Scritture ed ufficiali pontifici nella Campagna e Marittima del primo Trecento
p. 47-71
Texte intégral
1La scelta di trattare in questo contributo di un ambito geografico definito, la provincia di Campagna e Marittima, deriva dalla particolare natura del rapporto tra la Sede Apostolica e questa provincia, che ha giocato un ruolo storico nella costruzione del potere temporale pontificio, consolidatosi ancora nel Duecento. Un rapporto privilegiato che si incrina con il trasferimento della sede pontificia ad Avignone. Alla luce della documentazione prodotta proprio nel periodo di Giovanni XXII si cerca di delineare il quadro amministrativo ed evidenziare alcuni caratteri e cambiamenti intervenuti in settori qualificanti e fondamentali per l’evoluzione successiva. Un contributo quindi che privilegia un periodo breve, lo spazio di un pontificato e una provincia, che sembra in contrasto con l’auspicio degli organizzatori del progetto di ricerca, di prendere in esame lunghe periodizzazioni, giustificato però dalle trasformazioni avvenute nel personale politico e nelle funzioni delle cariche con le direttive di Giovanni XXII1.
2La provincia di Campagna e Marittima era la più meridionale delle province pontificie, formata dalle terre a sud di Roma fino al confine con il Regno di Napoli, si distendeva tra le zone montuose delle catene preappenniniche dei Monti Ernici e Lepini e la zona costiera, il litorale Tirrenico, fino a Terracina. Due territori geograficamente ben distinti, l’uno montuoso e collinare e l’altro degradante verso la pianura pontina. Una provincia abbastanza estesa quanto al territorio ma con un limitato sviluppo demografico, condizionato per la parte relativa alla Campagna dalla presenza di catene montuose e collinari e nella parte della Marittima dall’ampia piana pontina in parte paludosa: due ambiti geografici ma con un’unica curia provinciale2. I centri demici erano articolati secondo una precisa gerarchia: sette città (civitates) sedi vescovili dalla modesta consistenza di popolazione, alcune «quasi città» o, nel linguaggio della cancelleria pontificia, terre ossia comuni che per sviluppo demico ed evoluzione istituzionale non troppo si distinguevano dalle civitates che, però, non avevano la sede vescovile, e un notevole numero di castelli, dei quali si spartivano il dominio un ceto signorile di antico lignaggio locale come i da Ceccano e i Conti o più recente come i Caetani ed altri di minore caratura. All’inizio del Trecento, era cospicuo il numero dei castelli in pieno dominio della Chiesa, sia perché rientravano nella categoria dei castra S.R.E. sia perché castelli demaniali3.
3Essa è stata la prima provincia nella quale i pontefici hanno sperimentato le forme di governo estese successivamente alle altre del Patrimonium Sancti Petri dopo la ricomposizione del Patrimonio della Chiesa ad opera di Innocenzo III. Diversi fattori hanno posto le condizioni per un precoce inquadramento istituzionale, caratterizzato da una precisa definizione dei confini e dalla presenza di un ufficiale di nomina pontificia già nel corso del xii secolo. Anzitutto, nel territorio della provincia i beni patrimoniali della Chiesa erano molto consistenti ed il Papato aveva stabilito solide relazioni con le aristocrazie locali già nel xii secolo; inoltre per lunghi periodi i pontefici avevano cominciato a soggiornare in alcune delle città principali (Anagni, Ferentino, Segni)4.
4La posizione a confine con il Regno di Napoli rendeva tutta la provincia una vasta terra di frontiera, nella quale si incontravano e talora scontravano usi e consuetudini radicati nelle popolazioni, i domini avevano beni e diritti sulle due parti del confine. Nel governo dei territori la Sede pontificia, dopo la fine degli Svevi, in particolare nella prima metà del Trecento, aveva coinvolto proprio i sovrani Angioini, perciò si verificò la circolazione di milizie angioine a scopo di difesa e di controllo e, nelle cariche comunali e rettorali, di personale inquadrato negli uffici del Regno5. Inoltre, è mia intenzione mettere a confronto le scritture, corrispondenze, atti di pace dei rettori che hanno agito nello stesso periodo per il quale sono conservati i primi registri di tesoreria, con lo scopo di valutare l’efficacia dell’attività della curia provinciale.
5In seguito al trasferimento della sede pontificia ad Avignone, una serie di trasformazioni si verificano a livello di organizzazione amministrativa in tutte le terre della Chiesa. In particolare la provincia di Campagna e Marittima perde quel rapporto privilegiato con la curia papale6 e il ricambio del personale addetto ai diversi uffici della curia papale e delle curie provinciali innesca una serie di muta-menti negli uffici provinciali rispetto al periodo precedente, quando il governo della provincia era stato affidato per lo più a rettori che erano anche esponenti dell’aristocrazia romana ed avevano interessi patrimoniali nella provincia7. Durante il pontificato di Giovanni XXII (1316-1334), risultano ormai consolidati i mutamenti significativi avvenuti a livello del personale politico, venne anche perfezionato il funzionamento degli organi provinciali, inoltre la legislazione giudiziaria fu sottoposta a revisione. Un altro elemento che ha orientato la scelta di questo periodo è il fatto che per questo pontificato le fonti finanziarie offrono una serie continuata di registri e conti di tesoreria, che invece sono di gran lunga più saltuarie per i pontificati successivi8.
ARTICOLAZIONE PROVINCIALE E SCRITTURE AMMINISTRATIVE
Fonti centrali, fonti locali
6Nel periodo del Papato avignonese, a partire da Giovanni XXII, la riorganizzazione degli uffici della cancelleria centrale e delle curie provinciali comporta lo sviluppo di serie archivistiche che ampliano la tipologia delle fonti esistenti per lo studio del funzionamento degli apparati amministrativi e finanziari dello stato9. Un primo allargamento risulta proprio dai registri delle lettere di Giovanni XXII, al quale non fece difetto, né la volontà di riformare le province dello Stato ecclesiastico attraverso una più incisiva legislazione e neppure la costanza nell’indirizzare l’attività dei rettori con una fitta corrispondenza o di rivolgersi ai centri di potere periferici, sia comuni, sia signori, per comunicare le proprie disposizioni10.
7La documentazione relativa al funzionamento della curia rettorale è costituita quindi dai registri di tesoreria superstiti. I più antichi rimasti iniziano dal 1320 e, seppure conservati in maniera discontinua, costituiscono una miniera di informazioni pressoché inedite11, dal materiale di variegata tipologia raccolto all’interno della serie Collectorie e dalle sparse scritture dei rettori, dei loro vicari, dei tesorieri reperiti negli archivi dei comuni della provincia, in particolare ad Alatri, a Sezze, a Terracina e a Veroli12. Dal «censimento» della serie Introitus et Exitus e Collectorie della Camera Apostolica conservati nell’Archivio Segreto Vaticano limitatamente a questo periodo sono stati individuati ben dodici riferimenti13.
8È rimasta però soltanto una piccola parte della documentazione prodotta dalla curia provinciale, in quanto il complesso delle scritture documentarie era di gran lunga più cospicuo. Per farsene un’idea basta consultare l’elenco dei beni della curia rettorale, trasmessi dal tesoriere Petrus Laurentii al suo successore, probabilmente nel 1335 conservato nel registro Collectorie 492: oltre ai libri rationum rimastici di Pontius Augerii14, di Pietro de Durfort15 e di Folcus de Popia16, sono compresi quelli deperditi di Iohannes Rigafredi17, e quelli dello stesso Petrus Laurentii, per gli otto anni in cui aveva esercitato la carica di tesoriere della provincia. Insieme a questi vi erano 66 quater-ni continentes rationes criminales, 12 manualia sive bastarda, 67 quaterni rationes civiles, e inoltre una serie di scritture sparse, bolle e mandati pontifici, costituzioni, lettere dei rettori a signori e comuni. Un materiale ingente, verosimilmente prodotto proprio a partire dai primi anni di pontificato di Giovanni XXII, periodo che risulta fondante per l’archivio della curia provinciale, del quale dobbiamo accontentarci della sola elencazione in quanto, oltre ai registri menzionati, non mi risulta che ne siano rimasti altri18. L’organizzazione della cancelleria pontificia e la preparazione di una serie di exempla tratti dall’attività documentaria delle curie rettorali sono riprodotti nel Vat. Lat. 14751; tra le lettere riportate un certo numero erano tratte dall’epistolario dei rettori di Campagna e Marittima Guillelmus de Baleto e Gerardus de Valle19.
Articolazione della provincia
9L’organizzazione del territorio e il sistema di difesa della provincia sono conosciuti ormai attraverso diversi studi20. Sembra però opportuno concentrarci in questa sede sugli aspetti peculiari dell’inquadramento territoriale in ragione della complessa articolazione dei centri demici nel primo ventennio del Trecento, quale emerge dal primo registro di tesoreria21. Si tratta di un’articolazione che non coincide con il quadro offerto dalla Tabula Terrarum Campaniae et Maritimae degli anni 1371-1373, cioè dopo l’opera di ricostruzione del cardinale Albornoz, quando maggiore era il numero dei castelli dati in signoria, e quando, per le istituzioni comunali, si erano ancor più assottigliati gli ambiti di esercizio della propria autonomia22.
10Nel registro di tesoreria di Pontius Augerii, la documentazione riguarda per lo più le terre immediate subiectae, le quali sono disposte secondo la gerarchia dei centri demici: città vescovili (Anagni, Ferentino, Alatri, Veroli, Segni, Terracina, Velletri) e comuni (Priverno, Sezze, Cori), ai quali seguono undici castelli (Guarcino, Collepardo, Vico, Porciano, Anticoli, Ripi, Sonnino, Torrice, Bauco, Supino, Monte San Giovanni); oltre ad essi esistevano i castra specialia S. R. E (Acquapuzza, Paliano, Castro, Lariano), che invece emergono nelle nomine e nei conti dei castellani. Uno statuto particolare aveva il castello demaniale di Frosinone, dove ormai risiedeva la curia23.
