Capitolo 4. Le forme marmoree di Roma di tradizione augustea
p. 37-49
Texte intégral
1Leggendo il titolo di questo capitolo, il lettore potrebbe chiedersi cosa significhi «tradizione augustea», non avendo noi tra le mani testimonianza fisica certa della mappa urbana concepita dal primo imperatore. Per «tradizione» intendiamo qui i connotati materiali e tecnici (tipo di incisione, didascalizzazione, segni convenzionali, segni peculiari di origine catastale che indicano una funzione pubblica e ufficiale, ecc.) non rintracciabili in quello che è il documento cartografico urbano per eccellenza, la Forma Urbis Marmorea Severiana, di cui parleremo più avanti e la cui data di realizzazione, ormai certa, si fissa al primo decennio del III sec. d.C. Ci si potrebbe ancora chiedere come si possa affermare che tali connotati fisici siano collegabili ad un sistema di rilievo cartografico anteriore, e non posteriore, alla mappa severiana, se le mappe in questione non portano elementi intrinseci cronologicamente sicuri. Almeno in prima analisi, effettivamente, nessuna delle mappe di cui ci occuperemo in questo capitolo porta elementi sufficienti che permettano di inserirla in un periodo ben preciso della vita della città. Tuttavia, esistono argomenti seri per dedurre che il sistema grafico adoperato, comune a tutte, sia entrato in uso pochi anni dopo la morte di Augusto, anche se a testimoniare ciò non è una pianta «pubblica» della città, ma la planimetria settoriale di monumenti privati di età neroniana, come la cosiddetta «pianta di Perugia», di cui si parlerà brevemente prima di affrontare il nostro tema specifico. Fig. 12.
LA PIANTA DI PERUGIA
2La pianta si trova oggi al Museo di Perugia, in Umbria. Non è possibile ricostruire un iter storico preciso del pezzo, che indichi la sua provenienza archeologica, né tanto meno si ha la certezza che il luogo di ritrovamento sia proprio Roma. La cosa ha un’importanza relativa, poiché, qualunque sia stato il luogo per il quale il documento marmoreo venne realizzato e dovunque fisicamente venne affisso, è certa la sua cronologia, riferibile all’impero di Nerone. Il primo a fare del la pianta un rilievo accurato e una puntuale disamina fu H. Jordan1, che ne appurò l’originalità, i pregi ed i limiti, con l’acume che caratterizzava la sua ricerca. Gli autori della Pianta Severiana2, oltre ad un breve commento, offrono anche una versione fotografica della lastra, purtroppo senza indicare le misure, ma dal disegno accurato di Jordan si deduce che il pezzo misurava in superficie 82 × 58 cm (2.77 piedi romani per 2 piedi ca). La lastra appare generosamente scorniciata e dotata di ampio listello piatto attorno, sul quale, a partire dal lato lungo in alto, comincia un’iscrizione la cui seconda e terza riga si sviluppano entro la cornice, e la prima e quarta occupano i listelli alto e basso (le lettere sono alte rispettivamente 2, 2.5, 2.5 e 2 cm). Il testo recita:
Claudia, Octaviae divi Claudi f(iliae) lib(erta) Peloris/ et Ti(berius) Claudius Aug(usti) lib(ertus) Eutychus, proc(urator) Augustor(um),/ sororibus et lib(ertis) libertabusq(ue) posterisq(ue) eorum/ /form]as aedifici custodiae et monumenti reliquerunt.
3Sono andate perdute, tranne lievi tracce in alto, le quattro prime lettere dell’ultima riga (la quinta ha lasciato tracce sufficienti) e parzialmente le due ultime della stessa. Si tratta, dunque, di tre piante diverse relative ad un monumentum funerario e all’edificio di custodia annesso, lasciati (per testamento, forse) da una liberta di Ottavia, la figlia minore di Claudio3, e da suo marito, un procurator Augustorum, cioè, prima di Claudio e dopo di Nerone, di cui non si specifica la mansione precisa. Dal momento che la pianta è stata già ampiamente studiata ed analizzata in passato, non ci soffermeremo in dettaglio nell’esaminare la rappresentazione4, da cui si deduce chiaramente sia il significato di ciascuno dei tre disegni di edifici incisi (i primi due rappresentano il pianoterra del monumento funerario e dell’aedificium custodiae, il terzo, l’alzato di quest’ultimo; fig. 12), sia la differenza di scala che li caratterizza, sia ancora la distinzione tra edifici destinati ad uso abitativo ed edificio funerario vero e proprio, provvisto di parti ipogee. Soffermiamoci, invece, sulle caratteristiche grafiche dell’incisione, le uniche che, per ora, ci interessano.
