L’eredità di Ippocrate nella farmacologia
I diversi approcci nella medicina di età imperiale
p. 363-382
Résumés
Nei trattati ginecologici e nosologici del Corpus Hippocraticum si conserva un ricco patrimonio di materiali farmacologici, di fronte al quale i medici delle epoche successive manifestano un atteggiamento ambivalente: citano Ippocrate per dare autorevolezza alle loro opere anche se lo ritengono superato dal punto di vista scientifico. A partire dall'età ellenistica infatti si registra un grande interesse per veleni e antidoti ed un aumento notevole del numero degli ingredienti nelle ricette; ci sono innovazioni e ampliamenti negli usi delle piante medicinali (come testimoniano Dioscoride e Galeno), che rendono superfluo il rimando al vecchio ‘maestro’. A questo punto Ippocrate può essere anche oggetto di critiche (Dioscoride, Plinio, Sorano di Efeso).
In the gynaecological and nosological treatises of the Hippocratic collection there is a rich heritage of pharmacological materials. Doctors of later ages show an ambivalent attitude toward these materials: they quote Hippocrates to give authority to their works even if they consider it outdated from a scientific point of view. Starting from the Hellenistic age, in fact, there was a great interest in poisons and antidotes and a considerable increase in the number of ingredients in recipes; the innovations and extensions in the use of medicinal plants (as Dioscorides and Galen testify) make references to the old ‘master’ superfluous. At this point, Hippocrates can also be criticized (as in Dioscorides, Pliny, Soranus of Ephesus).
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Keywords : Pharmacological heritage, new recipes, Hippocrates, criticism
Parole chiave : Patrimonio farmacologico, nuove ricette, Ipppocrate, critica
Texte intégral
Il patrimonio della farmacologia ippocratica
1Ippocrate, considerato tradizionalmente padre della medicina e per questo spesso lodato e citato dai medici di epoche successive per dare forza teorica al discorso, non è però apprezzato in tutti campi e in particolare in quello farmacologico. Questo atteggiamento è ben rappresentato da Celso (attivo all'epoca dell’imperatore Tiberio) che riconosce senz'altro la sua autorevolezza1 e abilità in campo prognostico (2, pr. 1.3 optime praesagisse), ma in un passo del VI libro (6.6.1e) ricorda che bisogna curare gli occhi con salassi, medicamenti, bagni e vino secondo quanto ha tramandato il vetustissimus auctor Hippocrates, notando però che ha dato scarse spiegazioni (parum explicuit) dei momenti adatti e dei motivi per la somministrazione di questi rimedi; perciò appare carente nel campo della terapia farmacologica.2 Il giudizio di Celso sarà condiviso.
2Dopo il periodo classico, la medicina si era intensamente occupata di farmacologia, perché durante i regni ellenistici e in età imperiale, molti sovrani, temendo possibili avvelenamenti, si circondarono di medici esperti nella preparazione di portentosi rimedi, quando non erano loro stessi a crearli, come Mitridate VI Eupatore re del Ponto;3 ma a testimonianza di questa attività ci sono giunti solo frammenti. Si può però ipotizzare4 che fra il II sec. a.C. e il I d.C. si sia sviluppata un’indagine sistematica che, partendo dallo studio degli animali velenosi e dei veleni descritti in Nicandro, avrebbe prodotto la scoperta di rimedi a specifici veleni. Celso tracciando all’inizio del libro V una breve storia della farmacologia, ricorda fra i più importanti autori sul tema Erasistrato, gli Empirici, Erofilo e la sua scuola e infine Zenone, Andrea e Apollonio Mys, ma il nome di Ippocrate non compare; tuttavia il quadro è corretto, in quanto la farmacologia progredisce proprio in età ellenistica, probabilmente per la propensione di Erofilo e degli Erofilei ad utilizzare farmaci di origine in gran parte vegetale.5
3Sulla stessa linea si pone un altro autore latino di poco successivo, Scribonio Largo (attivo all’epoca dell’imperatore Claudio) che nella lettera dedicatoria delle Ricette mediche6 all’inizio ricorda lo stretto legame fra Erofilo e la farmacologia: «Si dice che Erofilo, considerato un tempo fra i più grandi medici, o Caio Giulio Callisto,7 abbia detto che i medicamenti sono le mani degli dei (Medicamenta divum manus esse) e non a torto secondo me». Tuttavia più avanti riconosce Ippocrate come il fondatore della professione medica (conditor nostrae professionis) ispirandosi a lui per definirne il codice deontologico,8 ma non gli attribuisce nessuna delle ricette che riporta nell’opera.
4Prima però di continuare la rassegna dei giudizi degli “altri” bisogna esaminare il consistente patrimonio farmacologico ippocratico concentrato principalmente in due gruppi di trattati: quelli ginecologici e quelli nosologici che ci trasmettono un gran numero di ricette; ne sono state contate più di 1500.9 Si tratta per la ginecologia di: Malattie delle donne 1 e 2, Donne sterili, Natura della donna e di Superfetazione ed Escissione del feto a soggetto embriologico, databili tra la fine del V e gli inizi del IV a. C.;10 fra i testi nosologici tre contengono ricette: Affezioni interne, Malattie 2, Malattie 3 databili fra la seconda metà del V a.C. e il primo quarto del IV a.C.;11 non si deve però dimenticare che non abbiamo un testo specifico che da solo costituisca un manuale di farmacologia. Le uniche tracce dell’esistenza di un’opera di questo tipo le ritroviamo nel trattato Affezioni,12 dove possiamo individuare una decina di riferimenti a titoli di trattazioni specifiche sui farmaci, ora evidentemente perdute. I φάρμακα descritti in queste opere hanno fondamentalmente due scopi, far cessare il dolore e far diminuire le febbri (terzane o quartane). I titoli che possiamo ricavare sono due: Φαρμακῖτις e Τὰ φάρμακα cioè Libro dei farmaci e Farmaci, le menzioni sono sempre accompagnate dal verbo γράφω coniugato al passato.13 Un esempio per il primo titolo è al cap. 23 (p. 42 Potter; 6, 234 L.): in caso di dissenteria, se c’è dolore somministrare τὰ δὲ πώματα καὶ τὰ ῥυφήματα καὶ τὰ σιτία secondo ciò è scritto (κατὰ τὰ γεγραμμένα) in Φαρμακῖτις.14 Per il secondo titolo15 possiamo citare l’es. del cap. 4 (p. 12 Potter; 6, 212 L.) dove a proposito di gargarismi si prescrive di preparare dei composti come descritto in Farmaci (ὡς γέγραπται ἐν τοῖς Φαρμάκοις). La presenza del verbo γράφω è importante perché permette di creare una serie di rimandi, come avviene anche all’interno di altri trattati.16 Verosimilmente le ricette circolavano anche attraverso la tradizione orale, ma la trasmissione scritta è punto di riferimento per la consultazione e per il raggiungimento di un determinato aspetto formale. Proprio l’analisi formale delle ricette ippocratiche ci rivela una redazione che si presenta con precise caratteristiche, ad es. uso di clausole al condizionale (ἢν δέ e simili) per introdurre la situazione patologica17 e per ciò che riguarda gli ingredienti un numero abbastanza limitato, raramente più di sei.18 Esamineremo più avanti alcuni esempi.
