Forme di implicazione politica dei giuristi nei governi comunali italiani del xiii secolo
p. 191-241
Texte intégral
INTRODUZIONE
1L’impiego di giuristi da parte dei governi non rappresenta una specificità della storia comunale italiana, né dei secoli xii e xiii. In questo spazio geografico, istituzionale e cronologico, tale fenomeno assunse tuttavia delle caratteristiche originali, che non si presentano negli stessi termini altrove: si tratta del ruolo fondamentale che gli esperti di diritto rivestirono nella politica cittadina e nella costruzione dell’amministrazione comunale. A partire all’incirca dalla metà del xii secolo, la valorizzazione della nuova cultura giuridica di matrice scolastica determinò un intervento dei giuristi non solo negli apparati giudiziari, dunque nell’esercizio specifico della loro professione, ma più in generale nei consigli e negli organi politici delle città dell’Italia centro-settentrionale.
2Molte ricerche incentrate sulle istituzioni comunali in contesti specifici hanno segnalato, fin dagli esordi dei governi consolari, la presenza di figure designate con un titolo che rimanda a competenze giuridiche. A tali figure viene tradizionalmente assegnata una funzione «consultiva», che è ritenuta esplicarsi nella sfera dei rapporti diplomatici cittadini e nella consulenza, appunto, ai governi. Sebbene tecnicamente sia questa la principale funzione dei giuristi nei governi comunali, parlare di un’attività consultiva da una parte sembra sminuire la portata storica del loro intervento politico, dal-l’altra non illumina molto sulla qualità e le ragioni di questo intervento. Per superare la constatazione di una presenza nelle istituzioni, e cercare quindi di determinare le cause e la specificità del contributo apportato dagli uomini di legge, si tenterà, nelle pagine seguenti, di avanzare alcune riflessioni sulla funzione politica dei giuristi nella società comunale, maturate nell’ambito di una ricerca condotta sulle città di Siena, Perugia e Bologna nel xiii secolo1. Con le vaghe designazioni di «giuristi», «esperti di diritto» o espressioni analoghe, si fa riferimento a quelle persone che nelle fonti vengono definite iudices, sapientes iuris e iurisperiti, o, assai più raramente, con la sola eccezione di Bologna, doctores legum. Complessivamente, si tratta di figure note non tanto per la produzione scientifica, ma per l’attività politica e professionale svolta a livello locale.
3Il dato che accomuna le città sopra menzionate è quello di avere dato vita, a partire dagli anni Quaranta-Cinquanta del xiii secolo, a governi di Popolo. Il termine «popolo» (populus) viene qui usato nell’accezione precisa che assume nelle fonti duecentesche, nell’ambito delle quali designa quella parte della cittadinanza generalmente dedita all’esercizio di un mestiere, che non si identifica e si oppone alla aristocrazia cittadina (militia). L’affermazione di forme di rappresentanza vasta, di magistrati forestieri rappresentativi delle forze popolari e di una politica mirata a ridimensionare il dominio aristocratico sul governo, sono gli elementi che rappresentano il denominatore comune degli sviluppi istituzionali di queste tre realtà. Per le profonde differenze politiche ed economiche, l’affermazione del movimento popolare senese, perugino e bolognese avvenne tuttavia con tempi, caratteristiche ed intensità profondamente diversi. Di conseguenza, le fasi di maggiore definizione politica nel corso del xiii secolo non sono strettamente coincidenti, e i decenni a cui verrà rivolta maggiore attenzione sono quelli reputati più significativi per il te-ma in esame, vale a dire gli anni Quaranta-Sessanta a Siena, gli anni Sessanta-Ottanta a Perugia e gli anni Settanta-Ottanta a Bologna. Nonostante le differenze, in ognuna di queste tre realtà la posizione politica dei giuristi e la funzione attribuita al diritto costituirono questioni fondamentali nella seconda metà del Duecento, e un esame comparativo consente di cogliere alcuni problemi ed esigenze comuni che, al di là delle specificità locali, emersero in conseguenza di questa particolare esperienza istituzionale.
4In un articolo apparso nel 1982, Ennio Cortese affrontava la questione dello studio dei ceti applicato ai giuristi, e identificava nella possibilità di definire una funzione, una dignitas e un’ideologia, le tre caratteristiche essenziali perché un gruppo potesse definirsi ceto2. Il campo di indagine prescelto era allora l’epoca e l’area in cui cominciano a moltiplicarsi le testimonianze di giuristi dotti, vale a dire la Toscana tra la fine dell’xi e il xii secolo. Si tratta tuttavia di tre categorie estendibili ad altri contesti ed epoche dell’Italia comunale: in particolare, l’importanza attribuita dall’autore alla questione del ruolo, come principale tratto caratterizzante di un gruppo, richiama l’attenzione su un campo di indagine ancora complessivamente poco battuto, che merita tuttavia esplorazioni ulteriori.
5Nell’ambito degli studi sulla posizione dei giuristi nella società comunale, sono ancora oggi di riferimento le ricerche di Peter Classen e di Johannes Fried, alla base delle quali i due studiosi tedeschi avevano posto l’interesse per esperienze istituzionali distinte3. Laddove i lavori di questi due autori sono stati recepiti, l’impronta soprattutto delle ricerche di Fried, basate su studi di carattere prosopografico, ha influenzato il modo di trattare l’argomento nelle diverse realtà comunali italiane, da una parte generando un’attenzione maggiore alla presenza di esperti di diritto nei ceti dirigenti, dall’altra condizionando gli interrogativi che ai giuristi e alla loro posizione nella società comunale potevano porsi, focalizzando l’attenzione soprattutto sulla provenienza sociale. Sebbene la questione dello status degli esperti di diritto rivesta una importanza notevole, la concentrazione solo su questo aspetto ha fatto passare in secondo piano sia l’alto grado di intervento nella politica cittadina, sia, soprattutto, le ragioni per le quali i governi si rivolsero con tanta intensità alla mediazione giuridica.
6Per l’approfondimento di questi temi si è scelto di assumere una prospettiva diversa, incentrando l’indagine sulla natura e i termini del potere politico nelle città italiane, e cercando di ricostruire il ruolo degli esperti di diritto a partire dal funzionamento del sistema comunale. Concretamente, questo significa differenziare le tipologie di fonti a cui rivolgere l’attenzione, affiancando alla documentazione normativa (statuti) e giudiziaria, l’esame delle delibere dei consigli (riformagioni). È soprattutto da quest’ultime, infatti, che emerge la frequenza con cui, nel dibattito politico quotidiano, certe questioni furono delegate alla componente dei giuristi cittadini, tanto da apparire in alcuni casi essere loro affidata la vera e propria gestione di momenti politici rilevanti.
7La dignitas, ossia lo status riconosciuto ai giuristi dalla società comunale, il ruolo che essi svolsero, e l’ideologia, qui intesa soprattutto come la funzione che alla cultura giuridica venne assegnata in questo contesto, costituiscono interrogativi fondamentali per ricostruire la complessità dei rapporti esistenti tra i giuristi e i governi duecenteschi, e più in generale la dialettica che si instaura a quest’epoca tra diritto e politica. L’attenzione si concentrerà in particolare sul complesso dialogo tra posizione sociale aristocratica dei giuristi e funzione politica nei governi di Popolo della seconda metà del Duecento, tentando di contestualizzare i dati emergenti dalle realtà di Siena, Perugia e Bologna, nella vicenda complessiva del movimento comunale.
DIGNITAS
8In molte realtà comunali duecentesche, chi possiede competenze giuridiche è invariabilmente qualificato come dominus nella documentazione, oppure con titoli analoghi che ne attestano l’appartenenza allo strato aristocratico dei milites, o, nella seconda metà del Duecento, dei magnati. Ci si può chiedere, dunque, se tale costante rappresenti una premessa per l’accesso alla formazione giuridica, o se, viceversa, sia lo studio delle leggi a consentire l’accesso ai ceti nobiliari4. Numerose ricerche hanno ricostruito le fortune di figure particolari o di singole famiglie di giuristi, che contribuiscono molto ad arricchire il panorama delle informazioni in proposito nelle varie realtà urbane5. Complessivamente, le ricostruzioni prosopografiche duecentesche si scontrano, però, con la difficoltà di identificare un canale esclusivo di affermazione sociale, considerata la diffusione di attività economiche come la mercatura, il cambio, o l’usura, che rendono complesso stabilire su grandi numeri quanto il possesso di una cultura giuridica abbia contribuito al successo delle famiglie magnatizie, e tutto sommato in quest’epoca secondario.
9Se la professionalità costituisca uno strumento duraturo di affermazione politica è un quesito più rilevante nella prima età comunale, che non successivamente. È nel corso del xii secolo che si compie infatti il passo più significativo, quando, per conferire legittimità alle decisioni, si assiste alla frequente tendenza di motivare tecnicamente gli atti giuridici da parte di chiunque eserciti un pote-re di giurisdizione. Ne consegue una valorizzazione delle competenze giuridiche e la crescente presenza di giuristi nelle posizioni dominanti. In un quadro complessivo, la scarsità di documentazione conservata per la prima metà del xii secolo non consente molti approfondimenti, ma nel caso eccezionale di Lucca sembra essere molto rilevante l’osservazione avanzata di recente da Chris Wickham, che vede una frattura tra gli iudices cittadini del secolo xi e quelli del xii, identificando nei primi gli antenati delle famiglie di milites lucchesi del xii, e riconducendo invece i secondi a famiglie di recente affermazione, con scarsi patrimoni fondiari6. Il dato sembra importante perché spinge a chiedersi quanto il bagaglio di competenze, a cui, assai più che in passato, comincia a rimandare il titolo di iudex nel xii secolo, implichi dei cambiamenti di ceto sociale.
10È in primo luogo la rinascita degli studi romanistici a sollevare questo problema, perché il lento processo attraverso il quale il diritto diventa una scienza comporta necessariamente un certo grado di professionalità da parte di chi lo maneggia. La testimonianza più evidente è la fioritura simultanea, a partire all’incirca dalla metà del xii secolo, di numerose scuole di diritto più o meno strutturate tan-to nell’Italia settentrionale, quanto nella Francia meridionale. Come hanno mostrato gli studi di Ennio Cortese e di André Gouron, queste scuole nascono in risposta ad esigenze pratiche, e in esse prevale l’interesse per la materia processuale, quindi l’insegnamento di un diritto da utilizzare nei tribunali7. In entrambe le aree, l’impatto di questa produzione accademica sulla giustizia delle città, ed in particolare l’adozione di procedure romano-canoniche sortirà l’effetto di rinforzare la legittimità delle giurisdizioni urbane.
11A partire da dopo la metà del 1100, la spinta verso un potenziamento delle istituzioni cittadine impone un ripensamento dell’organizzazione della città. Il coinvolgimento degli iurisperiti nell’amministrazione comunale, a cui assistiamo quasi ovunque negli ultimi due decenni del xii secolo, indica quanto la crescente articolazione della vita amministrativa, fiscale e giudiziaria ponga dei problemi nuovi alla classe di governo, che portano a valorizzare delle competenze. Una testimonianza importante è costituita dal caso di Milano, dove fin dalla comparsa delle liste consolari sono presenti persone che con regolarità portano il titolo di iudex. Attraverso lo studio delle liste dei consoli di Milano per l’arco di tempo che va dagli anni Quaranta agli anni Ottanta del xii secolo, Peter Classen ha dimostrato quanto il possesso di competenze giuridiche abbia consentito carriere politiche straordinarie nel consolato milanese8. Questo fenomeno illustra chiaramente quanto il ruolo politico del ceto dirigente comunale non corrisponda più alla semplice traduzione di una posizione sociale, ma sia complicato da un’esigenza di professionalità9. Proprio il coinvolgimento precoce di iudices, causidici o iurisperiti nell’amministrazione della città, ancora prima delle origini familiari, potrebbe avere comportato, già a partire dalla fine del xii secolo, l’identificazione dei giuristi cittadini con i ceti dirigenti comunali. In altre parole, l’identificazione dei giuristi con il ceto dei milites, che emerge con chiarezza da molte realtà duecentesche, potrebbe essere la conseguenza in primo luogo di una funzione dirigente nella politica comunale che si diffonde nel xii secolo, anziché un fenomeno di lungo periodo.
12Per il xiii secolo, sono state principalmente le riflessioni di Jean-Claude Maire Vigueur a fornire una risposta all’interrogativo della provenienza sociale dei giuristi, chiarendo come, per tutto il Duecento, il possesso di una cultura giuridica e l’esercizio di professioni giudiziarie restino in gran parte prerogativa del ceto aristocratico. Tali considerazioni hanno avuto il merito di porre l’accento, per la prima volta con tanta chiarezza, sull’identità sociale degli esperti di diritto nella società comunale, contemporaneamente sfatando sia il mito di un legame tra diritto e borghesia che vedrebbe la cultura giuridica prevalentemente legata alle forze dinamiche della società, sia l’immagine di una professionalità in campo giuridico come significativo canale di ascesa sociale su grandi numeri10. Queste riflessioni maturavano soprattutto in reazione all’immagine proiettata da Fried sul ceto dei giuristi bolognesi nella seconda metà del xii secolo, che enfatizzava molto la comparsa di homines novi tra le fila dei giudici, amplificando il dato di una provenienza sociale non aristocratica.
13Nonostante le ricerche di Maire Vigueur e le importanti puntualizzazioni prosopografiche effettuate da Nikolai Wandruszka11, dalla ricerca di Fried emergeva tuttavia un fenomeno molto rilevante, che resta l’intuizione più profonda del suo lavoro: si tratta del legame che egli stabiliva tra il coinvolgimento nel governo dei giuristi bolognesi e le trasformazioni istituzionali che a Bologna si verificarono nella seconda parte del xii secolo12. La novità a cui questo cambiamento rimandava era la nascita di un ceto professionale, che per la prima volta veniva utilizzato in virtù delle competenze di cui era depositario. Fried mostrava in modo convincente come fosse proprio nelle precoci esperienze podestarili bolognesi che si rendesse manifesto quanto una cultura giuridica potesse essere sfruttata non solo per le nuove cariche giudiziarie che furono istituite a partire da quel momento, ma nella amministrazione della città.
14L’esigenza di professionalità è alla base della scelta della stessa forma di governo che, tra la fine del xii secolo e i primi decenni del xiii, abbracciano moltissimi comuni italiani, passando da collegi di consoli locali alla delega di importanti sfere della vita amministrativa e giudiziaria a podestà forestieri. Per ragioni sulle quali ci si soffermerà nel paragrafo seguente13, proprio questo nuovo assetto istituzionale aumenta la richiesta di un coinvolgimento politico dei giuristi cittadini, che, alla soglia dei conflitti sociali della metà del Duecento, sono chiaramente identificati con la classe di governo aristocratica al vertice delle istituzioni comunali nella fase generalmente detta podestarile.
15A metà del Duecento, quando le battaglie del Popolo per ottenere una maggiore rappresentanza politica nel governo comunale portano alla nascita di consigli più vasti, all’affermazione di funzionari forestieri rappresentativi del Popolo (capitani del Popolo), e all’elaborazione di strategie di contenimento dell’influenza aristocratica sulle istituzioni, l’identificazione dei giudici con il ceto dei milites, o dei magnati, comincia a rendere problematico il ricorso alle competenze giuridiche in campo sia giudizario, che politico. Siena, che costituisce una delle poche città italiane per le quali siano sopravvissute fonti amministrative antecedenti alla metà del xiii secolo, mostra chiaramente, alla fine degli anni Quaranta, l’alto grado di intervento dei giudici nella politica comunale14. In veste di consiglieri negli organi collegiali del comune e di principali, se non talvolta esclusivi animatori della politica cittadina, i iudices-domini senesi si autodelegano con straordinaria frequenza le questioni discusse nei consigli, in dibattiti governati, fino a metà degli anni Cinquanta, da una fortissima autoreferenzialità. È questo il ruolo politico che nella seconda metà del secolo viene posto in discussione in quei comuni dove maggiore è l’affermazione istituzionale del Popolo.
16Per comprendere a fondo i termini della questione, è bene richiamare l’attenzione sulle differenze profonde che intercorrono tra la situazione comunale italiana e altre realtà descritte nell’ambito di questo volume. Sia in Provenza, sia in Germania, sia in altri contesti qui analizzati, i giuristi sono al servizio di poteri superiori, e prestano una consulenza, o esercitano una professione, per organi politici o per sovrani15. Questo non significa che non svolgano una funzione politica, perché anzi, il caso di Norimberga illustrato da Eberhard Isenmann costituisce un bell’esempio di quanto intensa sia la do-manda di pareri dotti per questioni politiche da parte delle città tedesche16. La differenza sta piuttosto nel fatto che, nelle città comunali italiane, i giudici sono allo stesso tempo consulenti e rappresentanti politici, membri dei consigli comunali e autori di pareri tecnici. In certa misura sono quindi consulenti di sé stessi, nel senso che i loro pareri sono rivolti a governi in cui esercitano un ruolo di primo piano.
17La sopravvivenza delle delibere del Consiglio del Popolo senese a partire dalla sua nascita consente di farsi un’idea delle questioni maggiormente discusse durante il passaggio al nuovo sistema politico popolare17. Nella lotta contro la vecchia classe di governo, viene sferrato un attacco radicale contro i privilegi politici connessi a certi uffici e a certe categorie, nell’ambito del quale assume un’importanza notevole la contestazione della consulenza politica da parte dei sapientes iuris. Nel 1258, il capitano del Popolo di Siena pone nell’ambito del Consiglio ristretto del Popolo, detto dei Ventiquattro, una questione inerente all’elezione di questi ultimi, per la quale pare fossero state commesse delle irregolarità18. Alla proposta avanzata nel Consiglio di delegare a tre sapientes iuris l’esame dello statuto del Popolo, si oppone con forza un consigliere, secondo il quale la questione dell’elezione doveva essere risolta dai Ventiquattro stessi, coadiuvati da dieci uomini del Popolo per terzerio, senza l’intervento di altri sapientes iuris; egli afferma infatti che i Ventiquattro avrebbero provveduto riguardo al loro ordinamento meglio da soli che con i sapientes (et alios sapientes iuris non vult habere, et non vult quod super dicto facto sapientes alii iuris debeant consulere, quia ipsi XXIIIIor sciunt eorum facta et eorum ordinamenta melius quam alii sapientes)19. Questa ed altre dichiarazioni analoghe più o meno coeve sono facilmente comprensibili alla luce del ruolo straordinario che i giudici senesi avevano rivestito nella politica comunale della prima metà del secolo, e che rivestivano ancora negli anni Cinquanta20.
18Nei provvedimenti antimagnatizi, ossia quelle leggi attraverso le quali, intorno agli anni Settanta del Duecento, i governi popolari cercano di escludere le famiglie più potenti dal governo comunale, la componente degli iudices viene esplicitamente identificata con questo gruppo. Il divieto di accesso alle cariche politiche per i giudici è infatti l’espressione più evidente dell’antagonismo del Popolo, ed un tema comune della legislazione comunale tardo-duecentesca, che ritroviamo a Bologna, a Siena o a Firenze, solo per citare gli esempi più noti. La diffidenza verso i giudici porta i governi popolari a valorizzare le competenze amministrative di un altro ceto professionale, quello notarile. Sia a Perugia, sia in misura maggiore a Bologna, i notai rappresentano una delle principali anime del Popolo21.
