Genesi, diffusione ed evoluzione dei documenti di ultima volontà nell’alto Medioevo italiano*
p. 81-96
Texte intégral
1Negli ultimi due decenni i testamenti e altri atti di ultima volontà hanno trovato nuovo interesse nella ricerca medievistica. Ciò vale per l’Europa in generale e per l’Italia in particolare. A partire dal 1980 circa è apparso, in rapida successione, un gran numero di rassegne sui fondi testamentari di molte città dell’Italia settentrionale e centrale. Nuovi impulsi per questa ricerca sono venuti anche dal convegno Nolens intestatus decedere, svoltosi a Perugia nel maggio 19831. È perciò pertinente il giudizio di Martin Bertram che ha parlato di «riscoperta di un nuovo campo di ricerca della medievistica italiana»2.
2La ricerca si concentra soprattutto sul rilevamento, e sull’esame, dei fondi archivistici italiani non ancora scoperti, o finora poco considerati. Così sono stati portati alla luce, per la prima volta, interi fondi archivistici composti prevalentemente di testamenti. Di norma si tratta di testamenti tardomedievali che proprio in Italia sono stati tramandati in gran numero. Nel frattempo sono apparsi, per singole città, eccellenti studi su questi testamenti, come ad esempio per Bologna3, Genova4, Siena5, Milano6, Trento7 o Venezia8 , ma anche su singole regioni come la Toscana9.
3Di recente hanno ritrovato particolare interesse, sia attraverso nuove scoperte10 o il riesame di singoli documenti11, sia con lo svolgimento di studi locali12, anche i testamenti e altre disposizioni di ultima volontà, redatti nell’epoca altomedievale. I documenti, qui considerati, appartengono al periodo che va dal tramonto del testamento tardo-romano, basato sul diritto romano, fino alla sua ripresa nell’epoca tardomedievale, cioè dal quinto al dodicesimo secolo circa. Ora anche gli storici e i diplomatisti s’interessano maggiormente di questi documenti di cui si erano finora occupati prevalentemente gli storici di diritto.
4Un’ampia analisi delle disposizioni di ultima volontà nell’Italia altomedievale dovrebbe vertere sull’intero processo tra stesura ed esecuzione. Dovrebbe esaminare come gli uomini dell’alto medioevo svolgessero negozi giuridici fin oltre la propria morte, come fossero fatti questi documenti, quale fosse la motivazione o l’intenzione del testatore, a chi pensassero, cosa lasciassero a chi. Estrapolando da tutto questo complesso campo d’indagine, le seguenti riflessioni si concentrano sulla questione fondamentale della trasmissione documentaria. Si tratta di una questione chiarita, apparentemente, già da tanto tempo, ma che – come si vedrà in seguito – è molto complessa e lascia ancora spazio per nuove conoscenze.
5Già nell’epoca tardo-romana ebbe inizio il tramonto del testamento di tipo romano-classico. Fino al terzo secolo dopo Cristo prevaleva ancora il testamentum per aes et libram13. Le severe norme formali, in vigore fino a quel momento, presero a dissolversi in gran parte. Dal tempo di Costantino non erano più necessarie le solenni formule e il severo formalismo per nominare un erede. Restava il numero prescritto dei testimoni, ma vennero abolite molte norme formali per la stesura del testamento. L’istituzione d’erede in generale perse la sua importanza14. La norma di dover assegnare tutta l’eredità, rimase valida solo in parte. Venne abbandonata l’antica norma giuridica nemo pro parte testatus pro parte intestatus decedere potest. Il patto successorio assorbì l’istituzione d’erede facendo sparire, in tal modo, la fondamentale distinzione tra testamento e codicillo15. Nel quarto secolo si distingueva tra il testamento dello ius civile con cinque testimoni e quello dello ius praetorium con sette testimoni. Queste due forme coesistettero fino alla tarda romanità16.
6Finora la ricerca ha ritenuto che il testamento del Patricius Abbo, del 739, in favore del monastero della Novalesa, sia stato l’ultimo testamento redatto nella forma classica del diritto romano, anche se di area giuridica franca piuttosto che italiana17. Molto più complessa è però la valutazione dei documenti successivi, lo stabilire il momento in cui si tornò a utilizzare il modello della pratica testamentaria romana.
7Secondo ricerche recenti i testamenti classici vennero usati ben oltre nel medioevo. Per Goswin Spreckelmeyer18 e Brigitte Kasten19 ci sarebbero stati, in Italia, testamenti, veri e propri‘ ancora nel periodo longobardo e carolingio. Per Brigitte Kasten, ad esempio, l’atto di ultima volontà di Engelberto da Erbè, del 846, costituisce ancora un «testamento in piena regola», però «secondo il diritto longobardo»20.
8Per Giulio Vismara invece, nel suo recente contributo per il «Lexikon des Mittelalters», la pratica giuridica romana fu ripresa quasi duecento anni dopo: nell’Italia settentrionale i negozi giuridici mortis causa si sarebbero riavvicinati al modello romano intorno al mille21. Un giudizio analogo esprime Federica Iacomelli, constatando a proposito di Pistoia un’evoluzione sostanziale e formale dei documenti dalla cartula offertionis pro anima alla carta post obitum22. Pierre Racine rimanda a testamenti redatti a Piacenza già nel decimo secolo23, e Steven Epstein ricorda testamenti veneziani e amalfitani dell’undicesimo secolo24, mentre secondo Martin Bertram il documento testamentario, basato sul diritto romano, sarebbe riapparso in Italia, in linea generale, proprio in questo secolo25. Per Gerardo Gatti invece l’uso di testare riprese largamente solo nel corso del dodicesimo secolo26.
