degli anni 1316-1324, segnata da un lato dalla tragica scomparsa del siniscalco di Lombardia Hugues de Baux nel 1319, in battaglia contro i Visconti, ma anche dal grande successo ottenuto contro le forze ghibelline lombarde che avevano tentato di riconquistare Genova, sottoposta a un lungo, ma inutile assedio fra il 1319 e il 1323.
16La nuova, terribile sconfitta subita dai guelfi toscani ad Altopascio nel 1325 e la minaccia di una nuova calata imperiale in Italia nella figura di Ludovico il Bavaro richiesero a partire dal 1326 un’ulteriore riorganizzazione dell’apparato militare.
17Romolo Caggese, punto di riferimento indispensabile per ricostruire le politiche angioine negli anni 1327-29, riversa sul sovrano pesanti critiche, dato che secondo lui Roberto « spirito pigro e angusto » e suo figlio Carlo di Calabria non seppero gestire l’emergenza e il Regno si salvò soltanto grazie a una concomitante successione di colpi di fortuna41. In realtà, benché effettivamente la politica militare angioina non abbia avuto il respiro dell’epoca di Enrico VII, non bisogna sottovalutarne l’efficacia: anche se fra gennaio e luglio le forze del Regno non riuscirono a fermare la marcia dell’imperatore eletto fino a Roma, la presenza di Giovanni di Gravina con una colonna di armati nell’entroterra laziale e le incursioni della flotta nel porto di Ostia furono fondamentali per tagliare i rifornimenti alla città42 e suscitare il malcontento popolare che in agosto portòall’allontanamento di Ludovico e all’ingresso nell’Urbe delle forze angioine di Guglielmo di Eboli43. È vero inoltre che Carlo di Calabria, vicario di Toscana, lasciò la regione senza combattere, ma si lasciò alle spalle quale capitano generale Bertrand de Baux con 500 cavalieri pesanti (una forza tutt’altro che disprezzabile, nonostante le ironie del Caggese)44, fondamentali nel permettere al vicario di Firenze Filippo di Sangineto di strappare Pistoia a Castruccio e dunque rendere insicure le retrovie imperiali45. Come è noto, l’avventura del Bavaro finì piuttosto miseramente perché, rinunciando alla prospettiva di attaccare il Regno, dopo essere ritornato in Toscana egli non fu più in grado di trattenere le sue truppe che lo abbandonarono in massa46.
18In sostanza, per due volte in un ventennio l’apparato militare angioino aveva retto all’urto delle forze imperiali, riuscendo a frenarne l’avanzata ben prima che giungessero ad attaccare i confini del Regno, impedendo quindi a entrambi qualsiasi efficace coordinazione con le forze degli Aragonesi di Sicilia. Diversamente da quanto era accaduto con Manfredi e Carlo d’Angiò nel 1266 e con Carlo stesso e Corradino nel 126847, Roberto d’Angiò era riuscito a valorizzare efficacemente le sue posizioni e la sua rete di alleanze nell’Italia centro-settentrionale come avamposto della difesa del Regno.
L’organizzazione militare angioina nell’Italia centro-settentrionale
19Roberto d’Angiò e la sua corte produssero dunque fra 1311 e 1330 un colossale sforzo per presidiare adeguatamente i domini regi nell’Italia comunale e fornire aiuto agli alleati guelfi. Si trattava però di un teatro operativo vastissimo, che si estendeva fra Piemonte, Lombardia, Liguria, Toscana e Romagna: considerati i perduranti problemi interni del Regno e le ricorrenti crisi militari con la Sicilia aragonese, tale sforzo avrebbe potuto rivelarsi eccessivo rispetto alle risorse della corona48. Si cercò dunque di supplire alla scarsità di denaro e, talvolta, di uomini, puntando su uno strumento militare agile e duttile, in grado di garantire rapidamente lo spostamento di truppe da un settore all’altro, a seconda delle necessità, senza mantenere in servizio un numero eccessivo di professionisti delle armi, i cui costi erano insostenibili a meno di ricorrere sistematicamente all’aiuto delle città alleate e soggette.