4La prima caratteristica notevole di questa incisione, che vedremo in seguito applicata a piante pubbliche, è il tracciato delle murature a doppia linea. La stessa Forma severiana usa questo tipo di resa in maniera molto parca, solo per indicare grosse murature negli edifici più importanti, quali templi, terme, portici a pilastri di grande mole, ecc., e quasi sempre abbassando la superficie del marmo tra le due linee; per il resto, le murature comuni sono sempre a una sola linea.
5La seconda caratteristica importante è la puntigliosa attribuzione di misure ad ogni segmento di muratura, in un affollarsi quasi ossessivo di numeri che, però, ci consentono di appurare la differenza di scala applicata in ciascuno dei tre disegni, due dei quali rappresentano rispettivamente il pianoterra e l’elevato dell’aedificium custodiae. Evidentemente, gli architetti romani, che sapevano benissimo «mettere in pianta e in scala» un qualsiasi progetto5, non usavano un’unica scala grafica da applicare a singole carte, altrimenti non si sarebbero preoccupati, come in questo caso, di connotare numericamente ogni tratto di muro. È da precisare, comunque, e ne vedremo presto le ragioni, che l’uso delle misurazioni scritte, oltre allo scopo di evidenziare la scala, ne aveva anche un altro più pratico: trattandosi di un documento legale, inserito anche nel testamento (formas...reliquerunt), le indicazioni precise di misura dovevano attestare una situazione sancita legalmente e non modificabile arbitrariamente.
6Se si osserva la fig. 12, mentre nella piantina in alto appaiono tutte le murature esterne disegnate a doppia linea6, nelle altre due troviamo, invece, che alcuni muri perimetrali sono rappresentati in linea singola (Fig. 13). Che questa convenzione stia ad indicare una differenza di livello, più o meno progressiva, appare evidente nella piantina del monumento funerario (a destra), il cui corpo sinistro è sicuramente ipogeo, come indica il corridoio angolare con la lunga serie di scale (cfr. infra).
7Infine, il segno convenzionale, usato per indicare le scale, appare di un duplice tipo in queste piantine. A volte la scala (rettilinea, angolare) è indicata mediante linee trasverse multiple che stanno a rappresentare gli scalini; altre volte, invece, si tratta di un segno a V più o meno lungo, simile a quello ancora usato nelle nostre piante. Non è chiaro se nell’intenzione del disegnatore questo secondo segno significhi rampa, piuttosto che scala; ciò potrebbe essere vero, per esempio, per la parte terminale del corridoio che introduce al cubicolo ipogeo (segno angolare molto lungo e acuto), ma appare meno sicuro per tutti gli altri casi.
8Non credo vi possano essere dubbi sul fatto che le caratteristiche tecnicografiche in questa pianta di edifici privati derivino sicuramente dalla prassi cartografica delle piante catastali pubbliche. La pianta in questione può essere infatti considerata un puro stralcio di quelle ufficiali, di cui mutuava l’intero apparato di segni. Dunque, anche se la pianta di Perugia è un documento cartografico privato, essa attesta in assoluto una prassi consolidata precedentemente, ed è perfettamente legittimo servirsene come chiave interpretativa dei documenti pubblici che qui di seguito ci accingiamo ad esaminare. È facile determinare una datazione precisa: essa è certamente posteriore al 54 d.C., anno in cui muore Claudio, designato, infatti come divus nell’epigrafe, e probabilmente anteriore all’esilio di Ottavia, comminatole nel 61, da suo marito Nerone.
LA PIANTA DI VIA DELLA POLVERIERA
9Dal muro di cinta di una vigna situata alle falde Sud del colle Oppio, tra le terme di Tito e il Colosseo, Lanciani7 recuperò nel 1890 un piccolo frammento marmoreo (lungo cm 13, alto 13, spesso 14). La faccia incisa presenta il disegno di tre corpi di edifici accostati fra loro, in modo tale che il contatto reciproco appare evidenziato da una linea tripla anziché doppia. La doppia linea indica i muri singoli di singoli blocchi. Nel frammento il blocco di destra appare in verticale ed è costituito, dal basso verso l’alto, da un cortile (?) con l’inizio di due righe di iscrizione (AEL.../ S...) e da un corpo di ambienti periferici (tabernae) con aperture su una strada superiore (lettera iniziale P... nell’ambiente di centro), al cui margine si legge probabilmente la cifra incompleta LX... Fig. 14.
