Ippocrate nella tradizione alchemica siriaca e araba
p. 419-436
Résumés
Ippocrate, mai menzionato negli scritti alchemici greco-egiziani e bizantini, è presentato nelle vesti di un eroe alchemico nelle antologie siriache di scritti sulla trasmutazione metallica, che tramandano due opere attribuite al medico di Cos: un ricettario tràdito in due codici di Londra (Egerton 709 e Oriental 1593) e un trattato conservato in un codice di Cambridge (Mm 6.29), in cui Ippocrate, padre della medicina e dell’alchimia, è contrapposto ad Omero, corruttore dei popoli. Nel mio contributo presento un’analisi dettagliata di questi scritti, che si soffermi sugli aspetti più caratteristici e innovativi delle dottrine e delle pratiche attribuite a Ippocrate. Si tenterà di comprendere e contestualizzate tali elementi, considerando vari aspetti della ricezione di Ippocrate in epoca tardo antica e in fonti siriaco-arabe: l’associazione con Democrito, la competenza farmacologica, e il ruolo che gioca in opere alchemiche arabe attribuite ad alchimisti greco-egiziani.
Hippocrates is never mentioned in the Graeco-Egyptian and Byzantine alchemical writings. He is instead presented in the guise of an alchemical hero in the Syriac anthologies of writings on metallic transmutation, which hand down to us two works attributed to the doctor of Cos: a recipe book preserved in two London manuscripts (Egerton 709 and Oriental 1593) and a treatise included in the Cambridge manuscript Mm 6.29, in which Hippocrates, father of medicine and alchemy, is opposed to Homer, corrupter of peoples. In my contribution I present a detailed analysis of these writings, focussing on the most characteristic and innovative aspects of the doctrines and practices attributed to Hippocrates. I will try to understand and contextualise these elements, by exploring various aspects of the reception of Hippocrates in late antiquity as well as in Syriac and Arabic sources: his association with Democritus, his pharmacological expertise, and the role he plays in Arabic alchemical writings attributed to Graeco-Egyptian authors.
Entrées d’index
Keywords : Alchemy, Syriac science, Making of gold, Democritus
Parole chiave : Alchimia, scienza siriaca, fabbricazione dell'oro, Democrito
Note de l’auteur
Questa pubblicazione è parte del progetto di ricerca Alchemy in the Making: From Ancient Babylonia via Graeco-Roman Egypt into the Byzantine, Syriac, and Arabic Traditions, acronimo AlchemEast. Il progetto AlchemEast è finanziato dallo European Research Council (ERC) all’interno del programma europeo di innovazione e ricerca Horizon 2020 (G.A. 724914).
Texte intégral
Ippocrate alchimista
1Gli scritti alchemici conservati in lingua siriaca ci restituiscono un’immagine peculiare di Ippocrate, che non trova paralleli nella tradizione greca di età tardo-antica e bizantina. Infatti, i tre principali manoscritti siriaci che conservano due ricche collezioni di trattati alchemici annoverano il medico di Cos tra i padri fondatori dell’alchimia assieme a figure il cui intimo legame con questa scienza era già stato sancito in opere greche redatte in Egitto tra il I e il IV secolo d.C.: Democrito di Abdera, il mago persiano Ostane, suo presunto maestro, gli egiziani Pebichio e Zosimo di Panopoli.1
2Il codice della Cambridge University Library Mm. 6.29 (XV sec.) tramanda una ricca antologia di scritti alchemici,2 in cui compare un singolare scritto che presenta Ippocrate come un benefattore amato da Dio, che fece tesoro della sua maestria nella medicina e nell’alchimia per prendersi cura degli uomini. Dopo un breve excursus sulla scoperta dell’arte alchemica da parte del nostro, il testo si focalizza su un breve sunto di dottrine mediche concernenti, principalmente, febbri e urine.3 Il côté alchemico di Ippocrate, inoltre, emerge con maggiore evidenza in due codici della British Library, l’Egerton 709 (= cod. A; XVI secolo) e l’Oriental 1593 (= cod. B, XV-XVI secolo),4 editi e tradotti da Rubens Duval e Marcelin Berthelot alla fine del XIX secolo (edizione qui abbreviata come CMA II). Questi due manoscritti tramandano dieci trattati (mimre in siriaco), alcuni in forma anonima, altri attribuiti ad autorità greche. Mentre i primi tre libri della collezione sono esplicitamente trasmessi sotto il nome del filosofo Democrito, il quarto libro è ascritto a Ippocrate:
I libro (CMA II, p. 10,3 – 12,5; A fol. 5b-7b11; B fol. 3b11-4b7) ܡܢ ܡܠܦܢܘܬܐ ܕܕܝܡܩܪܛܝܣ ܚܟܝܡܐ ܩܕܡ̄ ܡܢ ܡܐܡܪܐ ܩܕܡ̄. ܡܛܠ ܬܘܩܢܐ ܕܐܣܩܘܣܝܐ ܕܕܗܒܐ, «Dalla5 dottrina6 del saggio Democrito, prima (parte) del primo trattato (mimra) sulla fabbricazione (della preparazione) dell’oro».7
II libro (CMA II, p. 12,5 – 15,19; A fol. 7b11-11a8; B fol. 4b7-6a15) ܬܘܒ ܕܝܠܗ ܟܕ ܕܝܠܗ, «Ancora dello stesso (autore)».
III libro (CMA II, p. 15,20 – 18,24; A fol. 11a9-14b7; B fol. 6a15-7b13) ܡܐܡܪܐ ܕܓ̄. ܕܕܝܡܘܩܪܛܝܣ, «Terzo8 trattato (mimra) di Democrito».
IV libro (CMA II, p. 19,1 – 21,15; A fol. 14b8-17b3; B fol. 7b14-9a5) ܡܐܡܪܐ ܕܕ̄ ܕܐܝܦܘܩܪܛܝܣ, «Quarto trattato (mimra) di Ippocrate».9
3Analogamente ai primi tre libri pseudo-democritei, anche il trattato alchemico pseudo-ippocratico è suddiviso in varie sottosezioni introdotte da titoli rubricati. D’altro lato, mentre i primi due libri attribuiti al filosofo atomista sono identificabili con la traduzione siriaca di due trattati greci sulla fabbricazione dell’oro e dell’argento,10 il testo associato al nome del medico di Cos non coincide con nessuno degli scritti alchemici conservati dalla tradizione bizantina. Come vedremo, però, non mancano somiglianze contenutistiche e lessicali, in quanto il «quarto trattato di Ippocrate» è composto di ricette o sezioni tecniche che illustrano operazioni alchemiche in buona parte sovrapponibili con quanto descritto in ricettari greci.