11All’interno della provincia esisteva un’articolazione amministrativa più dettagliata, una circoscrizione, la vicaria in montanis, sottoposta ad un vicario, che otteneva l’ufficio in seguito a bando d’appalto, per emptionem oppure arendamentum24 (ossia per affitto), cheestendeva la sua giurisdizione sui comuni di castello della zona montuosa di Guarcino, Porciano, Vico, Collepardo e Anticoli, castel-li direttamente soggetti alla Chiesa. Il vicario in montanis amministrava la giustizia, riceveva una quota parte dei proventi giudiziari, mentre l’altra parte era riservata alla curia maiore come è specificato nello stesso registro25. Questi castelli, oltre agli oneri militari, erano tenuti a corrispondere la grascia, ossia gli approvvigionamenti alimentari per il personale della curia stessa: un tributo oneroso al quale spesso i castelli cercavano di sottrarsi e per questo erano puniti dal giudice in temporalibus26.
12In questa provincia, le entrate erano costituite dalla procuratio, dalle constitutiones27, dai censi dei beni demaniali, in particolare di Frosinone, oltre che dagli emolumenti provenienti dai notai e dal sigillo, dagli affitti dei balivi e dei castellani. Il gettito maggiore proveniva dalle multe pagate per le condanne, che nei registri sono elencate senza alcuna distinzione tra quelle a carattere politico – e quindi in seguito a processi a carico dei comuni, a carico di ribelli della Chiesa – o per danni dati, da quelle emesse dal vicario o dai giudici in spiritualibus. Queste comprendevano per lo più condanne a chierici, sia regolari sia secolari, per un reato quale il concubinato, che era ancora fortemente presente in un territorio così vicino a Roma28.
13Non risulta che i diversi comuni e i comuni di castello pagassero la tassa sul sale e neppure il focatico. Invece la partecipazione al parlamento29 e all’esercito30 costituivano gli obblighi maggiormente perseguiti, e soltanto al tempo di Urbano V all’invio di contingenti armati, soprattutto equites, verrà aggiunta una taxa, ossia un contributo pecuniario, per il mantenimento dell’esercito31.
Il peso del passato
14Il dominio diretto della Sede Apostolica si manifesta nell’amministrazione dei comuni, soprattutto nel campo della giustizia. Infatti, oltre alla riserva di un terzo delle multe alla curia pontificia, anche in comuni di una certa importanza come Ferentino, Alatri, Veroli, Segni, Cori, il tribunale comunale era affiancato da un tribunale della Chiesa a capo del quale vi era un balivus, di origine locale, che attraverso il sistema dell’affitto, otteneva dal rettore l’esercizio dell’ufficio. Il balivo, quindi, si trovava a giudicare in concorrenza con il tribunale del comune nel civile e nel criminale di primo grado. Con la costituzione Romana Mater, attraverso il principio della preventio, Bonifacio VIII era intervenuto a favore dei comuni, in quanto aveva stabilito che il diritto a giudicare competeva alla curia, del comune oppure del rettore, che per prima aveva preso cognizione del reato commesso. Si trattava di un sistema che avrebbe dovuto favorire i comuni per una maggiore presa in ambito locale32.
15Confrontando le organizzazioni dei comuni della Campagna con quelli della Marittima, vediamo che, oltre ad Anagni in Campagna, il balivo non era presente a Sezze, a Priverno, a Terracina e a Velletri, comuni della Marittima. Se Anagni e Velletri ne erano state esentate dai privilegi di Bonifacio VIII33, per gli altri comuni della Marittima, invece, è da ritenere che una quota parte dei proventi giudiziari costituisse il retaggio delle giurisdizioni signorili che i comuni non erano ancora riusciti a conseguire, che pertanto erano ancora riscosse dai signori. All’inizio del Trecento, una più matura consapevolezza dei comuni di acquisire completamente i propri diritti in materia giudiziaria scatenò sommosse e scontri tanto all’interno dei comuni tra le componenti sociali, come avvenne a Sezze in Marittima34, quanto nei confronti degli ufficiali di curia, come è testimoniato per Alatri35 e Veroli36. Azioni che comportarono la distruzione dei palazzi o delle torri della Chiesa o che erano temporaneamente residenza degli ufficiali di curia.
16Il balivus era presente anche nei comuni di castello, a Cori37, a Frosinone38, mentre nei castelli di Paliano, Acquapuzza, Anticoli, Ceprano, Castro, le rocche della Chiesa, i compiti giudiziari propri del balivus erano di competenza dei castellani, ai quali erano delegate le funzioni di governo39.
17Sede della curia era il castrum di Frosinone, ma le necessità di governo di una provincia dalla particolare conformazione geografica e le esigenze politiche e militari comportavano lo spostamento in altri comuni della sede tanto dei rettori quanto dei tesorieri e i vicari risiedevano talora a Priverno oppure ad Alatri, a Ferentino.
IL RESTAURO DEL GOVERNO PROVINCIALE SOTTO GIOVANNI XXII
Un organico ridotto al minimo
18Nella prima metà del Trecento, in Campagna e Marittima, come in tutto lo Stato della Chiesa, le tensioni e i conflitti tra l’autorità centrale e i comuni o i signori degeneravano in vere e proprie guerre. In questa provincia, in particolare non erano ancora risolti i problemi derivati dalla guerra dei Caetani con gli avversari; mentre la lontananza della curia pontificia riaccendeva le aspirazioni del baronato locale e romano di conseguire la supremazia40. Già Clemente V, oltre a nominare come ufficiali alle cariche provinciali i suoi fedeli, per lo più parenti, secondo un uso consolidato dei papi del Duecento41, aveva coinvolto nel controllo della provincia il re di Napoli Roberto d’Angiò, che fu confermato da Giovanni XXII, e perciò dal 1310 fino al 1338 vi esercitò una forma di alto controllo. Egli era il referente per il pontefice e il mediatore con le aristocrazie in diverse occasioni; ebbe la signoria di fatto su Terracina almeno dal 1308 al 1334; inviò podestà del suo seguito in molti comuni; fu costantemente tenuto informato, sia dal tesoriere sia dal rettore, della situazione della provincia. Il re Roberto intervenne di supporto al rettore per la questione tra i fratelli Giacomo e Tommaso da Ceccano, scrisse litteras inhibitorias ai baroni della provincia perché non intraprendessero guerre42, interpose inoltre la sua opera per pacificare i Caetani e i Conti. Una presenza significativa che, seppure richiesta, diventava vincolante per la Sede Apostolica. Una decisa inversione di tendenza si ebbe soltanto con Benedetto XII che vietò al re di nominare podestà nei vari comuni e di ritirare le sue guarnigioni dalla provincia43.
19Nel periodo 1314-1317 avevano condiviso il governo della provincia i fratelli Caetani (Roffredo III e Benedetto) scelti proprio da Roberto d’Angiò: i due Caetani l’avevano governata come se fosse stata data loro in signoria, senza esigere tutti i proventi o meglio non rendendone conto alla curia pontificia ad Avignone.
20Per ristabilire il controllo sulla provincia Giovanni XXII affidò gli uffici di rettore e di tesoriere a persone di provata fiducia, in genere ecclesiastici. I rettori erano suoi cappellani, di origine provenzale o della Francia meridionale, con i quali manteneva una fitta corrispondenza. Anche i tesorieri erano, per lo più, chierici di origine francese, mentre le effettive operazioni bancarie continuavano ad essere appannaggio delle compagnie bancarie toscane e, in particolare, fiorentine44.
21Una novità ancora si registra nel governo provinciale in quanto, dovendo provvedere al governo della città di Benevento e del suo distretto, il pontefice incomincia a concentrare nella stessa persona, sia il rettorato di Benevento, sia quello di Campagna e Marittima, anche se le amministrazioni restavano distinte. In ragione degli stretti rapporti con la corte napoletana, i rettori si trovavano a risiedere per lo più nel Regno. Ad esempio Guglielmo de Balieto, venne nominato dapprima rettore della città di Benevento il 1 aprile 1318, in seguito l’8 agosto 1318 rettore della provincia di Campagna e Marittima45, della quale non sembra che per quel momento avesse assunto il governo, in quanto di li a poco (il 31 ottobre 1318) fu inviato in qualità di rettore con ampi poteri Aymeric de Châtelus46. Questi però nel 1320 divenne rettore della Romagna, mentre la Campagna e Marittima rientrava sotto il saldo controllo di Guglielmo de Balieto47. Un avvicendamento repentino nel personale di curia indicativo delle difficoltà di governo delle province pontificie, nelle quali non si esitava ad inviare anche legati pontifici alfine di controllare l’attività degli stessi ufficiali48.
22La tesoreria provinciale, istituita negli anni ’80 del xiii secolo in linea con l’istituzione delle tesorerie provinciali nelle altre terre della Chiesa49, assume una funzione rilevante sotto Giovanni XXII. Da un lato il pontefice al fine di arrivare ad un controllo più stretto sugli ufficiali, ordinò ai tesorieri di tenere registri di conti separati dei quali uno doveva essere conservato dal tesoriere e l’altro inviato alla curia per i controlli50. Dall’altro, per le continuate assenze dei rettori, i tesorieri si trovavano a ricoprire anche le funzioni di vicari in temporalibus o in spiritualibus, assommando un cumulo di compiti che ne facevano i responsabili del governo. In funzione di tesorieri agirono in questo periodo Pontius Augerii, Pietro de Durfort, Fulco de Popia e Petrus Laurentii51, che avevano maturato esperienze presso la corte pontificia.
23La curia avignonese costituiva, quindi, il bacino di reclutamento del personale inviato nelle curie provinciali, con la possibilità per i nominati di costruire articolate carriere passando tra una provincia e l’altra in ruoli e funzioni diversificati52.
24In riferimento all’ordinamento provinciale, il rettore, unico dal momento che si trattava di ecclesiastici, era coadiuvato da vicari e da giudici che, a seconda dei campi loro affidati, ricoprivano gli uffici in temporalibus et in spiritualibus. Nella scelta dei vicari, operata direttamente, il rettore in carica, specialmente quando si allontanava dalla provincia, optava per personaggi di consolidata fiducia, per lo più propri parenti, ma non erano esclusi personaggi già sudditi del Regno, di origine meridionale o che erano insediati in Italia meridionale da tempo, oppure gli stessi tesorieri53. Il personale di curia non molto numeroso, fu incrementato, su richiesta del rettore Guglielmo de Baleto, di una guarnigione di 25 equites e 40 pedites54, oltre ai quali erano di stanza presso la curia non meno di trenta servientes, coordinati da un comestabularius55, circa venti cursori che percorrevano la provincia recapitando le lettere del pontefice e dei rettori, e forse altri dei quali non è possibile quantificare i numeri.
