« Onde non apparisca che anco tra i cattolici siano diversità d’opinioni in quello che riguarda la fede » : i sermoni di Ignazio di Loyola e le censure della Facoltà di Teologia del 1611 tra Parigi e Roma
Texte intégral
1L’11 ottobre 1611 il nunzio in Francia Roberto Ubaldini scriveva al cardinale Scipione Borghese una lettera preoccupata in cui lo avvisava che il 1° ottobre la Sorbona aveva censurato tre sermoni in onore del beato Ignazio di Loyola, scritti rispettivamente da un agostiniano e da due domenicani. Un gesuita aveva tradotto in francese le prediche e la censura era stata « con troppa passione procurata da un padre spagnolo pur domenicano che si chiama fra Juan Gallardo che pochi mesi sono venne a Parigi [...] il quale pretendeva che i detti sermoni fossero pieni di errori, impertinenze e anche eresie e che s’era giudicato tenuto di vendicare i Padri della sua natione e religione, della ingiuria » presente nel libro1.
2A tutta prima si ha l’impressione di trovarsi davanti a una tipica bega fratesca, alimentata dalla consueta rivalità tra ordini vecchi e nuovi e destinata a incattivirsi ulteriormente a causa degli orgogli e dei pregiudizi nazionali dei diversi protagonisti. La questione, però, si sarebbe rivelata ben presto più significativa di così dal momento che avrebbe coinvolto l’università di Parigi, i gesuiti francesi e i difficili rapporti ed equilibri tra Parlamento, sovrano, mondo gallicano, nelle sue differenti varianti interne, e la Sede apostolica, nel corso di una fase storica mossa e incerta, quella della reggenza di Maria de’ Medici all’indomani dell’assassinio di Enrico IV2.
3Il libro Trois tres-excellentes Predications, oggetto dell’attenzione del nunzio, fu pubblicato in Francia nel 1611 a cura del gesuita François Solier3. L’edizione originale, in lingua spagnola, uscita a Sevilla nel 16104, era stata prontamente tradotta nello stesso anno in italiano da due diversi editori milanesi5 ; nel 1611, insieme con la traduzione francese ne circolava anche una in lingua latina6. Si tratta dunque di un’opera di successo, il prodotto di un investimento editoriale a livello europeo che aveva visto la collaborazione di alcuni tra i principali ordini religiosi della cattolicità.
4Il domenicano catalano Jaime Rebullosa aveva scritto il primo sermone, da lui pronunciato a Barcellona, nella chiesa di Belén della Compagnia di Gesù, nella quarta domenica dell’Avvento del 1609, nel giorno in cui era stata celebrata la festa di beatificazione di Ignazio, in presenza del governatore del principato di Catalogna. Il frate predicatore aveva già avuto contatti con il mondo gesuita perché aveva tradotto in spagnolo nel 1605 la seconda delle Relazioni Universali di Giovanni Botero7. L’autore della seconda predica era il domenicano aragonese Pedro Deza, maestro di teologia, il quale aveva celebrato l’evento nella casa professa dei gesuiti di Valencia il 26 gennaio del 16108. L’agostiniano andaluso Pedro de Valderrama, noto predicatore e priore del convento di Sant’Agostino a Sevilla, aveva composto il terzo sermone, anch’esso celebrato nel 1610, ossia nel primo anniversario della beatificazione di Ignazio di Loyola9.
5Presso la Biblioteca Nazionale di Francia sono conservati due esemplari dell’opera che qui interessa : uno pressoché intonso10, l’altro recante i segni dell’inchiostro censorio del suo primo lettore, verosimilmente il frate domenicano Juan Gallardo che lo consegnò ai teologi della Sorbona affinché lo esaminassero. Ciò consente anzitutto di ricostruire i meccanismi di funzionamento della fabbrica censoria che dunque ebbe due livelli di intervento : quello del lettore denunciante e poi quello dei teologi della Sorbona ; inoltre, permette di collocare quest’azione dentro la temperie politica, culturale e religiosa di quei mesi difficili, ancora dominati dall’ombra lunga e sinistra dell’omicidio di Enrico IV, le « Grand Henry d’heureuse memoire, notre souverain Prince, tres-aymé Pere et tres-singulier protecteur » dei gesuiti, come ricordava il traduttore francese nella sua introduzione11. Un periodo reso ancora più travagliato dalla perdurante minaccia dinastica che gravava sul regno di Francia, nel corso della complessa transizione dai Valois ai Borbone : Enrico IV, infatti, si era sposato una prima volta nel 1572 con Margherita di Valois senza avere eredi e il matrimonio era stato annullato dalla Santa Sede nel 1599, l’anno prima delle seconde nozze con Maria de’ Medici, da cui era nato il futuro Luigi XIII. Tuttavia, nel caso in cui il papa avesse voluto rivedere la decisione di nullità del primo matrimonio, automaticamente il figlio di Enrico IV sarebbe stato escluso dalla successione al trono, un’eventualità che, ancora nel gennaio 1612, il nunzio Ubaldini ventilava in una lettera indirizzata al cardinale nipote12.
6I problemi rilevati dall’anonimo censore domenicano prima di sottoporre l’opera all’attenzione dei teologi della Sorbona possono essere ridotti a quattro nuclei tematici principali. Il primo riguarda la teologia dei miracoli. Il frate predicatore sottolineava e postillava una serie di espressioni in cui si esaltavano le doti taumaturgiche di Ignazio nel campo dei calcoli renali e sul fronte anti-demoniaco e i suoi miracoli venivano giudicati « mieux qualifiés » e « plus excellents » di quelli di altri santi canonizzati. Per non parlare di quelle riprovevoli digressioni in cui si diceva che una donna aveva visto l’anima di Ignazio ascendere al cielo, « enveloppée d’un globe de feu ardent »13.
7Questo attacco al miracolismo ignaziano riprendeva delle critiche già circolanti a Roma sempre in ambiente domenicano, come si deduce da una denuncia anonima che aveva raggiunto il Sant’Uffizio in quegli stessi mesi. L’ignoto autore della delazione sosteneva di non avere mai « veduta cosa di momento maneggiata con maggior arte et conclusa con maggior fretta et riuscita con minor applauso o con maggior mormorazione », che la beatificazione di Ignazio14. Ricordava, inoltre, all’assessore del Sant’Uffizio che i gesuiti avevano fatto scomparire tutti gli esemplari della vita del loro fondatore scritta da Pedro de Ribadeneyra, in quanto in essa si negava a Ignazio qualsiasi potere taumaturgico e si affermava che l’unico suo vero miracolo era stato di avere fondato la Compagnia15. L’estensore della denuncia, infine, auspicava che Paolo V si rendesse conto « che il modo con che i Padri Gesuiti empiono i libri di miracoli fatti dopo la morte è questo : che van persuadendo a tutti gli infermi che possono o vero alle loro mogli o parenti che facciano il tal et tal voto o si raccomandino al B. Ignatio. Quelli che guariscano (già che in tanto numero bisogna che ne guariscan molti) si scrivono per miracoli del B. Padre con molta solennità di testimoni, fede, etc. Quelli che non guariscano si tacciano. Et chi è che si pigli pensiero d’andarli sapendo ? ». E che lo stesso stava accadendo con un altro gesuita, il « santo vivo » Bernardino Realino : « Se colui guarisce scribe et fac processum. Quei che stan poi peggio, o si muion, di questi silentium magnum »16. L’obiettivo polemico di questa svolta miracolistica era il cardinale Roberto Bellarmino, il quale aveva dichiarato pubblicamente « che da 200 anni in qua non è stato canonizato santo alcuno che habbia fatto maggior miracoli del B. Ignatio », esattamente come era ripreso anche nelle Trois tres-excellentes predications esaminate17.
