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«Per allevare li giovani nel timor di Dio e nelle lettere»

Arti performative, educazione e controllo al Collegio Nazareno di Roma nel primo Seicento

p. 167-186

Résumés

Nello sterminato panorama della storia delle arti performative fiorenti nella Roma barocca, il teatro e lo spettacolo nel contesto dei collegi rivestono un’importanza non secondaria, non solo per i loro esiti rappresentativi – spesso per nulla inferiori agli allestimenti dei teatri e dei palazzi nobiliari – ma soprattutto per il ruolo che ricoprirono, a partire dalla regolamentazione nella Ratio studiorum gesuitica, nell’educazione morale e culturale degli allievi. Questo studio intende presentare un primo frammento della ricerca sui documenti dell’Archivio del Collegio Nazareno, finalizzata al recupero della storia materiale delle arti performative ivi praticate. Attraverso l’esame di fonti contabili e normative che disciplinavano il cerimoniale di feste, accademie e comedie, si proporrà una riflessione sul rapporto tra teatro e meccanismi di controllo cui il collegio era sottoposto.

In the vast landscape of the history of the performing arts in baroque Rome, theatre and other entertainments in the context of the colleges take on primary importance, not only for the quality of the results – often at the level of productions in theatres and noble palaces – but above all for the role they played, beginning with the regulations in the Jesuit Ratio studiorum, in the moral and cultural education of college students. This study presents a preliminary section of a larger research project based on the documents from the archive of the Collegio Nazareno, aiming at reconstructing the material history of the performing arts’ practice in the college. Through an examination of accounting records and regulations regarding the ceremonial protocol for celebrations, academic gatherings, and comedie (theatrical performances), the essay proposes a reflection on the relationship between theatre and the mechanisms of control governing the college.

Entrées d’index

Keywords : Performing arts, school theatre, pedagogy, Piarists, Collegio Nazareno, Rome

Parole chiave : arti performative, teatro di collegio, pedagogia, scolopi, Collegio Nazareno, Roma

Note de l’auteur

Questo studio è un primo risultato del progetto di ricerca individuale svolto nell’ambito di PerformArt, dedicato a Mecenatismo, teatro e spettacolo nei collegi romani in età barocca. Desidero ringraziare l’archivista Marco Cavietti per il prezioso e costante supporto nella fase dello spoglio documentale, e fratel Gerardo Vicente Leyva Bohórquez Sch. P. e il dott. Sante De Croce, responsabili dell’Archivio del Collegio Nazareno, per la piena disponibilità accordataci, e per la loro instancabile dedizione alla cura del fondo librario antico.


Texte intégral

1Nel giugno del 1623 padre Giuseppe della Madre di Dio, alias Giuseppe Calasanzio (1557-1648), fondatore dell’ordine dei Chierici regolari poveri della Madre di Dio delle Scuole pie,1 da Roma scriveva a Frascati al confratello Giovan Pietro Cananea per rammentare il suo divieto agli scolari degli istituti di formazione gestiti dagli scolopi di «recitar in comedie publiche» e in «altre cose da recitarsi in palco» senza il suo esplicito consenso.2 Le motivazioni che adduceva a fondamento di una tale perentoria proibizione erano di natura pedagogica, sostenendo di aver accertato il «gran danno che ricevono li scolari da simili attioni, non solo nelle lettere ma ancora nelli costumi».3 Nel marzo del 1633 Calasanzio scriveva a padre Giovanni Francesco del Gesù (1612-1656) – al secolo Carlo Apa, grammatico, drammaturgo e docente in quegli anni alle Scuole pie di Narni – per ribadire la sua posizione nei riguardi della pratica teatrale all’interno delle istituzioni scolopiche:

Non si pensi a far rappresentationi perché son risoluto di non consentirlo, ammaestrato da successi passati di quanto poco frutto sieno. Mi contento facciano de’ sermoni, compositioni di poesia e qualche dialogo da recitarsi in tre o quattro al più e senza scena né mutarsi di luogo, però in altro modo non lo permetterò.4

2Al contrario di quanto ci si aspetterebbe, solo alcune settimane prima gli allievi del Collegio Nazareno di Roma, allora diretto dallo stesso Calasanzio, avevano recitato una «rappresentatione di Santa Orsola».5 Negli istituti amministrati dagli scolopi, proprio com’era accaduto, com’è noto, nei collegi degli altri ordini religiosi, i gesuiti in primis, questo atteggiamento ambivalente nei riguardi del teatro, praticato con magnificenza ma, nello stesso tempo, ostacolato con una durezza che sembra quasi fare eco alle condanne dei Padri della Chiesa contro lo spettacolo, ebbe una duplice conseguenza. Da un lato generò una apparentemente rigida regolamentazione del tempo libero degli allievi, dall’altro finì per sfociare nella proliferazione di rappresentazioni, feste, adunanze accademiche e funzioni religiose. Queste occasioni, benché nei fatti spesso contravvenissero alle disposizioni stabilite, furono tollerate o finanche supportate in quanto aderivano al programma ideologico elaborato dalla Chiesa tridentina e rispondevano, come osserva la storica del teatro Silvia Carandini, a un «primo tentativo organico di sistemazione di un repertorio culturale e come messa a punto di tecniche persuasive, in vista di una propaganda politica e religiosa».6

3Questo contributo intende riflettere sulla pratica delle arti performative all’interno dell’istituzione scolopica, in base ad alcune fonti già conosciute e altre intedite emerse durante lo scandaglio tra i documenti dell’Archivio del Collegio Nazareno. La ricerca archivistica è stata condotta con l’obiettivo di far luce sulla storia materiale degli eventi di spettacolo svoltisi al Nazareno tra i secoli XVII e XVIII, precisamente tra il 1630, anno della sua fondazione, e il 1784, quando fu distrutto il teatro di cui il collegio si era dotato novant’anni prima. La documentazione presa in esame costituisce un corpus eterogeneo per tipologie e funzioni: essa permette di sollevare e problematizzare molteplici questioni legate alla ricostruzione e alla comprensione di una storia dello spettacolo di collegio che tenga conto delle specificità del suo sistema produttivo, e di valutare il rapporto tra meccanismi di controllo e performance, intendendo quest’ultima, sulla scorta delle riflessioni del teatrologo Marco De Marinis, come l’insieme di pratiche e di processi, produttivi e ricettivi, che precedono, creano e seguono lo spettacolo.7 Tra quelle considerate in questa sede, compaiono fonti sia intenzionali sia involontarie. Al primo gruppo va ricondotto, oltre ai testi propriamente teatrali e al monumentale epistolario calasanziano, l’insieme degli atti costitutivi, degli ordinamenti e delle memorie: si tratta di una documentazione estremamente interessante per valutare da un lato gli orientamenti e le finalità della pratica delle arti performative al Nazareno, dall’altro il processo di costruzione di un modello di performance finalizzato a regolamentare, in base a una serie di parametri normativi, gli esiti ludici, scenici e spettacolari dell’educazione scolopica. Tra le fonti preterintenzionali vi sono, invece, i documenti contabili e amministrativi del collegio, indispensabili per cogliere non solo gli aspetti materiali della performance, ma soprattutto il posizionamento dell’istituzione nel più ampio sistema produttivo dello spettacolo romano. Per ovvie ragioni di spazio, si è scelto di limitare il discorso al solo teatro, e in particolare a quello prodotto nei primi decenni di vita del collegio.8 Sebbene al Nazareno il periodo più florido per le arti performative, stando almeno alle fonti pervenuteci, sembri essere il pieno Settecento, la scelta di analizzare le prime attestazioni di spettacoli agli albori dell’istituzione corrisponde alla volontà di approfondire l’emergere della pratica teatrale e il suo significato in un contesto ancora in fieri. Si rimanda, invece, a una più ampia trattazione la mappatura e lo studio analitico del teatro, della danza e della musica al Nazareno nell’intero arco cronologico della ricerca.