25Tra il personale di servizio presso gli uffici rettorali si trovavano tanto personaggi di origine «francese» e provenzale soprattutto per la difesa, la stessa cosa vale per i notai, mentre erano italiani i giudici, provenienti dalle terre pontificie dell’Umbria, delle Marche, del Lazio56. Una ripartizione che generava incomprensioni linguistiche e nei modi di comportamento, che arrivavano a frapporsi al regolare svolgimento della gestione amministrativa del governo provinciale.
I rettori
26Non pare possibile tracciare un compiuto profilo biografico dei rettori, tuttavia nelle sue scelte Giovanni XXII optò per personaggi che avevano esperienza di incarichi svolti in Italia negli anni precedenti alla loro nomina. Cercherò quindi di riunire le osservazioni sul loro operato a partire dalla documentazione rimasta. Dell’operato di Aymeric de Châtelus non sono rimaste tracce. Il papa gli affidò un’ampia serie di compiti e funzioni, ma nessun documento è rimasto che ne illustri l’operato; come già detto, nel luglio 1320 era rettore della Romagna57; né risulta testimoniata l’attività di Arnaud Le Roy, auditore di Camera, nominato dopo il Balieto58. Pertanto tratterò di Guglielmo de Balieto, Geraldo de Valle e Raimondo di Gramat, tre figure tra loro molto diverse, come lo sono state le relazioni con la Sede pontificia e con la curia provinciale.
27Guillelmus de Balieto, cappellano pontificio, arcidiacono di Fréjus, aveva maturato una lunga esperienza al servizio della Chiesa: collettore delle decime già alla fine del xiii secolo59, era stato legato pontificio in Lombardia dal tempo di Clemente V60. Egli iniziò l’effettiva attività in provincia nel settembre 1320, ricevendo dal pontefice al momento della nomina una serie di lettere, ciascuna delle quali dedicata ad un determinato aspetto di governo61. Era investito del recupero dei proventi, dei censi e delle multe che da anni non erano stati pagati, del controllo delle rocche e della ricostruzione di quelle cadenti. Il rettore richiese ed ottenne dal pontefice per il controllo del territorio una guardia di 25 cavalieri e 40 fanti, stipendiati con i proventi della curia62. Quanto al campo spirituale, era investito di ampi poteri, infatti oltre al controllo sull’episcopato e sul clero, poteva ricevere l’audientia causarum appellationum, proprio in quanto non vi era un vescovo metropolita63.
28Per quanto l’incarico a Benevento lo tenesse a lungo fuori della provincia, tennero le funzioni di vicario il tesoriere Pontius Augerii, il miles Riccardo de Castropignano, vicario in temporalibus, e Bartolomeo di Siponto64. Guglielmo de Balieto fu vigile nell’adempimento dei compiti: tenne relazioni con i sudditi attraverso la visita al territorio e il parlamento generale65, secondo la prassi consueta; rinnovò il personale degli uffici periferici, con i bandi per gli affitti della ballia dei comuni e dei castelli, della vicaria in montanis. Attivo nel perseguire i reati fossero di laici, di chierici o di comuni, nel comminare la pena pecuniaria, si serviva di un tariffario minuziosamente codificato, nel quale le multe erano ormai preponderanti rispetto alle pene spirituali. Dette prova di «magnanimità» procedendo a frequenti composizioni in considerazione delle condizioni economiche, tanto di laici, quanto dei comuni, già segnati dalla crisi finanziaria66. Di fatto si spostò tra un comune e l’altro per risolvere questioni di carattere giurisdizionale. Guglielmo de Balieto dispose nella Civita di Alatri una guarnigione armata per il controllo della fortezza, ordinando un trasferimento della popolazione nella parte bassa della città. Si trattava di una mossa, volta a tenere sotto il controllo un fortilizio particolarmente idoneo per la difesa, che anticipava quanto avrebbe fatto più tardi proprio Francesco da Ceccano67. Egli inoltre inviò nei comuni che affidavano al rettore l’ufficio podestarile dei vicari scelti tra lo stesso personale di curia68. Fedele rappresentante della politica pontificia in provincia, vietò ad esempio al comune di Terracina di ricevere siciliani o genovesi e di avere con essi rapporti commerciali in seguito alla rottura dei rapporti tra la Sede pontificia e il re di Sicilia, alleato allora con Genova69.
29Impegnato a risolvere gli urgenti problemi di liquidità della curia, il rettore mantenne relazioni con le compagnie bancarie toscane, in particolare i Bonaccorsi e i Mozzi, per stabilire le condizioni creditizie e i trasferimenti di capitale tra il Regno e la curia avignonese70. Giunto in età avanzata a ricoprire la carica di rettore, non vi restò a lungo, in quanto il 18 ottobre 1322 morì a Napoli. A cura del fratello Raimondo, che fu uno degli esecutori testamentari, fu fatto nella sua casa l’inventario dei beni mobili ed immobili e consegnato l’elenco delle spese del periodo del suo rettorato – un elenco ricco più di beni confiscati per svariati reati e che sarebbero stati restituiti che di immobili acquisiti. Nelle spese invece le somme più consistenti riguardavano il salario del rettore che non era stato pagato computato in ragione di 4 fiorini al giorno71. Non sembra che abbia ingrossato le fila dell’organico di curia con personaggi del suo seguito: né troppo significativo appare il numero dei messi o servientes di origine provenzale attestati durante il suo periodo soltanto 6 mentre i locali attestati sono 20.
30Gerardo de Valle o de Val, priore di San Tommaso di Montpellier, anch’egli cappellano pontificio e canonico napoletano, investito di numerosi incarichi, fu nominato contemporaneamente rettore di Campagna e Marittima e di Benevento72. Il suo periodo fu caratterizzato da più intensi conflitti. Dopo aver individuato i problemi più gravi per le condizioni della provincia attraverso la visita, convocò il parlamento provinciale a Frosinone il 1 gennaio 1324 e in seguito intraprese il restauro della rocca di Frosinone e vi stabilì una guardia armata permanente73. Non riuscendo a snidare Francesco da Ceccano dalla Civita di Alatri, nella quale aveva accolto i suoi seguaci e dava ospitalità a «sbanditi», anche di altre province, il rettore prese una decisione di grande portata, arrivando a distruggere la fortezza che si trovava nella parte alta della città74. La sua residenza nella provincia fu ancora più saltuaria di quella del predecessore. In seguito alla relazione di Guigon di Saint-Germain, il legato inviato nel 1327 dal pontefice nella provincia – che non riuscì ad incontrarlo – Gerardo de Valle venne esonerato dall’ufficio75.
31Il successore, Raimondo de Castelnau de Gramat, monaco cluniacense, priore di Paredo e abate-vescovo di Montecassino dal 1326, era parente del pontefice. Anche a lui venne affidato sia il rettorato di Campagna e Marittima sia la città di Benevento e il suo distretto76. I legami familiari, tanto in curia quanto con la famiglia Cantelmi, insieme al godimento di cariche nel Regno, permisero ad esponenti della sua famiglia il radicamento nei territori meridionali della provincia di Campagna e Marittima. Impegnato nel Regno, Raimondo de Gramat utilizzò negli uffici di curia persone fedeli e in particolare Galhardus de Gramat, forse un suo ni-pote. Già cambellanus Regni, questi divenne vicario generale in temporalibus di Campagna e Marittima, forse per tutto il periodo in cui tenne la carica Raimondo. Galhardus de Gramat intervenne nei diversi centri della provincia, che erano teatro di scontri e di ri-volte contro gli ufficiali provinciali e nelle lotte interne ai comuni, in particolare fu attento al controllo dei castelli della parte meridionale ai confini con il Regno.
32Proprio sul governo dei castelli è rimasta una testimonianza molto significativa. Al 1331 risalgono gli statuti del castello di Ripi, emanati dallo stesso vicario-rettore, che regolamentavano la vita interna del castello e stabilivano gli obblighi della comunità nei confronti della Chiesa. Si tratta di un corpo normativo organico, che riconosceva alla Chiesa la sovranità sul castello, governato da un rettore, lo stesso vicario in temporalibus, che rispondeva tanto all’universitas castri quanto al dominus77. Non se ne ha certezza, ma questo statuto potrebbe costituire l’attuazione pratica di una costituzione relativa alla gestione dei castelli della Chiesa, che verosimilmente era stata elaborata presso la curia avignonese e trasmessa al rettore della quale, purtroppo, resta soltanto la menzione nell’elenco dei libri dell’archivio della curia provinciale stilato da Pietro Laurentii78.
33La provincia non era certamente pacificata in quanto, se a livello generale la discesa di Ludovico il Bavaro riaccendeva le mai sopite questioni legate alla fedeltà imperiale, nello specifico i Conti e i Caetani tentavano in ogni modo di consolidare la supremazia sulle aree tradizionali di radicamento: Paolo Conti su Segni, e forse Cori, i Caetani, ormai distinti nei due rami, Palatini e di Fondi, su Anagni mentre non erano ancora completamente assoggettati i da Ceccano79. Dal canto loro, come già detto, i comuni si ribellavano alla consolidata prassi dei prelievi da parte del governo centrale in campo giudiziario: bersaglio di aggressioni, insulti finanche detenzioni, diventavano, sia i vicari, i tesorieri, i messi della curia rettorale, sia il clero locale che, investito di ampi privilegi, era percepito dalle popolazioni locali come espressione del potere pontificio. In particolare, il comune di Veroli arrivò a distruggere le torri e le case del vescovo Tommaso; accolse all’interno delle mura della città alcuni sbanditi di Rieti (1329); infine, nel 1333, venne ancora pesantemente punito per l’omicidio di un messo del rettore e per l’assedio del vicario nel castello di Collepardo80. Probabilmente pagata la multa, in segno di conciliazione il comune affidò l’ufficio di podestà al pontefice, che in ricompensa accordò una parte delle richieste del comune81. Anche il comune di Sezze ottenne una littera gratiosa di Giovanni XXII proprio in seguito alla relazione del rettore82.
I tesorieri
34I registri di tesoreria superstiti, per quanto non siano stati compilati secondo un medesimo ordine, costituiscono una fonte importante non solo per le entrate, l’organizzazione della provincia, i rapporti tra la curia rettorale e i comuni, ma, dando ragione del reato o delitto che aveva provocato la pena pecuniaria, offrono uno spaccato della realtà provinciale. Spicca pertanto lo stato di diffusa insubordinazione e di rivolta agli ufficiali provinciali, che dal canto loro moltiplicavano le relazioni con le realtà locali, emerge inoltre il sistema di trasmissione dei mandati e delle costituzioni pontificie, infine l’attuazione pratica delle innovazioni conseguenti alle disposizioni pontificie83.
