1) Il problema della trasmissione della memoria nella storiografia sulla Sardegna medievale
Texte intégral
1Nel 1845 si diffusero in Sardegna le Carte d’Arborea, documenti medioevali contenenti cronache, testi giuridici, poemi in latino e in sardo medioevale. Essi raccontavano una Sardegna libera da tiranniche dominazioni esterne e culturalmente avanzatissima. L’accoglienza entusiastica ricevuta negli ambienti isolani fu spenta dal giudizio di Theodor Mommsen, che smascherò quelli che erano dei clamorosi falsi e le successive indagini sulla storia sarda terranno conto degli enormi danni causati dai falsari ottocenteschi.
2All’inizio del Novecento, numerosi studiosi, guidati da motivazioni, culturali e politiche, crearono l’immagine di una Sardegna arretrata e da civilizzare, in antitesi con il quadro romantico ed elogiativo dei falsi d’Arborea. La diffusione di questa vulgata ebbe forte incidenza sull’immagine dei Sardi e della Sardegna all’interno dell’isola e fuori di essa. Gioacchino Volpe, Enrico Besta e Arrigo Solmi individuarono una politica coloniale di Pisa e Genova in una Sardegna arretrata e arcaica, che portò un impulso di progresso e trasse l’isola al livello civile delle altre regioni occidentali. Ciò condizionò il pensiero del linguista Max Leopold Wagner, il quale prese la Sardegna più arcaica e la sua lingua, il Nuorese, come paradigma di tutta l’isola. Anche Marc Bloch pose l’accento sull’isolamento e l’arcaicità della Sardegna e sulle sue orme si pose Fernand Braudel, il quale insistette sull’insularità della Sardegna come forza decisiva nel suo passato. Al suo fianco, la montagna, responsabile, quanto se non più del mare, dell’isolamento delle popolazioni.
3Le fonti da cui Braudel traeva i dati per esporre il suo pensiero erano la Geografia, la Letteratura, l’Etnografia, il Cinema e la Cronaca. Non apparivano invece le fonti documentarie o archeologiche. Per Braudel la Sardegna era perduta nel mare, quasi un’Isola di Pasqua lontana dai contatti fecondi, che uniscono la Sicilia all’Italia; montuosa e divisa, con una vita pastorale invadente. L’impostazione braudeliana influenzò gli studiosi successivi, che riconobbero debolezza e semplicità nelle istituzioni giudicali. Per John Day, il progressivo abbandono delle prerogative dei signori sardi (i giudici) rese irreversibile la loro condizione di inferiorità, aprendo la strada al dominio diretto e coloniale delle potenze continentali, cosicché la Sardegna divenne una vera e propria “riserva di caccia”. Geo Pistarino affermò che in una Sardegna pastorale e contadina non si sapeva neppure quale fosse l’anno in corso, e comunque non importava molto il saperlo.
4Certo la Sardegna è stata caratterizzata a lungo dalla scarsa diffusione di una cultura elevata (vedi l’introduzione tarda dell’Università), ma durante il medioevo l’isola si collocava negli standard medi per l’epoca, non certo ai margini della civiltà. La convergenza di vedute storiografiche negative ha prodotto una reazione nell’altro senso, esaltando l’orgoglio nazionalista sardo. Nasce così il filone mitico resistenziale, rappresentato da storici come Giovanni Lilliu e Antonio Pigliaru o da romanzieri come Salvatore Niffoi e Giulio Angioni.
5L’idea di Sardegna è ormai cristallizzata, ma essa nasce da un problema di interpretazione storiografica affermatasi con le scuole di pensiero del primo Novecento, legate a tematiche nazionaliste, che dovevano giustificare il “rientro” della Sardegna nel grembo italico. Ciò ha favorito un’impostazione ideologica della storiografia, marcata dal costante disconoscimento di una capacità propositiva dell’isola verso l’esterno. Il problema di trasmissione della memoria nasce dunque dall’allineamento degli intellettuali sardi alla linea interpretativa dominante. Sono mancate letture alternative e la storiografia più recente continua a lavorare su queste basi e sulla relativa bibliografia, per cui la visione dell’isola non cambia.
6I danni provocati dalla diffusione dei Falsi d’Arborea e dalla cattiva trasmissione della memoria hanno lasciato il segno: i Sardi non possono avere avuto una storia di rilievo internazionale. Si tratta di un “trauma emotivo” accentuatosi con il progressivo sradicamento della lingua sarda. Nei casi più estremi, gli stessi indigeni, per sentirsi più “Italiani”, negano la loro cultura, ritenuta “inferiore”. Un esito sociale di tutto ciò è stata la diffusione del nuragismo e del medievalismo, in coincidenza con la nascita della Regione Autonoma della Sardegna. La generazione che l’ha ottenuta ritiene con orgoglio di essere la migliore esistita nell’isola, perché ha raggiunto un traguardo importante: l’autonomia regionale. Essa va promossa attraverso un progetto culturale il cui perno è l’Identità.
7Crescono così miti e visioni sulla Sardegna e i Sardi nella storia, nei quali fiabesco, misterioso, fascinazione delle arti visive, sono strumenti scenografici forti, che aiutano a veicolare in maniera semplice concetti quali la Resistenza contro l’oppressore straniero, il Mito di una civiltà “diversa”, “speciale”, il Passato a cui attingere per creare una memoria storica da contrapporre a quanto arriva dall’esterno. Si cercano così i personaggi “grandi” della storia sarda, come esempi per i Sardi di oggi. Fra i miti resistenziali emerge quello di una Sardegna fiera e resistente, con il sardo Amsicora, quasi un Asterix che si oppone ai Romani. Fra i miti nazionalisti, quello del medioevo giudicale che esalta Eleonora d’Arborea e una Sardegna libera da dominazioni esterne che costruisce e difende la sua unità nazionale.
8Così il medievalismo riplasma e riutilizza il concetto di medioevo, richiamandolo continuamente per veicolare contenuti e rivendicazioni politiche, culturali, ed etniche.
Auteur
Università di Corsica Pasquale Paoli
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