La regolamentazione delle arti performative: Scolopi e Gesuiti a confronto

4Sorto tra gli ultimi collegi fondati nella capitale pontificia, il Nazareno divenne uno dei centri di produzione spettacolare nevralgici per la vita culturale della città, nonostante la relativa esiguità di risorse iniziali:9 avviato nel 1630 da Calasanzio grazie al lascito testamentario del cardinal Michelangelo Tonti (1566-1622), il collegio fu destinato a fanciulli che non potevano permettersi un’adeguata istruzione anche se, col sopraggiungere delle difficoltà economiche, verso la metà degli anni ’40 fu aperto anche a convittori paganti provenienti dall’aristocrazia di tutta Europa.10 Lo storico palazzo alla Chiavica del Bufalo, nell’attuale Largo del Nazareno, fu la sede del collegio solo dall’ottobre del 1689, in seguito alla risoluzione di annose controversie legali tra gli scolopi e la famiglia Tonti riguardanti il patrimonio del cardinale. Nei suoi primi sei decenni di vita l’istituzione dovette traslocare frequentemente tra i diversi immobili che di volta in volta prendeva in affitto (gli spostamenti del collegio negli anni 1630-1689 sono sintetizzati nella fig. 1).11 Questo stato di provvisorietà non compromise lo svolgimento regolare né delle attività didattiche, né – come si vedrà – di quelle ricreative, devozionali e di spettacolo, che al Nazareno fiorirono nel contesto dell’Accademia degli Incolti, fondata nel 1658 da padre Giuseppe Pennazzi di Sant’Eustachio (1620-1675) e divenuta colonia arcadica nel 1741.12 L’accademia era disciplinata da una serie dettagliata di regole, tra le quali, però, l’attività teatrale non è menzionata esplicitamente. Anche nei primi regolamenti del collegio,13 informazioni sulla pratica recitativa emergono solo nelle disposizioni riguardanti gli esercizi letterari e le dispute, ovvero i momenti di addestramento e dimostrazione delle abilità oratorie dei fanciulli. Della pratica teatrale nelle fonti normative, vuoi in quelle interne al collegio vuoi in quelle scolopiche più in generale, non sembra esservi traccia fino al 1693.14 Differente è il caso dei gesuiti i quali, com’è noto, avevano espresso chiaramente la loro posizione nei confronti dell’arte drammatica nelle diverse stesure della Ratio atque institutio studiorum Societatis Iesu (1586, ed. cosiddetta “1586/B” con revisioni e integrazioni, 1599, 1616), e avevano elaborato precise indicazioni riguardo alle rappresentazioni teatrali nei collegi da loro gestiti.15 Si tratta di prescrizioni risapute, ma che varrà la pena di riepilogare per sommi capi e mettere a confronto con la dottrina calasanziana in vigore agli esordi del Nazareno.

Fig. 1 – Localizzazione puntuale o approssimativa degli edifici occupati dal Collegio Nazareno negli anni 1630-1689 sulla pianta di Giovanni Battista Nolli.

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1. Casa a Sant’Andrea delle Fratte, in via del Bufalo, contigua a Palazzo Tonti (1630; proprietà Tonti); 2. Casa a Monte Cavallo (Quirinale) contigua alla chiesa di San Caio, demolita nel 1885 (1634, localizzazione approssimativa; proprietà Barberini); 3. Casa presso l’Acqua Felice, tra le chiese di San Bernardo alle Terme e Santa Maria della Vittoria nella Strada Pia, oggi via XX Settembre (1638, localizzazione approssimativa); 4. Palazzo Muti agli Orti Sallustiani (poi Villa Cesi), in via Capo le Case (dall’ottobre del 1639); 5. Palazzo Rusticucci in Borgo (dal novembre del 1644); 6. Casa in Borgo Nuovo (dal febbraio del 1646, localizzazione approssimativa); 7. Casa in Borgo Sant’Angelo (dal febbraio del 1647, localizzazione approssimativa); 8. Due case presso la Salita di Sant’Onofrio, a ridosso di Palazzo Salviati (1648-1649); 9. Palazzo Giori (dal 1649); 10. Palazzo del Collegio Nazareno, già Palazzo Tonti (dall’ottobre del 1689). Al n° 11 si segnala, inoltre, la sede generalizia dei Chierici regolari poveri della Madre di Dio delle Scuole pie a San Pantaleo (già Palazzo Torres). G. B. Nolli, Nuova pianta di Roma, Roma 1748. Biblioteca Hertziana - Max Planck Institute for Art History, Dg 140-3481/raro IX. Su licenza http://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/.

