La censura ecclesiastica nell’Italia della Controriforma : organismi centrali e periferici di controllo1
Texte intégral
1L’apertura dell’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede nel 1998 ha segnato, è noto, una profonda svolta negli studi sulla censura ecclesiastica in Italia2. L’accesso a una ricchissima e inesplorata documentazione ha permesso di illuminare o di approfondire aspetti della politica della Chiesa nei confronti della produzione editoriale e della sua circolazione fino ad allora poco indagati. Uno dei settori in cui le indagini si sono rivelate più proficue è quello relativo al funzionamento della macchina censoria. Grazie all’abbondanza delle fonti è stato possibile delineare le varie fasi dell’organizzazione centrale e periferica del controllo librario e illustrare le ricadute che la complessa costruzione di apparati repressivi ebbe sull’applicazione delle norme censorie. Prima di quella data, infatti, diversamente dall’assetto e dall’attività dell’Inquisizione che potevano essere tracciati nelle loro linee essenziali attraverso la documentazione conservata negli archivi periferici italiani3, la possibilità di ricostruire gli apparati censori e il loro funzionamento era preclusa ai ricercatori che dagli archivi locali o esteri potevano ricavare solo notizie frammentarie, inadeguate a fornire, al di là di importanti dati su opere e autori proibiti, un quadro complessivo del sistema di controllo della stampa e della sua circolazione messo in atto da Roma all’indomani della frattura confessionale4. Inoltre, diversamente dall’archivio del Sant’Ufficio, le perdite subite da quello dell’Indice sembrano assai più limitate5. Queste due circostanze hanno indubbiamente contribuito alla ripresa di studi che dopo i lavori pionieristici degli anni Settanta di Antonio Rotondò, John Tedeschi, Pasquale Lopez, Paul Grendler, Carlo de Frede6, avevano attraversato una lunga fase di stallo. Non sono certo mancati importanti e puntuali contributi nell’ultimo trentennio del Novecento, ma essi hanno privilegiato lo studio della diffusione e della soppressione delle opere che veicolavano dottrine teologiche reputate ereticali, lasciando nell’ombra sia altri ambiti della cultura sui quali si abbatté la censura, sia i modi e i tempi di predisposizione di apparati centrali e periferici finalizzati alla vigilanza sulla stampa.
2Ed è su quest’ultimo aspetto che intendo soffermarmi, premettendo che descrivere gli apparati centrali e periferici deputati alla censura ecclesiastica non è, sul piano espositivo, impresa facile7. Infatti, le origini e l’evoluzione del sistema centrale e periferico di controllo della circolazione libraria, messo in piedi dalla Chiesa per fare fronte alla penetrazione delle dottrine riformate in Italia, sono intimamente intrecciate con due problemi, pur non identificandosi necessariamente con essi. Il primo, che si colloca a livello centrale, è quello della redazione degli indici universali dei libri proibiti. Il secondo, che tocca il livello locale, è quello della ripartizione delle competenze in materia di controllo librario tra ordinari diocesani e inquisitori. Questi due problemi, strettamente legati alla rivendicazione da parte del Sant’Ufficio dell’esercizio di un ruolo egemone in materia di censura, condizioneranno in maniera determinante la nascita, la crescita e il funzionamento del sistema censorio.
3Alla vigilia della diffusione delle dottrine protestanti la Chiesa di Roma disponeva soltanto di un sistema di controllo decentralizzato. La bolla di Leone X Inter sollicitudines del 1515 affidava la censura preventiva – ossia il rilascio dell’imprimatur – congiuntamente ai vescovi e agli inquisitori in tutte le diocesi, con l’eccezione di Roma e del suo distretto, che ricadevano sotto la giurisdizione del Maestro del Sacro Palazzo8. In assenza di organi censori centrali, fino alla creazione della Congregazione del Sant’Ufficio del 1542 i Maestri, in quanto teologi pontifici, svolsero una funzione rilevante nell’esame e nella condanna di opere reputate eretiche9.
4Sebbene la bolla istitutiva – la Licet ab initio – non avesse attribuito all’Inquisizione competenze in materia censoria, fin dal 1543 essa aveva incluso nel suo raggio di azione la vigilanza sulla circolazione libraria – strumento, d’altro canto, indispensabile all’estirpazione dell’eresia – e aveva emanato un editto (la cui rilevanza è testimoniata dalla presenza di una sua copia in apertura degli Acta et Decreta della Congregazione dell’Indice) che incaricava propri delegati di ispezionare biblioteche pubbliche e private, botteghe di tipografi e librai, case private, chiese e monasteri e di sequestrare e bruciare i libri proibiti rinvenuti10. Estromettendo i vescovi dal controllo sulla stampa, in violazione delle norme contenute nella bolla del 1515, il Sant’Ufficio aveva, quindi, fin dai suoi esordi, manifestato la volontà di sostituirsi ad essi, aprendo un contenzioso che avrebbe segnato a lungo i rapporti tra ordinari diocesani e inquisitori11. Inoltre, a riprova della sua volontà di annettersi la giurisdizione sulla materia libraria, nel 1549 aveva affidato al Maestro del Sacro Palazzo la redazione di un indice dei libri proibiti. Fallito questo primo tentativo, fu la stessa Congregazione – con il forte appoggio dell’allora regnante Paolo IV Carafa – ad assumersi il compito di redigere il primo indice universale dei libri proibiti, che verrà promulgato il 30 dicembre del 1558 con un proprio decreto12.
5La nota severità delle proibizioni, la totale estromissione degli ordinari diocesani dall’esecuzione dell’indice, la gravità delle pene comminate ai rei, che agì da forte deterrente alla consegna dei libri, l’opposizione delle autorità civili costituirono un ostacolo pressoché insormontabile all’applicazione del primo catalogo. Inoltre, la morte di Paolo IV nell’agosto del 1559 e l’ascesa al papato di Pio IV contribuirono al suo affossamento.
6Determinato a contrastare la posizione di preminenza del cardinale Michele Ghislieri che del primo indice era stato l’artefice, Pio IV sfruttò abilmente le durissime resistenze contro il catalogo per colpire l’esorbitante potere del cardinale. Non contento di averlo costretto a pubblicare nel 1561 la Moderatio indicis, che reintegrava i vescovi nelle loro competenze, il papa si rivolse al Concilio, allora riunito a Trento, inizialmente perché rivedesse l’indice del 1558, successivamente perché ne redigesse uno nuovo. Questa decisione, foriera di gravi conflitti ai vertici stessi della Chiesa, avrebbe privato l’Inquisizione fino al 1917 della facoltà di redigere indici.
7Il catalogo tridentino, promulgato nel 1564 da Pio IV con la bolla Dominici gregis, presentava rispetto al precedente sia forti elementi di moderazione relativi alle condanne, sia profonde modifiche relative alle modalità di applicazione e introduceva dieci regole generali che disciplinavano la circolazione di alcune categorie di libri. I vescovi, che lo avevano redatto, si attribuirono funzioni rilevanti nell’esecuzione dell’indice e, in generale, nella gestione del controllo sulla stampa, riservandosi la vigilanza su due importanti settori della produzione editoriale – i libri lascivi e osceni (regola VII) e quelli di astrologia giudiziaria, magia e divinazione (regola IX) – e condividendo con gli inquisitori la competenza su alcune delle altre categorie di opere comprese nelle regole generali, tra le quali le traduzioni della Sacra Scrittura e i libri di controversia religiosa nelle lingue vernacolari. Inoltre, rispetto all’indice inquisitoriale, le pene comminate ai trasgressori erano fortemente attenuate. Infatti il decreto anteposto al primo indice estendeva ai detentori di qualsiasi libro proibito le sanzioni della bolla In coena Domini contro chi avesse letto o tenuto scienter libri di eretici ed eresiarchi e stabiliva che i rei potessero essere assolti solo dal pontefice o dai suoi delegati, vale a dire dagli inquisitori. Pio IV, di fronte alle generali proteste, aveva ripristinato lo ius commune, formulando un fondamentale distinguo tra opere di autori eretici o sospetti di eresia e opere proibite, ma non ereticali, e stabilendo una gerarchia della gravità dei reati non prevista nell’indice del 1558. Mentre lettori e detentori delle opere appartenenti alla prima categoria incorrevano ipso iure nella scomunica e contro di loro sarebbe stato lecito procedere giudizialmente per sospetto di eresia e comminare le pene super hoc ab Apostolica Sede, sacrisque Canonibus constitutas ; lettori e detentori delle opere afferenti alla seconda si sarebbero macchiati di reato-peccato mortale e sarebbero stati severamente puniti Episcoporum arbitrio. La discriminazione tra libro eretico e libro proibito non eretico, oltre a costituire un forte segnale di moderazione, sottometteva alla giurisdizione vescovile ed esclusivamente ad essa la maggior parte dei rei13. È indubbio che fu anche questo dispositivo, che gli sottraeva il controllo su gran parte dei reati connessi alla lettura, a indurre il Sant’Ufficio a imboccare la via della progressiva annessione di materie di competenza della giurisdizione ordinaria o condivise con essa : dai libri di astrologia, alle traduzioni della Sacra Scrittura, ai libri di controversia religiosa nelle lingue vernacolari14.