8Il secondo gruppo di censure di Juan Gallardo era più scontato : i predicatori attribuivano a Ignazio il titolo di santo in diversi luoghi del testo e ciò era considerato illegittimo18. Così anche erano cassate tutte quelle espressioni che tendevano a equiparare Ignazio a Gesù Cristo facendolo « Lieutenant general de Iesus-Christ sur terre »19.
9Il terzo nucleo censorio riguardava le parti in cui era esaltata l’eccezionalità dei gesuiti, giudicato un ordine speciale e misterioso. Per Deza essi avevano una « pureté angelique » e vivevano « comme Anges du ciel », studiavano la notte e confessavano di giorno20, ed erano i nuovi e degni eredi dei francescani e dei domenicani21. La Compagnia, inoltre, era l’ordine più prudente che fosse mai esistito, con uno stile di vita misterioso e affascinante perché « Personne ne sçait ce qu’on mange en leurs refectoirs, personne ne veoid ce qu’on appreste en leurs cuisines [...] »22.
10L’ultimo insieme di interventi concerneva l’orazione mentale e, più in generale, la pratica di comportamenti estremi come l’eremitaggio, la preghiera, la disciplina e i digiuni frequenti. Ad esempio, nel testo si ricordava che Ignazio prendeva tre volte al giorno la disciplina come san Domenico, faceva tutti i giorni sette ore di preghiera vocale in ginocchio, e che i gesuiti compivano « l’exercice des oraisons mentales »23. Naturalmente, il lettore-censore domenicano concludeva la sua fatica sottolineando che l’opera aveva ricevuto l’approvazione di Matthieu le Heurt, dottore in Teologia dell’università di Parigi, il quale non aveva trovato nulla di contrario alle « determinations de l’Eglise Catholique Apostolique & Romaine »24. I fatti, però, avrebbero mostrato che la situazione era ben più ingarbugliata di così perché, come denunciato dal nunzio Ubaldini, la Facoltà di Teologia dell’università di Parigi aveva esaminato l’opera e deciso di proibirla.
11La censura ufficiale della Facoltà di Teologia fu pubblicata in un esemplare bilingue franco-latino nel novembre 1611, un testo interessante giacché offre la possibilità di seguire l’evolversi delle differenti posizioni in seno all’istituzione accademica25. Il teologo Jean Filesac presiedette la seduta del 1° ottobre e dichiarò di avere ricevuto il libro da una persona di cui si taceva il nome. Il collegio deliberò quasi all’unanimità perché André Duval risultò essere l’unico oppositore. Tra le innumerevoli correzioni proposte dall’anonimo lettore, i teologi individuarono quattro proposizioni principali. La prima ricorreva in un passo del sermone dell’agostiniano Valderrama, il quale aveva sostenuto che i miracoli di Ignazio erano più numerosi di quelli degli apostoli e anche più efficaci di quelli di Mosè giacché era sufficiente scrivere il nome di Ignazio su una carta per operare grandi meraviglie, senza ulteriori intercessioni26. I Sorbonisti avevano sentenziato che preferire dei miracoli incerti a quelli che devono essere tenuti per articoli di fede era « scandaloso, erroneo, blasfemo ed empio »27. Anche la seconda censura interessava Valderrama, laddove aveva affermato che i costumi di Ignazio in vita erano stati così gravi e santi che nell’opinione celeste soltanto san Pietro, la madre di Dio e suo figlio Gesù avevano avuto « le bien de la veoir »28. La sola idea che Dio avesse potuto ricevere qualche « bien » dalla visione di un’altra creatura era giudicata da quel consesso di teologi un’eresia scandalosa e manifesta29. La terza censura dei Sorbonisti ricorreva, invece, nella predica del domenicano Deza, il quale, nel ricordare l’ufficio dei fondatori di ordini religiosi, aveva citato un brano della lettera agli Ebrei di San Paolo, sostituendo però al nome di Gesù quello di Ignazio30. Anche ciò era valutato « blasfemo ed empio »31. La quarta e ultima censura si trovava infine nel sermone del domenicano Rebullosa32 : la sua affermazione era in parte cattolica ove dichiarava correttamente che il papa era il vicario di Gesù Cristo in terra, ma conteneva « una forma di parlare eretica » quando sosteneva che il pontefice era il legittimo successore di Gesù33.
12Come si è detto, la censura della Facoltà di Teologia vide l’affermazione di Jean Filesac e la messa in minoranza di André Duval, un contrasto su un caso specifico che conferma l’esistenza di una visione composita di quel grande fenomeno politico, culturale e religioso che fu il gallicanesimo francese, capace di contenere l’espansione del protestantesimo e di impedirne l’affermazione. Una visione del mondo, è stato giustamente detto34, in cui anche il cosiddetto gallicanesimo universitario si presenta pieno di sfumature e di tensioni interne, non meno sfaccettate e plurali di quelle presenti nel gallicanesimo ecclesiastico-episcopale e in quello parlamentare35.
13Filesac, infatti, promosso dottore della Sorbona nel 1590, ove insegnò teologia fino alla morte nel 1638, era l’esponente di un gallicanesimo universitario moderato, da sempre contrario ai gesuiti e alle tesi del teologo Bellarmino in materia di rapporti tra potestà pontificia e potestà regia36. Nel 1605 aveva pubblicato il suo più importante trattato, significativamente intitolato De sacra episcoporum auctoritate, ove spiegava che ogni vescovo nella sua diocesi era il legittimo e ordinario inquisitore della fede e aveva perciò la facoltà di esaminare e condannare i sudditi nell’ambito della propria giurisdizione. Certo, il papa era l’ultimo giudice della fede e dei costumi, ma la sua autorità non era smisurata e non poteva prescindere dalla funzione episcopale sicché Filesac si rifiutava di riconoscere al sovrano pontefice il titolo di episcopus universalis37. In ogni caso, pur criticando le prerogative assolutistiche della Santa Sede, egli non era favorevole alle tendenze scismatiche presenti, per quanto in forma minoritaria, nel movimento gallicano universitario e parlamentare.
14Ad esempio, le sue posizioni erano ben diverse da quelle del collega Edmond Richer, syndic della Sorbona fino al 1612, che proprio nel 1611 - l’anno della censura dei sermoni su Ignazio - aveva pubblicato il Libellus de ecclesiastica et politica potestate, in cui considerava i re di Francia sovrani di diritto divino, indipendenti sul piano spirituale e temporale dal papa38. Richer assumeva una visione aristocratica della struttura ecclesiastica, per la quale al pontefice spettava un primato di onore, ma non teologico, dal momento che l’esercizio del potere apparteneva al corpo dei pastori partecipanti al consiglio generale della Chiesa. Tali idee erano radicalmente conciliariste e trovavano il sostegno politico di un ampio milieu parlamentare che si serviva di esse per rafforzare il potere e le prerogative dell’istituzione rispetto al re di Francia, impegnato in una difficile mediazione con Roma, il clero diocesano e i corpi intermedi del regno.