4Dopo il titolo generale, si apre una prima parte che illustra come trattare le ‘nature’ maschili e femminili di qualsiasi sostanza in un apparato di distillazione, detto ܐܬܠܝܢ (’TLYN, traslitterazione del termine greco αἰθάλη, ‘fuliggine, vapore’) in siriaco.11 La sezione, non introdotta da alcun sottotitolo, si apre con la massima generale: ܗ̇ܢܘܢ ܟܝܢ̈ܐ ܝܕܝ̈ܥܐ ܐܝܬܝܗܘܢ ܕܟܪܐ ܘܢܩܒܬܐ, «Le nature che si conoscono sono quella maschile e quella femminile». La distinzione tra sostanze maschili e sostanze femminili, su cui già insistevano alcuni scritti alchemici greco-egiziani, sembra regolare la serie di operazioni descritte. Già l’alchimista Sinesio (IV sec.), per esempio, commentando i testi alchemici attribuiti a Democrito, insisteva sull’alternanza di sostanze dal nome maschile e sostanze dal nome femminile nei cataloghi che il filosofo avrebbe redatto.12 Inoltre, lo stesso alambicco, apparato di distillazione par excellence, era detto dall’alchimista greco-egiziano Zosimo di Panopoli «il vaso di vetro maschio e femmina» (ἀγγεῖον ὑάλινον ἀρσενόθηλυ).13 Nel testo siriaco pseudo-ippocratico, una imprecisata sostanza femminile – che Berthelot e Duval identificavano con la ὑδράργυρος, ‘mercurio’, femminile in greco14 – è dapprima distillata sette volte e il prodotto messo da parte; quindi la sua terra (ܐܪܥܐ), forse il residuo del processo di distillazione, è ulteriormente lavorata, seppellita per sette giorni e di nuovo distillata per produrre un preparato da conservare. Ad un trattamento analogo sono sottoposte anche una imprecisata sostanza maschile (l’‘orpimento’, secondo Duval e Berthelot, detto ἀρσενικόν in greco)15 e la sua terra.
5Si apre quindi il secondo paragrafo del testo pseudo-ippocratico, marcato nei codici da un titolo rubricato, che sembra riprendere l’ultimo prodotto descritto nella sezione precedente e illustrarne ulteriori trattamenti. L’incipit della nuova sezione recita (CMA II, p. 19, l. 13-16; A fol. 15a9-14; B fol. 7b29-8a2):
ܗܢܘ ܩܛܡܐ ܡܚܠܠ ܒܪܘܚܐ ܕܝܠܗ ܙ̄ ܙܒܢ̈ܝܢ. ܐܟܡܐ ܕܐܡܪ ܐܝܦܘܩܪܛܝܣ. ܘܡܐ ܕܚܠܠܬܝܗܝ ܠܗܢ ܓܘܫ̄ ܙ̄ ܙܒܢ̈ܝܢ ܒܪܘܚܗ. ܒܡܢܝܢܐ ܕܙ̄ ܝܘ̈ܡܝܢ ܒܫܡܫܐ ܐܝܟ ܕܐܠܦܬܟ. ܗܐ ܐܝܬ ܠܟ ܟܐܦܐ ܕܨ̇ܒܥ ܫܡܫܐ ܐܦ ܣܗܪܐ. ܡܐ ܕܢܦܩܬ݀ ܢܦܫܗ ܡܢ ܦܓܪܗ.
«Questa è la cenere purificata nel suo spirito per sette volte [titolo rubricato], come ha detto Ippocrate. E dopo aver purificato il corpo per sette volte nel suo spirito, per un periodo di sette giorni al sole, come ti ho insegnato, ecco che avrai la pietra che tinge sia l’oro che l’argento, quando tu ne abbia separato l’anima dal corpo».
6Anche in questo caso, il nome di Ippocrate è concordemente tramandato dai due manoscritti come garante della procedura descritta. Il prodotto è quindi sottoposto a una lunga distillazione per 42 giorni, durante i quali l’alambicco è riposto in varie ‘terre’ e letame,16 che devono essere sostituti ogni sette giorni. Analoghi procedimenti sono attestati nel corpus degli scritti alchemici greco-bizantini, soprattutto in relazione alla distillazione delle uova. Già Zosimo di Panopoli ne estraeva dei ‘liquidi’ attraverso complesse operazioni consecutive (e.g. bolliture, filtraggi, etc.), i cui prodotti erano distillati fino a 41 giorni.17 Un ricettario bizantino attribuito a Niceforo Blemmide (XII sec.) spiega come distillare le uova, specificando in varie occasioni di seppellire i recipienti utilizzati in letame di cavallo per 40 o 41 giorni.18 Una sequenza di otto operazioni analoghe di ‘sepoltura’ è illustrata in un altro ricettario anonimo (CAAG II, p. 315-318), che precisa anche di cambiare il letame ogni sette giorni come nel passo siriaco attribuito ad Ippocrate.19 In quest’ultimo, il distillato è quindi usato per tingere lo stagno in argento e il rame in elettro.
7Sebbene la sezione sembri chiudersi con una nota che ribadisce come sia stato così esposto il «trattamento dell’argento» (ܕܘܒܪ ܣܗܪܐ), la sezione procede senza soluzione di continuità, descrivendo prima «il trattamento della calce» (ܕܘܒܪܐ ܕܟܠܫܐ) resa bianca (CMA II, p. 20, l. 7-15), quindi la sua dissoluzione (CMA II, p. 20, l. 15-19). I due procedimenti non sono marcati da nessun titolo rubricato e la sezione si conclude con la massima: ܗܿܢܘ ܫܪܝܐ ܪܒܐ ܕܠܝܬ ܠܥܠ ܡܢܗ ܐܚܪܝܢ. ܗܿܢܘ ܐܪܙܐ ܟܣܝܐ ܓܠܝܐ, «Questa è la grande dissoluzione al di sopra della quale non vi è nulla; questo è il segreto nascosto che è stato rivelato».
8Seguono quattro ricette, il cui testo è qui riportato per intero sulla base di una nuova ricognizione dei due manoscritti siriaci. Sono descritti i trattamenti di tre diversi ingredienti: la magnēsia (ܡܓܢܣܝܐ = gr. μαγνησία), dall’identificazione incerta; la pirite (ܦܘܪܝܛܝܣ = gr. πυρίτης), probabilmente minerali di ferro e/o rame; il ferro indiano (cfr. sotto). La manipolazione di queste sostanze è piuttosto comune nelle tradizioni siriaca e bizantina. Il libro greco Sulla fabbricazione dell’argento attribuito a Democrito include una ricetta per sbiancare la magnēsia,20 e un ricettario tramandato sotto il nome del patriarca biblico Mosè (CAAG II, p. 300-315) conserva, tra i 63 procedimenti descritti, due ricette rispettivamente intitolate οἰκονομία τῆς θειοτάτης μαγνησίας («trattamento della molto divina magnēsia») e λεύκωσις μαγνησίας («sbianchimento della magnēsia»).21 Il testo siriaco pseudo-ippocratico non specifica invece la trasformazione cromatica ottenuta (CMA II, p. 20, ll. 19-22; A fol. 16b2-8; B fol. 8b7-11):
ܬܘܩܢ ܡܓܢܣܝܐ. ܣܒ ܡܓܢܣܝܐ ܟܡܐ ܕܨܒܝܬ ܘܦܠܘܚ ܒܬܝ̈ܢܐ ܠܐ ܡܚܒ̈ܠܐ ܝ̈ܘܡ̄ ܡ̄. ܟܕ ܡܚܠܦܬ ܠܬܝܢ̈ܐ ܟܠܝܘܡ ܒܝܘܡ. ܘܡܚܕܐ ܣܘܟ ܒܢܦܚܬ ܡܢ ܢܦܫܗ̇. ܘܟܢ ܦܠܘܚ ܒܡܝ̈ ܡܠܚܐ ܝܘܡ̈ܬܐ ܓ̄. ܘܐܫܝܓ ܥܕ ܚܠܐ. ܘܡܚܕܐ ܣܘܟ ܒܢܝܛܪܘܢ ܘܒܡܫܚܐ ܙܒܢ̈ܬܐ ܓ̄.
