Alberico Gentili e lo ius legationis
Texte intégral
1Gli Anni Ottanta del Cinquecento furono attraversati, in Inghilterra, da una serie di complotti contro la vita di Elisabetta I. Il mondo delle ambasciate londinesi divenne un crocevia di spie e di talpe1, di attori patenti e nascosti coinvolti nelle trame della politica internazionale europea, dove la competizione tra Francia e Spagna per l’egemonia continentale si mischiava con le lotte confessionali tra Stati cattolici e Stati protestanti, coinvolgendo il Papato come nascosto tessitore di alleanze politiche e conflitti religiosi. Il regno d’Inghilterra, reduce dalla sanguinosa discordia civile che aveva segnato l’effimera, ma drammatica restaurazione cattolica di Maria Tudor, costituiva in se stesso un epicentro del confronto politico e confessionale, aggravato dalla questione istituzionale e dinastica delle pretese al trono di Maria Stuart, che dalla Scozia prima, dalla prigione inglese poi, animava la resistenza del partito cattolico e, spesso con scelte maldestre, le congiure contro la regina Elisabetta. L’arte sottile del Segretario di Stato Francis Walsingham, che era stato inorridito testimone a Parigi della strage di San Bartolomeo per poi mettere a sua volta in campo una feroce repressione dei dissidenti cattolici inglesi, reggeva una rete di spionaggio all’estero e controspionaggio interno, che si avvaleva nell’ombra di personale specializzato come il crittografo Thomas Phelippes e l’esperto restauratore di sigilli infranti, Arthur Gregory2. Nel 1583, a seguito di una precedente indagine segreta orchestrata da Walsingham allo scopo di carpire informazioni concernenti i legami tra Maria Stuart e le corti di Parigi e di Madrid, che aveva avuto come teatro l’ambasciata francese a Londra allora retta dall’ambasciatore Michel de Castelneau, furono scoperti nuovi intrighi cospiratori a carico, questa volta, di Francis Throckmorton3 per liberare dalla prigionia la pretendente al trono inglese. Messo al corrente delle trame dai suoi agenti, il 7 novembre 1583 Walsingham fece arrestare e rinchiudere nella torre di Londra Throckmorton e i suoi complici, ma l’azione repressiva mise in luce anche il coinvolgimento nella cospirazione dell’ambasciatore di Filippo II a Londra Bernardino de Mendoza. Ne seguì un pubblico scandalo e l’ambasciatore spagnolo fu chiamato a rendere conto della sua compromissione davanti al Consiglio Privato della Corona.
2In merito alla possibile condanna di Mendoza si aprì una controversia giuridica sullo statuto e sulle immunità da riconoscere agli ambasciatori e su quale tribunale potesse vantare su di loro legittimi diritti di giurisdizione, dato che alcuni membri del Consiglio sostenevano che « in vaine he putteth himselfe under the safeguard of nations, whiche violateth the lawe of nations »4. Il Privy Council, che intendeva punire l’ambasciatore, consultò alcuni esperti di diritto e, in particolare, due giuristi stranieri, Jean Hotman e Alberico Gentili, a quel tempo parte del corpo accademico dell’università di Oxford, che furono invece concordi nel riconoscergli il diritto all’immunità diplomatica derivante dal suo status. Consigliarono anche che il re di Spagna fosse informato delle colpe del suo rappresentante affinché provvedesse al giusto castigo ; ma Filippo II non ricevette mai gli inviati di Elisabetta I. In considerazione della gravità dei fatti e seguendo i pareri di Gentili e Hotman, Mendoza fu espulso dall’Inghilterra. Poiché esitava nel lasciare il paese, fu imbarcato d’autorità su una nave diretta a Calais.
3Al tempo della consultazione Alberico Gentili aveva circa trent’anni5. Dall’agosto del 1580 si trovava in Inghilterra, esule dalla natia San Ginesio, una cittadina delle Marche, che aveva abbandonato improvvisamente nel 1579 perché accusato dall’Inquisizione di simpatie filoprotestanti insieme con il padre Matteo, medico, e con il fratello Scipione, destinato a una certa fama come letterato e giurista. Era giunto a Londra dopo una peregrinazione che lo aveva portato prima a Lubiana, poi a Tubinga, Heidelberg e Neustadt. Nelle prime due città gli era stato offerto d’insegnare il diritto civile nelle rispettive università. Infatti, Gentili si era laureato in giurisprudenza nel 1572 a Perugia, affermato presidio del mos italicus iura docendi dov’era ancora vivo e operante il magistero di Bartolo da Sassoferrato e di Baldo degli Ubaldi. Prima di lasciare l’Italia, aveva esercitato le funzioni di giudice ad Ascoli e di avvocato del Comune a San Ginesio per poi dedicarsi interamente allo studio del diritto. Nella capitale inglese, grazie a una lettera di presentazione per il medico milanese Giambattista Castiglione, maestro d’italiano della regina Elisabetta e membro della Privy Chamber, era stato introdotto nel potente circolo di corte, che aveva i suoi epigoni in Robert Dudley, conte di Leicester e dal 1565 cancelliere dell’università di Oxford, in suo nipote sir Philip Sidney e nel segretario di Stato, sir Francis Walsingham. Grazie al favore di Castiglione e di Toby Matthew, cattedratico di teologia e vice-cancelliere di Oxford, nel 1581 Gentili fu cooptato nell’ordine dei dottori della prestigiosa università e abilitato a tenervi lezioni e conferenze. A Oxford Gentili si legò di amicizia con Jean Hotman ; tra il 1583 e il 1585 incontrò e frequentò Giordano Bruno6, ospite in quegli anni dell’ambasciata di Francia a Londra. Nel 1584, partecipò a un solenne Atto accademico nella chiesa universitaria di St. Mary dove, alla presenza dei suoi protettori politici, pronunciò una lectio sul controverso caso dell’ambasciatore Mendoza, ancora molto discusso – non solo nell’ambiente accademico – per il grave affronto portato alla Regina.
4Agli inizi del 1585, forse anche in seguito all’apparizione di un pamphlet anonimo7, pubblicò la sua dissertazione con il titolo Legalium Comitiorum Oxoniensium Actio. Nel successivo mese di luglio diede alle stampe il trattato De Legationibus libri tres8 dove, rispetto a una materia complicata in cui allora convivevano con differenti combinazioni gli exempla tratti dalla storia, la citazione delle fonti giuridiche antiche e medievali, la precettistica morale e cortigiana, le perorazioni esortative, le ridondanze della retorica e il tratteggio di modelli ideali di comportamento riecheggianti gli specula principis, Alberico Gentili affrontava le questioni della nascita della figura dell’ambasciatore e del diritto di ambasciata, combinando il metodo storico con quello giuridico nel tentativo di dare un fondamento sistematico e normativo alla discussa questione dell’immunità diplomatica9.
5Al suo arrivo a Londra Alberico Gentili si era inserito nella chiesa riformata londino-italiana10, nel 1589 era transitato in quella londino-gallica per ascriversi, infine, alla parrocchia anglicana di St. Helena of Bishopgate. In quegli stessi anni aveva composto un testo, rimasto inedito, il De papatu romano Antechristo assertiones ex verbo Dei et SS : Patribus11, dove teologia e diritto si fondevano per provare, con ricchezza di citazioni tratte dalla Sacra Scrittura, che il Papato era l’Anticristo profetizzato nell’Apocalisse giovannea. Nonostante il vigore giuridico-ecclesiologico con cui aveva ripreso un topos della polemica protestante e anticattolica, il giurista italiano, che aveva riportato nell’università oxoniense il diritto civile, obliterato dalla riforma religiosa di Enrico VIII a vantaggio della presenza esclusiva della common law, non era riuscito a superare l’avversione nei suoi confronti del teologo calvinista John Raynolds e del partito puritano, che dominavano a Oxford12. Nel 1586, probabilmente per sfuggire agli acerrimi attacchi di Raynolds, Gentili si allontanò inaspettatamente dall’Inghilterra al seguito di Orazio Pallavicino, un ricco finanziere genovese in missione straordinaria presso l’elettore di Sassonia. Dopo aver cercato una sistemazione nell’università di Wittemberg dove incontrò nuovamente Giordano Bruno, l’anno successivo tornò a Oxford ricevendo la nomina a regius professor (8 giugno 1587). Nell’agosto del 1600 entrò nella società degli avvocati di Gray’s Inn (Londra) per esercitare la professione legale. Sottoscritta la pace tra Inghilterra e Spagna, nel 1605, con il consenso di Giacomo I l’ambasciatore spagnolo Pedro de Zúñiga lo nominò avvocato dell’ambasciata londinese. Gentili impegnò gli ultimi tre anni della sua vita trattando, di fronte alla Corte dell’Ammiragliato, le questioni legali suscitate dalla cattura di vascelli spagnoli da parte di pirati olandesi, e contribuendo così alla formazione del diritto marittimo in tempo di guerra. Fra le sue molte opere, oggi oggetto di una notevole rivalutazione da parte degli studiosi, oltre al De legationibus ricordo qui soltanto, per la loro stretta attinenza con lo ius gentium e lo ius legationis, il trattato che gli ha dato maggior fama, il De iure belli libri tres (Hanau, 1598) e le Hispanicae advocationes libri duo (Hanau, 1613), pubblicate postume dal fratello Scipione.