5Alla lettura della Ratio si evince, in un certo senso, una forma di tutela del fare teatro: recitare, e imparare a farlo bene, è un’abilità giudicata di alto valore e che va praticata anche «per evitare che vada in disuso questo esercizio, senza il quale tutta la poesia languisce e decade».16 È però un’attività da svolgersi nello spazio “protetto”, istituzionale del collegio, senza che vi sia «danno per i costumi o il rendimento scolastico» dei fanciulli:17 per gli studenti esterni alla Compagnia di Gesù, agiscano essi da attori o da spettatori, vige infatti un’interdizione sia dagli spettacoli pubblici sia, con un chiaro riferimento ai circuiti privati, dai «teatri di esterni», fatte salvo speciali concessioni.18 Inoltre, tra le istruzioni più specifiche intorno alla performance, si raccomanda che i drammi trattino di argomento «sacro e pio» e che siano in lingua latina, che nel pubblico non vi siano donne e che i fanciulli non interpretino parti en travesti, a meno che non lo si faccia, in casi di estrema necessità, con «un abito decoroso e modesto».19 Nella seconda stesura della Ratio si lamenta poi la fatica che la direzione degli allestimenti comporta: giacché l’autore ha «fatto già abbastanza componendo il dramma», si suggerisce che egli possa coordinare alcuni suoi aiutanti «nei diversi impegni che riguardano le prove dei ragazzi, le spese, la ricerca dei costumi, l’allestimento del teatro».20 Un ultimo interessante aspetto che emerge dalla Ratio, in particolare dalla regola XIV del rettore nell’ultima edizione del 1616, concerne il cerimoniale delle consuete distribuzioni dei premi, da tenersi «a spese di persone importanti» e ai quali «bisogna rendere onore».21

6Rispetto a quelle gesuitiche, le direttive scolopiche in materia di rappresentazioni teatrali sono certamente frammentarie, stringate e meno specifiche, vuoi anche per la mancanza di un testo organico vòlto alla sistematizzazione degli studi delle Scuole pie. Calasanzio, oltre a sforzarsi di impartire ai suoi corrispondenti epistolari nelle varie case scolopiche un orientamento unitario per l’educazione dei fanciulli, tra l’ottobre del 1620 e il febbraio del 1621 compilò alcune costituzioni, che ricevettero l’approvazione da papa Gregorio XV con bolla del 31 gennaio 1622.22 La disciplina ufficiale dell’ordine si ebbe solo con i Capitoli Generali del 1637 e del 1641, durante i quali furono emanati e poi perfezionati i decreti che avrebbero regolato la vita degli scolopi e le loro attività pedagogiche. Tali ordinamenti rimasero in vigore nei decenni a seguire e confluirono nelle Constitutiones Religionis, seppur con inevitabili modifiche ed emendamenti nel corso dei successivi Capitoli, che si tenevano di norma ogni sei anni e i cui atti furono talvolta dati alle stampe in lingua latina.23

7Tra i decreti dei Capitoli Generali, la normativa connessa alla pratica delle arti performative nei collegi scolopici compare fin negli atti della prima congregazione (26 ottobre 1637): il decreto III dispone «Che non si facciano rappresentationi senza licenza in scritto del Padre Generale, o del Padre Provinciale»;24 la rettifica compiuta in sede del Capitolo del 1641 specifica:

Che in avvenire non si possino fare, né far fare o insegnare da’ nostri religiosi recitazioni, rappresentazioni, comedie, o altro simile a’ scolari nostri, o altrui, tanto nelle nostre case, collegii, chiese, quanto in quelle d’altri: eccettuati però gli esercizii litterarii di academie, e delle scuole […].25

8Alcune carte sciolte di straordinario interesse conservate nell’Archivio del Collegio Nazareno danno conto dell’insieme delle attività da svolgersi annualmente nel tempo festivo: le rappresentazioni teatrali durante il Carnevale, l’orazione latina da tenersi nella Cappella Sistina il martedì dopo Pasqua,26 l’accademia degli alunni in primavera o in agosto, la festa solenne per la Natività della Beata Vergine Maria in settembre,27 la festa della Cappella Lauretana il 10 dicembre,28 giorno della Traslazione della Santa Casa di Loreto.29 A metà strada tra una memoria e un bilancio previsionale in cui sono annotati il protocollo da seguire in ogni ricorrenza festiva, la loro ragion d’essere e le relative voci di spesa, il documento riporta la data 10 settembre 1756, ma sembra in realtà raccontare di una prassi ormai consolidata. Si legga a tal proposito quanto dichiarato relativamente alle rappresentazioni teatrali:

Questa è la funzione più scabrosa che ha il collegio, per la quale ordinariamente non puoco perdono di studio e forse di buon costume i nostri collegianti. Pure essendo ella in certo modo necessaria, tanto per l’esempio di tutti gl’altri collegii, quanto ancora per l’antica introduzione che se n’è fatta nel nostro, bisogna che i padri rettore e religiosi vi adoprino tutta la loro industria e vigilanza, affinché meno che si può vi si discapiti.30

Tab. 1 – Elenco delle tipologie di eventi spettacolari al Collegio Nazareno31.

EventoSpesa
rappresentazioni teatralisc. 272,97 ½
orazione latinasc. 16 ca.
accademia degli alunnisc. 8,07 ½
accademia della Natività della Beata Verginesc. 167,20
festa della Cappella Lauretanasc. 37,15
sc. 501,40 ca.

9L’elenco delle attività è senza dubbio incompleto. Per diverse ragioni nella memoria non si trova menzione alcuna di altri eventi, feste o ricorrenze religiose di cui si è avuto riscontro nel corso del complessivo scandaglio documentale. Ad esempio, non si nominano le conclusioni celebrate dai convittori al termine dei loro studi, per le quali non era il collegio a farsi carico dei costi organizzativi, ma gli allievi interessati; non compaiono le accademie e le funzioni religiose in occasione delle visite del cardinale protettore, dell’elezione o della visita di un pontefice, che erano considerate eventi unici, “straordinari” rispetto alle consuetudini del calendario delle attività; si sottacciono pure le celebrazioni liturgiche in occasione della Candelora il 2 febbraio, per le quali i mazzi di candele da regalare ai ministri del collegio e a eventuali ospiti d’onore erano computati nelle spese generali per la cappella.

Spettacoli teatrali del Nazareno prima del Nazareno attraverso le fonti d’archivio

10Dall’epistolario di Calasanzio si ha evidenza di come, al Collegio Nazareno, il teatro e le arti performative più in generale fossero praticati non solo prima che l’istituzione potesse disporre di uno spazio deputato agli spettacoli, ma perfino prima del trasferimento definitivo alla sede del palazzo alla Chiavica del Bufalo (fig. 2). Infatti, oltre a chiarire, come si è visto in apertura, la posizione del Calasanzio nei confronti delle arti dello spettacolo in relazione ai suoi metodi pedagogici, l’epistolario fornisce anche le attestazioni più antiche delle recite degli allievi del collegio.32 Già in una lettera databile al febbraio 1633, inviata ad Ancona a padre Stefano Cherubini degli Angeli, futuro procuratore generale delle Scuole pie e amministratore del Nazareno, Calasanzio scriveva intorno alle rappresentazioni collegiali in quel Carnevale:

[…] il suo Carlo Antonio quest’anno ha disprezzato molte giornate il veder il corso per ritrovarsi nella rappresentatione di Santa Orsola che hanno fatto li alunni del nostro colegio nella quale egli havea tre o quatro parti diferenti et per esser stata proposta in otto o dieci dì prima del Carnevale hanno fatto assai meglio che io pensavo.33

Fig. 2 – Incisione raffigurante il Collegio Nazareno verso la metà del sec. XVIII; G. Vasi, Delle magnificenze di Roma antica e moderna, 10 voll., Roma, nella stamperia del Chracas, 1747-1761, vol. 9 (1759), n. 168. Biblioteca Hertziana - Max Planck Institute for Art History, Dg 536-3470/9 raro VII (Rara-Magazin).