5In relazione agli aspetti teorici sulla definizione di φάρμακα possiamo fare riferimento al noto cap. 45 di I luoghi nell’uomo:19
Tutte le sostanze che cambiano lo stato presente (del paziente) sono farmaci (Πάντα φάρμακά εἰσι τὰ μετακινέοντα τὸ παρεόν); tutte le sostanze piuttosto forti (τὰ ἰσχυρότερα) producono modificazioni; è possibile, se lo si voglia, modificare per mezzo di un farmaco, ma se non si voglia, per mezzo del cibo (σιτίῳ) » (p. 82 Craik; 6, 340 L.).
6La possibilità di curare sia con medicamenti sia con il regime alimentare è ricordata come fondamentale anche in altri trattati ad es. l’Arte20, ma su questa linea concordavano anche i trattati ricordati in Affezioni (secondo il già citato cap. 23) che prescrivevano τὰ δὲ πώματα καὶ τὰ ῥυφήματα καὶ τὰ σιτία, dove si può notare che il confine fra dieta alimentare e medicamenti era abbastanza sottile. I medicamenti nei trattati perduti erano somministrati probabilmente in forma di bevanda come al cap. 18, φάρμακα ποτά (p. 30 Potter; 6, 226 L.) o anche φάρμακα πινόμενα, ancora al cap. 18, (p. 32 Potter; 6, 228 L.). Qualche notizia sugli aspetti pratici della preparazione ci viene fornita da Epidemie 2,3,2 (p. 50 Smith; 5, 104 L.), in particolare sul fatto che la manipolazione si può attuare o disseccando o pestando o cuocendo e così via (ξηρᾶναι, κόψαι, ἐψῆσαι); vengono invece volutamente trascurate altre indicazioni, a es. sulla posologia, mancanza che, come si è visto, sarà oggetto di critiche a cominciare da Celso (cf. supra). Consigli generali sono dati in un trattato più tardo come Il galateo del medico περὶ εὐσχημοσύνης, (cap. 9, p. 292 Jones; 9, 238 L.)21 dove si dichiara che è bene che il medico conosca a memoria (εὐμνημόνευτα) i φάρμακα e le loro δυνάμιες, ma non si trascurano però gli aspetti organizzativi, perché nel successivo cap. 10 (p. 292 Jones; 9, 238 L.) c’è l’esortazione a tenere a disposizione una scorta di φάρμακα preparati nel modo dovuto, secondo i relativi generi, freschi o trattati per la conservazione (παλαίωσις). Il tramite attraverso cui si trasmettevano queste conoscenze sono le ricette ed è perciò opportuno verificarne la struttura e i contenuti attraverso l’analisi di qualche esempio particolarmente significativo dei trattati ginecologici, a partire da Natura della donna,22 che è un prezioso testimone di ingredienti raramente citati nel Corpus, perché ha preservato materiale antico, come del resto Malattie delle donne.23 Alcuni capitoli sono veri e propri elenchi di ricette, che possiamo raggruppare in tre blocchi (capp. 32-34; 95-99; 102-104). Ad esempio nel capitolo 32, che è il più lungo del trattato, possiamo individuare componenti di origine vegetale e in minor misura animale,24 che vengono utilizzati in ricette di beveraggi e pessari e si distinguono per la loro rarità o per essere presenti solo negli scritti ginecologici. Fra gli hapax ricordiamo: ἄνθεμον, probabilmente camomilla25 (32, 2, p. 29 Bourbon; 7, 346 L.), κρινάνθεμον, semprevivo26 (32,7, p. 29 Bourbon; 7, 346 L.); mentre l’ ἀγχούση, alcanna27 (32, 8, p. 29 Bourbon; 7, 348 L.) ha un'unica altra attestazione in Ferite 17 (p. 66,14 Duminil; 6,422 L.). Ancora hapax per un prodotto di origine animale: latte di cagna (32, 20 κυνὸς γάλα, p. 32 Bourbon; 7, 350 L.) o per un elemento di provenienza insolita, come la terra presa sotto lo zoccolo degli asini28 (Ὄνων τὴν ἐπὶ τῷ ποδὶ γῆν 103,8; p. 85 Bourbon; 7, 418 L.)29 oppure stelle marine nere (notare la precisazione del colore) usate in beveraggio contro il soffocamento uterino solo qui in 32, 67 (p. 37 Bourbon; 7, 358 L.) e in Malattie delle donne 2, 201 (8, 384 L.). Hanno attestazioni più numerose, ma sono presenti solo nei testi ginecologici ad esempio il λευκόϊον (32, 5-6, p. 29 Bourbon; 7, 348 L.), la violaciocca, che compare in 12 casi,30 o anche la κασίη, cassia31 (32, 62, p. 36 Bourbon; 7, 356 L.) in 6 casi, e l’ ἀρκευθίς, bacca di ginepro32 (32, 62, p. 36 Bourbon; 7, 356) oppure il βατράχιον, ranuncolo, che ricorre in tutto quattro volte. 33 Un altro esempio importante è il cap. 33 di Natura della donna (p. 43 Bourbon; 7, 366-370 L.), che di per sé costituisce già una piccola raccolta, perché riporta 30 ricette per lavande (κλυσμοί); dalla seconda in poi (cap. 33, 2, p. 43 Bourbon; 7, 366-370 L.) e fino alla fine del capitolo, ogni preparato è introdotto con ἕτερον, espressione tipica di questo tipo di scritti,34 dove spesso una sequenza di ricette sullo stesso tema è introdotta così o con ἄλλο (ad es. in Donne sterili cap. 20, 11-14 p. 93 Bourbon; 8, 442 L., oppure cap. 25, 2-3, p. 98 Bourbon; 8, 448 L.). La regola generale è che quando un catalogo include alcune prescrizioni rivolte alla cura della stessa malattia, solo la prima ha una rubrica; le rimanenti sono introdotte, invece, dalla congiunzione ἤ, da ἄλλο o ἕτερον o da espressioni come τὸν αὐτὸν τρόπον. Il numero di ingredienti varia da un minimo di due: una sostanza e un liquido come cedro cretese e vino (cap. 33, 17, p. 44 Bourbon; 7, 368 L.); ancora elaterio e acqua, zucche selvatiche e latte d’asina (cap. 33, 19-20, p. 45 Bourbon; 7, 368 L.), oppure tre (salvia, iperico e acqua; seme di sambuco e bacche di alloro nel vino (cap. 33, 9-10, p. 44 Bourbon; 7, 366-368 L.) fino ad arrivare in un unico caso su trenta ad un massimo di 11 ingredienti35 (un ossibafo di mirra, incenso, seseli, anice, semi di lino, olio di mandorle amare, resina, miele, olio d’oca, aceto bianco, il rimedio d’Egitto;36 bisogna diluire il tutto in due cotili di vino bianco prima di fare la lavanda (cap. 33,7, p. 43-44 Bourbon; 7, 366-68 L.). Altre volte le quantità sono indeterminate: «altra ricetta (ἕτερον): cipero, giunco e calamo aromatico, mescolare ad eguale quantità di mirra, cuocere menta acquatica nel vino e iniettare» (cap. 33, 15, p. 44 Bourbon; 7, 368 L.). Se tutti gli ingredienti devono essere preparati nello stesso modo, essi usualmente sono elencati mediante la congiunzione καί; oppure vengono disposti in asindeto. Oltre alle caratteristiche comuni già segnalate come clausole introduttive al condizionale e numero limitato di ingredienti, bisogna notare che l’esposizione si svolge con frasi abbastanza brevi e si segue l’ordine in cui il procedimento deve essere eseguito, ad es. nella ricetta del cap. 93, 2 (p. 79-80 Bourbon; 7, 410 L.) nel caso che a una donna venga meno il latte si prescrive di: «tritare dei porri, allungare con acqua e dar da bere, e la donna si lavi con acqua calda; mangi porri e cavoli che avrà cotto insieme alle foglie di citiso, e beva l’acqua di cottura».