35Le linee di fondo dell’amministrazione finanziaria risultano nettamente delineate. Se nel campo dei prelievi fiscali non si registrano novità, quanto al perseguimento dei reati, sia in campo civile sia in quello criminale, si assiste all’appesantimento del sistema di esazione delle pene. Anzitutto per una più severa legislazione giudiziaria e per la monetizzazione di pene per reati a carattere spirituale quali ad esempio il concubinato dei chierici oppure l’adulterio, trasformazioni che in fine comportavano un maggior gettito delle entrate.
36Sono soltanto tre i registri superstiti: quelli di Pontius Augerii (1320-1322), tesoriere al tempo di Guglielmo de Balieto, di Pietro de Durfort (novembre 1323 – agosto 1324)84 e di Folcus de Popia (settembre 1324-1325)85 al tempo di Gerardo de Valle. Mancano invece i registri di Pietro Laurentii per gli otto anni in cui ricoprì la carica di tesoriere durante il rettorato di Raimondo di Gramat.
37Il registro del tesoriere Pontius Augerii inaugura il nuovo corso impresso alla gestione finanziaria della provincia: recupero di tributi, censi, affitti degli anni precedenti. Vengono in primo luogo recuperati introiti e censi da tempo non pagati, ad esempio i censi per l’elezione dei pontefici, si risale addirittura ai pontefici Benedetto XI, Clemente V, fino a Giovanni XXII, oppure si rintracciano antichi censi, ai quali erano sottoposti alcuni monasteri come San Pietro di Canneto o Santa Maria di Rossilli nei pressi di Segni, che non pagava più il suo contributo da 51 anni86. Si recuperano i proventi del periodo 1314-1317, quando la carica rettorale era stata tenuta dai fratelli Caetani, è condannato per indebite appropriazioni Giovanni di Amato di Fumone, che continuava a valersi della carica di vicario in spiritualibus87. Anche nel perseguire i reati dei comuni sono riper-corse vicende di anni precedenti88.
38I libri contabili di Pietro di Durfort e di Fulco de Popia attestano tanto l’aumento delle entrate soprattutto per le pene e le composizioni in base alle costituzioni pontificie quanto l’aumento delle spese per la difesa. Non solo un primo restauro della rocca di Frosinone e di altri fortilitia della Chiesa89, secondo quanto espressamente richiesto dal pontefice90, ma anche il pesante contributo finanziario per la distruzione e in seguito la difesa della Civita di Alatri91.
39Il sistema di relazioni tra potere centrale e realtà locali era stabilito in maniera efficiente per cui ogni ingiunzione o costituzione pontificia veniva recapitata in brevi tempi, allo stesso modo messi e cursori trasmettevano le lettere del rettore e dei vicari ai diversi centri di potere della provincia, comuni, signori, castelli, oppure presso la corte di Napoli. L’applicazione dei provvedimenti contenuti nelle costituzioni pontificie si ritrova nella corrispondente sanzione ricevuta in tempi brevi92.
Innovazioni in campo giudiziario
40Ordine, finanze, giustizia, sono dunque i campi nei quali si estrinseca l’attività di restauro del controllo della curia sulla provincia.
41Nel campo giudiziario si concentrano novità di grande rilievo. Giovanni XXII emanò nel 1322 la costituzione estesa a tutte le province pontificie, che vietava di rendere giustizia senza l’approvazione del rettore e parimenti senza sua licenza si dovevano intraprendere guerre e cavalcate93. Una successiva costituzione abrogava il diritto di asilo che tanti signori esercitavano in virtù di precedenti concessioni pontificie94. Ma oltre a queste, altre costituzioni o disposizioni erano state emanate e sono rintracciabili per via indiretta nei registri contabili. In particolare avevano per oggetto la procedura che poteva essere iniziata per accusa e denuncia pubblica95 e il bando per contumacia che aveva valore di condanna definitiva96. Ed ancora l’obbligo di denuncia degli usurpatori dei beni e diritti della Chiesa, e quindi non soltanto l’ingiunzione ai signori di restituire i beni della Chiesa come risulta dai mandati pontifici del 132197. Sono elementi che permettono di assegnare agli anni venti del Trecento alcune procedure utilizzate in periodo successivo. Giorgio Falco aveva individuato nella procedura seguita nel processo del 1341-1342 a carico di Nicola Caetani una serie di innovazioni derivanti da precisi regolamenti pontifici o costituzioni rettorali proprio per gli aspetti qui segnalati. Ragionevolmente si può quindi ritenere che risalissero agli anni 1320-1325, quando incisivo e capillare era stato l’intervento di Giovanni XXII nei problemi di governo delle province ed, in particolare, la provincia di Campagna e Marittima era stata governata da un rettore attento come Guglielmo de Baleto.
42Si tratta di un complesso di provvedimenti che, regolando in maniera più dettagliata il sistema giudiziario e ampliando il numero dei reati e quindi il raggio delle competenze dei giudici e dei rettori, comportava un aumento delle entrate soprattutto per le voci relative alle compositiones. Va, inoltre, sottolineato che con tali provvedimenti veniva rafforzata l’autorità dei rettori e dei giudici in ambito provinciale, assegnando ad essi un potere assolutamente non previsto nella precedente legislazione, in contrasto con l’azione politica di Bonifacio VIII, che invece aveva favorito le istituzioni comunali contro gli abusi degli ufficiali provinciali. Erano i tentativi di Giovanni XXII di ristabilire il controllo sulla provincia attraverso un potenziamento dei poteri dei rettori, tanto per le condizioni della provincia quanto per la lontananza della Sede Apostolica. Dal canto suo, il tesoriere continuava a consolidare quel ruolo di primo piano che già Bonifacio VIII aveva cominciato ad attribuirgli98.
43Uno dei fenomeni che colpisce nell’attività della curia provinciale e nella vita dei comuni è la moltiplicazione della corrispondenza, prodotta nelle diverse branche degli uffici di curia per mantenere costanti relazioni con Avignone, con la corte di Napoli, e con i comuni, in altre parole diventa concreta la burocratizzazione degli apparati amministrativi provinciali. Un processo di burocratizzazione che investe a diversi livelli gli organi provinciali ma ha riflessi di notevoli proporzioni nelle cancellerie dei comuni, con una decisa accelerazione dell’attività cancelleresca, e con nuove articolazioni negli uffici e nelle competenze dei notai. Ad ogni ingiunzione o processo del rettore faceva seguito una densa attività nel comune che si estrinsecava in diverse fasi: convocazione dei consigli per informare e scegliere gli inviati, per decidere il modo di reperire i fondi nel caso di multe pesanti, ed ancora per la nomina dei procuratori o sindaci per arrivare alla stipulazione dell’atto di affitto per lo più di beni comuni, il cui ricavato serviva a pagare la multa al rettore99, atti che si distinguono per l’eccessiva lunghezza del formulario e la ripetizione di formule e perciò con una dilatazione della produzione documentaria.
44Rinviando ad un successivo lavoro il bilancio finanziario della curia rettorale, l’analisi delle fonti esaminate se da un lato conferma un dato già conosciuto, cioè il rafforzamento del controllo sulle istituzioni provinciali impresso dalla politica di Giovanni XXII e la sua costante attenzione ai problemi dello Stato, per questa provincia non sembra di poter concordare con Daniel Waley che giudica un fallimento il suo operato100. Relativamente alla provincia di Campagna e Marittima risulta meglio delineato il sistema di relazioni coordinato tra pontefice e curia rettorale. Quanto all’organizzazione della provincia un elemento nuovo è costituito dall’aver rintracciato un’articolazione amministrativa della quale non si era a conoscenza, la vicaria in montanis, certamente già esistente, ma solo in questo periodo attestata con funzioni, organi e personale. Quanto alla sua istituzione potrebbe risalire ad un progetto complessivo di organizzazione di tutte le province pontificie per raggiungere un controllo capillare del territorio. Infatti circoscrizioni o sottoprovince si trovano, sia nel Ducato di Spoleto, sia nella Marca sia in Romagna e sono molto meglio conosciute per una documentazione più abbondante101.
Notes de bas de page
1 Non vi sono riferimenti all’azione di Giovanni XXII per i territori papali nella voce dedicata a questo pontefice nel Dizionario biografico degli Italiani, 55, 2000, p. 611-621, e, sulla Campagna e Marittima neppure, nella, peraltro stimolante, trattazione di D. Waley, Lo Stato papale dal periodo feudale a Martino V, in Comuni e signorie nell’Italia nord-orientale e centrale: Lazio, Umbria e Marche, Lucca, Torino, 1987, in G. Galasso (ed.), Storia d’Italia, VII/2, p. 279-288; sull’intero periodo, vedi G. Mollat, Les papes d’Avignon (1305-1378), Parigi, 1965 e le note successive.
2 La storiografia sulla provincia non è molto abbondante, va anzitutto ricor dato Giorgio Falco, che, negli anni venti del xx secolo, ha dedicato ai comuni di Campagna e Marittima studi ancora fondamentali per ripercorrere le intricate vicende della provincia, nei quali però il momento storico prevale su una complessiva riflessione sul funzionamento degli apparati di governo, gli studi oggi sono raccolti in: G. Falco, Studi sulla storia del Lazio, Roma, 1988. I più importanti per questo lavoro sono: I comuni della Campagna e della Marittima nel Medioevo, p. 418-690 e Costituzioni preegidiane per la Tuscia e per la Campagna e Marittima, p. 691-704; P. Toubert, Les structures du Latium méridionale et la Sabine du ixe à la fin du xiie siècle, Roma, 1973 (BEFAR, 221). Per la costituzione dello Stato della Chiesa: D. Waley, The papal State in the Thirteenth Century, Londra, 1961, e Id., Lo Stato papale... cit.; P. Partner, The Lands of Saint Peter. The Papal Sate in the Middle Ages and the Early Renaissance, Londra, 1972. Incentrati sulle relazioni tra il governo centrale e le realtà locali sono gli studi di Giuseppe Ermini su diversi aspetti, sovranità pontificia, rettori, parlamenti, comuni; inoltre ha pubblicato la Tabula Terrarum Campaniae et Maritimae, un documento composto negli anni ’72-73 del Trecento, che fornisce il quadro dell’organizzazione della provincia e dell’amministrazione pontificia quali risultano dopo la riforma dell’Albornoz, sono oggi raccolti in G. Ermini, Scritti storico-giuridici, O. Capitani, E. Menestò edd., Spoleto, 1997; J.-C. Maire Vigueur, Comuni e signorie in Umbria Marche e Lazio, in Comuni e signorie... cit., p. 323-606; Id., Nobiltà e popolo nei comuni del Lazio meridionale, in Il Lazio meridionale tra Papato e Impero al tempo di Enrico VI, Roma, 1991, p. 203-213; Id., Forme e strumenti della presenza imperiale nel Lazio meridionale, in Il Sud del Patrimonium Sancti Petri al confine del Regnum nei primi trent’anni del Duecento. Due realtà a confronto, Città di Castello, 1997, p. 53-68.