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Su licenza http://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/

11Nella contabilità del collegio non sembra essere rimasta traccia di questa rappresentazione né, allo stato attuale delle ricerche, sono a essa direttamente correlabili altre fonti testuali, manoscritte o a stampa.34 Tuttavia, dalla lettera di Calasanzio sembra emergere almeno un possibile allineamento delle scelte dei padri scolopi alle tendenze in voga nella drammaturgia della Roma di Urbano VIII Barberini, in primis al filone dell’opera in musica a soggetto martirologico, inaugurato a inizio Seicento a Firenze da Andrea Salvadori (1588-1634) e a Roma da Ottavio Tronsarelli (1586 ca.-1646), e sviluppato in quegli anni da Giulio Rospigliosi (1600-1669) – futuro papa Clemente IX – e poi da Arcangelo Spagna (1632-1726).35

12Una conferma in questo senso è data da una delle prime rappresentazioni teatrali ben documentate: si tratta di una tragedia basata sull’agiografia di san Giovanni Calibita messa in scena nel Carnevale del 1639, quando il collegio aveva sede provvisoria in un palazzo agli Orti Sallustiani, intorno all’odierna via Capo le Case, preso in affitto dal marchese Girolamo Muti (fig. 1, n° 4).36 La tragedia, in cinque atti con un prologo encomiastico allusivo al «secol d’oro» di Urbano VIII, fu allestita nella Casa delle Scuole pie di Roma, ovvero la sede generalizia a San Pantaleo (fig. 1, n° 11); a testimoniarlo è l’argomento a stampa in lingua volgare, che sembra essere l’unica fonte tràdita per il dramma.37 Se si considera che gli atti della tragedia furono alternati con cinque intermezzi in musica, nei quali gli alunni esibirono anche le loro abilità nella danza e nella scherma, si può supporre che la scelta del luogo potesse essere dipesa dall’inadeguatezza degli spazi della sede provvisoria del collegio.38 Le fonti amministrative riferibili a San Giovanni Calibita riportano inoltre che la tragedia era «in verso latino»,39 e che per l’occasione il collegio aveva acquistato dalla duchessa Salviati gli abiti e le scene, consistenti in «due pezzi di prospettiva, e 4 case dipinte in tela a olio co’ li suoi telari» per un totale di 25 scudi.40 La nobildonna cui i registri contabili fanno riferimento è Isabella Salviati (?-1642), vedova di Federico Cesi (1585-1630), duca di Acquasparta e fondatore dell’Accademia dei Lincei. Allo stato attuale della ricerca, non disponiamo di notizie su una possibile attività teatrale o un fondo di costumi di scena in possesso della Salviati. D’altro canto, il documento costituisce un’ulteriore conferma della circolazione di materiali scenici tra le famiglie romane e anche, più in generale, del loro riuso.41 In tal senso, è suggestivo che, nell’elenco delle uscite, le parole impiegate per motivare la spesa si limitino a un generico «per rappresentare le tragedie per il collegio», senza alcuno specifico riferimento alla rappresentazione di quell’anno, e lascino immaginare una volontà di acquisire dotazioni sceniche da usare e poi conservare per poterle riutilizzare.42

13Relativamente al 1641 le carte del Nazareno dicono di alcune spese minute effettuate presso Francesco Pasqua, mercante alla Dogana, per una nuova non meglio precisata rappresentazione.43

14Più documentata risulta, invece, la messinscena dello Spergiuro vendicato, una tragicommedia in cinque atti con prologo allestita nel Carnevale del 1645, quando il collegio aveva sede nel Palazzo Rusticucci in Borgo, dove si era trasferito nel novembre precedente.44 Il dramma, stando alle fonti letterarie (una copia calligrafica del libretto e l’argomento a stampa), fu rappresentato in lingua volgare e con quattro intermezzi di ballo.45 Nel prologo encomiastico, rivolto al neoeletto papa Innocenzo X Pamphili, Abibo, Gurio e Samona – tre martiri cristiani di Edessa, città in cui si svolge il dramma – invocavano la protezione di un angelo custode, che entrava in scena dall’alto con uno scudo sul quale erano raffigurate le armi di Casa Pamphili. La tragicommedia necessiterebbe di una trattazione approfondita giacché, come notato da Saverio Franchi, presenta un «carattere romanzesco, con violente passioni e situazioni estreme piuttosto sorprendenti in uno spettacolo scolastico».46 Le fonti contabili relative a questo allestimento forniscono numerosi dettagli sugli aspetti materiali della messinscena e il suo contesto di produzione (fig. 3). In uno spazio apparato con un palcoscenico effimero, scene e prospettive, la tragicommedia fu eseguita da sedici «recitanti et musici» – stando al numero di paia di guanti acquistati «a Pasquino all’insegna dell’Europa», nel rione Parione – e agli intermezzi presero parte sei ballerini.47 Nulla si sa sull’organico dell’orchestra, se non che vi furono addirittura due cembali «impennati, incordati, et accordati».48 Lo spergiuro vendicato fu replicato per sei sere, ma la voce di spesa riguardante la mancia data alla guardia svizzera, intervenuta «a tener cura della porta», suggerisce che solo quattro rappresentazioni furono pubbliche.49

Fig. 3 – I-Rcn, vol. 66, Entrata ed esito dell’Venerabile Collegio Nazareno dal 13 maggio 1643 a tutto luglio 1646, p. 139.

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Su concessione della Fondazione Collegio Nazareno, Roma.