19A Perugia, come a Siena, l’identificazione aristocratica dei giuristi è netta. Nel corso degli anni Ottanta del xiii secolo, che costituiscono il momento di maggiore pressione del Popolo perugino sulle istituzioni22, assistiamo a un ridimensionamento dell’intervento politico dei sapientes iuris rispetto al passato, e, in particolare, rispetto al decennio precedente. Iudices e doctores legum appaiono con frequenza assai minore in un Consiglio ristretto all’interno del quale, nel corso degli anni Settanta, avevano rappresentato la componente più significativa23. A questo fenomeno corrisponde un aumento dell’intervento politico dei notai, che sembrano in alcuni frangenti costituire una garanzia per delle competenze necessarie a livello amministrativo, tuttavia in versione popolare. È quanto testimoniano, ad esempio, due accese sedute del Consiglio generale di Perugia nell’agosto del 1280, dove si discute la composizione di una commissione che avrebbe dovuto revisionare gli statuti del Popolo24. Come a Siena, anche in questo caso il problema è costituito dall’intervento, o meno, di iurisperiti, in alternativa al quale alcuni consiglieri sembrano spingere verso una delega ai notai. Le proposte avanzate dai diciassette interventi complessivi registrati per le due sedute sono orientativamente quattro: un primo gruppo di consiglieri chiede che della faccenda si occupino i magistrati forestieri, confidando probabilmente in un certo grado sia di neutralità, che di competenze; altri sostengono invece l’intervento dei sapientes iuris, affiancati da esponenti del Popolo; la terza proposta è che la commissione sia tutta de populo, e in questa formazione è particolarmente caldeggiata la presenza di notai. La soluzione che prevale si uniforma tuttavia all’intervento più radicale di un consigliere che rifiuta del tutto l’idea di una commissione ristretta, e chiede che gli statuti del Popolo siano esaminati dal Consiglio stesso, dai rettori del Popolo e da tutti gli abitanti di Perugia che desiderino intervenire (quod per consilium et per rectores et per omnes homines civitatis Perusii qui adesse voluerint illis statutis fiat illa examinatio25).
20Questa discussione perugina illustra bene quanto la contestazione della delega ai giuristi rispecchi una questione politica più vasta che ricorre in forme diverse in altre esperienze popolari, e che, per certi aspetti, costituisce un problema endemico di un sistema di governo. Nella gerarchia dei consigli comunali della seconda metà del Duecento, quello più vasto è sovrano, ma ciò non significa affatto che costituisca la sede massima di elaborazione politica. La lotta per consigli più allargati, composti esclusivamente, o in parte considerevole, da elementi diversi dai domini, e, allo stesso tempo, un frequente ricambio dei consiglieri teso a evitare la formazione di gerarchie stabili al potere, comportano, nella seconda metà del Duecento, la delega continua a commissioni ristrette. In questo senso, le balie di esperti rappresentano un postulato necessario delle rappresentanze vaste, e l’idea che sembra sottendere l’organizzazione dei governi popolari è che le competenze e la forza di cui era depositario lo strato alto della società comunale potessero essere utilizzate attraverso il ricorso a commissioni tecniche, sottoposte, in misura variabile, al controllo dei consigli.
21Se la potenza politica a cui giungono inevitabilmente le balie genera una sfiducia diffusa per il meccanismo della delega, gli interventi dei consiglieri che intervengono nelle sedute senesi e perugine sopra esaminate rivelano una diffidenza specifica nei confronti dei giuristi: non è sufficiente la garanzia del controllo dei consigli per supervisionare l’attività delle commissioni dei sapientes iuris. Tale posizione attesta da una parte la coscienza che qualsiasi attività interpretativa sulle fonti normative non rappresenti un intervento neutrale, ma sia politicamente connotato; dall’altra che il lavoro di una balia di iurisperiti non poteva essere integralmente controllato da chi non ne condivideva la cultura e le competenze. Questo secondo elemento, in particolare, sembra emergere tanto dalla decisione finale del Consiglio generale di Perugia, quanto da due discussioni simili che avvengono a Siena nel 1257 e nel 1258, nelle quali si decide, rispettivamente, che un giudice interpreti una norma dubbia dello statuto del Popolo direttamente nel Consiglio, anziché in una sede separata, e che la spiegazione di un altro capitolo dubbio fosse fatta dal Consiglio stesso26. In termini analoghi a Bologna, quando, nel 1284, in seguito a problemi tra la città e il pontefice, acquista molto potere una commissione di sapientes iuris a cui era stata delegata la vicenda, i rappresentanti del Popolo chiedono prima a un’altra commissione composta esclusivamente da esponenti popolari di controllare i documenti prodotti dai giuristi, poi agli stessi doctores di diritto civile e canonico di andare a una riunione unificata dei consigli cittadini, nella quale avrebbero dovuto leggere e spiegare i documenti in questione27.
22Nonostante queste tensioni esistano, si tende tuttavia a tracciare dei legami troppo stretti tra professione, provenienza sociale e ruolo politico dei giudici e dei notai, e ad attribuire un valore eccessivo alle dichiarazioni contenute nelle leggi antimagnatizie, che sono state spesso interpretate come una testimonianza del fatto che i giudici fossero esclusi dalla vita politica della seconda metà del Duecento. Lo studio del funzionamento del sistema comunale tardo-duecentesco rivela rapporti assai più complessi: a Perugia, a Siena, e a Bologna, se vediamo prevalere la componente popolare nei consigli comunali, sorgono parallelamente delle commissioni ristrette di sapientes in cui sono principalmente attivi giudici e doctores legum. Si tratta di commissioni formalmente esterne al governo, non sottoposte, cioè, al rigido criterio di rotazione dei consiglieri, ma che di fat-to rappresentano un forte e costante canale di intervento politico. La ragione principale della loro esistenza è la continua richiesta di una consulenza politica dei sapientes iuris da parte dei governi popolari.
23Nella legislazione perugina non è rintracciabile, peraltro, una dichiarazione programmatica contro la componente dei giudici, sul genere di quelle che compaiono nelle legislazioni antimagnatizie di altre realtà comunali. John P. Grundman e successivamente Sarah R. Blanshei hanno visto nell’esclusione dei giuristi dalla vita politica uno dei tratti caratterizzanti delle istituzioni perugine tardo-duecentesche, in contrapposizione, secondo la Blanshei, alla realtà bolognese28. A tale idea i due studiosi sono stati spinti dall’affermazione contenuta nei primi ordinamenti popolari del 1260, secondo la quale, in materia penale, le categorie dei milites, iudices e notarii non dovevano essere considerati de populo29. Proprio il riferimento ai notai, la cui identità sociale e politica rimanda a Perugia (come altrove) a un’appartenenza popolare, spinge non solo a ridimensionare l’importanza di questa affermazione, ma anche ad attribuirle un significato diverso. Il fatto che iudices e notarii siano equiparati ai milites in materia penale, ossia che non godano dei privilegi spettanti ai popolari nel pagamento delle condanne, sembra essere una conseguenza della professione che esercitano, più che dell’appartenenza sociale, considerato che l’amministrazione della giustizia dipendeva essenzialmente da loro.
24La difficoltà di applicare delle identificazioni rigide tra ceti professionali e funzione politica emerge con chiarezza a Bologna negli anni Ottanta del Duecento, quando i notai sono per appartenenza sociale e politica una delle forze principali del Popolo, ma anche una corporazione potentissima, che sembra opporsi alle più estreme posizioni popolari in materia giudiziaria30; i doctores legum si schierano chiaramente dalla parte dei magnati, ma per via delle competenze che possiedono sono anche coloro che siglano gli ordinamenti antimagnatizi; gli iudices politicamente intervengono spesso al fianco dei magnati, ma rivendicano in più di un’occasione un’appartenenza al Popolo.
25Alla fine del Duecento, la presenza ultrasecolare dell’Università sembra comportare, a Bologna, una stratificazione delle professioni giuridiche altrove non riscontrabile. Mentre nelle altre realtà comunali il possesso di una cultura giuridica rappresenta un elemento sufficiente per designare la categoria complessiva degli esperti di diritto, nel senso che la distinzione tra il titolo di doctor e quello di iudex, o iurisperitus, non si traduce in una differenza significativa di posizione sociale e di intervento politico, la distanza tra le due categorie a Bologna è avvertita. Tale impressione si ricava complessivamente dalle discussioni dei Consigli comunali bolognesi degli anni Ottanta del Duecento, dove sia il ruolo dei doctores legum nella politica cittadina, sia alcune dichiarazioni da parte dei consiglieri restituiscono l’immagine di una identificazione del ceto dei doctores con lo strato alto della società bolognese. Benché in alcuni casi la distinzione tra doctores e iudices sia fittizia, nel senso che le stesse persone vengono qualificate con entrambi i titoli, complessivamente un confine tra le due categorie esiste. Negli ultimi decenni del xiii secolo, la categoria di immediata identificazione aristocratica è quella dei doctores legum, e, a differenza di altre città, il titolo di iudex ri-manda a una professione, assai più che a uno status.
26È quanto attesta un documento prodotto dalla collettività dei giudici bolognesi nel 1285, quando essi si rivolgono al collegio ristretto del Popolo di Bologna, il Consiglio degli Anziani, per avanzare delle richieste che poi gli stessi Anziani pongono nel più vasto Consiglio del Popolo31. All’inizio della petizione, i giudici affermano di essere, ed essere stati in passato, quasi tutti figli, fratelli e nipoti degli uomini della società del Popolo; la ragione per la quale si rivolgono agli Anziani sono gli scarsi guadagni che traggono dalla loro professione a causa del servizio che prestano negli uffici comunali32. L’incompatibilità tra la nomina a questi ultimi e l’esercizio della professione legale è sancita a chiare lettere negli statuti del 1288, che ingiungono ai giudici di non patrocinari pro aliquo nec procurationem exercere per tutto il tempo in cui ricoprono cariche comunali33. I giudici di Bologna chiedono dunque che, poiché quelli di loro che operano in questi uffici sono per la maggior parte persone del Popolo e membri delle società d’Arti e d’Armi, possano esercitare la professione di avvocati e consulenti anche mentre sono ufficiali del comune, affinché le cariche comunali continuino ad essere ricoperte da personale valido e preparato (boni et literati iudices).
27Sebbene la dichiarazione di un’appartenenza popolare in un documento che mira ad aumentare le prerogative dei giudici abbia un chiaro valore strumentale, siamo tuttavia di fronte a una petizione pubblica, la discussione sulla quale, su proposta di un notaio, viene rimandata dal Consiglio del Popolo. Oltre alla reiterata affermazione di un identità de populo, colpisce il riferimento alle società d’Arti e d’Armi, che costituivano gli organi corporativi professionali e militari del Popolo bolognese, l’accesso ai quali era precluso ai magnati. Non si tratta di una testimonianza isolata: esistono infatti altri segnali di un’integrazione dei giudici nella politica popolare34. In base a ciò che si conosce di altre realtà comunali, la specificità bolognese, a questa altezza, sembra essere forte. Nell’arco di circa un secolo, la presenza dell’Università ha agito in due direzioni distinte: da una parte ha innalzato il livello culturale degli ufficiali comunali e consentito un allargamento sociale delle professioni giuridiche, dall’altra ha determinato una stratificazione all’interno della categoria degli esperti di diritto.
28Tuttavia, anche nelle città in cui il diritto resta un quasi mono-polio della nobiltà comunale, i giuristi non sono qualificabili come semplici esponenti dei valori nobiliari, proprio in virtù della cultura che possiedono e delle competenze non solo tecnico-processuali nella sfera giudiziaria, ma più in generale amministrative e politiche. Il contributo fondamentale che essi di fatto apportano alla definizione della politica popolare invita appunto a non sovrapporre il problema dell’identità sociale a quello della funzione di un gruppo.
FUNZIONE
29Nel recente libro sulle strategie di disputa toscane nel xii secolo, Chris Wickham solleva una questione importante quando affronta il caso di Pisa: lo studioso afferma infatti che l’adozione del diritto romano nella legislazione e nella pratica giudiziaria fu qui un’operazione che si realizzò per una precisa volontà del governo cittadino, in conseguenza di quella che viene da lui definita in modo molto efficace come una «scelta politica» della classe dirigente pisana35. Gli studi condotti sulle leggi pisane da parte di Classen e di Claudia Storti Storchi hanno ricostruito le varie fasi di redazione dei constituta, e datato al 1155 l’inizio di questa intensa opera di ridefinizione legislativa36. Pisa rappresenta un caso eccezionale per precocità ed intensità, ma prefigura quello che avverrà nel giro di pochi decenni nella maggior parte dei comuni italiani: indipendentemente da un maggiore o minore grado di romanizzazione del diritto municipale, la nascita di una nuova cultura stimola le esigenze di definizione istituzionale di una società urbana profondamente mutata.
30A prescindere dalla questione se Pisa abbia intrapreso questa operazione per desiderio di emulazione degli antichi Romani, l’idea per cui l’adozione del diritto romano risponda a un’esigenza di identità sembra suggestiva, e ancor più l’immagine di un’operazione cosciente intrapresa dalla élite cittadina, un’«iniziativa ideologica» appunto, e non una «decisione disinteressata»37. Wickham pone la questione nei termini di una costruzione identitaria di Pisa soprattutto verso l’esterno, in particolare verso altre città italiane e rivali come ad esempio Lucca, che legava invece il suo prestigio a una tradizione longobardo-carolingia, o Genova, con la quale forse Pisa aspirava a competere proprio sul terreno giuridico e culturale. Storti Storchi ha messo in luce quanto alla base delle esigenze ideologiche del comune pisano siano presenti anche dei fondamentali problemi di legittimità del potere cittadino nei confronti dell’imperatore: nella ricostruzione avanzata del clima culturale e politico della metà del xii secolo, la studiosa sottolinea la rilevanza dell’imminente incontro della città con Federico Barbarossa, e vede nella separazione del campo della lex da quello dell’usus, attuata dai sapientes addetti alla redazione dei constituta, un probabile strumento che gli intellettuali pisani adottarono per tutelare la propria giurisdizione dalle proteste o interferenze imperiali38.
31Le esigenze di legittimità non sono tuttavia avvertite solo nei confronti di poteri esterni: a metà del xii secolo è altrettanto urgente una definizione verso l’interno delle stesse strutture amministrative in cui le città si vanno organizzando, ossia quel processo per cui con tempi e modi diversi esse giunsero al risultato comune di legittimare i tribunali cittadini, dunque all’affermazione del potere di giurisdizione. Per entrambi questi aspetti la mediazione giuridica cominciò a rivestire a quest’altezza un ruolo molto importante perché ad essa fu delegata la definizione e la legittimazione di un fondamentale mutamento politico e istituzionale. In questo senso la romanizzazione del diritto municipale, la nascita di tribunali specializzati e la richiesta di una conoscenza del diritto al personale giudiziario, segnano l’inizio di un processo di investimento politico sulla cultura giuridica, che in questi termini si presenta come un fenomeno nuovo.
32A distanza di pochi decenni dalla redazione delle leggi pisane, molti governi comunali cominciano ad investire sul diritto in due direzioni distinte: da una parte nella costruzione di apparati giudiziari sempre più articolati e complessi, dall’altra nella valorizzazione della cultura giuridica come strumento essenziale di legittimazione politica. La distinzione tra queste due categorie risponde tuttavia solo a scopi esemplificativi, se consideriamo che l’esercizio di una giurisdizione pubblica, che è quello a cui tendono le città a partire in modo diffuso dalla metà del xii secolo, non appare tanto come un settore del potere politico comunale, ma come l’essenza stessa di esso. Il primo tratto attraverso il quale si autodefiniscono le città tanto verso l’esterno nei confronti degli altri poteri in campo, quanto verso l’interno per ottenere il consenso e l’adesione dei soggetti che le compongono, è la rivendicazione di una giurisdizione esclusiva sul territorio, sulle persone e sulle cose, che si attua attraverso il riconoscimento dei tribunali cittadini. Da qui deriva una spiccata accezione politica dell’attività giudiziaria, o viceversa una visione del potere politico comunale come un potere essenzialmente giudiziario.
33La scarsa distinzione tra queste due categorie è un elemento da tenere in forte considerazione per comprendere il ruolo assunto dagli esperti di diritto fin dagli esordi istituzionali delle città nel xii secolo. Da sempre la storiografia comunale ha sottolineato la rilevanza del ruolo dei giuristi italiani sulla base da una parte della funzione da essi svolta in campo giudiziario, dall’altra della presenza nei consigli comunali. Questi due aspetti della loro attività sono stati considerati distinti, rappresentando il primo l’esercizio specifico di competenze professionali, il secondo l’espressione di un’attività essenzialmente politica. Lo studio parallelo delle forme di intervento in campo giudiziario e politico dei giudici italiani consente tuttavia di mettere a fuoco una funzione assai più unitaria di quanto la distinzione tra il campo della giustizia e quello del governo lascerebbe pensare, dove professione giudiziaria e consulenza politica sono da subito percepiti come sbocchi altrettanto naturali del possesso di una formazione giuridica.
34È un fenomeno che vediamo già in atto nella seconda parte del xii secolo: il caso esemplare, anche se a quest’epoca rappresenta ancora un’eccezione, è quello menzionato di Milano. Classen ha infatti dimostrato come le persone alle quali con più frequenza venne affidata la guida della città, soprattutto nei momenti di crisi con il potere imperiale, furono un gruppo chiaramente identificabile di iudices e causidici. Come era avvenuto a Pisa in occasione dell’incontro tra la città e Federico Barbarossa, anche a Milano i rapporti con l’imperatore sembrano determinare un ricorso più intenso al diritto, e un’utilizzazione politica della cultura giuridica39. È stato anzi sottolineato quanto proprio il confronto con il potere imperiale abbia stimolato una maggiore professionalità dell’amministrazione comunale e un perfezionamento della burocrazia cittadina40.
35La recente pubblicazione della ricerca sui podestà dell’Italia comunale restituisce bene la centralità assunta da Milano nella prima fase dell’esperienza podestarile41, a cui potrebbe avere contribuito il fenomeno descritto da Classen. Il fatto che nei primi decenni di affermazione dei podestà forestieri si registri una netta prevalenza di ufficiali milanesi, e che, come sostiene Maire Vigueur, tale preferenza rispecchi soprattutto la professionalità politica degli ufficiali di Milano42, ben si accorda al dato che evidenziava lo studioso tedesco, secondo il quale era soprattutto a Milano che, nell’epoca consolare, la cultura giuridica aveva conosciuto un’intensa utilizzazione politica. È possibile che proprio il possesso di competenze giuridiche di qualche genere, attestato con una certa frequenza dagli esponenti consolari di Milano, abbia contribuito alla professionalità che i podestà milanesi sembrano possedere nei primi decenni del xiii secolo.
36Se fino dal xii secolo le città italiane trovano nel diritto uno strumento di legittimazione fondamentale, l’utilizzazione delle competenze giuridiche costituisce un fenomeno costante ma non uniforme, nel senso che si presenta particolarmente accentuato in alcune fasi della storia comunale, ed in particolare in conseguenza di importanti trasformazioni istituzionali. Complessivamente, il passaggio ai magistrati forestieri segna un cambiamento molto significativo. Il caso più importante studiato in quest’ottica per i decenni a cavallo tra xii e xiii secolo è quello di Bologna, dove Fried ha mostrato come sia proprio con l’affermazione dei podestà che si affermi un ricorso politico stabile ai giuristi43. Benché altrove tale fenomeno sia riscontrabile solo a partire dalla metà del Duecento, esistono in alcuni casi dei segnali importanti, anche fuori da Bologna che per ovvie ragioni costituisce un caso particolare.
