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Due «fratelli» frumentarii a Ostia e il tempio del piazzale delle Corporazioni

p. 73-89

Résumés

L’abbinamento di più frammenti già editi separatamente in CIL XIV (Ostia) ha permesso di ricostruire in buona parte un epistilio e una lastra contenenti iscrizioni relative a lavori di restauro. Quanto rimasto consente di avanzare l’ipotesi che i dedicanti siano i fratelli Pudens e Optatianus, frumentarii di un’unità legionaria non definibile, già noti per aver posto su una colonna, dietro la scena del teatro ostiense, una dedica al Genius kastrorum peregrinorum. I due fratelli sono stati in qualche modo coinvolti nei lavori di ristrutturazione e abbellimento, in età severiana, del teatro e del piazzale delle Corporazioni. In particolare viene analizzato architettonicamente il tempietto del Piazzale stesso, del quale si presenta una ricostruzione grafica e se ne ripropone la destinazione al culto imperiale.

The combination of several fragments already published separately in CIL XIV (Ostia) allows to reconstruct in large part an epistyle and a slab containing inscriptions relating to restoration work. The remaining text enables us to advance the hypothesis that the dedicants are the brothers Pudens and Optatianus, frumentarii of an undefinable legionary unit, already known for having placed on a column, behind the scene of the Theatre at Ostia, a dedication to the Genius kastrorum peregrinorum. The two brothers were somehow involved in the restructuring and embellishment works of the theater and the Piazzale delle Corporazioni in the Severian age. In particular, the small temple of the Piazzale itself is architetturally analized, a graphic reconstruction is presented and its destination for the imperial cult is proposed again.

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Keywords : Optatianus, Pudens, frumentarii, basis, vultus, ornamenta, incuria, deformis, statio, tempio, piazzale delle Corporazioni

Parole chiave : Optatianus, Pudens, frumentarii, base, vultus, ornamenta, incuria, deformis, statio, tempio, piazzale delle Corporazioni


Texte intégral

1I fratelli Optatianus e Pudens, frumentarii1, a scioglimento di un voto, fecero eseguire su una colonna nel piazzale delle Corporazioni (fig. 1) un rilievo raffigurante il genius kastrorum peregrinorum e, al di sotto, fecero incidere la relativa iscrizione dedicatoria (CIL XIV, 7 = EDR147043)2. La colonna, di m 3,65, in marmo caristio, venne rinvenuta rotta in due pezzi nel marzo 1881 dal Lanciani3. I due fratelli non sono altrimenti noti, né è possibile stabilire il reparto militare al quale appartenevano. L’iscrizione non presenta particolari problemi di lettura, ma si ritiene utile soffermarsi sul 5° rigo. Vi si legge il sostantivo ministerio seguito dall’accurata erasione di circa 8/9 lettere. Di solito l’erasione è la conseguenza di una damnatio memoriae che poteva colpire imperatori, membri della famiglia imperiale, alti funzionari. Nel nostro caso non si ritiene che si tratti di un imperatore: lo spazio a disposizione è troppo piccolo perché, oltre al nome, dovevano trovare posto almeno le lettere IMP oppure AVG, che, comunque, di solito non venivano erase. In questo caso potrebbe trattarsi di un alto funzionario connesso con l’attività edilizia ostiense (rifacimento del teatro), forse un prefetto dell’annona, ma non abbiamo nessun elemento in tal senso. L’iscrizione è databile agli inizi del III sec. d.C. e verrebbe da pensare a Plauziano, il prefetto del pretorio di Settimio Severo fatto uccidere da Caracalla nel 205, ma costui non aveva particolari legami con Ostia4, specie per quanto riguarda le opere pubbliche. Il termine ministerio, nel senso di « per intervento di », « grazie ai buoni uffici di », ha poche attestazioni epigrafiche5. Nel nostro caso può alludere al fatto che i due fratelli fossero stati in qualche modo agevolati nella dedica della colonna?

Fig. 1 – Colonna nel piazzale delle Corporazioni CIL XIV, 7. Parco Archeologico di Ostia Antica (foto F. Licordari).

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2Ora, in CIL XIV, 4733 = EDR106961 sono pubblicati tre frammenti architettonici, che per comodità di espressione definiamo di epistilio, con il testo iscritto disposto nella fascia inferiore su una sola riga. In uno di questi, indicato con la lettera c, si leggono soltanto le lettere ENS et OPP; per esse sono state proposte integrazioni del tipo [Clem]ens et Opp[ius], perché l’ultima lettera, della quale sembrava rimanere solo la barra verticale, è stata letta come P. Non si è fatto caso che si era conservata anche la parte sinistra della barretta orizzontale di una lettera montante, che non può che essere una T: ci sembra possibile, quindi, che in questi due frustuli di cognomi siano da riconoscere i due fratelli di cui si è detto prima: [Pud]ens et Opt[atianus].

3Il frammento a, nel 1966, per merito di Fausto Zevi, si è arricchito di una parte inedita. Lo stesso Zevi si era posto poi il problema della posizione reciproca dei pezzi, ma aveva preferito lasciare aperta la questione, in mancanza di elementi certi e definitivi, pur propendendo per collocare nell’ordine c, a, b6. Abbiamo quindi (fig. 2):

[---]ens êt Opt[---] basim quoque s«acro»rum uultu[um ---]us additis cụ[---]

Fig. 2 – Frammenti di epistilio CIL XIV, 4733. Parco Archeologico di Ostia Antica (foto F. Marini Recchia).