7Come si vede queste prescrizioni non seguono un percorso sistematico né nei riguardi dei rimedi né nei riguardi delle patologie;37 tutto ciò in epoche successive poteva certamente creare difficoltà di consultazione.
Aumento notevole del numero degli ingredienti
8Per ciò che riguarda il numero degli ingredienti e l’attenzione alla posologia, un buon termine di paragone possono essere le Ricette mediche di Scribonio Largo. In quest’opera solo raramente si registrano meno di sette38 ingredienti, ma non si trascura mai di indicare la quantità come ad es. in una breve ricetta contro il mal di stomaco (CVIII) dove pure gli elementi sono solo tre: una libbra di mastice bianco di Chio, una libbra di adragante bianca, un’oncia di radice di erba apollinaria.39 Lo stesso avviene quando sono elencati un gran numero di componenti: per una ricetta di impiastro (CLXXV) dieci, nell’antidoto di Cassio contro i veleni (CLXXVI) venticinque, nell’antidoto del medico Marciano per Augusto Cesare (CLXXVII), quarantadue. Secondo Scribonio i dosaggi sono da considerarsi importantissimi tanto che il medico Paccio Antioco li teneva segreti (XCVII)40 perché l’efficacia dipende proprio dalle percentuali compositive.
9L’accuratezza dei dosaggi ha grande importanza anche per Galeno,41 che ad es. critica il fatto che ai suoi tempi la traduzione delle tradizionali quantità di misura greche nella terminologia romana diventa fonte di grande confusione (es. nel caso dell’impiastro bianco di Heras contro l’idrofobia, non si capisce se l’indicazione corrisponda a nove o dieci once, Sulla composizione dei medicamenti per generi, 1,16; 13, 435 K.). Un esempio famoso di ricetta con un numero di ingredienti molto elevato42 è la Galene di Andromaco il Vecchio43 che inizia rivolgendosi a Nerone: «Ascolta la grande potenza dell'antidoto dai molti ingredienti44 o Cesare, datore di libertà senza paure, ascolta o Nerone: chiamano Galene questo antidoto….». Galene, cioè Tranquillità è dunque il nome dell’antidoto, e come spiega Galeno stesso vuole indicare il fatto che si mette in contrasto l’opposizione malattia/tempesta con quella salute/bonaccia45 libera quindi dalla paura dei veleni.
Mutamenti nella destinazione d’uso delle piante medicinali nel corso del tempo
10Nel corso del tempo si assiste ad un cambiamento degli usi terapeutici di alcune piante che, utilizzate nel Corpus prevalentemente per patologie femminili, trovano poi campi di impiego di tipo generale. Si è scelto di esaminare tre vegetali di sicura identificazione: la σίδη, melagrana (Punica granatum L.), la λινόζωστις, mercorella (Mercurialis annua L.) e la μυρσίνη, mirto (Myrtus communis L.) tutti largamente utilizzati nei testi ginecologici.
11La melagrana può essere indicata in greco con due differenti termini, σίδη o ῥοιή; anche le sue scorze (σίδια) sono utilizzate. Qualche esempio ippocratico: in Natura della donna viene utilizzata in pozione in caso di leucorrea (cap. 15, 3, p. 19 Bourbon; 7, 334 L.). e per la preparazione di beveraggi mondativi in 32, 52 (p. 35 Bourbon; 7, 356 L.); in un altro caso (cap. 5, 2, p. 7 Bourbon; 7, 318 L.) si prescrive di bollire una σίδη in vino nero per un preparato per lavare l’utero quando questo fuoriesca completamente dai genitali. Altri usi analoghi del frutto: in bevanda, con funzione astringente in Malattie delle donne 1, 52 (8, 110 L.) e 2, 192 (8, 372 L.), oppure per effettuare lavaggi dei genitali in Malattie delle donne 1, 75 (8, 166 L.).46
12Per quel che concerne scritti diversi da quelli ginecologici, si osserva l’utilizzo di quest’ingrediente per la cura di febbri e fenomeni infiammatori in vari passi di Epidemie 7 (cap. 80, p. 96 Jouanna; 5, 436 L.; cap. 94, p. 106 Jouanna; 5, 450 L.). Altrove compare l’uso delle foglie di melagrana dolce per la cura di ferite mediante cataplasmi (Affezioni 38, p. 60 Potter; 6, 248 L.) o per un malato di tisi (Affezioni interne 12, p. 112 Potter; 7, 196 L.), infine succo di melagrana per una donna affetta da cardialgia in Epidemie 2, 1 (p. 31 Smith; 5, 84 L.).
13C'è comunque coerenza nell’uso della melagrana all’interno del Corpus, poiché è sempre messa in risalto la funzione antinfiammatoria e astringente, ma nella tradizione farmacologica successiva la situazione cambia, non perché cambino le proprietà fondamentali, ma perché si afferma una notevole varietà di usi terapeutici.
14Dioscoride dice (1, 110) che la ῥόα giova allo stomaco; il succo dei grani (specialmente della melagrana aspra) bollito e mescolato con il miele è utile per le ulcere nella bocca, nei genitali (che potrebbero essere anche maschili, dal momento che non vi è alcuna specificazione), per le escrescenze di carne nelle dita, per le ulcere serpeggianti, le otalgie, per le affezioni alle narici. Inoltre i fiori della melagrana (κύτινοι)47 sono astringenti, disseccanti e adatti a bloccare e far cicatrizzare le ferite che sanguinano. Il decotto di citini è utilizzato come collutorio per gengive flaccide e per denti malfermi, l’impacco è impiegato, invece, per la cura delle ernie intestinali. Il farmacologo riferisce, a proposito dei citini, anche una notizia che deriva da tradizioni popolari48 e non a caso nel riportarla ne prende le distanze segnalando che: «Alcuni dicono (ἱστοροῦσι) che saranno esenti da oftalmia per un anno intero coloro che essendo in buona salute inghiottiranno appena tre citini».49 Infine, anche la buccia della melagrana è adatta agli stessi usi dei κύτινοι perché entrambi hanno proprietà astringenti. Il decotto della radice elimina e distrugge i vermi intestinali.