37A partire dalla fine degli anni Venti del xiii secolo, sono rintracciabili a Siena dei pagamenti ai giudici cittadini che, diversamente dalla maggior parte delle altre realtà comunali, sono a quest’epoca già riuniti in una universitas44. Sebbene nel primo pagamento documentato sia detto che tali versamenti avvenivano propter longam consuetudinem, è solo a partire dal 1229 che cominciano ad essere attestati con una certa regolarità, prima come stipendio del console di questa embrionale corporazione, poi, dal 1249, come pagamento per la consulenza prestata dai giudici al comune stesso (pro consiliis que dederunt pro comuni). In modo non continuativo, è possibile seguire questi pagamenti fino al 1268: la formula giustificativa varia di poco, ossia continuano ad essere ricordati i consilia e i servitia prestati dai giudici, ma a partire dal 1257 scompare il riferimento al console della corporazione, e il pagamento è detto essere fatto direttamente ai giudici di Siena per i loro servigi (iudicibus totius civitatis Senarum pro remuneramento servitiorum que faciunt comuni), ed è specificato poi nel palazzo del podestà, del capitano e altrove45.
38A partire dall’epoca per la quale sono sopravvissute le riformagioni dei consigli, siamo in grado di stabilire con esattezza in cosa consistessero i consilia che i giudici senesi prestavano al comune. Dalla fine degli anni Quaranta a Siena, e a partire da due o tre decenni dopo altrove, i verbali consiliari attestano la frequenza con cui nella politica comunale intervengono commissioni di sapientes iuris, alle quali i consigli cittadini e gli ufficiali forestieri delegano l’esame di questioni diplomatiche, politiche e istituzionali.
39A Perugia e a Bologna, la sopravvivenza di un archivio giudiziario consente di verificare il significato preciso dell’espressione sapientes iuris nella seconda metà del Duecento, perché le stesse persone cui nelle fonti amministrative si fa riferimento in questo modo compaiono come iudices, iurisperiti e, nei casi in cui possiedano il titolo, doctores legum, nelle carte processuali. Salvo poche eccezioni, non rientrano in questa categoria i notai. In entrambe le realtà, l’espressione sapientes iuris rimanda inoltre al possesso di competenze e non a una funzione professionale, come mostra la quasi esclusiva utilizzazione in ambito amministrativo, e, viceversa, l’eccezionalità con cui compare nelle fonti giudiziarie46. Nel caso di Siena, al contrario, iudices, sapientes iuris, o sapientes iudices, sono designazioni intercambiabili nelle riformagioni dei consigli, ma anche per questa realtà è possibile affermare che le commissioni di sapientes iuris non includono, di norma, i notai47.
40Il ricorso a queste balie di iudices e doctores legum conosce una diffusione tale nella seconda parte del Duecento da dare vita, in alcuni comuni, a veri e propri consigli, all’interno dei quali gli esperti di diritto ricoprono un ruolo fondamentale. Benché tale fenomeno presenti una consistenza e un significato variabili da una città all’altra, da un esame comparativo dell’attività svolta dalle commissioni di sapientes iuris di Siena, Perugia e Bologna, emergono con chiarezza tre esigenze comuni che, nel corso del xiii secolo, determinano una richiesta di un intervento tanto intenso nella vita politica comunale: la consulenza ai magistrati forestieri, la definizione politica dei governi a livello regionale e nei confronti dei poteri sovraregionali, la costruzione di un sistema politico nuovo sotto le spinte del populus.
La consulenza dei sapientes iuris ai magistrati forestieri
41Un primo e generale motivo dell’intervento politico degli esperti di diritto nel Duecento è rappresentato dalla forma di governo adottata dalle città italiane. È noto quanto la nomina di ufficiali forestieri in carica per un arco di tempo limitato risponda allo stesso tempo alla necessità di un’amministrazione più professionale e all’esigenza di attenuare il dominio dell’aristocrazia locale sulle istituzioni comunali. La delega di ampie sfere di governo e complessivamente dell’amministrazione della giustizia a funzionari esterni pone però in primo piano la questione della vigilanza sull’attività da essi svolta. A livello giudiziario, la soluzione comune che vediamo adottare è una sorta di controllo «in uscita» sull’operato dei giudici forestieri, che si attua attraverso l’intervento nei processi dei giudici cittadini. L’imponente ricorso ai consilia sapientum per la definizione delle sentenze è un dato che da tempo ha richiamato l’attenzione degli esperti di storia della giustizia comunale48. Se le ricerche dedicate alla struttura e alla funzione di questa fonte hanno notevolmente arricchito la conoscenza della pratica consiliare, sembra tuttavia meritare ulteriori riflessioni la convergenza dei dati che emerge in proposito dalla documentazione giudiziaria di esperienze comunali profondamente diverse. Il fatto che praticamente tutte le ricerche condotte su fonti giudiziarie duecentesche rivelino la centralità del consilium sapientis nel processo spinge a valutarne la funzione al di là dei contesti e delle consuetudini locali, e a vedervi un elemento costitutivo della giustizia e del sistema politico comunale della seconda parte del xiii secolo. Tanto a Bologna, a Milano e a Perugia, quanto in realtà di proporzioni assai più ridotte, come il comune toscano di San Gimignano, il ricorso al consilium si presenta come una pratica generalizzata dei tribunali cittadini49. Nell’ambito di contesti istituzionali molto diversi, ci si confronta con il dato comune di una giustizia teoricamente delegata a personale forestiero, ma che di fatto ritorna in parte considerevole nelle mani dei giudici cittadini, il cui ruolo è garantito dal costante intervento nei processi in veste di consulenti50. Gli studi di lungo periodo condotti da Antonio Padoa Schioppa sulla giustizia milanese evidenziano per Milano la novità di tale fenomeno nella seconda parte del Duecento. Lo studioso mostra infatti quanto la richiesta di una consulenza a uno iurisperitus locale da parte del giudice che istruiva il processo sia una pratica che non conosca eccezioni nelle sentenze civili milanesi sopravvissute per questa epoca. Benché il ricorso al consilium sapientis sia naturalmente attestato anche prima, la funzione da esso svolta nella giustizia milanese alla fine del xii secolo non sembra affatto rivestire un’importanza paragonabile a quella assunta negli ultimi decenni del Duecento51.
42Se è quindi probabile che sulla diffusione del consilium sapientis influisca l’esigenza di mantenere il controllo della giustizia da parte dei giudici locali, non molto diversi sono i problemi e le soluzioni escogitate per una vigilanza sull’attività amministrativa svolta dai magistrati forestieri.
43È noto che alla fine del periodo per il quale erano in carica, i funzionari forestieri venivano sottoposti a un processo di sindacato, che consisteva in un esame complessivo del loro operato, nel quale dovevano rispondere davanti a una commissione locale dell’attività svolta52. L’importanza del processo di sindacato è stata più volte sottolineata proprio in relazione al consilium sapientis, a cui è assai probabile che, tra le altre ragioni, i giudici forestieri ricorressero anche per sottrarsi alla responsabilità di sentenze per le quali sarebbero stati in seguito giudicati. Meno esplorato è stato invece un altro fenomeno che si collega al sindacato, ossia il rapporto privilegiato che i magistrati forestieri stabiliscono con gli esperti di diritto delle città in cui governano. La scelta delle città di essere amministrate da ufficiali esterni rende necessario un raccordo con il potere locale, per garantire un difficile equilibrio tra delega e controllo sulla loro attività. L’organo di raccordo è in misura crescente rappresentato dai giudici cittadini sia per l’ovvia confidenza che possiedono con le leggi e l’amministrazione locale; sia per l’esigenza da parte degli stessi magistrati forestieri di tutelarsi da possibili accuse di atti illeciti che potevano essere loro mosse al termine dell’incarico.
44Dai verbali dei consigli senesi della metà del Duecento, come anche dalle riformagioni e dalla documentazione giudiziaria perugine e bolognesi di poco successive, emerge con chiarezza la frequenza con cui gli ufficiali forestieri si rivolgono autonomamente ai giuristi locali per una consulenza politica. A commissioni di consistenza variabile, la cui composizione può oscillare da tre o quattro persone, fino a diverse decine di iudices e doctores legum, podestà e altri funzionari pongono questioni di varia natura. Il pretesto di tali consultazioni è spesso rappresentato dall’incertezza a procedere su situazioni specifiche, dal coordinamento problematico tra norme o raccolte statutarie, dall’interpretazione dubbia di una certa legge. Tuttavia, sia a Siena, sia a Bologna, sia soprattutto a Perugia, le convocazioni degli esperti di diritto locali rispondono in prima istanza all’esigenza da parte degli ufficiali di garantirsi da contestazioni al termine della carica. La preoccupazione fondamentale è quella di non incorrere nell’accusa di spergiuro per il mancato rispetto degli statuti che il personale forestiero giurava di osservare al momento in cui prendeva servizio.
45Nel 1276, il podestà di Perugia riunisce nove sapientes iuris e chiede loro come comportarsi rispetto agli statuti del Popolo, dal momento che questi erano stati modificati dopo che egli era entrato in carica e si presentavano dunque diversi da quelli che aveva giurato di osservare. In particolare, il dubbio è se attraverso l’applicazione delle nuove leggi lui e i suoi funzionari fossero venuti meno al giuramento prestato53. I sapienti autorizzano il rispetto dei nuovi statuti, affermando che ciò non avrebbe comportato conseguenze per il giuramento54.
46Nel 1277, quando il pontefice domanda a Perugia un contributo di una certa quantità di pesce per le festività pasquali (pro cena do-mini), gli ufficiali forestieri riuniscono una commissione di diciannove giuristi, eletta dai consoli cittadini, alla quale chiedono se essi possano porre nel Consiglio generale di Perugia la richiesta del papa senza incorrere in una pena, potendo in sé tale richiesta presupporre una servitù reale55. La costituzione di un obbligo di prestazione periodica veniva infatti configurata allora dalla dottrina come una servitù reale atipica, che implicava l’alienazione stabile di alcuni diritti. Con ogni probabilità, la convocazione dei giuristi era dunque motivata dal timore del podestà e del capitano del Popolo che in se-de di sindacato potesse essere loro contestato di avere posto all’ordine del giorno una questione implicante l’alienazione di beni e di diritti del comune. Il responso dei giuristi è che i magistrati possono porre la questione nel Consiglio senza conseguenze per il loro giuramento, ma affermano che ottemperare alla richiesta del pontefice avrebbe potuto comportare in futuro per Perugia una servitù (potest servitutem comuni Perusii generare et ad subsequentia tempora posset servitus reputari)56. Nello stesso anno, gli ufficiali forestieri di Perugia convocano una commissione di ventitrè giuristi alla quale chiedono se il Consiglio generale possa scioglierli dal rispetto di alcuni capitoli statutari in teoria inderogabili57.
47A prescindere dalla rilevanza delle questioni poste, interessa sottolineare come in queste tre convocazioni i giuristi svolgano una funzione di mediazione tra gli ufficiali forestieri e le istituzioni comunali. È, infatti, ai giudici che il podestà e il capitano chiedono preventivamente quale linea di comportamento adottare rispetto al Consiglio comunale.
48Oltre alla preoccupazione del sindacato, è probabile che anche la maggiore diffusione del titolo di doctor legum tra i magistrati forestieri della seconda parte del Duecento contribuisca a creare un canale di comunicazione privilegiato con i giudici locali58. La formazione universitaria spingeva forse questi ufficiali a valorizzare le risorse culturali delle città all’interno delle quali erano attivi, attraverso forme frequenti e differenziate di consultazione dei sapientes locali. In altre parole, il podestà, il capitano del Popolo e i loro giudici si esprimevano attraverso la cultura di cui erano depositari, ricorrendo spesso alla guida di giuristi locali che ne condividevano il linguaggio59.
49Questo compito di guida è peraltro specificato a Perugia da una norma degli statuti del 1279, dove agli iudices civitatis viene espressamente prescritto di prestare consulenza ai magistrati forestieri, affinché osservino la legislazione comunale e assicurino la concordia della città60. Tale rubrica merita un’attenzione particolare non solo perché riconosce ai giudici un preciso ruolo amministrativo in qualità di custodi della normativa perugina, ma anche per il modo in cui i loro compiti politici vengono associati a quelli giudiziari. In essa infatti, una volta ricordato l’obbligo di prestare consilium et operam agli ufficiali forestieri, si passa a regolamentare, senza soluzione di continuità, la consulenza dei giudici in campo processuale, ossia le modalità di ricorso ai consilia sapientum. L’associazione è significativa perché conferma l’impressione di una stretta parentela tra consultazione politica e professionale degli esperti di diritto, che, a un livello diverso, è riscontrabile nella documentazione amministrativa e giudiziaria perugina.
50La sollecitazione di un intervento politico degli esperti di diritto conosce proporzioni tali a Perugia da apparire in certi anni come una sorta di «consulenza istituzionalizzata». Le tre convocazioni a cui si è fatto sopra riferimento sono tratte dai verbali di un Consiglio ristretto, nell’ambito del quale, nella seconda metà degli anni Settanta del Duecento, i sapientes iuris rivestono un ruolo di primo piano. Il grado di integrazione tra il linguaggio giudiziario e quello politico è così profondo, che lo stesso organo istituzionale è in origine definito Consilium sapientum61. L’ambivalenza semantica del termine consilium, che, come «consiglio» nell’italiano corrente, possiede il doppio significato di «consulenza», e di «consiglio» nel senso di organo collegiale, viene sfruttata per designare contemporaneamente il parere tecnico del giurista nel processo e la sede istituzionale nella quale i giuristi sono spesso riuniti per prestare una consulenza politica62.
51Le riunioni dei sapientes iuris sono verbalizzate in modo identico a quelle dei consigli comunali, e il loro parere coincide con la de-libera finale della commissione. Poiché tecnicamente si tratta di consigli forniti dai sapienti, le decisioni di queste balie sono abitualmente chiamate consilia sapientum. In analogia a quanto avveniva nel processo, dove il giurisperito era chiamato a esprimere il parere su una controversia e il consilium da lui fornito costituiva il dispositivo della sentenza, a livello politico i giuristi erano convocati a consulere su questioni di varia natura, e il consilium da loro prestato si esprimeva attraverso la delibera stessa dell’organo politico all’interno del quale erano riuniti. Si tratta di due attività consulenti, una tecnico-giudiziaria e l’altra politica, che si esplicano in campi differenti, ma si contaminano e si presentano estremamente simili.
52La somiglianza è resa a Perugia ancora più evidente dal fatto che alcuni consilia collettivi su questioni amministrative sono conservati oltre che nelle riformagioni, anche nella documentazione giudiziaria. In registri di sentenze o di altri documenti processuali è possibile infatti rinvenire pareri di giudici che non presentano attinenza a cause particolari. È il caso per esempio di quattro consilia risalenti agli anni 1277-78, in cui un giudice forestiero chiama da due a nove iurisperiti locali a pronunciarsi rispettivamente: sulla facoltà per il podestà e il capitano del Popolo di essere assolti da prescrizioni statutarie relative all’obbligo di manutenzione dell’area circostante al lago di Chiusi; sui poteri di inquisizione dei funzionari forestieri; sul salario da corrispondere agli ufficiali comunali che avessero catturato un bandito su istanza del creditore e sulle modalità di elezione del podestà63. Benché siano conservati tra le carte giudiziarie, e in due casi compaiano in un registro di sentenze dove sono altrimenti riportati solo pareri forniti dai giudici nei tribunali, i consilia citati non sono legati a processi particolari, dunque non assolvono la funzione tipica di definizione di una controversia all’interno della sentenza. Ciò nonostante, la tecnicità della forma in cui si presentano, ossia il fatto di essere richiesti sempre da un giudice forestiero, l’ufficialità dell’atto e il luogo in cui sono registrati, li pongono su un piano quasi identico ai consilia processuali in senso stretto, benché la valenza sia diversa. Come mostrano le materie su cui vertono i pareri, le domande poste ai giudici perugini sono in questi casi richieste generali, non dubbi di procedura, anzi in alcuni casi la materia di dubbio si situa completamente al di fuori della sfera giudiziaria. Questi aspetti sembrano allora attestare che la forma della consultazione giuridica processuale del consilium fosse utilizzata dal personale forestiero a garanzia del suo operato, confidando proprio nell’ufficialità che il parere degli iurisperiti possedeva, per il ruolo che tradizionalmente rivestiva nei processi. Il trasferimento nella sfera politica di forme di intervento tecniche che si erano an-date consolidando in campo giudiziario diventa in questo senso funzionale a dimostrare la legalità delle azioni politiche.
53Il caso più eclatante è costituito da alcuni consilia bolognesi registrati nelle delibere del Consiglio degli Anziani del 1272, richiesti dal capitano del Popolo a otto giuristi locali tra i quali figura il celebre Tommaso da Piperata64. Benché anche in questo caso i pareri siano richiesti da un magistrato forestiero, la funzione trascende l’esigenza di attestare la legalità delle scelte dell’ufficiale in carica in vista del sindacato, perché la materia su cui i giuristi sono chiamati a consulere costituisce una questione di estrema rilevanza politica, che era allora al centro del conflitto tra le fazioni guelfa e ghibellina di Bologna. Tra il 1271 e il 1272, il partito ghibellino dei Lambertazzi si era reso promotore di un attacco contro il governo guelfo di Modena, a cui si opponeva invece fermamente la fazione guelfa bolognese. Le discordie si inasprirono quando a Bologna fu eletto un capitano del Popolo filo-ghibellino, che negli ultimi mesi del 1271 con-dusse una serie di azioni militari di scarso successo. A tali iniziative seguirono nuove sollevazioni guelfe, e, tra il gennaio e il febbraio del 1272, la tensione salì a tal punto che i ghibellini fecero apporre una lapide nel palazzo comunale contenente i provvedimenti antimodenesi e l’impegno da parte delle autorità di Bologna a muovere guerra entro l’inizio di maggio65.
54In questo frangente si situa l’intervento degli otto giuristi, a cui il capitano del Popolo chiede di spiegare il senso di una norma statutaria nella quale veniva affermato che, qualora comunità o persone sottoposte a Bologna avessero effettuato azioni di disturbo, la città sarebbe stata autorizzata a considerarle come «nemici capitali, traditori e nemici perfidi, e a danneggiarle in tutti i modi possibili». A giudicare dai loro pareri, il compito dei giuristi era quello di chia-rire fino a che punto avesse potuto estendersi l’azione di Bologna, e in particolare se la ritorsione fosse potuta giungere fino alla guerra, dunque se le parole dello statuto autorizzavano un attacco militare con l’esercito. Nonostante il fatto che non sia mai menzionata Modena, per la congiuntura particolare in cui i consilia vengono richiesti è altamente probabile che si riferiscano alla questione centrale che allora divideva le fazioni bolognesi. L’ipotesi più verosimile è che il capitano del Popolo, di posizioni ghibelline e sostenuto dalla fazione lambertazza bolognese, nello sforzo di legittimare una spedizione militare contro Modena, ricorresse al parere di giuristi noti e in alcuni casi simpatizzanti per la causa ghibellina perché, attraverso un parere tecnico e l’interpretazione di uno statuto, autorizzassero, de iure, la guerra66. Tommaso da Piperata, esiliato poco dopo da Bologna per l’adesione alla fazione ghibellina67, avanza l’interpretazione più ardita; non si limita, come i suoi colleghi, a dichiarare legale l’intervento militare in virtù del testo statutario, ma trasforma la legittimazione in una prescrizione: i funzionari forestieri e le autorità bolognesi avrebbero commesso un atto illecito se non fossero intervenute, perché sarebbero andate contro i doveri loro imposti dallo statuto. Il famoso giurista segue nel suo consilium un ragionamento lineare: dichiara la normativa generale applicabile al caso, legittima l’intervento militare appellandosi al significato tecnico delle espressioni presenti nella rubrica statutaria (inimici capitali, proditores e inimici perfidi), sancisce infine l’obbligo da parte delle autorità comunali di rispettare lo statuto68. La netta posizione politica del giurista si esprime attraverso un metodo scientifico che conferisce legittimità alle pretese della fazione ghibellina bolognese.