10Il secondo e terzo corpo di edifici occupano il lato sinistro della rappresentazione, ripartendolo quasi a metà. In basso, quale accesso ad un probabile cortile interno, si vede un ambiente centrale, ai cui lati appaiono altri due vani, verosimilmente delle tabernae aperte su un fronte stradale. Nell’ambiente di sinistra, compare la traccia di una lettera (probabilmente una O), mentre nel cortile interno appare su due righe, un nome femminile, NONIAE /IADIS, ad indicare probabilmente la proprietaria. Il blocco superiore appare quasi come la replica speculare del precedente, a cui si appoggia «da tergo» uno spazio trasversale interno, forse un cortile, e un fronte di tabernae che si aprivano sicuramente sulla strada che correva in alto; nello spazio trasversale si leggono le ultime tre lettere di una riga inscritta, probabilmente la desinenza...VAE. di un nome femminile.
11Appare evidente che la rappresentazione cartografica riproduce un blocco di edifici in una zona pianeggiante, tra due strade parallele, sui cui fronti si aprivano ingressi di tabernae. Il carattere degli edifici, che mancano di elementi tipici di strutture abitative, quali peristili o altro, e l’abbondanza degli spazi d’uso sul fronte stradale, sembre rebbero far supporre una destinazione commerciale. È praticamente sicura la presenza, sul fronte stradale, in alto, nel margine destro, di una cifra LX..., riferibile ad una misura espressa in piedi romani, probabilmente relativa alla facciata dell’edificio che occupa la metà destra del frammento; la stessa indicazione doveva trovarsi in riferimento agli edifici adiacenti, di cui purtroppo non si conservano i fronti stradali8.
12L’incisione è sottile e di scarso rilievo per gli edifici, marcata, invece, per le didascalie. Le lettere sono state incise con scalpello molto tagliente, hanno contorni netti, apici modesti ma curati, e si inquadrano bene nelle caratteristiche dell’epigrafia non monumentale del I sec. d.C. Potremmo, dunque, trovarci di fronte ad uno di quegli esemplari di cartografia urbana il cui «codice genetico» va ricercato nell’opera riformatrice di Augusto e, più direttamente, nel sistema catastale ad essa connesso.
LA PIANTA DI VIA ANICIA
13Roma, città in cui scoperte sorprendenti sono continue e inesauribili, ha offerto circa venti anni fa l’ennesima dimostrazione di questa incredibile capacità. Durante i lavori di ristrutturazione della caserma di polizia A. Lamarmora in Via Anicia, nel quartiere trasteverino di Ripagrande, venne scoperta occasionalmente, nel Maggio 1983, parte di una lastra marmorea sminuzzata dalle macchine impiegate negli sterri9. Recuperata dalla Soprintendenza Archeologica, i suoi 15 frammenti (più altri due non integrabili) vennero riuniti, consolidati e restaurati. Il risultato fu sorprendente: si trattava di un frammento, esiguo (dimensioni: alt. 32 cm, larg. 29.5, spess, 2), ma prezioso di una mappa indubitabilmente urbana, ricca di didascalie, tra le quali spicca quella di un tempio di Castore e Polluce facilmente identificabile, per ragioni che illustreremo in seguito, con quello documentato dalle fonti antiche10 e situato in circo Flaminio. Quasi due anni e mezzo dopo, la Soprintendenza pubblicava il pezzo in una breve monografia11 ed aveva inizio, così, su di esso, un vivace dibattito che, si può dire, dura tuttora12. Vale la pena di esaminare il frammento, accuratamente riprodotto nella fig. 15, un disegno realizzato da chi scrive nel maggio 1986.