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4Questa sequenza trova ora conferma dall’accostamento con un quarto frammento, CIL XIV, 115 = EDR163545 (fig. 3): [---]ụltioribus ornamentis restituerunt, che va a completare l’epistilio sul lato destro (fig. 4)7. A prima vista, quest’ultimo frammento potrebbe apparire estraneo all’insieme perché conserva le dimensioni originarie, le modanature e le particolarità della lavorazione originaria, caratteristiche che sono andate perdute nei tre pezzi già visti, ritagliati dai rispettivi blocchi in occasione di un reimpiego in epoca non precisabile. L’usura del tempo e le diverse condizioni di conservazione8 hanno contribuito a logorare i margini delle fratture e l’aspetto esteriore della pietra di modo che non è possibile avere la dimostrazione indiscutibile del loro combaciamento9.

Fig. 3 – Frammenti di epistilio CIL XIV, 115. Parco Archeologico di Ostia Antica (foto F. Licordari).

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Fig. 4 – Frammenti CIL XIV, 4733 + 115. Parco Archeologico di Ostia Antica (foto F. Marini Recchia).

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5Sembrerebbe che l’iscrizione che ora vediamo sia stata reincisa al posto di una più antica, abbassandone irregolarmente la superficie. Nel fr. a si riscontra inoltre un errore del lapicida, che aveva scritto SACRORORVM, poi corretto riscrivendo la giusta versione, ma senza cancellare bene quella precedente. Anche il verbo finale restituerunt appare inciso con una grafia diversa: lettere più distanziate, leggermente più basse e più larghe. Il testo è molto sintetico, ma la cosa non desta meraviglia in quanto la fascia dell’architrave non consentiva, per le sue misure obbligate, di dilungarsi troppo, anche perché sarebbe stato possibile esplicitare meglio la dedica mediante un’iscrizione aggiuntiva su lastra. Vi sono due possibilità di ordinamento del testo conservato:

A)
[Pud]ens êt Opt[atianus fratres frumm. (i.e. frumentarii duo) ---] basim quoque s«acro»rum uultu[um ---]us, additis cultioribus ornamentis, restituerunt.

B)
[---] basim quoque s«acro»rum uultu[um Pud]ens êt Opt[atian]us, additis cultioribus ornamentis, restituerunt.

6La prima restituzione consente di qualificare meglio i due offerenti, precisandone il rapporto intercorrente ed eventualmente il grado militare, ma ha due lacune da colmare; nella seconda la lacuna è una sola. Le lettere conservate sono 74 per uno sviluppo di quasi due metri. Approssimativamente dobbiamo calcolare che sono andate perdute una trentina di lettere, dieci delle quali occorrono per completare i cognomi; l’epistilio doveva quindi misurare oltre tre metri di larghezza ed essere posizionato a non più di tre metri di altezza da terra, altrimenti l’iscrizione avrebbe presentato difficoltà di lettura.

7Il testo menziona una base, dedicata insieme a un altro oggetto, come indica la congiunzione quoque; entrambi gli oggetti sono stati restaurati con l’aggiunta di più degni ornamenti10. A Ostia sono attestate altre tre dediche di basi, sempre come secondo elemento di un abbinamento con una statua, ma espresso con la preposizione cum.11 Il termine uultus non ha attestazioni epigrafiche al genitivo plurale e doveva essere retto da un sostantivo quale simulacrum12, pictura ecc. Il concetto di sacrum fa pensare a immagini di divinità, ma poteva trattarsi anche dei membri della famiglia imperiale, ai quali, marcatamente a partire dall’età severiana, vengono resi onori divini13. A questa età va comunque ricondotta la datazione di tutti i frammenti esaminati.

8In questo contesto si inquadra il frammento di lastra CIL XIV, 4612 (EDR111124), in marmo proconnesio, che era stato finora considerato come una piccola parte di un’epigrafe della corporazione dei mensores frumentarii. Questo frammento, in tempi successivi, è stato congiunto da Fausto Zevi con CIL XIV, 4139 (EDR165879) e con XIV, 4336 (EDR106258), oltre che con un inedito (inv. 8189) che doveva trovar posto con tutta probabilità sul margine sinistro (fig. 5). Ne è risultato provvisoriamente il seguente testo:

[---]ns frument(---) [.]ra[---]
[---]ormem uoto r[---]
[---] Abasca[---]ru[---]

9Considerate le lettere superstiti del primo rigo, perché non supporre che ci troviamo, ancora una volta, davanti ai nostri due fratelli e integrare di conseguenza [Optatianus et Pude]ns frument(arii) [f]ra[tres ---]? Anche perché prima delle due lettere finali c’è posto per una sola lettera.

Fig. 5 – Frammenti di lastra CIL XIV, 4139 + 4336 + 4612. Parco Archeologico di Ostia Antica (foto F. Marini Recchia).