15Filesac sostituì nel 1612 Richer nella carica di syndic della Sorbona di cui divenne decano nel 1627. Egli era uno storico avversario dei gesuiti che vedeva come acerrimi nemici sia in campo universitario-accademico, sia sul piano dottrinario, così da impegnarsi a censurare le loro opere, trovando sempre la coerente opposizione di Duval. A partire da quella di Bellarmino circa il diritto del papa di deporre il sovrano eretico, il Tractatus de potestate Summi Pontificis in rebus temporalibus condannato nel novembre 1610, e l’opera De rege et regis institutione di Juan de Mariana, proibita nel giugno dello stesso anno sino all’interdizione del libro di Francisco Suárez Defensio fidei del 161439. Ancora nel 1626 Filesac avrebbe svolto un ruolo decisivo nelle campagne contro il Tractatus de haeresi, schismate [...] et de potestate Romani pontificis in his delictis puniendis del gesuita Antonio Santarelli, in cui per la prima volta la Facoltà di Teologia dell’Università di Parigi adottò ufficialmente la tesi della indipendenza assoluta del re in rapporto al papa in materia temporale, anche in questo caso avendo come avversario Duval40 .
16L’opposizione di Duval alla censura dell’agiografia ignaziana del 1609 non deve sorprendere perché si tratta di un’interessante personalità in grado di incarnare con il proprio percorso biografico (si pensi solo all’intensità delle sue relazioni prima con Enrico IV e poi con il cardinale Richelieu) non soltanto la ricchezza ideale del gallicanesimo transalpino, bensì anche la cifra degli equilibri tra questo e la corona di Francia e il ruolo di mediazione svolto da Roma41. Duval era un prete secolare, considerato uno dei migliori direttori di coscienza di Parigi e su questo terreno incontrò i gesuiti, di cui fu strenuo difensore prima, durante e dopo il periodo del loro allontanamento dalla Francia dal 1594 al 160442, una battaglia che condusse di pari passo con la difesa dell’autorità papale contro le tendenze regaliste più intransigenti del fronte gallicano.
17Duval ebbe relazioni con François de Sales, Vincent de Paul e con la fondatrice delle Visitandine Jeanne de Chantal e fu consigliere teologico della cosiddetta école abstraicte, riunitasi intorno al cappuccino Benedetto da Canfield, e animata da una spiritualità profondamente influenzata dalla mistica renano-fiamminga43. Inoltre, promosse l’introduzione della riforma carmelitana in Francia consigliando e aiutando suor Marie de l’Incarnation (Barbe Acarie), della quale scrisse l’agiografia nel 162144. Su consiglio del cardinale Jacques du Perron, Enrico IV nominò Duval nel 1597 a una delle due cattedre di teologia dell'Università di Parigi da lui istituite. Duval ebbe stretti rapporti con il nunzio Maffeo Barberini, il futuro Urbano VIII, e si oppose, a partire dal 1606, alle tesi del gallicanesimo intransigente di Richer, in questo condividendo la battaglia con l’episcopalista Filesac. All’opera di Richer del 1611 anche Duval come Filesac fece seguire l’anno successivo un Elenchus pro suprema romani pontificis in Ecclesiam potestate e il De suprema romani pontificis in Ecclesiam potestate dissertatio quadripartita nel 1614. Ciò nonostante, nel 1609, i due si trovarono divisi in occasione della condanna dell’agiografia di Ignazio di Loyola qui esaminata, a dimostrazione che la posizione centrista dentro il gallicanesimo universitario fosse, in questa circostanza, quella di Filesac (antigesuitica, ma antiscismatica, filoepiscopale, critica delle prerogative romane), mentre le due ali estreme e opposte venissero occupate dal regalista Richer e dal filo-romano e filo-gesuitico Duval. Costui, negli anni successivi e grazie al cosiddetto « duvalisme », riuscì a stemperare le posizioni più estreme del fronte ultramontano e di quello gallicano, così da diventare l’autentico interprete della politica regia grazie alla speciale collaborazione con il cardinale Richelieu45.
18L’altro protagonista di questa vicenda editoriale, finora rimasto sullo sfondo, fu il gesuita François Solier, il traduttore dell’opera incriminata. Egli era maestro di novizi, insegnante di retorica e dal 1608 al 1611 visse a Poitiers, ove vennero pubblicati i tre sermoni. Si impegnò attivamente nella fondazione del collegio gesuitico di Saintes di cui divenne anche padre spirituale e rettore. Solier, nel corso della sua vita, svolse una funzione oscura, ma non secondaria di mediatore culturale tra Francia, Spagna e Italia traducendo opere importanti della spiritualità gesuitica come il De Oracion mental di Francisco Arias, le agiografie di Francisco Borja e di Diego Laínez di Pedro de Ribadeneyra e il Trattato dell’angelo custode di Francesco Albertini46. Solier reagì immediatamente alla censura del libro da parte della Facoltà di Teologia dell'Università di Parigi e già il 9 ottobre 1611 si produsse in una polemica Lettre iustificative à sien amy47. Un’apologia che qualche bibliografia, come già sottolineava Carlos Sommervogel, ha attribuito senza motivo al più noto gesuita Gaspar de Seguiran, confessore di Luigi XIII48.
19Nella lettera il gesuita ripercorreva le quattro « pierres d’achoppement » sollevate dai Sorbonisti dimostrando come, a suo giudizio, in ognuna di esse gli autori delle prediche avessero voluto usare un linguaggio popolare, tipico del genere declamatorio dei sermoni (dimostrativo ed encomiastico), ove facilmente potevano esserci delle amplificazioni che invece non ricorrevano nel genere deliberativo o giudiziario. Inoltre, faceva notare che se si fossero condannati quei passi si sarebbero dovute proibire tutte « les Anthopopathies » presenti sovente nelle Sacre scritture, ossia quei procedimenti retorici che attribuivano a Dio passioni, sensazioni e affetti umani. Anche nel caso della sostituzione del nome di Gesù con quello di Ignazio nella epistola paolina vi erano precedenti illustri come quello di Luis de Granada che aveva inserito il nome di san Domenico.
20Solier fingeva con il suo anonimo interlocutore di non avere ancora letto il decreto della Facoltà di Teologia che pure gli era stata inviato, un espediente probabilmente necessario per evitare di rispondere in maniera diretta alla quarta censura, quella che aveva il profilo dottrinario più imbarazzante. Secondo il gesuita, Deza aveva scritto che l’ordine di San Francesco aveva compiuto dei miracoli nell’ambito della povertà volontaria, ma il passo incriminato per i censori era un altro, più precisamente quello dell’altro domenicano Rebullosa, laddove si dichiarava che il papa fosse il diretto successore di Gesù. Quella di Solier era stata dunque una svista interessata, già denunciata come tale nel 1615 dal Mercure François49.
21La parte più interessante della risposta del gesuita era la seconda : censurare il testo di tre dottori e predicatori fra i più noti nella penisola iberica avrebbe voluto dire introdurre in Francia un’inquisizione più rigorosa di quella spagnola, ma anche del Sant’Uffizio romano dal momento che i tre sermoni circolavano liberamente nei due paesi cattolici senza che il maestro del Sacro Palazzo o l’Inquisizione romana avessero trovato qualcosa da ridire50. Inoltre, i Sorbonisti con la loro azione avrebbero fatto il gioco degli ugonotti che già gongolavano per quell’umiliante censura e avrebbero criticato indirettamente il papa che aveva beatificato una personalità come Ignazio, evidentemente poco stimata dalla Facoltà di Teologia di Parigi51. In realtà, secondo Solier, la vera questione in gioco era un’altra : con quell’azione la Facoltà di Teologia stava provando ad ampliare la sua giurisdizione per impedire che i gesuiti rientrassero in possesso del collegio di Clermont, l’attuale Louis le Grand, una vicenda in cui « on a procedé avec plus de passion que de raison ». Al termine della sua lettera il gesuita diventava sferzante, sottolineando come quella vicenda avrebbe confermato il detto delle altre nazioni : Decreta Sorbonae non traseunt Sequanam, ossia i « Decreti della Sorbona non oltrepassano la Senna » ; l’effetto, però, sarebbe stato doppiamente controproducente in quanto la censura avrebbe dato un’incredibile pubblicità a quei sermoni, che sarebbero stati riconosciuti oltre i loro meriti52.