«Preparazione della magnēsia [titolo rubricato]. Prendi quanta magnēsia vuoi e lavora(la) con urina non corrotta per quaranta giorni, cambiando l’urina ogni giorno. Fondi(la) subito in un vaso per digestione spontanea22 e quindi lavora(la) con acqua salata per tre giorni.23 Lava(la) finché diventi dolce e fondi(la) subito su soda (= gr. νίτρον) e olio per tre volte».
9Più dettagliate sono le due ricette che seguono, entrambe dedicate alla pirite. Anche in questo caso, due procedimenti per trattare il minerale – liquefacendolo, eliminandone la nerezza, e combinandolo con vari ingredienti – sono tramandati dalla tradizione bizantina tra gli scritti alchemici pseudo-democritei.24 Le medesime operazioni sono anche descritte nel ricettario attribuito a Mosè,25 che annovera, inoltre, altre due ricette dal titolo οἰκονομία πυρίτου («trattamento della pirite»). La seconda (CAAG II, p. 305, l. 21 – 306, l. 2) descriverebbe la formazione di una lega metallica,26 mentre nella prima (CAAG II, p. 302, l. 15-21) la pirite è resa bianca dopo essere triturata, bollita per varie volte (fino a sette) in acqua salata (o urina con salamoia), e mischiata con vari ingredienti (e.g. mercurio, zolfo o allume). Un analogo trattamento è descritto nella prima ricetta siriaca, che recita (CMA II, p. 20, ll. 22-25; A fol. 16b8-14; B fol. 8b11-15):
ܚܘܘܪܐ ܕܦܘܪܝܛܝܣ. ܣܒ ܕܘܩ ܦܘܪܝܛܝܣ. ܘܐܫܝܓ ܒܡܝ̈ܐ ܘܡܠܚܐ ܙܒܢ̈ܬܐ ܙ̄. ܟܕ ܟܠ ܙܒܢܬܐ ܡܢܓܒܬ ܘܡܛܘܝܬ ܠܗ̇. ܘܒܬܪ ܕܐܙܠܬ ܐܘܟܡܘܬܗ̇. ܐܝܬܐ ܙܪܢܝܟܐ ܕܡܚܘܪ ܚܕܐ ܡܢ ܕ̄ ܕܦܘܪܝܛܝܣ ܘܐܪܡܐ ܒܙܘܡܐ ܕܢܪܦܐ ܠܦܓܪܐ. ܘܛܡܘܪ ܒܙܒܠܐ ܥܕ ܚܘܪ.
«Sbianchimento della pirite [titolo rubricato]. Prendi (e) tritura della pirite,27 e lava(la) in acqua e sale per sette volte, facendola seccare e arrostendola ogni volta. Quando la sua nerezza è scomparsa, aggiungi una (parte) di realgar sbiancante ogni quattro (parti) di pirite e metti(lo) nel liquido (= gr. ζωμός, lett. ‘brodetto’) per ammorbidire il (suo) corpo. Seppellisci in del letame finché diventi bianca».
10La seconda ricetta sulla pirite è più complessa e descrive come rendere il minerale ‘rosso’ (ܣܡܩ, spesso usato per tradurre il greco ξανθός); sembra inoltre ripresa la distinzione tra sostanze maschili e sostanze femminili su cui si insiste all’inizio del trattato pseudo-ippocratico (CMA II, p. 20, l. 25 – 21, l. 13; A fol. 16b14-17a18; B fol. 8b15-9a3):
ܡܣܡܩܢܘܬܐ ܕܦܘܪܝܛܝܣ. ܒܿܬܪ ܕܡܚܘܪܝܢܢ ܦܘܪܝܛܝܣ ܒܡܝ̈ܐ ܕܟܒܪܝܬܐ. ܟܕ ܐܝܬ ܥܡܗ ܡܩܢܬܘܣ ܐܟܘܬܗ. ܢܿܓܒ ܒܫܡܫܐ ܦܘܪܝܛܝܣ ܘܐܪܡܐ ܒܩܣܛܐ ܕܦܚܪܐ. ܘܛܘܐ ܒܐܬܘܢܐ ܕܙܓܘ̈ܓܝܐ ܝܘܡܐ ܚܕ ܘܦܠܘܚ. ܘܡܐ ܕܩܿܐܪ ܡܫܟܚܬ ܩܝܢܒܪܝܣ ܀ ܗܕܐ ܗܝ ܐܟܣܝܪܝܢ ܕܗܒܢܝܬܐ. ܕܟܠܗܘܢ ܦܝܠܠܘ̄ ܐܪܙܘܗ̇ ܒܐܪܙܐ ܡܐܪܙܐ ܀ ܡܘܕܥ ܐܢܐ ܠܟ ܕܟܠܗ̇ ܡܠܬ ܐܪܙܐ ܥܠܘ̄ ܕܦܘܪܝܛܝܣ ܐܬܐܡܪܬ ܀ ܐܝܬܐ ܦܘܪܝܛܝܣ ܕܟܪܐ ܘܐܚܡ ܒܢܘܪܐ. ܘܨܒܘܥ ܒܚܠܐ ܙܒܢ̈ܬܐ ܙ̄. ܗܟܢ ܐܦ ܢܩܒܬܐ ܥܒܕ. ܘܐܝܬܐ ܡܓܢܣܝܐ ܕܙܓܘ̈ܓܝܐ ܕܡܕܒܪܐ ܘܛܪ. ܘܣܒ ܢܚܫܐ [?] ܟܕ ܥܒܝܕܝܢ ܦܣܝܡܝܬܝܢ ܡܢ ܟܠܚܕ ܡܢܗܘܢ ܫܘܝܐܝܬ. ܘܡܢ ܦܘܪܝܛܝܣ ܬܪ̈ܝܗܘܢ ܚܕܐ ܚܕܐ ܡܢܬܐ. ܘܡܢ ܡܓܢܣܝܐ ܡܢܬܐ ܚܕܐ. ܘܓܒܘܠ ܟܠܗܘܢ ܐܕ̈ܫܐ ܒܢܝܛܪܘܢ ܘܡܫܚܐ ܘܣܘܟ. ܘܡܚܕܐ ܚܘܪ ܒܚܠܐ ܘܡܠܚܐ ܘܛܪ. ܘܣܒ ܡܢܗ ܕܗܢܐ ܓܘܫܡܐ ܡܢܬܐ ܚܕܐ. ܘܡܢ ܚܕ ܡܢ ܗܠܝܢ ܓܘ̈ܫܡܐ ܕܐܬܐܡܪܘ ܡܢܬܐ ܚܕܐ. ܘܣܐܡܐ ܟܕ ܠܐ ܥܒܝܕ ܦܣܝܡܝܬܝܢ. ܘܓܒܘܠ ܒܢܝܛܪܘܢ ܘܡܫܚܐ ܘܣܘܟ. ܘܫܘܦ ܒܫܘܦܝܢܐ. ܗܟܢܐ ܓܝܪ ܠܚܡ̈ܫܬܝܗܘܢ ܓܘܫ̈ܡܐ. ܠܟܠܚܕ ܡܢܗܘܢ ܡܢܗ ܘܠܗ. ܘܚܿܒܟ ܥܡ ܚ̈ܕܕܐ. ܘܣܒ ܡܢ ܗܢܐ ܟܣܝܪܝܢ. ܐܘܢ ܚܕܐ. ܘܡܢ ܓܘܫܡܐ ܐܝܢܐ ܕܨܿܒܝܬ ܠܨ ܚܕܐ. ܘܣܘܟ ܘܡܫܟܚ ܐܢܬ.