15In Galeno la melagrana ha utilizzi analoghi a quanto esposto con chiarezza da Dioscoride,50 ed è caratterizzata essenzialmente da proprietà astringenti.51
16Anche in questo autore si conferma l’utilizzo della melagrana per coloro che sono affetti da problemi di stomaco52 e intestinali, specie in caso di dissenteria. Galeno riporta numerose ricette, scritte anche da altri medici, di preparati da somministrare essenzialmente per via orale, in cui, tra i vari ingredienti, compaiono il succo, i fiori, la buccia, i chicchi della melagrana o melagrane intere.53 Il Pergameno riferisce inoltre diverse ricette in cui la melagrana (il succo o la buccia) costituisce uno degli ingredienti di medicamenti per le orecchie con ulcerazioni,54 infiammazioni,55 qualora si avvertano dei rumori;56 questo frutto è pure impiegato per le otalgie e per la preparazione di farmaci per la cura dei denti57 e del cavo orale. In Galeno la melagrana ha impieghi davvero vasti, ma sempre escludendo gli usi ginecologici, che non sono un campo di interesse primario.58
17Le stesse osservazioni sono valide per ciò che riguarda la mercorella (λινόζωστις); in generale, riferendoci agli usi nei trattati ginecologici, possiamo dire che si impiega in beveraggi per purgare l’utero, svolge funzione emmenagoga e favorisce la purgazione lochiale, per ammorbidire la matrice indurita e in caso di soffocamento uterino. Egualmente le si attribuiscono proprietà purgative in Dioscoride (4,189) e in Galeno, il quale dice che di questo vegetale fanno uso tutti per la purgazione del ventre (Sulle proprietà dei medicamenti semplici 7, 18; 12, 63 K.). Dioscoride (4, 89, 4) riferisce la credenza (δοκεῖ) che le foglie della mercorella “femmina”, applicate sul ventre o bevute nel vino portino al concepimento di una femmina e quelle della pianta “maschio” portino al concepimento di un maschio.59 Questa tradizione è ricordata anche da Plinio (25, 38-40) che riferisce dei due generi e considera strano (mirum) quel che si racconta, che cioè la pianta maschio determina la nascita di figli maschi e la pianta femmina di femmine se la donna ne beve in decotto prima di unirsi all’uomo. A questo proposito segnala che Ippocrate si profuse in lodi straordinarie (miris laudibus), sull’utilità di queste piante per le donne, ma nessun medico ne conosce l’uso in questo modo (at hunc modum medicorum nemo novit; 25, 40).60 Si riportano poi altri consigli ippocratici sull’uso della mercorella in generale. Qui il medico di Cos viene implicitamente criticato, perché di fatto è il solo a proporre rimedi poco attendibili.
18Ugualmente il mirto (μυρσίνη) e le sue bacche (μύρτα) compaiono per molte patologie femminili (usati per irrigazioni, fumigazioni, cataplasmi), più tre casi in ambiti estranei alla ginecologia.61 Però l’efficacia del mirto per la cura delle patologie ginecologiche era accettata, se Dioscoride riconosce che la μυρσίνη ἡ ἥμερος (1, 112), giova ai prolassi uterini62 e ai disturbi femminili in genere. Tuttavia aggiunge una grande quantità di funzioni: astringenti, diuretiche, contro il morso di ragni velenosi e scorpioni, l’ubriachezza e altro ancora. Esistevano inoltre impieghi estetici delle bacche di mirto, usate nelle tinture per capelli. Galeno ne ricorda l’utilità contro la calvizie e la caduta dei capelli63 e molti altri scopi, tralasciando però anche rispetto a Dioscoride, l’uso nelle malattie femminili.
Presenza di un atteggiamento critico in due autori di I d.C. (Dioscoride e Plinio)
19Dioscoride, il farmacologo dell’antichità per eccellenza, cita Ippocrate nella Materia medica, solo in due passi: 3,59,1 e 4,168,1 e senza alcun epiteto elogiativo. Nel primo a proposito del nome dato al cumino etiopico (κύμινον Aἰθιοπικόν)64 che Ippocrate chiama “reale” (βασιλικόν); nel secondo la citazione riguarda πεπλίς (Euphorbia peplis L., la porcellana o portulaca selvatica) denominata da Ippocrate πέπλιον; il riferimento nel primo caso è ad Umori (cap. 10, p. 168 Overwien; 5, 490 L.) e nel secondo ad Affezioni interne (cap. 7, p. 96 Potter; 7, 184 L. e cap. 10, p. 104 Potter; 7, 190 L.) e a qualche altro passo che egualmente non proviene da testi farmacologici come il cap. 23 di Regime delle malattie acute (p. 46, Joly; 2, 274-276 L.) e Epidemie 6, 8, 20 (p. 284 Smith). In Umori leggiamo: καὶ τὸ παρὰ βασιλεῖ λεγόμενον κύμινον, il cumino detto reale e nel passo di Dioscoride relativo al cumino coltivato leggiamo: κύμινον τὸ ἥμερον εὐστόμαχον, καὶ τούτου μᾶλλον τὸ Αἰθιοπικόν, ὅπερ Ἱπποκράτης βασιλικὸν65 ἐκάλεσεν. «È salutare per lo stomaco, specialmente quello etiopico che Ippocrate chiama reale». Al secondo posto si colloca il cumino egiziano, poi gli altri. Segue l’elenco dei luoghi in cui la pianta nasce, le sue varie proprietà e nel par. 2 le sue proprietà e malattie per cui giova. L’aggettivo βασιλικός è usato un’altra volta per il cumino, nel cap. 62 dedicato all’ ἄμι: ἔνιοι καὶ τοῦτο Αἰθιοπικόν, οἱ δὲ βασιλικὸν κύμινον καλοῦσιν, ἔνιοι δὲ ἑτέρας φύσεως τὸ Αἰθιοπικὸν κύμινον ἔλεξαν εἶναι καὶ ἑτέρας τὸ ἄμι. È incerto quindi se il cumino etiopico/reale sia di diversa natura dall’ammi. Ippocrate nomina il cumino 86 volte spesso accompagnato dall’aggettivo Αἰθιοπικόν soprattutto nelle ricette dei trattati ginecologici.66 In realtà nel De materia medica l’interesse non era per la ricetta antica, ma quella che viene sottolineata è la dizione “cumino reale” βασιλικόν, quindi l’attenzione è sul nome e fa pensare ad un interesse di tipo tecnico per la nomenclatura delle piante che poteva attingere a specifiche liste, ipotesi confermata dal fatto che Umori non è certo un testo ricco di ricette. Stessa situazione in Plinio per il cuminum Aethiopicum in 19, 161: si afferma che il cumino migliore è quello etiopico (Aethiopico palma est) e in 20, 163, c’è il paragone con il cuminum regium, dove si spiega che è molto simile al cumino quella pianta che i Greci chiamano ammi e alcuni ritengono che si tratti invero del cumino etiopico. Ippocrate lo chiamò regio (regium appellavit), perché lo riteneva più efficace (efficacius) di quello egizio, ma la maggior parte degli autori lo considera di natura completamente diversa. Quindi tutto sommato ciò che dice Ippocrate è scarsamente considerato come già si è visto a proposito della mercorella.