15In effetti, è verosimile che al Nazareno alcune delle recite fossero riservate a un numero più o meno ristretto di spettatori, tra i quali avrebbero potuto figurare i padri superiori delle Scuole pie: è quanto può evincersi da un registro di spese straordinarie risalente agli anni ’20 del Settecento, che riporta il costo di una carrozza per accompagnare «li padri superiori che vennero alle prove delle comedie».50 Le altre repliche erano invece aperte a un numero più ampio di spettatori – ed ecco il perché della presenza delle guardie svizzere – ed erano in un certo senso “pubbliche”, sebbene al teatro si accedesse senza dubbio su invito (fig. 4).51 Oltre ai familiari dei convittori-recitanti, o per lo meno quelli residenti a Roma, potevano partecipare alle rappresentazioni i padri degli altri conventi e istituti romani e, talvolta, il cardinale protettore o altri ospiti notabili.52 Si ha evidenza inoltre dell’intervento, forse non proprio lecito, di un pubblico femminile: è ciò che lascia intendere una nota del padre rettore Mattia Peri di San Giuseppe (1701-1778), a seguito di un’udienza del papa Benedetto XIV Lambertini con i rettori del Nazareno, del Collegio Clementino e del Seminario Romano il 15 febbraio 1745; durante l’incontro il pontefice aveva risoluto che «si facesse il possibile, ché non vi veni[s]sero donne».53

Fig. 4 – Esemplare di bollettino (biglietto, invito) distribuito in occasione delle rappresentazioni teatrali al Collegio Nazareno; I-Rcn, b. 323, Appunti e memorie, fasc. E, Teatro, cc. n.n.

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16Un’altra fonte archivistica da ricondurre all’allestimento dello Spergiuro vendicato risulta di grande interesse per comprendere il valore del fare teatro nell’ambito della formazione collegiale. Si tratta di un ragguaglio stilato in occasione della revisione dei libri contabili del Nazareno relativi all’amministrazione di padre Cherubini dal maggio 1643 al giugno 1646. Il sindacato, datato 18 gennaio 1647, è firmato da Antonio Francesco Femino (o Semino), emissario degli uditori di Rota, i quali ebbero fino al 1717 il mandato di vigilare sulle attività del collegio gravanti sull’eredità Tonti.54 La relazione riepilogava tutte le partite di denari sborsati, e aggiungeva significativi commenti sulla liceità delle spese. Tra i capitoli erano computati anche i 93 scudi erogati per l’allestimento della tragicommedia del 1645, la quale somma, come sentenziava il sindacato,

[…] mai si doveva spendere dal suddetto padre, stante che questo è un Collegio bisognoso e di poveri, e del fondatore l’entrate non sono state lasciate per far tragicomedie, ma sì bene per allevare li giovani nel timor di Dio e nelle lettere. Si deve però avvertire che devono avere qualche recreatione leuta et honesta, nella quale ci va qualche spesa, però si mette in consideratione di poter permettere che si siino spesi detti scudi quindici moneta l’anno per sollevare detta gioventù; nel capitolo dell’amministratione del suddetto padre, sono stati tre Carnevali che a scudi 15 per Carnevale fanno scudi quaranta cinque moneta che si ponno menar boni delli suddetti scudi 93, benché non siino spesi ogni Carnevale, perché detti scudi 93 moneta sono stati effettivamente spesi et il padre Stefano adduce alcune ragioni che si ponno considerare e si mettono in fine di questa revisione.55

17I denari spesi per Lo spergiuro vendicato non ammontavano a una somma irrisoria, ma di certo non erano paragonabili a quanto speso per altre partite nel corso del triennio. Ad esempio, su un totale di 8193,29 scudi, si erano spesi 198,37 scudi per «coltivar la vigna», 449,70 scudi per il pane, 1347,32 ½ scudi per il vitto.56 Il deputato degli uditori di Rota esortava però a contenere le spese per le future recreationi, pur ammettendone la legittimità nei limiti imposti dalle disposizioni testamentarie del cardinal Tonti e dagli obiettivi pedagogici perseguiti da Calasanzio.

Conclusioni

18Se esaminata secondo una prospettiva comparata con quella degli altri istituti educativi romani, soprattutto del Clementino e del Seminario Romano, la produzione teatrale secentesca del Nazareno rischia di sembrare quantitativamente e sostanzialmente irrilevante. Dalle fonti che attestano la regolamentazione delle arti performative nell’istituzione scolopica nei suoi primi decenni di attività, oltre alla vivacità di una realtà che intendeva affermarsi nel contesto educativo della Roma del tempo, emerge però la volontà di seguire l’esempio fornito dagli altri collegi. D’altro canto, rispetto a questi ultimi, il caso Nazareno mostra una sua specificità nel mantenere (o nel dover mantenere) un basso profilo, anche in ottemperanza alle finalità per le quali il collegio era stato fondato. In questa direzione va interpretata l’apparente irregolarità delle rappresentazioni teatrali nel corso del Seicento, le quali non furono numerose, come si è visto, sia per la ristrettezza delle finanze, sia per la relativa instabilità creata dalla mancanza di una sede fissa. La situazione mutò profondamente dopo il 1689, quando il collegio si trasferì definitivamente nel palazzo alla Chiavica del Bufalo, e ancor più dopo il 1694, quando fu portata a termine la costruzione del teatro in una porzione dell’edificio acquisita in un secondo momento, a nord-ovest del corpo di fabbrica principale.57

19Eppure, i casi qui riportati, che grosso modo rappresentano la totalità degli spettacoli documentati, dimostrano in nuce un allineamento dell’istituzione al sistema teatrale romano, sia per le scelte compiute in materia di repertorio, sia per l’adozione di modalità produttive consolidate. Un’integrazione che, sullo scorcio del secolo, si rivelò essenziale per l’avvio del periodo più florido del Nazareno, durante il quale il collegio dovette rappresentare uno dei principali nodi della rete culturale della città, anche per la sua progressiva apertura verso l’aristocrazia romana. Ma questa è una storia ancora in parte da scrivere.

Notes de bas de page

1 Per un’introduzione alla storia dell’ordine si veda Ausenda 1975.

2 I-Rps, Reg. Cal. I, 126, trascritta in Epistolario Calasanzio 1950-1988, vol. 2, p. 202, n° 165.

3 Epistolario Calasanzio 1950-1988, vol. 2, p. 202, n° 165. Sul dibattito e le polemiche intorno al teatro in età moderna si rimanda a Taviani 1969 per l’Italia e a Thirouin 1997 e Floris 2008 per la Francia.

4 I-Rps, Reg. Cal. V, 175, trascritta in Epistolario Calasanzio 1950-1988, vol. 5, p. 184, n° 165.

5 Si veda anche infra, n. 33.

6 Carandini 1978, p. 287.

7 De Marinis 2014b.

8 Non si prenderanno in considerazione, se non en passant, le cantate eseguite in occasione delle accademie per la Natività della Beata Vergine, per le quali si rimanda agli studi di Lanfranchi – Careri 1987; Careri 1987; Prats Arolas 2015; Crescenzo 2019.