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10Questa ipotesi ci sembra possa trovare conferma nel frammento inedito cui si è accennato e nella diversa lettura di CIL XIV, 4697 (EDR106919), che per le caratteristiche esteriori, le misure e la paleografia può essere ricondotto alla stessa lastra. Se collochiamo quest’ultimo all’altezza del secondo e terzo rigo, abbiamo modo di completare il testo come segue:

[---s]troru[m Optatianus et Pude]ns frument(arii) [f]ra[tres ---]
[--- a]d dign[iorem statum longa in]curia [def]ormem uoto r[estituerunt?]
[---]tici[--?] Abasca[nt---]+ru[---].

11In questo modo la parola curia si presta ad essere integrata come [in]curia14, mentre il tici del rigo successivo diventa la parte finale del gentilizio di Abasca[ntus], integrabile ad es. in: [Sep]ticius, [Pe]ticius, [At]ticius15. Non siamo in grado di determinare il caso nel quale era espresso questo nome: ablativo. Poteva trattarsi di colui che aveva autorizzato il lavoro, forse anche lui un militare, superiore in grado ai fratelli. Lo spazio successivo al cognome è largamente scheggiato, ma è da escludere all’esame autoptico che potesse contenere una lettera F, che sarebbe stato suggestivo abbinare con le RV successive; inoltre la stessa lettura della R è dubbia poiché si è conservato soltanto l’occhiello superiore (quindi potrebbero andar bene anche la P o la B).

12Il vocabolo iniziale non ha molte integrazioni possibili: le più comuni sono [cas]troru[m] oppure [nos]troru[m]. Sia in un caso sia nell’altro si adattano bene a una dedica o a un’offerta che si riferisce alla famiglia imperiale, ad es. [in honorem dominorum nos]troru[m]16.

13Già Hermann Dessau in nota a CIL XIV 7 aveva avanzato l’ipotesi della presenza ad Ostia di una statio dei frumentarii, anche perché dall’Episcopio di Porto proviene una dedica a Severo Alessandro posta dalla locale statio dei frumentarii (CIL XIV, 125)17. In effetti quest’ipotesi può trovare conferma nel frammento CIL XIV, 5126 (inv. 12145) = EDR109423 che conserva sì la sola parola statio18, ma che può essere accostato all’insieme del testo precedente19; lo spazio vuoto al di sotto e l’altezza delle lettere fanno pensare che facesse parte di un quarto e ultimo rigo; comunque non siamo in grado di precisare le dimensioni complessive dell’epigrafe (fig. 6)20.

Fig. 6 – Frammenti di lastra con l’aggiunta di CIL XIV, 4697 + 5126. Parco Archeologico di Ostia Antica (foto F. Marini Recchia).

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14Abbiamo allora tre testi su tre oggetti differenti: un rilievo su una colonna a scioglimento di un voto; un epistilio per la sistemazione e la decorazione di una base e di immagini; una lastra per il restauro di un qualche cosa andato in rovina e riportato ad un aspetto più degno. C’è un collegamento fra queste opere?

15È opportuno esporre preliminarmente le notizie sulla provenienza dei singoli pezzi. Fortunatamente disponiamo per tutti di indicazioni precise, per lo più ricavate dai Giornali di Scavo, e tutti i dati ci riportano all’area del piazzale delle Corporazioni (fig. 7); più precisamente:

  • CIL XIV, 7, dal Teatro, area dietro la scena, nel marzo 1881;
  • CIL XIV, 115, dall’interno della cella nel tempio del piazzale delle Corporazioni, nel 1881;
  • CIL XIV, 4139, dai grandi Horrea, alla fine del 1886;
  • CIL XIV, 4336, dalle tabernae dietro la casa dei dipinti di via della Fontana e sulla via delle Corporazioni nel tratto ad essa corrispondente (GdS 1913 p. 7 n. 6874);
  • CIL XIV, 4612, dal Teatro, nel retrobottega della terza taberna, cominciando dall'angolo NO (GdS 1913 p. 228 n. 8136);
  • CIL XIV, 4697, da via delle Corporazioni a O di via della Fontana (GdS 1912 p. 315 n. 6532);
  • CIL XIV, 4733 a-b, dal piazzale delle Corporazioni (GdS 1912 p. 274 n. 6308);
  • CIL XIV, 4733 c, dall’area a N degli horrea Epagathiana (GdS 1922 p. 74 n. 14598);
  • CIL XIV, 5126, dalle adiacenze della Caserma dei Vigili (GdS 1912 p. 15 n. 5201).