3 Sulla geografia diocesana del Lazio, vedi A. Sennis, Un territorio da ricomporre: il Lazio tra i secoli iv e xiv, in Atlante storico-politico del Lazio, Roma-Bari, 1996, p. 30-62. Per un primo approccio sui castelli della Chiesa, vedi A. Lanconelli, Autonomie comunali e potere centrale nel Lazio, in R. Dondarini (ed.), La libertà di decidere. Realtà e parvenze di autonomia nella normativa locale del Medioevo, Cento, 1995, p. 83-101.
4 Sulle relazioni tra il Papato e i comuni del Patrimonio della Chiesa: E. Petrucci, Innocenzo III e i comuni dello Stato della Chiesa, in Società e istituzioni dell’Italia comunale: l’esempio di Perugia (secoli xii-xiv), Perugia, 1988, p. 91-135; M. T. Caciorgna, La politica di Innocenzo III nel Lazio, in A. Sommerlechner (ed.), Innocenzo III. Urbs et Orbis, 2 vol., Roma, 2003, I, p. 691-726; S. Carocci (ed.), Le città papali. L’itineranza nel Lazio della Curia romana nel secolo xiii, Roma, 2003, vedi anche le note successive.
5 M. T. Caciorgna, Marittima medievale. Territori, società, poteri, Roma, 1996, p. 6 e sg.; Ead., Questioni di confine: poteri e giurisdizioni tra Stato della Chiesa e Regno, in Il Sud del Patrimonium Sancti Petri... cit., p. 69-90; Ead., L’influenza angioina in Italia. Gli ufficiali nominati a Roma e nel Lazio, dans Mélanges de l’École française de Rome-Moyen Âge, 102/1, 1995, p. 172-206.
6 Sui rapporti dei pontefici con i comuni del Lazio nel Duecento: M. T. Caciorgna, Itineranza pontificia e ceti dirigenti locali, in Le città papali... cit., p. 177210; P. Scaccia Scarafoni, I fondi archivistici medievali conservati in Veroli e il fondo notarile di Veroli nell’Archivio di Stato di Frosinone. Elementi per la storia patrimoniale della curia, in A. Cortonesi, G. Giammaria (a cura di), Terra e lavoro nel Lazio meridionale, Roma-Bari, 1999, p. 146-157.
7 Sui rettori, oltre agli studi di G. Ermini, vedi M. T. Caciorgna, I ceti nobiliari romani e gli apparati amministrativi dello Stato della Chiesa, in S. Carocci (ed.), La nobiltà romana nel Medio Evo, Roma, 2006 (Collection de l’École française de Rome, 359), p. 263-278.
8 La perdita di una parte abbondante della documentazione dell’archivio della curia provinciale, che si trovava allora a Ferentino, deve essere avvenuta nel 1366, anno in cui una violenta ribellione contro la curia del rettore aveva comportato l’incendio della sede dove era conservato l’archivio (G. Falco, I comuni della Campagna e della Marittima, in Id., Studi sulla storia... cit., p. 642-644). Anche per altre province dello Stato della Chiesa nel caso di ribellioni si è verificata la distruzione degli archivi delle curie provinciali con la conseguente dispersione della documentazione prodotta (M. T. Caciorgna, I ceti nobiliari... cit., p. 275-276).
9 Sulla moltiplicazione delle fonti finanziarie del periodo avignonese, che comportano l’ampliamento delle tipologie documentarie, vedi F. Piola Caselli, L’espansione delle fonti finanziarie della Chiesa nel xiv secolo, in Archivio della Società romana di storia patria, 110, 1987, p. 63-98. Per quanto riguarda lo Stato della Chiesa sono stati intrapresi studi sulle tesorerie provinciali nell’ambito del progetto di ricerca « Noi delle terre della Chiesa », coordinato da Maria Grazia Nico, di cui si hanno i primi risultati per la Romagna, le Marche e il Ducato di Spoleto: Ut bene regantur. Politica e amministrazione periferica nello Stato ecclesiastico, in Archivi per la storia, 2, sett.-dic. 2000.
10 Sono 16 i volumi di lettere per un pontificato in verità lungo ben 18 anni: G. Mollat, Lettres communes analysées d’après les registres dits d’Avignon et du Vatican, Parigi, 1904-1946.
11 A tutt’oggi non ci sono studi specifici sulle finanze della provincia: i registri di tesoreria sono stati oggetto di indagini parziali in relazione ad argomenti circoscritti quali i lavori nella rocca di Frosinone: A Cortonesi, Un restauro trecentesco della rocca di Frosinone (Archivio Vaticano, Introitus et Exitus 121), in Latium. Rivista di studi storici, 1, 1984, p. 5-51; Id., Il lavoro edile nel Lazio campanino: Frosinone, cantiere della Rocca, a. 1332, in A. Lanconelli e I. Ait (ed.), Maestranze e lavori edili a Roma e nel Lazio. Lavoro, tecniche, materiali nei secoli xiiixv, Manziana (Roma), 2002, p. 55-83; oppure sulla Civita di Alatri: E. De Minicis, L’acropoli di Alatri tra xi e xiv secolo: un quartiere fortificato al centro della città, in Scritti in onore di Filippo Caraffa, Anagni, 1986 (Biblioteca di Latium, 2), p. 235-254. Lo studio completo dei primi registri è stato affrontato nella tesi di laurea di D. Trecca, Lo Stato della Chiesa all’inizio del xiv secolo: uffici e ufficiali di Campagna e Marittima, Fac. di Lettere Università di Roma 3, 2002-2003. A questo lavoro, utilissimo per i dati, rinvio per ulteriori approfondimenti.
12 Non sono rimaste lettere per la capitale della provincia, cioè Anagni.
13 ASV, Intr. et Ex. 39, fol. 57-99 (1320-1322); Intr. et Ex. 69, fol. 134-190 (1324-1326); Intr. et Ex. 121, fol. 2-31 (1332-1335), il registro è descritto e utilizzato da A. Cortonesi, Un restauro trecentesco... cit.; Collect. 127, fol. 1-302 (decime 1328-1329); Collect. 174, fol. 42-82; Collect. 351 (documenti che riguardano l’occupazione da parte del rettore della Civita di Alatri, per cui vedi E. De Minicis, L’acropoli di Alatri... cit.); Collect. 378, fol. 187-198 (Summa expensarum tempore G. de Balaeto); Intr. et Ex. 139 (processo contro Geraldo de Valle 1338-1339); Collect. 61, 62 e 63 (si tratta di volumi miscellanei riguardanti il rettorato di Benevento, ma dal momento che uno stesso rettore ricopriva entrambe le cariche, molti documenti interessano la provincia di Campagna e Marittima); Collect. 492, fol. 4-9.
14 Cioè l’Intr. et Ex. 39, fol. 57-99.
15 Cioè il Collect. 174, fol. 42-82.
16 Cioè l’Intr. et Ex. 69, fol. 134-190.
17 Iohannes Rigafredi, archidiaconus Beneventanus, thesaurarius generalis cu riae nel 1327, morì nel 1328, mentre ancora teneva la carica di tesoriere di Campagna e Marittima (M. T. Caciorgna, Le pergamene di Sezze (1181-1348), Roma, 1989, p. 422).
18 Il tesoriere Petrus Laurentii, canonicus Beneventanus, tesaurarius generalis curiae, successore di Iohannes Rigafredi, fu sostituito in questo incarico da Benedetto XII nel 1335, proprio in quella occasione fu compilato l’inventario per la trasmissione dei beni della curia. Lo stesso Pietro Laurentii fu nominato dallo stesso pontefice in seguito altararius Sancti Petri e capo dell’amministrazione delle finanze pontificie a Roma. Sotto il suo controllo si svolsero i lavori di sistemazione e rifacimento del tetto della Basilica Vaticana e dei palazzi papali (I. Ait, Il manuale expensarum Basilice Sancti Petri 1339-1341. Contributo per lo studio del salariato edile a Roma nel Trecento, in Maestranze e lavori edili a Roma e nel Lazio... cit., p. 19-37).
19 A. Paravicini Bagliani, Eine Briefsammlung für Rektoren des Kirchenstaates (1250-1320), in Deutches Archiv für Erfoschung des Mittelalters, 35, 1979, p. 138-208. Oltre alle lettere numeri 5, 25, 96, 97, individuate da A. Paravicini, anche i numeri 15, 33, 34, 37, 39, 47 e 71 sono da ascrivere allo stesso periodo e allo stesso rettore Gulielmus de Baleto.
20 D. Waley, The Papal State... cit., p. 91-124. Per le strutture edilizie dei castelli: D. Fiorani, Tecniche costruttive murarie medievali. Il Lazio meridionale, Roma, 1996; G. Giammaria (ed.), Castelli del Lazio meridionale, Roma-Bari, 1998; D. Esposito, Tecniche costruttive murarie medievali. Murature « a tufelli » in area romana, Roma, 1998.