20Così, ad esempio, nel maggio del 1312 i catalani inviati meno di un anno prima al vicario di Romagna furono precipitosamente trasferiti a Roma49, poi, a luglio, vennero inviati alla presenza del re, agli ordini del luogotenente di Gilbert de Centellas, Simon de Bellieux e infine, in ottobre, ricevettero ordine di portarsi nel contado di Siena50. La difesa della Romagna venne a sua volta allora affidata alle forze di Lamberto da Polenta, assunto al servizio regio con 50 cavalieri e 600 fanti51. Nel novembre successivo, il Bellieux e i suoi 200 cavalieri rientrarono infine in Romagna e si batterono contro i da Polenta a Cesena52.
21Un altro bell’esempio della duttilità con cui la corona organizzò il rapido passaggio di ufficiali e truppe da una parte all’altra d’Italia è fornito dalla vicenda di Tommaso di Marzano, conte di Squillace. Personaggio di grande esperienza militare53, nel novembre del 1312 Tommaso, era stato inviato in Toscana alla testa di 500 cavalieri54. Dato che ormai Enrico VII stava ripiegando a Poggibonsi e poi a Pisa per svernarvi, il conte fu inviato in Provenza quale siniscalco, ma in realtà operò quasi continuamente in Piemonte, dove si affiancò a Hugues de Baux portando con sé i suoi 500 preziosi militi55. In tal modo, egli rese molto più efficace la presenza militare angioina nel nord-ovest: i due potevano infatti operare fianco a fianco, nelle operazioni più importanti, giungendo a disporre di forze assai considerevoli come i 2.000 cavalieri pesanti e i 10.000 fanti con i quali tentarono di attaccare Milano nell’autunno del 131356. In caso di bisogno, però, Hugues e Tommaso si separavano, in maniera da presidiare meglio la regione.
22L’arrivo di Tommaso di Squillace in Piemonte, permise probabilmente di liberare il contingente di Simon de Ville, cui abbiamo già accennato, che venne spostato a Parma, con 100 o 200 cavalieri, in appoggio a Gilberto di Correggio, al quale tali soccorsi si resero indispensabili, contribuendo a strappare Borgo San Donnino ai fuoriusciti nel luglio successivo57. Simon rimaneva probabilmente legato agli ordini di Hugues de Baux che, non a caso, assunse anche il titolo di « vicario di Lombardia »58. Nel maggio del 1314, infine, il de Ville fu inviato in Toscana, dove assunse il titolo di maresciallo regio agli ordini di Pietro di Eboli e fu coinvolto nella disastrosa campagna che portò alla disfatta di Montecatini59.
23Contemporaneamente, anche Tommaso di Squillace venne richiamato nel Regno, dove doveva dare un apporto fondamentale alla prevista offensiva contro la Sicilia60, mentre Riccardo di Gambatesa fu nominato al suo posto in Provenza. Tommaso portò probabilmente con sé le sue truppe e il suo ruolo militare in Piemonte venne assunto dal signore del Delfinato Guigues, assoldato alla bisogna con 300 cavalieri al seguito61.
24In questo modo, impegnando forze relativamente ridotte (un migliaio di cavalieri, circa) il Regno riuscì a esercitare una pressione a largo raggio su tutta l’Italia centro-settentrionale, concentrando di volta in volta le truppe dove se ne presenta va la necessità. Il sistematico trasferimento di ufficiali e truppe continuò anche in seguito, come mostra lo spostamento di Simon de Bellieux e dei suoi uomini dalla Romagna al Piemonte, dove rimase dal 1317 al 1318, o l’itinerario di Bertrand de Baux con 500 e poi 400 cavalieri da Napoli nel 1327 a Firenze nel 1328-29, a Bologna nel 1330 e in Piemonte nel 133162, anche se non sempre le fonti non consentono di seguirlo con la necessaria precisione.
I grandi ufficiali angioini e la guerra
25Un altro aspetto della duttilità della politica militare di Roberto fu la capacità di adattare l’organigramma dei suoi ufficiali, cercando di sfruttare al meglio le competenze disponibili adattandole alle necessità locali, in particolare nei confronti dei comuni italiani, il cui apporto in uomini e denaro era indispensabile per mantenere l’efficacia dell’esercito. In questo senso, risulta evidente una profonda differenza fra le due principali aree di influenza regia, il Piemonte e la Toscana.