55Ad esigenze di legittimità è probabilmente riconducibile anche la forma particolare attraverso la quale si esprimono in questo frangente i giuristi bolognesi. Se, come a Perugia, anche nei verbali dei consigli di Bologna ci si imbatte con notevole frequenza in consultazioni di sapientes iuris, siamo di fronte a una testimonianza diversa, perché i giuristi questa volta non sono membri di una delle usuali balie, ma chiamati ad esprimersi individualmente attraverso responsi del tutto simili ai consilia sapientum processuali. In primo luogo, l’interpretazione dello statuto è messa per iscritto e definita da quasi tutti i giuristi come consilium; inoltre, all’inizio di ciascuna dichiarazione, compare tanto l’invocazione (in Christi nomine amen), quanto la formula classica con cui nel processo il consulente rivendicava la paternità del parere (consilium mei... tale est), elementi che fanno pensare a un intervento ufficiale dei giuristi, che prestano una consulenza politica in forma del tutto simile a quella che fornivano in campo giudiziario69.
L’intervento dei sapientes iuris per la definizione della posizione politica della città a livello regionale e sovraregionale
56Se la condivisione di una cultura e il ruolo di guida e garanti dell’attività degli ufficiali forestieri fanno dei giuristi locali gli interlocutori privilegiati di questi magistrati, il significato dell’intervento politico dei sapientes iuris non si esaurisce in questa funzione, perché alla loro consulenza ricorrono con estrema frequenza anche gli organi politici dei comuni ai quali appartengono. Nonostante le materie delegate ai giuristi varino molto tra una città e l’altra, anche in quest’ambito sono rintracciabili delle costanti, nel senso che esistono dei campi in cui l’esigenza di una consulenza giuridica sembra essere molto avvertita. Questo fenomeno è particolarmente visibile nella sfera dei rapporti tra le città e i poteri sovraregionali. Come si è accennato, si tratta di un fenomeno di lungo periodo, perché è almeno a partire dalla metà del xii secolo che le città intensificano il ricorso al diritto per rivendicare la propria autonomia rispetto al potere imperiale. Nel corso del Duecento, i confronti con l’imperatore e con il papa sono occasioni che generano convocazioni molto vaste di giuristi, tanto da apparire quasi come un campo di loro esclusiva competenza.
57A Siena, che rimane fedele alla causa imperiale per tutta la prima metà del Duecento e anche oltre, i rapporti con Federico II occupano uno spazio considerevole nei dibattiti consiliari. A partire dal 1240, dopo gli insuccessi militari contro Bologna e Milano, l’imperatore aveva intensificato il controllo politico sulla Tuscia, e le frequenti richieste di sostegno indirizzate al comune di Siena alla fine degli anni Quaranta costituiscono una chiara sollecitazione di un intervento politico degli iudices locali. Le ragioni sono molteplici: in primo luogo è probabile che eserciti un’influenza il contatto con la burocrazia sveva, all’interno della quale erano spesso affidati a giudici gli incarichi amministrativi e diplomatici. Gli intensi scambi intrattenuti con il mondo imperiale in questo decennio favoriscono l’idea di una politica gestita da giudici, forse anche per imitazione di un modello che, fin dai tempi di Roncaglia, aveva assegnato agli uomini di legge un ruolo fondamentale nell’elaborazione politica: a metà del xiii secolo, sono invariabilmente iudices gli ambasciatori inviati da parte di Federico II e dei suoi vicari, come anche coloro che compongono le ambascerie senesi ad essi dirette.
58Nel solo mese di ottobre del 1249, quando si fanno particolarmente pressanti le richieste militari ai senesi da parte del vicario imperiale Federico di Antiochia, sono presenti, in tre riunioni diverse del Consiglio cittadino: due giudici di Montefalcone, ambasciatori del capitano generale imperiale per l’area da Amelia a Corneto; uno iudex et assessor inviato da Federico di Antiochia; Federico stesso e un suo giudice. Sebbene i giudici senesi tendano ad intervenire su qualsiasi questione riguardante la politica comunale, i verbali di queste riunioni mostrano chiaramente quanto il loro contributo au-menti nelle discussioni su problemi inerenti ai rapporti tra Siena e l’amministrazione imperiale70.
59Ma non è solo l’imitazione di un modello di burocrazia a sollecitare un intervento dei giudici senesi. Siena è schierata con Federico II, ma deve combattere contro le ingerenze imperiali nella vita istituzionale comunale; attraverso il diritto e l’elaborazione di procedure deve far rispettare le proprie libertà in materia di elezione dei magistrati forestieri, e i diritti acquisiti sull’area che domina. Paolo Cammarosano ha chiarito le forme attraverso le quali si espresse il dominio imperiale sulla Toscana, individuando nella sfera giurisdizionale e negli interventi giudiziari dei rappresentanti federiciani i principali canali utilizzati dalle forze imperiali per attuare un controllo politico sulla regione71. Il frequente ricorso ai tribunali dei vi-cari e la scelta del campo giudiziario come terreno privilegiato per dirimere i conflitti politici contribuì, molto probabilmente, alla valorizzazione delle competenze giuridiche72. Una serie di processi svoltisi negli anni Quaranta davanti al procuratore imperiale Pandolfo di Fasanella mostra come l’uso del diritto romano acquisti, in alcuni frangenti, la funzione politica di legittimare i privilegi cittadini, per conservare, nel caso specifico, i diritti senesi su alcuni castelli, o tutelare gli ordinamenti comunali73.
60Per Perugia e Bologna problemi analoghi si pongono con i pontefici. Nella seconda metà del Duecento, entrambe le città incorrono nella scomunica in conseguenza di un’opposizione da parte papale all’occupazione di cariche o terre nelle rispettive regioni. In queste occasioni, il ricorso ai giuristi diventa fondamentale perché la scomunica stessa si configura come un processo contro le città, che può comportare pesanti riduzioni dei diritti da esse detenuti.
61Perugia viene scomunicata nel 1276 per il mancato pagamento al pontefice del censo di Gubbio, che ammontava complessivamente a trecento libre; erano inoltre oggetto di lite la podesteria di Gualdo e il controllo di alcune terre del comitato di Nocera74. La questione è fonte di profonda preoccupazione per le autorità comunali, e le discussioni in proposito sono attestate nei verbali dei consigli per almeno quattro mesi. In primo luogo, è interessante il fatto che la scomunica, nata da un problema politico tra l’amministrazione pontificia e la città, sia da subito ritenuta materia di competenza dei giuristi. Fin dalla prima riunione in proposito, il Consiglio comunale chiede agli ufficiali forestieri di eleggere a loro arbitrio dei sapientes iuris, che identifichino i diritti di Perugia e i documenti che essa possiede per difendersi; gli ambasciatori avrebbero poi dovuto portare con sé questo materiale, e mostrarlo al papa75. Poiché la delegazione dal pontefice si traduce in un insuccesso, il Consiglio decide in seguito di convocare un numero più vasto di esperti di diritto civile e canonico, specificando che, qualora non fossero stati reputati sufficienti i giuristi perugini, avrebbero dovuto esserne chiamati altri76.
62A trentacinque sapientes iuris viene quindi assegnato il compito di riesaminare l’intero processo e i diritti che Perugia detiene nel comitato di Nocera, per capire se la scomunica è valida; in caso contrario, ossia qualora ritengano quod excomunicatio non tenetur, decidano il da farsi. Nei mesi successivi, i lavori sono portati avanti da una commissione più ristretta, composta inizialmente per metà da esperti di diritto civile e canonico, e per l’altra metà da layci, ma in cui tenderà a prevalere, nel tempo, la componente dei primi. Dai verbali di queste commissioni è possibile vedere come i giuristi apportino allo stesso tempo un contributo tecnico e diplomatico. Da un lato sottolineano costantemente l’importanza dei diritti da studiare, da mettere per iscritto e da far valere, insistendo sul reperimento di documentazione rilevante per la vicenda, e sul valore di prova da essa rivestito77. Dall’altro elaborano una complessa strategia diplomatica che passa per la mobilitazione degli amici di Perugia presenti nella Curia romana, per il reclutamento di cardinali che consiglino e difendano la città, e per offerte vantaggiose al pontefice. Complessivamente, la scomunica stessa si configura come una grande controversia tra il papa e il comune, che ne delega ai giuristi la gestione. Essi devono mostrare la fondatezza o infondatezza giuridica degli argomenti addotti dalla Santa Sede, in modo non molto di-verso da come si comporterebbero in un processo ordinario; lo stesso ruolo dei cardinali da reclutare sembra per certi aspetti essere assimilato a quello di avvocati, visto l’esplicito riferimento al compito di difendere e prestare consilium alla parte che li ha assoldati78.
63Anche a Bologna, l’interdetto pontificio si configura come un’occasione in cui la città fa appello a tutte le risorse giuridiche che possiede. I rapporti con il papa e i suoi delegati costituiscono una sfera che viene automaticamente ritenuta di competenza degli uomini di legge, e benché la città disponga di forze culturali maggiori nel campo del diritto, l’atteggiamento assunto è sostanzialmente analogo a quello descritto per Perugia. Bologna incorre nella scomunica nel 1284 per essersi indebitamente appropriata di alcuni diritti su terre situate nelle vicinanze della località di Medicina. Fin dalle prime proteste del legato pontificio, il Consiglio degli Anziani, che a que-st’epoca costituisce il principale organo politico della città, decide di rivolgersi ai sapientes iuris, affinché difendano i diritti del comune (ius comunis) e stabiliscano se a Bologna spettino o meno i diritti (si ius habet oppure si ius non habet) che le vengono contestati79. La questione viene inizialmente affidata a una commissione di canonisti, il cui compito è quello di affermare, allegare, proteggere, difendere e trattare i diritti di Bologna davanti al cardinale80. Va segnalato che il cospicuo intervento di doctores decretorum in questa vicenda non corrisponde a un impegno diffuso della categoria nella politica comunale. A differenza dei civilisti, che compaiono con estrema frequenza negli organi politici bolognesi tardo-duecenteschi, l’intervento dei canonisti è attestato ma specifico, perché non sembra estendersi a problemi diversi dai rapporti della città con il pontefice.
64Dopo ambascerie non risolutive, la questione della scomunica torna nei consigli comunali, dove questa volta a otto tra i più dotti giuristi di Bologna viene assegnato il compito di mettere per iscritto le proposte avanzate dai consiglieri per risolvere il problema. Le figure messe in campo sono in questo caso davvero de sapientioribus, come attesta la presenza di alcuni dei doctores bolognesi più famosi del periodo, quali Lambertino Ramponi, Francesco d’Accursio ed Egidio di Foscarari81. Più che una sintesi delle proposte avanzate, il documento redatto da questa commissione costituisce un vero e proprio consilium, articolato in nove punti, in cui i giuristi spiegano le mosse necessarie a Bologna per uscire dalla scomunica.
65Come i giuristi perugini, anche quelli bolognesi apportano in primo luogo un contributo tecnico. Essi infatti identificano la causa della scomunica in alcune delibere del Consiglio del Popolo, nelle quali si diceva che il podestà poteva esercitare una iurisdictio plenissima sulle terre contestate. Gli otto giuristi affermano che queste delibere dovevano essere revocate e cassate, e che i magistrati forestieri avrebbero dovuto recarsi personalmente dal cardinale, portando con sé la revoca scritta delle riformagioni incriminate82. Il podestà e il capitano dovevano inoltre dichiarare al rappresentante pontificio che Bologna restituiva alla Chiesa romana la possessio consueta delle terre, senza tuttavia pregiudicare i diritti che la città aveva detenuto su di esse prima dell’usurpazione83. Al fianco di altre proposte, suggeriscono poi la linea diplomatica che il comune avrebbe dovuto adottare: Bologna doveva invitare il legato pontificio per dare un segnale pubblico della distensione dei rapporti, ma, aggiungono, era meglio soprassedere per il momento su un’ambasciata al pontefice, che avrebbe dovuto essere pianificata solo dopo che si fosse raggiunta la pace con il cardinale, servendosi del suo consiglio e del suo aiuto84.
66La questione si protrae per almeno altri due mesi nei consigli comunali, che fanno nuovamente appello a due commissioni di sapientes iuris. Nella seconda, e ultima documentata, del dicembre 1284, ventotto giuristi sono di nuovo chiamati ad esaminare una de-libera consiliare, per capire se alcune parole in essa contenute pregiudichino o meno i diritti di Bologna sulle terre di Medicina85. Diversamente dalle convocazioni precedenti ordinate dai consigli comunali, questa volta è il podestà che convoca i sapientes, ed è probabile che il ricorso ai giuristi sia motivato dal timore che potesse essergli in qualche modo addossata la responsabilità di decisioni che mettevano a repentaglio i diritti cittadini. Di nuovo ai sapientes è richiesto un intervento tecnico, che si esplica nel controllo delle delibere consiliari da un punto di vista giuridico, attraverso un esame dei contenuti e la cancellazione di espressioni inappropriate.
67La scomunica è un evento straordinario nella vita politica di una città, ma quello che avviene a Perugia e a Bologna in queste occasioni sembra essere una traduzione in vasta scala di ciò che si verificava nei quotidiani rapporti intercittadini o regionali. Il ricorso ai giuristi per la definizione di questioni politiche regionali è molto attestato sia a Siena che a Perugia. Gli anni Quaranta-Sessanta del xiii secolo rappresentano per entrambi le città fasi di notevole espansione, e il ricorso al diritto è sollecitato dall’esigenza di rafforzare e garantire le posizioni acquisite. Arbitrati, patti e sottomissioni rappresentano la ragione per cui i giuristi vengono convocati con più frequenza dai consigli comunali.
68Tra il 1249 e il 1255, il podestà e gli organi politici senesi si rivolgono per almeno dodici volte a balie di sapientes iuris, composte in genere da nove iudices, ma che possono giungere fino ai diciassette componenti. Alla base delle consultazioni sono i rapporti politici di Siena con città, comunità o persone particolari della regione, e il ricorso ai giudici risponde all’esigenza di tradurre in un linguaggio giuridico i rapporti di forza tra i poteri in campo. Attraverso la redazione di nuovi patti e trattati, o un esame puntuale di quelli già esistenti, viene loro affidato il compito di formalizzare i nuovi assetti territoriali che si erano andati definendo negli anni precedenti, ratificando le conquiste e facendo rispettare gli accordi stipulati.
69Non solo: talvolta la perizia in campo giuridico sembra essere divenuta parte integrante dell’esercizio di una supremazia politica. Nel 1249, in seguito a una lite con il comune di Colle Val d’Elsa che si era appropriato di terre che Siena sosteneva invece appartenere al proprio comitatus, il Consiglio senese decide di eleggere degli arbitri a cui ciascuna parte avrebbe dovuto mostrare i propri diritti e documenti; una commissione di sapientes iuris stabilisce poi che, nel caso in cui Colle si fosse rifiutata di ottemperare a questa richiesta, due ambasciatori senesi avrebbero dovuto recarsi nella città portando con sé il documento scritto da Siena, e costringendo Colle a redigere il suo86. L’ostentazione di una superiorità culturale è visibile ancora nel 1255, quando, di fronte a delle richieste di Grosseto che Siena reputa contrarie ai patti intercittadini, uno iurisperitus senese è mandato nel Consiglio comunale di questa città a leggere e spiegare i patti, e a chiarire il significato delle clausole sul sale, che erano allora oggetto di discordia87. Nello stesso anno, davanti alle pretese signorili di un nobile della campagna senese, i giudici della città affermano che per il riconoscimento della titolarità dei diritti non era sufficiente rivendicare delle prerogative, ma esisteva una procedura da rispettare, ed era necessaria una documentazione da esibire88. La procedura, complessivamente, riveste un ruolo importante nei responsi dei consulenti, come, nel caso specifico, mostra l’attenzione prestata alla documentazione (instrumenta), ai testimoni (testes) e alla redazione formale di un atto nel quale Ubertinus doveva spiegare la sua pretesa (intentio).
70In modo analogo ragionano in certi frangenti i giudici di Perugia: nel 1277, quando alcuni ambasciatori perugini interpellano il vescovo di Chiusi su delle decime che egli riscuoteva nella località di Casamaiore, il vescovo si dichiara disponibile a mostrare i suoi diritti davanti a un certo giurista perugino, al quale anche Perugia e gli uomini di Casamaiore avrebbero dovuto mostrare i propri. A questa proposta, il Consiglio dei Sapienti di Perugia risponde che la questione doveva essere portata davanti alle autorità politiche perugine, e che sarebbe spettato ai sapientes iuris della città l’esame della documentazione, come anche la designazione, o meno, del giudice indicato dal vescovo89. Negli ultimi decenni del Duecento, la perizia degli arbitri e dei consulenti perugini si afferma a tal punto a livello regionale, che essi non solo intervengono costantemente nella definizione dei rapporti politici che interessano direttamente Perugia, ma vengono chiamati per dirimere le liti tra altre città, comunità, o signori dell’area umbra90.
Il ricorso ai sapientes iuris per la costruzione di un nuovo assetto politico
71Il terzo campo in cui è richiesto l’intervento dei giuristi cittadini è quello della politica interna. Si tratta del campo più controverso nei governi popolari, perché in forme e con intensità diverse, la provenienza aristocratica degli esperti di diritto, o comunque lo schieramento con la parte dei magnati cittadini, costituisce un problema notevole. Tuttavia, questo non implica mai un rifiuto della cultura giuridica da parte dei movimenti di Popolo, principalmente per due ragioni: la prima va identificata in quella funzione fondamentale che comincia ad essere affidata alla scienza giuridica nel xii secolo, quando le città costruiscono la propria identità politica attraverso la progressiva legittimazione del potere di giurisdizione. È a partire da quest’epoca che i giuristi vengono utilizzati in virtù delle competenze che possiedono e in virtù di una funzione che continueranno ad esercitare lungo tutta la storia comunale. In altre parole, non esiste una cultura «popolare» alternativa al diritto, come non esiste un’identificazione aristocratica del diritto, che ne precluda il ricorso a un ceto diverso da quello nobiliare. Il fenomeno a cui assistiamo è anzi opposto: sia a Siena, sia a Perugia, sia a Bologna, l’utilizzazione del diritto è straordinariamente intensa proprio durante i governi di Popolo. Se da una parte questo fenomeno è riconducibile alla stessa esigenza di legittimità che spinge le città a ricorrere alla mediazione giuridica per stabilire la propria posizione nei confronti di poteri esterni, dall’altra esiste una volontà chiara da parte dei governi popolari di costruire un quadro di legalità nuovo all’interno del quale definire lo spazio dell’azione politica. Questo compito è affidato agli esperti di diritto locali, come mostrano le continue convocazioni che li vedono impegnati a tradurre in leggi i cambiamenti che avvengono a livello istituzionale.
72La seconda ragione ha invece a che vedere con il programma politico attuato dai regimi popolari, che trova principalmente espressione nella sfera giudiziaria. Quando il Popolo giunge a un’affermazione istituzionale, la giustizia acquista un significato politico nuovo91. Per fronteggiare infatti la superiorità militare, la solidarietà dei lignaggi, le rivalità familiari, e più in generale l’attaccamento a valori e a comportamenti tradizionali del mondo aristocratico, vengono introdotte delle importanti innovazioni sia in termini di ordine pubblico, che nell’organizzazione della sfera giudiziaria comunale. Complessivamente, il fenomeno diffuso a cui assistiamo è la criminalizzazione di una gamma sempre più vasta di comportamenti, che porta a uno straordinario rafforzamento dei tribunali cittadini.