16Per quanto riguarda la colonna iscritta, il Lanciani, che l’aveva trovata presso il lato orientale del tempio21, la collocò nella posizione attuale, tra le altre 13 colonne dietro la scena del teatro, « sopra cuscini di tufa, conservati tutti al luogo loro, dimodoché », in tutta la sequenza risultava « la misura precisa dell’intercolumnio che è di met. 2,81 »22. La Floriani Squarciapino accettò implicitamente (senza, comunque, discuterla) questa ipotesi, ricollegando l’operazione con i lavori di ampliamento e ristrutturazione del teatro, che avrebbero interessato, pertanto, non solo l’edificio scenico, ma anche il retrostante piazzale23. Però l’idea attualmente invalsa è che il colonnato sia stato ricostruito nel postscena erroneamente e che in realtà esso in origine facesse parte di un portico in summa cavea del teatro, secondo quanto sostenuto dal Calza (forse su suggerimento del Gismondi)24. A nostro avviso non può essere trascurato il dato obiettivo delle 14 basi trovate dal Lanciani in situ: in tal caso avrebbe una certa logica l'ipotesi che, nel contesto della ristrutturazione severiana di tutto il complesso, sia stata progettata una sorta di quinta scenografica di 14 colonne davanti all'ingresso del tempietto, mascherando quindi il muro esterno posteriore della scena. In alternativa, tuttavia, va anche fatto presente che una colonna del genere per sua stessa natura dovrebbe essere pertinente ad un sacello, più che restare isolata nella sequenza anonima e uniforme di un colonnato continuo. Pertanto neanche si può escludere l’ipotesi di una sua pertinenza ad un monumento di cui attualmente non è visibile alcun resto murario e che potrebbe essere stato interrato tra la tarda età imperiale e l’alto medioevo, oppure anche nel corso degli scavi condotti dal Lanciani e dal Vaglieri. A tal riguardo è interessante l’indicazione del Vaglieri circa l’esistenza di « grosse fondazioni di un monumento posto a ca 20 m. a nord del tempio c.d. di Cerere ».25

Fig. 7 – Quadro d’insieme dei rinvenimenti (da Beccati 1961).

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17La cornice iscritta è stata rinvenuta all’interno del tempietto del Foro delle Corporazioni (fig. 8). Questo, come è noto, presenta un podio in laterizio (forse in origine rivestito di marmi), lungo m 25,50 e largo m 11,30 ed alto m 2,20 dal piano di campagna; la cella, di m 25,50 x 8,30, presenta al suo interno un piedistallo di m 3,40 x 1,20 e, al centro di ciascuno dei due lati lunghi due nicchie larghe circa m 2,35 (fig. 9). Probabilmente era prostilo e (forse) tetrastilo26. Per la presenza di bolli laterizi dell’età di Domiziano nella struttura del podio, si data alla fine del I sec. d. C.27

Fig. 8 – Tempietto del piazzale delle Corporazioni (foto A. Pellegrino).

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Fig. 9 – Tempietto del piazzale delle Corporazioni. Nicchia nel lato lungo est della cella (foto A. Pellegrino).

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18Purtroppo i pesanti restauri ai quali fu sottoposto agli inizi del secolo scorso impediscono una coerente lettura delle originarie linee architettoniche. In una fase successiva (verosimilmente intorno ai decenni centrali del II sec. d. C.), furono aggiunte ai fianchi del tempio due grandi strutture che, per la presenza di cocciopesto idraulico e di fori nella cortina laterizia, sono state interpretate come vasche/ninfei28. Inoltre al podio furono addossati, sulla fronte, due altre piccole vasche rettangolari, e, sul retro, due avancorpi che delimitano un ampio vano centrale.

19Non si hanno dati concreti che consentano di individuare la divinità a cui l’edificio sacro era dedicato. Tradizionalmente si è a lungo ritenuto che fosse dedicato a Cerere, in virtù della presenza di iscrizioni e figurazioni allusive al commercio del grano nei mosaici nelle stationes del piazzale29. Si è pensato anche a Vulcano, per il ritrovamento nei paraggi di frammenti di iscrizioni relativi a tale culto e per i confronti con la Crypta Balbi30 o anche a un monumento di una non meglio definita « auto rappresentazione » eretto a cura delle corporazioni interessate31. Al riguardo la Rieger ha proposto un riferimento al Pater Tiberinus32, sulla base di CIL XIV, 376 (… cellam Patri Tiberino restituit …) e di un passo di Ovidio (Fast., 4, 331-332) che menziona gli Atria Tiberina dove sarebbe approdata la nave di Cibele. A tal proposito, senza entrare nel merito specifico della questione, va soprattutto fatto presente che il tempio con la sua fronte è rivolto verso sud e non verso nord, dove scorre il Tevere: quindi sembra in relazione più con il teatro che con il fiume. Allo stato attuale delle nostre conoscenze sembra più verosimile l’ipotesi di Pensabene il quale ritiene probabile che il tempietto fosse stato costruito in funzione del culto imperiale. Lo dimostrerebbero il ritrovamento in zona di dediche ai flamines di Vespasiano e Tito, di iscrizioni dedicate al Numen Domus Augusti (CIL XIV, 4424) e alla Fortuna Augusti (CIL XIV, 4283), nonché la presenza di vasche e ninfei lungo i fianchi del podio, sistemazione architettonica tipica dei templi dedicati agli imperatori nel periodo adrianeo-antonino33.