9Per riassumere le diverse posizioni: si usava fare testamenti ancora fino all’ottavo o nono secolo, e poi di nuovo dal decimo, undecesimo o dodicesimo secolo. Con ciò vengono messi in discussione i risultati finora raggiunti dalla ricerca. Essi si basano sostanzialmente sulla fondamentale opera «Storia dei patti successori», pubblicata da Giulio Vismara ormai sessanta anni fa. Vismara parla nel suo ponderoso studio di nuovi testamenti, con l’esclusione dei territori di Ravenna e Venezia, solo a partire dalla prima metà del dodicesimo secolo27. Così egli invalida i risultati della precedente ricerca italiana secondo cui ci sarebbero stati testamenti anche nell’alto medioevo. In questo senso si sono espressi ad esempio gli storici del diritto Luigi Palumbo28, Francesco Schupfer29 o Pier Silverio Leicht30. Secondo Vismara i testamenti sarebbero stati sostituiti, nel medioevo, in un primo momento dalle mortis causa donationes, poi dalle donationes post obitum che, a loro volta, si sarebbero sviluppati nel corso del undicesimo secolo verso la ordinatio, prima di sfociare nuovamente nel testamento. Si concorda largamente che questo nuovo testamento è costituito di elementi di diritto romano e germanico, con influenze cristiane, ed è il risultato di una lunga evoluzione partita dalla donatio post obitum. Si concorda inoltre che, ancora per lungo tempo, il testamento gareggiava con altre disposizioni per causa di morte. A Pistoia ad esempio esistono accanto ai testamenti, fino al tredicesimo secolo, le cartulae offertionis et donationis31.
IL PROBLEMA TIPOLOGICO
10Da una parte non è molto chiaro, nonostante le ampie ricerche effettuate, il quadro riguardante la distribuzione cronologica della trasmissione documentaria nell’alto medioevo. Dall’altra parte la discussione sul contenuto giuridico delle unità documentarie rende palese che manca ancora una differenziazione dettagliata delle diverse disposizioni di ultima volontà. Nelle edizioni e negli studi di ricerca si distingue tra diversi tipi di atti di ultima volontà; tuttavia, i criteri di classificazione, adoperati oggi e derivati dal diritto romano classico, non vengono più chiariti, se non occasionalmente, oppure presupposti tacitamente. In una gran quantità di edizioni e studi si adoperano, come criterio, i concetti menzionati nei documenti stessi, una procedura che non aiuta a fare chiarezza perché esistono tantissime denominazioni medievali. Inoltre succede spesso che le denominazioni cambino all’interno di uno stesso documento.
11Prima di passare ai criteri per la classificazione dei documenti bisogna brevemente chiarire quali documenti vengono in seguito annoverati tra gli atti di ultima volontà.
12In primo luogo vengono considerati tutti i documenti che un testatore ha redatto circa la sua propria morte. Nei documenti altomedievali ci si riferisce in gran parte alla propria morte con formule come post meum obitum o post meum decessum. In alcuni documenti non viene esplicitato che si agisce riguardo alla propria morte, ma dalle circostanze menzionate nei documenti si capisce chiaramente l’intenzione. Ciò succede spesso, ad esempio, quando il testatore è gravemente malato.
13In secondo luogo l’indagine include anche quei documenti prodotti durante l’esecuzione dell’ultima volontà. E ciò perché, da una parte, si riferiscono, di norma, espressamente agli atti di ultima volontà, e dall’altra parte, perché rendono chiara l’intenzione del testatore, soprattutto in quei casi, in cui non si dispone più degli atti di ultima volontà. Con questo allargamento della base documentaria la ricerca si differenzia sostanzialmente dalla maggior parte degli studi precedenti, ma essa amplia e completa il quadro in modo ragionevole.
14Sia acennnato per inciso che alcune disposizioni di ultima volontà vengono menzionate, ovviamente, anche in altri documenti o in fonti narrative. Esistono inoltre falsi medievali e moderni oppure interpolazioni di tali documenti. Qui queste fonti non possono essere trattate, pur essendo altrettanto importanti per allargare il quadro complessivo.
15A questo punto siano brevemente ricordarti i sostanziali criteri per la distinzione e valutazione dei singoli documenti. Le differenze decisive tra testamenti, donationes mortis causa o donationes post obitum si basano su tre criteri giuridici:
- sulla presenza o assenza di una institutio heredis, cioè sulla nomina di un erede universale come successore legale
- sulla revocabilità o irrevocabilità dell’atto giuridico
- sulla unilateralità o bilateralità del negozio giuridico.
16Il testamento nella sua forma del diritto romano classico è, notoriamente, un documento unilaterale e revocabile che nomina un erede universale. La heredis institutio era caput et fundamentum del testamento romano32. Accanto al testamento si colloca la donazione in caso di morte. Questa donatio mortis causa, una modalità della donazione confermata in epoca tardo-repubblicana, si faceva di fronte a un imminente pericolo di morte. Con essa non si nominava un erede universale. La donatio post obitum invece veniva redatta in un momento qualsiasi. In questo caso si trattava di un atto giuridico irrevocabile e bilaterale; essa si distingueva da altre forme di donazioni soprattutto per la sospensione del negozio giuridico che si attuava solo con la morte del donatore33. Essendo così fatta, essa dev’essere distinta ad esempio dalle donationes pro anima, in cui l’effetto immediato dell’atto giuridico viene sottolineato mediante formule, presenti nella dispositio, come a presenti die et ora.
17A prima vista, dunque, la distinzione sembra facile. Ma i regesti introduttivi nelle recenti e meno recenti edizioni, e la diversa valutazione dello stesso documento da parte degli studiosi, evidenziano le difficoltà di una precisa definizione tipologica. Da uno spoglio sistematico delle edizioni italiane di fonti e regesti, come pure da alcuni accenni negli studi risulta, per il periodo dal quinto fino al primo quarto del dodicesimo secolo34, un gran numero di documenti che gli editori definiscono testamenti, mortis causa donationes, donationes post obitum o similmente, o nei quali vengono menzionati degli esecutori. Ma talvolta la classificazione di questi documenti è sbagliata, o essi vengono addirittura confusi con donazioni per la salvezza dell’anima o con semplici donazioni inter vivos.