6« A buon diritto – ha affermato Wolfgang Reinhard – la diplomazia può essere considerata l’istituzione decisiva del moderno sistema statale occidentale »13. Eppure, tra tutte le opere di Alberico Gentili proprio quella dedicata alla diplomazia è stata, forse, la meno attentamente studiata, sebbene gli vada riconosciuto il duplice merito di essere stato il primo a trattare l’attività diplomatica e lo statuto dell’ambasciatore da un punto di vista sistematico14 e di aver affrontato la questione in un momento storico di grande cambiamento del sistema europeo delle relazioni internazionali, mentre la diplomazia si andava attrezzando15 per rispondere alla crescente necessità di codificare secondo diritto – e non più soltanto secondo gli usi consuetudinari, la cultura di corte o la mera politica di potenza – i nuovi rapporti interstatuali. L’intento sistematico è reso evidente dall’articolazione interna del De Legationibus, che consta di tre libri : il primo, a carattere prevalentemente storico, ricostruisce l’istituzione e l’uso delle legationes fin dai tempi più antichi ; il secondo, a carattere giuridico e dottrinale, individua lo ius legationis e le norme che regolano l’immunità degli ambasciatori ; il terzo propone il modello del moderno ambasciatore, riprendendo alcuni topoi caratteristici della letteratura tardo-rinascimentale, ma con una propria originalità rappresentata da una più esplicita visione politica della funzione diplomatica e, perciò, anche del profilo culturale e tecnico di chi avrebbe dovuto esercitarla16.
7Seguendo una preoccupazione anche filologica, il trattato si apre con la ricerca del primo apparire del termine legatus e ne analizza i successivi impieghi nella storia romana fino a verificarne l’uso prevalente per indicare una persona investita di una missione pubblica : ut legatus is sit qui non modo publice, sed publico etiam nomine & publica indutus persona missus est17. Agli esempi tratti dalla storia di Roma Gentili ne unisce altri ricavati dalla storia delle città-stato dell’antica Grecia e delle monarchie dell’Antico Oriente per stabilire che l’istituto della legatio nacque dopo la costituzione di nazioni separate, la fondazione dei regni, la suddivisione dei domini e l’instaurazione dei commerci18. Fra le nazioni e gli Stati si stabilirono allora relazioni, che andavano governate sulla base della reciprocità dei diritti e sul mutuo riconoscimento della rispettiva sovranità. Poiché Stati e sovrani non potevano realizzare una compresenza se non mediante dei rappresentanti, vi fu la necessità di nominare dei negoziatori liberi da vincoli di sudditanza nei confronti di coloro presso cui venivano accreditati, in quanto tale assoggettamento avrebbe implicato una condizione di subordinazione per il principe che li aveva inviati, inammissibile perché imperiorum distinctio inviolata non retinetur19. Gentili sviluppa la convinzione, diventata generale nella seconda metà del XVII secolo, che soltanto fra Stati indipendenti e sovrani possano aver luogo le ambasciate riconosciute dallo ius gentium20.
8Il ricorso agli autori classici (come Erodoto, Senofonte, Tucidide, Polibio, Sallustio, Svetonio, Varrone, Cicerone, Tito Livio, Tacito, Plutarco), ai filosofi antichi (come Platone e Aristotele), al diritto romano (come raccolto nel Codex Iuris Civilis), ai giuristi e agli storici moderni (come Budé, Cujas, Alciati fra i primi, Philippe de Commynes, Francesco Guicciardini, Paolo Giovio, Carlo Sigonio fra i secondi), lo conduce a formulare le caratteristiche distintive della figura del moderno ambasciatore giungendo all’adozione esclusiva del termine legatus e all’abbandono di ogni altra denominazione, giudicata impropria anche se attestata dalla tradizione, quali quelle di orator, interpres e nuncius : Legatus nisi is, qui legatione fungitur. […] legare est mittere, & legatus missus21. A suo avviso, nella modernità il Papato aveva contribuito per primo all’affermazione esemplare della figura e dell’ufficio dei legati, che presso la corte pontificia si articolavano in a latere, constituti ed ex officio. Gentili dichiara di aver acquisito da Philip Sidney la convinzione del primato dei Pontefici Romani nell’organizzare una rete diplomatica moderna, basata sull’invio ovunque di propri rappresentanti, pratica in seguito imitata dagli altri principi22.
9Il giurista italiano esamina le diverse tipologie sotto cui si presenta la moderna ambasceria, escludendo dal novero le legationes sacrae inviate o ricevute da personaggi divini, sebbene accettate dalla storia antica (incluso l’Antico Testamento), ma nel cui ambito non accoglie le ambasciate inviate dal papa, che invece secondo il parere di alcuni giuristi avrebbero rivestito un carattere di sacralità in ragione della potestà spirituale di cui godeva il Romano Pontefice. In base alla natura delle istruzioni (mandata) affidate all’ambasciatore classifica le ambascerie in libere, di cortesia, residenziali e straordinarie23. Le distingue, poi, secondo lo status di chi le invia e di chi le riceve : se sono scambiate tra Stati liberi e sovrani (nel qual caso le qualifica come nobiliores) oppure tra Stati dipendenti o se sono mixtae, quando cioè uno dei due partner non gode di uno statuto di piena sovranità. Anche questa catalogazione è funzionale, come la precedente, per graduare il diritto all’immunità diplomatica. Gentili discute se si possa riconoscere la qualità di ambasciatore al legatus bellicus, cioè a chi è portatore di una dichiarazione di guerra o di un messaggio di ostilità in contraddizione con la norma generale, che concepisce l’ambasciatore solo come vir pacis destinato, secondo una citazione di Senofonte, a trasformare il nemico in alleato. Contrastando l’opinione di Torquato Tasso, che attribuiva all’ambasciatore libertà di parola rispetto al mandato bellicoso affidatogli, il giurista italiano conferma la qualifica diplomatica del legatus bellicus proprio in ragione del suo dovere di fedeltà alle istruzioni ricevute24.
10Infine, con esclusivo riferimento all’antichità e con ampio ricorso alla letteratura sui feziali25, Gentili tratta diverse questioni connesse con l’invio e il ricevimento degli ambasciatori : le forme cerimoniali, compreso lo scambio di doni e i doveri di ospitalità ; l’equipaggiamento ; i tempi opportuni per l’invio delle ambascerie ; il metodo di scelta degli ambasciatori mediante il conferimento della missione a persona ritenuta idonea oppure tramite il sorteggio, pratica quest’ultima ricondotta all’interpretazione di un passaggio del quarto capitolo delle Historiae di Tacito, che Gentili scarta nettamente.