20Anche nel caso di πεπλίς Dioscoride sta trattando due piante affini in sequenza; prima (4,167) πέπλος (Euphorbia peplus L.) euforbia minore o porcellana lattaria (contiene un lattice velenoso) che fa espellere il flegma e la bile ed ha funzioni purgative e nel cap. successivo (4,168,1) si arriva a πεπλίς (Euphorbia peplis L.), che ha le stesse proprietà, cioè la porcellana o portulaca selvatica, che Ippocrate chiama πέπλιον. Le attestazioni ippocratiche sono in tutto 7, così ripartite: 4 volte nel cap. 23 di Regime delle malattie acute (p. 46 Joly = cap. 7; 2, 274 L.) consigliato come purgante in alternativa all’elleboro nero.67 Due volte in Affezioni interne dove al cap. 7 (p. 96, Potter; 7, 184 L.), viene prescritto per la purificazione dal basso, insieme alla lattuga selvatica (diuretica e sedativa) e a bacche di dafne (purgante) (καὶ πῖσαι αὐτὸν ἐς ὑποκάθαρσιν τῷ τοῦ πεπλίου καὶ τῆς μηκωνίδος καὶ τοῦ κόκκου τοῦ κνιδίου); dopo la purga somministrare una coppa di pappa di lenticchie e bere acqua. In Affezioni interne cap. 10 (p. 104, Potter; 7, 190 L.) è un purgante in casi di consunzione usato dopo l’elleboro. In tutti i casi l’effetto attribuito alla pianta è purgativo, tranne che in Epidemie 6, 8, 20 dove ha un effetto emetico.68 Nelle testimonianze di Plinio sulla portulaca selvatica (peplis 20, 210-215 e 27, 119) non si segnala alcun termine ippocratico alternativo.
21Per ciò che riguarda il testo di Plinio, possiamo constatare che l’autore nomina Ippocrate in tutto 43 volte e specificamente come sua fonte medica nella tavola dei contenuti per i libri 20-28, che è la parte dedicata alle erbe e ai rimedi vegetali in genere, ma dall’analisi di alcuni passi (cfr. supra) si vede che non si tratta in realtà di vere e proprie citazioni quanto di riadattamenti del materiale che viene inserito di volta in volta seguendo l’esposizione pianta per pianta secondo il modello degli erbari.
22In Plinio notiamo ancora una volta un atteggiamento contraddittorio, in quanto all’inizio del libro 29, 4, sulla base di quanto racconta Varrone viene messo in cattiva luce il medico di Cos,69 che avrebbe copiato (exscripsisse) i suoi rimedi dalle iscrizioni lasciate dai pazienti guariti nell’Asclepeion e dopo l’incendio del tempio avrebbe fondato quella medicina che si chiama clinica (clinice). Questa diceria aveva un certo seguito, tanto che nella Vita, attribuita a Sorano dalla Suda (4, p. 175,16-18 Ilberg), si narra che Ippocrate lasciò Cos dopo aver volontariamente bruciato l’archivio. Altrove però lo considera fondatore della medicina ed un’autorità nel campo della farmacologia per i frequenti riferimenti alle erbe presenti nella sua opera: Hippocratis certe, qui primus medendi praecepta clarissime condidit, referta herbarum mentione invenimus volumina (26, 10).
Sorano di Efeso e la nuova mentalità
23L’illustre medico metodico70 attivo sotto Traiano e Adriano, è senza dubbio il più critico nei confronti di Ippocrate e anche dei suoi seguaci; le citazioni dai testi ippocratici sono riconoscibili e se il medico di Cos è nominato solo otto volte è comunque secondo per la frequenza delle citazioni, superato unicamente da Diocle.71
24Riserve ad esempio vengono espresse sull’uso degli starnutatori per espellere la placenta, una pratica raccomandata in Aforismi 5, 49 (p. 170, Jones; 4, 550 L.): tutti questi sistemi sono nocivi (μοχθηρά, 2,2; p. 11, 40 Bourguière-Gourevitch-Malinas). I seguaci di Ippocrate sono criticati a proposito dei rimedi per produrre un parto veloce in situazioni difficili; per evitare l’embriotomia nell’estrazione del feto, alcuni prescrivono ὠκυτόκια, come hanno fatto i discepoli di Ippocrate (οἱ δὲ περὶ τὸν Ἱπποκράτην), ma non serve utilizzare di foglie di alloro, né di dittamo, né di abrotano, né appendere addosso il frutto di un cetriolo selvatico; tutto questo peggiora soltanto la situazione (4.5; p. 22,155 Bourguière-Gourevitch-Malinas). C’è un preciso rimando a pratiche dell’ippocratico Malattie delle donne 1,77 (8, 172 L.) ed in particolare alla preparazione di un ἕτερον ὠκυτόκιον che consiste nel prendere il frutto di un cetriolo selvatico, quando sia ormai diventato bianco, e, dopo averlo spalmato con cera e avvolto in lana rossa, attaccarlo intorno (περίαψον) ai lombi. Questa critica così pungente può far ipotizzare che nel II sec. d.C. le ricette ippocratiche fossero ancora in uso72 oppure si può pensare73 analizzando alcuni esempi, che i metodi ippocratici siano criticati, probabilmente perché da una parte Sorano sentiva il dovere culturale di confrontarsi con il grande medico del passato, ma dall’altro le nuove convinzioni morali gli impedivano di accettare le posizioni del medico di Cos.74
Galeno: un’accorta rielaborazione
25Il modo in cui Galeno riutilizza i testi ippocratici è certamente il più sofisticato. In linea generale il Pergameno presenta un atteggiamento elogiativo come ad es. nella prefazione del VI libro del Sulle proprietà dei medicamenti semplici (11, 795-796 K.) dove loda Ippocrate per non aver mescolato alla farmacologia γοητεία e ἀλαζονεία, magia ed impostura, elementi chiaramente da condannare e introdotti più tardi da Andrea medico. È interessante notare che per la farmacologia viene tracciato un percorso che va da una situazione antica di razionalità (ἐπιστήμη) ad una più recente da condannare. Un altro passaggio elogiativo è in Sulla composizione dei medicamenti per generi 1, 3 (13, 372-373 K.), dove si apprezza la capacità di Ippocrate nel mescolare ingredienti profumati con rimedi purgativi e a dimostrazione di questo si cita una ricetta (l’unica del Corpus riportata per intero) che proviene non da un trattato a contenuto farmacologico, ma da uno dedicato alla dieta, Regime delle malattie acute, cap. 23.75 Per ciò che riguarda i contenuti delle ricette chiaramente preferisce servirsi di autori più recenti e aggiornati come Heras o Andromaco e definisce l’opera di Dioscoride esaustiva,76 invece Ippocrate viene lodato in quanto modello metodologico. Un interesse specifico porta Galeno a consultare termini della farmacologia ippocratica che non sono più in auge, ma servono a determinare l’esattezza di quella dei suoi tempi.77 In Composizione dei medicamenti secondo i generi (7, 9; 13,991 K.) il medico di Pergamo discute della necessità della terminologia e dell’usare in maniera esatta (κυρίως) le parole per una qualsiasi dimostrazione e prende come esempio i medicamenti rilassanti (χαλαστικά) utilizzati dai medici moderni per far rilassare le parti tese (εἰ μὲν οὖν κυρίως τις χρῷτο τοῖς ὀνόμασι, μαλακτικὰ τῶν ἐσκληρυσμένων σωμάτων εἶναί τιναφήσει φάρμακα, [...], ὥσπερ γε καὶ χαλαστικὰ τὰς τῆς τάσεως ἰατικά). Galeno risale ai termini ippocratici dal trattato Uso dei liquidi 1 (p. 164 Joly; 6,118 L.), dove si parla degli effetti dell’acqua calda e dei bagni di vapore: «Bagno di vapore per tutto il corpo, ammorbidimento (μάλθαξις) della pelle dura e rilasciamento (χάλασις) della pelle tesa». In realtà Ippocrate usa sostantivi astratti e Galeno rielabora la formula per adattarla al linguaggio moderno, sostituendoli con aggettivi in -ικός riferiti a φάρμακα: μαλακτικά e χαλαστικά. Il caposcuola viene così recuperato come il portatore di un concetto sempre valido.