8Con l’elezione di Michele Ghislieri, nel 1566, tornò sulla cattedra di Pietro l’intransigenza di Paolo IV, dal quale era stato creato cardinale e nominato summus inquisitor15. Proveniente dall’apparato inquisitoriale, Pio V non tardò a sottoporre a radicale revisione l’operato dei vescovi e a riaffermare la preminenza dell’Inquisizione sul Concilio in materia di definizione dell’ortodossia e della moralità e non esitò a procedere in maniera alquanto surrettizia al ripristino dei divieti del 1558. Solo nel 1571, sul volgere del pontificato, accantonati gli scrupoli nei confronti dello smantellamento della legislazione conciliare16, affidò la revisione del catalogo in vigore a una commissione cardinalizia, che l’anno dopo Gregorio XIII trasformò con la bolla Ut pestiferarum opinionum (13 settembre 1572) in Congregazione dell’Indice.
9Nasceva un nuovo organo con il compito di rivedere (di fatto inasprire) e aggiornare l’indice tridentino e di correggere le opere sospese donec corrigantur. Sarebbe, però, incauto ritenere che, a seguito della creazione di questo dicastero, tutte le questioni inerenti la censura venissero trattate e decise al suo interno e che i suoi decreti avessero validità giuridica all’esterno. E altrettanto incauto ritenere che la sua istituzione modificasse ipso facto l’organizzazione centrale del sistema di controllo.
10Composta da un numero variabile di cardinali, affiancati dal Maestro del Sacro Palazzo, da un segretario e dai procuratori degli ordini mendicanti che ne erano tutti membri ex officio, nonché da un numero variabile di consultori, la Congregazione doveva predisporre gli indici dei libri proibiti, stabilendo quali opere o categorie di opere dovessero essere tassativamente vietate e quali sospese in attesa di correzione, nonché procedere all’emendazione dei libri sospesi e alla redazione di un indice espurgatorio. Non diversamente dal Sant’Ufficio, essa cercò nel corso degli anni di ampliare il proprio raggio d’azione, incontrando, però, sempre le resistenze dei cardinali inquisitori. Basti ricordare il fallimento dei tentativi tesi a estendere la propria giurisdizione su autori viventi di cui aveva condannato gli scritti, convocandoli dinanzi a sé e addirittura facendoli ritrattare. Allarmato da iniziative che, se perpetuate, potevano trasformare la Congregazione dell’Indice in un tribunale e farne in pratica un organo concorrenziale, il Sant’Ufficio rivendicò il diritto «de personis cognoscere» e ottenne nel 1599 un vivae vocis oracolo papale che gli riconosceva la giurisdizione sugli autori sospetti o incriminati17.
11È probabile che proprio per evitare questo tipo di sovrapposizioni con l’Inquisizione, la Congregazione dell’Indice non fosse stata autorizzata a dare « pubblicità » ai propri decreti. Questi, infatti, venivano comunicati dal Maestro del Sacro Palazzo, che agiva tanquam commissarius et executor Congregationis, in pratica come una sorta di « braccio » dell’Indice18, ed era nel contempo membro ex officio della Congregazione dell’Inquisizione. Infatti, a partire dal 1573, nel suo ufficio cominciarono a essere redatti elenchi di libri proibiti sempre più consistenti, la cui distribuzione venne estesa al di fuori della sua giurisdizione. Intenta per venticinque anni alla laboriosa preparazione del terzo indice universale che verrà promulgato, tra contrasti e conflitti, solo nel 1596, la Congregazione dell’Indice in più occasioni si era vista costretta a intervenire per contenere i crescenti poteri che i Maestri si erano arrogati e controllarne le arbitrarie iniziative. Nel 1583, a seguito delle proteste di un suo membro, il cardinale Gabriele Paleotti, essa riuscì a bloccare la disinvolta redazione e distribuzione fuori Roma di liste di proibizioni non munite della propria preventiva approvazione, e venti anni dopo contestò la validità e l’efficacia degli editti del Maestro fuori dell’Urbe e fuori d’Italia19.
12Non era, però, solo con l’attivismo del Maestro del Sacro Palazzo che doveva fare i conti la nuova Congregazione, ultima arrivata nel campo della censura. Di analoghi interventi era protagonista anche la Congregazione del Sant’Ufficio, le cui competenze in materia di censura non erano state ridefinite dopo l’istituzione del nuovo dicastero. Solo nel 1613, dopo protratte discussioni sulla necessità di razionalizzare un sistema farraginoso di comunicazione delle proibizioni, la Congregazione dell’Indice venne autorizzata da Paolo V a pubblicare e sottoscrivere editti che avrebbero riunito le proprie condanne e quelle pronunciate dall’Inquisizione e dal Maestro del Sacro Palazzo. Nonostante il perdurare di tensioni tra organi centrali, di cui nei primi decenni del Seicento furono protagonisti soprattutto il segretario della Congregazione dell’Indice e il Maestro del Sacro Palazzo20, in linea di massima questa nuova sistemazione era destinata a durare fino alla metà del Settecento. Il che non vuole dire che in questo lungo arco di tempo il Sant’Ufficio si sia astenuto dall’emanare decreti di condanna. Anzi, proprio per ovviare alla confusione di proibizioni della medesima opera rese note in tempi diversi dalle due Congregazioni, Benedetto XIV con la costituzione Sollicita ac provida (9 luglio 1753) limitò l’intervento del Sant’Ufficio alle sole materie gravioris momenti. Con questo provvedimento egli intese – come scrisse al cardinale Angelo Maria Querini nel dicembre del 1740 – « rimettere la riputazione di quella poco accreditata Congregazione dell’Indice »21. Una « riputazione » di cui, peraltro, essa aveva goduto solo negli anni di applicazione del catalogo clementino, ma che si era presto esaurita se già nell’aprile del 1615 il cardinale Paolo Camillo Sfondrati, allora Prefetto, scriveva al Bellarmino di preferire di occuparsi della sua diocesi di Albano, avendogli:
la esperienza […] mostrato che si fa tanto poco in questa Congregatione dell’Indice per varii rispetti che Vostra Signoria Illustrissima colla molta prudenza sua haverà considerato, che mi pare al fine che né questa né altra Congregatione mi habbia da levare, per quanto si può, dalla residenza22.
13Il declino dell’istituzione era solo in parte il risultato della politica espansionistica dell’Inquisizione sia al centro che in periferia23. Il suo prestigio si era appannato anche in conseguenza del fallimento dell’attività espurgatoria che può essere emblematicamente riassunto nel ritiro del primo e unico tomo dell’index expurgatorius apparso nel 1607 ad opera di Giovanni Maria Guanzelli, detto Brisighella dal luogo di nascita24.