11Nel primo libro del De Legationibus è evidente lo sforzo dell’Autore di raccogliere un’informazione ampia, il più possibile completa, circa le diverse pratiche in vigore in differenti società, nel tentativo d’incorporarle in un sistema giuridico coerente mediante la specificazione del loro valore normativo. Egli cerca, così, di rispondere a una delle questioni centrali per l’evoluzione dello ius gentium nel pensiero filosofico e giuridico dell’Europa moderna : la questione del confronto tra l’aspirazione verso un sistema normativo universale e l’esistenza storica di differenze fondamentali di cultura, di religione, di sistemi politici, di comportamenti e usi sociali – differenze che, nella costruzione di una teoria generale, dovevano essere accolte o respinte, adattate o ignorate. Nello scenario politico europeo, tali diversità si traducevano fattualmente in guerre di egemonia politica e di religione, in insurrezioni e lotte civili, sfidando le pretese universalistiche della legge naturale e alimentando lo scetticismo di un Michel de Montaigne. Il contributo innovativo del pensiero giuridico di Gentili va ravvisato proprio nel tentativo costante di coniugare il pluralismo pragmatico con il giudizio normativo. È una via metodica, che gli rende possibile far convergere – non senza incoerenze o contraddizioni – una grande varietà di usi e costumi nel quadro unificante della legge naturale, circoscrivere il campo del diritto delle genti a un basilare e limitato numero di pratiche sociali, costruire uno schema pluralistico in grado di far convivere, a livello delle interazioni giuridiche, società fra loro anche molto differenti26. Il presupposto giuridico risiede nell’universalità dello ius gentium, « diritto naturale-razionale precedente ogni ordinamento positivo »27, « ragione comune al genere umano », rispetto al quale le forme consuetudinarie costituiscono una « seconda natura ». Tale metodo è applicato anche nel secondo libro del De Legationibus, dedicato allo ius legationis che, in quanto derivato dallo ius gentium, Gentili giunge a definire immutabile e applicabile sia ai popoli civili sia alle nazioni barbare : un diritto, dunque, che può essere proclamato sacrosanto28. Ne consegue che l’inviolabilità personale dell’ambasciatore dev’essere non solo riconosciuta dai paesi amici, ma rispettata anche in mezzo ai dardi dei nemici.
12Tra la metà del Cinquecento e la metà del Seicento, la questione dell’immunità diplomatica assunse tratti particolarmente controversi a causa dei processi di rafforzamento dei grandi Stati territoriali, della presenza sul teatro politico e militare europeo di una pluralità di altri organismi politici (stati minori, principati, città-stato), dell’aggravante delle guerre di religione e delle lotte confessionali, che frazionavano ulteriormente il tessuto politico dell’Europa opponendo Stati e fazioni protestanti a Stati e fazioni cattoliche, tagliando le frontiere nazionali, esacerbando antichi odi e fomentandone di nuovi, disgregando la comunità internazionale29. La necessità di definire i limiti di tale immunità era particolarmente avvertita nell’Inghilterra dei Tudor per lo scisma consumato con la Chiesa cattolica, che poneva il problema politico e giuridico di come fosse possibile accettare e permettere che rappresentanti cattolici residenti in territorio inglese potessero praticarvi una religione, che da quel territorio era stata bandita. La presenza di diplomatici cattolici – ambasciatori spagnoli, francesi, veneti, genovesi o nunzi pontifici – portava con sé il problema sia del riconoscimento del diritto di cappella30, sia quello dell’estensione dell’immunità diplomatica al personale d’ambasciata in un momento, in cui i rapporti gerarchici e i ruoli d’ufficio all’interno di una missione diplomatica erano ancora poco definiti e, pertanto, l’identificazione degli aventi diritto restava assai confusa. La questione religiosa sconfinava, così, in quella politica del controllo e della repressione di un nemico operante non solo fuori dai confini del paese, ma anche dissimulatamente al suo interno.
13Per dare sufficiente chiarezza a una materia per natura complessa, che l’impostazione storiografica e il metodo comparativo rendevano ancor più varia e intricata, Alberico Gentili inizia a sgombrare il campo denunciando quelle che chiama « ambascerie camuffate » o spurie (legationes mentitae). Sono quelle il cui titolare vanta un mandato, che in realtà non gli è stato conferito, o lo accompagna con istruzioni segrete e criminose, o non presenta le proprie credenziali al tempo opportuno agendo al coperto finché le circostanze non lo rivelino, o pretende di vedersi riconosciuto lo ius legationis anche da quei sovrani presso i quali non è stato accreditato contravvenendo così al principio del diritto romano secondo cui i legati ex ipso nomine ad alios non sunt, nisi ad quos legantur. Cum aliis ergo iura legationis non obtinent31.
14Diverso è il caso dell’ambasciatore, che sotto il velo della missione agisce come spia e orditore di trame criminali (legatus speculator et perfidus). Gentili riconosce che vi sono ambasciatori inviati con istruzioni segrete per svolgere un’attività di spionaggio coperti da un titolo, che procura l’immunità personale. In tali condizioni, si chiede, l’immunità può essere garantita ? Solo due sono, a suo avviso, le vie percorribili : o rifiutarne l’accreditamento oppure, se le sue credenziali sono già state ricevute, decretarne l’espulsione dal paese. Raccogliendo una densa casistica tratta dalla storia greca e romana e dalla storia contemporanea e attribuendo alla convergenza maggioritaria delle testimonianze un valore normativo egli afferma che il mero sospetto che un ambasciatore accreditato agisca come spia non è sufficiente per sanzionarlo – intervento che aprirebbe deplorevolmente la strada a qualsiasi accusatore privo di scrupoli per violarne i diritti sacrosanti. Nessuno può convincere di spionaggio un ambasciatore se non lo tradisce chi gli ha conferito la missione o se non si tradisce egli stesso32. Certo, se si potesse provare che è stato inviato come spia e non come ambasciatore, allora si potrebbe negargli la tutela dello ius gentium, che non spetta a chi si ammanta di un titolo falso poiché i falsi titoli sono ovunque riconosciuti privi di valore ; ma Gentili insiste che nessun’altra prova è valevole nel caso se non la confessione stessa di chi è stato inviato o di chi gli ha conferito la missione33, ribadendo a questo proposito un criterio giuridico fondamentale, già illustrato nel libro primo : lo status di ambasciatore è definito non dalla sua attività né dalla relazione che instaura con chi lo riceve, bensì dall’atto d’invio (mittendi ratio), di natura pubblica e finalizzato al bene comune. Pertanto, se non è stato esercitato il rifiuto preventivo di accreditamento, una volta che l’ambasciatore è stato accolto come tale, anche se dovesse agire con lo scopo di contrastare, confondere o ingannare il principe al quale è stato inviato, contro di lui può essere decretata soltanto l’espulsione come per ogni ambasciatore, che si sia manifestato malum legatum.
15Nel normare questa spinosissima questione il giurista italiano si mostra consapevole di attirarsi molte critiche. L’acre aforisma del suo contemporaneo, Henry Wotton, secondo cui Legatus est vir bonus peregre missus ad mentiendum Reipublicae causa34 era ampiamente condiviso dalla trattatistica, che faceva capo a Étienne Dolet e, più tardivamente, a Carlo Pasquale e Frederick van Marselaer35, dove s’insinuava che gli ambasciatori non fossero affatto inviati per negoziare la pace e le alleanze, ma piuttosto per spiare, corrompere e tradire. Tanto più ragguardevole è, dunque, la presa di posizione di Alberico Gentili, anche perché assunta in corrispondenza di circostanze storiche, quali la cospirazione di Throckmorton e la vicenda Mendoza, la cui menzione eccitava ancora gli animi36.
16Come abbiamo visto, l’accertamento dello status di un ambasciatore comportava l’analisi della relazione intercorrente tra l’ambasciatore stesso, chi lo inviava e chi lo riceveva. Pertanto, sia l’atto della missio che quello della receptio andavano indagati a partire dalla condizione di chi aveva conferito l’incarico e di chi ne era il destinatario. Il processo di unificazione territoriale e di centralizzazione del potere affrontato dai grandi Stati, come la Francia e la Spagna, la permanenza sulla scena europea di « piccoli stati »37 o di « monarchie composite »38 o di altri attori politici con diverse forme di organizzazione del potere rendevano necessario un particolare discernimento dal momento che, nell’ottica gentiliana, soltanto i sovrani e gli Stati, che non dipendevano da alcun’altra autorità o potere sovraordinato, potevano scambiarsi ambasciatori sulla base di una pari sovranità politica e territoriale. Secondo Gentili, non rientravano in questa categoria non solo i principati dipendenti, ma anche pirati, briganti, insorti e ribelli – categorie, queste ultime, che non godevano di sovranità territoriale riconosciuta e la cui legittimazione politica appariva del tutto discutibile.