73A Siena, la giustizia si presenta come una questione centrale già alla vigilia della nascita del Consiglio del Popolo. Nel marzo 1255, nel Consiglio comunale viene presentata una petizione da parte di sei boni homines del Popolo che chiedono di istituire una commissione di quattro boni et legales homines per terzerio (costituita quindi da dodici persone), che indaghi in segreto su coloro che portano armi in città e giocano di giorno o di notte, contravvenendo a quanto prescritto dagli statuti; che questa commissione abbia la facoltà di denunciare e accusare chi commette i reati suddetti, e di condannarli in conformità alle pene stabilite dagli statuti, se le accuse sono sostenute da almeno due membri della commissione92. Il Popolo compare dunque sulla scena istituzionale con uno degli argomenti classici della politica popolare, che attacca i milites attraverso provvedimenti di polizia urbana e la condanna di comportamenti violenti. L’aspetto interessante è che con la proposta di questa commissione si cerchi di escludere i giudici dai compiti giudiziari, dal momento che si prevede di concentrare la facoltà di accusare e di condannare nelle sole mani dei dodici boni homines. Un consigliere interviene apertamente a favore dell’ordinamento proposto, specificando che se qualcuno viene denunciato da almeno due componenti della commissione, può essere condannato sulla loro parola, senza bisogno di esibire altre prove, né di una condanna formale (absque aliam probationem et condempnationes exigant).
74Che si tratti di una denuncia del funzionamento della giustizia comunale è reso evidente da alcune contestazioni, negli anni immediatamente seguenti, di consilia giudiziari forniti dai giudici senesi: nel 1258 il capitano del Popolo di Siena informa il consiglio ristretto dei Ventiquattro che un bandito aveva chiesto il permesso di rientrare in città per rispondere alle accuse mosse contro di lui, ma a ciò si opponeva l’accusatore, su istanza del quale l’uomo era stato condannato. Segue un’accesa discussione tra i consiglieri, uno dei quali propone di chiedere il consilium dei sapientes iuris, che avrebbero dovuto esaminare gli statuti e i documenti relativi al caso, fornendo il loro parere al consiglio dei Ventiquattro. La proposta solleva delle reazioni, e il consiglio si uniforma infine alle posizioni espresse da altri due consiglieri che prospettano soluzioni molto significative: uno sostiene che prima di ricorrere ai giuristi, il capitano, insieme ai consoli della mercanzia e ai rappresentanti del Popolo, avrebbe dovuto cercare di raggiungere la concordia delle parti, e solo qualora fosse fallita questa strada si sarebbe dovuto ricorrere al parere dei sapientes iuris93; l’altro mostra una diffidenza ancor più esplicita, perché afferma che, in caso di ricorso al consilium, i sapientes avrebbero dovuto essere costretti a fornire una consulenza conforme a quanto il capitano e gli altri rappresentanti del Popolo ritenevano giusto su questo caso (et predicti sapientes constringantur per dominum capitanum consulere super dicto facto prout ei et prioribus videbitur)94. Dai verbali successivi, apprendiamo che la mediazione delle autorità popolari non giunge a buon fine, perché quattro giudici forniscono un parere, molto probabilmente assolutorio95.
75Se da una parte il Popolo senese spinge per una giustizia più efficace che garantisca la pace cittadina e colpisca uno stile di vita violento, chiede allo stesso tempo una maggiore tutela giudiziaria per la parte della popolazione che rappresenta. Tale esigenza è comune a molte altre città, e contribuisce alla duplicazione delle magistrature forestiere con la nascita della figura del capitano del Popolo. La superiorità giudiziaria di quest’ultimo, che trova espressione nel potere di annullare le sentenze emesse dai funzionari podestarili, si lega però a Siena a un’altra questione, ossia il diritto a un’assistenza in tribunale per chi non possa permettersi di pagare la consulenza dei giudici cittadini. Nel 1256, in un lungo intervento nel Consiglio del Popolo, un giudice, al quale era stato richiesto di chiarire il significato di una norma degli statuti del Popolo, definisce la struttura e le competenze di una magistratura la cui funzione era quella di assistere due categorie diverse di persone: coloro che intendevano appellarsi, perché reputavano di essere stati condannati ingiustamente dalle sentenze del podestà o di altri ufficiali, e quelli economicamente incapaci di procurarsi giudici ed avvocati che li assistessero96. Il giudice chiarisce inoltre che tre sapientes iuris avrebbero dovuto prestare consulenza sull’ordinamento del giudice del capitano del Popolo97. Queste due diverse attività consulenti, una ai poveri in tribunale, l’altra al capitano del Popolo, si unificano negli anni seguenti: le fonti fiscali senesi testimoniano infatti che entrambi i compiti sono svolti dalla magistratura dei tres iudices de populo, retribuita dal comune e attiva per almeno due anni98.
76Complessivamente, da queste discussioni senesi emergono due aspetti interessanti: in primo luogo il fatto che, per l’esigenza di legalità delle nuove forme di governo che si vanno instaurando a par-tire dalla metà del Duecento, la consulenza dei giuristi continua a rivestire un’importanza estrema. L’intervento del consigliere che, contestando il ricorso al consilium sapientum, propone di costringere i sapientes a dire quello che volevano le autorità popolari, attesta chiaramente il peso che ancora riveste un pronunciamento ufficiale, per ottenere una legittimazione giuridica delle scelte politiche. In seconda istanza, la definizione di una politica giudiziaria è delegata ai giuristi, cosa visibile non solo dal fatto che è un giudice colui che stabilisce poteri e competenze delle magistrature popolari, ma anche dall’istituzione di una commissione stabile di tre giudici che prestino consulenza al capitano. Nonostante i momenti di tensione, la diffidenza diffusa nei confronti della categoria dei sapientes iuris non porta ad esiti stabili, perché si scontra con la costante aspirazione da parte del populus a definire in termini giuridici i cambiamenti.
77In misura più intensa che in altre città, la delega a funzionari esterni costituisce a Perugia la strada per l’applicazione del programma politico popolare99. Tra l’inizio degli anni Sessanta e la fine degli anni Ottanta del Duecento, ci si imbatte in continue autorizzazioni al personale forestiero a procedere su una gamma sempre più vasta di reati e comportamenti, che portano a una dilatazione inedita dell’arbitrium, ossia dello spazio di intervento assegnato al podestà e al capitano del Popolo100. Per questa ragione, sebbene in linea di principio la questione del controllo sull’attività di funzionari esterni accomuni tutte le città dell’Italia centro-settentrionale, in questo contesto assume una rilevanza maggiore e, per certi aspetti, un significato politico diverso. Lo sbilanciamento di poteri verso l’esterno impone infatti l’elaborazione di correttivi agli effetti che un sistema così concepito produceva, tesi a mantenere il controllo della giustizia da parte dei giudici locali e ad attenuare la repressione giudiziaria.
78Una riunione del Consiglio generale di Perugia del 1275 aiuta a mettere a fuoco i termini della questione: la discussione verte su una magistratura locale detta dei sindacatori e degli esaminatori delle sentenze. Da testimonianze della loro attività nelle fonti giudiziarie e dalla descrizione dell’ufficio negli statuti del 1279, risulta chiaro che il compito di questi ufficiali era quello di convalidare o annullare le sentenze emesse dal podestà e dal capitano del Popolo101. Nella riunione suddetta, un consigliere denuncia l’attività svolta da questi ufficiali, esortando al rispetto delle norme statutarie che vietavano l’intervento dei sindacatori su certi reati, e chiedendo che fossero mantenute valide le sentenze emesse da podestà e capitano su malefici debitamente provati; chiariva che in questa categoria rientravano i reati provati per testes, per contumacia dell’accusato e per confessione102. Denunciava, inoltre, le eccezioni che venivano continuamente opposte dai sindacatori i quali, attraverso i consilia di giudici conniventi, si appellavano a vizi di forma relativi alla citazione, o alla procedura, per ottenere l’annullamento delle sentenze103, nonostante il fatto che i malefici fossero stati provati apertamente, o che le citazioni fossero avvenute in modo debito (propter huiusmodi cavillationes pronuntiaverint sententias esse nullas et condempnationes factas cassaverunt, et licet maleficia manifeste probata essent, et citationes in vultu hominum apparerent)104. Accusava i sindacatori da una parte di andare contro quanto stabilito dagli statuti, intromettendosi in condanne per crimini al di fuori delle loro competenze, dall’altra di servirsi di consilia di giudici che si appellavano a cavilli, anziché ricorrere alla consulenza di giudici validi (consilia bonorum iudicum) che avrebbero espresso un’opinione contraria105.
79L’importanza delle parole del consigliere traspare oltre che dalla decisione finale del Consiglio, dal fatto che gli argomenti da lui toc-cati sembrano confluire nello statuto del 1279. La norma statutaria che regola i poteri dei sindacatori delle sentenze prescrive loro di confermare le condanne per i reati accertati nei tre modi ricordati (testes, confessione, contumacia), a prescindere dal fatto che nel processo fossero state osservate tutte le formalità (iuris solemnitates), e nonostante eccezioni, allegazioni e cavilli che, in base al rito processuale, avrebbero dovuto essere allegati e opposti. A scopo di eliminare, presumibilmente, qualsiasi tentativo di corruzione dei giudici, gli statuti ordinavano inoltre ai sindacatori di mantenere segreta l’identità dei sapienti a cui intendevano rivolgersi per avere consilia106.
80Nella ricerca dedicata al sistema giudiziario di Perugia, Massimo Vallerani ha mostrato l’entità che il fenomeno dell’annullamento delle sentenze assume a partire da subito dopo la metà del xiii secolo, richiamando l’attenzione su una seduta del Consiglio perugino del 1266, all’interno della quale podestà e capitano chiedevano di escludere l’intervento dei sindacatori dalle condanne per porto d’armi e gioco d’azzardo da loro emesse107. Questo conferma l’impressione che l’ufficio dei sindacatori delle sentenze possieda a Perugia una rilevanza politica notevole, se consideriamo quanto le armi e il gioco fossero espressione di comportamenti e modelli di vita aristocratici, contro i quali erano diretti i provvedimenti giudiziari popolari. Nel 1275 si ripropone allora un problema già palesatosi nell’amministrazione della giustizia perugina, e l’identificazione del 1274 come anno di eccezionale intervento dei sindacatori sulle sentenze dei magistrati forestieri chiarisce la rilevanza della questione nell’anno successivo108. Colpisce come, accanto al 1274, l’altro anno che si qualifichi come eccezionale per il massiccio intervento dei sindacatori sia il 1260109, ossia l’anno di pubblicazione dei primi ordinamenti popolari di Perugia. Tali elementi autorizzano allora a supporre che, fin dai primi manifesti politici del Popolo, siano presenti le due esigenze opposte che caratterizzeranno la giustizia comunale della seconda parte del Duecento: l’enorme potenziamento dei magistrati forestieri, e la conseguente necessità di introdurre un correttivo dei loro poteri giudiziari. Sia il programma politico che la sua attenuazione trovano espressione nella sfera giudiziaria, da cui si evince l’importanza del ruolo dei giuristi per entrambi i fenomeni. Da questo punto di vista, è esemplare l’intervento del consigliere che nel 1275 denuncia gli iudices conniventi per l’attività di supporto che prestano ai sindacatori, e identifica la soluzione del problema sempre nei giudici, lamentando il mancato ricorso ai consilia di giudici preparati.
81La questione dell’annullamento delle sentenze viene discussa altre volte negli anni successivi, e affrontata a fondo nel 1277. Nel me-se di maggio dello stesso anno, sono convocate quattro commissioni composte dai sedici ai venticinque giuristi, ai quali è richiesto di coordinare norme conflittuali contenute negli statuti del comune e del Popolo, e di sciogliere le contraddizioni tra le decisioni del Consiglio cittadino e gli statuti relative ai poteri dei sindacatori sulle sentenze di bando110. In queste convocazioni ai giuristi è chiaramente delegata la funzione di tradurre in un linguaggio giuridico e in uno schema razionale le scelte politiche dei governi popolari. Si tratta di un compito assolto attraverso quell’attività che Mario Sbriccoli ha identificato come qualificante del giurista comunale, ossia l’interpretazione dello statuto111. I giuristi perugini svolgono infatti in questo caso la funzione di chiarire, interpretare, e in certi momenti esplicitamente produrre la normativa comunale, attraverso un processo che prende avvio dallo statuto, nel senso che le convocazioni hanno come oggetto il coordinamento tra norme in conflitto e la chiarificazione del significato di certi capitoli, e che torna allo statuto, perché le loro decisioni assumono potere normativo ed entrano nel testo statutario. È quanto avviene in particolare nella terza seduta dei giuristi perugini del maggio 1277, quando essi riscrivono le norme statutarie sull’annullamento delle sentenze di bando, che definiscono, già a partire dall’ultimo punto trattato nella discussione, come statutum112.
82La correlazione tra potenziamento giudiziario dei magistrati forestieri ed esigenza di un controllo sulle sentenze si intensifica negli anni Ottanta del Duecento. Nel 1283, quando Perugia si trova coinvolta da più di un anno nello scontro con Foligno ed è di conseguenza assillata da problemi di rifornimento alimentare dal contado, le autorità popolari emanano una serie di provvedimenti in materia, stabilendo che: il capitano del Popolo e i suoi ufficiali dovevano avere piena giurisdizione di fare inquisizioni pubbliche e segrete, e di punire chi fosse andato contro i provvedimenti sul grano e sul contado, a prescindere dal rispetto della procedura e dei capitoli degli statuti del comune e del Popolo113. Il capitano poteva procedere a sua discrezione su reati debitamente provati, semi-provati o non provati affatto, e le sue decisioni non sarebbero state sottoposte al sindacato. Infine, veniva fatto espresso divieto ai sindacatori di Perugia di intrommettersi in queste condanne, nonostante i poteri loro conferiti dagli statuti, che d’ora in poi dovevano essere considerati nulli114.
83Benché si tratti di provvedimenti varati in un momento eccezionale, vediamo qui adottare delle soluzioni estreme a problemi che erano stati ampiamenti discussi da più di un decennio. La stretta del Popolo sulle istituzioni perugine si traduce, a livello giudiziario, nella dilatazione massima dell’arbitrium degli ufficiali forestieri, attraverso il conferimento di poteri straordinari al capitano del Popolo su una categoria definita di reati. Alla luce delle discussioni precedenti, risulta chiaro quanto l’indifferenza nei confronti degli strumenti probatori e la prescrizione di non osservare le iuris solemnitates siano argomenti in polemica con l’attività svolta a livello locale dai sindacatori e dai giudici consulenti, che congiuntamente riuscivano ad annullare buona parte delle sentenze emesse dagli ufficiali forestieri. Sembra essere, allora, in forte continuità con questi eventi l’istituzione a Perugia della magistratura del Giudice sgravatore, terza figura forestiera, a cui, a partire dal 1286, o poco prima, è assegnato il preciso compito di convalidare o annullare le sentenze emesse dal podestà e dal capitano del Popolo115.
84Da un bilancio sommario dell’attività svolta da questo giudice per circa un anno (gennaio-novembre 1287), è possibile vedere come egli annulli poco più della metà delle sentenze che gli vengono sottoposte116. Nei casi in cui l’annullamento venga giustificato, ricorrono con particolare frequenza due motivazioni: l’assenza di prove e i vizi di forma del processo, tra i quali il più diffuso è la mancata osservanza delle regole della citazione. Complessivamente, le sentenze sembrano quindi essere annullate attraverso quelle che il consigliere del 1275 aveva definito cavillationes, quando denunciava i consilia assolutori dei giudici perugini.
85Se per uscire dalla attività faziosa dei giudici si arriva ad autorizzare l’esercizio di una giustizia sommaria, l’aumento del potere del capitano comporta, ancora una volta, l’esigenza di un correttivo sulla sua attività; l’istituzione di una terza magistratura forestiera sembra dunque costituire la risposta alla connotazione politica che aveva assunto l’ufficio dei sindacatori e l’attività dei giudici locali. Il Giudice sgravatore, di fatto, non agisce in modo molto diverso, ma anzi, per certi aspetti, rappresenta l’istituzionalizzazione del ricorso in appello sulle sentenze del podestà e del capitano del Popolo.
86La lettura politica di questi fenomeni non si presta a facili semplificazioni: se la repressione giudiziaria rappresenta uno strumento di lotta fondamentale dei governi popolari, e i giudici locali, in quanto esponenti dei milites, vi si oppongono anche per ragioni politiche, il ricorso ai giudici cittadini come correttivo dell’attività svolta da funzionari forestieri ha un significato più vasto, perché è diventato parte integrante del funzionamento di un nuovo sistema politico. Il fatto che i giudici annullino, o mitighino, le sentenze, ossia che il loro intervento nei processi sia spesso assolutorio, è comune anche a Bologna, dove Vallerani ha illustrato la frequenza con cui, negli anni Ottanta del Duecento, l’intervento di un sapiens nel processo comporti di fatto l’assoluzione dell’imputato117. È possibile che la scarsa applicazione degli ordinamenti popolari da parte dei giudici sia determinata, in entrambi i contesti, oltre che da ragioni politiche anche da un’identità professionale, che comporta una reazione allo stravolgimento del sistema giudiziario e una resistenza a capovolgere un sistema che ha delle regole, che sono state elaborate e sulle quali si è ragionato per più di un secolo118. La tendenza assolutoria prevalente non solo nei consilia dei giudici locali, ma anche, a Perugia, nell’attività del Giudice sgravatore forestiero, o, a Bologna, nei processi condotti in genere dai giudici del podestà e del capitano, mostra quanto la condivisione di una cultura prevalga sull’applicazione di regole eccezionali. In questo senso, il diritto non costituisce solo uno strumento ideologico che fornisce motivazioni dotte a moventi politici, ma possiede ancora una forte funzione regolatrice di una società e di istituzioni informate da principi giuridici romanistici o da regole consuetudinarie mediate attraverso la scienza romanistica.
87Nella fase più cruenta della storia comunale, quando dilagano i conflitti tra città e città, tra guelfi e ghibellini, tra milites e populus, divengono indubbiamente di casa nei tribunali comunali procedimenti sommari, deroghe alle garanzie e condanne politiche. Ciò nonostante, l’esame del contributo apportato dai giuristi sia sul piano giudiziario, che su quello politico, spinge a vedere la seconda metà del Duecento non solo come la fase delle epurazioni politiche, della tortura giudiziaria e più in generale della deviazione degli strumenti processuali, ma anche come un’epoca segnata da una profonda esigenza di agire in base a regole formalizzate, e un laboratorio di esperimenti istituzionali, nell’ideazione dei quali furono largamente protagonisti gli esperti di diritto.
Notes de bas de page
1 L’intervento politico dei giuristi in queste tre realtà è al centro del libro da me pubblicato Giuristi e politica nei Comuni di Popolo. Siena, Perugia e Bologna, tre governi a confronto, Roma, 2006, cui rimando per un aggiornamento delle questioni trattate in questo articolo.