«Come rendere la pirite rossa.28 Dopo aver reso bianca la pirite con acqua di zolfo (?),29 aggiungendo ad essa altrettanto MQNTWS, secca la pirite30 al sole; metti(la) in un vaso di terracotta, cuoci nel forno dei vetrai31 per un giorno e lavora(la).32 Quando si raffredda, troverai del cinabro (= gr. κιννάβαρις). Questo è l’elisir dorato, a cui tutti i filosofi hanno alluso segretamente in un mistero da iniziati. Io ti informo che ogni parola del mistero sulla pirite è stata detta.33
Aggiungi della pirite34 maschile, riscalda(la) sul fuoco e immergila in aceto per sette volte; fai lo stesso anche con la (pirite) femminile. Aggiungi magnēsia (= gr. μαγνησία) dei vetrai35 che è stata trattata e metti da parte. Prendi rame (e) [3 segni alchemici],36 resi (come) della cerussa (= gr. ψιμίθιον), di ciascun di questi la stessa quantità, una parte di ciascuna delle due piriti, e una parte di magnēsia; mescola tutte queste specie con soda ( = gr. νίτρον) e olio, e fondi. Sbianca immediatamente con aceto e sale, e metti da parte. Prendi una parte di questo corpo e una parte di ciascuno di quei corpi che sono stati menzionati, e dell’argento,37 non avendolo però reso (come) della cerussa; mescola con soda e olio, fondi, e lima con una lima. Così infatti (si agisce) per i cinque corpi, ciascuno di quelli separatamente; e mischiali l’uno con l’altro; prendi una parte di questo elisir, e una libra (?)38 di quel corpo che preferisci, fondi e troverai».
11Infine, il libro pseudo-ippocratico si chiude con un’ultima ricetta che descrive come fondere il ferro usando vari minerali come fondenti (CMA II, p. 21, l. 14-15; A fol. 17a19-17b3; B fol. 9a3-6):
ܦܫܪ ܦܪܙܠܐ ܗܢܕܘܝܐ ܕܗܘ ܦܘܠܐܕ. ܣܒ ܣܘܦܪܬܐ ܕܦܘܠܕ ܘܣܝܡ ܒܒܘܛܐ ܘܐܪܡܐ ܥܠܘ̄ ܟܒܪܝܬܐ ܘܙܪܢܝܟܐ ܘܦܫܪ ܒܩܪܒܘܢܝܐ. ܘܣܘܟ ܗܘ ܡܐ ܕܨܒܝܬ.
«Fusione del ferro indiano che è l’acciaio. Prendi limatura di acciaio e metti in un crogiolo. Gettavi sopra zolfo e realgar e fai fondere su del carbone. Versa quando preferisci».
12Così si chiude il quarto libro pseudo-ippocratico. Il nome del medico di Cos, tuttavia, compare ancora in una ricetta inclusa nel settimo libro (mimra) della collezione tramandata dai due codici (CMA II, p. 42, l. 2-6). La ricetta si apre con la formula «Ippocrate afferma» (ܐܡܪ ܐܝܦܘܩܪܛܝܣ) e descrive un trattamento dell’orpimento, per separarne l’anima dal corpo (in linea con alcune indicazioni già incontrate nei passi sopra analizzati) e procedere ad una tintura alchemica in argento.39
Ippocrate e Democrito
13Nel 1893, in collaborazione con il chimico e storico della chimica Marcelin Berthelot (1827-1907), l’orientalista Rubens Duval curò l’editio princeps della collezione di scritti alchemici tramandati da due codici siriaci di Londra. La menzione del nome del padre della medicina all’interno della collezione fu liquidata in una breve nota: “La lettura di questo nome non sembra dubbiosa nel testo. Tuttavia, il nome di Ippocrate è strano, poiché nessun alchimista con questo nome è noto. Conviene leggere almeno ‘Democrito’, in ragione della menzione del libro IV”.40 La forma ܐܝܦܘܩܪܛܝܣ ( ʼYPWQRṬYS), in effetti, è concordemente tramandata dai due manoscritti, mentre il codice alchemico di Cambridge preferisce ܐܝܦܘܩܪܐܛܝܣ (ʼYPWQRʼṬYS).41 Entrambe le grafie sono altrimenti attestate42 e compaiono nei pochi testi ippocratici conservati in traduzione siriaca, quali Aforismi e Prognostico preservati nel codice della Bibliothèque Nationale de France, Ar. 6734 (1205 d.C.). In particolare, gli Aforismi (fol. 29v-92v) attestano entrambe le forme, assieme alle varianti ܐܝܦܦܘܩܪܐܛܝܣ (ʼYPPWQRʼṬYS), ܐܦܘܩܪܐܛܝܣ (ʼPWQRʼṬYS) e ܐܦܘܩܪܛܝܣ (ʼPWQRṬYS);43 la grafia ܝܘܦܩܪܛܝܣ (YWPQRṬYS), invece, compare nella traduzione siriaca, verosimilmente opera di Sergio di Rēš‘aynā, di un commento alessandrino (forse da attribuire allo iatrosofista Gesio) alle Epidemie di Ippocrate.44
14Berthelot e Duval suppongono che la presunta confusione tra Ippocrate e Democrito sia principalmente dovuta a meccanici errori di copiatura (CMA II, p. xi): scribi di opere mediche avrebbero frainteso il nome di Democrito, introducendo invece Ippocrate, con cui avevano maggiore familiarità. Sporadici lapsus di copisti specializzati, favoriti da ragioni paleografiche – i due nomi sono infatti simili quando scritti in alfabeto siriaco45 – possono certo spiegare errori occasionali. Tuttavia, i due manoscritti di Londra sono sempre concordi nel riportare il nome di Ippocrate, che compare in varie sezioni della collezione tramandata: il nome del medico non sembra essere stato distrattamente introdotto al posto di Democrito, ma sembra invece essere citato, senza imbarazzi e incertezze, accanto a Democrito come maestro di alchimia. Inoltre, come abbiamo visto, nel breve testo pseudo-ippocratico del codice alchemico di Cambridge, il presunto sapere alchemico di Ippocrate è esplicitamente associato a conoscenze di carattere squisitamente medico. Questi elementi sembrerebbero interpretabili come il frutto di un progressivo ampliamento dello spettro di competenze attribuite al medico di Cos.
15Se le sezioni farmacologiche del cosiddetto Corpus Hippocraticum già menzionano varie sostanze minerali,46 in età bizantina ad Ippocrate era anche attribuito un lapidario medico-magico.47 Inoltre, proprio il rapporto del nostro con il filosofo Democrito, la cui maestria in pratiche di tintura è enfatizzata nei più antichi esempi di letteratura alchemica greco-egiziana (I sec. d.C.), potrebbe spiegare la progressiva introduzione di Ippocrate nel novero delle auctoritates in questo nuovo ambito tecnico.