22L’insolenza della risposta di Solier ebbe il prevedibile effetto di eccitare vieppiù gli animi dei Sorbonisti e di coinvolgere nella querelle anche Roma attraverso i normali canali diplomatici affidati al nunzio Ubaldini. Per questa ragione l’affaire può essere seguita anche grazie al suo epistolario, una fonte preziosa poiché è in grado di conciliare la storia delle idee con quella delle pratiche politiche concrete. L’11 ottobre 1611 il nunzio scriveva al cardinale Borghese informandolo che la vicenda aveva l’obiettivo di « far perdere la devotione del Beato e discreditare i gesuiti contro i quali si vede che cresce ogni giorno l’animosità di questa Sorbona »53. Il presidente della Sorbona aveva fatto ogni sforzo per prevenire lo scandalo ordinando al sindyc Richer « che in ciò non innovasse cosa alcuna », ma i gesuiti avevano sottovalutato il negozio « in modo che non avvisarono i loro amici, i quali se si fossero trovati alla Congregatione forse non sarebbe successa la censura », che perciò si sarebbe potuta evitare. Richer, come si ricorderà membro del fronte gallicano più intransigente, aveva deciso di non esporsi direttamente e aveva fatto proporre la censura al più moderato Filesac, ma il primo presidente comunque se ne era « mostr[ato] molto offeso ».
23Il domenicano Juan Gallardo si era recato dall’auditore del nunzio orgoglioso del successo ottenuto sostenendo di volere « far bruciare il libro per arresto del Parlamento » ed era convinto di riuscirvi grazie all’intervento dell’avvocato regio Louis Servin. Quel Servin, capofila dei « politiques » in Parlamento, che pur professandosi buon cattolico – secondo quanto scriveva Ubaldini in una lettera del 27 dicembre 1610 – era fra quanti avevano l’obiettivo di separare il reame di Francia dalla Santa Sede54. L’auditore del nunzio, perciò, rimproverò Gallardo per non avere sottoposto i sermoni alla censura preventiva del Sant’Uffizio di Roma e « gli proibì di ricorrere al suddetto Parlamento, si come egli promise di astenersene da Parigi »55.
24L’8 novembre 1611, Ubaldini affermò che, nonostante gli « offiti interposti » con i principali ministri e teologi della Sorbona, non aveva potuto impedire « la confirmatione della censura dei tre sermoni »56. Il danno era grave poiché si proibiva in Francia ciò che era stato concesso in Spagna e in Italia « quasi che nei suddetti luoghi, si proceda troppo trascuratamente in questa materia, e s’approvi per buono e pio quello che questa Facoltà asserisce empio et heretico, onde apparisca che anco tra i cattolici siano diversità d’opinioni in quello che riguarda la fede ». Il nunzio temeva anche che le università di Spagna potessero reagire alla censura con una loro apologia contro la Sorbona « la quale non tacendo aprirà le porte a uno scisma tra quelle università e queste ». Per queste ragioni il nunzio avrebbe provato ad affidare il negozio direttamente a Paolo V in modo che tutto fosse riferito « all’infallibilità della decisione di cotesta Santa Sede ».
25Tuttavia, la mediazione del nunzio fallì a causa della lettera giustificativa di Solier che ebbe l’effetto di rafforzare i fronti contrapposti, risultando a tutti che i gesuiti « siano stati troppo arditi nella suddetta lettera et habbino troppo sensibilmente piccata questa facoltà »57. Il nunzio prometteva di recuperare per l’avvenire alla causa dei gesuiti alcuni esponenti della Facoltà di Teologia, ma certo quei padri in futuro avrebbero dovuto « governarsi come conviene »58.
26Ubaldini così facendo anticipava il consiglio che sarebbe giunto da Roma il 7 dicembre che infatti approvava la sua prudente condotta : « tutti i mali che V.S. prevede poter nascere dalla censura dei 3 sermoni in Spagna de Beato Ignatio et dalle riposte sono da temer grandemente onde si deve procurare d’impedirli per tutte le vie et mezzi ». Nel frattempo a Roma si erano avvertiti i padri gesuiti « ad essere meno vehementi, et più communicativi dei loro pensieri prima che porli in essecutione »59.
27Ancora il 23 novembre 1611 la censura non era stata stampata né iscritta presso i registri della facoltà e, per evitare che in Spagna sorgessero querele, il nunzio sensibilizzò alla causa anche l’ambasciatore iberico. Gli sembrava ormai chiaro che il collegio dei teologi aveva « proceduto troppo precipitosamente contro il solito della facoltà che in simile materie suole voler udire gli interessati il che si havessero fatto non ho dubbio che i padri Gesuiti gli haveriano data compita soddisfatione »60. La censura non poteva « essere più grave perché qualifica i 4 punti contenuti in essa come empii, scandalosi, heretici e blasphemi in che credo che la facoltà abbi ecceduto i termini de loro pretesi privilegi papali in materia di censurar libri ». Poi a esacerbare gli animi c’era stata la reazione dei gesuiti che « si sono risentiti troppo [...] mordacemente con la loro lettera giustificatoria ». Senza la missiva di Solier - chiosava il nunzio - « sarebbe stato più facile impedire la confirmatione della censura con l’autorità di detti ministri che offesi anch’essi da detta lettera, non la volsero interporre »61. Anche il nunzio, come Solier, rivelava quale fosse il vero oggetto del contendere : il generale della Compagnia di Gesù avrebbe dovuto comandare ai suoi padri francesi di impedire che qualcuno scrivesse e offendesse come aveva fatto il gesuita, « e massime questo corpo della facoltà, la quale s’attacca sopra ogni minimo soggetto, per impedirgli la giusta pretensione che essi hanno di rimettere qui il collegio », ossia rientrare a Clermont62.
28Il 7 dicembre 1611 il nunzio comunicava al cardinale Borghese la brutta notizia : nonostante gli avessero garantito che la censura non sarebbe stata pubblicata né registrata, purtroppo da due giorni ne circolavano per Parigi molti esemplari, fra cui quello qui analizzato63. Un’altra edizione di questo testo venne stampata nel 1612 in almeno tre occasioni64. Secondo Ubaldini sia il primo ministro sia il cancelliere della Sorbona avevano finto di credere che la copia pubblicata fosse uscita di straforo contro la volontà degli stessi dottori, ma con questo pretesto si erano astenuti « dal farne rimuovere con i capi d’essa che senza dubbio, ne sono gli autori, come potrebbero o doverebbero risolutissimi di non disgustare la detta Facoltà per i fini molto ben noti a V.S.Ill.ma », ossia quelli relativi al collegio di Clermont65. In effetti, il 2 dicembre 1611, tutto il corpo dell’università aveva presentato un ricorso al Parlamento contro i gesuiti che « contro la forma della loro remissione in Parigi » del 1603 avevano continuato ad avere in quel collegio classi di grammatica e di umanità a convittori e pensionari, che, facendo concorrenza all’università, andavano scacciati66. Il nunzio aveva parlato anche con la reggente Maria de’ Medici affinché si impedissero « le declamazioni contro i padri nel Parlamento » ricordandogli quanto per la « quiete del Regno » fosse decisivo il ruolo della Compagnia di Gesù, la quale essendo « in grandissima stima e credito non passerebbe senza pericolo di seditione qualsivoglia risolutione che si pigliasse contro di loro », soprattutto perché il regime adottato era in vigore dai tempi di Enrico IV « con saputa e tolleranza sua ».