26In Piemonte, dove non si poteva contare che limitatamente sulle risorse locali, il pagamento delle truppe rappresentava un continuo problema, risolto solamente grazie ai ripetuti e onerosi interventi delle grandi compagnie bancarie fiorentine63, o accendendo pesanti mutui con le famiglie aristocratiche locali64. I comuni piemontesi soggetti davano ovviamente il loro contributo, ma, con l’eccezione di Asti, le loro capacità economiche e demografiche erano limitate65. In tal modo, lo squilibrio fra ambizioni e risorse era drammatico: lo si vide bene nella tarda estate del 1313, quando Hugues de Baux e Tommaso di Squillace si portarono sotto le mura di Milano e vi inflissero una pesante sconfitta alla cavalleria di Matteo Visconti. Essi però non attaccarono la città e ripiegarono senza aver conseguito risultati decisivi, suscitando l’ira dei pavesi e le perplessità dei cronisti. In realtà, stando ai dati forniti dal Mussato, i due si erano mossi con forze drammaticamente ridotte: i 1300 cavalieri e i 2600 fanti a loro disposizione erano sufficienti per vincere uno scontro campale, ma certo non per assalire una metropoli come Milano66. Le riserve di denaro e di uomini dei siniscalcati di Piemonte e di Provenza non consentivano di condurre campagne a largo raggio.
27In questo contesto, nel quale il ruolo preminente nella conduzione della guerra era affidato alle truppe provenzali al soldo dell’amministrazione angioina, i siniscalchi ricoprivano un ruolo centrale e guidavano in prima persona le operazioni, mentre i marescialli li affiancavano in posizione subordinata. Roberto affidò dunque gli incarichi di governo a personaggi di grande rilievo e di provata esperienza, destinati a rimanere in carica per tempi lunghissimi. Fu eccezionale il decennio di Hugues de Baux, interrotto solo dalla sua morte, avvenuta nel 1319, ma anche i siniscalcati di Provenza affidati a Riccardo di Gambatesa nel 1311-12 e nel 1314-18 e poi a Rinaldo di Scaletta dal 1321 al 1325 sono frutto di questa progettualità67.
28In Toscana, invece, Firenze, Siena e gli altri centri guelfi avevano il potenziale economico e militare per garantire quasi autonomamente la propria difesa e contribuivano in modo massiccio allo sforzo bellico angioino, come dimostrano i 12.000 fiorini d’oro versati una sola volta dal comune senese nel marzo del 1313 per il mantenimento della cavalleria regnicola nella regione68. In tale contesto, gli ufficiali angioini svolsero prevalentemente un ruolo di coordinazione e di comando, lasciando però amplissimi margini di autonomia alle autorità locali: solo eccezionalmente l’impegno militare del re divenne predominante, di solito in coincidenza con l’arrivo di membri della famiglia reale e di robusti contingenti catalani o regnicoli, come avvenne nel 1305 con lo stesso Roberto, allora duca di Calabria, nel 1315 con Pietro di Eboli e nel 1327 con Carlo di Calabria69.
29In Toscana, in particolare, fu abbastanza rigida la separazione fra il ruolo di coordinazione politica, affidato al vicario della regione o, talvolta, al vicario di Firenze, e quello di guida militare, per cui esisteva un apposito capitano generale. Per comprendere le tensioni e le difficoltà che potevano nascere dalle contrapposte esigenze delle autorità politiche e di quelle militari, ci si può soffermare sul caso di Bertrand de Baux.
30Bertrand era indubbiamente un abile condottiero militare, che ebbe incarichi importanti in Piemonte, nel Regno e fuori, ma dimostrò altrettanto indubbiamente poca capacità di districarsi nel complesso quadro politico-militare dell’Italia delle città, tanto che, posto nel 1323 a capo delle truppe guelfe di Toscana, fu precipitosamente sostituito nel giugno del 1324 su pressione del comune di Firenze che ne deprecava le pessime qualità diplomatiche. La situazione si riprodusse nel 1329, quando Bertrand tornò in Toscana e, con la sua politica militarmente aggressiva, minacciò di vanificare gli sforzi fiorentini per pacificare la regione dopo la morte di Castruccio Castracani. Il de Baux fu dunque trasferito in Emilia, agli ordini del cardinale du Pouget. Colpisce che comunque Bertrand sia stato chiamato quale capitano fiorentino ancora nel 1331 e nel 1334, segno che lo stesso comune toscano ne apprezzava quantomeno le doti di comandante70.