18Quali sono i criteri per una classificazione più precisa? In seguito viene considerata la tipologia presentando, sulla base di esempi scelti, diversi atti di ultima volontà. Per quanto riguarda il metodo, viene adoperato in prima linea un approccio cronologico e quantitativo, continuando e completando in tal modo l’opera di Giulio Vismara. Così ci si potrà fare un’idea della mole di tutti i documenti tramandati e trarne un giudizio sulla distribuzione geografica e sul numero dei singoli tipi documentari.
LA VARIETÀ DEGLI ATTI DI ULTIMA VOLONTÀ
19Nei fondi documentari si riscontrano atti di ultima volontà di diversa forma. Complessivamente si tratta di più di seicento documenti.
I documenti dispositivi
20Esaminiamo prima i documenti, in cui il testatore dettava la sua ultima volontà. In un primo momento, tutti gli atti di ultima volontà erano orali. Di norma venivano poi messi per iscritto, quando il testatore era ancora in vita, e da lui firmati; qualche volta però si verbalizzavano solo dopo la sua morte. Alcuni esempi di questi cosidetti testamenti «orali» ci sono stati tramandati fino ad oggi, ma essi risalgono a un’epoca relativamente tarda. L’esemplare più antico è del 95135. Ulteriori sei documenti del decimo e undecesimo secolo confermano l’esistenza di questa forma in cui veniva disposta l’ultima volontà. Nel 1075 ad esempio si radunarono a Bologna diversi testimoni per documentare l’ultima volontà di un certo Alberico di Soresina che era già morto36.
21In gran parte però le disposizioni di ultima volontà avevano una forma scritta fin dall’inizio. I documenti sono molto eterogenei tra di loro, e non solo per il contenuto, che dipende dalle intenzioni e possibilità del testatore, ma anche per la loro struttura e le singole componenti del formulario. Una distinzione tra diversi tipi può essere tentata sulla base dei criteri menzionati all’inizio.
22In un primo momento dunque va verificato se nei documenti è stato nominato o meno un erede. La institutio heredis appare nel già menzionato documento rilasciato, nel 739, dal Patricius Abbo in favore del monastero della Novalesa. La formula è qui ancora heres michi es tu, heredem meam te esse volo ac iubeo37. Ancora verso la fine dell’ottavo secolo si riscontrano simili formule negli atti di ultima volontà. Il prete Alapeto favorì la chiesa di S. Gregorio in Pescia, che egli stesso aveva fondato, e la dichiarò erede universale con le parole me successorum et heredem elegi et costitui38. In un altro caso Achiperto, senza figli, si riservò: et si mihi Dominus filios aut filias donare dignatus fueret,... ipsi mihi heredis in omnebus esset inueniator39. A rigore, in questo caso non si tratta di una vera e propria nomina di un erede, ma di una possibilità che avrebbe potuto verificarsi. Ancora dall’inizio del nono secolo si ha notizia di una nomina di un erede. Vos vero Felicitate uxore mea et Romana nurem meam heredes michi instituto40. Poi questa formula sparisce per più di duecento anni dalle fonti per riapparire nuovamente nel 1029, e poi nel 1039. Le formule ora suonano: heredem constituimus nostrum41 e Item volo & precipio ut Girardus filius meus sit mihi heres in totum42. Solo pochi documenti menzionano dunque, e talvolta in forma assai diversificata, un erede universale. Anche dopo il 1039 si riscontrano, sporadicamente, le istituzioni d’erede. Complessivamente appena il cinque per cento dei documenti, redatti nel periodo qui considerato, contengono una heredis institutio o una forma simile.
23Tutti gli altri documenti invece non contengono un’istituzione d’erede. In questi casi dovrebbe trattarsi di donationes mortis causa o post obitum, dunque di negozi giuridici bilaterali e irrevocabili. Come summenzionato, questi due tipi si distinguono per l’imminenza della morte che si può dedurre, semmai, solo dal documento stesso. Circa il diciassette per cento dei documenti accennano allo stato di salute del testatore. Molto spesso appare in questo contesto la formula sana mente, conosciuta anche dal testamento romano, in parte con l’aggiunta integroque consilio. Un numero considerevole di documenti annotano inoltre l’infermità del testatore. Non sempre si tratta di un diretto accenno alla imminenza della morte, perché molti testatori esprimono anche la speranza di guarire. Solo pochi documenti contengono chiari accenni all’imminenza della morte, con formule assai vaghe come dum me in infirmitate egritudinis fortissima esse43. In modo molto più decisivo si esprimono altri documenti: quia dum me forte egritudo preoccupatus videret, et me ad mortis periculo tendere videret44. In questa forma specifica solo undici documenti accennano all’imminenza della morte, offrendo così un indizio concreto per una donatio mortis causa.
24Le donationes post obitum si caratterizzano, da una parte, per la irrevocabilità delle disposizioni e, dall’altra parte, per la bilateralità del negozio giuridico. Entrambi gli elementi non sempre sono identificabili con sicurezza. Certo, molti documenti ribadiscono, in una Confirmatio, l’irrevocabilità con formule del tipo inviolabiliter conservare promitto, ma altri testatori si riservano esplicitamente proprio questo diritto di revoca, conservandosi vita durante la potestas sui beni e il diritto di amministrarli, venderli e alienarli in altro modo. Anspaldo ad esempio lasciava alla chiesa Santa Maria in Lucca, tutti i suoi beni, precisando però: dum ego aduiuere meruero, omnis res mea in mea sit potestate iterum iudicare, uindere, donare et in omnibus despensare qualiter uoluero45. Solo dopo la sua morte i beni, non trasmessi in altro modo, sarebbero spettati alla chiesa con ulteriori clausole. Analoghe clausole e limitazioni si riservano, comunque, il quaranta per cento dei testatori. In tali casi dunque i documenti erano revocabili, somigliando perciò in questo aspetto ai testamenti. Spesso si stabilisce contemporaneamente che lo stesso documento, nel caso in cui non avvenisse una nuova assegnazione, rimasse firmiter et stabile. In particolare a proposito dei documenti, che erano revocabili, le stesure, di cui disponiamo, non sono necessariamente quelle definitive. Tuttavia, a giudicare da tutto il corpus delle fonti tramandate, di norma è proprio così.