14Il gruppo di frammenti così ricostituiti definisce un angolo di lastra (lati sinistro e inferiore). Che si tratti dei margini originali potrebbe pensarsi per via della posizione delle iscrizioni illustrative inserite nel disegno, tutte sostanzialmente parallele al lato inferiore; bisogna, comunque tener conto del fatto che entrambi i margini, sia quello laterale sinistro che quello in basso, sono stati più o meno rimaneggiati, non risultando più perfettamente rettilinei. L’assenza, poi, nello spessore del marmo, di tracce dei buchi per grappe metalliche di fissaggio, che si trovano generalmente in prossimità degli angoli, dà adito a dubbi sulla originaria dimensione della lastra.
15Il campo appare diviso nella maniera seguente: in basso, quasi all’angolo, comincia una linea continua, ma spezzata in cinque segmenti, che va a perdersi sul margine di frattura a destra; poco più su, sempre a destra, si vede un edificio rettangolare a doppio recinto (di quello interno si vede appena l’inizio dei due lati che formano l’angolo basso sinistro, situato proprio sulla linea di frattura13), di cui quello esterno presenta sui lati sinistro e alto sei segni, interpretabili, forse come pilastri a cima arrotondata. Ancora oltre, verso l’alto, si trova una nuova linea mista a quattro segmenti, con piccolo intervallo tra il primo e il secondo a sinistra. Alla linea si accostano, in alto, una serie di sedici pilastri rettangolari (due dei quali angolari, nell’intervallo tra i primi due tratti di retta, a sinistra). Si tratta, evidentemente, della rappresentazione di un porticato continuo, sotto il quale, al centro di ogni settore, compaiono alcune cifre, indicative di misure espresse in piedi romani: XCVIIII (99), VI (6), nell’intervallo, LIIII (54), LI (51). Tali cifre, come nella pianta di via della Polveriera, avevano valore giuridico (cfr. supra nota 8) e consentono, come vedremo, di risalire alla scala utilizzata nella rappresentazione.
16Al di sopra della linea del porticato, lo spazio appare diviso verticalmente in due zone per mezzo di un vicolo che parte dall’intervallo di spazio già notato nel portica to, e che sbocca in alto su uno spazio libero, uno slargo o una piazza forse, mentre, a metà circa del suo percorso, da esso si dirama a destra un’altra via che, poco oltre, gira verso l’alto, seguendo il perimetro di un edificio templare. I tre corpi di edifici, delimitati dall’incrocio di queste strade, appaiono corredati di ampie didascalie, iscrizioni in piccole lettere capitali rustiche di ca. 7-9 mm di altezza, tracciate senza linee di preparazione, con spaziatura non sempre precisa, ma complessivamente d’effetto gradevole.
17Il blocco a sinistra del vicolo principale è un grande complesso che si sviluppa in alto fino allo slargo o piazza di cui si è detto; verso il porticato inferiore mostra un fronte organizzato in tabernae, fra le quali, presumibilmente al centro della facciata, si apre un grande scalone di accesso al cortile interno, diviso in due, nella parte conservata, mediante l’allineamento di due semipilastri e altrettanti pilastri rettangolari. Sul margine sinistro si notano le parti finali di tre righe di iscrizione con desinenza al genitivo:...AE/...ET/...VM, probabili indicazioni di appartenenza. Il complesso presenta in alto un nuovo fronte di tabernae che appoggiano «di tergo» al muro chiuso del cortile e che si aprono, come si vede nei quattro ambienti conservati nel disegno, verso un grande porticato a pilastri di cui rimane l’intero angolo destro, costituito da cinque pilastri.
18A destra del vicolo, il secondo blocco di tabernae, che si affacciano sul porticato basso, appare articolato in modo da avvolgere la parte postica dell’edificio templare. Le tabernae si sviluppano «a pettine», con profondità che si rastrema progressivamente verso destra, data la posizione obliqua del porticato. Si contano otto ambienti e nove pilastri, con relativi muri divisori; l’ultimo vano presenta una forma irregolare, data la posizione presso l’angolo della strada e la profondità doppia rispetto agli altri ambienti. All’interno di una taberna, la terza a partire dal vicolo, compare un segno di scala caratteristico: un triangolo molto allungato con vertice verso l’interno del vano, dotato di traverse indicanti gli scalini. Esso si appoggia da un lato al quarto muro e al relativo pilastro di entrata, mentre il lato sinistro termina con un piccolo quadratino, segno che rappresenta probabilmente, in modo stilizzato, il tramezzo di appoggio interno della scala. Disposte irregolarmente entro gli spazi delle tabernae, appaiono le lettere di una seconda iscrizione con indicazione di proprietà che ripete esattamente e chiarisce l’iscrizione precedente: Corneliae/ et soc(iorum). Dunque, proprietaria di questi edifici era probabilmente la medesima compagnia (societas), guidata da una donna, Cornelia.