Conclusioni
26Da questa disamina sulle opinioni di alcuni medici di epoca imperiale in relazione alla tradizione ippocratica possiamo constatare che la posologia poco accurata è criticata e che lo scarso numero di componenti nei rimedi non è un pregio in un periodo di grande successo del Mithridatium o della Galene. Nonostante la massa di ricette che poteva in ogni caso costituire un Corpus da cui attingere per le citazioni questo non avviene. Il fenomeno si può in parte spiegare con una certa farraginosità espositiva e con il fatto che a partire dalla medicina ellenistica il campo di utilizzo delle piante si è allargato e anche quelle che negli scritti ippocratici avevano usi squisitamente ginecologici sono valide per molte altre malattie, perdendo la loro specificità.
27Nel complesso però, a parte l' “indifferenza” di Dioscoride e l'atteggiamento critico di Sorano, rimane un atteggiamento elogiativo verso i principi generali esposti dal padre della medicina, tanto che Plinio lo riconosce anche tra i fondatori della botanica farmacologica.
Bibliographie
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Notes de bas de page
1 Nel De medicina si nomina 21 volte Hippocrates e per lo più l’atteggiamento è genericamente elogiativo; viene considerato fra i medici più importanti (maiores medici, Pr. 47, p. 30 Mudry 1982) e qualificato come vetustissimus auctor, la più antica autorità su alcuni argomenti (Pr. 66, p. 36 Mudry 1982; 2.14.2, ed. Spencer 1935-1938).
2 Nel De medicina di Celso infatti esistono alcune sezioni farmacologiche; nel libro V, intitolato De medicamentorum facultatibus si riportano ricette per ferite e malattie varie e nel VI sono conservate ricette di colliri per malattie degli occhi (De oculorum morbis).
3 Sovrano dal 111 al 63 a.C.; Galeno in Antid. 1, 1 (14, 2 K.) riferisce che cercando di indagare sui vari farmaci sperimentandoli sui condannati a morte, scoprì che alcuni di essi erano efficaci contro gli scorpioni o le vipere e vari altri tipi di veleno, animale e vegetale. Mescolando i farmaci specifici per particolari veleni, Mitridate preparò un rimedio contro qualsiasi sostanza velenosa, il Mithridatium, cfr. Watson 1966, p. 33-44; 53-63. Sull’ impossibilità di ricostruire l’autentica ricetta, cf. Totelin 2004. L’antidoto è riportato anche da Scribonio Largo (CLXX).
4 Cf. Touwaide 1991, p. 277-279.
5 Cf. von Staden 1989, p. 450; una panoramica sull’argomento in Repici 2006, p. 85 s.
6 Si tratta della prima raccolta completa di ricette, in tutto 271, che ci sia giunta dopo il periodo classico. Cf. l’ed. di Jouanna-Bouchet 2016 e per la traduzione italiana, Mantovanelli 2012.
7 Era il dedicatario dell’opera, noto liberto dell’imperatore Claudio.
8 Cf. le osservazioni di Sconocchia 1993, p. 862 sull’alto senso di etica professionale presente nell’Epistula praefatoria.
9 Cf. Totelin 2009, che nel ricchissimo volume dedicato ai ricettari ippocratici fornisce il numero esatto di 1551, p. 2.
10 Jouanna 20172, p. 563-564; 569-570; 587 e 549.
11 Jouanna 20172, p. 532 e 561-562.
12 Questo testo, databile al primo quarto del IV a.C. (Jouanna 20172, p. 531), viene citato da Galeno come ippocratico nel primo libro del suo commento agli Aforismi (18,1, 8 K.) in riferimento ad Aff. 24 e nel Glossarium (19, 145 K.= p. 270 Perilli 2017) in riferimento ad Aff. 43 e 44; cf. Potter 1988, p. 2.
13 La conoscenza farmacologica per essere fruibile ha bisogno di essere redatta in forma scritta, cf. Totelin 2009, pp. 46-47.
14 Le menzioni dei due titoli sono in tutto 11 seguendo il testo dell’edizione di Potter 1988. Per ciò che riguarda i riferimenti all’opera Φαρμακῖτις oltre al già citato cap. 23 li troviamo al cap. 9 (p. 16 Potter; 6, 216 L.); cap. 15 (p. 28 Potter bis; 6, 224 L.); cap. 18 (p. 32 Potter; 6, 228 L.). Al cap. 28 (p. 50 Potter; 6, 240 L.); al cap. 40 (p. 64 Potter; 6, 250 L.), per un totale di 7 casi. All’opera dai contenuti analoghi, che doveva intitolarsi Τὰ φάρμακα si fa riferimento al cap. 27 (p. 48 Potter; 6, 238 L.) e al cap. 29 (p. 50 Potter; 6, 240 L.). A questo elenco si può aggiungere il cap. 18 φάρμακα ποτά descritti ἐν τοῖς Φαρμάκοις (p. 30 Potter 1998; 6, 226 L., dove però leggiamo Φαρμακῖτις). Sommando le presenze dei due titoli si arriva a undici di casi. Potter (p. 13) segnala le possibili relazioni, già studiate da Η. Schöne nel 1924, fra il frammento di un περὶ φαρμάκων e il cap. 36 di Affezioni; cf. anche Totelin 2009, p. 100.
15 Data l’oscillazione fra i due titoli, potrebbe anche trattarsi di un corpo fluido di materiale dedicato ai medicamenti e indicato in vario modo. Su questo trattato perduto, cf. le osservazioni di Totelin 2009, pp. 98-102.