20Se l’epistilio con la iscrizione CIL XIV, 115 + 4733a, b, c, fosse relativo alla trabeazione interna della cella del tempietto, confermerebbe l’idea di una sua consacrazione al culto imperiale. Infatti i uultus menzionati nella dedica difficilmente potrebbero essere intesi come qualcosa di diverso dai busti di membri della famiglia dell’imperatore (probabilmente i Severi)34; peraltro interpretazioni diverse, quali busti di divinità o personaggi di rilievo, sembrano difficilmente percorribili. La cornice angolare in oggetto, di marmo lunense (inv. 19321), è alta cm 23,8 e i lati misurano cm 51,5 x 97; è costituita da un listello, gola dritta e corona sporgente, sotto la quale si svolge una modanatura con ovolo, listello, gola rovescia e listello (fig. 10). È possibile una sua collocazione all’interno dell’edificio sacro? Come si è già rilevato, i pesanti restauri e le parziali ricostruzioni eseguiti il secolo scorso hanno cancellato quasi del tutto i resti delle strutture originarie, sia nelle quote che nella estensione dei muri, per cui è arduo proporre sicure restituzioni grafiche dell’aspetto originario. In ogni modo, dosando opportunamente la distribuzione degli elementi architettonici del pronao e di tutta la parte esterna in rapporto allo sviluppo delle colonne e trabeazioni all’interno della cella è possibile, se non altro, avanzare un’ipotesi. È probabile che il tempio in origine fosse tetrastilo (attualmente sulla fronte sono rialzate solo due colonne)35, con due colonne e una semicolonna ai lati, prolungando i muri laterali del pronao di circa m 1,9 (fig. 11). Va da sé che sono possibili altre soluzioni come il pronao con una sola colonna laterale per lato e il prolungamento dei muri della cella di oltre m 2,50, oppure il pronao senza colonne laterali e con i muri laterali prolungati fin quasi alle colonne frontali. Però tali soluzioni sono poco attestate e comunque non sarebbero tali da modificare l'articolazione dell'architettura della cella che in questa sede si propone.

Fig. 10 – Disegno della cornice iscritta ritrovata nella cella del tempietto del piazzale delle Corporazioni. (dis. C. Albo, da Pensabene 2007).

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Fig. 11 – Tempietto del piazzale delle Corporazioni. Pianta attuale e ricostruzione grafica del prospetto interno (schizzo ricostruttivo di M. Bruno).

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21Per quanto riguarda l’interno, la cornice con l’iscrizione potrebbe far parte della trabeazione di una edicoletta sorretta da due colonnine complessivamente alte circa m 4,2 che inquadra una delle due nicchie centrali che si aprono al centro dei lati lunghi. Facendo riferimento alla ricostruzione del testo dell'iscrizione presentato nell'ipotesi B, la sua presumibile lunghezza di circa m 3 sarebbe compatibile con quella dell’epistilio lungo circa m 4 (fig. 12-13): essendo ora incompleto, è presumibile che lo spazio a sinistra della parola basim fosse occupato da altre parole, distribuite nello spazio di poco più di un metro, forse relative ad elementi architettonici (del tipo columnas, aediculam …). In tal caso si può pensare che la nicchia ospitasse i busti, posti su di una mensola o una trapeza; ma, a prescindere dal fatto che tali soluzioni sono meno documentate, per quel che ci interessa, ciò non inficia l’ipotesi base della nicchia inquadrata da un’edicola che resta comunque la più verosimile.

Fig. 12 – Tempietto del piazzale delle Corporazioni. Ricostruzione grafica del prospetto dell’edicola con il testo dell’iscrizione (schizzo ricostruttivo di M. Bruno).

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Fig. 13 – Tempietto del piazzale delle Corporazioni. Ricostruzione grafica del timpano e dell’architrave con il testo dell’iscrizione (schizzo ricostruttivo di M. Bruno).

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22A conclusione di quest’analisi è parso evidente che i due fratelli frumentarii abbiano contribuito in qualche modo, in età severiana, ai lavori di ristrutturazione del teatro e del piazzale delle Corporazioni, in cui si fece sicuramente anche largo uso del marmo. D’altra parte, questo specifico corpo di militari, come è noto, a partire soprattutto dai decenni centrali del II sec. d. C., aveva varie, importanti e delicate mansioni legate agli interessi degli imperatori, tra cui il controllo delle estrazioni dalle cave, del trasporto dei marmi e in genere delle attività edilizie pubbliche di rilievo36. Nulla vieta di pensare che nella parte più rappresentativa di Ostia abbiano voluto lasciare, con la dedica di una colonna scolpita e il restauro di un nicchia con i busti dei membri della famiglia imperale, il ricordo del loro impegno al servizio della città e dell’imperatore.

Appendice - Il tempio del piazzale delle Corporazioni. Proposta ricostruttiva

23I resti del tempio del piazzale delle Corporazioni si presentano oggi fortemente restaurati e integrati tanto da rendere difficile la lettura e la comprensione del monumento, di cui si conservava solo il podio, mentre nulla o pochissimo rimane dell’alzato dell’edificio stesso. L’esigua documentazione di archivio non facilita il compito interpretativo ma consente di intuire che le dimensioni del podio corrispondono a quelli attuali, davanti al quale si intravvede, in corrispondenza del lato anteriore rivolto verso il teatro, un ingombro in cementizio informe, successivamente ripristinato come scalinata, che dal piano del piazzale delle Corporazioni consentiva la salita verso il piano superiore della cella. Sul piano del podio una muratura alta solo cm 40 circa, quasi completamente di ripristino ad eccezione di alcuni filari di mattoni inferiori, ripropone il profilo del muro della cella, largo cm 90 circa, che sembrerebbe proseguire anteriormente lungo i lati ben oltre i muri trasversali d’ingresso, larghi cm 108 circa, che definiscono un’entrata molto ampia di m 5,5 circa. Sul fondo della cella un podio sporgente, affiancato forse da un bancone continuo37, era posto centralmente, mentre le due pareti laterali erano scandite da una singola ampia e profonda nicchia impostata dal piano pavimentale38. Per quanto riguarda invece i materiali architettonici reimpiegati anche nell’anastilosi si può rilevare nelle fotografie d’archivio la presenza sul podio delle due basi attiche di colonna39, mentre non vi è traccia delle colonne scanalate frammentarie successivamente riposizionate40, anche se il Lanciani ricorda di averne rinvenuto diversi frammenti assieme alle basi e a un capitello corinzio41, probabilmente quello oggi sulla colonna di sinistra del tempio e che viene attribuito all’epoca domizianea42. Anche i frammenti di cornice iscritti, tutti in marmo lunense e oggetto del presente studio, furono rinvenuti nell’area della cella del tempio43. Si può quindi verosimilmente presupporre che tutti gli elementi architettonici facessero parte dell’originale apparato architettonico del tempio datato all’epoca domizianea, ambito cronologico che trova anche un puntuale riscontro nell’uso e nell’abbinamento dei due marmi bianchi menzionati, il pentelico e il lunense44.