29Il 21 dicembre 1611 si svolsero nel Parlamento le discussioni tra gli avvocati delle parti sulla questione se incorporare la Compagnia di Gesù nella Facoltà di teologia. L’avvocato dell’università parlò a lungo facendo « un riassunto di tutte le calunnie, ingiurie e impronture proferite dai Gesuiti »67, fra cui quella di avere causato la morte dei due ultimi re di Francia, un argomento ripreso pure dall’avvocato regio Servin nella seduta del 3 gennaio 1612. Anche il rettore dell’università « punse quanto più si può la compagnia [...] » e concluse : « che se piaceva al Parlamento d’incorporare la Compagnia nell’università, gli pareva che si potesse fare, a condizione però che i Padri dichiarassero qual si sia la loro dottrina sopra queste questioni : se il papa stia sotto o sopra il concilio, se habbia alcun potere diretto o indiretto nel temporale dei principi ; se la confessione sacramentale si deve o possi rilevare dove si tratta della vita d’un Principe, e se i chierici sono esenti o sottoposti a i principi e ai suoi ministri secolari ». Ovviamente, i gesuiti dovevano, fra le altre cose, rigettare la dottrina del regicidio, iniziare a scrivere contro di essa, denunciare le future cospirazioni contro il sovrano e insegnare che il re di Francia nelle cose temporali non riconosceva altro superiore che Dio onnipotente, tanto che nessuna potenza né autorità avrebbe mai potuto sospendere o privare il re del suo reame né sciogliere i sudditi del sovrano dal giuramento di fedeltà e obbedienza che gli era dovuto « par toute sorte de droits divins, naturels, et humains ». Alcuni gesuiti avrebbero voluto pronunciare una dichiarazione che accoglieva questi aspetti, fissati nel decreto del 22 dicembre 1611, ma il nunzio Ubaldini li sconsigliò « perché non era conveniente in modo alcuno che una Religione andasse avanti Tribunale de giudici secolari » e quindi propose loro di differire la questione dichiarando « che credono nei suddetti articoli quello che ne crede il comun consenso della Chiesa cattolica ».
30Nella seduta del 3 gennaio 1612 i gesuiti si acconciarono al consiglio del nunzio promettendo solennemente che « in quello che non è fede e contra bonos mores, la Compagnia non insegnerebbe altrimenti di quello che insegna la Sorbona, conforme alla loro Costitutione che è sotto la regola terza dei professi di Theologia »68. La Compagnia con queste parole accettava la sottomissione al Parlamento, ma riusciva a evitare che la Facoltà di Teologia deliberasse in merito dando così veste dottrinaria definitiva a quel pronunciamento politico. Un risultato interlocutorio che segnò la momentanea sconfitta delle tesi di Duval - favorevole anche in questo dibattito alle posizioni dei gesuiti - ma anche del rigorista Richer, da lì a poco costretto da Luigi XIII ad abbandonare la carica di sindyc della Sorbona in favore proprio del mediatore Filesac, l’accorto protagonista anche della censura dell’agiografia di Ignazio da cui abbiamo preso le mosse.
31L’occhio del nunzio consente di capire che in quel torno di mesi, dall’ottobre 1611 al gennaio 1612, la questione agiografica dei miracoli di Ignazio e le dispute teologiche intorno a essi nascondevano ben altri conflitti e campi di interessi contrapposti nel concreto mondo dell’insegnamento universitario, della formazione della classe dirigente francese e dei rapporti tra Parlamento, reame e gesuiti, in un contesto storico necessariamente inasprito all’indomani dell’assassinio di Enrico IV. Quando ormai i giochi erano fatti sarebbe arrivato anche il parere del Sant’Uffizio di Roma che il 4 gennaio 1612 si limitò a prendere atto della censura della Facoltà di Teologia ai sermoni di Ignazio, in una riunione a cui parteciparono, tra gli altri, i cardinali Bellarmino e François de la Rochefoucauld, antico protettore di Duval69.
32L’imbarazzante vicenda sarebbe stata sepolta per secoli dentro i dissimulanti armadi dell’erudizione ecclesiastica della Controriforma, se Pierre Bayle non fosse stato l’unico a riprenderla nel suo Dictionnaire historique et critique del 169570 : solo l’inquieta anima scettica di un ugonotto, convertitosi al cattolicesimo, poi ritornato al calvinismo ed educato dai gesuiti avrebbe avuto la sufficiente sensibilità per interessarsi a tali censure sommerse in grado di corrodere i margini dei processi di confessionalizzazione in atto senza però riuscire a mutare il corso del grande alveo della storia religiosa europea che avrebbe portato nel 1622 Ignazio di Loyola all’onore degli altari. Non a caso nelle pagine di Bayle ricorreva il nome di uno dei più puntuti esponenti dei politiques francesi, quello dell’umanista Étienne Pasquier, autore nel 1602 di Le Catéchisme des Iesuites. In quest’opera egli aveva predetto che gli artifici adottati dai gesuiti per fare canonizzare il loro fondatore non sarebbero riusciti tanto facilmente. Pasquier aveva colto l’occasione del processo di santità in onore del fondatore dei gesuiti per raccontare come « les Papelards », con la loro setta della « Papelardie », si fossero insinuati in Francia grazie al « Machiavelisme d’Ignace pour donner vogue à la Secte » e per ribadire come la Chiesa gallicana e i gesuiti fossero incompatibili in quanto quei padri erano comparabili ai luterani71.
33Aveva quindi buon gioco Bayle a ironizzare su queste infiammate parole di Pasquier del 1602 spiegando che la beatificazione di Ignazio del 1609 aveva certamente raddoppiato il suo « chagrin », ossia dispiacere. Bayle infatti non concepiva « più rude mortificazione che quella di vedere beatificato un uomo di cui si è detto tanto male » in vita72. « Ciò avrebbe dovuto rendere più circospetti gli autori critici. Io attacco un uomo, dovrebbero loro pensare, che un giorno potrebbe essere messo fra le litanie prima della mia morte [...] Ma rispetto alla censura e alla critica uno non è al riparo neppure se attende la morte di qualcuno ; verrà forse un papa che metterà nel numero dei santi colui che aveva maltrattato e vi dirà di raccomandarvi all’intercessione della persona che avete offeso ». Un’eventualità che il pungente sarcasmo di Bayle giudicava terribile giacché rassomigliava a quei decreti del Parlamento che ti costringevano « à épouser la meme fille qu’on avoit deshonorée ».
34Sullo sfondo di queste tensioni si intravedeva la sottile trama che negli anni successivi avrebbe portato a una nuova pacificazione tra i gesuiti e la corte di Francia, manifestatasi, ad esempio, in occasione della riapertura nel 1619 del collegio di Clermont e soprattutto con la canonizzazione di Ignazio di Loyola nel 1622. In quella circostanza Luigi XIII svolse un ruolo di pressione determinante grazie a un canale preferenziale di comunicazione instauratosi in funzione anti-spagnola tra il ramo italiano dell’ordine, guidato dal cardinale Bellarmino, quello francese e i porporati del partito transalpino presenti in curia73. A prevalere sarebbero stati i processi di costruzione delle Chiese nazionali (non necessariamente di Stato) in Francia come in Italia e, dunque, gli accordi pattuiti sul filo della ragion di Stato fra sovrani. Un processo in cui il gallicanesimo francese, in tutta la sua multiforme complessità e varietà di posizioni, avrebbe costituito un elemento importante nella storia della formazione della coscienza nazionale transalpina. A un critico acuto di quei processi come Bayle sarebbe rimasto il gusto dell’erudizione e la pratica spassionata della ricerca storica, a noi oggi la certezza che in quel giorno di ottobre del 1611, nelle stanze della Facoltà di teologia dell'Università di Parigi, non si discusse soltanto dei miracoli di Ignazio, ma di molto altro ancora perché, anche fra quelle austere mura, pulsava il cuore della storia d’Europa al ritmo dei suoi « cattolicesimi al plurale ».