19Nella parte centrale e superiore della rappresentazione vediamo un tempio dalla forma particolare: il pronao esastilo si apre sul lato lungo, verso la piazza, invece che, come accade tradizionalmente, su uno dei lati corti. Si tratta di quella forma di tempio che Vitruvio14 menziona come invenzione attica e di cui indica gli esempi presenti a Roma; l’autore cita per primo proprio il tempio dei Castori in circo Flaminio, poi quello capitolino di Veiovis inter duos lucos e quello di Diana Nemorensis (o Aricina). Vitruvio trascura, però, di segnalare il ben noto caso del tempio della Concordia posto ai piedi del Capitolium, che, probabilmente, aveva in comune con il tempio rappresentato sulla lastra le finestre ai lati del pronao, nel disegno segnalate con due rettangoli barrati da una «croce di S. Andrea» entro lo spessore del muro15. Davanti al pronao, esastilo, con tre colonne in profondità e relativo scalone, chiuso da grosse paraste, compare, posto lievemente fuori asse, un doppio cerchio con punto centrale, che rappresenta l’ara del tempio, mentre all’interno, sul muro di fondo, vediamo il grande basamento delle statue di culto e l’iscrizione Castoris et/ Pollucis, il cui nome è inciso in due porzioni, separate dal basamento.
20La presenza del tempio dei Dioscuri avrebbe, da sola, permesso ai topografi di farsi un’idea abbastanza precisa dei luoghi rappresentati, in quanto già da tempo F. Coarelli aveva ipotizzato che l’edificio in questione fosse stato realizzato sul lato Sud del vecchio Circo Flaminio, nei pressi dell’attuale Lungotevere Cenci16. La definizione topografica dei luoghi era avvenuta già qualche anno prima, grazie a un nuovo gruppo di frammenti della Forma Urbis Marmorea severiana, attribuiti, in via solo ipotetica, a quella zona nel 197817 e poi riconosciuti definitivamente come tali nel 198118. La nuova pianta di via Anicia, nel rappresentare una situazione urbana identica fino al minimo dettaglio, con l’aggiunta del tempio dei Castores (mancante nella F.U.M. per una la lacuna nell’angolo inferiore), confermava egregiamente l’attribuzione 1981. Ed è da notare che si tratta, finora, dell’unico caso di precisa coincidenza tra planimetrie antiche riferibili a Roma, corrispondenti a due diversi momenti dell’evoluzione urbanistica della città. Dato importante è che ci troviamo sulla ripa fluviale, per la quale la pianta di Via Anicia non si accontenta di segnalare solo il porticato lungo il fiume in caso di acqua alta e l’edificio a doppio recinto immediatamente sottostante19, ma disegna perfino la linea ideale «di magra» al disotto dell’edificio suddetto. Siamo al bordo di una zona demaniale, estremamente importante ma problematica per l’amministrazione pubblica. Se si confrontano la tecnica di incisione e la formulazione delle didascalie di questa pianta con quella della pianta «privata» di Perugia e, soprattutto, con quella di Via della Polveriera, appare chiaro che la «tradizione tecnica augustea», di cui abbiamo parlato precedentemente, trovi applicazione perfetta anche nella pianta di Via Anicia. Per essa è stata proposta una datazione ipotetica al II sec. d.C.20 che a suo tempo non mi sono sentito di rifiutare21.
21Ora, invece, sono fermamente convinto che la pianta possa essere datata al I sec. d.C. Sul carattere pubblico della pianta non possono esserci ormai dubbi, data la presenza di nomi indicanti proprietà e cifre relative alle lunghezze di facciata (cfr. quanto detto alla nota 8). La rappresentazione, nella parte bassa della pianta, di una linea indicante la magra e, tra questa e il porticato, di un notevole edificio su piattaforma rettangolare, che la F.U.M. disegna in maniera più completa, con grande facciata tetrastila disposta contro corrente22, non può che rimarcare il carattere pubblico, demaniale, della fascia rivierasca e dell’edificio ivi incluso. Viene spontaneo pensare che esso potrebbe aver avuto a che fare con la cura alvei Tiberis et riparum, e che la pianta stessa sia in qualche modo legata a questo servizio pubblico23.