24La presenza di due sottoplinti in travertino per le colonne rinvenuti nella struttura muraria sottostante ha suggerito il ricollocamento delle due colonne centrali sul limite anteriore della fronte determinando al contempo un intercolumnio molto ampio, pari a m 3,5 circa, che avrebbe ridotto notevolmente gli eventuali due attigui laterali. La posizione delle due colonne centrali ha inoltre definito, nella ricostruzione, l’ampiezza della scalinata nonché la dimensione delle due guance laterali della gradinata, larghe cm 90 circa, quanto i plinti delle basi delle colonne riposizionate.

25Premesso ciò, considerando inoltre la scarsa chiarezza riguardante il ripristino delle murature visibili sul piano della cella oltre alla difficile comprensione delle quote e dei livelli originari delle strutture, la riproposizione di un’ipotesi planimetrica ricostruttiva rimane purtroppo difficoltosa e incerta. Se all’epoca degli scavi si ipotizzò una fronte distila in antis, l’ipotesi con fronte tetrastila sembrerebbe rimanere quella più accreditata, anche se l’ampio intercolumnio delle colonne centrali costituisce un fattore affatto trascurabile che necessiterebbe un ulteriore approfondimento45. La difficoltà maggiore è invece rappresentata dal muro con vano porta d’ingresso alla cella, fortemente arretrato rispetto alla fronte, e dal setto murario mostrato in prosecuzione con quello laterale della cella, di cui però non si riesce ad intuire la reale veridicità. La distanza tra la fronte del tempio e il muro d’ingresso alla cella è tale da poter collocare sul fianco di una facciata tetrastila tre, due o una sola colonna con semicolonna addossata al muro sporgente della cella46. Tuttavia se i dati strutturali non consentono di chiarire allo stato attuale in modo definitivo la questione, alcune indicazioni maggiori possono essere suggerite dagli elementi architettonici rinvenuti che permettono quanto meno di comprendere lo sviluppo dell’ordine della fronte colonnata47. La definizione dell’altezza di questo consente non solo di riproporre una ricostruzione grafica complessiva dell’edificio, ma è anche funzionale alla determinazione di quella del vano porta, che costituisce una quota di riferimento per l’altezza massima delle nicchie interne48 e dell’edicola antistante sorretta da due colonne di altezza canonica minore49. Il frontoncino superiore si ripropone in questa sede con un fregio architrave lungo cm 350 circa e con un’altezza di cm 60 circa, mentre la cornice di coronamento, iscritta sulla superficie liscia della corona, sporge su entrambi i lati di cm 30 circa50.

26Per quanto riguarda la ricostruzione del tempio pare poco probabile una soluzione distila in antis, come anche quella con tre colonne sul fianco prima della semicolonna addossata all’angolo della cella e inesatta è anche la versione esemplificativa del modellino marmoreo rinvenuto nella sede degli Augustali51, prostilo, tetrastilo, pseudoperiptero, proposto in passato come modellino di progetto per il Tempio del piazzale delle Corporazioni alla cui planimetria, però, poco si addice.

27La ricostruzione che qui si ripropone si limita volutamente alla sola sezione/prospetto longitudinale del Tempio del piazzale delle Corporazioni, proponendo una versione tetrastila con due colonne sui lati e una semicolonna addossata ad un’ipotetica prosecuzione del muro della cella, con altezza ricostruita dell’architettura dell’edificio definita sulla base degli elementi conservati in modo da poter collocare verosimilmente, e con le giuste proporzioni, l’edicola con cornice iscritta all’interno della cella.
Mathias Bruno

Bibliographie

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Notes de bas de page

1 Scarse sono le attestazioni a Ostia di questi militari specializzati, incaricati dell’approvvigionamento dei reparti e in seguito, a partire dal regno di Adriano, divenuti anche « corrieri » e addetti alla sicurezza: Claudius Pompeius Rusticus Diocles mil. fr. leg. III Gal., inv. 8204 = RICIS, II, n. 503/1116. Per quanto riguarda più da vicino i loro compiti e la loro dislocazione Clauss 1973, p. 82-109; Mann 1988, p. 149-150; Rankov 1990, p. 176-182. Non è da escludere che il termine fratres, considerato l'ambiente militare, si riferisca a una fratellanza d'armi invece che di sangue.