17Che ai principati dipendenti non fosse riconosciuto il diritto di legazione nei confronti del sovrano a loro sovraordinato appare ad Alberico Gentili evidente per le ragioni sopraddette. Essi non potevano neppure ricevere ambascerie da uno Stato sovrano estero o inviargliene, a meno che oggetto dell’ambasciata non fosse qualche affare pubblico di loro immediato interesse ; ma dovevano comunque ricevere il consenso ad agire come sudditi ben disciplinati. Quanto alla prassi, allora corrente, dell’invio o del ricevimento di ambasciatori allo scopo di concludere transazioni private, Gentili rilevava che in tal caso gli Stati dipendenti agivano come soggetti privati e pertanto gli ambasciatori incaricati di simili missioni non erano coperti da immunità diplomatica e tantomeno sottratti alla giurisdizione civile39.
18Del tutto differente era il caso dei briganti e dei pirati, che bene esemplifica come il giudizio normativo si andasse costruendo nell’età moderna non esclusivamente su basi dottrinali sicure e condivise, ma anche nel confronto con la casistica storica dove agivano sia gli interessi nazionali e dinastici, sia quei criteri di opportunità politica e di dissimulazione, che accompagnavano gli arcana imperii delle corti e delle cancellerie europee. Jean Bodin aveva affermato nei suoi Six livres de la République (1576) che le basi delle relazioni politiche andavano identificate nella buona fede (« foy » in Bodin, bona fides in Gentili), indispensabile per costruire rapporti amichevoli e di alleanza : questo, però, era un valore e un comportamento che nessun pirata o brigante poteva garantire. Pertanto, asseriva Bodin, « ils ne doyvent avoir ni part, ni communication du droit des gens ». Tuttavia, se in ragione della loro forza militare un governo avesse sottoscritto con loro un trattato d’alleanza (com’era accaduto, ad esempio, in età romana con Pompeo nei riguardi dei pirati del Mediterraneo), ne sarebbe scaturito consequenzialmente il riconoscimento giuridico e l’obbligo di osservare i patti « car tousjours il y va de l’honneur de Dieu et de la République »40. Anche Jean Hotman, nel suo più tardivo De la charge et dignité de l’ambassadeur (1603), si avvicinava al parere espresso da Bodin e non respingeva il negoziato con briganti e insorti, con il conseguente necessario rispetto della parola data, essendo sacro l’onore del re. Di opinione opposta è Alberico Gentili, per il quale il linguaggio della filosofia morale, che fa riferimento alla fede e all’onore come tratti propri della cultura diplomatica di stampo umanistico e cortigiano, si presenta come equivoco o insufficiente per esprimere il mutuo riconoscimento giuridico della pari sovranità, requisito necessario per ricondurre i negoziatori diplomatici sotto le garanzie dello ius gentium. Né i praedones, né i piratae possono usufruire di tale tutela essendosi posti fuori dalla comune società umana per vivere in quella condizione naturale, primitiva e ferina descritta da Lucrezio nel De rerum natura (cap. 5), dove gli uomini conducevano una vita bestiale e si accaparravano la preda in base alla fortuna e alla propria forza individuale convertendosi in omnium communes hostes41.
19Altra questione delicata è quella se gli insorti e i ribelli possano invocare un diritto d’ambasciata nei confronti del principe alla cui autorità di governo si sono sottratti. Non osino farlo, è la risposta inequivoca di Gentili42 , che menziona sia il caso recente delle ambascerie inviate a Filippo II dai Paesi Bassi in rivolta, sia quello antico di Dionisio nell’imprigionare, secondo la narrazione di Plutarco, i legati siracusani. Anche a questo proposito insorge una polemica con Jean Hotman, che secondo il giurista italiano ragiona imperite quando riconosce vigente per i rivoltosi lo ius gentium43. Non ha invece atteggiamento sedizioso chi abbandona un’alleanza o un trattato o una condizione di sottomissione liberamente accettata a suo tempo, recuperando così legittimamente quello ius legationis, di cui godeva in precedenza.
20Trattando il tema dei diritti dei rivoltosi, Gentili suscita una questione interessante : se, cioè, nel caso dei sudditi ribelli si possa distinguere tra il tiranno e il re – distinzione da cui potrebbe ricavarsi un principio di legittimazione del diritto di resistenza. Distinzione difficile, però, perché nell’ordine della realtà effettuale ognuno è signore, ognuno detiene il principato, anche se è vero che volentibus imperet rex, invitis tyrannus44. L’aver acquisito il comando (imperium) con la forza delle armi imponendo la propria volontà ai governati non annulla la sovranità. L’affermazione di Gentili ha qui qualcosa di allusivo, perché lascia intendere che non pochi principati del suo tempo avrebbero potuto essere ricondotti a tale origine di sopraffazione. Soggiace al suo pensiero la lezione bartoliniana del De tyranno, che lo conduce a optare in favore della legittimità fattuale del governo tirannico, sia pure ex defectu tituli : ciò, rispetto al pericolo rappresentato dall’anarchia e dalla guerra civile45. Pertanto, condanna l’opinione di George Buchanan, espressa nel suo De iure Regni apud Scotos Dialogus (Edimburgo, 1579), dove lo storico scozzese equipara Cosimo de’ Medici al tiranno Ierone II di Siracusa nel ladrocinio del potere. Gentili, che pure provava una sincera simpatia nei confronti del repubblicanesimo fiorentino fino a prospettare un’originale interpretazione democratica e non autoritaria del Principe di Machiavelli nel terzo libro del De Legationibus46, difende Cosimo formulando una sequenza d’interrogazioni retoriche : può forse essere considerato un ladrone chi ha ricondotto sotto il proprio dominio una città, che invocava un signore ? Avrebbe dovuto quell’uomo illustre aspettare che lo Stato fosse assoggettato da un sovrano barbaro o straniero quand’egli era pienamente in grado di sottrarre quella navicella alla tempesta e condurla nel porto sicuro ? La risposta negativa è ovvia.
21Meno ovvia è la posizione assunta nei confronti dell’accusa di tirannia allora correntemente rivolta all’Impero ottomano, tesi che Gentili ritiene risibile, pur riconoscendo che & illa, & illa contra hanc nostram opinionem produci posse47. Anche se il titolo di tiranno è sommamente odioso, la legittimità del governo ottomano gli appare nella forza delle cose : accettare questo dato non si traduce ipso facto nella lode della tirannia, ma piuttosto nel riconoscimento allo Stato islamico dello ius legationis. Nell’epoca in cui egli scrive, la possibilità di utilizzare il Turco per controbilanciare la politica di potenza degli Asburgo di Spagna e d’Austria aveva cominciato a disegnarsi come elemento proprio di una politica estera protestante. Nel 1579 la regina Elisabetta aveva aperto una trattativa amichevole con il sultano per ottenere alcuni privilegi commerciali a Istanbul48. Durante la rivolta antispagnola dei Paesi Bassi, sostenuta anche militarmente dall’Inghilterra, era diventato popolare il detto « liever Turks dan Paaps »49 con riferimento alle condizioni di tolleranza religiosa ravvisate nell’Impero ottomano. Nel suo scritto, rimasto inedito, De papatu romano Antechristo assertiones, Alberico Gentili aveva drasticamente confutato che l’Anticristo potesse essere identificato con l’Islam anche in ragione del fatto che nec sacerdos unus Turcis est, qui legem conscientijs ponat50. Preoccupazioni politiche non meno che convinzioni religiose emergevano, dunque, nella trattazione gentiliana51 comprovando la ferma distinzione fatta dall’autore, tra politica e religione, tra teologia e diritto.