16 Ad es. con una notevole forza in Prorretico 2, dove il verbo compare 5 volte al presente, 5 volte al perfetto (γέγραπται), 3 volte come participio perfetto (γεγραμμένα); cf. le osservazioni di Fausti 2005, p. 108 e sul tema dell’uso di γράφω nel CH cf. Usener 1990. Da segnalare il caso del cap. 4, dove nelle ultime righe troviamo ben tre presenze: scrivo (γράφω) su questi argomenti; ho preso gli scritti (ξυγγράμματα) di altri medici; ho intrapreso a scrivere (ἐπεχείρησα τάδε γράφειν, p. 234, 16-22 Potter; 9, 20 L.).
17 L’uso delle clausole introduttive al condizionale era già stato messo in luce da Di Benedetto, 1980, pp. 88-96. Cf. anche Bourbon 2008, Notice, p. XXI-XXII.
18 Cf. Totelin 2009, p. 53 e 259.
19 Cf. le osservazioni di Craik 1998 e Fausti 2015, p. 125-130.
20 Affermazioni simili in De arte, dove si dice che se il solo mezzo di cura a disposizione dei medici, fossero i farmaci evacuanti o astringenti tutta la tesi sarebbe debole, invece i medici più stimati curano servendosi «sia del regime sia di altri tipi di trattamento» e ciò dimostra che la medicina è una vera arte e che il suo campo di azione è molto vasto (cap. 6,1, p. 230 Jouanna 1988; 6, 8-10 L.).
21 Risalente al I/II d. C., cf. Jouanna 20172, p. 538 e per un inquadramento dell’opera fra i testi che forniscono anche numerosi precetti di etica, cf. Ecca 2018.
22 Per un’analisi della struttura del trattato cf. Andò 2000, p. 16-28 e Bourbon 2008, p. XXI-XLII.
23 Sulla stratificazione rintracciabile in questi trattati, cf. gli studi ormai classici di Grensemann, 1982 e 1987.
24 Sulle terapie effettuate con prodotti di origine animale all’interno del Corpus, cf. Andò 2010.
25 In Teofrasto l’ ἄνθεμος è una specie di margherita (Anthemis chia L., HP 7,14,2); Dioscoride (citazioni secondo l’ed. di Wellmann 1906-1914) ricorda l’esistenza di tre tipi di ἄνθεμις, che differiscono solo per il colore dei fiori, purpureo, bianco e dorato (3, 137,1;), cfr. Andrè 1985 s.v.;. la pianta a fiori bianchi è la camomilla comune, Matricaria chamomilla L., dai noti usi medicinali, ma il testo ippocratico non dice nulla sul colore.
26 Viene data la specificazione che “cresce sulle case” il che fa pensare al Sempervivum tectorum L., semprevivo maggiore o barba di Giove; in ps. Dioscoride 3,122 compare come altro nome dell’ ἡμεροκαλλές, giglio martagone (Lilium martagon L., cf. Andrè 1985 s.v. )
27 Anchousa tinctoria L., André 1985 s.v.; in Dioscoride (4, 23) ha attinenza con temi ginecologici in quanto la radice è considerata abortiva.
28 A parte questo uso singolare, i composti farmacologici derivati dall’asino sono tutti esclusivamente dedicati a terapie per le donne: peli bruciati per fumigazioni (Mul. 1,75; 8,164L.) o sterco di mulo diluito nel vino e dato da bere (Nat. mul. 90, 3, p. 79 Bourbon 2008; 7,408 L.). Per osservazioni sulla farmacopea derivata da altri animali, cf. Andò 2010, p. 33-35.
29 Per un elenco dettagliato su questi prodotti, cf. Bourbon 2008, p. XLII.
30 Si tratta della Mattiola incana L., che presenta 8 occorrenze solo in questo trattato. Dioscoride (3,123) attribuisce al frutto proprietà emmenagoghe ed abortive; la radice invece è consigliata per malattie del fegato e la podagra.
31 Si tratta del Cinnamomum cassia L., che Teofrasto ricorda fra le piante aromatiche (HP 9,4,2), già nota in questo senso ad Erodoto (2, 86), poiché gli Egiziani la usavano per l’imbalsamazione. Secondo Dioscoride (1, 13) ha proprietà riscaldanti e disseccanti, ma anche emmenagoghe.
32 Il ginepro (Juniperus communis L.) in Dioscoride (1,75) presenta proprietà diuretiche e terapeutiche per la cura del soffocamento uterino.
33 Si tratta del Ranunculus sp. L. che compare oltre che qui anche più avanti (32, 21, p. 32 Bourbon 2008; 7, 350 L.) e ancora in due passi: Mul. 1, 78 (8, 182 L.) e Mul. 1, 91 (8, 220 L.). In Dioscoride (2, 175) non ha usi ginecologici.
34 Si vedano i numerosi esempi anche al cap. 32.
35 La ricetta prescrive di triturare questi ingredienti in uguale quantità.
36 L’espressione Αἰγύπτιον senza specificazione nel CH è usata solo qui, ma verosimilmente si riferisce al profumo d’Egitto, nominato ad es. in Mul. 2, 209 (8, 404 L.), cf. Bourbon 2008, p. 44.
37 Cf. le osservazioni di Andò 2000, p. 27.
38 Cf. Totelin 2009, p. 259.
39 Probabilmente identificabile con il giusquiamo nero, antispastico e analgesico (Hyscyamus niger L.) o la Withania (Withania somnifera Dun.) analgesica e infiammatoria. Si tratta di piante della famiglia delle Solanacee, cf. Mantovanelli 2012, p. LVIII.
40 Paccio stesso preparava il composto e non si affidava a nessuno degli allievi: Ipse enim clusus componebat nec ulli suorum committebat.
41 Cfr. von Staden 1997, p. 68-71.
42 Ne possiamo contare 67, di cui 58 di origine vegetale. Questi ultimi sono elencati in Cassia 2012, p. 58-71.
43 Andromaco il vecchio era archiatra di Nerone. Il suo poemetto è presente una sola volta all’ interno del volume che comprende il De antidotis e il De theriaca ad Pisonem nell’edizione di Kühn del 1827, perché per scelta editoriale è stato riportato solo nel primo trattato (Kühn 14, pp. 32-42). Si vedano inoltre l’ed. Heitsch 1964 e Cassia 2012 con traduzione italiana.
44 Il termine greco πολυθρόνιος ha come significato più attendibile πολυφάρμακος, “composto da molti farmaci” nel senso di ingredienti, cf. già in LSJ, s.v.
45 Cf. Galeno, Theriaca ad Pisonem 15 (14, 270-271 K.).
46 In questo caso sono usati per un infuso da versare sui genitali femminili, per favorire il concepimento i σίδης κόκκοι (chicchi di melagrana).
47 I citini compaiono una sola volta nel CH in Exic. foet. 3, 2 (p. 371 Bourbon 2017) per un cataplasma.
48 Sull’uso di espressioni fisse quali «dicono, si dice, si racconta, si tramanda (λέγουσιν, φασί, λέγεται, ἱστορεῖται, ἱστοροῦσι)», per mettere in evidenza che si tratta di notizie incontrollate, cf. le osservazioni di Fausti 2017, p. 30-31.