16In età tardo ellenistica, Ippocrate e Democrito sono già associati nel romanzo epistolare conosciuto come le lettere pseudo-ippocratiche (in particolare lettere 10-21):48 è noto, infatti, che il medico fece visita al filosofo, creduto pazzo dagli Abderiti. L’incontro è descritto con dovizia di particolari nella Lettera 17, in cui la falsa follia di Democrito è smascherata: il filosofo è descritto intento a scrivere un libro sulle cause della pazzia, indagate tramite indagini anatomiche su animali. Dopo un lungo dialogo, Ippocrate riconosce senza indugio la sapienza di Democrito e si accomiata dal filosofo dicendo: «Vado avendo ricevuto da te la cura per la mia mente».49 Lo stesso Democrito, inoltre, avrebbe spedito il suo scritto sulla follia a Ippocrate (Lettere 18-19), che avrebbe a sua volta scambiato col filosofo un trattato sull’elleboro (Lettere 20-21).
17Il racconto di un tale ‘dialogo’ intellettuale sembra avere lasciato tracce nella tradizione biografica di Ippocrate. Già Celso, nel proemio al suo De medicina (§ 8), riporta l’opinione di alcuni che ritenevano Democrito maestro del medico di Cos.50 Analogamente, La vita di Ippocrate secondo Sorano (§ 2) ribadisce che Ippocrate, dopo aver ricevuto una prima educazione dal padre, avrebbe studiato con l’oratore Gorgia e il filosofo Democrito.51 In tale tradizione, nessun riferimento viene fatto al presunto sapere alchemico del filosofo, che però è ampiamente documentato nella letteratura alchemica greca del medesimo periodo. La contemporaneità di Democrito con Ippocrate è d’altro lato ribadita da cronografi bizantini, come Giorgio Sincello (VIII sec.). Egli menziona la fioritura del medico Ippocrate assieme a quella dell’Abderita, che è ricordato non più in quanto filosofo, ma in quanto alchimista allievo dal mago persiano Ostane. Subito dopo il filosofo-alchimista, è menzionato il medico Ippocrate (Cronografia, p. 297, l. 24 – 298, l. 1 Mosshammer):52
Δημόκριτος Ἀβδηρίτης φυσικὸς φιλόσοφος ἤκμαζεν. ἐν Αἰγύπτῳ μυηθεὶς ὑπὸ Ὀστάνου τοῦ Μήδου σταλέντος ἐν Αἰγύπτῳ παρὰ τῶν τηνικαῦτα βασιλέων Περσῶν ἄρχειν τῶν ἐν Αἰγύπτῳ ἱερῶν, ἐν τῷ ἱερῷ τῆς Μέμφεως σὺν ἄλλοις ἱερεῦσι καὶ φιλοσόφοις, ἐν οἷς ἦν καὶ Μαρία τις Ἑβραία σοφὴ καὶ Παμμένης, συνέγραψε περὶ χρυσοῦ καὶ ἀργύρου καὶ λίθων καὶ πορφύρας λοξῶς κτλ.
Ἱπποκράτης Κῶος ἰητρῶν ἄριστος ἐγνωρίζετο Ἀσκληπιάδης τὸ γένος.
«Fiorì il filosofo naturale Democrito di Abdera. In Egitto, dopo essere stato iniziato da Ostane il Medo, inviato in Egitto dai re persiani di quel tempo a reggere i templi egiziani, nel tempio di Menfi con altri sacerdoti e filosofi, tra i quali vi era una certa Maria, sapiente ebrea, e Pammene, scrisse in modo oscuro sull’oro, l’argento, le pietre e la porpora, etc.
Ippocrate di Cos, il massimo dei medici, della stirpe degli Asclepiadi, era famoso».
18Purtroppo, Ippocrate e Democrito sono raramente ricordati nelle cronache siriache, principalmente incentrate su eventi più recenti che coinvolsero le chiese cristiane di lingua siriaca.53 La cosiddetta Cronaca di Zuqnin (fine VIII sec.) non menziona mai il medico, mentre include un breve riferimento al filosofo. Tra gli eventi registrati nell’anno 1583 (ܫܢܬ ܐܠܦܐ ܘܢܦܙ̄) dalla creazione, infatti, si legge: ܡܬܝܕܥܝܢ ܣܘܩܪܛܝܣ ܘܕܘܡܩܪܝܛܘܣ, «fiorirono Socrate e Democrito».54 I due sono invece associati in opere più tarde, risalenti al XII e XIII secolo. La ricca cronaca di Michele il Siriano (XII sec.) menziona infatti Ippocrate e Democrito, presentando entrambi come medici. Nel primo capitolo del V libro, dedicato ai regni di Dario e Serse, sono elencati vari filosofi (e.g. Pitagora, Eraclito, Empedocle) e poeti (Pindaro e Simonide) vissuti sotto i due sovrani. Nel medesimo periodo, l’autore specifica:ܘܕܝܡܘܩܪܐܛܝܣ ܘܐܝܦܘܩܪܐܛܝܣ ܐܣܘ̈ܬܐ ܐܬܝܕܥܘ , «fiorirono i medici Democrito e Ippocrate».55
19Bar Ebreo, infine, nella sua Cronaca, fornisce un lungo elenco di personaggi celebri che sarebbero fioriti sotto il regno di Dario II: compaiono, tra gli altri, Pitagora, i poeti Pindaro e Simonide, i filosofi Democrito e Diogene (ܕܝܡܘܩܪܛܝܣ ܘܕܝܘܓܢܝܣ ܦܝܠܣܘܦ̈ܐ) e il medico Ippocrate (ܐܝܦܘܩܪܛܝܣ ܐܣܝܐ). Il dotto dedica poi un excursus alla figura di quest’ultimo:56
ܘܝܬܝܪ ܡܢ ܟܠܗܘܢ ܐܬܢܨܚ ܒܥܠܡܐ ܐܝܦܘܩܪܛܝܣ ܪܒܐ ܘܡܠܦܢܐ ܕܐܣܘ̈ܬܐ ܥܕܡܐ ܠܝܘܡܢܐ. ܥܡܪ ܗܘܐ ܕܝܢ ܒܚܡܨ ܡܕܢܬܐ. ܘܡܢ ܙܒܢ ܠܙܒܢ ܐܙܠ ܗܘܐ ܠܕܪܡܣܘܩ܆ ܘܥܡܪ ܗܘܐ ܒܓܢܝܗ ܗܢܝܢ ܕܥܕܡܐ ܠܝܘܡܢܐ ܡܬܝܕܥܐ ܒܗ̇ ܕܘܟܐ ܕܡܬܩܪܝܐ ܐܣܛܘܐ ܕܐܝܦܘܩܪܛܝܣ.
«Fra tutti eccelse in vita soprattutto Ippocrate, maestro e insegnante dei medici fino ad oggi. Visse nella città di Homs e di tanto in tanto si recò a Damasco. E visse in quei giardini che sono conosciuti fino ad oggi nel luogo che è chiamato il portico di Ippocrate».