22Tale distinzione è particolarmente gravida di conseguenze quando Gentili passa a ragionare di quel particolare « crimine », che era allora la scomunica, quale ostacolo al riconoscimento dell’inviolabilità dell’ambasciatore scomunicato (legatus criminosus). Exemplum in Venetis non antiquum habemus52, avverte il giurista italiano rifacendosi alla scomunica comminata da Giulio II alla Repubblica di Venezia nel 1509, dopo la costituzione della Lega di Cambrai, di cui il Papa era stato il principale artefice. Il caso degli ambasciatori veneti, comunque ricevuti nelle corti cattoliche nonostante la loro condizione di scomunicati, trovava ulteriori conferme nel fatto che, anche nell’Europa confessionale, ambasciatori inviati da paesi protestanti erano ricevuti da principi cattolici e viceversa così come, in un quadro geopolitico più ampio, le corti cristiane scambiavano ambasciatori con i musulmani : Et ita sane iudico, ne propter religionis dissidia debeant iura legations conturbari53. La prima ragione risiede nel dato storico fattuale, non contraddetto né dalla prassi antica né da quella moderna. Con chiarezza Gentili trae dalla lezione della storia un principio normativo di grande rilevanza : nessuno Stato, qualsiasi sia la sua posizione in materia di religione, può essere escluso dalla comunità internazionale e dal sistema delle relazioni diplomatiche. Vi è tuttavia una seconda ragione, di spessore teorico e dottrinale : la religione non è un legame orizzontale, che intercorre tra uomo e uomo, bensì un legame verticale, che unisce l’uomo a Dio. Scienza del culto divino, la religione stabilisce la comunione degli esseri umani con Dio e, in quanto tale, non è tributaria dello ius gentium, che regola i rapporti orizzontali intercorrenti nella comunità umana tra i popoli e le nazioni. Lo ius religionis riguarda il vincolo intrattenuto con Dio dai credenti di una stessa fede, ma non è un legame costitutivo della comunità politica e civile : Et si haec ita sunt, quinam ex religionis dissidio iura gentium violantur ? Quinam pereunt legationes ?54. Infine, la terza ragione, consequenziale, è la più forte e decisiva : i motivi religiosi non sono causa di guerra giusta55. Pertanto, qualsiasi siano le differenze e le controversie di natura religiosa, i diritti di ambasciata e l’inviolabilità dell’ambasciatore permangono integri e si espongono gravemente quei sovrani, che adducono il pretesto della religione per regolare le questioni relative allo ius legationis.
23Si radica in queste convinzioni il celebre grido di Alberico Gentili, emesso nel trattare il diritto di guerra : Silete theologi in munere alieno!56, contributo decisivo e precursore nel processo di secolarizzazione della politica nell’Europa moderna. Come Ugo Grozio e Thomas Hobbes, Gentili aveva vissuto in prima persona l’esilio per motivi religiosi. Passato a un calvinismo moderato ed eclettico, era stato colpito anche dalla continua polemica suscitata contro di lui dai puritani intransigenti di Oxford e dal loro capofila Raynolds. La loro azione di contrasto nei suoi confronti si acuì a tal punto che il giurista italiano giunse a considerare seriamente la possibilità di presentare le dimissioni. Lo testimonia un drammatico biglietto, rimasto manoscritto fra le sue carte e redatto presumibilmente nel 1595 : « […] Me misero, che per quasi trent’anni, cioè dall’età di dodici anni, mi dedico totalmente a questa scienza [del diritto civile] […] Me misero, che ho sempre vissuto sotto questa potente maestra di virtù per essere ora considerato un italiano imbroglione, machiavellico, ateo. Crimini nefandi, accademici di Oxford, rispetto ai quali non è doveroso rispondere con la pazienza… »57. Il tema dell’interiorità della religione è stato, dunque, da lui articolato nel De Legationibus con il principio dell’incoercibilità della coscienza individuale e con l’affermazione dell’idea di tolleranza religiosa, affrontata sul piano pragmatico mediante la dimostrazione che una politica tollerante in materia di religione obbedisce a un sano principio di prudenza politica e di governo equilibrato.
24Un diverso interrogativo suscitano le guerre civili, che con le loro drammatiche lacerazioni pongono anch’esse in causa il diritto d’ambasciata e la tutela dell’incolumità personale degli ambasciatori. Ancora una volta Alberico Gentili si muove contemporaneamente sul piano della realtà effettuale e su quello del diritto. In base alla testimonianza storica di Tito Livio, di Tacito e di Plutarco, rileva che nei casi di guerra civile l’accanimento è massimo, ogni fazione si arroga il diritto di governare l’intero Stato e considera come usurpatrice e nemica della patria la fazione avversa. Sul piano giuridico, qualora entrambe sostengano con le parole e con i fatti di governare lo Stato o almeno una sua metà, il diritto di ambasciata può essere riconosciuto a tutt’e due le contendenti. Idea salomonica, apparentemente con fragile fondamento giuridico. Eppure anche a questo proposito il giurista italiano precorre le tesi di Ugo Grozio, che scriverà in seguito come, nelle guerre civili, quando la popolazione si divide in due fazioni più o meno equivalenti, queste dovranno considerarsi pro tempore quasi duae gentes58. Se invece una delle parti non ha né l’audacia né la forza di sostenere le sue pretese di governo, allora secondo Gentili non deve esserle riconosciuto neppure il diritto di ambasciata né alcun altro diritto derivante dallo ius gentium.
25Infine, per chiudere i casi in cui un ambasciatore può mettere in discussione lo ius legationis per difetto personale, Gentili affronta altre due questioni. La prima riguarda gli esiliati, cioè coloro che sono inviati come ambasciatori presso uno Stato o un principe dal cui territorio sono stati banditi. In tal caso non sono protetti dall’immunità diplomatica in quanto nel loro paese hanno perso il diritto di cittadinanza, a meno che non siano stati già accreditati prima di essere riconosciuti come dissidenti, perché in tal caso prevale la bona fides del sovrano, che non può essere sconfessata da tardivi ripensamenti contro chi avrebbe dovuto essere ravvisato per tempo come contumace59. La seconda prende in considerazione chi, prima di assumere la funzione di ambasciatore, si sia macchiato di un qualche delitto nei confronti del sovrano cui viene inviato. La risposta di Gentili è netta : come una persona assurta a una pubblica magistratura non può pretendere soddisfazione delle offese subite quand’era semplice privato, così i torti perpetrati da privato non possono essere perseguiti nella persona pubblica di un ambasciatore, quoniam publica supereminet : & haec est qui laeditur : nec distingui potest, ne laedatur60.
26Come anticipato nel primo libro, Alberico Gentili individua tre tipi di ambascerie, che un sovrano può rifiutarsi di ricevere : l’ambasciata libera, che non persegue finalità pubbliche, ma interessi propri del mandatario ; l’ambasciata di cortesia, perché nessun principe può essere costretto a ricevere un omaggio non richiesto o non desiderato ; l’ambasciata protratta nel tempo o residente, verso cui il giurista italiano manifesta ancora una diffidenza caratteristica dell’epoca. Mentre colloca le prime due fuori dalla tutela dello ius gentium giudica che l’ultima – pur legittima – potrebbe essere abolita senza danno, come aveva dimostrato Enrico VII non accreditandone alcuna61. Soprattutto dopo l’acuirsi delle lotte confessionali, era diffusa la convinzione che il prolungarsi delle ambascerie nel tempo non potesse giustificarsi che con fini di spionaggio o d’indebita intromissione negli affari interni di uno Stato. A onore del vero va evidenziato che Gentili, nel primo libro del De Legationibus, aveva manifestato un diverso convincimento con riferimento all’istituto dei nunzi pontifici, notando che, in risposta alle crescenti esigenze moderne di negoziazione fra gli Stati, procurava maggiori inconvenienti inviare presso una stessa corte sempre nuove ambascerie piuttosto che mantenerne operativa nel tempo una sola. Pertanto, si dissociava da chi era solito accusare gli ambasciatori residenti di essere precipuamente spie : Alii turpiter faciant ipsos esse speculatores et exploratores, et ad istud haberi : ego non facio62.
27Dopo aver stabilito quali siano le ambasciate rette dallo ius legationis, Gentili completa la trattazione dell’immunità diplomatica, « sacrosanta » al punto da doversi osservare non solo in tempo di pace, ma anche in guerra. Se fra due principi scoppia un conflitto armato, i rispettivi ambasciatori devono mantenere, nel paese diventato nemico, la loro piena libertà. Non soltanto il sovrano deve esimersi dal portare offesa a un ambasciatore, ma deve provvedere affinché nessun altro gli arrechi ingiuria. Il diritto romano stabilisce senza equivoci che il legatus è protetto dalla bona fides dello Stato e del principe presso il quale è accreditato ; chi gli fa violenza compromette l’onore stesso dello Stato e del principe e dev’essere consegnato, per la giusta pena, al sovrano che ha inviato l’ambasciatore in quanto anch’egli offeso nella persona del suo rappresentante : Hoc est ius legatorum sanctissimum63. In caso di guerra gli ambasciatori residenti devono essere congedati perché impossibilitati a proseguire nel loro ufficio. Hanno invece diritto all’immunità quegli ambasciatori, che giungano presso un sovrano in procinto di dichiarare la guerra per sostenere le ragioni della pace. Se poi, nel corso di una guerra, un sovrano accoglie un’ambasceria inviata dal nemico, deve accompagnarne la permanenza presso di sé con una tregua, impartendo precisi ordini ai comandi militari per la sospensione di ogni atto di ostilità, anche se la precarietà della situazione deve suggerire all’ambasciatore molta prudenza. Infine, qualora un ambasciatore debba attraversare il territorio di uno stato terzo, fosse pure uno stato nemico, poiché la sua missione è per definizione indirizzata alla pace, gli deve essere riconosciuta l’immunità diplomatica : Pateant itaque legatis viae : quibus ut obstruantur, nulla causa est64.