14La riforma di papa Lambertini, di cui di recente è stata messa in discussione la moderazione25, giungeva, comunque, troppo tardi. Di fronte all’aggressiva campagna degli Stati regionali della penisola tesa a sottoporre al controllo delle autorità civili la produzione editoriale e ad affidare ai vescovi la vigilanza esclusivamente sui libri religiosi e al conseguente indebolimento o alla soppressione – fuori dello Stato pontificio – dei tribunali inquisitoriali, i provvedimenti di Benedetto XIV si rivelarono del tutto inadeguati ad arrestare il flusso di scritti dei philosophes e a perpetuare la presa della Chiesa su menti e coscienze sempre più lambite dalla secolarizzazione. Le condanne, chiunque le pronunciasse, non trovavano più « bracci secolari » disponibili a eseguirle e il papato dovette sempre più fare ricorso a brevi ed encicliche per mobilitare i vescovi contro la cultura dei Lumi e la politica giurisdizionalista degli Stati26.
15Prima di passare a esaminare le strutture censorie periferiche, vorrei riepilogare l’articolazione del sistema censorio romano, che si è venuto faticosamente costruendo nell’arco di circa ottant’anni e che nel secondo decennio del Seicento può dirsi in qualche modo assestato, pur se tensioni e conflitti di competenza continueranno a manifestarsi anche in futuro27. Gli organi censori stabili sono tre : la Congregazione dell’Inquisizione che continua a svolgere un ruolo rilevante nella condanna dei libri (anche se rimangono da individuare i criteri in base ai quali un’opera veniva assegnata all’esame dell’Inquisizione piuttosto che a quello dell’Indice e viceversa), che rilascia permessi di lettura, che controlla l’applicazione dei divieti sul territorio attraverso la sua rete di tribunali ; la Congregazione dell’Indice che, dopo un breve periodo in cui ha cercato di sostituirsi alla Congregazione « rivale » nel coordinamento dell’esecuzione dell’indice in periferia, è costretta a rientrare nei ranghi e a occuparsi esclusivamente di aggiornamento degli indici, di stesura di nuovi indici, di espurgazione di testi sospesi, e di esame di opere che le vengono segnalate o sottoposte in quanto sospette ; infine, il Maestro del Sacro Palazzo che, dopo aver esercitato con un certo arbitrio la funzione di commissario ed esecutore della Congregazione dell’Indice e avere ampiamente travalicato i confini della propria giurisdizione, viene richiamato nel 1613 al loro rispetto, salvo ottenere nel 1620 per delega della Congregazione dell’Inquisizione l’estensione delle proprie competenze in materia libraria alle diocesi della Provincia romana, competenze da esercitare insieme con i vescovi28.
16Appare superfluo osservare che l’esistenza di questa pluralità di organi curiali, dalle sfere d’intervento poco definite, era fonte di permanenti tensioni e di frequenti veri e propri scontri. Questa conflittualità al centro aveva inevitabili ripercussioni sull’organizzazione periferica della censura, oltre a tradursi sul piano della prassi in direttive contraddittorie e confuse che, se talvolta potevano offrire scappatoie ai detentori di libri proibiti, più spesso provocavano danni irrimediabili29. Ed è al territorio che occorre ora volgere l’attenzione per cogliere attraverso i problemi sollevati dall’esecuzione dei primi tre indici romani (1558, 1564, 1596) i riflessi dei mutamenti delle strategie e degli equilibri di potere in seno agli uffici centrali.
17Fu in effetti soprattutto al momento dell’esecuzione degli indici che emerse in tutta la sua concretezza la questione se la gestione della censura sul territorio dovesse essere condivisa da vescovi e inquisitori o di competenza della sola Inquisizione. Vivacemente quanto a lungo astrattamente dibattuta negli uffici romani, essa dovette infatti fare i conti con l’effettiva disponibilità di strutture, di uomini, di mezzi economici. Ciò fu chiaro fin dall’esecuzione del primo indice del 1558. In quell’occasione la debolezza della rete dei tribunali della fede – che si consoliderà solo nel corso degli anni Ottanta del Cinquecento e solo nell’Italia centro-settentrionale – e la carenza e inadeguatezza di giudici ecclesiastici addestrati alla vigilanza sulla circolazione libraria, rese l’emarginazione degli ordinari diocesani del tutto velleitaria, se già nel febbraio del 1559 il Sant’Ufficio si vide costretto, con la Instructio circa Indicem, a coinvolgerli, quantomeno nelle zone dove non vi erano inquisitori delegati o commissari in missione, e se Paolo IV dovette concedere ampi privilegi ai gesuiti perché collaborassero alla confisca dei libri30. Nonostante questi cedimenti, l’esecuzione dell’indice paolino sembra essere stata tutt’altro che capillare e uniforme. D’altro canto, se si considera che ci vollero all’incirca otto anni perché l’opera di sequestro e distruzione dei libri proibiti seguita alla promulgazione dell’indice del 1596 potesse dirsi compiuta, è facile desumere che i nove mesi che intercorsero tra la promulgazione dell’indice (dicembre 1558) e la morte di Paolo IV (agosto 1559) fossero un lasso di tempo troppo breve perché potesse essere portata a termine in maniera estensiva l’opera di rastrellamento degli scritti vietati. L’assenza di precedenti che potessero orientare l’azione degli esecutori, la fragilità dell’assetto inquisitoriale, l’opposizione o al più la scarsa collaborazione delle autorità civili, e soprattutto la severità delle pene previste per i trasgressori costituirono, come accennato, un grave ostacolo. Infatti, pur di consolidare e ampliare il controllo sulle coscienze e sulle menti dei credenti e sottrarlo agli ordinari diocesani, la Congregazione dell’Inquisizione aveva esteso la propria giurisdizione sui lettori di qualsiasi libro proibito – e non solo dei libri eretici – comminando la scomunica della bolla In coena Domini anche a chi avesse letto, per fare alcuni esempi, il Morgante del Pulci, i Capricci del bottaio del Gelli, il Decameron di Boccaccio, il Nuovo Testamento in volgare, o una qualsiasi opera di Erasmo.
18Fu questa estensione della scomunica a lettori di qualsiasi libro vietato a suscitare, all’indomani della morte del Carafa, forti proteste e a spingere il generale dei gesuiti Diego Laínez e i Legati al Concilio di Trento a chiedere un intervento del nuovo papa, Pio IV31. Onde piegare la riluttanza dei trasgressori a presentarsi al cospetto dei giudici per la consegna dei libri e ovviare alla difficoltà di reperire questi ultimi, il pontefice impose al Ghislieri di preparare una Moderatio indicis, che venne pubblicata il 14 giugno 1561. Il documento interveniva sulla scottante questione dell’assoluzione dalla scomunica : agli inquisitori, soli autorizzati ad assolvere nel foro esterno, Pio IV affiancò gli ordinari diocesani con facoltà di delega dei loro poteri e autorizzò gli uni e gli altri ad assolvere in utroque foro coloro che avessero letto o tenuto libri che in forza della Moderatio potevano essere tollerati, purché si dichiarassero disposti a ubbidire in futuro.
19Attenendosi a questi primi orientamenti Pio IV nella bolla di promulgazione dell’indice tridentino, ripristinando lo ius commune, come si è detto, sottometteva alla giurisdizione ordinaria ed esclusivamente a essa la maggior parte dei rei. Se questa normativa, che si prefiggeva di bloccare il tentativo del Sant’Ufficio di sostituirsi completamente all’episcopato nella gestione della censura libraria, abbia trovato concreta attuazione è difficile dire dal momento che anche dell’applicazione dell’indice tridentino si hanno scarsissime notizie e che è difficile verificare l’efficacia dei richiami degli ordinari all’osservanza dei divieti nei decreti sinodali (diocesani e provinciali) o durante le visite pastorali. È, però, ipotizzabile che l’applicazione sia stata tutt’altro che uniforme, considerando quella che appare una totale assenza di coordinamento centrale.