Notes de bas de page
1 Ubaldini a Borghese, Parigi 11 ottobre 1611, in Biblioteca Nazionale di Francia di Parigi, da ora in poi BNF, fondo italiano ms. 1200, Lettres tirées des Registres de la Nonciature d’Ubaldini depuis 1608 jusques à 1616 touchant la doctrine et les sentiments du Royaume, fol. 96v-97r. Alla lettera rispose il segretario di Scipione Borghese, Porfirio Feliciani, l’8 novembre 1611, in Biblioteca Angelica di Roma, da ora in poi BA, mss 1215, Registro di Lettere scritte del secretaro Porfirio Feliciani a mons. Vescovo di Montepulciano Nunzio del papa in Francia negli anni 1609,1610 e 1611, fol. 292v.
2 Su questa fase, con particolare attenzione ai rapporti tra gesuiti e autorità monarchica, si veda E. Nelson, Jesuits and the Monarchy. Catholic Reform and Political Authority in France (1590-1615), Hampshire-Burlington-Roma, 2005, p. 11-56 e 147-209, J.-C. Dhôtel, Histoire des jésuites en France, Paris, 1991, p. 23-28 e C. Sutto, Henry IV et les Jésuites, in Renaissance and Reformation/Renaissance et Réforme, 17, n. 4, 1993, p. 17-24, ma anche P. Blet, Jésuites et libertés gallicanes en 1611, in Archivum historicum societatis Jesu, 24, 1955, p. 165-188.
3 Trois tres-excellentes predications prononcees au iour et feste de la Beatification du glorieux patriarche le Bien-heureux Ignace fondateur de la Compagnie de Jésus. par Le Reverend Pere et Docteur Pierre de Valderame, Prieur du Couvent de Sainct Augustin de Seville. Le Reverend P. et Docteur F. Pierre Deza de l’ordre S. Dominique, au Couvent de Valence. Le R. P. Presenté F. Iacques Rebullosa du mesme Ordre S. Dominique, et la cité de Barcellonne. Le tout nouvellement traduict par le P. François Solier Religieux de la Compagnie de Iesus, Poictiers, par Antoine Mesnier Imprimeur & Libraire ordinaire du Roy en l’Université, 1611 (BNF, D-53936).
4 Biblioteca Nazionale di Spagna di Madrid, da ora in poi BNS, Sermon que predicó el F. Pedro de Valderrama […] en la fiesta de la Beatificacion del Glorioso Patriarcha San Ignacio Fundador de la Compañia de Iesvs, Sevilla, Luis Estupiñan, 1610. Ma anche con postille di lettura ai margini, BNS, Sermon que predico el muy reuerendo padre M.F. Pedro Deça, de la Sagrada Religion de Predicadores, en las fiestas que se celebraron en la yglesia de la [...] Cōpañia de Iesus, de [...] Valencia a 24, 25 y 26 de Enero del Año 1610, por la Beatificacion del [...] Padre Ignacio de Loyola [...], impresso a deuocion del Doctor Iuan Baptista Guardiola.
5 Predica del M. R. P. maestro F. Pietro di Valderrama Prior del Convento di Sant’Agostino di Seviglia, predicata nella festa della beatificazione del glorioso patriarca Ignatio fondatore dell’inclito ordine della Compagnia di Giesu dedicata dall’autore ai Padri di quella. Et tradotta di Spagnuolo in italiano, Milano, appresso Girolamo Bordoni, 1610 (conservato nella Biblioteca Bertoliana di Vicenza). L’altro esemplare conosciuto si trova presso la Biblioteca Trivulziana di Milano, Jayme Rebullosa, Predica del molto r. Padre presentato f. Giayme Rebullosa dell’Ordine di san Domenico predicata nella chiesa di Betleem della Compagnia di Giesu nella citta di Barcellona la domenica quarta dello Advento 1609 [...] tradotta di spagnolo in italiano con una relatione delle allegrezze fatte in Lisbona in simile occasione, Milano, per l’her. di Pacifico Pontio & Gio. Battista Piccaglia, stampatori della Corte archiepiscopale, 1610.
6 Tres eximie conciones in solemni festo Canonisationis, sive beatificationis, gloriosi Patriarchae Beati Ignatii [...] Petrum de Valderama [...] Petrum Dezam [...] Jacobum Rebulosam [...], excusae Pictavii per Antonium Mesnierum impressorem et Bibliopolam ordinarium Regium, Academiae Pict., 1611.
7 L’edizione si intitola Teatro de los mayores principes del mundo y causa de las grandezas de sus Estados, Barcelona 1605. Su Rebullosa si veda Enciclopedia universal ilustrada europeo-americana, XLIX, Madrid, 1958, p. 1124.
8 J. Quétif, J. Echard, Scriptores ordinis praedicatorum recensiti, notisque historicis et critici illustrati, II, Lutetiae Parisiorum, J.B. Christophorum Ballard Christianissimi Regis Monotypographum & c. via Sancti Joannis-Bellovacensis sub signo Montis Parnassi et Nicolaum Simart Serenissimi Delphini Typographum via Iacobea sub signo Delphini Coronati, 1721, p. 375a.
9 Per un profilo biografico del frate agostiniano si rinvia all’Enciclopedia universal ilustrada europeo-americana, LXVI, Madrid, 1929, p. 492.
10 L’esemplare senza segni censori si trova in BNF, 8-00-416.
11 Sull’assassinio del re, con un’attenzione specifica al ruolo svolto dai gesuiti nella diffusione del pensiero politico sul tirannicidio, è ancora valido R. Mousnier, L’assassinat d’Henri IV. 14 mai 1610, Paris, 2008 (I ed. 1964), p. 63-110 e 229-250.
12 Lettera di Ubaldini a Borghese, Parigi, 3 gennaio 1612 : « e quel che è peggio che hoggi sia libero agl’ugonotti o a’ cattivi cattolici et a chi desidera romori o turbolenze in questo Regno, di appellare ad futurum concilium dalla dichiaratione di nullità et dissolutione del putativo matrimonio del re defunto con la regina Margarita et così da mettere in controversia la legitimità del Re d’hoggi e la reggenza della Regina » (riportato da P. Blet, Jésuites et libertés gallicanes en 1611, cit., p. 180).
13 Trois tres-excellentes predications… cit., p. 50, 57 e 88-89.
14 Archivio segreto Vaticano, da ora in poi ASV, Fondo Borghese, serie II, n. 28, fol. 112r-115v, da cui sono tratte anche le successive citazioni.
15 Ho approfondito la questione nel mio Hagiografía y censura libraria: la vida de Ignacio de Loyola de Pedro de Ribadeneyra entre corte de reyes y obediencia romana, in J. Martínez Millán-H. Pizarro Llorente, E. Jiménez Pablo (a cura di), Los jesuitas: Religión, política y educación (siglos XVI-XVIII), Congreso Internacional de la Red «The Court Studies», Madrid, 20-22 de junio de 2011, Madrid, 2012, p. 1007-1028. Sull’elaborazione dell’immagine agiografica di Ignazio nei primi decenni di vita della Compagnia di Gesù si veda anche G. Mongini, Censura e identità nella prima storiografia gesuitica (1547-1572), in M. Firpo (dir.), Nunc alia tempora, alii mores. Storici e storia in età postridentina. Atti del Convegno internazionale, Torino, 24-27 settembre 2003, Firenze, 2005, p. 169-188.