28Il diritto all’inviolabilità personale va riconosciuto anche all’ambasciatore, che usa libertà di parola nei confronti del sovrano con cui tratta l’oggetto della sua missione : una libertà innegabile, che tuttavia deve evitare frasi oltraggiose e superbe perché, se insultare un sovrano non è un crimine di lesa maestà, gli è tuttavia assai prossimo. La violenza delle parole ha spesso provocato guerre e non può invocare la protezione dello ius gentium chi lo distoglie dal suo fine naturale, che è la communio hominum, per piegarlo verso la discordia ; ciò vale sia nel caso in cui l’ambasciatore abbia pronunciato parole gravemente ingiuriose per mandato del suo sovrano, sia se lo abbia fatto per iniziativa personale65. Compete al sovrano offeso misurare la pena esigibile, fino all’espulsione. Infine, l’immunità dell’ambasciatore va estesa alla sua residenza, che non può essere violata ; alle sue proprietà e ai suoi beni, che non possono essere sequestrati neppure in caso di debiti ; a tutte le persone del suo seguito, senza distinzione tra servitù e personale d’ufficio66. Gentili non parla né della « franchise du quartier », né del « droit d’asyl », né tantomeno di extraterritorialità, concetto appena avanzato da Pierre Ayrault e teorizzato solo in seguito da Ugo Grozio.
29Come più volte affermato, l’inviolabilità dell’ambasciatore trova fondamento e garanzia nello ius gentium, che è l’unico diritto in base al quale egli può essere giudicato. Da ciò consegue che può non essere reato per un ambasciatore ciò che invece è tale per ogni altra persona soggetta al diritto civile perché la connotazione delittuosa di un atto dipende dall’ordinamento giuridico di riferimento. Qui il ragionamento di Gentili si fa piuttosto complicato e non privo di qualche incoerenza dovendo conciliare il principio dell’immunità dell’ambasciatore con il riconoscimento del fatto che egli possa compiere atti delittuosi soggetti alla giurisdizione criminale del paese in cui si trova, ad esempio nello stipulare o eseguire contratti di natura privata67, nel non pagare i debiti o nell’evadere le tasse dovute. Le difficoltà nell’individuare il foro competente a giudicare un ambasciatore, posto che l’immunità diplomatica non può e non deve tradursi nel privilegio di vivere al di fuori delle leggi68, si fanno più evidenti nei casi estremi. Secondo Gentili, progettare e organizzare l’uccisione di un sovrano è un crimine odioso sia per il diritto civile sia per il diritto delle genti, ma non è giudicato allo stesso modo nei due ambiti giuridici e, quindi, non può dar luogo alla stessa pena. La legge civile, come attesta il Digestum nel titolo relativo Ad legem Iuliam maiestatis, di fronte a un atto così atroce pone sullo stesso piano, ai fini della condanna, l’intento criminoso e la sua concreta attuazione. Giudicare come factum ciò che factum non è, perché rimasto allo stato intenzionale, non est ratio naturalis, sed contra naturam69. Il diritto delle genti, l’unico competente a giudicare un ambasciatore, si fonda su rationes naturales e le sottigliezze argomentative del diritto civile non si attagliano alla sua primordiale semplicità. Condannare a morte un ambasciatore per aver preso parte a una congiura significa accanirsi contro di lui oltre misura e contravviene gravemente allo ius gentium chi, per reprimere la violenza, ne commette una maggiore del necessario. Una sola è la pena possibile per quell’ambasciatore : l’espulsione, senza adire al parere del suo sovrano. Diverso è il caso in cui l’atto cospiratorio raggiunga il suo fine e il sovrano resti ucciso, nel qual caso dev’essere irrogata la pena capitale.
30Il De Legationibus culmina con un ultimo interrogativo : chi, secondo diritto, è il giudice legittimo dell’ambasciatore ? Risponde Alberico Gentili : è quell’unico magistrato, che esercita la giurisdizione dello ius gentium. Tale magistrato altri non è che il sovrano stesso : itaque si legislator est princeps legato apud se degenti, omnino erit & iudex70. In un’altra affermazione il giurista italiano è ancora più esplicito : Etenim manus regia ius gentium est71.
31Si conclude così la trattazione gentiliana dello ius legationis. Nel tentare di dirimere il difficile e ancora ambiguo rapporto tra sovranità e diritto delle genti, nell’oscillare tra il potere assoluto del sovrano e l’immodificabile universalità dello ius gentium, nello sforzo di dare un’organica sistemazione alla complicata convivenza tra principi giuridici, norme legali, pratiche storiche, preoccupazioni politiche e opinioni controverse, Alberico Gentili testimonia la complessità dell’epocale transizione in atto nel diritto internazionale verso una dottrina più certa e più sicura, avvalorando non tanto le riserve suscitate dalle contraddizioni e dai limiti rimasti nella sua costruzione giuridica, quanto i tratti della sua modernità e il suo ruolo di precursore. Una duplice specificità si fa evidente nel confronto con chi gli è stato discepolo in misura anche maggiore di quanto ammesso, Ugo Grozio. Infatti, Gentili ha condotto la sua riflessione dottrinale mantenendo un significativo coinvolgimento nelle vicende politiche del suo tempo senza arretrare di fronte alle questioni più scottanti, come dimostra la genesi delle sue due principali opere consacrate allo ius gentium, il De Legationibus nato dal caso Mendoza, il De Iure Belli pubblicato in una prima e parziale stesura (De Iure Belli Commentatio Prima, 1588) nel contesto del tentativo d’invasione dell’Inghilterra da parte dell’Invincibile Armata di Filippo II. Mentre Grozio ricorre quasi esclusivamente agli esempi tratti dall’antichità e dalle fonti classiche, Gentili si affida almeno in ugual misura alla storia contemporanea, dichiarando di voler andare ben oltre la compilazione di un repertorio di exempla empirici per dare fondamento a una teoria giuridica sistematica & de iure & de officio legatorum72. Ciò permette di asserire che Gentili è « moderno tanto quanto Grozio »73.
32In un’Europa, dove i giuristi andavano assumendo « il ruolo di supremi ideologi e architetti delle nuove forme, normative e istituzionali, della politica moderna », nell’interpretare la propria funzione di giureconsulto il giurista italiano ha dato prova di possedere anche « un pensiero politico robusto »74, come risulta già evidente nel De Legationibus.
Notes de bas de page
1 W. MacCaffrey, Queen Elizabeth and the Making of Policy, Princeton, 1981 ; J. Bossy, Giordano Bruno and the Embassy Affair, New Haven-Londra, 1991 ; Id., Under the Molehill : an Elizabethan Spy Story, New Haven-Londra, 2002.
2 R. Hutchinson, Elizabeth’s Spy Master : Francis Walsingham and the Secret War that Saved England, Londra, 2007, p. 98-99.
3 P. Marshall and G. Scott (a cura di), Catholic Gentry in English Society. The Throckmortons of Coughton from Reformation to Emancipation, Padstow (Cornwall), 2009, p. 1-15.
4 Cit. in E. P. Cheyney, International Law under Queen Elizabeth, in The English Historical Review, 20, 1905, p. 660-661.
5 Per un profilo biografico, v. A. De Benedictis, Gentili, Alberico, in Dizionario biografico degli Italiani, LIII, Roma, 1999, p. 245-251. In assenza di un lavoro complessivo più attuale, è ancora un buon riferimento G. H. J Van der Molen, Alberico Gentili and the Development of International Law, Leiden, 1968. V. anche D. Panizza, Alberico Gentili, giurista ideologo nell’Inghilterra elisabettiana, Padova, 1981 ; Id., Alberico Gentili : vicenda umana e intellettuale di un giurista italiano nell’Inghilterra elisabettiana, in Alberico Gentili. Giurista e intellettuale globale. Atti del convegno Prima Giornata Gentiliana, 25 settembre 1983, Milano, 1988, p. 31-58.