25Altrettanto difficile risulta dimostrare la bilateralità dei negozi giuridici. Non sempre la situazione è così chiara come nel caso del conte Randone, che nell’aprile del 1109 lascia i suoi possedimenti, largamente sparsi, all’abate Alberto e al monastero di Santa Croce e Santa Trinità di Sassovivo. Come egli stesso sottolinea, questa donazione a causa di morte è irrevocabile. Inoltre ribadisce espressamente che il documento è stato redatto per il monastero46. In molti altri casi la situazione non è altrettanto chiara, perché le parole come donare e tradere, che denotano in modo inequivocabile un’assegnazione, sono relativamente rare, mentre prevalgono i vocaboli come volere, statuere ecc. Anche la formula post traditam, che si presuppone esprima la bilateralità, si trova solo in meno della metà dei documenti, cioè in un quarantaquattro per cento circa.
26I pochi esempi citati evidenziano che molti documenti non rientrano facilmente nello schema di testamento, donationes causa mortis o donationes post obitum. Molti documenti presentano una forma mista, non sono – in modo inequivocabile – né testamenti né donazioni a causa di morte. Essi adempiono contemporaneamente a diverse funzioni. Perciò sembra ragionevole non adottare in modo troppo rigido questi criteri di classificazione e questi modelli, ma parlare piuttosto di atti di ultima volontà dell’alto medioevo in generale, e di esaminare questo gruppo documentario come tale.
27Si può inoltre dimostrare la diversità e moltiplicità dei documenti sulla base di ulteriori singoli casi. A fine agosto 773 un certo Davide di Lucca stabilì le sue ultime volontà. Questo documento è particolarmente interessante proprio perché è l’unico, conservato fino ad oggi, che sia stato redatto dal testatore stesso47. Esso corrisponde in questo senso alle leggi dell’imperatore Valentiniano III che introdusse, nel 446, i testamenti olografi, ma esso se ne distingue per le firme dei testimoni48. Notevole è anche la lettera del vescovo Gregorio di Vercelli a sua sorella Adeleida, nella quale egli le rivela le sue ultime volontà. Egli le affidò la liberazione dei suoi servi ai quali doveva dare pure tre mansi di terra. Inoltre Adelaida avrebbe dovuto distribuire elemosine per la salvezza della sua anima49. È poco probabile che si tratti qui di casi singoli; anche se di sicuro non ne esistevano molti di tali documenti, essi comunque attestano quanto diversificata sia stata in origine la tradizione documentaria.
28Tutti i documenti finora menzionati sono stati redatti da un unico testatore, ma a partire dal quinto secolo anche più persone potevano testare collettivamente in previsione della propria morte50. In questo contesto erano possibili diverse costellazioni: hanno testato dei coniugi, una madre insieme a sua figlia, oppure diversi fratelli collettivamente. Complessivamente circa 50 documenti appartengono a questo tipo di testamento, che è ancora raro nell’ottavo e nono secolo, ma più frequente nell’undicesimo.
I documenti esecutivi
29Spesso il testatore affidò l’esecuzione delle sue ultime volontà, per iscritto, a uno o più esecutori. Si nota che i testatori potevano incaricare i loro esecutori in due modi diversi. Una modalità era quella di dichiarare le ultime volontà, incaricando gli esecutori solo alla fine. Il gasindio regio Taido ad esempio distribuì i suoi beni di Bergamo, Verona e Pavia a diverse chiese e a suo fratello Teudaldo. A sua moglie Lamperga riservò, a condizione che non si risposasse, l’usufrutto dei suoi beni. Egli liberò i suoi servi e – solo a questo punto – stabilì che il vescovo di Bergamo avrebbe dovuto vendere tutti i beni rimanenti per distribuirne il ricavato ai poveri e ai preti51.
30La seconda modalità era quella di menzionare gli esecutori all’inizio e di stabilire successivamente le eventuali altre disposizioni. Esempio ne è il documento del clerico Celso che, nel 789, nominò suo esecutore l’abate Gunfredo di S. Pietro di Monteverdi insieme ai preti Godiprando e Rachiprando come pure il chierico Scualdo. Essi avrebbero dovuto vendere i suoi beni, non altrimenti assegnati, e adoperarne il ricavato per la salvezza della sua anima nel modo che ritenessero il migliore. Inoltre avrebbero dovuto liberare i suoi servi e assegnare diversi beni a suo nipote52.
31Per la vendita o l’assegnazione dei beni gli esecutori facevano di norma compilare ulteriori documenti. Preliminarmente annotavano, nella dispositio, l’avvenuta morte del testatore. Quasi sempre si riferivano a un incarico scritto, nominato cartula, decretum o iudicatum. Dei circa 80 documenti conservati, con cui gli esecutori mettevano in pratica un’ultima volontà, nessuno corrisponde purtroppo ad uno dei testatori appena nominati. Nei documenti vengono spesso menzionati altri documenti preliminari, provenienti dal lascito, che con l’assegnazione erano finiti in mano al nuovo possessore. Questi documenti degli esecutori sono interessanti per due ragioni; sia perché accennano ad alcuni atti di ultima volontà andati persi, sia perché si riferiscono ad alcune disposizioni parziali dell’ultima volontà. Inoltre costituiscono prova che i desideri del testatore sono stati effettivamente eseguiti e rispettati. Si capisce in questo contesto che nel corso del processo esecutivo di un atto di ultima volontà si producevano, di norma, più documenti di quelli di cui oggi disponiamo.