2 Genio Kastrorum (!) peregrinor(um) / Optatianus et Pudens, / frumm. (i.e. frumentarii duo) fratres ministerio [[---]] uota soluerunt. Cf. Floriani Squarciapino 1971-1972, p. 174; Panciera 2006, p. 1435.

3 Lanciani 1881, p. 116.

4 A lui è però dedicata CIL XIV, 4392, con il nome eraso, come pure è stato cancellato nella data consolare di CIL XIV, 324; in CIL XIV, 4385 l’erasione è appena accennata.

5 CIL VI, 68, ministerio Canniae Fortunatae; CIL X, 7457, qui solus ex ministerio meo; CIL XI, 1916, minist[e]rio suo.

6 Fr. a (XIV, 4733 c), cm 12 x 58 x 13/12,5; fr. b (XIV, 4733 b + XIV, 115), cm 12 x 25 x 12,5/51,5; fr. c (XIV, 4733 a), cm 11 x 17,5 x 10; le lettere sono alte tra cm 3,2 e 3,5; n. inv. complessivo 11929.

7 Descritto in Lanciani 1881 p. 112: « angolo di cornice marmorea, modinata (sic) di gola, gocciolatore, ovolo, dentello e gola rovescia ». In conseguenza di questa aggiunta l’altezza del fr. b passa a cm 23 e la larghezza a cm 122; inv. 19321.

8 CIL XIV, 115 è rimasto sempre all’aperto nel piazzale delle Corporazioni, a contatto con il terreno ed esposto alle intemperie; gli altri frammenti sono stati, fin dall’epoca del loro rinvenimento, conservati al chiuso nei magazzini ostiensi.

9 Matthias Bruno ha verificato di persona la qualità del marmo, il profilo delle cornici, le modalità di lavorazione della superficie superiore con alcune caratteristiche unghiature e non ha riscontrato alcun elemento di incompatibilità tra i diversi frammenti.

10 Del comparativo cultior vi sono solo due attestazioni: CIL X, 478 (Paestum): statum cibitatis (!) cultiorem e CIL XIV, 5320 (Ostia): cultiori opere.

11 Statuam cum basi (CIL XIV, 4288), dall’Isola Sacra; statua aerea ... cum basi marmorea (AE 1940, 62); cum basi marmorata (CIL XIV, 16), da Porto. Cf. anche CIL VI, 422 = 30765, sacrorum signum et basim / uoto suscepto de suo posuit; CIL IX, 949, restituit ba/simq(ue) signum / eius diuino / monitu.

12 Amm., 25, 1, 12: humanorumque uultuum simulacra. Per gli onori alle immagini imperiali Kahlos 2016, p. 122-124.

13 Un esempio di dedica ai singoli componenti della famiglia imperiale è quella posta, all’inizio del III sec., dai patroni del collegio degli hastiferi (inv. 6625).

14 L’aggettivo deformis abbinato con incuria è attestato da ILAlg I, 1201: [--- l]abe incuriaque deform[---]. Incuria ad Ostia è in CIL XIV, 135: incuria longi temporis destituta[s] e Cébeillac-Gervasoni – Caldelli – Zevi 2010, p. 150 n. 28.2.2: uetustatis incuria.

15 Gentilizi tutti abbastanza rari ad Ostia, rispettivamente 4, 2, 2 attestazioni; Atticius in realtà è un gentilizio di Porto.

16 L’espressione ha un’attestazione epigrafica (AE 1998, 1361-1362), ma non mancano formule consimili.

17 Sempre a Porto sono attestati il centurione frumentario Iulius Maternus (AE 1977, 171; Cébeillac-Gervasoni – Caldelli – Zevi 2010, p. 273-275 n. 79). L. Senpronius (!) Quintianus ((centurio)) fr. (IPO A 223); L. Aelius [---] Provincial[is ---] cent. fru[m. ---] (CIL XIV, 4487 = IPO B 4).

18 cm 9,8 x 14,2 x 4,2; lett. 3,8.

19 Le lettere però non sono così cattive come le definisce il CIL.

20 CIL XIV, 4139 (inv. 8189 a): cm 16 x 16 x 4; inv. 8189 b, inedito: cm 14 x 15 x 4,1; XIV, 4336 (inv. 8309): cm 11,5 x 12,5 x 4; XIV, 4612 (inv. 12342): cm 9 x 13 x 4,2; XIV, 4697 (inv. 11911): cm 10 x 10 x 4,2. Le lettere sono alte all’incirca cm 3,5; leggermente più alte (cm 3,8) quelle del frammento CIL XIV, 5126. La larghezza della lastra non doveva essere inferiore a cm 70.

21 Lanciani 1881, p. 111.

22 Lanciani 1881, p. 111.

23 Floriani Squarciapino 1971-1972, p. 174-75.

24 Calza 1927, p. 23, fig. a p. 27; Calza – Becatti 1981, p. 25. Per la ricostruzione grafica, v. Pensabene 2007, p. 285, fig. 160.

25 Vaglieri 1912, p. 436, opportunamente ricordato in Battistelli – Greco 2002, p. 405.

26 Lanciani 1881, p. 116; Pensabene 2007, p. 198-212.

27 Calza 1953, p. 121, 221; Pensabene 2007, p. 204.

28 Pensabene 2007, p. 204-205.

29 Paschetto 1912, p. 370; Vaglieri 1914 (ma con dubbi); Calza – Becatti 1981, p. 26. Solo Carlo Pavolini per primo, pur se in ambito divulgativo, fece notare l’infondatezza di tale attribuzione (Pavolini 1983, p. 67, ribadita in Pavolini 2006, p. 70).