21 ASV, Intr. et Ex. 39, fol. 57-99.
22 G. Ermini, Le relazioni dei comuni... cit., p. 177.
23 Si tratta di un castello del quale la Chiesa aveva il possesso diretto, asse gnato ad una consorteria locale nell’xi secolo, la concessione fu rinnovata nel 1206-1207 da Innocenzo III, quando si dividevano il dominio quarantotto vassal-li (S. Carocci, La signoria rurale nel Lazio (secoli xii e xiii), in A. Spicciani, C. Violante (ed.), La signoria rurale nel Medioevo italiano, 2000, p. 168-198). Nei registri consultati risultano soltanto 32 censi da parte dei vassalli di Frosinone che inducono a ritenere che si fosse verificata una contrazione dei vassalli per accorpamento di fondi e quindi dei censi, ma non se ne ha certezza. Il castello era in questo periodo amministrato da un vicario e da un camerario che rispondeva del pagamento dei censi. La residenza della curia a Frosinone si era concretizzata nella seconda metà del xiii secolo, quando il rettore aveva iniziato ad acquistare sedimina e casalina per gli edifici della curia (M. T. Caciorgna, Il governo di Campagna e Marittima. Elementi per lo studio del rettorato provinciale a Ferentino nel xiii secolo, in Statuti e ricerca storica. Atti del Convegno di Ferentino, Ferentino, 1991, p. 143-160; A. Cortonesi, Il lavoro edile nel Lazio campanino... cit., p. 35-38).
24 Un unico riferimento a terre in montanis è contenuto nella costituzione Romana Mater di Bonifacio VIII. Per il Ducato di Spoleto dove è attestata un’analoga circoscrizione, vedi C. Reydellet-Guttinger, L’administration pontificale dans le Duché de Spolète (1305-1352), Firenze, 1975, p. 19-20. Nel registro di Pontius Augerii il termine usato è proprio emptio, mentre Folcus de Popia adopera già arendamentum, termine che sarebbe divenuto usuale.
25 La curia del vicario in montanis si componeva inoltre di un giudice, un notaio e un limitato numero di servientes (ASV, Intr. et Ex. 39, fol. 80r).
26 Ibid., fol. 81r e v.
27 La procuratio, tassa imposta ai comuni, ai vescovi e ai castelli, era percepita all’arrivo di un nuovo rettore, computata in ragione della gerarchia dei centri demici: per i vescovi era uniforme in ragione di 3 lire ciascuno, soltanto il vescovo di Anagni pagava una cifra superiore di 5 lire. La tassa constitutiones in effetti era percepita al momento del parlamento, per la pubblicazione delle costituzioni del pontefice e dei rettori.
28 Bonifacio VIII aveva indirizzato una lettera al vicario spirituale della provincia di Campagna e Marittima con l’intento di vigilare su questo reato. Non vi sono fonti per stabilire se già allora la pena avesse un corrispettivo pecuniario, mentre al tempo di Giovanni XXII la monetizzazione del reato è compiuta. L’entità della multa non è molto elevata, andava da un minimo di due fiorini fino a 10 fiorini per ciascuno, talvolta ridotti in ragione delle condizioni economiche.
29 Da una lettera di Guglielmus de Baleto, probabilmente del 1320, di convocazione al parlamento che si sarebbe tenuto l’11 novembre presso Frosinone, risulta che la rappresentanza dei comuni doveva essere costituita dal podestà unacum sollempnibus ambasciatoribus et sufficienti syndico terre vestre (A. Paravicini Bagliani, Eine Briefsammlung... cit., n. 33). Sappiamo che al parlamento del 1324 convocato da Gerardo de Valle avevano partecipato al banchetto conclusivo della seduta 450 persone (A. Theiner, Codex diplomaticus dominii temporalis S. Sedis, Roma, 1861, I, n. 707, p. 524 e sgg).
30 Sia i comuni che i castelli erano tenuti a fornire un contingente di milites o equites e di pedites proporzionale all’entità numerica degli abitanti.
31 G. Falco, I comuni... cit., p. 648.
32 Sulle competenze del balivus, vedi A. Lanconelli, Autonomie comunali... cit., p. 83-101.
33 Sulle relazioni di Bonifacio VIII con i comuni M. T. Caciorgna, Le relazioni di Bonifacio VIII con i comuni dello Stato della Chiesa, in Bonifacio VIII. Ideologia e azione politica (Atti del convegno organizzato nell’ambito delle Celebrazioni per il VII Centenario della morte, Città del Vaticano-Roma 26-28 aprile 2004), Roma, 2006, p. 379-398.
34 Rientrano nello stesso movimento tanto gli scontri nel comune di Sezze che si intensificano dagli anni 1320-1321 fino al 1332-1333, quanto le azioni ad Alatri per tutto il lungo periodo 1320-1330 e a Veroli. Per Sezze vedi M. T. Caciorgna, Marittima medioevale... cit., p. 284-293, v. note seguenti.
35 Ad Alatri le controversie tra il comune e gli ufficiali pontifici datano dalla fine del XIII (G. Falco, I comuni... cit., p. 552). Una crisi economica si registra nel 1320 e per pagare una forte multa al rettore il podestà Iacobus Malfetani di Traetto, nominato da Roberto d’Angiò, decide di concedere in enfiteusi alcuni beni comuni (Biblioteca Vallicelliana, Fototeca Toubert, 434-435). I pagamenti effettuati dal comune di Alatri alla curia negli anni 1320-1325 riguardano sia le multe sia il contributo alla custodia della Civita (ASV, Intr. et Ex. 39, fol. 75v-76r).
36 Per Veroli, vedi più avanti e nota 66.
37 La vicenda storica di Cori è mal conosciuta. Stando alle notizie che la tradizione storica tramanda Cori in questo periodo dovrebbe essere entrata al pari di Velletri nel distretto del comune di Roma, ma proprio i dati emersi dai registri di tesoreria fanno ritenere invece che si trattasse di un comune direttamente dipendente dalla Camera Apostolica e sottoposto agli stessi oneri delle terre immediate subiectae, infatti oltre alla presenza di un balivus, il comune contribuiva all’esercito della Chiesa in ragione di 25 pedites, era retto da un vicarius o podestà e tale ufficio fu affidato a Paolo Conti nel 1318 che lo mantenne fino al 1327 quando Roberto d’Angiò con un arbitrato decise che la città fosse rimessa nelle sue mani, ma il Conti riuscì a farsi concedere dai cittadini il governo e il dominio che durò fino al 1331 quando furono scacciati da una sommossa dei cittadini (Falco, I comuni... cit., p. 592).
38 Sul regime del castello di Frosinone, vedi supra nota 28.
39 Tra gli atti della curia elencati da Pietro Laurentii si trovava anche una bulla super ordinatione castellorum (ASV, Collect. 492, f. 8), che sarebbe stata illuminante per comprendere la gestione dei castelli, che resta uno degli aspetti me-no documentati dell’organizzazione pontificia nella provincia, vedi più avanti.
40 M. T. Caciorgna, Itineranza pontificia e ceti dirigenti locali... cit., p. 178 e sg.; P. Scaccia Scarafoni, I fondi archivistici medievali conservati in Veroli... cit., p. 155.
41 Sulle nomine dei rettori nel secolo xiii, M. T. Caciorgna, I ceti nobiliari ro mani... cit.
42 ASV, Intr. et Ex. 69, fol. 164v.
43 G. Falco, I comuni... cit., p. 582-585; M. T. Caciorgna, L’influenza angioi na... cit., p. 195 e sg; Ead., Ufficiali forestieri nel Lazio, in J.-C. Maire Vigueur (ed.), I podestà dell’Italia comunale. I. Reclutamento e circolazione degli ufficiali forestieri (fine xii sec.-metà xiv sec.), Roma, 2000 (Collection de l’École française de Rome, 268; Nuovi studi storici dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo, 51), II, p. 815-845.
44 Sulle finanze in epoca avignonese: Y. Renouard, Les relations des papes d’Avignon et des compagnies commerciales et bancaires de 1316 à 1378, Parigi, 1941 (BEFAR, 151) e F. Piola Caselli, L’espansione delle fonti finanziarie... cit.
45 G. Mollat, Lettres communes... cit., n. 8175 e 8314.
46 Oltre all’ufficio di rettore con competenza sia in temporalibus che in spiritualibus sulla provincia e quindi sul regime dei castelli, Giovanni XXII affidò ad Aymeric de Châtelus anche il regimen castri Ariciae e lo incaricò di revocare le alienazioni dei beni pontifici operate dai precedenti rettori e di ricevere le rationes da parte di Giovanni di Amato di Fumone, vicario in spiritualibus al tempo dei Caetani (Ibid., nn. 10055-10066).
47 Ibid., nn. 12151-12159.
48 Giovanni XXII inviò dapprima Guigon de Saint-Germain (1327-1328) esuccessivamente Bertrand du Pouget. Sulle trasformazioni delle funzioni e il ruolo dei legati vedi A. Gardi, Il mutamento di un ruolo: i legati nell’amministrazione interna dello Stato pontificio dal xiv al xvii secolo, in A. Jamme, O. Poncet (ed.), Offices et Papauté (xive-xviie siècle). Charges, hommes, destins, Roma, 2005 (Collection de l’École française de Rome, 334), p. 371-437.
49 Sull’istituzione della tesoreria, va rettificato quanto scritto da D. Waley (The Papal State... cit., p. 107) che in questa provincia i tesorieri fossero presenti soltanto nel xiv secolo, in quanto un tesoriere provinciale agiva al tempo di Martino IV (ASV, Reg. Vat. 42, fol. 112r-v) . Sui tesorieri della Marca v. F. Pirani, L’evoluzione di una funzione amministrativa: i tesorieri della Marca nel secolo xiii, in Ut bene regantur... cit., p. 111-130.
50 D. Waley, Lo Stato papale... cit., p. 285.
51 Pontius Augerii, prepositus di Apt, nominato tesoriere di Campagna e Marittima dal gennaio 1321, ricoprì anche la carica di vicario in spiritualibus, morì nel 1323 mentre era ancora in servizio (G. Mollat, Lettres communes... cit., n. 18612). A lui succedette il suo vicetesoriere Pietro de Durfort, clericus Lemovicensis, che operò dal 2 novembre 1323 al 4 febbraio 1324; agì insieme a lui Iohannes Guirandonis (ASV, Intr. et Ex. 69, fol. 159v.). Fulco de Popia, arciprete di Pestillac nella chiesa di Cahors, fu nominato il 7 gennaio 1324, ma arrivò nella provincia il 4 marzo, giorno dell’inizio del suo registro (ibid., fol. 134); in seguito fu trasferito in qualità di rettore nella Marchia.
52 Americo di Châtelus fu in seguito rettore della Romagna (A. Theiner, Codex diplomaticus... cit., n° 670 e sgg.) e Fulcone de Popia, rettore della Marca Anconetana, come già detto; Petrus Laurentii, fino al 1335 tesoriere di Campagna e Marittima, è stato in seguito altararius S. Petri e tesoriere della Basilica Vaticana (I. Ait, Il manuale expensarum... cit., p. 19-37).