LA DISTRIBUZIONE CRONOLOGICA
32Si pone la domanda, come si distribuisce tutta la mole dei documenti tramandati nell’arco di tempo che va dal quinto secolo al primo quarto del dodicesimo secolo. Del periodo ostrogoto e dei primi anni del regno longobardo disponiamo di sei documenti, tutti redatti tra il 474 e il 575 a Ravenna. I testamenti sono tramandati attraverso un protocollo di apertura e venivano confermati dal prefetto pretoriano di Ravenna. Solo l’ultimo documento, quello del 25 ottobre 575, esiste ancora in originale: infatti, la terza parte inferiore del papiro è rimasta intatta53. Alla fine del sesto secolo la tradizione documentaria si esaurisce.
33Per il periodo tra la conquista dell’Italia da parte dei longobardi e il dominio di Liutprando (712-744) non sono stati conservati altri veri e propri testamenti, donationes post obitum, o altri tipi di atto di ultima volontà. Proprio a quei tempi si riferiscono, però, tre falsificazioni moderne del Bianchini e del Dragoni; non sono del 658, 685 e 693, come indicano, ma si basano, in forma e contenuto, su donazioni contemporanee, come la ricerca ha dimostrato54.
34Il documento autentico più antico è del 74555, sicchè la lacuna nella tradizione si estende per centosettanta anni scarsi. Tuttavia, dalla raccolta di lettere di papa Gregorio I (590-604) si desume che almeno alla fine del sesto secolo venivano ancora fatti dei testamenti56.
35La tradizione documentaria ricomincia nella prima metà del ottavo secolo con tre soli documenti. Dalla seconda metà dello stesso secolo invece provengono già 46 documenti. Accanto agli atti di ultima volontà da parte di singoli testatori appaiono ora anche dichiarazioni collettive. Proprio a questo periodo appartengono poi i primi documenti fatti redigere da esecutori nel loro compito di rendere esecutivo un atto di ultima volontà. Per i prossimi 150 anni il numero dei documenti, che oscilla tra il 30 e il 36 ogni mezzo secolo, resta grosso modo invariato. Per la prima metà del nono secolo inoltre è comprovata, per la prima volta, una donna come testatrice57. In seguito ci sono altri 50 casi in cui è una donna a fare il testamento. Nel periodo tra il 951 e il mille si raddoppia la quantità di atti di ultima volontà fino a toccare circa 66 unità che, nel seguente mezzo secolo, sale a 106 e poi addirittura a 155. Complessivamente sono tramandati circa 500 atti di ultima volontà per l’arco di tempo che va dalla prima metà dell’ottavo secolo al primo quarto del dodicesimo secolo. A questi si aggiungono poi circa 80 documenti degli esecutori e circa 25 menzioni in altri documenti. Per tutto il periodo in discussione sono dunque oltre 600 gli atti di ultima volontà tramandati.
LA DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA
36Inizialmente la trasmissione documentaria si concentra nelle attuali regioni della Toscana e della Lombardia. I tre più antichi esemplari conservati provengono da Lucca, Pisa e Agrate58. In ogni caso quasi la metà di tutti i documenti tramandati hanno origine in queste due regioni. Nell’Emilia Romagna e nelle due regioni più meridionali dell’Umbria e del Lazio i primi documenti appaiono nella seconda metà dell’ottavo secolo. Mentre dall’Emilia Romagna e dal Lazio proviene rispettivamente oltre il dieci per cento della tradizione complessiva, l’Umbria è rappresentata solo con una dozzina di unità. Dall’inizio del nono secolo disponiamo di documenti provenienti dalle regioni Piemonte, Veneto e Friuli. Il Piemonte costituisce, in questo contesto, con il dieci per cento scarso, un ulteriore centro della trasmissione documentaria. Dalla Liguria si hanno i primi esempi, non molto numerosi però, dopo la metà del decimo secolo. Relativamente tardi invece comincia la tradizione documentaria nel meridione. Alcuni documenti dalla prima metà del decimo secolo provengono dalla Campania che costituisce, indubbiamente, un centro regionale della trasmissione; più tardi seguono altri dagli Abruzzi e dalle Puglie, infine dalle Marche. Nessun documento ci giunge dalle due regioni settentrionali Val d’Aosta e Alto Adige, e nessuna notizia si ha del Molise, della Basilicata e della Calabria, ciò che corrisponde alle aspettative dal periodo qui considerato.
37Sono i centri cittadini che hanno conservato una certa tradizione documentaria continuativa. Complessivamente i documenti provengono da più di 90 luoghi diversi, tuttavia per un arco di tempo maggiore solo da poche città. Per la Toscana è indubbiamente Lucca, che costituisce il fulcro della tradizione documentaria; tuttavia esistano più di 20 ulteriori luoghi di emissione, tra cui – ad esempio – Pisa con diversi documenti. Nella Lombardia i documenti si concentrano maggiormente nelle città di Bergamo e Milano, ma anche qui si aggiungono circa altri 20 luoghi. Più di cinque documenti sono stati emessi pure in alcune città dell’Emilia-Romagna come Parma, Piacenza e Ravenna. Per quanto riguarda il territorio dell’attuale Lazio, quasi un terzo dei documenti appartengono rispettivamente a Rieti e Gaeta. Nel meridione è chiaramente Napoli a costituire il fulcro della tradizione. Nelle altre regioni gli atti di ultima volontà si distribuiscono in modo uniforme in diversi luoghi.