49 Su quest’uso del citino si veda anche Plinio, NH 33,110 dove la proprietà miracolosa del fiore di melagrana sembra rimandare a credenze magico-rituali correlate alle piante: perché il citino abbia efficacia per un anno contro la debolezza di vista è necessario che lo si prenda tenendolo tra due dita, il pollice e l’anulare, della mano sinistra e lo si faccia passare, sfiorandolo, davanti agli occhi, mettendolo in bocca e ingoiandolo senza toccarlo con i denti. È necessario, peraltro, eseguire queste operazioni dopo essersi completamente liberati da qualunque vincolo del vestiario (i lacci della cintura, i calzari e l’anello). Le notizie di Plinio trovano riscontro con quanto dice Dioscoride, anche se è maggiore l’insistenza sugli aspetti magico-superstiziosi.
50 Per una rassegna delle fonti letterarie utili a tracciare un quadro delle conoscenze botanico/farmacologiche antiche, cf. Hardy-Totelin 2016, p. 6-36 e sull’importanza in Galeno del De simpl. med. fac., cf. p. 21-22.
51 Cf. De simpl. med. temp. fac. 7, 8 (12, 115 K.); ancora la buccia della melagrana è definita farmaco disseccante (De meth. med. 4, 5; 10, 329 K.); anche buccia e fiori hanno proprietà astringenti in De simpl. med. fac. 11, 2 (12, 329 K.).
52 Si può ricordare, a tal proposito, una ricetta di Apollonio, riferita da Galeno (De comp. med. sec. loc. 2, 1; 12, 516 K.), in relazione alla cefalea che deriva dall’ubriachezza: in queste situazioni bisogna generalmente bere acqua; tuttavia, in caso di sommovimento dello stomaco, a causa dell’elevata assunzione di acqua, bisogna somministrare una melagrana, da sola o con della farinata liquefatta, fatta cuocere ben calda.
53 Gal. De comp. med. sec. loc. 9, 5 (13, 289, 6 K.).
54 Gal. De comp. med. sec. loc. 3, 1 (12,632 e 641 K.; 3, 1; 648 K.).
55 Gal. De comp. med. sec. loc. 3, 1 (12, 663 K.).
56 Gal. De comp. med. sec. loc. 3, 1; 12 659-660: sono riportate le formule di farmaci per le orecchie scritte da Critone. Tra gli ingredienti figura la buccia di melagrana.
57 Gal. De comp. med. sec. loc. 5, 5 (12, 881 K.): la scorza di melagrana dolce è l’ingrediente di un collutorio prescritto da Critone per la cura di tutte le patologie dei denti, riguardanti le gengive, l’alito cattivo e i denti neri in superficie.
58 Se la ginecologia non è un campo di interesse professionale di Galeno, tuttavia i testi a contenuto farmacologico sono considerati interessanti dal punto di vista filologico e vari termini ad es. derivati da Mul.1 o Morb. 2 sono commentati nel Glossarium (cf. Totelin 2009, p. 266).
59 Idee simili erano già state riportate a proposito della mercorella canina (3,125): «Si dice che il tipo detto ἀρρενογόνον bevuto fa generare figli maschi, il θηλυγόνον figlie femmine. Crateua riferisce (ἱστορεῖ) su questi argomenti, ma a me sembra che egli abbia parlato sulla base di informazioni della tradizione comune (ἱστορία)».
60 L’ed. di riferimento per Plinio è quella di AAVV, Paris 1947-1985.
61 Fist. 9, 2 (p. 142 Joly 20032; 6,456 L.) l’acqua di mirto è prescritta al paziente per eseguire dei lavaggi . In Ulc. 20 (p. 66-67 Duminil 1998; 6, 424 L.) si si consiglia di applicare sui nervi tagliati, tramite un bendaggio, radici di mirto selvatico, tritato, setacciato e impastato con olio. In Acut. (Sp.) 21 (p. 92 Joly; 2, 500 L.) l’acqua di bacche di mirto è un rimedio per i malati che eliminano feci acri e irregolari, in assenza di febbre.
62 Cfr. Nat. mul. 4, 3 (p. 6 Bourbon; 8, 316 L.) dove, proprio nel caso di fuoriuscita dell’utero, è riportata la ricetta di un decotto preparato con mirto e segatura di loto cotti in acqua da utilizzare in applicazione esterna sui genitali.
63 De comp. med. sec. loc. 1, 1 (422; 430; 435 K.)
64 Dovrebbe trattarsi del Carum copticum B. & H., cioè l’Ammi egiziano, secondo Andrè 1985 s.v.; è una pianta appartenente alla famiglia delle Apiacee ed è presente anche in Scribonio (CLXXVI e CLXXVII) anche nella variante Cuminum Thebaicum, intendendo Tebe d’Egitto (CXXI).
65 La forma βασιλικὸν espressa con l’aggettivo è una regolarizzazione di Dioscoride.
66 Con questo epiteto compare 38 volte in tutto di cui 35 nei trattati ginecologici (ad es. sette volte in Natura della donna, tre volte in Donne sterili) e tre volte di nuovo in ricette rispettivamente di Epidemie 7,6; Malattie 3, 17; Affezioni interne 35.
67 Nel primo caso il πέπλιον è presente in una prescrizione e ricordato quattro volte per le sue qualità purgative e analgesiche.
68 Si registra che «L’uomo di Adamante affetto da melancolia una volta vomitò sostanze nere per aver ingerito troppa porcellana e un’altra volta cipolle». La porcellana selvatica ha infatti anche usi commestibili.
69 Si è già vista la critica sull’uso della mercorella (cf. supra).
70 Trattazioni generali in Greer – Hanson 1993; Mazzini 1997, vol. I, p. 57-60; Boudon-Millot 2016.
71 Su questa scelta cf. le osservazioni di Mazzini 1999.
72 In realtà ancora nell’alto medioevo esistevano due tradizioni relative alle cure ginecologiche, quella soranica e quella ippocratica che era arrivata attraverso le traduzioni latine di Mul. 1 e 2, anche variamente rielaborate, che restano in circolazione per moltissimo tempo, fino al XIII secolo. Cf. sull’argomento Totelin 2011.
73 Cf. Gourevitch 1992, p. 605.
74 Sull’atteggiamento compassionevole di Sorano, cf. Fai 2016 e sugli aspetti di conforto psicologico alle donne, Fai 2018, Introduzione, p. 22-24.
75 È citata anche se non è dichiarato, anche in De comp. med. sec. loc. 8, 3 (13,149 K.); si consiglia di mescolare a piante dalla qualità purgative ma amare o sgradevoli come l’elleboro o la porcellana selvatica, sostanze aromatiche (εὐώδεις) come cumino o succo di silfio. Sul cap. 23 cf. anche supra.
76 Nel VI libro del De simpl. medicam. fac. (11, 794 K.) afferma che Dioscoride in cinque libri più di tutti ha esposto in maniera completa la materia medica (τελειώτατα). La stessa opinione è ribadita con l’avverbio αὐτάρκως nel primo libro del De antidotis (14, 61 K.).
77 Cf. Jouanna-Boudon 1997, p. 217 e p. 224.
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Università di Siena - daniela.fausti@unisi.it
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