6 F. Mignini, Temi teologico-politici nell’incontro tra Alberico Gentili e Giordano Bruno, in F. Meroi (a cura di), La mente di Giordano Bruno, Firenze, 2004, p. 103-123.
7 A Discovery of the Treasons Practised and Attempted by F. Throckmorton […] Against the Queenes Maiestie and the Realme, Londra, 1585.
8 Londra, Thomas Vautrollier, 1585. Nell’elogiativa dedica a Philip Sidney Gentili scrive di sé : Anglum me pro charitate facio, qua in dies Angliae magis atque magis devincior. L’opera conobbe due ristampe (Hannover, 1594 e 1607) ancora vivente l’autore. Qui cito dalla prima edizione tedesca (Hanau, Apud Guilielmum Antonium, 1594 ; abbrev. : DL).
9 Sul tema generale, dall’antichità al mondo contemporaneo, v. L. S. Frey and M. L. Frey, History of Diplomatic Immunity, Columbus (Ohio), 1999, p. 177-181 ; una succinta prospettiva storica in M. Ogdon, The Growth of Purpose in the Law of Diplomatic Immunity, in The American Journal of International Law, 31, 1937, p. 449-465.
10 Sul tema dell’apporto dei rifugiati italiani alla cultura inglese dell’epoca v. J. Tedeschi and G. Biondi, I contributi culturali dei riformatori protestanti italiani nel tardo Rinascimento, in Italica, 64, 1987, p. 19-61 (in particolare p. 35-39) ; sulla chiesa londino-italiana, v. L. Firpo, La Chiesa italiana di Londra nel Cinquecento, in Ginevra e l’Italia, Firenze, 1959, p. 307-412 ; D. Pirillo, Filosofia ed eresia nell’Inghilterra del tardo Cinquecento : Bruno, Sidney e i dissidenti religiosi italiani, Roma, 2010.
11 Bodleian Library (Oxford), Ms. D’Orville 607. Cfr. D. Quaglioni, Il « De papatu romano Anticristo » del Gentili, in L. Lacchè (a cura di), « Ius gentium Ius communicationis Ius belli ». Alberico Gentili e gli orizzonti della modernità. Atti del convegno di Macerata in occasione delle celebrazioni del quarto centenario della morte di Alberico Gentili (1552-1608). Macerata, 6-7 Dicembre 2007, Milano, 2009, p. 197-207.
12 Sulla presenza e il contributo della cultura italiana nell’Inghilterra elisabettiana v. M. Wyatt (a cura di), The Italian Encounter with Tudor England : A Cultural Politics of Translation, Cambridge et al., 2005.
13 W. Reinhard, Storia del potere politico in Europa, Bologna, 2001, p. 445 (ediz. orig. : Geschichte der Staatsgewalt, München, 1999).
14 R. Langhorne, Alberico Gentili on Diplomacy, in The Hague Journal of Diplomacy 4, 2009, p. 307-318.
15 A. Wijffels, Le statut juridique des ambassadeurs d’après la doctrine du XVIe siècle, in Rencontres de Montbéliard (26 au 29 septembre 1991), Les relations entre États et principautés des Pays-Bas à la Savoie (XIVe-XVIe s.), Neuchâtel, 1992, p. 127-141. Wijffels enumera, oltre a Gentili, le opere di Pierre Ayrault, Christopher Besold, Conrad Braun, Félix de La Mothe Le Vayer, Torquato Tasso, Christophorus Warsevicius, Carlo Pasquale, Jean Hotman, Hermann Kirchner, Frederick van Marselaer. Per valutare la svolta d’interessi e di metodo rispetto alla letteratura precedente, v. B. Behrens, Treatises on the Ambassador Written in the Fifteenth and Early Sixteenth Centuries, in The English Historical Review, 51, 1936, p. 616-627. Sul tema del cambiamento delle relazioni fra Stati tra Cinque e Seicento, v. M. Rivero Rodríguez, Diplomacia y relaciones exteriores en la Edad Moderna. De la cristiandad al sistema europeo 1453-1794, Madrid, 2000.
16 L’esame del terzo libro esula da questo contributo. Sul tema v. K. R. Simmonds, Gentili on the Qualities of the Ideal Ambassador, in The Indian Year Book of International Affairs 1964. Part II. Studies in the History of the Law of Nations, Madras, 1964, p. 47-58.
17 DL, lib. I, cap. 2, p. 6.
18 Ego sic statuo, ut discretis gentibus, regnis conditis, dominiis distinctis, commerciis institutis, legationibus extitisse nomen opinor (Ibid., cap. 20, p. 56).
19 Ibid., p. 58-59.
20 R. Langhorne, Alberico Gentili... cit. n. 14, p. 311.
21 DL, lib. I, cap. 2, p. 3.
22 Ibid.
23 DL, lib. I, cap. 5, 7, 8.
24 Mandatum legato scopus est, quo collineet (ibid., cap. 6, p. 17). L’opera di Tasso cui allude è Il Messaggiero (Venezia, 1582).
25 Per lo studio dello ius fetiale e dei feziali quali antesignani delle legazioni diplomatiche v. G. Turelli, « Audi Iuppiter » : il collegio dei feziali nell’esperienza giuridica romana, Milano, 2011 ; C. Eilers (a cura di), Diplomats and Diplomacy in the Roman World, Leida, 2009.
26 B. Kingsbury, Confronting Difference : The Puzzling Durability of Gentili’s Combination of Pragmatic Pluralism and Normative Judgment, in The American Journal of International Law, 92, 1998, p. 717.
27 D. Quaglioni, L’appartenenza al corpo politico da Bartolo a Bodin, in P. Prodi, W. Reinhard (a cura di), Identità collettive tra Medioevo ed Età Moderna, Bologna, 2002, p. 235, 237 ; J. Waldron, Ius gentium : A Defence of Gentili’s Equation of the Law of Nations and the Law of Nature, in B. Kingsbury, B. Straumann (a cura di), The Roman Foundation of the Law of Nations : Alberico Gentili and the Justice of Empire, Oxford, 2010, p. 283-296.
28 Hoc vero est, sicuti ego sentio divina quadam providentia immutabile ius, & omnibus consitutum, gentibus etiam barbaris exceptum et manifestum (DL, lib. II, cap. 1, p. 61).
29 Cfr. J.H. Elliott, Europe Divided 1559-1598, New York, 1969. « En d’autres temps, amis et ennemis observaient pour se reconnaître les distinctions de frontières et de patries et s’appelaient Italiens, Allemands, Français, Espagnols, Anglais, etc. […] Maintenant nous nous appelons catholiques ou hérétiques. Un prince catholique doit avoir pour amis les catholiques de tous les pays, comme les princes hérétiques ont pour amis tous les hérétiques, quelle que soit leur patrie » (cit. in G. Zeller, Les relations internationales au temps des guerres de religions, in Revue des Cours et Conférences, 39, 1937-38, p. 45).
30 Si tratta, com’è noto, del diritto di celebrare la messa nella cappella della residenza diplomatica, con tanto di officiatura da parte di preti cattolici.
31 DL, lib. II cap. 3, p. 66.
32 « Qui missus speculator probabitur, si certum est nomen legationis ? » (ibid., cap. 4, p. 70).
33 Gentili cita al proposito il giurista romano Julius Paulus : hic non ius deficit, sed probatio (Digestum, 26.2.30).
34 Cit. in G. Mattingly, Renaissance Diplomacy, Harmondsworth, 1973 (I ediz. 1955), p. 228. Sir Henry Wotton (1568-1639), scrittore, poeta e diplomatico inglese, fu ambasciatore presso il Granducato di Toscana, la Repubblica di Venezia, il Sacro Romano Impero e il Ducato di Savoia.
35 E. Dolet, Liber unus De Officio Legati, quem vulgo ambassiatorem vocant, Lione, apud Steph. Doletum, 1541 ; C. Pasquale, Legatus, Rouen, apud Raphaelem Parvivallium, 1598 ; F. van Marselaer, Legatus libri duo, Anversa, Ex Officina Plantiniana, 1626.
36 Due anni dopo l’uscita del De Legationibus fu pubblicato a Oxford un « pamphlet » intitolato De legato et absoluto principe perduellionis reo (1587), in cui l’anonimo autore sosteneva la tesi della necessaria condanna a morte dell’ambasciatore, che avesse cospirato contro la vita del sovrano o attentato all’integrità dello Stato dove svolgeva la sua funzione di rappresentanza.