Conclusioni
31Guardando le operazioni militari dall’ottica dei grandi ufficiali regi, bisognerà in primo luogo osservare la grande duttilità organizzativa dimostrata dal governo angioino. A seconda delle necessità, le truppe potevano essere infatti messe agli ordini dei governatori regionali (siniscalchi di Piemonte, vicari di Toscana, visconti o vicari di Romagna), di ufficiali appositi destinati ad affiancare i governatori (capitani o marescialli), di membri della famiglia reale o di altri aristocratici eccezionalmente inviati.
32Tale duttilità era resa necessaria dalla complessa organizzazione delle forze angioine che operavano nell’Italia centrosettentrionale. Di norma il regno finanziava – talvolta con difficoltà – piccoli nuclei di qualche decina o centinaio di combattenti professionisti, soprattutto catalani o provenzali, posti agli ordini dei grandi ufficiali angioini. Queste truppe relativamente ridotte venivano integrate con quelle provenienti dalle città soggette, le quali a loro volta potevano inviare le loro milizie o arruolare altri mercenari. In caso di necessità, infine, si potevano muovere dal sud contingenti di cavalleria pesante regnicola, solitamente al seguito del sovrano o di qualche suo stretto parente. Quando tale combinazione di elementi riuscì a mettere a disposizione risorse sufficienti agli ufficiali angioini, questi seppero battersi assai bene. Sebbene trascurato dalla storiografia, il fallito assedio di Genova del 1319-23 vide Riccardo di Gambatesa ottenere un grande successo contro la poderosa forza coalizzata di Federico III d’Aragona, Castruccio Castracani e dei Visconti.
33Le difficoltà contro cui dovevano battersi i rappresentanti di re Roberto erano però imponenti. La necessità di una continua interazione con i centri soggetti rese particolarmente delicate le scelte degli ufficiali che dovevano operare a Firenze e in Toscana, dato che non sempre era possibile conciliare qualità diplomatiche e militari: in questa regione, dunque, si assistette a una più marcata separazione fra la carica vicariale e quella di capitano generale, che invece in Piemonte potevano essere assommate nelle mani del siniscalco.
34Sono note le terribili ristrettezze finanziarie nelle quali il Regno degli Angiò si dibatteva nel promuovere in Italia e nel Mediterraneo una politica di potenza, un « grande disegno » secondo le parole di Giuseppe Galasso, che non era commisurata alle risorse disponibili71. Mentre però Carlo I fra il 1275 e il 1282 a causa di una serie di scelte politiche azzardate perse tutto il suo dominio settentrionale e la Sicilia, il suo poco stimato successore grazie alla duttile politica a cui abbiamo accennato, nonostante alcune disastrose sconfitte e innegabili perdite territoriali riuscì a mantenere una presenza effettiva ed efficace sia in Toscana, sia in Piemonte per tutto gli oltre trent’anni del suo regno.
Notes de bas de page
1 Pietro di Eboli cadde durante la grande battaglia di Montecatini, il 29 agosto 1315, disperso nelle paludi di Fucecchio; il siniscalco di Piemonte Hugues de Baux morì nel 1319, sconfitto a Monte Castello da Luchino Visconti e il suo successore Reforciat d’Agoult venne ucciso durante lo scontro di Gamenario contro il marchese di Monferrato nel 1345: si vedano rispettivamente R. Davidsohn, Storia di Firenze, III, Le ultime lotte contro l’Impero, trad. it., Firenze, 1960, p. 803; G.M. Monti, La dominazione angioina in Piemonte, Torino, 1930 (Biblioteca della società storica subalpina, 116), p. 146, A.A. Settia, « Grans cops se donnent les vassaulx ». La battaglia di Gamenario (22 aprile 1345), in R. Comba (a cura di), Gli Angiò nell’Italia nord-occidentale (1359-1382), Milano, 2006, p. 161-206.