9 La bibliografia sul teatro di collegio è ormai sterminata. Fondamentali, soprattutto per la prospettiva pedagogica ma non solo, sono gli studi di Scaduto 1967 e 1969; Peyronnet 1976; Brizzi 1981a; Brizzi 1981b; Valentin 1978; Valentin 1990; Valentin 1996; Filippi 1994; Doglio – Chiabò 1995; Lorenzetti 1997; Zanlonghi 2002; Piéjus 2007 e 2008; Demeilliez 2010; Cappelluti 2011; Casalini – Salvarani 2013; D’Amante 2013; Demeilliez et al. 2018.

10 Sulla storia del Nazareno e la vita in collegio si vedano Leonetti 1882; Vannucci 1998; Merli 1988 (soprattutto sulla storia del palazzo); Manodori Sagredo 2004; Cianfrocca 2007 e 2010 (in relazione alla pedagogia calasanziana); Bonella 1995 (sulla storia alimentare).

11 Per le notizie sugli spostamenti di sede del collegio si rimanda a Vannucci 1998, p. 67-89.

12 Sugli Incolti si vedano Bruni et al. 1980; Negro 2004.

13 Una trascrizione moderna dei regolamenti si legge in Calcagni et al. 1979.

14 Calcagni et al. 1979, p. 87-88.

15 Hinz – Righi – Zardin 2004.

16 Ratio studiorum 1989, p. 214. L’edizione contiene le stesure del testo del 1586/B e del 1599.

17 Ratio studiorum 1979, p. 39.

18 Ratio studiorum 1989, p. 313 (relativamente alla traduzione dell’ed. del 1599).

19 Ratio studiorum 2002, p. 117 e Ratio studiorum 1989, p. 129.

20 Ratio studiorum 1989, p. 131.

21 Ratio studiorum 1979, p. 39.

22 Confirmatio constitutionum a Congregatione Clericorum Pauperum Matris Dei Scholarum Piarum pro felici ejus regimine editarum, in Bullarium Romanum, vol. 12, p. 650-651 (l’edizione moderna riporta erroneamente la data «31 ianuarii 1621»). Le costituzioni calasanzione si leggono in Calcagni et al. 1979, p. 37-47.

23 Picanyol 1954.

24 Capitolo Generale 1637, p. 42.

25 Capitolo Generale 1641, p. 63 (decreto III del 18 aprile). Le Constitutiones a stampa relative ai Capitoli successivi si limitano a ribadire quanto sottoscritto dal fondatore; ad esempio, nel capitolo De gubernatione gymnasiorum sive scholarum piarum (in Constitutiones 1781, p. 134 sq., in particolare p. 145 n. 133/G-H) si legge: «G. Censuerunt Patres, non posse fieri a scholaribus nostris sub directione magistrorum nostrorum repraesentationes, comoedias, alive spectacula theatralia, nec in domibus nostris, nec alibi; exceptis tamen actibus litterariis, quos Academias vocant. […] H. Ad § Censuerunt &c. declaraverunt Patres Capitulares, repraesentationes haberi non posse, nisi de licentia P. Generalis, aut Provincialis in scriptis, sed numquam in Ecclesia […]».

26 Sulle orazioni latine nella terza di Pasqua si veda Picanyol 1939.

27 In occasione della Natività della Beata Vergine si avviò l’usanza di eseguire una cantata, il cui libretto nel corso del Settecento fu spesso dato alle stampe; la musica della cantata più antica tra quelle tramandateci risale al 1681 (cf. Careri 1987, p. 10). In Lanfranchi – Careri 1987, p. 327 n. 1 si sostiene inoltre che le prime tracce di questa tradizione risalgano al 1666, ma le fonti contabili del Nazareno riferiscono di una «festa della Madonna della Natività» già nel 1645, cioè ancor prima della fondazione dell’Accademia degli Incolti e del trasferimento alla sede definitiva nel palazzo alla Chiavica del Bufalo. In quell’anno, infatti, un registro di entrate e uscite attesta la spesa di 7,28 scudi «tra la musica, festarolo, et ricreatione fatta alli alunni, et portatura di panni et sedie» (I-Rcn, vol. 66, Entrata ed esito dell’Venerabile Collegio Nazareno dal 13 maggio 1643 a tutto luglio 1646, p. 133, ed. parz. nella scheda PerformArt D-048-850-131; cf. anche I-Rcn, vol. 146, Registro di spesa dalli anni 1631 al 1646, p. 462, ed. parz. nella scheda PerformArt D-133-720-184).

28 Sulla storia della Congregazione Lauretana si rimanda a Pucci 1980.

29 I-Rcn, b. 331, Tutti gli atti economici, residui generali, fasc. 1756/2, p. 5-28 e cc. n.n. [mutilo], ed. parz. nella scheda PerformArt D-060-190-110, già segnalato e parzialmente trascritto in Lanfranchi – Careri 1987, p. 310-313 e Careri 1987, p. 11-12, 23-24. Per una copia simile del documento, anch’essa lacunosa e frammentaria, si rinvia a I-Rcn, b. 323, Appunti e memorie, fasc. E, Teatro, cc. n.n. [mutilo], ed. parz. nella scheda PerformArt D-069-400-163.

30 I-Rcn, b. 331, Tutti gli atti economici, residui generali, fasc. 1756/2, p. 8.

31 L’elenco è desunto sulla scorta dei docc. I-Rcn, b. 331, Tutti gli atti economici, residui generali, fasc. 1756/2, p. 5-28 e cc. n.n., e b. 323, Appunti e memorie, fasc. E, Teatro, cc. n.n.

32 Una lettura complessiva del vasto epistolario calasanziano, pur nelle succinte informazioni che di volta in volta il futuro santo inviava ai suoi destinatari, potrebbe offrire dettagli sulle arti performative praticate non solo nei collegi scolopici della penisola, ma anche nel più ampio contesto romano. A titolo esemplificativo, si veda il caso della notizia riferita da Calasanzio in apertura della lettera inviata a Cesena il 17 febbraio 1635 a padre Stefano degli Angeli: «In questi giorni di Carnevale non si trattano negotii, ma solo li mondani attendono al corso alle mascare et alle comedie, sebene il signor cardinale Barberino ha fatto più volte rapresentar l’historia di Santa Theodora a musica con molta curiosità et spesa, et il padre Caravita ha cominciate le sue 40 hore con molta divotione, ma quella di San Lorenzo in Damaso di gran lunga l’han avanzato, et credo che li padri giesuiti faranno ancora cose di molta divotione […]»; I-Rps, Reg. Cal. V, 368, trascritta in Epistolario Calasanzio 1950-1988, vol. 5, p. 460, n° 2334. Il melodramma a cui Calasanzio fa riferimento è L’innocenza difesa nella rappresentazione dei Santi Didimo e Teodora (1635), di cui è giunto sino a noi solo il libretto scritto da Giulio Rospigliosi (ed. mod. in Rospigliosi 1999, p. 7-70; cf. Murata 1981, p. 28-31, 253-257).