38Anche la tradizione di documenti redatti dagli esecutori inizia in Toscana, cioè a Lucca. Fino al nono secolo gli atti provengono solo da questa città, costituendo in tal modo, complessivamente, molto più di un terzo di tutta la documentazione. Nei seguenti 50 anni si aggiungono i primi, ancora scarsi, esempi da Piacenza e Verona, dalla seconda metà del secolo anche da Asti. Dopo appaiono pure nelle restanti regioni, in Campania ad esempio ancora prima del primo atto di ultima volontà. Da quasi la metà delle attuali regioni invece manca ogni notizia per questo tipo di atti; non ve ne sono in Lombardia e Friuli, in Liguria, negli Abruzzi e nelle Puglie, e neppure nelle Marche. Questa breve rassegna sulla distribuzione regionale e locale dei documenti, conservati fino a oggi, mette in luce quanto sia frammentata la tradizione documentaria nonostante tutta la sua mole.
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39Sollecitato dalla discussione, sviluppatasi nella ricerca moderna, se – e eventualmente da quando – ci sono stati tramandati dei testamenti dell’Italia altomedievale, questo contributo ha esaminato di nuovo la questione fondamentale delle tipologie degli atti di ultima volontà evidenziando la complessità della tematica, e mostrando la diversificazione della tradizione. Un riesame di tutta la tradizione sembra assolutamente necessario. Esso dovrebbe comprendere un’indagine su come suddividere i documenti – al fine di una loro classificazione – sulla base di alcuni elementi in essi contenuti; per via della grande mole documentaria, tale indagine poteva qui essere solo abbozzata, e non condotta nei dettagli. Tuttavia già i risultati conseguiti rendono possibili, e suggeriscono, ulteriori riflessioni. Ad esempio a proposito dell’apparire dei testamenti, o sulla quantità di atti di ultima volontà in cui si accenna allo stato della salute, con il conseguente numero delle mortis causa donationes.
40Gli atti di ultima volontà ci si disvelano però completamente solo quando vengono esaminati dai molti diversi punti di vista possibili. Già nel 1973 Cinzio Violante sottolineò, in occasione del convegno «Fonti medievali e problematica storiografica», organizzato dall’Istituto Storico Italiano per il Medio evo, che lo studio di Giulio Vismara avrebbe potuto essere arricchito, con profitto, di ulteriori aspetti: «Grazie appunto a questo lavoro, la ricerca potrà essere fruttuosamente spinta ben oltre, in una direzione verso la quale del resto lo stesso autore si è incamminato: bisognerà approfondire lo studio del contenuto reale dei patti successori e degli altri documenti che siano di volta connessi con questi, e che devono essere rintracciati; e sarà certo interessante individuare le persone singole e i casi concreti a cui si collegano determinate forme giuridiche»59. E Goswin Spreckelmeyer suggeriva di allargare il concetto di testamento, superando la definizione del diritto romano classico, e di esaminare in particolare non solo la sua funzione nell’ambito giuridico, ma anche di tentare un’interpretazione culturale in generale60.
41La discussione intorno ai testamenti e ad altri atti di ultima volontà nell’Italia dal quinto al dodicesimo secolo, impostata finora piuttosto in un’ottica tipologica e di storia del diritto, servirà dunque ad un’ampia analisi solo come base per l’esame del contenuto, e per l’analisi della funzione degli atti di ultima volontà. La riconsiderazione della situazione documentaria è il primo passo importante in questa direzione.
Notes de bas de page
1 Nolens intestatus decedere. Il testamento come fonte della storia religiosa e sociale. Atti dell’incontro di studio, Perugia, 3 maggio 1983, Perugia, 1985 (Archivi dell’Umbria. Inventari e Ricerche, 7).
2 M. Bertram, Mittelalterliche Testamente. Zur Entdeckung einer Quellengattung in Italien, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, 68, 1988, p. 509-545: p. 5 ss.
3 M. Bertram, Bologneser Testamente. Erster Teil: Die urkundliche Überlieferung, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, 70, 1990, p. 151-233; Zweiter Teil: Sondierungen in den Libri memoriali, ibid., 71, 1991, p. 195-240; Id., Testamenti medievali bolognesi: una miniera documentaria tutta da esplorare, in Rassegna degli Archivi di Stato, 52, 1992, p. 307-323.
4 St. Epstein, Wills and wealth in medieval Genoa, 1150-1250, Cambridge-Londra, 1984.
5 S. K. Cohn, Death and property in Siena, 1205-1800: strategies for the afterlife, Baltimore, 1988 (Johns Hopkins University studies in historical and political science, 106-2). Cfr. S. I. Camporeale, La morte, la proprietà e il «problema della salvezza». Testamenti e ultime volontà a Siena dal 1200 al 1800 (considerazioni di storia e storiografia), in Memorie Domenicane, 108, 1991, p. 381-404.
6 L. Condini, Un sondaggio fra i testamenti Milanesi del secondo Quattrocento, in Archivio storico lombardo, 117, 1991, p. 367-389.
7 L. Maino, 50 testamenti medioevali nell’archivio capitolare di Trento (secoli xii-xv), Ferrara, 1999, rist. 2000.
8 L. Guzzetti, Venezianische Vermächtnisse. Die soziale und wirtschaftliche Situation von Frauen im Spiegel spätmittelalterlicher Testamente, Stoccarda, 1998.
9 E. D. English, La prassi testamentaria della Toscana del Tre-Quattrocento, in I ceti dirigenti nella Toscana del Quattrocento, Firenze, 1987, p. 463-471.
10 F. Bougard, Pierre de Niviano, dit le Spolétin, sculdassius, et le gouvernement du comté de Plaissance à l’époque carolingienne, in Journal des savants, 1996, p. 291-337.
11 Cfr. p. es. G. Migliardi O’Riordan, Per lo studio di una cartula testamenti del ix secolo, in Archivio veneto, 135, 1990, p. 77-82, e G. Brunettin, Il cosiddetto testamento del Patriarca Fortunato II di Grado (825), in Memorie storiche forogiuliesi, 71, 1991, p. 51-123.