2 Sulle radici militari dell’ufficialità angioina: S. Pollastri, La noblesse provençale dans le Royaume de Sicile (1265-1282), in Annales du Midi, 100, 1988, p. 405-434; S. Morelli, Per conservare la pace. I giustizieri del regno di Sicilia da Carlo I a Carlo II d’Angiò, Napoli, 2012, (Nuovo Medioevo, 92), p. 184-185.
3 Monti, La dominazione angioina... cit., p. 259-273. Più ampiamente, sugli ufficiali angioini nel Settentrione ai tempi di re Roberto: R. Rao, La circolazione degli ufficiali nei comuni dell'Italia nord-occidentale durante le dominazioni angioine del Trecento. Una prima messa a punto, in R. Comba (a cura di), Gli Angiò nell’Italia nord-occidentale... cit., p. 229-290.
4 Si veda ad esempio la totale assenza degli aspetti militari delle dominazioni angioine nel pur sempre fondamentale L’État angevin. Pouvoir, culture et société entre XIIIe et XIVe siècle, Roma, 1998 (CEFR, 245). Sugli ufficiali angioini nell’Italia comunale una messa a punto aggiornata è ora fornita da A. Barbero, L’Italia comunale e le dominazioni angioine, in M.T. Caciorgna, S. Carocci, A. Zorzi (a cura di), I comuni di Jean-Claude Maire Vigueur. Percorsi storiografici, Roma, 2014, p. 9-32.
5 Su questa stagione, il punto di riferimento fondamentale resta sempre R. Caggese, Roberto d’Angiò e i suoi tempi, 2 voll., Firenze, 1922-30, che poté sfruttare l’enorme patrimonio documentario conservato a Napoli prima delle distruzioni della Seconda Guerra Mondiale.
6 Si veda almenoJ. Göbbels, Das militärwesen im Königreich Sizilien zur Zeit Karls I. von Anjou, Stoccarda, 1984 (comunque dedicato quasi esclusivamente al Regnum, senza attenzione alla presenza angioina nell’Italia centro-settentrionale).
7 G.M. Monti, La dominazione angioina... cit., in particolare p. 413-431.
8 Sotto il regno di Roberto si promosse una « visione organica della dinastia, in cui il ruolo guerriero era affidato soltanto al conquistatore, l’iniziatore della stirpe, mentre i suoi successori attendevano a consolidarne la gloria per altre vie; aggiungendovi il lustro della pietà e della dottrina »: A. Barbero, Il mito angioino nella cultura italiana e provenzale fra Duecento e Trecento, Torino, 1983 (Biblioteca storica subalpina, 201), p. 125, Id., Letteratura e politica fra Provenza e Napoli, in L’État angevin...cit., p. 159-172, per Carlo I si veda anche P. Borsa, Letteratura antiangioina tra Provenza, Italia e Catalogna, in R. Comba (a cura di),Gli Angiò nell’Italia nord-occidentale... cit., p. 377-433.
9 Per tutti, si veda lo sprezzante giudizio del Simeoni che lo valutava « uomo mediocre, impigrito negli ozi culturali che formavano una specie di giustificazione alla sua ripugnanza all’azione »: L. Simeoni, Le signorie, I, Milano, 1950, p. 91.
10 Sulla crisi angioina nel Settentrione: P. Grillo, Un dominio multiforme. I comuni dell’Italia nord-occidentale soggetti a Carlo I d’Angiò, in R. Comba (a cura di),Gli Angiò nell’Italia nord-occidentale… cit., p. 31-101, alle p. 84-87.
11 G.M. Monti, La dominazione angioina... cit., p. 78-106.
12 R. Caggese, Roberto d’Angiò... cit., II, p. 28-30
13 P. Grillo, Un domino multiforme... cit., p. 85.
14 Sul contesto politico si deve ancora rimandare a W.M. Bowsky, Henry VII in Italy. The conflict of Empire and City-State. 1310-1313, Licoln, 1960, p. 139-158.