33 I-Rps, Reg. Cal. V, 162, trascritta in Epistolario Calasanzio 1950-1988, vol. 5, p. 174, n° 1967.

34 Tra i testi drammatici a stampa sull’agiografia di sant’Orsola, escludendo le sacre rappresentazioni quattrocentesche che pure ebbero varie edizioni nei secc. XVI e XVII, è rilevante segnalare in questa sede per la considerevole diffusione che ebbero la Tragedia overo rappresentatione di Santa Orsola di Brettagna (Firenze, 1585) di Guidobaldo Mercati, e La regina Sant’Orsola (Firenze, 1624) di Andrea Salvadori.

35 Cf. Murata 1981; Franchi 2002a; Speck 2003; Sarnelli 2011; Herczog 2013; Ryszka-Komarnicka 2014. Non è forse superfluo aggiungere che Calasanzio e Rospigliosi si conoscevano personalmente, essendo quest’ultimo stato presente in qualità di prelato assistente del papa durante i lavori del Capitolo Generale del 1637 (cf. Capitolo Generale 1637, p. 36).

36 Il collegio ebbe sede a Capo le Case dall’ottobre del 1639 (cf. Vannucci 1998, p. 71). Un mese prima del trasferimento fu redatto un inventario delle «robbe» del palazzo (cf. Inventario delle robbe et altre massaritie esistenti nel palazzo e giardino delli illustrissimi signori Muti esistente a Capo le Case in loco detto gli Horti Salustiani affittato al Collegio Nazzareno di Roma dall’Illustrissimo signor Girolimo Muti, in I-Rcn, vol. 245, cc. 226-230); il marchese aveva ereditato l’immobile dal cardinal Tiberio Muti (1574-1636), suo fratello (cf. Paviolo 2013, p. 33).

37 Argomento di San Giovanni Calibita 1639, frontespizio (sul quale si veda Franchi 1988, p. 232).

38 L’argomento riporta informazioni sugli intermezzi da eseguirsi al termine di ognuno dei cinque atti: «una moresca con spade, et rotelle»; «il Sacrifitio d’Isac»; «balli fatti da quattro fanciulli»; «la Fornace di Babilonia con li tre fanciulli et Nabucodonosor»; «una moresca».

39 I-Rcn, vol. 146, Registro di spesa dalli anni 1631 al 1646, p. 184, ed. parz. nella scheda PerformArt D-133-560-134.

40 I-Rcn, vol. 65, Entrata ed esito dell’Venerabile Collegio Nazareno dal 20 maggio 1631 a tutto li 12 maggio 1643, p. 126, ed. parz. nella scheda PerformArt D-048-600-162. La duchessa fu affittuaria del palazzo alla Chiavica del Bufalo negli anni in cui il collegio non aveva ancora potuto trasferirvisi, per via della causa con gli eredi Tonti per l’attribuzione del patrimonio del cardinale defunto; benché la controversia legale avrebbe ritardato fino al 1689 il trasloco del collegio presso la sede definitiva, gli scolopi erano in possesso dell’immobile, che la Salviati tenne in affitto fino alla sua morte, e in seguito alla quale il collegio rimborsò gli eredi della donna con 20 scudi, pari a un mese di pigione (cf. I-Rcn, vol. 66, Entrata ed esito dell’Venerabile Collegio Nazareno dal 13 maggio 1643 a tutto luglio 1646, p. 140, ed. parz nella scheda PerformArt D-048-850-131).

41 A tal proposito si veda Goulet 2014 per il coinvolgimento del duca Giovanni Pietro Caffarelli (1638-1694) nella fornitura delle scene per l’Arsate (1683) di Alessandro Scarlatti allestita a Roma a Palazzo Orsini in occasione della nascita di Louis de France, duca di Bourgogne.

42 I-Rcn, vol. 146, Registro di spesa dalli anni 1631 al 1646, p. 184, ed. parz. nella scheda PerformArt D-133-560-134. Una circostanza analoga si verificò quando, per l’inaugurazione del nuovo teatro costruito nel palazzo dopo il trasferimento definitivo alla Chiavica del Bufalo, per 700 scudi il collegio acquistò dal cardinale Pietro Ottoboni (1667-1740) «le sciene» che servirono nel febbraio dello stesso anno per la recita di «tre bellissime opere, doi in prosa, et una in musica» (il passo è tratto da un’annotazione memoriale posta sul recto della prima carta di un registro di mandati di pagamento in I-Rcn, vol. 151, Registro de’ mandati cominciato a novembre 1680 a tutto il primo gennaro 1695, c. 1r, ed. parz. nella scheda PerformArt D-114-650-178, segnalato in Careri 1987, p. 22). L’opera in musica cui il documento si riferisce è Il martirio di Sant’Eustachio, in realtà un oratorio composto da Flavio Carlo Lanciani (1661-1706) su libretto di Ottoboni, già debuttato a Palazzo della Cancelleria nel 1690 e per il quale si rimanda a Staffieri 1990, p. 33 n. 68; per l’apporto, anche economico, del cardinale alle recite del Sant’Eustachio al Nazareno si veda quanto documentato in Chirico 2014, p. 33, 36-37, 49-51. Al Nazareno la partecipazione di Ottoboni alle attività di spettacolo non si limitò al solo pagamento delle spese per le recite; il cardinale, infatti, contribuì attivamente in qualità di corago almeno all’allestimento dell’Amante del Cielo, rifacimento del dramma sacro dello stesso cardinale sull’agiografia di santa Rosalia, rappresentato al Nazareno nel Carnevale del 1699 in una veste rinnovata e con musica di Francesco Gasparini (1661-1727). A conferma di ciò vi è una giustificazione di pagamento di Nicola Solimani, cerarolo, per la fornitura di 5.604 «Cocioli serviti per il signor cardinale Ottoboni per prova» (I-Rcn, b. 341, Giustificazioni 1644-1699, fasc. 1699, sottofasc. e, Spese di illuminazione, cc. n.n., ed. nella scheda PerformArt D-114-710-124) per un totale di 82,85 scudi. Per l’argomento a stampa dell’Amante del Cielo si veda Franchi 1988, p. 740-741. Per un approfondimento sulla storia materiale degli spettacoli patrocinati da Ottoboni al Nazareno attraverso le fonti della computisteria del cardinale cf. Chirico 2007, 2011 e 2014.