12 F. Iacomelli, Dalle donazioni pro anima del secolo viii ai testamenti del secolo xiii, in Bullettino storico pistoiese, 32, 1997, p. 79-95.
13 M. Amelotti, Testamento (diritto romano), in Enciclopedia del diritto, XLIV, Varese, 1992, p. 459-470.
14 M. Kaser, Das römische Privatrecht, Monaco, 1975 (Handbuch der Altertumswissenschaften, X.3.3.1.-2.), II, p. 468 e 490-491; U. Nonn, Merowingische Testamente. Studien zum Fortleben einer römischen Urkundenform im Frankenreich, in Archiv für Diplomatik, 18, 1972, p. 4-25.
15 M. Kaser, Das römische Privatrecht..., II, p. 464-465.
16 Ibid., p. 468; M. Amelotti, Testamento (diritto romano)..., p. 466.
17 H. Auffroy, Évolution du testament en France des origines au xiiie siècle, Paris, 1899, rist. Aix-en-Provence, 1927, p. 273; J. Kincl, Merovesjké testamenty, in Právneˇhistorické studie, 16, 1971, p. 33-69 (con riassunto francese: Les testaments de l’époque mérovingienne, p. 68-69); U. Nonn, Merowingische Testamente..., p. 3.
18 G. Spreckelmeyer, Zur rechtlichen Funktion frühmittelalterlicher Testamente, in P. Classen (a cura di), Recht und Schrift im Mittelalter, Sigmaringen, 1977 (Vorträge und Forschungen, 23), p. 91-113.
19 B. Kasten, Erbrechtliche Verfügungen des 8. und 9. Jahrhunderts. Zugleich ein Beitrag zur Organisation und zur Schriftlichkeit bei der Verwaltung adeliger Grundherrschaften am Beispiel des Grafen Heccard aus Burgund, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte. Germanistische Abteilung, 107, 1990, p. 236-338: p. 283.
20 V. Fainelli, Codice diplomatico veronese dalla caduta dell’Impero romano alla fine del periodo carolingio, Venezia, 1940 (Monumenti storici pubblicati dalla Deputazione Veneta di storia patria, n. s., 1, 17), no 181 (846). Cfr. B. Kasten, Erbrechtliche Verfügungen..., p. 245, 257-258. G. Vismara, Storia dei patti successori, Milano, 1941, rist. 1986, p. 466 e nota 4, lo colloca invece tra le donationes post obitum.
21 G. Vismara, Testament, in Lexikon des Mittelalters, VIII, Monaco-Zurigo, 1997, col. 568.
22 F. Iacomelli, Dalle donazioni pro anima..., p. 85.
23 P. Racine, Plaisance du xe à la fin du xiiie siècle. Essai d’histoire urbaine, I, Parigi, 1980, p. 351-353.
24 St. Epstein, Wills and wealth..., p. 14.
25 M. Bertram, Mittelalterliche Testamente..., p. 515.
26 G. Gatti, Autonomia privata e volontà di testare nei secoli xiii e xiv, in Nolens intestatus decedere... cit. n. 1, p. 26.
27 G. Vismara, Storia dei patti successori..., p. 477 e 545, sottolinea che a Venezia e Ravenna la prassi del testare non era mai finita. Inoltre i testamenti sarebbero comprovati nella Toscana dal 1136 circa (op. cit., p. 589), a Roma dal 1137 (p. 624), nella Liguria dal 1155 (p. 495), a Bari dal 1167 (p. 716), in Piemonte dal 1170 (p. 380), nella Lombardia dal 1175 (p. 463) e nell’Emilia dal 1176 (p. 533). Egli invece non offre alcun elemento per una ricomparsa nelle regioni di Umbria, Sabina, gli Abruzzi, Salerno, Sicilia e Sardegna. Per lo sviluppo speciale nei territori di Napoli, Gaeta ed Amalfi cfr. ibid., p. 630-634. Cfr. F. Iacomelli, Dalle donazioni pro anima..., p. 86, che conferma per Pistoia «un vero e proprio testamento» solo per il 1138.
28 L. Palumbo, Testamento romano et testamento longobardo, Lanciano, 1892.
29 F. Schupfer, Il diritto privato dei popoli Germanici con speciale riguardo al l’Italia, IV, Città di Castello...-Firenze, 1909, p. 186-227.
30 P. S. Leicht, Il diritto privato preirneriano, Bologna, 1933, p. 297-304.
31 F. Iacomelli, Dalle donazioni pro anima..., p. 86.
32 G. Vismara, Appunti intorno alla heredis institutio, in Studi di storia e diritto in onore di Enrico Besta, III, Milano, 1939, p. 301-363, e Id., «Heredem instituere» nelle fonti medievali, Milano, 1940, rist. in Id., Scritti di storia giuridica, VI, Milano, 1988, p. 37-106 e p. 145-208.
33 R. Hübner, Die donationes post obitum und die Schenkungen mit Vorbehalt des Nießbrauchs im älteren deutschen Recht, Diss. jur. Berlino, Breslau, 1888, rist. Aalen, 1970 (Untersuchungen zur deutschen Rechtsgeschichte, A. F., 26).
34 Già per la seconda metà del xii secolo, e tanto più per il xiii secolo, si osserva un forte aumento della tradizione delle disposizioni testamentarie.
35 M. D’Alessandro Nannipieri, Carte dell’Archivio di Stato di Pisa, I, Roma, 1978 (Thesaurus ecclesiarium Italiae, VII, 9), no 8.
36 C. Manaresi e C. Santoro, Gli atti privati milanesi e comaschi del sec. xi, iv, Milano, 1969, no 558 (1075).
37 Monumenta Novaliciensia vetustiora, a cura di C. Cipolla, I, Roma, 1898 (Fonti per la storia d’Italia, 31), no 2 (739).