22La perfetta corrispondenza delle proporzioni tra la pianta di Via Anicia e la forma severiana lascia pochi dubbi sulla scala di rappresentazione usata nella prima delle due piante; inoltre, essa presenta anche, recto rigore, l’indicazione delle misure dei segmenti di facciata. Nonostante qualche tentativo di ri-misurazione abbia suggerito, di recente, alcuni ritocchi24, mi sembra indubbio che la scala usata sia quella su base dodicesimale di 1:240, suggerita da Castagnoli25.
23Non entreremo in ulteriori dettagli di definizione topografica, che non riguardano strettamente la nostra indagine e, per ogni approfondimento, rimandiamo il lettore alla bibliografia citata (cfr. supra, nota 12).
Notes de bas de page
1 H. Jordan, Forma Urbis regionum XIIII, Berli-G. Gatti, La pianta marmorea severiana, Roma, no, 1874, p. 11, num. 6 e tav. XXXIV, n. 1. 1960, p. 202, num. 4 e tav. Q, fig. 50.
2 G. Carettoni, A.M. Colini, L. Cozza e
3 Ottavia venne esiliata nell’isola di Ventotene (Pandataria) nel 61 d.C. e venne uccisa nell’anno seguente per ordine di Nerone, all’età di 22 anni.
4 Oltre a Jordan e agli autori della Pianta severiana, cfr. anche Ch. Hülsen in RMitt 1890, p. 64 ss.; e CIL VI, 29847.
5 Deformare; cfr. Vitrvv., De arch., I.1.4.
6 Si tratta con ogni probabilità dell’elevato o piano alto dell’edificium custodiae che vediamo rappresentato nella pianta di sinistra.
7 Bcom, 1892, p. 37; il frammento, comunque, dello stesso anno, p. 81, e nelle RMitt, p. 46, novenne pubblicato da Giuseppe Gatti nello stesso ta 1. Esso figura ugualmente nel CIL VI, 29856. BCom 1890, p. 176 ss.; apparve anche nelle NotSc
8 Secondo la prassi amministrativa romana delle adtributiones (appalti pubblici) e pratiche connesse, i valori longitudinali di facciata servivano alla rateizzazione delle quote in caso, per esempio, di rifacimento della sede stradale o dei suoi servizi. Cfr. C. Nicolet, La table d’Heraclée et les origines du cadastre romain, in L’Urbs, espace urbain et histoire (CEFR 98), Roma, 1987, p. 1 ss. Si noti che questa e le piante che seguiranno annotano questo solo dato, e non quelli di superficie dei fabbricati.
9 È ben noto quale uso le istituzioni dello Stato, specialmente quelle militari, facciano del famigerato Art. 81 del D.P.R. 616/77, in virtù del quale ogni «opera pubblica di interesse statale» va automaticamente esclusa dagli obblighi della legge per la tutela del patrimonio artistico, culturale e archeologico. Solo su espressa richiesta, generalmente a cose fatte, la Soprintendenza può essere autorizzata a controllare ed eventualmente, sempre «per gentile concessione», ad intervenire. Purtroppo è questa una delle tante storture di un sistema politico poco o per nulla rappresentativo, che autorizza in pratica lo Stato a fare scempio del proprio patrimonio, in base a leggi irragionevoli. Abusi contro i quali invano le nostre voci si sono levate, inascoltate per decenni, dopo aver presenziato impotenti a distruzioni gravissime come, oltre al suddetto caso di Via Anicia, quelle compiute in Campo Marzio, in particolare, ma non solo, nell’area dell’Iseum Campense del Palazzo S. Macuto, all’Esquilino, in relazione al folle progetto del Ministero degli In-terni nel vincolatissimo parco archeologico, urbanistico e paesistico del Colle Oppio, ecc. La benemerente opera della Soprintendenza, l’impegno tenace e indefesso del suo personale, dal Soprintendente Adriano la Regina all’ultimo dei suoi archeologi, purtroppo non sono bastati a scongiurare tali disastri e non bastano, non già a dimenticare, ma nemmeno a mitigare la frustrazione degli studiosi per queste «sciagure di Stato».