20Né sembrano esservi stati nei trentadue anni che separano la promulgazione del secondo indice da quella del terzo (1596) interventi coerenti del centro per dare alla macchina censoria locale un andamento regolare e uniforme. Di fatto affidato allo zelo o all’arbitrio dei singoli inquisitori, il controllo sulla stampa in quel periodo appare episodico, anche se tutt’altro che blando, come testimoniano, tra l’altro, gli stessi inquisitori nel rievocare, al momento dell’esecuzione dell’indice clementino, i precedenti roghi32. È, quindi, lecito chiedersi se questi interventi conseguissero risultati estensivi e omogenei e se le condanne di opere pronunciate dopo il 1573, cui si è accennato, spesso formulate con poca chiarezza e in aperto contrasto con l’indice tridentino in vigore33, abbiano trovato rigorosa applicazione. La densa presenza tra i libri sequestrati a fine Cinquecento di opere da tempo proibite induce a ipotizzare che in quel periodo le direttive romane abbiano influito in maniera tutt’altro che uniforme sulla prassi censoria quotidiana34.
21Fu, del resto, la palese inadeguatezza del sistema di controllo vigente a spingere la Congregazione dell’Indice a fine secolo a proporne una riorganizzazione e una razionalizzazione. Una proposta che, ove accolta, le avrebbe consentito di uscire dalla posizione sostanzialmente defilata fino ad allora occupata e di sostituirsi al Sant’Ufficio nella direzione dell’esecuzione del primo indice di cui era responsabile. Guidata nell’ultima fase dei travagliatissimi lavori preparatori dell’indice clementino da grandi porporati, pastori di importanti diocesi italiane, che avevano sostituito la prima generazione di « censori » appartenenti prevalentemente agli ordini regolari e orientati sulle posizioni del Sant’Ufficio, la Congregazione dell’Indice intese chiaramente riequilibrare a favore dell’episcopato l’invadente potere dell’Inquisizione. Lo fece anzitutto ripristinando nella sua integrità l’indice tridentino, cui in appendice vennero aggiunte le nuove condanne, e riproponendo la linea di rivalutazione dei poteri e delle prerogative episcopali già perseguita a Trento – in particolare dalla commissione che aveva preparato l’indice –, ma vanificata nel corso degli anni dai papi-inquisitori inclini a trasferire ai giudici della fede e agli ordini regolari settori importanti della pastorale35.
22Nel 1592 i cardinali avevano, inoltre, ottenuto da Clemente VIII, sul modello della Congregazione del Concilio, la facoltà di dirimere le controversie e di sciogliere i dubbi che fossero sorti durante l’applicazione dell’indice. Questa facoltà, che conferiva loro nuovi margini di intervento sul territorio36, non fu, peraltro, l’unico strumento che avrebbe permesso loro di pilotare e di coordinare l’attività censoria. Sostenuti da Clemente VIII Aldobrandini, pontefice che non proveniva dalle file della Congregazione del Sant’Ufficio e che era altrettanto desideroso di contenerne l’egemonia, essi cercarono con lucida determinazione di cogliere quell’occasione unica per insediarsi stabilmente nel territorio mediante l’istituzione nelle diocesi di congregazioni dell’indice « locali ». Presiedute dagli ordinari, queste diramazioni del dicastero centrale avrebbero dovuto riunirsi con regolarità nel palazzo vescovile per attendere con l’aiuto di consultori laici ed ecclesiastici dalle varie competenze disciplinari all’esecuzione dell’indice : vale a dire, nell’immediato, vagliare le liste dei libri o i libri consegnati, distinguendo tra quelli vietati e quelli sospesi in attesa di espurgazione ; mandare al rogo i primi e provvedere, in un secondo tempo, alla correzione dei secondi ; incaricarsi della censura preventiva e della vigilanza sulla penetrazione nei territori sotto la loro giurisdizione di opere sospette o vietate. Nelle aree dove erano presenti tribunali della fede questi nuovi organismi dovevano essere per composizione e per finalità da essi distinti e autonomi e l’inquisitore ne avrebbe fatto parte, ma in una posizione di subordinazione all’ordinario37.
23Alla base di questo progettato riassetto, che faceva perno sugli ordinari, non vi era, tuttavia, solo una strategia di ridimensionamento del Sant’Ufficio : a suggerirlo vi erano anche ragioni pratiche. I cardinali dell’Indice le esposero a Clemente VIII agli inizi del 1597 in un’interessante documento che elencava le motivazioni a sostegno dell’attribuzione ai vescovi di un ruolo preminente in materia di censura38. Al di là del richiamo al Concilio di Trento e al fatto che aveva affidato « Episcopis praesertim munus executionis Indicis » – un richiamo che accompagnerà tutte le fasi di esecuzione del terzo indice universale –, le loro considerazioni si fondavano su presupposti di carattere sia pastorale che pratico. I cardinali ritenevano che ai vescovi competesse il controllo sulla stampa. Ai loro occhi era il vescovo a conoscere optime quae suo gregi sunt necessaria et oportuna ed era quindi dinanzi a lui e presso la sua curia, piuttosto che presso l’inquisitore, che le congregazioni locali dovevano essere convocate, mantenendo anche fuori Roma la distinzione esistente a livello centrale tra Congregazione dell’Indice e Congregazione dell’Inquisizione. Inoltre, i cardinali sottolineavano che gli ordinari erano graves, maturi et eruditi e osservavano con concreto realismo che erano meno soggetti a trasferimenti e più fittamente presenti sul territorio degli inquisitori, i quali rari sunt et longe lateque in diversis Urbibus et dioecesibus suam exercent delegationem apostolicam. A differenza degli inquisitori – osservavano i cardinali – i vescovi disponevano di strutture amministrative adeguate (curiam et ministros et officinas)39. Di conseguenza i libri sequestrati non dovevano essere trasferiti dalle singole diocesi al tribunale dell’inquisizione, la cui giurisdizione spesso si estendeva su dodici e più diocesi, né dovevano essere mandati al rogo nel chiostro o sul sagrato della chiesa del convento che ospitava l’inquisitore, ma pubblicamente e alla presenza di un notaio davanti alla cattedrale. Anche i libri espurgabili non dovevano essere depositati presso gli inquisitori, bensì presso il vescovo in luogo sicuro.
24Al di là dei toni sottilmente polemici nei confronti degli inquisitori, i cardinali toccavano il vero nocciolo della questione : sarebbe stato possibile nell’Italia di fine Cinquecento applicare la normativa censoria in maniera sistematica e rigorosa appoggiandosi unicamente alle strutture inquisitoriali ? In altri termini : in che misura le pretese del Sant’Ufficio di monopolizzare la censura rischiavano di pregiudicare un più efficace controllo sulla circolazione del libro ?
25Dall’esame dell’articolazione territoriale dei tribunali risulta che la diagnosi dei cardinali rifletteva una oggettiva realtà : a fine secolo l’Inquisizione romana era tutt’altro che uniformemente presente in Italia. Assente dalla Sicilia e dalla Sardegna, sotto la giurisdizione dell’Inquisizione spagnola40, nel Regno era presente solo a Napoli con un commissario41. Anche nell’area centro-settentrionale la rete dei suoi insediamenti era lungi dall’essere capillare, sebbene negli anni Ottanta si fosse consolidata. I 41 tribunali operanti negli anni di applicazione dell’indice clementino non coprivano uniformemente l’intero territorio42. Più fitti nelle zone subalpine dove, per preservare la penisola dalla produzione editoriale d’oltralpe, era stata eretta una barriera che andava dal Piemonte al Friuli, si diradavano al centro fino a ridursi a cinque nello Stato pontificio43. Questa dislocazione rispecchiava, però, una strategia relativamente chiara. I tribunali, infatti, erano stati insediati sia in zone dove i rischi di infiltrazioni eterodosse erano più alti, come l’arco alpino, sia in città dove la presenza di università, accademie, tipografie, botteghe di librai, rendeva più vivace l’attività intellettuale e maggiori i pericoli di fermenti culturalmente e religiosamente sospetti. Le aree « scoperte » coincidevano perlopiù con zone culturalmente depresse, dove la maggior minaccia all’ortodossia veniva dalle « superstizioni », verso le quali la Chiesa condusse una tiepida battaglia. Questa situazione comportava che, mentre in alcune zone la giurisdizione inquisitoriale coincideva con quella ordinaria, in altre abbracciava aree vastissime, come del resto rilevavano i cardinali. Per fare solo qualche esempio: Perugia controllava 11 diocesi, Faenza 8, Siena 744.