2 E. Cortese, Intorno agli antichi iudices toscani e ai caratteri di un ceto medievale, in Studi in memoria di Domenico Barillaro, Milano, 1982, p. 5-38. Il concetto di ceto è al centro degli interessi dell’autore anche in altri due saggi degli stessi anni: cfr. Id., Scienza di giudici e scienza di professori tra xii e xiii secolo, in Legge, giudici, giuristi (Cagliari, 18-21 maggio 1981), Milano, 1982, p. 93-148; Id., Legisti, canonisti e feudisti: la formazione di un ceto medievale, in Università e società nei secoli xii-xvi (Pistoia, 20-25 settembre 1979), Pistoia, 1982, p. 195-282, poi rielaborati e pubblicati come monografia: Id., Il Rinascimento giuridico medievale, Roma, 1992.
3 Le ricerche di Peter Classen sono incentrate sui collegi consolari di Milano e di Pisa, mentre quelle di Johannes Fried si concentrano principalmente sulla prima fase podestarile a Bologna e a Modena. Cfr. P. Classen, Studium und Gesellschaft im Mittelalter, Stoccarda, 1983 (Schriften der M.G.H., 29), con particolare riferimento alla sezione Richterstand und Rechtswissenschaft in italienischen Kommunen des 12. Jahrhunderts, p. 27-126. J. Fried, Die Entstehung des Juristenstandes im 12. Jahrhundert. Zur sozialen Stellung und politischen Bedeutung gelehrter Juristen in Bologna und Modena, Colinia, 1974.
4 Su questo problema, ha richiamato l’attenzione A. Padoa Schioppa, Sul ruolo dei giuristi nell’età del diritto comune: un problema aperto, in Il diritto comune e la tradizione giuridica europea. Atti del convegno di studi in onore di G. Er-mini (Perugia, 30-31 ottobre 1976), Perugia, 1980, p. 153-166.
5 La provenienza sociale dei giuristi è stata soprattutto studiata come parte della storia dei ceti dirigenti comunali: per Padova, cfr. in generale J. K. Hyde, Padova nell’età di Dante, Manchester, 1966 (trad. it. Trieste, 1985); riflessioni importanti sono contenute in S. Bortolami, Fra «Alte Domus» e «Populares Homines»: il comune di Padova e il suo sviluppo prima di Ezzelino, in Storia e cultura a Padova nell’età di S. Antonio. Convegno internazionale di studi (Padova, 1-4 ottobre 1981), Padova, 1985; per il rilievo che la cultura giuridica sembra assumere a Padova per la sopravvivenza e il successo di famiglie aristocratiche in decadenza nella prima metà del xiii secolo, cfr. T. Pesenti Marangon, Università, giudici e notai a Padova nei primi anni del dominio ezzeliniano (1237-1241), in Quaderni per la storia dell’Università di Padova, 12, 1979, p. 1-61. Per Pisa, parallelamente alle ricerche citate di P. Classen sul rapporto tra giuristi e istituzioni nella seconda parte del xii secolo, cfr. M. Ronzani, I «giurisperiti» e il Comune di Pisa nell’età delle sperimentazioni istituzionali (1190-1254), in Legislazione e prassi istituzionale a Pisa (secoli xi-xiii). Una tradizione normativa esemplare, Napoli, 2001, p. 201-240. Per Firenze, riflessioni retrospettive relative alla fine del xiii secolo e la prima metà del xiv sono contenute in L. Martines, Lawyers and Statecraft in Renaissance Florence, Princeton, 1968, p. 40-61. Per Lucca nel xii secolo, cfr. C. Wickham, Legge, pratiche e conflitti. Tribunali e risoluzione delle dispute nella Toscana del xii secolo, Roma, 2000, p. 105-113. Per Milano, accanto ancora alle ricerche di P. Classen per il xii secolo, è stata recentemente prestata attenzione all’argomento da P. Grillo, Milano in età comunale (1183-1276). Istituzioni, società, economia, Spoleto, 2001, p. 267-270, 407-429. Considerazioni sulla provenienza sociale dei giudici nella realtà laziale di Tivoli sono state espresse da S. Carocci, Tivoli nel Basso Medioevo. Società cittadina ed economia agraria, Roma, 1988, p. 53-61.
6 C. Wickham, Legge, pratiche e conflitti..., p. 111.
7 E. Cortese, Il diritto nella storia medievale. II. Il Basso Medioevo, Roma, 1995, p. 116-143.
8 P. Classen, Studium und Gesellschaft... cit. n. 3, p. 45-68.
9 Per uno sguardo complessivo sui cambiamenti che si verificano nell’ambito dei ceti dirigenti urbani tra il xii secolo e i primi decenni del xiii, cfr. P. Cammarosano, Élites sociales et institutions politiques des villes libres en Italie de la fin du xiie au début du xive siècle, in Les Élites urbaines au Moyen Âge, Roma, 1997, p. 193-200, e Id., Il ricambio e l’evoluzione dei ceti dirigenti nel corso del xiii secolo in Magnati e popolani nell’Italia comunale (Pistoia, 15-18 maggio 1995), Pistoia, 1997, p. 17-40.
10 Queste tesi sono espresse da Jean-Claude Maire Vigueur principalmente in: Justice et politique dans l’Italie communale de la seconde moitié du xiiie siècle: l’exemple de Pérouse, in Académie des inscriptions et belles lettres. Comptes rendus, 1986, p. 312-330; Id., Il comune popolare, in Società e istituzioni nell’Italia comunale: l’esempio di Perugia (secoli xii-xiv), Perugia, 1988, p. 41-56; Id., Gli iudices nelle città comunali: identità culturale ed esperienze politiche, in A. Paravicini Bagliani e P. Toubert (a cura di), Federico II e le città italiane, Palermo, 1994, p. 161-176.
11 N. Wandruszka, Die Oberschichten Bolognas und ihre Rolle während der Ausbildung der Kommune (12. und 13. Jahrhundert), Francoforte, 1993, p. 181-185, attraverso l’esame di nuovi dati prosopografici e delle liste dei possessori di servi del 1256, mostra come il numero di giuristi provenienti da famiglie aristocratiche sia maggiore rispetto a quanto sostenuto da Fried.
12 Cfr. J. Fried, Die Entstehung des Juristenstandes... cit. n. 3, in particolare, p. 81-85 e 116-117.
13 Cfr. infra, p.206 e s.
14 Il fenomeno è chiaramente visibile a partire dal primo registro conservato di riformagioni del Consiglio della Campana del 1248-1249: Archivio di Stato di Siena [d’ora in avanti: «ASS»], Deliberazioni, Consiglio generale 1 (1248, dicembre 3-1249, dicembre 30: deliberazioni del Consiglio generale della Campana al tempo del podestà Bernardino Foschi di Faenza). Per la descrizione di questo e dei seguenti volumi delle delibere a cui farò riferimento, cfr. Archivio del Consiglio Generale del Comune di Siena. Inventario, Roma 1952, Pubblicazioni degli Archivi di Stato, IX, Archivio di Stato di Siena, p. 1 e s.
15 Cfr. i contributi di J. L. Bonnaud, E. Isenmann e I. Paquay in questo volume.
16 Oltre al contributo in questo volume, il tema del rapporto tra giuristi dotti, università e amministrazione delle città tedesche, è ampiamente trattato da E. Isenmann in Gesetzgebung und Gesetzgebungsrecht spätmittelalterlicher deutscher Städte, Berlino, 2001 (Zeitschrift für historische Forschung, 28).
17 ASS, Deliberazioni, Consiglio generale 6, in cui sono riportate le prime delibere del Consiglio del popolo del 1256, e quelle prodotte dallo stesso Consiglio nei due anni successivi. Alle delibere del Consiglio del popolo sono inframmezzate quelle del Consiglio dei Ventiquattro.
18 Ibidem, fol. 171v. Sul Consiglio dei Ventiquattro e l’affermazione politica del popolo senese, cfr. P. Cammarosano, Tradizione documentaria e storia cittadina. Introduzione al Caleffo Vecchio del Comune di Siena, Siena 1988; V. Crescenzi, Note critiche sul codice Statuti 1 dell’Archivio di Stato di Siena, in Archivio storico italiano, CXLVIII, 1990, p. 511-579; U. G. Mondolfo, Il populus a Siena nella vita della città e nel governo del comune fino alla riforma antimagnatizia del 1277, Genova, 1911; Id., Le cause e le vicende della politica del comune di Siena nel secolo xiii, Siena, 1904.
19 Cfr. ASS, Deliberazioni, Consiglio generale 6, fol. 171v, l’intervento nella discussione di Orlandus Renaldi.
20 La presenza alla guida del popolo di Ranieri Pagliaresi al fianco di Provenzan Salvani, portava L. Zdekauer (Dissertazione sugli statuti del Comune di Siena, introduzione a Il Constituto del Comune di Siena dell’anno 1262, Milano, 1897, p. lxxvi, nota 3) a parlare di un legame privilegiato tra i giudici e il popolo senese. Le riformagioni del 1255 e del 1256 mostrano invece un rapporto estremamente conflittuale tra populus e iudices, e la posizione politica delle figure citate non è esemplificativa di una posizione filo-popolare dei giudici, ma della scelta di schieramento di alcune famiglie aristocratiche senesi.
21 Sui rapporti politici tra componente notarile e governi di popolo, cfr., in particolare, per Bologna G. Tamba, Una corporazione per il potere. Il notariato a Bologna in età comunale, Bologna, 1998, p. 35-38 e 299-324; M. Giansante, Retorica e politica nel Duecento. I notai bolognesi e l’ideologia comunale, Roma, 1999, per Perugia S. Merli, Un notaio e il popolo. Notizie su Bovicello Vitelli, cancelliere duecentesco del Comune di Perugia, in Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo, 101, p. 199-303.
22 Per la storia del movimento di popolo di Perugia, cfr. J. P. Grundman, The popolo at Perugia. 1139-1309, Perugia, 1992.
23 Questa affermazione si basa su uno spoglio delle delibere dei consigli perugini tra il 1275 e il 1285, e in particolare sullo studio della composizione di un Consiglio detto Consilium sapientum de credentia, la cui esistenza è attestata a balzi tra il 1276 e il 1285 in Archivio di Stato di Perugia [d’ora in avanti: «ASP»], Riformanze 8, Riformanze 5, fascicolo 11, Riformanze 5, fascicolo 6. Per la composizione e la funzione di questo Consiglio, vedi sotto alla nota 61. Sull’allontanamento degli esperti di diritto dal governo comunale di Perugia negli anni Ottanta e Novanta del Duecento, cfr. J. P. Grundman, The popolo at Perugia...
24 Si tratta delle sedute del 4 e 12 agosto, conservate in ASP, Riformanze 5, fascicolo 10, rispettivamente: fol. 117-118 e 122-123. Su di esse ha richiamato l’attenzione A. Bartoli Langeli, Scrivere lo statuto, in Statuto del comune di Perugia del 1279, a cura di S. Caprioli, Perugia, 1996, II, p. 71-99, 80-81.
25 ASP, Riformanze 5, fascicolo 10, 123. A una decisione analoga era giunto il Consiglio del popolo nel 1262: cfr. U. Nicolini, Reformationes comunis Perusii quae extant anni MCCLXII, Perugia, 1969, p. 39-43.
26 Per il primo caso, cfr. ASS, Deliberazioni, Consiglio generale 6, fol. 83v-84, dove si dice che Dominus Ciampolus Ranieri Uliveri iudex lecto capitulo populi in dicto consilio [...] petito a dictis vicariis consilio super declaratione dicti capituli etc. (per il contenuto del consilium che il giudice fornisce nel Consiglio, vedi sot-to al § 2.3. Il ricorso ai sapientes iuris per la costruzione di un nuovo assetto politico); per il secondo caso, cfr. la discussione del 1258 edita da V. Crescenzi, Note critiche sul codice Statuti 1... cit. n. 18, p. 542-544, in cui il Consiglio del popolo critica il lavoro di una commissione addetta alla revisione dello Statuto del popolo, e, uniformandosi alla proposta di un notaio, decide che il significato di una certa rubrica deve declarari per dictum consilium [populi].
27 Cfr. Archivio di Stato di Bologna [d’ora in avanti: ASB], Governo, Riformagioni e provigioni, Serie cartacea, Registro 2, fol. 46. La commissione dei cento esponenti popolari decide: quod dictum instrumentum sindicatus [...] et protestatio debeant legi in consilio VIIIc et Populi in quo consilio interesse debeant sapientes iuris canonici et civilis qui fuerunt die veneris [...] ad dictandum predictum instrumentum et protestationem; et unus dictorum sapientum surgere debeat in dicto consilio et dicere et declarare ipso consilio formam dicti sindicatus et protestationem et causas ac capitula etc.
28 Cfr. S. R. Blanshei, Criminal Justice in Medieval Perugia and Bologna, in Law and History Review, I, 1983, p. 251-275, p. 271. La stessa posizione è stata recentemente accolta da P. Jones, The Italian City-State. From Commune to Signoria, Oxford, 1997, p. 508.
29 Cfr. J. P. Grundman, The popolo at Perugia... cit. n. 22, Ap. III, p. 389: Et intelligatur quilibet de popullo esse ad penas et banna imposita popullaribus, exceptis militibus, eorum filiis, iudicibus et notariis.
30 Tale impressione si ricava in primo luogo dagli statuti, dove i notai appaiono in più di un’occasione spingere verso una revisione degli Ordinamenti Sacrati del 1282. Gli statuti (Statuti di Bologna del 1288, a cura di G. Fasoli e P. Sella, Città del Vaticano, 1937-1939, p. 423-427) ci informano infatti che: nel 1283 tre notai di spicco avevano presentato la prima modifica agli Ordinamenti Sacrati, e nel 1284 i consules societatis Notariorum avevano partecipato alla redazione della riforma della legge sulle accuse, perno della nuova politica giudiziaria pro-posta dagli Ordinamenti popolari del 1282. Inoltre, sappiamo che alcuni notai, tra i quali il massimo rappresentante della corporazione, partecipano, nel 1287, a un complotto contro gli Ordinamenti antimagnatizi. Per quest’ultima informazione, cfr. G. Milani, Bologna’s two Exclusions, in corso di stampa.
31 Cfr. ASB, Governo, Riformagioni e provigioni, Serie cartacea, 1282-1400. Registro 4, fol. 16v.
32 Ibidem: Consilium Populi et Masse fecit [...] capitaneus Populi Bononie [...] in quo [...] consilio [...], de voluntate antianorum et consulum, dixit et proposuit infrascripta: in primis quid placet consilio Masse Populi facere et providere super infrascripta petitione, tenor cuius talis est: «Suplicant vobis domino capitaneo, antianis et consulibus Populi Bononie iudices civitatis Bononie, qui fuerunt et sunt quaxi omnes filii vel fratres vel nepotes hominum societatum Populi Bononie, quod cum hoc sit quod propter munus quod redunt ad gabellam et ad datium vini et in campo merchati et specialiter propter potestarias de bandiera comitatus Bononie officia de Palatio quaxi ad nichil sunt deducta et quaxi nichil lucrantur propter causas predictas, que officia pro maiori parte [...] exercentur per iudices de Populo Bononie qui sunt de societate Artium vel Armorum Populi Bononie, quod placeat vobis ponere ad consilium Populi Bononie et in eo reformari facere quod omnes iudices de Populo et de civitate Bononie, qui nunc sunt vel in futurum erint in officiis comunis vel Populi Bononie, durantibus eorum officiis possint advochare, patrocynari et consilia dare et recipere [...] concionari et consulere in consilio comunis Bononie non obstante quod sint officiales comunis Bononie. Ita quod propter hoc boni et literati iudices per hoc initient ad recipienda officia et exercenda, salvo quod aliquis officialis civitatis Bononie non possit dare consilium alicui officiali comunis unus alterum stando in officio et operando dictum officium [...]».
33 Statuti di Bologna del 1288..., I, p. 62, rubrica X.
34 Per un esame di altre testimonianze in questo senso, rinvio al mio libro Giuristi e politica nei Comuni di Popolo... cit. n. 1, p. 293-306.
35 C. Wickham, Legge, pratiche e conflitti... cit. n. 5, p. 206.
36 P. Classen, Studium und Gesellschaft... cit. n. 3, p. 68-88; C. Storti Storchi, Intorno ai Costituti pisani della legge e dell’uso (secolo xii), Napoli, 1998.
37 C. Wickham, Legge, pratiche e conflitti... cit. n. 5, p. 204-206.
38 C. Storti Storchi, Intorno ai Costituti pisani..., p. 14-17, 62-68, 137-143, con particolare riferimento alla p. 64, dove l’autrice afferma che: «Il iudicium legis, con la disciplina delle materie ad esso afferrenti, costituiva la contropartita che la città era disposta ad offrire all’impero in cambio dell’autonomia giurisdizionale nelle materie dell’uso».
39 P. Classen, Studium und Gesellschaft... cit. n. 3, p. 45-68. Cfr. anche il paragone tra le esperienze consolari bolognese, milanese e pisana avanzato da N. Wandruszka, Die Oberschichten Bolognas... cit. n. 11, p. 66-67.
40 Cfr. E. Cortese, Il diritto nella storia medievale, II. Il Basso Medioevo... cit. n. 7, p. 266-267; J. Fried, Die Entstehung des Juristenstandes... cit. n. 3, p. 156, e la recensione di Cortese al libro di Fried, ora in Scritti, a cura di I. Birocchi e U. Petronio, Spoleto, 1999, II, p. 1437-1444; A. Bartoli Langeli, Notariato, documentazione e coscienza comunale, in Federico II e le città italiane... cit. n. 10, p. 264-277, alla p. 274.
41 Cfr. E. Occhipinti, Podestà «da Milano» e «a Milano» fra xii e xiv secolo, e le riflessioni di J.-C. Maire Vigueur, Flussi, circuiti e profili, in J.-C. Maire Vigueur (cura di), I podestà dell’Italia comunale. Parte I. Reclutamento e circolazione degli ufficiali forestieri (fine xii sec.-metà xiv sec.), Roma, 2000, rispettivamente, I, p. 47-73, e II, p. 897-1099.
42 J.-C. Maire Vigueur, Flussi, circuiti e profili..., p. 1012-1018.
43 J. Fried, Die Entstehung des Juristenstandes... cit. n. 3, p. 80-87, 115-120. Sull’attività dei giuristi bolognesi, in particolare del ristretto consilium dei Quattro Dottori nell’arco della prima e lunga podesteria di Guido da Sasso, cfr. anche R. Ferrara, La scuola per la città: ideologie, modelli e prassi tra governo consolare e regime podestarile (Bologna, secoli xii-xiii), in Civiltà Comunale: Libro, scrittura, documento (Atti del Convegno, Genova 8-11 novembre 1988), Genova, 1989, p. 593-647.
44 Sull’esistenza di un Breve dell’arte dei giudici e notai già dal 1238, cfr. L. Zdekauer, Dissertazione sugli statuti del Comune di Siena... cit. n. 20, p. liiii; l’autore ha identificato nelle rubriche del Costituto del 1262, II, 132-142, quelle che originariamente formavano il Breve. Il primo vero e proprio statuto dell’arte dei giudici e notai conservato è dei primi anni del 1300, ed è riprodotto nell’edizione di G. Catoni, Statuti senesi dell’arte dei giudici e notai del secolo xiv, Roma, 1972. Per un paragone tra questo statuto ed esemplari analoghi conservati per altre realtà comunali, cfr. U. Meyer Holz, Collegia Iudicum. Über die Form sozialer Gruppenbildung durch die gelehrten Berufsjuristen im Oberitalien des späten Mittelalters, mit einem Vergleich zu Collegia Doctorum Iuris, Baden-Baden, 1989.