53 Ad esempio il miles Riccardo di Castropignano (CB) fu vicario in temporalibus mentre Pontius lo era in spiritualibus cioè nel 1321 e 1322 (M. T. Caciorgna, Le pergamene di Sezze (1181-1348)... cit., p. 371).
54 A. Theiner, Codex diplomaticus... cit., n° 677 e 678, p. 509-510.
55 Manetto, con tutta probabilità « francese » è ricordato come comestabulario (ASV, Intr. et Ex. 69, fol. 167), un termine che indica una funzione di coordinamento del personale di servizio presso la curia.
56 Nel periodo settembre 1323-agosto 1324, un’intensa attività di corrieri e ambasciatori fu svolta da Petrus de Rocabruna, Guillelmus de Narbona, Iohannes Ville Nove, Iohannes Provincialis, Manettus, constabularius, Divotus de Bordeaux e Brunettus, molti di più sono i nomi di cursori e servientes di origine locale, soprattutto di Fumone, Frosinone, Torrice, Alatri, Ferentino. Diversi notai erano di origine « francese », tra i quali Bartolomeo de Luganhaco che svolse anche funzioni vicariali in assenza del tesoriere recatosi a Napoli; ma per lo più reclutati da paesi vicini (Alatri, Ferentino, Fumone) erano i notai utilizzati quali ambasciatori. Dall’Umbria proveniva il giudice Francesco da Perugia e il vicario in montanis, Francesco di Mevania (Bevagna), che ricoprì anche la carica di vicario di Segni, mentre il vicario in montanis Gerardus de la Faiola ritengo che fosse francese.
57 A. Theiner, Codex diplomaticus... cit., n° 655, p. 495.
58 La lettera di nomina di Arnaud Le Roy risale al 13 luglio 1323 (B. Guillemain, La cour pontificale d’Avignon (1309-1376), Parigi, 1962 (BEFAR, 201), p. 353), non sembra però che sia mai giunto in provincia, non è mai attestato. In funzione di vicario in temporalibus et in spiritualibus, oltre che di tesoriere, il 1 agosto 1323, è attestato Pontius Augerii (M. T. Caciorgna, Le pergamene di Sezze (1181-1348)... cit., n. 122).
59 In una lettera del 25 settembre 1316, Giovanni XXII rinnovando la carica di collettore delle decime a Guglielmo de Baleto, ricorda che aveva svolto lo stesso incarico al tempo di Gregorio X, di Niccolò IV, di Bonifacio VIII e di Clemente V (G. Mollat, Lettres communes... cit., n. 4905).
60 Forse in qualità di esecutore testamentario aveva depositato, nel 1308, presso il capitolo di Padova un gruppo di libri appartenuti al defunto patriarca di Aquileia, Pietro († 19 febbraio 1301), in seguito aveva collaborato al recupero del tesoro pontificio, e consegnato al vescovo di Padova bona et res della Chiesa, che il vescovo aveva poi consegnato al cardinale camerario il 7 novembre 1317 (G. Battelli, In margine all’attentato di Anagni: sulla sorte dell’Archivio pontificio, in Scritti in onore di Filippo Caraffa... cit., p. 254-265, in particolare p. 263).
61 Sulle lettere di nomina degli ufficiali preposti agli uffici temporali vedi ora A. Jamme, Les contradictions du service pontifical. Procédures de nomination et raisons de l’office à travers la correspondance des papes et de leurs vicaires généraux, in Offices et Papauté... cit., p. 29-92.
62 G. Mollat, Lettres communes... cit., n° 12151-12159; A. Theiner, Codex diplomaticus... cit., n° I, n° 676-678. Le lettere pontificie sono datate d’Avignone il 4 giugno. Ma secondo un’annotazione aggiunta al resoconto delle spese del rettore dopo la sua morte, egli avrebbe ricevuto la corrispondenza a Napoli solo il primo settembre, il che farebbe ritenere che occorressero quasi tre mesi per raggiungere Napoli. Ritengo che siano state recapitate in quel giorno in quanto era la data di inizio dell’ufficio. Comunque i tempi di percorrenza da Avignone alla sede del rettore nella provincia di Campagna e Marittima si aggiravano intorno ai due me-si come è dato riscontrare dalle date delle lettere per l’incarico spedite da Avignone alla data di arrivo del tesoriere. Folcus de Popia era partito da Avignone il 7 gennaio ma aveva iniziato la sua attività di tesoriere il 4 marzo (ASV, Intr. et Ex. 69, fol. 134).
63 G. Mollat, Lettres communes... cit., n° 16166.
64 Pontius Augerii deve aver assolto i compiti di tesoriere e di vicario, sia in temporalibus, sia in spiritualibus. Ma sono testimoniati anche vicari in temporalibus laici. Ad esempio nel febbraio 1321, vicario in temporalibus è il miles Riccardo di Castropignano (M. T. Caciorgna, Le pergamene di Sezze (1181-1348)... cit., n 116, 117, 121); Bartolomeo di Siponto aveva ricoperto l’ufficio di vicario dal settembre 1321 al giugno 1322 (ASV, Intr. et Ex. 69, fol. 74).
65 A. Paravicini Bagliani, Eine Briefsammlung... cit., p. 162.
66 Il pagamento delle multe al rettore è ricordato molto spesso negli atti comunali come causa della necessità di affittare i beni comunali, sui quali ormai anche in Campagna e Marittima i regimi a carattere popolare vegliavano attenta-mente. Oltre agli esempi di Sezze (M. T. Caciorgna, Marittima medievale... cit., p. 177-178), un eloquente esempio è offerto dal comune di Alatri. Una pergamena dell’archivio comunale contiene due atti del 9 marzo 1320. Nel primo il podestà Jacobus Malfetani bandisce un’asta pubblica per dare in concessione enfiteutica perpetua alcune terre et silve inculte. Nel secondo lo stesso podestà stipula il contratto di enfiteusi ottenendo come prezzo di entratura 100 fiorini d’oro, che sarebbero serviti per pagare la multa al rettore (Archivio comunale di Alatri, 25 (già 65), segnalato da A. Mercantini, I contratti agrari negli archivi di Alatri, Casamari, Ferentino, Guarcino, Trisulti e Veroli. Note per una rassegna, in Terra e lavoro nel Lazio meridionale... cit., p. 59 e 68-69.
67 De toto tempore quo fuit curiae in Alatro, avvenuta nel mese di agosto (ASV, Intr. et Ex. 39, fol. 68v; G. Falco, I comuni... cit., p. 590); vedi più avanti la distruzione della Civita da parte di Gerardo de Valle.
68 Iohanninus de Gogiis di Parma, legato agli Angioini, ricoprì diversi incarichi al servizio della curia, in qualità di vicario in montanis, di capitano dell’esercito, di podestà a Sezze nel 1321, di vicario a Segni.
69 La lettera, spedita da Napoli, si trova in BAV, Vat. Lat. 12632, fol. 144r-v.; sulla questione siciliana, vedi G. Tabacco, La casa di Francia nell’azione politica di papa Giovanni XXII, Roma, 1953, p. 270.
70 Per questo incontro a Napoli e altri patti con le società fiorentine, vedi ASV, Collect. 63, fol. 58r, 60r.
71 Va quindi sottolineato che il registro Intr. et Ex. 39 del tesoriere Pontius Augerii, incompleto in quanto privo dell’elenco delle spese e dei pagamenti degli stipendi al rettore, deve essere integrato con la Summa expensarum tempore Guillelmi de Baleto rectoris Campaniae et Maritimae in ASV, Collect. 378, fol. 187-198, nel quale a fol. 191 è annotato: Item sciendum est quod dicto domino Guillelmo, provinciarum Campaniae et Maritime rectori, debentur stipendia duorum annorum unius mensi et decem et novem dierum, pro regimine ipsarum provinciarum qui inceperunt anno Domini MCCCXX die prima mensis septembris, quo die fuerit predicto domino rectori dicti regiminis lectere Neapoli presentate, et terminarunt anno Domini MCCCXXII die XVIIII mensis octubris, quo die obiit dictus rector, que stipendia summant florenos aureos IIImCXLI, computando pro die qualibet florenos quatuor. Dopo la sua morte il pontefice procedette a ridistribuire i suoi benefici (G. Mollat, Lettres communes... cit., n° 16683, 16789, 16792, 16868, 16869, 17150).
72 Come già detto, immediato successore di Guglielmo de Baleto era stato Arnaud le Roy, uditore, ma non è rimasta traccia del suo operato nella provincia. Gerardus de Valle dovrebbe essere parente di Gasbert de Val, il camerario della curia di Avignone che aveva intrapreso l’opera riformatrice dei servizi economici (F. Piola Caselli, L’espansione delle fonti finanziarie... cit., p. 64 e sg). L’atto di no-mina di Gerardo de Valle è in G. Mollat, Lettres communes... cit., n° 17725.
73 ASV, Intr. et Ex. 69, fol. 175r-177r. Sul restauro e la difesa della rocca di Frosinone vedi A. Cortonesi, Il lavoro edile... cit., p. 55-82, che prende in esame i lavori effettuati nel 1323 e il restauro complessivo del 1332 sulla base dei resoconti conservati in ASV, Collect. 174; in particolare fol. 61-63.
74 ASV, Intr. et Ex. 69, fol. 188 et v, editi da E. De Minicis, L’acropoli di Alatri tra xi e xiv secolo... cit., p. 242-243. Con lettera del 29 maggio 1327, il pontefice proibiva la ricostruzione del fortilizio (ibid., p. 244; G. Mollat, Lettres communes... cit., n° 29680).
75 G. Falco, I comuni... cit., p. 585. Nell’archivio della curia era conservata la lettera pontificia di esonero dall’ufficio di Gerardo de Valle, ma è andata perduta. La data di esonero va collocata tra il 22 febbraio e i primi di maggio 1328, quando il pontefice si rivolse al legato in Lombardia, Bertrand du Pouget, per la segnalazione di un nuovo rettore (G. Mollat, Lettres communes... cit., n° 40490 e 42490). Continuò ad esercitare l’ufficio di rettore di Benevento e fu collettore delle decime per la Sicilia. Soltanto dopo la morte di Giovanni XXII, intorno al 1338-39, subì un duro processo presso la curia avignonese. Tra i capi d’accusa vi erano il governo dei rettorati a lui affidati e l’appropriazione delle decime raccolte in Sicilia (ASV, Intr. et Ex. 139, fol. 94-109).