26Di fronte a questo assetto inquisitoriale a maglie larghe la scelta di privilegiare le istituzioni diocesane (che nella sola Italia continentale si aggiravano intorno a trecento)45, sulla quale insistevano i cardinali, era una scelta quasi obbligata se si volevano garantire un’applicazione uniforme dell’indice, un più capillare controllo della circolazione libraria dopo la sua esecuzione e l’espurgazione delle opere sospese. Fu questa in effetti la strada imboccata dopo la promulgazione del terzo indice romano. Ma fu una strada irta di ostacoli.
27Fin dalla prima fase relativa al sequestro dei libri proibiti e sospesi emerse nitidamente l’opposizione dell’Inquisizione a quello che si configurava come un tentativo di esautorazione dei suoi ministri. A questi giunsero immediate istruzioni di farsi consegnare dai vescovi i libri sequestrati, di procedere all’incenerimento di quelli proibiti dinanzi ai loro conventi e di conservare nei loro depositi quelli bisognosi di emendazione46. Non solo : veniva vietato ai vescovi di trattenere presso di sé e di leggere libri proibiti, che dovevano consegnare prontamente all’inquisitore, così come era loro vietato di conservare gli originali manoscritti delle opere cui avevano concesso insieme con l’inquisitore l’imprimatur. Col tempo gli inquisitori si arrogarono anche il diritto di pubblicare confusi aggiornamenti dell’indice clementino non soltanto senza la partecipazione dei vescovi, ma anche senza l’approvazione della Congregazione dell’Indice, che nel 1621 fu costretta a vietare tali autonome iniziative47. L’esecuzione dell’indice del 1596 fu, quindi, all’origine di un’intensa produzione normativa tesa a ribadire e accentuare la subordinazione dell’episcopato all’Inquisizione e a vanificare il progetto dei cardinali dell’Indice di ridimensionare la funzione di quest’ultima nell’ambito della censura48.
28Se nella prima fase la controffensiva degli inquisitori nell’Italia centro-settentrionale fu in grado di tarpare le ali ai vescovi, nella seconda fase altri fattori contribuirono al difficile decollo e al rapido declino di un sistema di controllo imperniato su di loro. Dimostratisi già nella prima fase assai meno incisivi lì dove erano responsabili della tutela della fede, come in gran parte dello Stato pontificio e nel Regno di Napoli ; nella seconda fase, in cui la censura espurgatoria divenne preponderante, i vescovi palesarono la loro inadeguatezza a coordinare la complessa operazione di recupero di un numero incalcolabile di testi sospesi49. Fu, infatti, proprio in funzione del decentramento dell’attività espurgatoria che era stato concepito il disegno di creare uffici periferici, destinati a sopravvivere all’esecuzione del terzo indice. Ma intorno alla loro istituzione nacquero problemi non previsti, né forse prevedibili. Tra i maggiori : la carenza – specialmente nei piccoli centri – di persone capaci di correggere opere di varie discipline ; la frequente assenza dei vescovi dalla diocesi e l’insufficiente autorevolezza dei vicari che li sostituivano ; la mancata comprensione delle confuse direttive romane ; la dichiarata superfluità di tali organi in luoghi « di gente idiote et rozze »50 o dove c’erano « pochi libri de vecchi et manco comodità d’haverne de nuovi »51 ; la diffusa convinzione che l’uniformità delle correzioni potesse essere garantita solo dagli uffici centrali. Rari, quindi, gli ordinari che, ubbidendo alle reiterate istruzioni romane52, attivarono le congregazioni e queste, comunque, funzionarono pressoché ovunque stentatamente. Spesso sospese per gli allontanamenti temporanei o prolungati degli ordinari al servizio della Santa Sede, per le inadempienze di revisori poco solerti perché non remunerati, per l’ostruzionismo degli inquisitori53, le riunioni assunsero andamento irregolare e presto non vennero più convocate.
29L’idea di decentrare l’attività espurgatoria e di puntare sull’impegno dei vescovi si rivelò presto fallimentare. L’edificio che i cardinali dell’Indice avevano costruito per affrancare la censura dal Sant’Ufficio e affiancarsi sul territorio ai tribunali inquisitoriali con proprie, autonome strutture deputate al controllo della stampa si andò lentamente sgretolando. L’attività espurgatoria venne ricondotta negli uffici romani e affidata al Maestro del Sacro Palazzo, il quale – come si è detto – nel 1607 produsse le correzioni di cinquantacinque opere pubblicate da cinquanta autori54. Lo scarso rigore con cui venne redatto il primo tomo dell’index expurgatorius non soltanto fu causa del suo ritiro, ma anche della mancata prosecuzione dell’opera. Nonostante il progetto di pubblicazione di indici espurgatori, annunciato già nell’indice tridentino, non fosse stato mai ufficialmente abbandonato55, esso si arenò tra la sostanziale diffidenza dei cardinali a fornire uno strumento che avrebbe potuto orientare l’attenzione dei lettori su brani ‘perniciosi’ e le profonde divergenze e rivalità che opposero consultori e revisori nella loro grande maggioranza appartenenti agli ordini regolari e spesso di diversa formazione teologica56.
30Esaurita l’azione di coordinamento del sequestro e della distruzione dei libri proibiti – che condusse con esiti di rara efficacia – la Congregazione dell’Indice riesumò sostanzialmente la sua funzione di compilatrice di indici. La corrispondenza con vescovi e inquisitori si diradò già sul finire del primo decennio del Seicento, mentre s’infittì la comunicazione, peraltro mai interrotta, tra Sant’Ufficio e inquisitori locali in materia di censura. La sconfitta del progetto della Congregazione dell’Indice – progetto che aveva trovato nell’applicazione dell’indice clementino il suo banco di prova – sanciva definitivamente l’egemonia del Sant’Ufficio nel campo della censura, ma anche la subalternità del vescovo all’inquisitore, depotenziando ulteriormente l’episcopato e relegandolo, dopo decenni di contrasti, in quella posizione di emarginazione in cui il Sant’Ufficio lo aveva confinato fin dal 1543. Occorrerà attendere la seconda metà del Settecento perché, di fronte alla più risoluta azione delle autorità statali in difesa delle proprie prerogative giurisdizionali e all’indebolimento delle strutture inquisitoriali fuori dello Stato della Chiesa, i papi si rassegnassero a fare ricorso all’aiuto dei vescovi per combattere la cultura dei Lumi restituendo loro le competenze che il Concilio di Trento aveva loro conferito57.
Notes de bas de page
1 Abbreviazioni : ILI : Index des livres interdits, a cura di J.M. De Bujanda, Sherbrooke-Genève, 10 voll., 1984-1996 ; ACDF : Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede (ex Sant’Ufficio) ; Index : Archivio della Congregazione dell’Indice (la numerazione romana indica le serie, quella araba i volumi all’interno delle serie) ; SO : Archivio della Congregazione del Sant’Ufficio ; St. St. : Stanza Storica ; ARSI : Archivum Romanum Societatis Iesu ; BAV : Biblioteca Apostolica Vaticana.
2 Cfr. G. Fragnito, Gli studi sulla censura ecclesiastica nella prima età moderna: bilanci e prospettive, in L. Gulia, I. Herklotz, S. Zen (a cura di), Società, cultura e vita religiosa in età moderna. Studi in onore di Romeo De Maio, Sora, 2009, p. 163-176.