20Già la tradizione araba anteriore a Bar Ebreo attesta la leggenda per cui Ippocrate avrebbe visitato la Siria.57 Il medico andaluso Ibn Ǧulǧul (X sec.), nella vita di Ippocrate inclusa nella sua opera Generazioni dei medici e dei saggi (Ṭabaqāt al-aṭibbā’ wa-l-ḥukamā’), identificava l’isola di Cos con la città di Homs (la Emesa romana).58 Inoltre, Isḥāq ibn Ḥunayn (IX sec.), autore della prima storia araba della medicina (Tar’rīḫ al-aṭibbā’), specificava che Democrito era contemporaneo del medico Ippocrate, almeno secondo quanto riportato da Ibn al-Nadīm nel Fihrist.59 Isḥāq ibn Ḥunayn seguì le orme del padre, Ḥunayn ibn Isḥāq, famoso e prolifico traduttore di opere filosofiche e mediche in siriaco e arabo, a cui si devono traduzioni di vari scritti ippocratici commentati dal medico Galeno.60 Rimane tuttavia incerto se al medesimo circolo si debba attribuire la traduzione araba (tuttora inedita) delle lettere pseudo-ippocratiche tra il medico di Cos e Democrito,61 sicuramente nota a Ibn Abī Uṣaybi‘a (XIII sec.). Il medico e storico della medicina arabo, infatti, le cita nel catalogo di scritti di Ippocrate incluso nella sua opera enciclopedica dedicata alle biografie dei medici (‘Uyūn al-anbā’ fī ṭabaqāt al-aṭibbā’).62
Osservazioni conclusive alla luce della tradizione araba
21La tradizione alchemica araba include numerosi riferimenti ad Ippocrate, citato, ad esempio, in scritti attribuiti al principe omayyade Ḫālid ibn Yazīd, al prolifico Ǧābir ibn Ḥayyān e allo stesso Platone.63 Il numero di menzioni sembra aumentare con l’accrescere degli studi dedicati ad opere inedite e per lungo tempo dimenticate, cosicché, sulla base delle più recenti indagini, è possibile scoprire nuovi passi alchemici attribuiti al medico di Cos. Tra questi emergono alcuni casi che riattualizzano, in un contesto arabo, le osservazioni di Berthelot e Duval sulla possibile confusione, spiegabile in termini paleografici, tra il nome di Ippocrate e quello di Democrito. Ad esempio, numerose citazioni tratte da autori alchemici greco-egiziani – quali Ermete, Democrito, Maria l’Ebrea e Zosimo – sono incluse in un trattato (inedito) attribuito all’enigmatica figura di Āras il saggio (al-ḥakīm) e tramandato (mutilo del titolo) dal solo manoscritto Ar. 4121 della Chester Beatty Library.64 Tra i vari alchimisti citati compare anche Ippocrate: il medico infatti afferma (al fol. 185a6 del codice si legge قال بقراط) che il suo maestro Ostane, mentre reggeva i templi in Egitto, ricevette una pianta velenosa dalla Persia.65 La menzione di Ostane – ‘tradizionale’ maestro di Democrito alchimista (vedi sopra) – pare tradire un errore di copiatura, come sembra confermato dalla traduzione latina del trattato, dove appare il nome di Democrito (Dimicrat).66
22Ippocrate, inoltre, appare accanto a Democrito in un passo dello scritto Sulle chiavi dell’arte (Kitāb mafātīḥ aṣ-ṣan’a), che il codice Kīmiyā’ 23 della Biblioteca nazionale del Cairo (unico testimone dell’opera) tramanda sotto il nome di Zosimo di Panopoli.67 In un fitto dialogo con la sua interlocutrice abituale Teosebeia, Zosimo disamina qui l’insegnamento alchemico dei più antichi maestri, in particolare dello Pseudo-Democrito. Nel II libro, egli discute l’uso di sostanze naturali (dette ‘nature’) singole o composte; dopo aver commentato vari passi attribuiti a Democrito, Zosimo prosegue citando un presunto passo pseudo-ippocratico (Cairo, Dār al-kutub, MS Kīmiyā’ 23, Fol. 50b, 15-21):
قال بقراط ان الزئبق بعد يبيض النحاس وان الزرنيخ أيضا يبيضه اذا طبخ بما يلائمه وان الزرنيخ الأحمر اذا لم يحرق كان منه مثل ذلك والحرشفين اذا جسدت مثل ذلك والقنبار اذا فلت فمثل ذلك أيضا فمثل هدا القول ينبغى لك ان تعلم ان هذا الذى سموه باسم واحد من اشياء شتى ثم ينبغى بعد ذلك ان تحاد فهمك في مزج هذه الأشياء حتى [حتى] تزدوج وتخلط وتمسك بعضها بعض لان ذومقراط قد شكا فقال شيء اشد علينا من هذا العمل من تزويج الأشياء حتى تخلط بعضها بعض.
«Ippocrate disse: “quindi il mercurio rende il rame bianco e l’orpimento lo rende bianco se è cotto con ciò che gli è appropriato e l’orpimento rosso, se non è bruciato, ha la stessa proprietà, e il ḥaršafīn, se tu (lo) rendi corpo, fa lo stesso, e il cinabro, se è liberato, fa anche lo stesso”. E come (si dice) in questa massima, è necessario che tu sappia che ciò che essi chiamano con un solo nome (deriva) da differenti cose (i.e. sostanze). Dunque, dopo questo, tu devi affinare la tua comprensione del mescolamento di queste cose (i.e. sostanze) finché esse si sposino, si mischino e si sostengano l’una con l’altra, poiché Democrito si lamentò e disse: “La parte più difficile del nostro lavoro sta nello sposarsi delle cose (i.e. sostanze) finché non si mischino l’una con l’altra”».68
23Il passo rappresenta l’unica menzione del medico di Cos all’interno del trattato, che abbonda invece di riferimenti a Democrito. La citazione pseudo-ippocratica, inoltre, ricorda alcuni passi alchemici pseudo-democritei preservati dalla tradizione bizantina.69 Si potrebbe dunque essere tentati a considerare il nome di Ippocrate come il frutto della penna distratta dello scriba, che avrebbe frainteso il testo copiato, dove appariva, invece, il nome di Democrito. Tuttavia, l’assenza di altri testimoni manoscritti dell’opera non permette di sostanziare una simile ipotesi, che, a mio avviso, deve essere considerata con estrema prudenza. Proprio l’accostamento con Democrito potrebbe giustificare la menzione del medico di Cos, contemporaneo del filosofo (e alchimista) e suo interlocutore, secondo una tradizione erudita di origine tardo ellenistica che è recepita, come abbiamo visto, in ambienti dotti di lingua siriaca e araba. La presenza diffusa di Ippocrate nella letteratura alchemica siriaca e araba – ancora in larga misura da indagare – sembra una sua cifra distintiva, in contrasto con quanto si può ricostruire della letteratura alchemica greca, preservata (lo si deve ricordare) solo in lacerti da antologie bizantine. Se gli scritti alchemici greci superstiti non fanno mai riferimento ad Ippocrate, il medico di Cos compare in opere siriache e arabe tramandate sotto il nome di autori greco-egiziani o ricche di citazioni ad essi attribuite. Nel complesso processo di sistematizzazione dell’ampio materiale tradotto ed ereditato dalla tradizione greco-bizantina, autori di lingua siriaca e araba sembrano avere introdotto anche Ippocrate nel novero delle auctoritates, attorno cui riorganizzare la massiccia massa di informazioni recepite.
Bibliographie
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Notes de bas de page
1 Per un’introduzione a queste figure, si vedano Letrouit 1995 e Martelli 2019, p. 45-118.
2 Cfr. Wright 1901, p. 1036–1037; CMA II, p. xlviii; Martelli 2014, p. 199-211.
3 Edizione, traduzione e commento in Martelli 2017, p. 242-248.
4 Su questi codici, si vedano rispettivamente Wright 1872, vol. 3, p. 1190-1192 e Margoliouth 1899, p. 2-3. Cfr. anche CMA II, p. xlvi-xlviii.