45 L. Zdekauer, Dissertazione sugli statuti del Comune di Siena... cit. n. 20, p. lii-liiii.
46 Fino all’inizio degli anni Ottanta del Duecento, in cui sono documentate le prime forme di insegnamento giuridico, è ignoto quale sia lo studio universitario in cui si formavano gli esperti di diritto perugini, sempre qualora, esclusi i doctores, rimandino rigidamente a una formazione universitaria i titoli di iudex, iurisperitus e sapiens iuris, con cui essi sono definiti.
47 Tuttavia a Siena è riscontrabile una maggiore oscillazione nell’uso dei titoli professionali, nel senso che le stesse persone compaiono qualificate in certi casi sia come giudici, che come notai. L’incertezza riguarda comunque un numero esiguo di casi. Per alcune considerazioni sull«intervento politico di notai e giudici senesi, cfr. U. Morandi, Il notaio all’origine del comune medioevale senese, in Il notariato nella civiltà toscana, Roma, 1985, p. 311-336. Sulle forme di insegnamento accademico a Siena nel Duecento, cfr. P. Nardi, Comune, impero e papato alle origini dell’insegnamento universitario in Siena (1240-1275), in Bullettino senese di Storia Patria, XC, 1983, p. 50-94, alle p. 67-71. L’autore ricostruisce anche le carriere di alcuni giudici senesi di spicco, tra i quali desta particolare interesse la figura del doctor legum Pepone, professore di diritto a Siena e molto attivo nei consigli cittadini alla fine degli anni Quaranta. Per la storia dello studio senese vedi anche P. Nardi, Maestri e scolari: alle origini dello studio, in R. Barzanti, G. Catoni e M. De Gregorio (a cura di), Storia di Siena. I. Dalle origini alla fine della Repubblica, Siena, 1995, p. 141-154; Id., Le origini dello studio senese, in Studi senesi, CIV (III serie, XLI), fascicolo 2, 1992, p. 284-303; Id., L’insegnamento superiore a Siena nei secoli xi-xiv. Tentativi e realizzazioni dalle origini alla fondazione dello studio generale, Milano, 1996; G. Minnucci, Professori e scolari giuristi nello studio di Siena dalle origini alla fine del xv secolo, in L’Università di Siena, 750 anni di storia, Siena, 1991; G. Prunai, Lo studio senese dalla «migratio» bolognese alla fondazione della «domus Sapientiae» (1321-1408), in Bullettino senese di Storia Patria, LVII (serie III, anno ix), 1950, p. 3-54.
48 Oltre al classico lavoro di G. Rossi, Consilium Sapientis Iudiciale. Studi e ricerche per la storia del processo romano-canonico. I. (secoli xii-xiii), Milano, 1958, per un panorama delle ricerche dedicate all’argomento negli ultimi decenni, cfr. I. Baumgärtner (a cura di), Consilia im späten Mittelalter. Zum historischen Aussagewert einer Quellengattung, Sigmaringen, 1995, e il recente saggio di M. Ascheri, Le fonti e la flessibilità del diritto comune: il paradosso del consilium sapientis, in M. Ascheri, I. Baumgärtner e J. Kirshner (cura di), Legal Consulting in the Civil Law Tradition, Berkeley, 1999, p. 11-53.
49 Per Bologna: M. Vallerani, I processi accusatori a Bologna fra Due e Trecento, in Società e Storia, 78, 1997, p. 741-788; per Milano: A. Padoa Schioppa, La giustizia milanese nella prima età viscontea (1277-1300), in Ius Mediolani. Studi di storia del diritto milanese offerti dagli allievi a Giulio Vismara, Milano 1996; per Perugia: M. Vallerani, Pace e processo nel sistema giudiziario del comune di Perugia, in Quaderni storici, 101, 1999, p. 315-353, con particolare riferimento alle p. 339-341, e C. Cutini, Giudici e giustizia a Perugia nel secolo xiii, in Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria, 83, 1986, p. 67-110; per S. Gimignano, con ampia discussione della pratica toscana, M. Chiantini, Il Consilium Sapientis nel processo del secolo xiii. S. Gimignano 1246-1312, Siena, 1996.
50 Parziale eccezione è il caso di S. Gimignano, dove i consilia venivano richiesti anche a giudici di altre città toscane; cfr. tuttavia la frequenza con cui si faceva ricorso alla consulenza di giudici locali, che, in base alle notizie biografiche fornite dalla Chiantini (Il Consilium Sapientis nel processo del secolo xiii..., p. lxxxii-xc e p. 3-5) costituiscono almeno il 25 % degli estensori dei consilia della raccolta sangimignanese; il dato è verosimilmente inferiore al numero effettivo, data l’assenza, in molti casi, di notizie sui consulenti. Per alcuni spunti comparativi che offre la prassi giudiziaria sangimignanese con altre realtà comunali, rimando alla mia recensione al libro della Chiantini, in Initium, 4, 1999, p. 739-746.
51 A. Padoa Schioppa, La giustizia milanese nella prima età viscontea, cit., p. 24-25, e Id., Aspetti della giustizia milanese dal x al xii secolo, in Atti dell’xi Congresso internazionale di studi sull’Alto Medioevo (Milano 26-30 ottore 1987), Spoleto, 1989, p. 459-549.
52 Sulla funzione del sindacato, cfr. V. Crescenzi, Il sindacato degli ufficiali nei comuni medievali italiani, in L’educazione giuridica. IV. Il pubblico funzionario: modelli storici e comparativi, Perugia, 1981, 1. Profili storici: la tradizione italiana, p. 383-529.
53 ASP, Riformanze 8, 2v-3r: die dominica v. ianuarii. Congregatis infradictis sapientibus iuris in caminata domini potestatis [...]. In quo consilio predictus do-minus potestas proposuit quod statuta Populi mutata sunt et [...] sunt contraria et diversa aliorum statutorum super quibus iuravit et in quibus pena est diminuta vel addita, et super consilium petivit si ea que de novo facta sunt debent per eum et eius familiam observari vel alia, et <si> contra iuramenta eorum <venire> si novissima observarent.
54 Ibidem.
55 ASP, Riformanze 8, 136r: Congregatis infrascriptis sapientibus iuris electis per consules ad providendum litteram missam a domino Papa super provisione facienda pro cena Domini et si ipsa littera potest poni ad consilium sine pena et sacramento et si posset comuni Perusii servitutem aliquam generare.
56 Ibidem. Per un esame del dibattito in campo dottinario sulla materia delle servitù, cfr. E. Conte, Servi medievali. Dinamiche del diritto comune, Roma, 1996, p.124 es.
57 ASP, Riformanze 8, fol. 148.
58 La rilevanza che Perugia sembra attribuire alla cultura giuridica nella scelta di alcuni magistrati forestieri a partire all’incirca dalla metà degli anni Sessanta del Duecento è stata recentemente sottolineata da C. Cutini e S. Balzani, Podestà e capitani del popolo a Perugia e da Perugia (1199-1350), in I podestà dell’Italia comunale... cit. n. 41, II, p. 693-739.
59 L’ambiente delle curie forestiere come spazio politico-intellettuale e terre-no di scambio di competenze professionali è stato valorizzato da E. Artifoni, Retorica e organizzazione del linguaggio politico nel Duecento italiano, in P. Cammarosano (a cura di), Le forme della propaganda politica nel Due e nel Trecento, Roma, 1994, p. 157-182.
60 Statuto del comune di Perugia... cit. n. 24, cap. 89, p. 109.
61 L’attività di questo Consiglio è attestata per gli anni 1276, 1277, 1283 e 1285. Si tratta di un Consiglio dalla fisionomia molto fluida, che sembra costituire una sorta di istituzionalizzazione delle balie di sapientes, a cui i Consigli comunali o gli ufficiali forestieri delegano l’esame di questioni specifiche. La frequente presenza dell’elenco dei consiglieri consente di verificare il grado di intervento dei sapientes iuris. La loro attività si concentra particolarmente negli anni 1276 e 1277, per i quali sono testimoniate quindici sedute da essi esclusivamente composte, che oscillano tra i quattro e i trentacinque giuristi. Nelle restanti sedute del Consiglio, la percentuale dei giuristi si aggira intorno al 50 % nel 1276 (anno per il quale sono conservati i verbali di quarantatré sedute tenutesi tra gennaio e aprile, che in diciannove casi includono l’elenco dei partecipanti), e intorno al 30 % nel 1277 (per il quale sono conservati i verbali di quarantacinque sedute tenutesi tra gennaio e giugno, che in quarantadue casi includono l’elenco). I dati sono stati elaborati attraverso lo spoglio del volume ASP, Riformanze 8.
62 L’ambiguità del termine consilium è stata recentemente oggetto di riflessioni da parte di Enrico Artifoni, che ha mostrato come nell’opera composta nel 1246 dal giudice Albertano da Brescia avvenga una contaminazione tra il significato di consilium inteso come assemblea, e quello di consilium inteso come pare-re. Cfr. E. Artifoni, Prudenza del consigliare. L’educazione del cittadino nel Liber consolationis et consilii di Albertano da Brescia, in C. Casagrande, C. Crisciani, S. Vecchio (a cura di), Consilium. Teorie e pratiche del consigliare nella cultura medievale [Atti del convegno di Pavia, 14-16 dicembre 2000], Firenze, 2004, p. 195-216.
63 I primi due consilia menzionati sono conservati in ASP, Giudiziario, Busta 4 (1277-1278), registro 1, fol. 13; gli altri due in un registro di sententiae et pronunciationes, ASP, Giudiziario, Busta 4 (1277-1278), registro 4, fol. 1v.
64 Questi consilia sono stati pubblicati senza data da Gaudenzi, in appendice all’edizione degli Ordinamenti Sacrati e Sacratissimi (Statuti del popolo di Bologna del secolo xiii. Gli Ordinamenti Sacrati e Sacratissimi colle Riformagioni da loro occasionate e dipendenti, a cura di A. Gaudenzi, Bologna, 1888. Appendice B, Consigli e Questioni di dottori bolognesi relative agli statuti della città). Sono stati successivamente segnalati da G. Fasoli e P. Sella come frammento statutario (Statuti di Bologna del 1288... cit. n. 30, I, in Appendice), ed erroneamente datati al 1271. Il registro delle delibere consiliari degli Anziani all’interno del quale sono conservati, ASB, Governo, Provvigioni dei Consigli Minori (1248-1337), I, fol. 35, mostra che i consilia sono stati registrati tra la riunione dell’11 febbraio e quella del 16 febbraio 1272.
65 Per una ricostruzione dettagliata di questi eventi, cfr. A. Hessel, Storia della città di Bologna dal 1116 al 1280, Bologna, 1975 (trad. it. di Geschichte der Stadt Bologna von 1116 bis 1280, Berlino, 1910), p. 257-267. Per le lotte di fazione bolognesi e il bando dei Lambertazzi, cfr. G. Milani, Il governo delle liste nel comune di Bologna. Premesse e genesi di un libro di proscrizione duecentesco, in Rivista storica italiana, 108, 1996, p. 149-229, e Id., Dalla ritorsione al controllo. Elaborazione ed applicazione del programma antighibellino a Bologna alla fine del Duecento, in Quaderni storici, 94, 1997, p. 43-74.
66 I giuristi interpellati sono: Federico (dalle Scale?), Guglielmo de Terrafoculi, Nicola de Tencarariis, Alberto d’Odofredo legum doctor, Rolando de Romanzi legum doctor, Nicola de Zovenzoni, Bonromeus legum doctor, probabilmente identificabile con il Bonromeus Boniacobi de Dugliolo legum doctor attivo negli stessi anni, e Tommaso da Piperata legum doctor.
67 Per una breve rassegna di giuristi celebri che si impegnarono o prestarono la loro consulenza nelle lotte di fazione, cfr. M. Sbriccoli, L’interpretazione dello statuto. Contributo allo studio della funzione dei giuristi nell’età comunale, Milano, 1969, p. 60-61, con particolare riferimento a Tommaso da Piperata (p. 61, in nota), esiliato per l’adesione alla parte lambertazza.
68 Statuti del popolo di Bologna..., Appendice B: Ego Tomax Peverati legum doctor dictum statutum ibi ubi dicitur in fine «quod comune et populus Bononie illam civitatem vel illas debeat tenere pro capitalibus inimicis, et tamquam proditores et inimicos perfidos comunis et populi Bononie persequi debeat et tractare et ad destructionem eorum et malum intendere toto posse» sic intelligo: scilicet faciendo eis guerram per se et alios et dando licentiam singulariter et generaliter voce preconia omnibus volentibus eis guerram facere, et favendo et annuendo volentibus eis guerram facere tam in capitaneo quam in locis competentibus habendis in quibus possint se redducere in comitatu Bononie et in Fregnano, ut volentibus eis facere guerram melius videbitur, et omnie aliud faciendo quod ex hominis coscientia et industria melius potest percipi quam scriptura vel hore exprimi. Et si non fiant predicta, intelligo dominum potestatem, dominum capitanum, antianos et consules dictum ordinamentum non servare.
69 Cfr., ibidem, i consilia in particolare di Guglielmo de Terrafoculi, Nicola de Tencarariis, Alberto d’Odofredo legum doctor, Rolando de Romanzi legum doctor.
70 Cfr. ASS, Deliberazioni, Consiglio generale 1, fol. 68, 70, 71v, 72, che riportano le riunioni in cui sono presenti le ambascerie imperiali, le cui richieste vengono discusse in particolare da: dominus Arigerius Ugolini iudex, dominus Paganellus iudex, dominus Uguccius Meçolombardi iudex, dominus Gratianus iudex. Per l’intervento politico dei giudici in questi anni, alcuni dati sono forniti da U. Morandi, Il notaio al l«origine del comune medioevale senese... cit. n. 47.
71 P. Cammarosano, La Toscana nella politica di Federico II, in A. Esch e N. Kamp (a cura di), Friedrich II. Tagung des deutschen historischen Instituts in Rom im Gedenkjahr 1994, Tubinga, 1996, p. 363-380.
72 Per l’amministrazione della giustizia da parte dei vicari imperiali nell’area senese fino al 1251, cfr. J. Ficker, Forschungen zur Reichs- und Rechtsgeschichte Italiens. IV, Innsbruck 1874, rist. anast. Aalen, 1961, doc. n. 369, 371, 374-376, 385-389, 396, 407, 414, 416-417.
73 Cfr. P. Nardi, Comune, impero e papato alle origini dell’insegnamento... cit. n. 47, p. 50-94. Sulle cause degli anni Quaranta e l’utilizzazione del diritto romano con i rappresentanti del potere imperiale, vedi anche F. Schneider, Toskanische Studien. Urkunden zur Rechtsgeschichte von 1000 bis 1268, 1910-1913, rist. anastatica Aalen, 1974, p. 191-202, e i documenti editi nelle p. successive.
74 Al contenzioso accenna D. Waley, The Papal State in the Thirteenth Century, Londra, 1961, p. 187 e s.
75 ASP, Riformanze fol. 8, 6v: (...) item quod potestas et capitaneus et consules elligant (...) illos sapientes iuris quos eis videbitur expedire, cum quibus curare et invenire debeant omnia iura et instrumenta que habemus pro defendendis nostris terris et iuribus que habemus in comitatu et districtu Nucerii, et pro aliis nostris iuribus (...) defendendis coram domino papa et eius cardinalibus; item quod ipsi ambaxatores qui ibunt pro ipsa absolutione portare debeant omnia iura secum et ea ostendere domino papa et cardinalibus, et auditis omnibus illius questionis (...) defendere debeant (...) iura nostra.
76 ASP, Riformanze fol. 8, 10v: (...) placuit omnibus nemine discrepante quod habeantur homines sapientes iuris et canonici qui videre debeant excomunicationem predictam et processus factum contra excomunicationem illam, et qui videre debeant omnia iura et instrumenta que habemus in comitatu Nucerii, ita quod si excomunicatio non tenetur quod fiat id quod videbitur sapientibus faciendum; et si non sufficerent sapientes quos habemus inquiratur de aliis et habeantur.
77 I verbali di queste commissioni si trovano in ASP, Riformanze 8, distribuiti tra le fol. 11-20v.
78 Cfr. ibidem, fol. 12, dove una commissione decide: quod debeant acquiri sex cardinales in curia cum nostra pecunia qui debeant esse nostri defensores (...); acquisitis dictis defensoribus in curia debeat recipi ab eisdem consilium quod habeamus facere in dicto negotio hostendendo et dicendo sibi omnia jura nostra et vias per quam melius exire valeamus de ipsa excomunicatione.
79 I primi scontri con il legato papale si verificano apparentemente nell’agosto del 1284 (cfr. ASB, Governo, Riformagioni e provigioni, Serie cartacea, Registro 2, fol. 19v), quando il legato presenta delle richieste su un non meglio specificato factum muri, espressione che rimanda forse a una fortificazione indebita da parte dei bolognesi. La questione si chiarisce nelle sedute successive, al centro delle quali è posto il problema delle terre di Medicina.
80 Ibidem, fol. 20v: su proposta di Bonicontrus doctor decretorum il Consiglio perviene alla seguente decisione: In reformatio cuius congregationis placuit omnibus nemine discrepante quod per dominos vicarios vocantur doctores decretorum civitatis Bononie et ex parte domini potestatis, capitanei et comunis Bononie requirantur quod eis placeat videre super facto ecclesie, facendo ipsos iurare quod omni hodio, amore, timore remoto jura comunis Bononie debeant dicere et allegare, protegere et deffendere et cum domino legato tractare (...) pro honore comunis Bononie.
81 Gli otto giuristi sono: Lambertinus Ramponis doctor legum, Bonincontrus doctor decretorum, Franciscus domini Accursi doctor legum, Nicolaus de Tebaldis sapiens iuris, Egidius de Foscarariis doctor decretorum, Albertus domini Odofredi doctor legum, Basacomater de Basacomatribus doctor legum, Franciscus de Artemisiis.
82 ASB, Governo, Riformagioni e provigioni, Serie cartacea, Registro 2, 40v-41v: In nomine Christi amen. Hec sunt ea que provisa sunt per infrascriptos octo sapientes asumptos per antianos et consules secundum reformationem consilii ducentorum sapientum quibus fuit atributa potestas per reformationem consilii Populi scripta manu Iohannis [...] notarii antianorum et consulum Populi supradicti de presenti mense octobri. In primis videtur dictis octo sapientibus, diligenti deliberatione inter eos habita, quod reformatio seu reformationes facta et facte per Populum Bononie super apprehendenda possessione terre Medicine, et officialibus quibuscumque ponendis ad regiminem predicte terre, et quod potestas Bononie ire debeat ad terram Medicine et in ipsa nomine comunis Bononie iurisdictionem plenissimam exercere, et omnia alia que continentur in dicta reformatione [...] revocari debeant et tolli totaliter [...]. Item quod ad dominum Cardinalem ire debeant dominus potestas et dominus capitaneus et specialiter ex eo quia speciales processus videntur esse facti contra eos per dictum dominum Cardinalem, et debeant associari secundum quod videbitur eis et antianis et consulibus; et quod per predictos dominos et ambaxatores exponantur omnia et singula coram ipso domino Cardinali ad reconcilliationem presentis negotii et [...] coram eo proponatur quod comune et Populus Bononie revocaverunt reformationes factas de presenti mense octubri super facto Medicine in totum et perinde dictas reformationes habeant et intelligant at si facte non essent, et quod predictam revocationem predicti domini secum porta-re debeant.
83 Ibidem: Item quod Populus et comune Bononie revocaverunt officiales destinatos per comune Bononie ad terram predictam ita quod Romana Ecclesia et predictus dominus Cardinalis possessionem consuetam et quam habere solebat habere et recipere potest, remotis processibus omnibus factis per comune Bononie in preiuditium predictorum, non preiudicando per hoc comuni Bononie in eo iure quod habebat in terra predicta ante aprehensionem predictam.