16 Sul riconoscimento dei poteri taumaturgici di Bernardino Realino e l’avvio della sua procedura di canonizzazione quando il sacerdote era ancora in vita si rinvia a J.-M. Sallmann, Santi barocchi. Modelli di santità, pratiche devozionali e comportamenti religiosi nel Regno di Napoli dal 1540 al 1750, Lecce, 1996, p. 203-209, M. Spedicato, La lupa sotto il pallio : religione e politica a Lecce in antico regime (secc. XVI-XIX), Roma-Bari, 1996, p. 84 e G. Sodano, Promozione dei culti e processi di canonizzazione nel Regno di Napoli nell'età moderna, in B. Pellegrino (dir.), Ordini religiosi, santi e culti tra Europa, Mediterraneo e Nuovo Mondo (secoli XV-XVII), I, Galatina, 2009, p. 278-279.
17 La frase attribuita a Bellarmino è ricordata in ASV, Fondo Borghese, serie II, n. 28, ff. 113v, e viene riportata anche in Trois tres-excellentes predications… cit., p. 50, senza però fare il nome del cardinale gesuita.
18 Ivi, p. 48, 108, 129, 134. Sul tema, affrontato negli stessi anni anche a Roma, si rinvia al mio libro I beati del papa. Santità, inquisizione e obbedienza in età moderna, Firenze, 2002, p. 57-64 e 156-170.
19 Trois tres-excellentes predications… cit., p. 4, 23.
20 Ivi, p. 122, 129.
21 Ivi, p. 135.
22 Ivi, p. 145, 148.
23 Ivi, p. 125, 141, 143, 165, 167-168, 171, 189-191.
24 Si veda ivi, l’Approbation finale dell’opera anch’essa sottolineata dal censore.
25 Censura Sacrae Facultatis Theologiae Parisiensis adversus quatuor propositiones exceptas ex libro ita inscripto, BNF, fond français ms 22087, Librairie libelles diffamatoires et livres prohibés 1413-1680, fol. 98r-100v. Il testo mi è stato segnalato da Gigliola Fragnito che ringrazio.
26 La prima proposizione si trova in Trois tres-excellentes predications… cit., p. 54-55 e 151.
27 Censura Sacrae Facultatis Theologiae Parisiensis… cit., fol. 100v.
28 La seconda frase censurata è in Trois tres-excellentes predications… cit., p. 91.
29 Censura Sacrae Facultatis Theologiae Parisiensis… cit., fol. 100v.
30 Il terzo passo incriminato è in Trois tres-excellentes predications… cit., p. 112.
31 Censura Sacrae Facultatis Theologiae Parisiensis… cit., fol. 100v.
32 L’ultimo brano da censurare è in Trois tres-excellentes predications… cit., p. 207.
33 Censura Sacrae Facultatis Theologiae Parisiensis… cit., fol. 100v.
34 A. Tallon, Conscience nationale et sentiment religieux en France aux XVIe siècle. Essai sur la vision gallicane du monde, Paris, 2002, p. 1-24.
35 Sulle tensioni presenti all’università di Parigi in questi anni si veda il terzo capitolo dell’opera di C. Jourdain, Histoire de l'Université de Paris au XVIIe et au XVIIIe siècle, I, Paris, 1888, p. 96-136. Per le resistenze al potere regio presenti nella Facoltà di teologia in questa fase cfr. A. Tuilier, Histoire de l’Université de Paris et de la Sorbonne. I. Des origines à Richelieu, Paris, 1994, p. 405-432. Sul gallicanesimo universitario, per il periodo successivo, si rimanda a J.M. Gres-Gayer, Le Gallicanisme de Sorbonne. Chroniques de la Faculté de Théologie de Paris (1657-1688), Paris, 2002.
36 Si consulti il profilo bio-bibliografico tracciato da J. Lecler, Dictionnaire d’histoire et de géographie ecclésiastiques, IV, Paris, 1956, col. 1278-1279.
37 Sul punto cfr. A.-G. Martimort, Le gallicanisme de Bossuet, Paris, 1954, p. 19.
38 Si veda su quest’opera e il suo autore C. Sutto, Tradition et innovation, réalisme et utopie: l’idée Gallicane à la fin du XVIe et au début du XVIIe siècle, in Renaissance and Reformation/Renaissance et Réforme, 8, 1984, p. 278-297. Ancora utile E. Puyol, Edmond Richer. Étude historique et critique sur la rénovation du gallicanisme au commencement du XVIIe siècle, I e II, Paris, 1876.
39 Su tali condanne e il pensiero politico gesuita in materia di tirannicidio cfr. ora H. Höpfl, Jesuit Political Thought. The Society of Jesus and the State, c. 1540-1630, Cambridge, 2004, p. 321 e s.
40 Sull’affaire Santarelli si veda V. Martin. Le gallicanisme politique et le clergé de France, Paris, 1929, p. 163-244 e ora S. De Franceschi, La genèse française du catholicisme d’État et son aboutissement au début du ministériat de Richelieu: les catholiques zélés à l’épreuve de l’affaire Santarelli et la clotûre de la controverse autour du pouvoir pontifical au temporel (1626-1627), in Annuaire-bulletin de la Société de l’histoire de France, 2001, p. 19-63.
41 Per questa personalità si rimanda al profilo delineato da L. Cognet, Dictionnaire d’histoire et de géographie ecclésiastiques, XIV, Paris, 1960, col. 1213-1216. Si veda ora S. De Franceschi, Gallicanisme, antirichérisme et reconnaissance de la romanité ecclésiale : la dispute entre le cardinal Bellarmin et le théologien André Duval (1614), in Papes, princes et savants dans l’Europe moderne. Mélanges à la mémoire de Bruno Neveu, réunis par J.-L. Quantin et J.-C. Waquet, Genève, 2007, p. 97-121.
42 Sul processo ai gesuiti del 12 luglio 1594 intentato dall'Università di Parigi si rinvia a M. De Waele, Pour la sauvegarde du roi et du royaume. L’expulsion des Jésuites de France à la fin des guerres de religion, in Canadian Journal of History/Annales Canadiennes d’histoire, 29, n. 2, 1994, p. 267-280. Si veda anche V. Martin, La reprise des relations diplomatiques entre la France et le Saint-Siège en 1595, in Revue des sciences religieuses, I, 1921, p. 338-384 e 2, 1922, p. 233-270 e B. Barbiche, Le bannissement et le rappel des Jésuites (1594-1603), in Henry IV et les Jésuites. Actes de la journée d’études universitaires organisée le samedi 18 octobre 2003 à la Flèche, La Flèche, 2004, p. 27-37. Sulle relazioni tra Enrico IV e il papato dopo la riconciliazione cfr. A. Tallon, Henry IV and the Papacy after the League, in A. Forrestal-E. Nelson (dir.), Politics and Religion in Early Bourbon France, U.K.-U.S.A, 2009, p. 21-39.