10 Oltre a Vitrvv., De arch., IV.8.4, è citato dall’Hemerol. Allifanum Amit (CIL, I.2, p. 325) e dai Fasti Antiates (Nsc 1921, 107).
11 M. Conticello de’ Spagnolis, Il tempio dei Dioscuri nel Circo Flaminio (LSA 4), Roma, 1984 (apparso in Nov. 1995), 65 pagg., 24 figg., una in formato pieghevole.
12 F. Castagnoli, Un nuovo documento per la topografia di Roma antica, in StRom 33, Nov-Dic. 1985, p. 206 ss.; E. Rodríguez-Almeida, Un frammento di una nuova pianta marmorea di Roma, in JRA 1, 1988, p. 120 ss.; F. Coarelli, Le plan de Via Anicia: un nouveau fragment de la Forma Marmorea de Rome, in Rome, l’espace urbain et ses répresentations, Paris, 1991, p. 65 ss.; P. L. Tucci, Nuove ricerche sulla topografia del Circo Flaminio, in StRom 41, 1993, p. 229 ss.; e Il tempio dei Castori in circo Flaminio, in Castores, l’immagine dei Dioscuri a Roma; Roma, 1994, p. 123 ss. Ecc.
13 Nel citato lavoro di De’ Spagnolis in LSA 4 non si riporta la presenza dell’edificio «interno», ma solo quella del recinto «esterno»; tuttavia, sul margine di frattura a destra, si rintraccia perfettamente tutto l’angolo di tale struttura.
14 Vitrvv., De arch. IV.8.4.
15 Sempre che il rilievo vaticano dell’appaltatore di pesi e misure Sabinus Maternus (M. Guarducci, Il tempio della...Concordia in un bassorilievo dei Musei Vaticani, in RPontAcc 34, 1961, p. 93 ss.) riproduca il Tempio della Concordia e non quello dei Castores, come farebbe pensare, oltre alla presenza sul rilievo, davanti al tempio, di contenitori allusivi ai pesi e misure, il fatto stesso che gli exactores avevano sede proprio ad Castores (CIL V,2. 8119, 4; ILS 8636; CIL VI. 8689). Di questa opinione è C. Parisi Presicce, I Dioscuri capitolini, in Castores, l’immagine dei Dioscuri a Roma; Roma, 1994, p. 153 ss.
16 Ne Il tempio di Diana nel Circo Flaminio e altri problemi connessi, in Darch 2, 1968, p. 191 ss.
17 E. Rodríguez-Almeida, F.U.M., nuovi elementi..., cit.
18 E. Rodríguez-Almeida, F.U.M., aggiornamento..., cit., p. 114 ss., tav. XXIII.
19 Ricostruito diversamente per struttura e cronologia nella pianta di Via Anicia (cfr. Conticello de’ Spagnolis, op. cit., p. 53), ma solo per un cattivo esame del marmo, come ho dimostrato nella mia recensione Un frammento..., cit., p. 124 ss.
20 M. Conticello de’ Spagnolis, Il tempio, cit.
21 E. Rodríguez-Almeida, Un frammento..., cit.
22 La pianta di Via Anicia non ne conserva che resti di un angolo, sulla frattura di destra. Invece, disegna la piattaforma con una serie di «pilastri» sui lati corto (contro corrente) e alto (verso la riva). La curiosa forma arrotondata di questi elementi grafici fa pensare che stiano ad indicare dei cippi o colonnette di pietra per l’ormeggio di barche. Il «recinto» esterno, insomma, sarebbe solo la piattaforma o molo di appoggio dell’edificio «interno».
23 Sottolineavo già in un primo momento la possibile funzione pubblica di questo edificio (F.U.M., nuovi elementi..., cit.); l’ho ribadita in seguito (Un frammento..., cit.), e non ho ragioni per cambiare idea, neanche per seguire i suggerimenti di quelli che vorrebbero vedervi una molina (mulino ad acqua), un’idea alla quale ben difficilmente si adatterebbero, da una parte, la monumentalità dell’edificio (fronte tetrastila con gradinata di accesso) e, dall’altra, il carattere innegabilmente ufficiale dei documenti marmorei che lo riproducono con tanta evidenza e solennità.
24 P. M. Lugli, Considerazioni urbanistiche..., cit., p. 22 ss., che, dopo puntigliosa analisi tecnica, propone una scala non dodicesimale ma di 1:250.
25 Supra, nota 12.
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