15 G.M. Monti, La dominazione angioina... cit., p. 99.
16 Ibid., p. 77.
17 Sulla quale: F. Bargigia, Gli aspetti militari della « riconquista » del marchesato : Teodoro I di Monferrato nel biennio 1306-1306, in A.A. Settia (a cura di), « Quando venit marchio Grecus in terra Montisferrati ». L’avvento di Teodoro I Paleologo nel VII centenario (1306-2006), Casale Monferrato, 2008, p. 195-209, alle p. 203-204.
18 G.M. Monti, La dominazione angioina...cit., p. 107, 117 e 127.
19 Ibid., p. 127.
20 F. Tommasi, s.v. Della Ratta Diego, in DBI, 37, Roma, 1989, p. 229-233, a p. 230.
21 D. Waley, The army of the Florentine republicfrom the twelfth to the fourteenth century, in N. Rubinstein (ed.), Florentine studies. Politics and society in renaissance Florence, Londra, 1968, p. 70-108, alle p. 99-101.
22 R. Davidsohn, Storia di Firenze... cit., p. 622; D. Waley, The Army of the Florentine Republic... cit., p. 100.
23 Giovanni Villani, Nuova cronica, ed. G. Porta, II, Parma, 1991, p. 225.
24 W. M. Bowsky, Henry VII in Italy... cit., p. 162-167.
25 Guilielmi Venturae Memoriale de gestis civium Astensium et plurium illorum, in Rerum Italicarum scriptores, XI, Milano, 1727, coll. 153-268, a col. 236.
26 W.M. Bowsky, Henry VII in Italy... cit., p. 159-170.
27 G.M. Monti, La dominazione angioina...cit., p. 128.
28 Ibid.
29 R. Davidsohn, Storia di Firenze… cit., p. 712.
30 R. Caggese, Roberto d’Angiò... cit., I, p. 194-195.
31 Sulla spedizione e la morte di Enrico: W.M. Bowsky, Henry VII in Italy... cit., p. 192-204.
32 R. Caggese, Roberto d’Angiò...cit., I p. 203.
33 Si può ancora rimandare alla solida ricostruzione di R. Davidsohn, Storia di Firenze...cit., III, p. 762-774.
34 R. Caggese, Roberto d’Angiò...cit., I, p. 209.
35 Ibid., p. 219.
36 Per la narrazione puntuale della battaglia è sempre utile G. Villani, Nuova Cronica... cit., p. 273-276. Si veda anche la dettagliata ricostruzione di R. Davidsohn, Storia di Firenze... cit., III, p. 800-807.
37 G.M. Monti, La dominazione angioina...cit., p. 138 ; R. Caggese, Roberto d’Angiò...cit., II, p. 18.
38 Guilielmi Venturae Memoriale... cit., coll. 247, 250, 251.
39 E. Angiolini (a cura di), Annales Caesenates, Roma, 2003 (Fonti per la storia dell’Italia medievale, Antiquitates, 21), p. 103.
40 R. Caggese, Roberto d’Angiò...cit., II, p. 8-10. Ciò non toglie che le forze angioine che transitavano dalla Toscana dirette al settentrione non potessero essere coinvolte nelle vicende locali, come quei mercenari ingaggiati nel 1318 da Siena per essere inviati a Genova e usati invece per reprimere la congiura dei Tolomei contro i Nove, nell’ottobre di quell’anno: W.M. Bowsky, Un comune italiano nel Medioevo. Siena sotto il regime dei Nove. 1287-1355, trad. it., Bologna, 1986, p. 194.
41 R. Caggese, Roberto d’Angiò... cit., II, p. 101.
42 G.M. Monti, La dominazione angioina... cit., p. 166.
43 R. Caggese, Roberto d’Angiò... cit., II, p. 128.
44 Ibid., p. 142.
45 R. Davidsohn, Storia di Firenze... cit., p. 1127-1130.
46 K. Pauler, Die deutschen Königeund Italien im 14. Jahrhundert. Von Heinrich VII. bis Karl IV, Darmstadt, 1997, p. 159-165.