43 Sul mistico cappuccino si rinvia a O. de Veghel, Benoit de Canfield (1562-1610). Sa vie, sa doctrine, son influence, Roma 1949. Per la « mistica riformata » si veda M. de Certeau, Crise sociale et réformisme spirituel au début du XVII siècle. Une «Novelle spiritualité» chez les Jésuites français, in Revue d'Ascétique et de mystique, 41, 1965, p. 339-386. Sul « modello renano-fiammingo », contrapposto a quello « aristotelico-tomista » e sulla sua ricezione in Francia ai tempi di François de Sales si veda M. Bergamo, L'anatomia dell’anima. Da François de Sales a Fénelon, Bologna, 1991, p. 52-141. Per i rapporti con la coeva spiritualità italiana, in particolare gesuitica e francescana, cfr. A. Malena, L’eresia dei perfetti. Inquisizione romana ed esperienze mistiche nel Seicento italiano, Roma, 2003, p. 227-237 e S. Stroppa, Riletture secentesche di Canfield e Gagliardi tra « Extase des Oeuvres » e mistica della volontà, introduzione a Pietro Battista da Perugia, Scala dell’anima per arrivare in breve alla contemplazione, perfezione et unione con Dio, in Archivio italiano per la storia della pietà, 9, 1996, p. 177-279.
44 Sull'introduzione della riforma carmelitana in Francia, Madame Acarie e il ruolo svolto da Duval cfr. Ch. Renoux, Madame Acarie « lit » Thérèse d’Avila au lendemain de l’Édit de Nantes, in B. Hours (dir.), Carmes et Carmélites en France du XVIIe siècle à nos jours. Actes du Colloque de Lyon (25-26 septembre 1997), Paris, 2001, p. 117-154; B.B. Diefendorf, Barbe Acarie and her Spiritual Daughters : Womens's Spiritual Authority in Seventeenth-Century France, in C. Van Wyhe (dir.), Female Monasticism in Early Modern Europe. An Interdisciplinary View, Hampshire-Burlington, 2008, p. 155-172 e S.-M. Morgain, Pierre de Bérulle et les Carmélites de France : la querelle du gouvernement, 1583-1629, Paris, 1995, p. 160-178.
45 Sui rapporti con Richelieu e sul « duvalisme » come « spirito del giusto mezzo » si rinvia a J. Calvet, Un confesseur de Saint Vincent de Paul. André Duval. Docteur de Sorbonne, in Petites Annales de Saint Vincent de Paul, 4, 1903, p. 135-146 e 166-176.
46 Si veda E. O’Neill-J.M. Domínguez, Diccionario Histórico de la Compañía de Jesús. Biográfico-Temático, IV, Roma-Madrid, 2001, p. 3603.
47 Lettre iustificative du pere François Solier respondant à un sien amy touchant la censure de quelques Sermons faits en Espagne à l’honneur du Bienheureux Pere Ignace de Loyola, fondateur de la Compagnie de Iesus, A Poictiers, par Antoine Mesnier imprimeur du Roy & de l’Université, 1611.
48 C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, VII, Bruxelles-Paris, 1896, col. 1357-1366: 1363-1364.
49 Cfr. La continuation du Mercure Francois, ou suite de l’Histoire de l’Auguste Regence de la Royne Marie de Medicis sous son fils le Tres-chrestien Roy de France et de Navarre Loys XIII, II (1610-1612), Paris, chez Estienne Richer au Palais, sur le Perron Royal, 1615, p. 144b-151b: 146b.
50 Lettre iustificative du pere François Solier… cit., p. 30.
51 Ivi, p. 30-31.
52 Ivi, p. 32 e 35.
53 BNF, fondo italiano ms. 1200, fol. 96v-96r da dove sono tratte anche le successive citazioni (Ubaldini a Borghese, Parigi 11 ottobre 1611).
54 Lettera citata da P. Blet, Jésuites et libertés gallicanes en 1611… cit., p. 166 nota 2.
55 Ivi, fol. 97r.
56 Ivi, fol. 97v (Ubaldini a Borghese, Parigi, 8 novembre 1611).
57 Ivi, fol. 98r.
58 Ivi, fol. 98v.
59 BA, mss 1215, fol. 304v-305r (lettera di Feliciani a Ubaldini, Roma 7 dicembre 1611).
60 BNF, fondo italiano ms. 1200, fol. 99v (Ubaldini a Borghese, Parigi 23 novembre 1611).
61 Ivi, fol. 100r da dove sono tratti anche i successivi rimandi (Ubaldini a Borghese, Parigi 23 novembre 1611).
62 Sulla questione del collegio di Clermont si veda P. Blet, Jésuites et libertés gallicanes en 1611… cit., p. 167-169.
63 BNF, fondo italiano ms. 1200, fol. 100v (Ubaldini a Borghese, Parigi 7 dicembre 1611).
64 Ian Petit, Sensure [sic!] de la sacree faculte de theologie de Paris, contre quatre propositions, tirees d’vn liure ainsi intitule. Trois tres-excellentes predications, prononcees au iour & feste de la beatification du glorieux patriarche, le bien heureux Ignace, fondateur de la compagnie de Iesus, Tertia editio, a Paris, 1612, conservato presso la Biblioteca comunale Planettiana di Jesi.
65 BNF, fondo italiano ms. 1200, fol. 100v, anche per le successive citazioni (Ubaldini a Borghese, Parigi 7 dicembre 1611).
66 I difficili rapporti tra i gesuiti e il Parlamento di Parigi sono analizzati da C. Sutto, Le Roi et le Parlement dans la pensée et l’action des Jésuites français (1590-1625) in A. Stegmann (dir.), Pouvoir et institutions en Europe au XVIe siècle, Paris, 1987, p. 263-274.
67 BNF, fondo italiano ms. 1200, fol. 103r-103v anche per gli ulteriori rinvii (Ubaldini a Borghese, Parigi 21 dicembre 1611).
68 Ivi, fol. 104r-104v (Ubaldini a Borghese, Parigi 3 gennaio 1612).
69 Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede, SO, Decreta 1612, fol. 16-17, seduta del 4 gennaio alla presenza dei cardinali Paolo Sfondrati, Lorenzo Bianchetti, Roberto Bellarmino, Ferdinando Taverna, François de la Rochefoucauld, Fabrizio Verallo, Agostino Galamini e Felice Centini.
70 Pierre Bayle, Dictionnaire historique et critique, II, Rotterdam, chez Michel Bohm, 1720, p. 1736-1747: 1744-1745, note X e Y.
71 [Étienne Pasquier], Le Catéchisme des Iesuites ou Examen de leur doctrine, A Villafranche, chez Guillaume Grenier 1602, p. 47a-52a e 88, 91a-100a, 315a.
72 Bayle, Dictionnaire historique et critique… cit., p. 1745, nota Y.
73 Una memoria anonima e senza titolo in francese che riporta la lettera di Luigi XIII a Gregorio XV, « fra tutti i principi cristiani, quella più calorosa » è in BNS, mss 9716, fol. 371r-375r : fol. 372r-373r.
Auteur
Università degli Studi di Torino - gotor.miguel@gmail.com
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Rome et la Révolution française
La théologie politique et la politique du Saint-Siège devant la Révolution française (1789-1799)
Gérard Pelletier
2004
Sainte-Marie-Majeure
Une basilique de Rome dans l’histoire de la ville et de son église (Ve-XIIIe siècle)
Victor Saxer
2001
Offices et papauté (XIVe-XVIIe siècle)
Charges, hommes, destins
Armand Jamme et Olivier Poncet (dir.)
2005
La politique au naturel
Comportement des hommes politiques et représentations publiques en France et en Italie du XIXe au XXIe siècle
Fabrice D’Almeida
2007
La Réforme en France et en Italie
Contacts, comparaisons et contrastes
Philip Benedict, Silvana Seidel Menchi et Alain Tallon (dir.)
2007
Pratiques sociales et politiques judiciaires dans les villes de l’Occident à la fin du Moyen Âge
Jacques Chiffoleau, Claude Gauvard et Andrea Zorzi (dir.)
2007
Souverain et pontife
Recherches prosopographiques sur la Curie Romaine à l’âge de la Restauration (1814-1846)
Philippe Bountry
2002