3 Si veda in proposito l’importante studio di A. Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Torino, 1996, pubblicato prima di quella data.
4 Cfr. J.A. Tedeschi, Florentine documents for a history of the ‘Index of Prohibited Books’, in A. Molho e J. A. Tedeschi (a cura di), Renaissance Studies in Honor of Hans Baron, Dekalb, Ill., 1971, p. 577-605 (ora in traduzione italiana in J. Tedeschi, Il giudice e l’eretico. Studi sull’Inquisizione romana, Milano, 1991, p. 161-179) ; A. Rotondò, Nuovi documenti per la storia dell’« Indice dei libri proibiti » (1572-1638), in Rinascimento, 2a s., 3, 1963, p. 145-211.
5 A. Cifres, L’archivio storico della Congregazione per la Dottrina della Fede, in L’apertura degli Archivi del Sant’Uffizio Romano, Roma, 1998, p. 73-84.
6 A. Rotondò, Nuovi documenti… cit. ; Id., La censura ecclesiastica e la cultura, in Storia d’Italia, V, I documenti, Torino, 1973, p. 1397-1492 ; J.A. Tedeschi, Florentine documents… cit. ; P. Lopez, Inquisizione stampa e censura nel Regno di Napoli tra ‘500 e ‘600, Napoli, 1974 ; P.F. Grendler, The Roman Inquisition and the Venetian Press, 1540-1605, Princeton, 1977, e C. de Frede, Ricerche per la storia della stampa e la diffusione delle idee riformate nell’Italia del Cinquecento, Napoli, 1985.
7 Cfr. G. Fragnito, La Bibbia al rogo. La censura ecclesiastica e i volgarizzamenti della Bibbia (1471-1605), Bologna, 1997 ; Ead., Proibito capire. La Chiesa e il volgare nella prima età moderna, Bologna, 2005 ; e V. Frajese, Nascita dell’Indice. La censura ecclesiastica dal Rinascimento alla Controriforma, Brescia, 2006. Sulla censura statale ed ecclesiastica si vedano M. Infelise, I libri proibiti da Gutenberg all’Encyclopédie, Roma-Bari, 1999, e S. Landi, Stampa, censura e opinione pubblica in età moderna, Bologna, 2011, p. 71-98.
8 Per quanto riguarda l’imprimatur rare sono le opere a stampa che prima degli anni Sessanta del Cinquecento registrano l’avvenuta approvazione delle autorità ecclesiastiche. In proposito cfr. U. Rozzo, Gli « Hecatommithi » all’Indice, in La Bibliofilia, 92, 1991, p. 26-31.
9 Sulle competenze e la giurisdizione del Maestro del Sacro Palazzo cfr. V.M. Fontana, Syllabus Magistrorum Sacri Palatii Apostolici, Romae, l663 ; Id., Sacrum theatrum dominicanum, Romae, 1666, p. 447-51 ; G.B. De Luca, Theatrum veritatis, et justitiae, XV, Venetiis, 1734, pp. 245-46, 267-68, 278 ; G. Catalano, De magistro Sacri Palatii Apostolici Libri duo. Quorum alter originem, praerogativas, ac munia, alter eorum Seriem continet, qui eo munere ad hanc usque diem donati fuere, Romae, 1751 ; G. Moroni, s.v. Maestro del Sacro Palazzo, in Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, XLI, Venezia, 1846, p. 199-219 ; I. Taurisano, Hierarchia ordinis fratrum praedicatorum, Romae, 19162, p. 30-63, e G. Fragnito, Un archivio conteso: le « carte » dell’Indice tra Congregazione e Maestro del Sacro Palazzo, in Rivista storica italiana, 119, 2007, p. 1276-1318. I confini del distretto di Roma sono indefiniti, anche se per solito esso viene fatto coincidere con la fascia delle 40 miglia, ma non mancano definizioni diverse, anche più ampie. Si veda G. Pizzorusso, Una regione virtuale : il Lazio da Martino V a Pio VI, in Atlante storico-politico del Lazio, Roma-Bari, 1996, p. 80-81.
10 Cfr. J. Hilgers, Der Index der verbotenen Bücher in seiner neuen Fassung dargelegt und rechtlich-historisch gewüdigt, Freiburg im Breisgau, 1904, p. 483-486. L’editto si conserva in copia in ACDF, Index, I/1, fol. nn.
11 Cfr. G. Fragnito, La censure des livres entre évêques et inquisiteurs, in G. Audisio (a cura di), Inquisition et pouvoir, Atti del Convegno Internazionale, Aix-en-Provence, 24-26 ottobre 2002, Aix-en-Provence, 2004, p. 171-184, e Ead., Vescovi « censori » : il tridentino alla prova, in G.P. Brizzi e G. Olmi (a cura di), Dai cantieri della storia. Liber amicorum per Paolo Prodi, Bologna, 2007, p. 25-35.
12 ILI, VIII, p. 27-39.
13 In proposito cfr. G. Fragnito, Proibito capire… cit., p. 29-42.
14 Nella Observatio, aggiunta dal Sant’Ufficio all’indice del 1596, vennero ribadite, sulla linea della bolla contro l’astrologia Coeli et terrae Creator Deus di Sisto V del 5 gennaio 1586, le competenze anche degli inquisitori su questa categoria di libri (cfr. ILI, IX, p. 930). Per quanto riguarda i volgarizzamenti della Sacra Scrittura e i libri di controversia religiosa cfr. G. Fragnito, Proibito capire… cit., p. 81-117 e 177-190.
15 Sulla politica censoria di Pio V cfr. G. Fragnito, Pio V e la censura, in M. Guasco e A. Torre (a cura di), Pio V nella società e nella politica del suo tempo, Bologna, 2005, p. 129-158.
16 Fin dalle prime sedute della commissione cardinalizia nominata per la revisione dell’indice gli scrupoli vennero superati col pretesto che « non fuit Concilium quod Indicem congessit et instituit, sed tantum quosdam delegit quibus haec provincia demandaretur, a quibus postea fuit compositum » e che di conseguenza modificandolo « nihil contra Concilium fieret » (ACDF, Index, II/1, fol. 19 : riunione del 10 luglio 1571).
17 ACDF, Index, I/1, fol. 126r. Riunione del 4 dicembre 1599: « Decretum quod […] si aliquando libri censurandi Auctor adhuc superstis esset et aliqua poena mulctandus ad Congregationem Sancti Officii, cuius est de personis cognoscere remitteretur ». Il vivae vocis oracolo stabiliva : « quod Ill.mi et Rev.mi DD. Cardinales pro tempore deputati super Congregatione Indicis habeant amplam et plenam potestatem et facultatem nedum super libros impressos, et imprimendos, suspendendos, prohibendos et corrigendos, permittendos, concedendos, verum etiam super Auctores librorum, et eosdem imprimentes, et legentes, vel personas quomodocunque et qualitercunque Indicis materiam aut libros concernentes, dummodo in causa haeresis nullatenus se intromittant quod, si quandoque id contigat, ad ufficium Sanctae Romanae et Universalis Inquisitionis personas statim transmittant, cuius est in materia haeresis iudicare » (ACDF, Index, I/1, fol. 128v: l’oracolo papale fu riferito alla Congregazione dell’Indice nella riunione del 29 gennaio 1600 dal cardinale Cesare Baronio). In proposito cfr. G. Fragnito, Un archivio conteso… cit., p. 1278-1280.
18 Ivi, p. 1281-1282.
19 Sull’espansione delle competenze del Maestro cfr. G. Fragnito, La censura libraria tra Congregazione dell’Indice, Congregazione dell’Inquisizione e Maestro del Sacro Palazzo (1571-1596), in U. Rozzo (a cura di), La censura libraria nell’Europa del secolo XVI, Udine, 1997, p. l63-175
20 Cfr. G. Fragnito, Un archivio conteso… cit., pp. 1276-1318, e E. Rebellato, La fabbrica dei divieti. Gli Indici dei libri proibiti da Clemente VIII a Benedetto XIV, Milano, 2008, p. 78-82.