47 Per Benevento una recente rilettura in P. Grillo, L’organizzazione militare del Regno durante l’epoca di Manfredi, in P. Cordasco, M.A. Siciliano (a cura di), Eclisse di un regno. L’ultima età sveva (1251-1268), Bari, 2012, pp. 225-253, alle pp. 250-252.
48 G. Galasso, Il Regno di Napoli. Il Mezzogiorno angioino e aragonese (1266-1494), Storia d’Italia, diretta da G. Galasso, vol. XV, Torino, 1992, p. 149.
49 R. Caggese, Roberto d’Angiò... cit., I, p. 158.
50 Ibid., p. 170.
51 Ibid.
52 E. Angiolini (a cura di), Annales Caesenates...cit., p. 100.
53 Prima del 1311 era già stato maresciallo del Regno, capitano di Napoli e ammiraglio del Regno: D. Santoro, s.v. Marzano Tommaso, in DBI, 71, Roma, 2008, pp. 450-452, a p. 450.
54 R. Davidsohn, Storia di Firenze... cit., III, p. 695.
55 Albertini Mussati Historia augusta, sive de gestis Henrici VII caesaris, in Rerum Italicarum scriptores, X, Milano, 1727, coll. 10-568, a col. 555.
56 Guilielmi Venturae Memoriale... cit., col. 240.
57 G. Bonazzi (a cura di), Chronicon Parmense ab anno MXXXVIII usque ad annum MCCCXXXVIII, Città di Castello, 1902 (RIS2, IX/9), pp. 127-128; Albertini Mussati Historia augusta... cit., col. 553.
58 G.M. Monti, La dominazione angioina... cit., p. 398.
59 R. Caggese, Roberto d’Angiò... cit., I, p. 215; G. Bonazzi (a cura di), Chronicon Parmense... cit., p. 134.
60 D. Santoro, Marzano Tommaso... cit., p. 451.
61 Guilielmi Venturae Memoriale... cit., col. 241.
62 R. Caggese, Roberto d’Angiò... cit., II, p. 146. Secondo Giovanni de Bazano, agli inizi del 1330 il de Baux si era presentato nel contado di Modena con 700 cavalieri, ma fu messo in rotta da Manfredo Pio, il che potrebbe spiegare la successiva riduzione delle sue forze a soli 400 uomini: Iohannis de Bazano Chronicon Mutinense, a cura di T. Casini, Bologna, 1917 (RIS2, XV/4), p. 101.
63 G. M. Monti, La dominazione angioina, p. 127, 160.
64 Si veda almeno il caso della famiglia albese dei Falletti in B. Del Bo, La spada e la grazia. Vite di aristocratici nel Trecento subalpino, Torino, 2011 (Biblioteca della Società storica subalpina, 224), p. 15-35.
65 Le difficoltà nel condurre le campagne in Piemonte sono ben illustrate da un episodio del 1327 narrato da Gioffredo della Chiesa. In quell’anno il re voleva attaccare il marchese di Monferrato, ma gli uomini di Asti si rifiutarono di partecipare alla spedizione, che dunque fu condotta con le sole risorse fornite dagli altri centri. Queste ultime però erano relativamente limitate, dato che un grosso borgo come Savigliano poté fornire 20 uomini d’armi e 200 fanti: Gioffredo della Chiesa,Cronaca di Saluzzo, a cura di C. Muletti, in Historiae Patriae Monumenta, V, Scriptores, III, Torino, 1848, coll. 841-1076, col. 956.
66 Albertini Mussati De gestis Italicorum, a cura di L. Osio, in Rerum Italicarum scriptores, X, Milano, 1727, coll. 569-768, alle coll. 578-582.
67 G.M. Monti, La dominazione angioina... cit., p. 397-399.
68 W.M. Bowsky, Le finanze del comune di Siena. 1287-1355, trad. it., Firenze, 1975, p. 59.
69 Si veda sopra.
70 J. Goebbels, s.v. Del Balzo Bertrando, in DBI, 36, Roma, 1988, p. 304-308.
71 G. Galasso, Il Regno di Napoli... cit., p. 139-150.
Auteur
Università degli Studi di Milano - paolo.grillo@unimi.it
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