38 D. Barsocchini, Memorie e documenti per servire all’istoria della città e Stato di Lucca, V-2, Lucca, 1837, no 267 (798).
39 L. Schiaparelli, Codice diplomatico longobardo, I, Roma, 1929 (Fonti per la storia d’Italia, 62), no 90 (747). Cfr. G. Vismara, Storia dei patti successori..., p. 401 nota 2, che qualifica il documento come donatio post obitum.
40 L. Lanfranchi e B. Strina, Ss. Ilario e Benedetto e S. Gregorio, Venezia, 1965 (Fonti per la storia di Venezia. Sezione 2, Archivi ecclesiastici diocesi Castellana, 6), no 2 = R. Cessi, Documenti relativi alla storia di Venezia anteriori al mille, I, Padova, 1940, no 53 (828/829). Cfr. P. S. Leicht, Il testamento romano dell’alto Medioevo su la scorta di documenti inediti bolognesi, in Atti del I Congresso nazionale di studi romani, Roma, 1928, rist., in Id., Scritti vari di storia del diritto italiano, II-1, Milano, 1949, p. 321-324: p. 321; G. Vismara Storia dei patti successori..., p. 483 note 3-7; J.-O. Tjäder, Die nichtliterarischen lateinischen Papyri Italiens aus der Zeit 445-700, I, Lund-Stoccolma, 1954, p. 193.
41 M. Bosco, Le più antiche carte del monastero di S. Giusto di Susa (10291212), in Bolletino storico-bibliografico subalpino, 73, 1975, p. 577-595: no 1 (1029).
42 M. Fantuzzi, Monumenta ravennati, IV, Venezia, 1802, no 27 (1039).
43 Chartae latinae antiquiores [abbr. ChLA], XXVI (Italy VII), a cura di J.-O. Tjäder, Dietikon-Zurigo, 1987, no 806 (763).
44 ChLA, XXXIX (Italy XX), a cura di F. Magistrale, Dietikon-Zurigo, 1991, no 1144 (794). Oppure dum me vidissent in validissima infermitate, incerto sunt qualiter ad sanitate mea evaderent possant; ChLA, XXXVI (Italy XVII), a cura di G. Nicolaj, Dietikon-Zurigo, 1990, no 1057 (776).
45 L. Schiaparelli, Codice diplomatico longobardo..., II, no 175 (764).
46 G. Cencetti, Le carte dell’Abbazia di S. Croce di Sassovivo, I, Firenze, 1973, no 176 (1109).
47 ChLA, XXXVI (Italy XVII), a cura di G. Nicolaj, Dietikon-Zurigo, 1990, no 1045 (773).
48 M. Kaser, Das römische Privatrecht..., II, p. 469 e 481. Nell’Occidente il testamento olografo rimase tuttavia solo un episodio. Cfr. M. Amelotti, Testamento (diritto romano)..., p. 467.
49 G. Drei, Le carte degli archivi Parmensi dei s. X-XII, II, Parma, 1928, no 133 (1077).
50 M. Kaser, Das römische Privatrecht..., II, p. 481; M. Amelotti, Testamento (diritto romano)..., p. 467.
51 M. Cortesi (dir.), Le pergamene degli archivi di Bergamo, I, Bergamo, 1988 (Fonti per lo studio del territorio bergamasco, 8), no 193 (774).
52 ChLA, XXXVIII (Italy XIX), a cura di M. Palma e F. Bianchi, Dietikon-Zurigo, 1990, no 1125 (789).
53 J.-O. Tjäder, Die nichtliterarischen lateinischen Papyri Italiens..., I, p. 204-224; ChLA, XXI (Italy II), a cura di A. Petrucci e J.-O. Tjäder, Dietikon-Zurigo, 1983, no 714 (575).
54 G. Porro-Lambertenghi, Codex diplomaticus Langobardiae, Torino, 1873 (Monumenta historiae patriae, 13), col. 137; L. Schiaparelli, Codice diplomatico longobardo..., I, no 8 (685) e no 11 (693). Cfr. L. M. Hartmann, Geschichte Italiens im Mittelalter, II-1, Lipsia-Gotha, 1900, rist. 1969, p. 278; L. Schiaparelli, Note diplomatiche sui piu antichi documenti cremonesi (sec. vii-viii), in A. Brackmann (a cura di), Papsttum und Kaisertum. Forschungen zur politischen Geschichte und Geisteskultur des Mittelalters. Paul Kehr zum 65. Geburtstag, Monaco, 1926, p. 59-101: p. 60-62, 101.
55 G. Vismara, Storia dei patti successori..., p. 222.
56 Cfr. p. es. S. Gregorii Magni registrum epistularum, ed. D. Norberg, Turn hout, 1982 (Corpus Christianorum. Series Latina, 140), p. 291 (V 25) (595), p. 369 f. (VI 1) (595).
57 G. Migliardi O’Riordan, Per lo studio..., p. 77-78.
58 A. R. Natale, Il Museo diplomatico dell’Archivio di Stato di Milano, I-1, Milano, 1970, no 13 (745); L. Schiaparelli, Codice diplomatico longobardo..., I, no 90 (747); ChLA, XXVI (Italy VII), a cura di J.-O. Tjäder, Dietikon-Zurigo, 1987, no 803 (748).
59 C. Violante, Atti privati e storia medioevale. Problemi di metodo, Roma, 1982 (Fonti e studi del Corpus membranarum italicarum, Ser. 1, Studi e ricerche, 20), p. 18.
60 G. Spreckelmeyer, Zur rechtlichen Funktion..., p. 113.
Notes de fin
* Questo contributo sta in relazione con un’ampia analisi dei documenti di ultima volontà nell’alto medioevo italiano in corso e vorrebbe proporre alcune riflessioni per ripensare questa categoria documentaria. Ringrazio Dr. Gerhard Kuck per la traduzione dal tedesco.
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