21 Lettera citata ivi, p. 201. Sulla Sollicita ac provida, cfr. ivi, pp. 198-205, e H. Wolf e B. Schmidt (a cura di), Benedikt XIV. und die Reform des Buchzensurverfahrens. Zur Geschichte und Rezeption von « Sollicita ac provida », Paderborn, 2010.
22 Aggiungeva : « A Roma al fine vi sono molti cardinali nelle Congregationi et lei, tra gli altri […] in questa Congregatione dell’Indice può supplire a quanto convenga, ma delli vescovi d’Albano ve n’è un solo, da poco et miserabile » (lettera del 24 aprile 1615, cit. da P. Godman, The Saint as Censor. Robert Bellarmine between Inquisition and Index, Leiden, 2000, p. 174).
23 Cfr. G. Fragnito, L’applicazione dell’indice dei libri proibiti di Clemente VIII, in Archivio Storico Italiano, 159, 2001, p. 131-147, e Ead., « In questo vasto mare de libri prohibiti et sospesi tra tanti scogli di varietà et controversie » : la censura ecclesiastica tra la fine del Cinquecento e i primi del Seicento, in C. Stango (a cura di), Censura ecclesiastica e cultura politica in Italia tra Cinquecento e Seicento, Firenze, 2001, p. 1-35.
24 Ivi, p. 20-35, e G. Fragnito, Un archivio conteso… cit., p.1292-1295.
25 Cfr. P. Delpiano, Il governo della lettura. Chiesa e libri nell’Italia del Settecento, Bologna, 2007, p. 80-92.
26 Ivi, p. 75-92 e 155-212.
27 Di scarso aiuto la ricostruzione frammentaria dei rapporti tra le due Congregazioni nel Seicento di M. Cavarzere, La prassi della censura nell’Italia del Seicento tra repressione e mediazione, Roma, 2011, p. 4-27, nonché il rapido profilo di E. Rebellato, La congregazione dell’Indice da Paolo V a Clemente XII (1607-1740), in Dimensioni e problemi della ricerca storica, 1.2012, p. 21-39.
28 La delega venne conferita l’11 giugno 1620 con un Motu proprio di Paolo V edito in V.M. Fontana, Syllabus Magistrorum… cit., p. 11-14, e in G. Catalano, De magistro Sacri Palatii Apostolici… cit., p. 27-28.
29 Cfr. G. Fragnito, L’applicazione dell’indice… cit., p. 131-147 ; Ead., Proibito capire… cit., p. 191-213.
30 Sulla debolezza delle strutture inquisitoriali ai tempi di Paolo IV e sul coinvolgimento dei gesuiti cfr. G. Romeo, Note sull’Inquisizione romana tra il 1557 e il 1561, in Rivista di storia e letteratura religiosa, 36, 2000, p. 115-141 ; Id., L’Inquisizione nell’Italia moderna, Roma-Bari, 2002, pp. 3-12 ; e Id., Pio V nelle fonti gesuite : le ‘Epistolae Generalium Italiae’ e le ‘Epistolae Italiae’, in Pio V nella società… cit., p. 111-127. Sul ruolo dei gesuiti nell’applicazione dell’indice del 1558 e di quello del 1564 cfr. anche M. Scaduto, L’epoca di Giacomo Lainez, 1556-1565. L’azione, Roma, 1974, p. 22-35 e 245-56.
31 Lettera scritta a nome del Generale a Pietro Canisio, 25 gennaio 1561: « Domandò Nostro Padre la reducione di quel Indice delli libri prohibiti ad ius comune et il papa si mostrò ben inclinato a farlo, ma disse voleva far Congregacione sopra ciò, nella quale intervenessi Nostro Padre » (ARSI, Epp. Gen., Germania, 104, fol. 292r). Il 31 gennaio 1561 si ribadiva : « Sopra l’Indice delli libri prohibiti si comincia a trattare et Nostro Padre [Laínez] pensa procurar di ridurlo al ius commune » (ivi, fol. 296v-297r).
32 Cfr. C. de Frede, Roghi di libri ereticali nell’Italia del Cinquecento, in L. De Rosa (a cura di), Ricerche storiche ed economiche in memoria di Corrado Barbagallo, II, Napoli, 1970, p. 317-328, e G. Fragnito, Proibito capire… cit., p. 191-213.
33 L’inquisitore di Pisa chiedeva lumi al card. Scipione Rebiba il 12 aprile 1572 su « quel che in pratica si determini di quelli libri quali sono prohibiti per l’indice del Santo Officio et non prohibiti per l’indice del Santo Concilio » (ACDF, SO, St. St. HH 2 d (1), fol. 226r-v).
34 Sotto questo profilo rivestono grande interesse le osservazioni di Antonio Possevino, risalenti agli anni 1593/1595, relative alle biblioteche di cardinali, docenti e conventi « mai forse interiormente vedute » (cfr. C. Carella, Antonio Possevino e la biblioteca « selecta » del Principe cristiano, in E. Canone (a cura di), Bibliothecae selectae da Cusano a Leopardi, Firenze, 1993, p. 510-512). Ma si vedano anche U. Rozzo, Le biblioteche dei cappuccini nell’inchiesta della Congregazione dell’Indice (1597-1603), in V. Criscuolo (a cura di), Girolamo Mautini da Narni e l’ordine dei frati minori cappuccini fra ‘500 e ‘600, Roma, 1998, p. 62-64, e molti dei saggi in R.M. Borraccini e R. Rusconi (a cura di), Libri, biblioteche e cultura degli ordini regolari nell’Italia moderna attraverso la documentazione della Congregazione dell’Indice, Città del Vaticano, 2006.
35 Cfr. G. Fragnito, Vescovi e ordini religiosi in Italia all’indomani del Concilio, in C. Mozzarelli e D. Zardin (a cura di), I tempi del Concilio. Religione, cultura e società nell’Europa tridentina, Roma, 1997, p. 13-25.
36 Cfr. la bolla di promulgazione dell’indice Sacrosanctum catholicae fidei (ILI, IX, p. 916), che accoglieva quanto stabilito nella riunione della Congregazione dell’8 agosto 1592 ed era stato approvato dal papa il 3 novembre 1592 (ACDF, Index, I/1, fol. 48v e 58r. Ma si veda anche ivi, II/20, fol. 6r).
37 Su queste propaggini della Congregazione dell’Indice cfr. G. Fragnito, « In questo vasto mare… » cit., p. 20-35.
38 Nota eorum quae inter Cardinales Congregationis Indicis mature prius discussa iuxta Constitutiones Indicis pro rerum gravitate postmodum consulto S.D. N.ro determinanda sunt, in ACDF, Index, II/16, fol. 25r-26r.
39 Sulle curie vescovili cfr. C. Donati, Curie, tribunali, cancellerie episcopali in Italia durante i secoli dell’età moderna : percorsi di ricerca, in C. Nubola e A. Turchini (a cura di), Fonti ecclesiastiche per la storia sociale e religiosa d’Europa : XVI-XVIII, Bologna, 1999, p. 213-222.
40 Cfr. A. Borromeo, Contributo allo studio dell’Inquisizione e dei suoi rapporti con il potere episcopale nell’Italia spagnola del Cinquecento, in Annuario dell’Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, 29-30, 1977-1978, p. 219-276 ; Id., Inquisizione spagnola e libri proibiti in Sicilia ed in Sardegna durante il XVI secolo, ivi, 35-36, 1983-1984, p. 219-271 ; e A. Rundine, Inquisizione spagnola, censura e libri proibiti in Sardegna nel ‘500 e ‘600, Sassari, 1995.