37 L. Barletta, F. Cardini, G. Galasso (a cura di), Il piccolo Stato. Politica storia diplomazia, Atti del convegno di studi, San Marino, 11-13 ottobre 2001, [Città di Castello], 2003.
38 J. H. Elliott, A Europe of Composite Monarchies, in Past and Present, n. 137, 1992, p. 48-71.
39 DL, lib. II, cap. 10, p. 93-95.
40 J. Bodin, Les Six Livres de la République, a cura di C. Frémont, M.-D. Couzinet, H. Rochais, Paris, 1986, V, p. 205 (fac-simile dell’edizione del 1576).
41 DL, II, cap. 8, p. 85. Gentili cita a proposito il giudizio di Cicerone nel De Officiis, lib. 3.
42 Ibid., cap. 7, p. 82-83.
43 Ibid., p. 84.
44 Ibid., p. 82.
45 D. Pirillo, Tra obbedienza e resistenza : Alberico Gentili e George Buchanan, in L. Lacchè (a cura di), « Ius gentium Ius communicationis Ius belli »... cit. n. 11, p. 209-227.
46 DL, lib. III, cap. 9, p. 109.
47 Ibid., lib. II, cap. 7, p. 83.
48 D. M. Vaughan, Europe and the Turk : A Pattern of Alliances, 1350-1700, Liverpool, 1954, p. 167-8.
49 « Meglio i Turchi del Papa », v. K. Westerink, Liever Turks dan paaps : een devies tijdens de Opstand in de Nederlanden, in H. Theunissen, A. Abelmann, W. Meulenkamp (a cura di), Topkapi en Turkomanie : Turks-Nederlandse ontmoetingen sinds 1600, Amsterdam, 1989, p. 75-80.
50 De papatu romano Antechristo assertiones […], fol. 5 r. Sebbene la cultura italiana fosse praticata e di gran moda a corte, i puritani denunciavano l’influenza corruttrice esercitata sulla gioventù inglese dagli italiani, giudicati indiscriminatamente papisti, machiavellici, sodomiti e avvelenatori. Il pedagogista e precettore della regina Elisabetta, Roger Asham, aveva coniato l’aforisma : « Inglese italianato, è un diavolo incarnato », cit. in M. Pfister (a cura di), The Fatal Gift of Beauty : The Italies of British Travellers. An Annotated Anthology, Amsterdam-Atlanta, 1996, p. 79.
51 N. Malcolm, Alberico Gentili and the Ottomans, in D. Panizza (a cura di), Alberico Gentili. La salvaguardia dei beni culturali nel diritto internazionale. Atti del convegno Dodicesima giornata gentiliana, San Ginesio 22-31 settembre 2006, Milano, 2008, p. 63-89. Secondo Malcolm si può riscontrare « at least a tiny germ of potential Calvinoturcism in Gentili’s thinking » (p. 83) ; cfr. M. E. H. N. Mout, Calvinoturcisme in de zeventienden eeuw : Comenius, Leidse oriëntalism en de Turkse bijbel, in Tijdschrift voor geschiedenis, 91, 1978, p. 576-607.
52 DL, lib. II, cap. 11, p. 97. Qui, come spesso altrove, Gentili attinge alla Storia d’Italia di F. Guicciardini (Libro 8).
53 Ibid., p. 98.
54 Ibid., p. 99.
55 M. R. Di Simone, La guerra di religione nel pensiero di Alberico Gentili, in M. Ferronato, L. Bianchin (a cura di), « Silete theologi in munere alieno ». Alberico Gentili e la seconda scolastica, Atti del Convegno Internazionale Padova, 20-22 novembre 2008, Milano, 2011, p. 83-111. Gentili nega la giustificazione religiosa anche alle guerre civili, che a suo avviso hanno unicamente ragioni politiche.
56 « Tacete, o teologi, sulle questioni di cui non siete competenti » (A. Gentili, De Iure Belli, lib. I, cap. XII). È stato Carl Schmitt a portare per primo l’attenzione su quest’affermazione di Gentili : « All’inizio del nuovo diritto internazionale europeo sta l’esclamazione di Alberico Gentili, che ingiunge ai teologi di tacere sulla questione della guerra giusta. […] L’allontanamento dei teologi da un diritto internazionale trattato in forma teologica trova qui la sua prima chiara espressione. […] È lo stato, quale nuovo ordinamento razionale, che si mostra qui come veicolo storico della deteologizzazione e della razionalizzazione » (Il nomos della terra, Milano, 1991, p. 141).
57 Bodleian Library (Oxford), Ms. D’Orville 607, fol. 40 v. ([…] Me tamen miserum, qui annos fere triginta, hoc est ab anno aetatis duodecimo his litteris totus vaco […] Me miserum, qui sub potenti hac virtutis magistra vixi semper ut sum trico Italicus, Macchiavellicus, atheus. Infanda crimina Oxonienses, et ad quae patientem esse non oportet).
58 H. Grotius, De iure belli ac pacis libri tres, Parigi, 1625, p. 295.
59 DL II, cap. 10, p. 92-93.
60 Ibid., cap. 11, p. 100-102.
61 Ibid., cap. 12, p. 102-103. Per il ruolo svolto dagli Stati italiani nella nascita e affermazione dell’ambasciata residenziale v. G. Mattingly, Renaissance Diplomacy... cit. n. 34, p. 60-76.
62 DL, lib. I, cap. 20, p. 59.
63 Ibid., lib. II, cap. 13, p. 105.
64 Ibid., cap. 3, p. 66.
65 Delicta enim impunita esse non debere, iura omnia omnisque ratio volunt. […] Non ego dicendi libertatem legati nego […] sed contumeliosa lingua compesci volo. Qui enim iure aliquo abutitur, is eiusdem iuris patrocinio indignus est (ibid., cap. 20, p. 129-130).
66 Ibid., cap. 15, p. 112-115.
67 De omni autem contractum, quem tempore legationis legatus iniit, subire eum iudicium volo (ibid., cap. 16, p. 115). Gentili riserva l’intero capitolo alla trattazione minuziosa della casistica in cui può incorrere da un lato l’ambasciatore che ha sottoscritto un contratto con un privato, dall’altro il privato che ha concluso l’atto con un ambasciatore, affermando anche che in alcune circostanze può valere, nei confronti dell’ambasciatore, la legge mosaica del taglione.
68 Libertas legationis fieri licentia exlex non debet (ibid., cap. 17, p. 119).
69 Ibid., cap. 18, p. 121.
70 Ibid., cap. 17 (De iudice legatorum), p. 119. Gentili aveva già così concluso il cap. 16 (De contractu legatorum) : Manus regia […] ipsa ius faciet in omni legatorum negotio, liteque. Etenim manus regia ius gentium est (p. 117).
71 Ibid., cap. 16, p. 117.
72 DL, lib. II, cap. 1, p. 60 (Historia etiam ipsa utilis fuit : nulla enim historia inutilis est).
73 P. Haggenmacher, Grozio e Gentili : una nuova valutazione della prolusione di Thomas Holland, in M. Ferronato, L. Bianchin (a cura di), « Silete theologi in munere alien »... cit. n. 55, p. 393. Il testo (A Reassessment of Thomas E. Holland’s Inaugural Lecture) è stato pubblicato in origine in H. Bull, B. Kingsbury, A Roberts (a cura di), Hugo Grotius and International Relations, Oxford, 1990, p. 133-176.
74 D. Panizza, Il pensiero politico di Alberico Gentili. Religione, virtù e ragion di stato, in Id. (a cura di), Alberico Gentili. Politica e religione... cit. n. 51, p. 61. La critica più recente giudica la posizione dottrinale di Gentili come intermedia tra mos italicus e mos gallicus, proprio in virtù del suo costante impegno a coniugare l’auctoritas derivante dal corpus giustinianeo con l’esigenza d’interpretarlo « in ragione delle mutate esigenze politiche e sociali ed alla luce di quanto la cultura, senza preclusioni di sorta, aveva prodotto fino ad allora » (G. Minucci, Alberico Gentili tra mos italicus e mos gallicus. L’inedito Commentario Ad Legem de adulteriis, Bologna, 2002, p. 9).
Auteur
Università Roma Tre - francesca.cantu@uniroma3.it
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