5 Il codice B riporta ܡܢ; il codice A tramanda ܡܛܠ corretto in ܡܢ.
6 Il codice A riporta ܡܠܦܢܘܬܐ; il codice B tramanda la forma abbreviata ܡܠܦܢܘ̄.
7 Entrambi i codici riportano il segno alchemico dell’oro invece del termine dahba, ‘oro’.
8 Nel codice A si legge ܕܓ̄; il codice B omette ܕ.
9 Traduzione francese in CMA II, p. 37-41.
10 Si tratta dei primi due di quattro libri alchemici redatti in greco nel I secolo d.C. e parzialmente conservati in vari manoscritti, quali il Marcianus gr. 299 (X sec.), i Parisini gr. 2325 (XIII sec.) e 2327 (XV sec.): edizione critica, traduzione e commento in Martelli 2011.
11 Cfr. Duval 1893, p. 308; Sokoloff 2009, p. 112.
12 Syn. Alch. § 13 in Martelli 2011, p. 240-241 (= CAAG II, p. 64-65).
13 Zos. Alch., Memorie autentiche, IX 3-4 (Mertens 1995, p. 30; si vedano anche p. cxxi-cxxii).
14 Cfr. CMA II, p. 37, n. 2.
15 Da notare che l’aggettivo ἀρρενικός significa ‘maschio, maschile’.
16 Il testo siriaco menziona la «terra d’Egitto» (ܐܪܥܐ ܕܡܨܪܝܢ), una terra bianca (cfr. CMA II, p. 27), e un’enigmatica «terra degli Ittiti» (ܐܪܥܐ ܕܚܝ̈ܬܝܐ), non altrimenti nota; il letame (ܙܒܠܐ) è introdotto solo alla fine del passo (CMA II, p. 20, l. 1).
17 Cfr. Zos. Alch., Memorie autentiche, IX 52-73 (Mertens 1995, p. 32-33).
18 Cfr. CAAG II, p. 453, l. 9-11: βάλε πάντα ὁμοῦ εἰς φιάλην ὑέλινον· καὶ τὸ στόμα αὐτῆς φράξον μετὰ πανίου καὶ γύψου καλῶς· καὶ χῶσον ἐν κόπρῳ ἱππείᾳ ἡμέρας μʹ· εἰ δ᾽ ἔστι σποδός, ἡμέρας καʹ. «Metti tutti questi (ingredienti) insieme in un recipiente di vetro; chiudine bene la bocca con tela e gesso e seppelliscilo in letame di cavallo per 40 giorni; se c’è della cenere, per 41 giorni» (cfr. anche p. 454, l. 11-12).
19 Cfr., ad es. CAAG II, p. 316, l. 20-22: εἶτα θάψον τὸν νεκρὸν πάλιν ὡς ἀνωτέρω ἐν ἱππείᾳ κόπρῳ ἡμέρας μʹ, ἀνὰ ἑπτὰ ἡμέρας παραλλάσσων τὸν κόπρον, «quindi seppellisci di nuovo il ‘morto’ (i.e. il prodotto ottenuto tramite il primo processo di ‘sepoltura’) come sopra in letame di cavallo per 40 giorni, cambiando il letame ogni sette giorni». Come indica Mertens (1995, p. 220), questo ricettario anonimo (di cui il codice Parisinus gr. 2327 è il più antico testimone) è parte di una sezione tecnica più ampia, che include testi (cfr. “Le Travail de quatre éléments” in CAAG II, p. 337-342) che dipendono da fonti alchemiche arabe: cfr. Colinet 2000.
20 Ps.-Dem. Alch., Sulla fabbricazione dell’argento, § 3 (Martelli 2011, p. 208-209 = CAAG II, p. 50-51).
21 La seconda ricetta è edita in CAAG II, p. 308, l. 6-10. Della prima ricetta – anch’essa relativa ad un trattamento per rendere la sostanza come argento – sono invece tramandate due versioni leggermente differenti: CAAG II, p. 305, l. 15-18 e p. 308, l. 11.
22 L’espressione siriaca sembra una traduzione letterale del greco αὐτοματάρ(ε)ιον, che compare in vari ricettari tardo-antichi e bizantini (cfr. CAAG II, p. 91, l. 10; p. 360, l. 25; p. 377, l. 2); si veda Duval 1893, p. 304 e 322.
23 Il codice B haܝܘܡ̈ܬܐ ; il codice A tramanda l’abbreviazione ܝܘܡ̄.
24 Ps.-Dem. Alch., Questioni naturali e segrete, § 6-7 (Martelli 2011, p. 188-191 = CAAG II, p. 44).
25 Cfr. CAAG II, p. 307, l. 18-19. Si veda anche Martelli 2011, p. 86.
26 Secondo l’interpretazione proposta da Halleux (1985, p. 53-54), qualora si tratti di piriti aurifere di rame, si formerebbe una lega tra rame, piombo e oro (gialla per la presenza di globuli d’oro in superficie), da cui il metallo prezioso sarebbe poi estratto per coppellazione.
27 Entrambi i codici hanno qui il segno alchemico per la pirite, come riportato nelle liste esplicative tramandate all’inizio del manoscritto (CMA II, p. 4, l. 9).
28 Il codice A tramanda ܡܣܡܩܢܘܬܐ; Il codice B ha la forma abbreviata ܡܣܡܩܢܘ̄.
29 Così interpretano Berthelot e Duval (CMA II, p. 20, l. 26); i due manoscritti, tuttavia, riportano qui un segno alchemico (marcato da tre punti supra lineam) che non compare nelle liste esplicative tramandate dai due codici (edite in CMA II, p. 2-8); cfr. fig. 1.
30 Vedi nota 27.
31 Un forno simile è citato anche nel corpus degli alchimisti greci: CAAG II, p. 36, l. 16: θὲς εἰς κάμινον ὑελουργικήν (cfr. anche p. 307, l. 26 e 341, l. 3); p. 452, l. 13: θὲς εἰς κάμινον ὑελοψοῦ. Già l’alchimista Zosimo di Panopoli specificava di compiere tinture alchemiche ἐν καμινίοις ὑελοψικοῖς (CAAG II, p. 246, l. 18).
32 Il codice A tramanda ܘܦܠܘܚ; Il codice B ha la forma abbreviata ܘܦ̄ܠ.
33 Vedi nota 27.
34 Vedi nota 27.
35 Il codice B tramanda ܕܙܓܘ̈ܓܝܐ; il codice A ha la forma abbreviata ܕܙܓܘܓ̄. La «magnēsia dei vetrai» è menzionata anche nel corpus degli scritti alchemici greci, in una ricetta sulla tempra del ferro indiano (CAAG II, p. 347, l. 14: μαγνησίας ὑελουργικῆς). Una ricetta anonima specifica che la si trova in Asia, dove è usata per tingere il vetro e per produrre il ferro indiano con cui si fabbricano splendide spade (CAAG II, p. 38, l. 10-12: Δεῖ γινώσκειν ὅτι ἡ μαγνησία ἡ ὑελουργικὴ ταύτη ἐστὶν ἡ τῆς Ἀσίας, δι᾽ ἧς ὁ ὕελος τὰς βαφὰς δέχεται καὶ ὁ Ἰνδικὸς σίδηρος γίνεται, καὶ τὰ θαυμάσια ξίφη).