41 Cfr. G. Romeo, Per la storia del Sant’Ufficio a Napoli tra ‘500 e ‘600. Documenti e problemi, in Campania sacra, 7, 1976, p. 5-119 ; Id., Una città, due Inquisizioni : l’anomalia del Sant’Ufficio a Napoli nel tardo ‘500, in Rivista di storia e letteratura religiosa, 24, 1988, p. 42-67 ; L. Osbat, L’Inquisizione a Napoli : problemi archivistici e problemi storiografici, in L’Inquisizione romana in Italia nell’età moderna. Archivi, problemi di metodo e nuove ricerche, Roma, 1991, p. 263-293 ; P. Scaramella, Le lettere della Congregazione del Sant’Ufficio ai tribunali di fede di Napoli 1563-1625, Trieste-Napoli, 2002.
42 Manca una mappa degli insediamenti inquisitoriali, con la data di istituzione e l’estensione (mutevole) delle singole giurisdizioni, ma si veda A. Del Col, Le strutture territoriali e l’attività dell’Inquisizione romana, in A. Borromeo (a cura di), L’Inquisizione, Atti del Simposio internazionale, Città del Vaticano, 29-31 ottobre 1998, Città del Vaticano, 2003, p. 345-380, e J. Tedeschi, New Light on the Organization of the Roman Inquisition, in Annali di Storia moderna e Contemporanea, II, 1996, p. 265-266. La cifra di 41 è stata ricavata dalla corrispondenza relativa all’esecuzione del clementino. La lista è la seguente: Adria, Alessandria, Ancona, Aquileia, Asti, Bergamo, Bologna, Brescia, Capodistria, Casale Monferrato, Ceneda, Cividale, Como, Cremona, Faenza, Ferrara, Firenze, Genova, Mantova, Milano, Modena, Mondovì, Novara, Padova, Parma, Pavia, Perugia, Piacenza, Pisa, Reggio Emilia, Rimini, Saluzzo, Siena, Torino, Tortona, Treviso, Venezia, Vercelli, Verona, Vicenza, Zara. Non è chiaro se i commissari inquisitoriali attivi a Ragusa in Dalmazia e a Curzola durante l’esecuzione dell’indice del 1558 lo fossero ancora a fine Cinquecento. Sui problemi relativi all’insediamento dell’Inquisizione romana negli Stati regionali italiani cfr. A. Prosperi, Tribunali della coscienza… cit., p. 57-116.
43 Ferrara (dopo la devoluzione verranno creati tribunali a Reggio e a Modena), Bologna, Faenza, Ancona, Perugia, ai quali va aggiunto, per quanto riguarda la censura, il tribunale del Maestro del Sacro Palazzo, responsabile per Roma, la Campagna di Roma e il Patrimonio di San Pietro, come risulta dalla « Nota delle persone et paesi per publicare l’Indice per tutto il Christianesimo » stilata dalla Congregazione dell’Indice nel 1596 (ACDF, Index, XVIII/1, fol. 297r).
44 Per Perugia e per Siena ACDF, Index, III/6, fol. 159r e 118r ; per Faenza, ACDF, SO, St. St. II 2-f, fol. nn.
45 Per le 270 chiese dell’Italia continentale cfr. D. Hay, La Chiesa nell’Italia rinascimentale, Bari, 1979, p. 183-199 ; G. Greco, La Chiesa in Italia nell’età moderna, Roma-Bari, 1999, p. 3-27, includendo Sicilia e Sardegna, calcola all’incirca 300 diocesi, mentre J. Bergin, The Counter-Reformation Church and its Bishops, in Past and Present, 165, 1999, p. 41-42, ne conta 315 circa.
46 Cfr. BAV, Borg. Lat. 538, fol. 261-265.
47 Cfr. E. Rebellato, La fabbrica dei divieti… cit., p. 58-86.
48 Cfr. BAV, Borg. Lat. 538, fol. 262 e 428 ; ACDF, SO, St. St. M 3-g, fol. 179-180, e St. St. O 2-c, fol. 116r.
49 Sulla politica espurgatoria e il suo fallimento G. Fragnito, Aspetti e problemi della censura espurgatoria, in L’Inquisizione e gli storici : un cantiere aperto, Roma, 2000, p. 161-178 e Ead. (ed.), Church Censorship and Culture in Early Modern Italy, Cambridge, 2001.
50 Giovanni Battista del Tufo, vescovo di Acerra, al card. Marcantonio Colonna, Napoli 28 dicembre 1596 (ACDF, Index, III/1, fol. 478r).
51 Il vicario dell’arcivescovo di Manfredonia al card. Simone Tagliavia, Manfredonia 18 ottobre 1596 (ivi, fol. 89r).
52 Per i solleciti di Roma ivi, II/20, fol. 6v : 9 novembre 1596 e 19 aprile 1597. Di nuovo il 16 agosto 1599 con lettera circolare del card. Simone Tagliavia a vescovi e inquisitori (ivi, V/1, fol. 100r-101r).
53 Ivi, fol 60r-v ; III/2, fol. 54r-v ; III/3, fol. 3r-v ; III/1, fol. 451r-v, 435r-v ; III/1, fol. 139r ; ACDF, SO, St. St. O 2-c, fol. nn. ; BAV, Borg. Lat. 558, f. 435r ; I. Chiesa, Vita di Carlo Bascapè. Barnabita e vescovo di Novara (1550-1615), a cura di S. Pagano, Firenze, 1993, p. 372-374 e 427-428.
54 Indicis librorum expurgandorum in studiosorum gratiam confecti. Tomus primus. In quo quinquaginta auctorum libri prae coeteris desiderati emendantur per Fr. Jo. Mariam Brasichellen. Sacri Palatii Apostolici Magistrum in unum corpus redactus et publicae commoditati aeditus, Romae, Ex Typographia R. Cam. Apost., 1607.
55 Lo stesso Brisighella annunciava nella lettera al « pio ac studioso lectori » il secondo tomo « quem iam prae manibus habemus » (ivi, cc. n.n.). Della necessità della confezione di un indice espurgatorio scriveva ancora nel 1754 il segretario della Congregazione dell’Indice Tommaso Agostino Ricchini a Benedetto XIV (cfr. P.-N. Mayaud, À propos de la révocation par Benoît XIV du décret de l’Index de 1616, in Archivum Historiae Pontificiae, 42, 2004, p. 27-30).
56 In proposito cfr. P. Broggio, La teologia e la politica. Controversie dottrinali, Curia romana e Monarchia spagnola tra Cinque e Seicento, Firenze, 2009, p. 165-167, e M. Cavarzere, La prassi della censura… cit., p. 92-107. La tesi sostenuta da A. Prosperi (L’inquisizione fiorentina al tempo di Galileo, in Novità celesti e crisi del sapere, in supplemento agli Annali dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza, 1983, p. 315-325 ; Id., Anime in trappola. Confessione e censura ecclesiastica all’università di Pisa tra ‘500 e ‘600, in Belfagor, 54, 1999, p. 257-287 ; Id., La Chiesa e la circolazione della cultura nell’Italia della Controriforma. Effetti involontari della censura, in U. Rozzo (a cura di), La censura libraria… cit., p. 53-100 ; e Id., Censurare le favole. Il protoromanzo e l’Europa cattolica, in F. Moretti (a cura di), Il romanzo, I, La cultura del romanzo, Torino, 2001, p. 71-106) e ripresa da M. Cavarzere (La prassi della censura… cit., p. 119-134) e da S. Landi (Stampa, censura… cit., p. 81-82) secondo cui i letterati laici avrebbero collaborato con i censori « ecclesiastici », condividendo con loro la convinzione della necessità di controllare la produzione culturale, andrebbe più attentamente e compiutamente verificata e documentata.
57 Cfr. P. Delpiano, Il governo della lettura… cit., p. 155-212, e Ead., La congregazione dell’Indice nel Settecento (1740-1815), in Dimensioni e problemi della ricerca storica, 1, 2012, p. 41-58.
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Università degli Studi di Parma - fragnit@alice.it
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