84 Ibidem.
85 ASB, Governo, Riformagioni e provigioni, Serie cartacea, Registro 2, fol. 52v: Dominus potestas fecit congregari sapientes iuris quorum nomina inferius sunt descripta super providendo verba reformationis (...) que incipiunt «salvo jure etc.» si preiudicant iura comunis Bononie nec ne, quod habet in terra Medicine.
86 ASS, Deliberazioni, Consiglio generale 1, 57v; il Consiglio della Campana di Siena si uniforma alla proposta di un giudice che suggerisce la risposta da fornire agli ambasciatori di Colle Val d’Elsa: dominus Vesconte iudex consuluit dicens quod respondeatur dictis ambasciatoribus quod si ipsi volunt eligere arbitros pro eorum parte, nos sumus parati eligere arbitros [...] ad hoc omnis materia schandali tollatur; qui arbitri habeant unum sapientem iuris qui cognoscat de iure utriusque partis et quod debeat ita fieri instrumentum, et si hoc facere noluerint dic quod mittantur duo ambasciatores apud Collem, qui portent dictum instrumentum [...] et faciant [...] fieri instrumentum et id quod retulerunt redeatur in Consilio.
87 Nel gennaio 1255 i grossetani presentano nel Consiglio della Campana delle richieste, attraverso le quali cercano di ridimensionare i diritti di Siena sull’estrazione e il trasporto del sale. Il Consiglio delega la questione ai consoli della mercanzia e a sei boni homines, che a loro volta eleggono una commissione composta da nove giudici; l’operato della commissione di iudices viene poi sottoposto al Consiglio della Campana, che si uniforma al seguente intervento: dominus Bernardinus Albis consuluit dicens quod mittatur apud Grossetum duo ambasciatores boni quorum unus sit iurisperitus qui sapientes proponant in ipso consilio omnia que continentur in contractu facto inter nos et eos et omnia que ipsum comune facere tenetur ex forma contractus et quod ipsi per se studeant ut comune Grosseti permittat extrahi de sale sicut consuevit (ASS, Deliberazioni, Consiglio generale 4, fol. 13). Per i rapporti tra Siena e Grosseto, cfr. S. Collavini, Honorabilis domus et spetiosissimus comitatus. Gli Aldobrandeschi da «conti» a «principi territoriali» (secoli ix-xiii), Pisa, 1998, p. 382-396 e 483-493; P. Cammarosano e V. Passeri, Città borghi e castelli dell’area senese-grossetana. Repertorio delle strutture fortificate dal Medioevo alla caduta della Repubblica senese, Siena, 1984, p. 79-81.
88 La questione nasce dalla proposta di Ubertinus de Rigomagno di vendere a Siena i suoi diritti su questa terra; Siena non gli riconosce tuttavia alcun diritto su Rigomagno, ma teme che una sottrazione della signoria a Ubertinus possa implicare la rottura del trattato di pace con Firenze, con la quale Siena intratteneva in questo anno buoni rapporti. La questione è delegata a dieci giudici, che affermano (ASS, Deliberazioni, Consiglio generale 4, fol. 15v): Omnes sapientes iuris sunt in concordia cum domino Gratiano predicto consulente, visis articulis pacis, quod dominus Sinibaldus iudex [giudice del podestà assente] dicat Ubertino predicto quod si ipse habet privilegium aliquod vel (...) instrumenta de facto Rigomagni, quod ea ostendat; et si ostenderit dominus Sinibaldus videat ea cum sapientibus (...) et si non ostenderit instrumenta et vellet probare aliquid per testes, petatur a dicto Ubertino ut ipse det intentionem suam de hiis que intendit probare et recepta dicta intentione idem iudex videat ipsam intentionem cum sapientibus (...), et si per intentionem videant quod contineatur aliquid quod sit contra tenorem pacis, fiat ita per ipsum dominum Sinibaldum quod non veniamus contra formam pacis. Di seguito a questa decisione, è riportata l’azione del giudice del podestà e la risposta del signore alle richieste dei giudici di Siena: dominus Sinibaldus, exequendo formam dicti consilii, quesivit a dicto Ubertino ut ostenderet si habet aliqua instrumenta vel privilegia de Rigomagno; Ubertinus risponde: quod nolebat ostendere quia non habebat; dixit tamen quod habebat privilegium (...) sed nolebat ostendere quia non videbatur sibi quod comune Senensis vellet intendere ad faciendum compram, et dixit quod fama erat publica per contratam quod terra erat sua.
89 ASP, Riformanze 8, fol. 125v-126.
90 Cfr. J. P. Grundman, The popolo at Perugia... cit. n. 22, p. 160-162.
91 La centralità della giustizia nella politica del popolo di Perugia è stata oggetto di approfonditi studi da parte di Grundman, che ha illustrato le importanti novità che si verificano in campo giudiziario tra la metà del Duecento e i primi decenni del secolo successivo: J. P. Grundman, The popolo at Perugia... cit. n. 22.
92 ASS, Deliberazioni, Consiglio generale 4, fol. 33.
93 Il ricorso ai consules della Mercanzia per questioni giudiziarie è testimoniato altre volte nei dibattiti consiliari senesi della metà del Duecento e sembra costituire una manifestazione embrionale del fenomeno descritto da Mario Ascheri per i primi decenni del Trecento, quando la Mercanzia giunge ad avere una vera e propria corte dei mercanti, competente, in teoria, solo sulle cause mercantili, ma, di fatto, su una gamma assai più vasta di questioni. Cfr. M. Ascheri, Giustizia ordinaria, giustizia di mercanti e la Mercanzia di Siena nel Tre-Quattrocento, in Id., Tribunali, giuristi e istituzioni dal Medioevo all’età moderna, Bologna, 1989, p. 23-54; Id., Istituzioni politiche, mercanti e Mercanzie: qualche considerazione dal caso di Siena (secoli xiv-xvi), in C. Mozzarelli (a cura di), Economia e corporazioni: il governo degli interessi nella storia di Italia dal Medioevo all’età contemporanea, Milano, 1988, p. 40-55.
94 Cfr. rispettivamente gli interventi di Ranierus Cictadini e di Orlandus Ranaldi nella discussione del Consiglio dei Ventiquattro: ASS, Deliberazioni, Consiglio generale 6, fol. 166v.
95 Il parere dei giudici non è registrato, ma è stato fornito perché il contenu-to è oggetto di discussione tra i consiglieri; gli interventi sembrano alludere al fatto che il consilium dei giudici autorizzasse il rientro del bandito. Cfr. ASS, Deliberazioni, Consiglio generale 6, fol. 168.
96 ASS, Deliberazioni, Consiglio generale 6, fol. 83v-84: Dominus Ciampolus Ranieri Uliveri iudex lecto capitulo populi in dicto consilio quod loquitur de tribus iudicibus eligendis secundum formam constituti populi predicti pro gravatis et iniuste condempnatis a potestate vel ab aliis officialibus et etiam pro impotentibus qui comode iudices vel advocatos habere non possent iusta formam dicti capituli et petito a dictis vicariis consilio super declaratione dicti capituli et etiam super illis qui volunt in lucem testes et probationes novas et acta facere coram capitano et coram eis super condempnationibus de eis factis a domino Rufino olim Senensi pote-state de mense decembris proximo preterito (...) de aliquo de civitate vel comitatu Senensis, consuluit: super hiis et aliis que in dicta imposita continentur quod si quis gravatus vel condempnatus vel impotens vult sive volunt ad tres iudices electos pro populo (...) recurrere hoc facere possit (...), sed si ipse gravatus vel condempnatus vel impotens volunt habere de aliis iudicibus et advocatis de civitate Senensi et non dictos tres iudices vel aliquem ex eis possit hoc facere et habere ad suam voluntatem pro salario quod ei dederit vel statuerit (...).
97 Ibidem: Et pro facto imposito de ordinamento et breve dicti domini Russi iudicis (...) consuluit et dixit: quod dominus Russus iudex dictus habeat breve et ordinamentum quod pro populo Senensi factum fuit pro domino Oddolino olim iudice populi [giudice del capitano precedente], et habeat illos tres sapientes iuris qui electi sunt pro populo et ostendat eis dictum breve et ordinamentum et sicut eis tribus iudicibus placuerit facere addere et minuere ita faciant et facere possint et id quod super isto facto per tres factum fuerit vel statutum reducatur et loquatur ad istud consilium (...) et Deo concedente capietur de hoc facto quod esset melius pro populo; et si dicti tres iudices haberi non possint habeantur duos adminus.
98 Nell’ottobre del 1258, i libri di Biccherna attestano infatti il pagamento di dodici lire a testa a Iacoppo, Dietavive, e Gratiano iudices, positis ad consulendum dominum capitanum et ad defendendum pauperes et impotentes non valentes habere iudices pro eorum iuribus defendendis secundum formam constituti Populi. Cfr. L. Zdekauer, Dissertazione sugli statuti del Comune di Siena... cit. n. 20, p. lxxxvi, nota 3.
99 Sulla presenza di questo elemento fin dai primi Ordinamenti popolari perugini del 1260, cfr. J. P. Grundman. The popolo at Perugia... cit. n. 22, p. 109-110, 390. Sull’aumento di competenze del personale forestiero in relazione alla repressione giudiziaria a Perugia, cfr. S. R. Blanshei, Criminal Justice in Medieval Perugia and Bologna... cit. n. 28, con particolare riferimento alla p. 255. Per alcune considerazioni sul programma politico del popolo di Perugia, cfr. J.-C. Maire Vigueur, Il comune popolare... cit. n.10, p.48 es.
100 La definizione di un margine di intervento sempre più vasto nella normativa comunale è stato oggetto dell’indagine di M. Meccarelli, Arbitrium. Un aspetto sistematico degli ordinamenti giuridici in età di diritto comune, Milano, 1998. Cfr. anche il recente contributo di M. Vallerani, Il potere inquisitorio del podestà. Limiti e definizioni nella prassi bolognese di fine Duecento, in G. Barone, L. Capo e S. Gasparri (a cura di), Studi in onore di Girolamo Arnaldi, Roma, 2001, p. 379-417.
101 Cfr. Statuto del comune di Perugia... cit. n. 24, p. 150-153, cap. 134: De electione sindicorum communis Perusii et de salario eorundem; et qualiter eorum officium exerceant.
102 ASP, Riformanze 2, 122v-123v: dominus Blaçardus dixit et consuluit quod forma omnium statutorum Communis que continentur de offitio sindicorum, et que vetant dictis sindicis et examinatoribus ne se intromittant de ceteris criminibus cognominatis in dictis statutis, serventur in totum ita quod non possint ledi, et nec dicti sindici de predictis criminibus seu condempnationibus faciendis per predictos dominos tpotestatem et capitaneum [...] se intromittant [...], sed condempnationes [...] valeant et teneant si maleficia sunt bene probata, et cuiuscumque generis probatum sit, vel per testes, vel per contumaciam eius per quam habetur pro confesso, vel per confessionem, propter que dicte condempnationes fient.
103 Ibidem: etiam non obstantibus aliquibus exceptionibus que actenus opposite sint, maxime quod dici posset quod citationes facte de illis qui condempnabuntur [...] per predictos facte non erant solempniter et iuris ordine non servato; seu quod dictum est [...] quod processus cognitionum dictorum maleficiorum non fuit servatus, videlicet quia iudex non interfuerit receptioni testium, vel quia tabellio foras exierat pro malleficio inquirendo, vel quia alias impeditus non poterat superesse, seu aliis solempnitatibus [...] omissis.
104 Ibidem.
105 Ibidem: seu in consilio petendo sepe iudicibus qui talem consulebant ut dictum est et omictendo consilia bonorum iudicum qui contrarium volebant dicere ut dicebatur.
106 Statuto del comune di Perugia... cit. n. 24, p. 150-153, cap. 134. La rilevanza di questo ufficio è testimoniata anche dalle numerose e contradditorie norme che negli statuti ne regolano l’intervento; esemplari sembrano essere le parole del capitolo 134, che affermano: et ad hoc ut cesset et tollatur contrarietas et diversitas que reperiretur in voluminibus statutorum in multis capitulis in quibus habetur mentio de iurisdictione sindicorum tollenda vel concedenda, statuimus... etc.
107 Cfr. M. Vallerani, Il sistema giudiziario del Comune di Perugia: conflitti, reati e processi nella seconda metà del xiii secolo, Perugia, 1991, p. 13.
108 Le condanne del podestà annullate nel 1274 sono 70 su 247 (ibidem).
109 Le condanne annullate nel 1260 sono 50 su 200 (ibidem).
110 Cfr. in particolare la seduta del 22 maggio 1277, in ASP, Riformanze 8, fol. 154v: die sabbati xxii intrnate maio: suprascriptis sapientibus iuris (...) requisitis et vocatis (...) dominus potestas volente domino capitaneo predicto proposuit coram eis infrascripta et super hiis sibi exhiberi consilium postulavit. Primo lectis in presentia ipsorum statutis comunis quod est sub rubrica «qualiter exbanniti et condemnati actenus intelligantur etc.», incipientis «vir nemo in civitate Perusii de non observata sibi iustitia etc.», et etiam capitulo statutis comunis existente sub rubrica «qualiter potestas et capitaneus non faciant aliquem exbanniri vel condemnari ultra penam malefitii etc.», qui incipit «Idem dicimus quod omnes illi qui erunt pro maleficiis exbanniti etc.», et lectis propositionibus et reformatione super dicto statuto et intelecto et declaratione ipsius statutis loquentis de bannitis et condemnatis certo modo rebanniendis factis in consilio generali comunis Perusii in MCCLXXVII indictio V. die iovis XX intrante maio, quomodo et qualiter procedendum et faciendum sit in predictis in dictis statutis propositionibus et reformationibus contentis secundum dictam reformationem declaretur dicant et consulant sapientes.
111 M. Sbriccoli, L’interpretazione dello statuto... cit. n. 67.
112 Si tratta della seduta citata del 22 maggio 1277.
113 ASP, Riformanze 5, fascicolo 11, fol. 145v-146: Item quod in omnibus et singulis suprascriptis capitulis dominus capitanus per se et quemlibet de sua familia habeat plenam jurisdictionem potestatem et bayliam et plenam jurisdictionem inquirendi pallam vel secrete, et suo puro et mero officio capitulis inquisitioni porectis et non porectis, iuris et capitulorum comunis et populi Perusii solempnitate qualibet pretermissis, contra omnes et singulos qui contra predicta capitula vel aliquid predictorum fecerit per se vel per alium seu contrafacentes doanam Blave in civitate vel comitatu Perusii seu contra aliquid membrum aliquorum vel alicuius dictorum capitulorum.
114 Ibidem: intelligendo in omnibus predictis et singulis plenam probationem et etiam semiplenam et vacuam secundum quod dominus capitaneus voluerit interpretari ita et taliter quod sindici comunis Perusii de condempnationibus que faceret occasio aliqua predictarum per ipsum dominum capitaneum vel eius consensu vel suorum iudicum alicuius de qua fiat mentio in aliquo dictorum capitulorum nullam cognitionem habeant nec se possint intromictere ullomodo non obstantibus aliquibus capitulis in contratium factis editis vel loquentibus que sunt in totum autoritate presentis reformationis vana et cassa; et quicquid dominus capitaneus et sui officiales omnes et singuli fecerint, dixerint, decreverint, ordinaverint, providerint, pronuntiaverint (...) sententiaverint, condempnaverint, et exercuerint in predictis et quolibet predictorum et occasio aliqua predictorum qualitercumque et quocumque modo intelligatur bene et legiptime et secundum formam iuris et statutorum (...) fecisse, etiam faciendo ultra vel preter ipsa statuta vel ordinamenta vel (...) obmictendo in omnibus et per omnia (...), nec proinde possint sindacari, impediri vel vexari modo aliquo vel ingenio vel pretextu non obstante aliquo capitulo constituti comunis que omnia et singula auctoritate presentis consilii sint (...) cassa.
115 Sulla figura del Giudice Sgravatore, cfr. C. Cutini, Giudici e giustizia a Perugia nel secolo xiii... cit. n. 49; C. Cutini e S. Balzani, Podestà e capitani del popolo a Perugia e da Perugia... cit. n. 58, p. 714-715; J. P. Grundman, The popolo at Perugia... cit. n. 22, p. 181 e s. L’interpretazione che Grundman avanzava del significato politico di questa magistratura non sembra tuttavia esaurire la funzione da essa svolta negli anni Ottanta del Duecento. Secondo lo studioso americano, l’istituzione di questa carica rispose alle esigenze di maggiore tutela giudiziaria del popolo minuto. Se questa idea in certa misura è corretta, nel senso che il Giudice sgravatore nasce in un momento in cui cambiano gli equilibri politici all’interno del movimento popolare, i problemi che vediamo emergere tra l’83 e l’86 sono più complessi. La necessità di una terza magistratura forestiera sembra infatti essere determinata non solo dalle esigenze di tutela del popolo, ma anche dalla connotazione politica che aveva assunto l’ufficio dei sindacatori e l’attività dei giudici locali. Grundman è tuttavia interessato alla figura del Giudice sgravatore negli anni Novanta del Duecento, quando la magistratura compare sotto il nuovo nome di «giudice di giustizia» e aumenta di importanza perché le viene affidato l’importante compito di sindacare sui consoli delle arti. Alcune considerazioni sull’attività del capitano e del Giudice sgravatore in questi anni sono state avanzate da M. Vallerani, Pace e processo nel sistema giudiziario del comune di Perugia... cit. n. 49, p. 342-343.
116 ASP, Giudiziario, Giudice sgravatore 1A (1287-1289), fascicolo 2. Al termi ne del fascicolo in cui è riportata l’attività del Giudice sgravatore del 1287, il notaio traccia il seguente bilancio: le sentenze per le quali sia stato presentato ricorso al Giudice sgravatore sono 171; 56 sono state annullate, e specifica che in 15 casi l’annullamento è motivato dal fatto che il condannato era clericus, e non poteva di conseguenza essere giudicato dai tribunali comunali; 35 sentenze erano state cassate; 79 sentenze erano state confermate. Il notaio è impreciso, perchè afferma che le sentenze sulle quali è intervenuto il giudice sono 171, ma la somma delle cifre che poi fornisce corrisponde a 170; in base al conteggio da me effettuato le sentenze sottoposte al giudice nel 1287 sono 181. È possibile tuttavia che il calcolo del notaio si avvicini alla cifra reale, perché su alcune sentenze il Giudice sgravatore dichiara di non avere competenze. Una verifica esatta è resa difficile dal danneggiamento di alcune carte del registro, ma, con qualche cautela, le cifre possono essere ritenute vicine alle proporzioni reali. Il Giudice sgravatore annulla quindi il 54 % delle condanne che gli vengono sottoposte nel 1287, ma il notaio calcola come confermate anche le sentenze convalidate in parte, ossia i casi in cui il giudice diminuisce (generalmente di metà) la pena. L’intervento assolutorio è quindi più vasto delle cifre da lui riportate.
117 M. Vallerani, I processi accusatori a Bologna fra Due e Trecento... cit. n. 49, e Id., Il potere inquisitorio del podestà... cit. n. 100.
118 Si vedano le recenti osservazioni di Mario Ascheri riguardo all’importanza attribuita dai giuristi alla legalità del processo: M. Ascheri, Il processo civile tra diritto comune e diritto locale: da questioni preliminari al caso della giustizia estense, in Quaderni storici, 101/2, 1999, p. 355-388.
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