36 Entrambi i codici riportano quattro segni alchemici, solo il primo identificabile con sicurezza con il rame (cfr. CMA II, p. 6, l. 7); si veda la fig. 2. Berthelot e Duval scrivevano (CMA II, p. 21, l. 6): ܘܣܒ ܢܚܫܐ ܘܐܢܟܐ ܘܟܒܪܝܬܐ ܘܦܪܙܠܐ.
37 In entrambi i codici compare il segno alchemico per l’argento come riportato in CMA II, p. 6, l. 5.
38 I codici riportano qui un altro segno alchemico di non sicura interpretazione; cfr. fig. 2.
39 Cfr. Martelli 2017, p. 235-236.
40 I primi tre libri sono infatti attribuiti a Democrito; cfr. CMA II, p. 37, n. 1: «La lecture de ce nom ne paraît pas douteuse dans le texte. Cependant le nom d’Hippocrate est étrange, aucun alchimiste de ce nom n’ayant été signalé. Il convient de lire quand même : “ Démocrite ”, en raison de la mention du livre IV etc.» (cfr. anche CMA II, p. 38, n. 1 e p. 73, n. 2).
41 Cfr. Martelli 2017, p. 242-243. Anche in questo caso Berthelot e Duval pensano ad un errore per Democrito: cfr. CMA II, p. 314, n. 2.
42 Cfr. Payne-Smith 1879, vol. 1, p. 165.
43 Pognon 1903, passim.
44 Cfr. Kessel 2012. Il commento è inedito, ma il nome di Ippocrate compare in un lungo passo edito e tradotto da Kessel alle p. 105 (l. 1) e 106 (l. 15). Da notare che il commentario menziona anche l’aneddoto secondo cui Democrito si sarebbe tenuto in vita respirando la fragranza del pane o del miele. Il nome del filosofo è qui reso con varie grafie (cfr., ad es., Kessel 2012, p. 105, l. 19 e 26).
45 Nei due codici di Londra, ad esempio, il nome di Democrito è in genere scritto ܕܝܡܘܩܪܛܝܣ (vedi sopra). Il codice di Cambridge Mm. 6.29 attesta la forma ܕܝܡܘܩܪܐܛܝܣ (cfr., ad es., fol. 90v1 e 94r3-4).
46 Cfr. ad esempio, Goltz 1972, p. 107 e Totelin 2009, p. 52.
47 Edito in De Mély-Ruelle 1898, p. 185-190. Sulla fortuna della farmacologia ippocratica, cfr. Totelin 2009, p. 259-296.
48 Edizione e traduzione in Smith 1990 (si vedano, in particolare, le p. 20-32 sulla datazione delle lettere intorno al rapporto tra Ippocrate e Democrito). Traduzione italiana in Roselli 1998.
49 Roselli 1998, p. 77. Il testo greco recita (Smith 1990, p. 92 = IX 379-380 Littré): θεραπείην δὲ λαβὼν παρὰ σεῦ τῆς ἐμῆς διανοίης ἀπαλλάσσομαι κτλ.
50 Su tale passo, cfr. Smith 2002, p. 227-228. Sul tema si veda anche il contributo di R.J. Hankinson in questo volume.
51 Testo greco in Ilberg 1927, p. 177, l. 5-7; cfr. Pinault 1992, p. 7 e 11. Nel § 6 la vita ricorda anche il viaggio di Ippocrate nell’isola di Abdera, mentre il § 11 puntualizza che i due morirono alla stessa età.
52 Sulla dipendenza di tali notizie da scritti alchemici che attestano una simile tradizione, cfr. Martelli 2011, p. 166-167.
53 Per un’introduzione generale alle cronache siriache, si veda Brock 1979; sulla storiografia in lingua siriaca, si vedano anche Debié 2009 e 2015.
54 Chabot 1927, vol. 1, p. 40, l. 5.
55 Chabot 1963, p. 66, col. 2, l. 17-18. Secondo Chabot, tale notizia deriverebbe dalla cronaca di Eusebio, che lo stesso Michele il Siriano menziona tra le principali fonti utilizzate nella prefazione alla sua opera (cfr. Brock 1979, p. 15-16). Su Democrito medico, si veda Gemelli Marciano 2007.
56 Bedjan 1890, p. 30, l. 22-26.
57 In genere, sulla tradizione biografica di Ippocrate in arabo, cfr. Dietrich 1987 e Pormann 2018.
58 Cfr. Sayyid 1955, p. 16. Traduzione in Pinault 1992, p. 143. Su questa leggenda, cfr. Oesterle 1979.
59 Flügel 1872, vol. 1, p. 287, l. 4-5. Questo passo citato non compare in ciò che rimane del Tar’rīḫ al-aṭibbā’, edito e tradotto da Rosenthal 1954, p. 61-80.
60 Si veda, recentemente, Pormann 2018, p. 348-360 (con ulteriore bibliografia).
61 Sulla trasmissione di questa traduzione, cfr. Sezgin 1970, p. 43 e Ullmann 1970, p. 34. Emily Cottrell ha presentato una comunicazione su un testimone manoscritto (BL, Or. 12070) alla XXIX International Conference on the History of Arabic Sciences di Aleppo (2009).
62 Müller 1882, vol. 1, p. 33, l. 11-12.
63 Varie menzioni sono discusse in Martelli 2017, p. 234-241 (con ulteriore bibliografia).
64 Cfr. Matton 2017, p. v-ix.
65 La storia dell’albero velenoso – detto Περσαῖον o Περσέ(ι)α – trapiantato dalla Persia in Egitto (dove i suoi frutti sarebbero divenuti commestibili) è riportata da varie fonti antiche, tra cui Galeno (De semine, II 1,42; IV 603,10-13 Kühn = p. 154,13-15 De Lacy), Dioscoride (I 129) e uno scolio anonimo ai Theriaka di Nicandro (764a 4-9 Crugnola). In quest’ultima fonte l’aneddoto è attribuito a Bolo di Mende, autore tardo-ellenistico che avrebbe pubblicato le sue opere sotto il nome di Democrito: cfr. Martelli 2011, p. 103.
66 Matton 2017, p. 7, l. 15. Si deve notare che in un altro passo, il testo latino porta il nome di Ippocrate (Hypocras; p. 69, l. 5), mentre l’originale arabo (come riportato dal MS Chester Beatty, Ar. 4121, fol. 194b10) ha دومقراط.
67 Sugli scritti arabi attribuiti a Zosimo di Panopoli (molti dei quali rimangono inediti), si veda Hallum 2008. L’opera Sulle chiavi dell’arte è stata tradotta da Abt-Fuad 2016 (che riproduce in facsimile l’unico codice noto, il Kīmiyā’ 23).
68 Si possono notare somiglianze tra il passo pseudo-democriteo qui citato e Ps.-Dem. Alch., Questioni naturali e segrete, § 3, l. 35-36 e 52-53 (Martelli 2011, p. 184 = CAAG II, p. 42, l. 22-23 e 43, l. 10-11).
69 Cfr., in particolare, Ps.-Dem. Alch., Questioni naturali e segrete, § 5, l. 72-75 (Martelli 2011, p. 188 = CAAG II, p. 44, l. 4-7) e Sulla fabbricazione dell’argento, § 1, l. 3-6 (Martelli 2011, p. 206 = CAAG II, p. 50, l. 2-5).
Auteur
Università di Bologna - matteo.martelli@unibo.it
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