76 La nomina di Raimondo a vescovo di Cassino risale al 9 aprile 1326 (G. Mollat, Lettres communes... cit., n° 24841). Il monastero di Montecassino era stato elevato al rango di vescovado dallo stesso pontefice nel 1322. Le lettere pontificie datano dal 20 novembre 1320 e il rettore è incaricato di ricevere l’omaggio ligio da Bonifacio Caetani, conte Palatino, per i castelli della sua signoria, dispensando Bonifacio dal recarsi ad Avignone a causa della guerra in atto (ibid., n° 43338, 43339). Un’attenzione che indica le ristabilite relazioni con la famiglia Caetani, e in particolare i Caetani Palatini, come attesta anche la possibilità di concedere il tabellionato a due chierici scelti da Francesco Caetani (ibid., n° 43340).
77 Statuto di Ripi del MCCCXXXI, in Statuti della Provincia Romana, F. Tomassetti, V. Federici, P. Egidi (ed.), Roma, 1910 (Fonti per la storia d’Italia, 48), I, p. 111-121; S. Carocci, Baroni di Roma. Dominazioni signorili e lignaggi aristocratici nel Duecento e nel primo Trecento, Roma, 1993, p. 290-291; M. T. Caciorgna, Statuti dei secoli xiv e xv nello Stato della Chiesa: città e castelli del Lazio, in R. Dondarini, G. M. Varanini, M. Venticelli, Signori, regimi signorili e statuti nel tardo medioevo, Bologna, 2003, p. 282).
78 La perdita di questa Bulla supra ordinatione castellorum ci priva purtroppo di un documento di grande importanza sia per comprendere l’organizzazione dei castelli per il Trecento, sia per valutare a pieno i diversi campi in cui si era estrinsecata l’attività di riorganizzazione della provincia di Campagna e Marittima (ASV, Collect. 492, fol. 4-9).
79 G. Falco, I comuni... cit., p. 588 e sg. Nel 1333, il pontefice indirizzò al rettore un mandato per ordinare la distruzione del fortilitium che Riccardo da Ceccano aveva edificato nel castrum di Carpino, richiamandosi ad una disposizione di Alessandro IV, secondo la quale nessun esponente della famiglia da Ceccano avrebbe dovuto avere possedimenti in quel castello (A. Theiner, Codex diplomaticus... cit., n 776, p. 605-606).
80 Va ricordata la condanna del podestà, del comune ed alcuni cittadini per aver distrutto la torre del vescovo Tommaso, la casa di Giacomo domine Perne, e aver dato ricetto a Giovanni de Reate e a suo figlio Matteo, tutti sbanditi dal rettore, di 1.000 libre del senato (Archivio Campanari presso la Biblioteca Giovardiana di Veroli, fondo Giovardi, bifoglio sciolto) e lo scontro violento avvenuto nel 1333 tra il comune e la curia nelle persone del tesoriere Pietro Laurentii e di Gaillard de Gramat, vicario in temporalibus di Raimondo de Gramat, come testimonia l’atto di assoluzione dietro pagamento di 300 libre del senato (Ibidem, fondo Giovardi, b. Memorie antiche e buone, trascrizione del secolo xviii). Ancora nel 1359 si registra un episodio rivelatore dei rapporti con la curia del rettore: al termine di un pubblico consiglio, alcuni verolani avevano sottratto un cavallo dell’ufficiale provinciale e lo avevano storpiato (Archivio storico comunale di Veroli, perg. VIII). Questa documentazione inedita è segnalata da P. Scaccia Scarafoni, I fondi archivistici medievali conservati in Veroli... cit., p. 155.
81 Nel 1334 il pontefice indirizza al rettore una lettera nella quale sono previste concessioni a cittadini di Veroli e al comune (G. Mollat, Lettres communes... cit., n° 62411).
82 M. T. Caciorgna, Le pergamene di Sezze (1181-1348)... cit., n° 133.
83 Sulla composizione dei registri vedi D. Trecca, Lo Stato della Chiesa all’inizio del xiv secolo... cit. L’edizione dei primi registri di tesoreria è in fase di elaborazione e verrà quanto prima data alle stampe.
84 ASV, Collect. 174, fol. 42-82, pubblicato in forma regestata in A. Theiner, Codex diplomaticus... cit., n°707, p. 524-526.
85 Fulco de Popia ricoprì la carica dal 4 marzo 1324 alla fine di settembre 1325, in seguito divenne rettore nella Marchia Anconetana. Prima dell’entrata in carica di Pietro Laurentii aveva ricoperto la carica Iohannes Rigafredi (vedi supra nota 18).
86 Un primo elenco dei censi della Campania e Marittima è riportato nella lettera di Giovanni XXII ad Aymeric de Châtelus al momento della nomina a rettore (G. Mollat, Lettres communes... cit., n° 10065); viene poi ripetuto senza variazioni in quella a Guglielmo de Baleto (ibid., n° 12152-12153; ASV, Intr. et Ex. 39, fol. 97v).
87 La multa pagata da Giovanni di Amato di Fumone, in ragione di 64 lib., 6 s., 11 d., è registrata all’inizio del capitolo Introitus compositionum et condemnationum Campaniae et Maritimae (Intr. et Ex. 39, fol. 64 r.).
88 Il comune e tre podestà di Anagni, Benedetto Caetani, Leonardo de Anticulo, Cristoforo di Bauco, furono condannati per aver ordinato la decapitazione di due chierici di Anagni, in seguito a composizione con il vicario Isnardo Restonni, furono pagati 100 fiorini per un valore di 225 lire (ibid., fol. 82v).
89 Certamente erano stati avviati lavori di costruzione di una rocca a Vallis Ranieri, nei pressi di Anagni; per i lavori nel castello di Frosinone, vedi A. Cortonesi, Il lavoro edile... cit.
90 A. Theiner, Codex diplomaticus... cit., n° 677, p. 509.
91 E. De Minicis, L’acropoli di Alatri... cit.
92 Ricordo un solo esempio tra i tanti che fanno riferimento a multe in seguito all’applicazione di costituzioni pontifice: recepi a Petro domini Batholomei de Turice qui asaliverat quendam sine armis et solvit sicut in constitutionibus continetur (Intr. et Ex. 39, fol. 70).
93 A. Theiner, Codex diplomaticus... cit., n° 674, p. 507-509.
94 Ibidem, n° 693, p. 517.
95 Proprio Gugliemo de Baleto aveva emanato una costituzione secondo la quale sarebbe stato compensato con un terzo della pena chi avesse collaborato nella denuncia di rei (ASV, Intr. et Ex. 39, fol. 64v; vedi anche, D. Trecca, Lo Stato della Chiesa... cit. p. 83).
96 Tra le diverse vendite di beni di condannati in contumacia registrati nei capitoli delle composizioni, per esempio: habui a Bartholomeo de Sipontis, vicario Campaniae, solvente pro Francisco de Mevania, qui condemnatus fuit per contumasiam in L libras et solvit mihi (Intr. et Ex. 39, fol. 74v, 75v). Per altre pene per contumacia vedi l’Intr. et Ex. 69, fol. 142r, 114v).
97 G. Mollat, Lettres communes... cit., n° 16096-16098. Nel registro, diversi esempi riguardano il compenso dovuto ai delatori, ad esempio per il furto presso la Domus di San Paterniano in precedenza concessa ai Templari, così si esprime: XXIX die octobris habui a Thomasio Bonfilie de Ceprano, qui acusatus fuit de disraubatione Domus et de aliis maleficis in intrusione commissis, et composuit cum vicario et mecum in C libras de quibus mihi solvit partibus LXVI libras, XIII solidos, IIII denarios. Quia tertiam partem habuit ille qui eum cepit in Ceprano, quia sicut voluit dominus comes pro quocumque caperet exbannitos haberet tertiam partem et ille qui eum cepit dedi XXXIII libras, VI solidos, VIII denaros (ASV, Intr. et Ex. 39, fol. 77v).
98 F. Pirani, L’evoluzione di una funzione... cit., p. 126; D. Waley, Lo stato papale... cit., p. 286-287.
99 Ad esempio, il comune di Sezze, nel 1321 prima di arrivare alla pace con il rettore dietro pagamento, in due soluzioni, di una multa di 500 libre, aveva stipulato una prima tregua, poi aveva nominato un sindaco per trattare con il rettore e in seguito era stato stipulato l’atto di pace conseguente: tre atti che occupano per intero lunghe pergamene (M. T. Caciorgna, Le pergamene di Sezze (1181-1348)... cit., p. 366-369), che nel breve resoconto del tesoriere suona semplicemente: recepi a commune Setie pro compositione (ASV, Intr. et Ex. 39, fol. 65v).
100 D. Waley, Lo stato papale... cit., p. 284.
101 D. Waley, The Papal State... cit., p. 92-95; C. Reydellet-Guttinger, L’administration pontificale... cit., p. 19-20.
Auteur
Le texte seul est utilisable sous licence Licence OpenEdition Books. Les autres éléments (illustrations, fichiers annexes importés) sont « Tous droits réservés », sauf mention contraire.
Le Thermalisme en Toscane à la fin du Moyen Âge
Les bains siennois de la fin du XIIIe siècle au début du XVIe siècle
Didier Boisseuil
2002
Rome et la Révolution française
La théologie politique et la politique du Saint-Siège devant la Révolution française (1789-1799)
Gérard Pelletier
2004
Sainte-Marie-Majeure
Une basilique de Rome dans l’histoire de la ville et de son église (Ve-XIIIe siècle)
Victor Saxer
2001
Offices et papauté (XIVe-XVIIe siècle)
Charges, hommes, destins
Armand Jamme et Olivier Poncet (dir.)
2005
La politique au naturel
Comportement des hommes politiques et représentations publiques en France et en Italie du XIXe au XXIe siècle
Fabrice D’Almeida
2007
La Réforme en France et en Italie
Contacts, comparaisons et contrastes
Philip Benedict, Silvana Seidel Menchi et Alain Tallon (dir.)
2007
Pratiques sociales et politiques judiciaires dans les villes de l’Occident à la fin du Moyen Âge
Jacques Chiffoleau, Claude Gauvard et Andrea Zorzi (dir.)
2007
Souverain et pontife
Recherches prosopographiques sur la Curie Romaine à l’âge de la Restauration (1814-1846)
Philippe Bountry
2002