43 I-Rcn, vol. 146, Registro di spesa dalli anni 1631 al 1646, p. 462, ed. nella scheda PerformArt D-133-720-184.

44 I-Rcn, vol. 66, Entrata ed esito dell’Venerabile Collegio Nazareno dal 13 maggio 1643 a tutto luglio 1646, p. 115, ed. nella scheda PerformArt D-048-850-131.

45 Per una descrizione del libretto manoscritto, conservato nel fondo San Pantaleo della Biblioteca nazionale centrale di Roma (I-Rn, S.Pant.5) si rimanda a Jemolo – Morelli 1977, p. 29-30; cf. anche la scheda PerformArt su questa copia del libretto: D-114-660-169. L’Argomento dello Spergiuro vendicato 1645 (sul quale si veda anche Franchi 1988, p. 260) riferisce degli episodi tratti dall’Antico Testamento che funsero da intermezzi di ballo: «l’adorazione del Vitello d’oro», Giobbe schernito, David che consegna al re Saul la testa di Golia, il passaggio dell’arca dell’alleanza da Oberon a David. Dell’argomento ne furono tirate 1000 copie, per le quali lo stampatore Francesco Cavalli fu pagato 5 scudi (I-Rcn, vol. 66, Entrata ed esito dell’Venerabile Collegio Nazareno dal 13 maggio 1643 a tutto luglio 1646, p. 139, ed. parz. nella scheda PerformArt D-048-850-131).

46 Franchi 1994-2002, vol. 2, p. 84.

47 I-Rcn, vol. 66, Entrata ed esito dell’Venerabile Collegio Nazareno dal 13 maggio 1643 a tutto luglio 1646, p. 134, ed. parz. nella scheda PerformArt D-048-850-131. Con tutta probabilità i guanti furono acquistati, secondo l’usanza, per farne dono agli interpreti dello spettacolo; si veda a tal proposito quanto documentato in De Frutos 2016 in base al carteggio di Maria Mancini (1639-1715) con suo marito Lorenzo Onofrio Colonna (1637-1689). Inoltre, tra i pagamenti (I-Rcn, vol. 66, Entrata ed esito dell’Venerabile Collegio Nazareno dal 13 maggio 1643 a tutto luglio 1646, p. 139-140) vi è traccia del nolo del legname per il palco (8 scudi) e di costumi teatrali (presi da diverse botteghe di ebrei per un totale di 15 scudi), dell’acquisto di torce e candele da Vincenzo Bernardini, droghiere a Pasquino, delle spese per le rifiniture di sei paia di calzoni e scarpini per i ballerini, e del compenso a un pittore per la fattura di due pezzi di scene e «anco per una prospettiva dipinta in casa» (ivi, p. 140).

48 I-Rcn, vol. 66, Entrata ed esito dell’Venerabile Collegio Nazareno dal 13 maggio 1643 a tutto luglio 1646, p. 139.

49 I-Rcn, vol. 66, Entrata ed esito dell’Venerabile Collegio Nazareno dal 13 maggio 1643 a tutto luglio 1646, p. 140. Diverse voci di spesa nel medesimo documento ribadiscono che le repliche furono sei: ad esempio, si sborsarono 4 scudi «per compra di ciambelle, confetti, et mela per darne alli recitanti, ballarini, et musici per colatione in sei volte che si recitò», e ancora 30 scudi «per dare da mangiare la matina alli musici, ballarini, sonatori et altri che venivano ad aiutare, a sc. cinque per volta», quindi per sei volte.

50 I-Rcn, vol. 82, Introito ed esito delle contribuzioni de’ signori convittori per le spese straordinarie […] dall’anno 1718 a tutto 1733, c. 59r (febbraio 1722); simili indicazioni si ritrovano anche ivi, cc. 64v (febbraio 1723), 70v (marzo 1724), 76v (febbraio 1725). Ed. parz. nelle schede D-062-670-109 (nov. 1721 - ott. 1722), D-062-680-197 (nov. 1722 - ott. 1723), D-062-710-170 (giu. - ott. 1724) e D-062-720-161 (nov. 1724 - ott. 1725).

51 Sono state fortunosamente conservate alcune copie degli inviti, consistenti in piccoli rettangoli di carta con la sigla del collegio «C. N.» (gli esemplari sono in I-Rcn, b. 323, Appunti e memorie, fasc. E, Teatro, cc. n.n.). Il costo della loro produzione ammontava a 6 baiocchi il centinaio, come si deduce dalle voci di spesa in I-Rcn, vol. 82, Introito ed esito delle contribuzioni de’ signori convittori per le spese straordinarie […] dall’anno 1718 a tutto 1733, c. 48r (gennaio 1720): «A Patrizio Tullio per la carta, e tiratura di 3 migliara e 9 centinara di bollettini per le comedie […] sc. 2,34», ed. parz. nella scheda PerformArt D-062-620-154; c. 53r (febbraio 1721): «Pagati sc. 2,40 a Arnoldo van Westerhout per carta e tiratura di miliara 4 bollettini per il teatro […]», ed. parz. nella scheda PerformArt D-062-660-118; quest’ultimo va identificato con il celebre stampatore e incisore fiammingo (1651-1725).

52 I-Rcn, vol. 82, Introito ed esito delle contribuzioni de’ signori convittori per le spese straordinarie […] dall’anno 1718 a tutto 1733, c. 49r (febbraio 1720): «A don Simone Finocchi, che portò i viglietti dell’invito per le due comedie a tutti i conventi de’ religiosi […]»; c. 54r (febbraio 1721): «[…] per il nolito della carozza […] per l’invito dell’eminentissimo protettore […]».

53 I-Rcn, b. 323, Appunti e memorie, fasc. E, Teatro, cc. n.n., già segnalata in Lanfranchi – Careri 1987, p. 312 n. 49.

54 Sui complessi rapporti tra gli scolopi e la Sacra Rota riguardanti la gestione e il controllo del Collegio Nazareno si rimanda a Vannucci 1998, p. 113-114. Il protettorato del collegio dal 1718 passò al cardinale vicario pro tempore (cf. ivi, p. 114).

55 Sindicato […] dell’administratione fatta dal reverendo padre Stefano de’ Angelis […], quale comincia alli 13 di maggio 1643 a tutto giugno 1646, in I-Rcn, vol. 245, cc. 190-204: 200r, ed. parz. nella scheda PerformArt D-046-820-115.

56 Sindicato […] dell’administratione fatta dal reverendo padre Stefano de’ Angelis […], quale comincia alli 13 di maggio 1643 a tutto giugno 1646, in I-Rcn, vol. 245, cc. 190-204: c. 204r.

57 I-Rcn, vol. 151, Registro de’ mandati cominciato a novembre 1680 a tutto il primo gennaro 1695, c. 1r; si veda anche infra, n. 42.

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