30 Pellegrino 1986; Coarelli 1997, p. 222-226.

31 Steuernagel 2004, p. 76-77. Già il Paschetto (Paschetto 1912, p. 174-75) metteva in relazione il tempietto con CIL XIV, 246 in cui è ricordato l’ordo corporator(um) qui pecuniam ad ampliand(um) templum contuler(unt).

32 Rieger 2004, p. 243-244.

33 Pensabene 2007, p. 198-200, 209-212; cf. Terpstra 2014, p. 127-129.

34 Le considerazioni sopra riportate sul testo iscritto nella colonna, in cui è presenta una erasione, e la molto convincente datazione su base stilistica della Floriani Squarciapino (v. nota 23), sembrerebbero confermare la datazione.

35 È probabile che in origine fosse prevista la sistemazione di altre due colonne ai lati estremi del pronao. Ma in tal caso avremmo l’anomalia dell’intercolumnio centrale, e quindi dell’ingresso, troppo ampio. Come si è detto, manomissioni e restauri precedenti hanno alterato quello che era l’aspetto originario.

36 Tedeschi Grisanti 1975, che ricorda i nomi di due frumentari di età severiana incisi sulle pareti di una cava di Carrara; Pensabene 2015, p. 490.

37 Pensabene interpreta questa parte come risega di fondazione e non come bancone continuo: Pensabene 2007, p. 200.

38 Le nicchie sono ampie cm 235 circa e profonde cm 45 circa, non sono poste centralmente, ma più verso l’ingresso della cella.

39 Le due basi in marmo pentelico sono caratterizzate da un plinto con altezza anomala di circa cm 22. Inoltre i rispettivi lati anteriori delle due basi, come anche i due interni, hanno una superficie ribassata incorniciata esternamente da una piccola fascia e una gola rovescia. Questa articolazione si limita a due terzi della superficie dei lati esterni delle basi, lasciando la parte rimanente liscia semirifinita, lavorazione che caratterizza anche entrambi i lati posteriori delle basi. La particolare lavorazione dei lati esterni dei plinti delle basi potrebbe suggerire la presenza di una balaustra posta tra le colonne centrali e quelle angolari di una fronte che si può supporre tetrastila.

40 Le colonne scanalate rialzate, come i sei frammenti in prossimità del podio, sono tutte in marmo pentelico. Da notare, inoltre, che il riallestimento delle due colonne presenta alcune anomalie riguardanti, non tanto per la giustapposizione di frammenti in origine probabilmente non combacianti, quanto per l’eccessiva altezza della colonna di destra fuori norma per le canoniche proporzioni dei fusti di epoca romana. Gli altri frammenti ancora a terra lungo la fronte del tempio recano evidenti segni di preparazione di ancoraggio mediante staffa metallica da inserire in un’apposita cavità realizzata mediante carotaggio per poterle successivamente rialzare. Il diametro di cm 65 indicato dal Lanciani (Lanciani 1881, p. 113) è eccessivo in quanto si aggira in effetti tra i cm 59-62.

41 Lanciani 1881, p. 113.

42 Il capitello è in marmo lunense, in proposito si veda Freyberger 1990, p. 28, cat. 47; Pensabene 1973, p. 60, cat. 225; Pensabene 2007, p. 205-206.

43 Lanciani 1881, p. 113.

44 Sull’uso dei marmi bianchi nell’architettura urbana si rimanda a Bruno et al. 2002.

45 Ricordiamo che ad oggi l’unica pianta esistente dell’edificio è quella molto generica e poco accurata pubblicata dal Becatti (Becatti 1961, p. 66, fig. 19).

46 La distanza ipotizzata per l’intercolumnio è di cm 120 circa, che però potrebbe essere anche maggiore, diminuendo in qual caso la quantità delle colonne sul fianco e la prosecuzione del muro della cella.

47 L’altezza dell’ordine è stimata sulla base dei diametri inferiori dei fusti scanalati conservati, variabili tra i cm 59 e 62, pari a due piedi romani circa, a cui dovrebbe corrispondere un’altezza complessiva dell’ordine di cm 574 circa. La base attuale alta cm 43 poteva trovare un impiego e posizionamento particolare; si è deciso per convenzione di riproporre un’altezza canonica di cm 30. Il fusto doveva misurare cm 480 circa di altezza, mentre il capitello, come anche quello rinvenuto, aveva un’altezza di cm 62 circa per cui si veda anche Pensabene 1973, p. 60, cat. 225; Pensabene 2007, p. 205.

48 La profondità e il profilo interno delle due nicchie sembra corroborato da alcuni filari inferiori in mattoni che confermerebbero l’incasso, come riportato, tra l’altro, anche nella pianta del Calza 1953.

49 L’altezza delle due colonne dovrebbe aggirarsi sui m 4,2, con base attica alta cm 22, fusto di cm 350 e diametro inferiore di cm 44 circa e capitello di cm 47 circa. Troppo piccoli risulterebbero i due frammenti scanalati di fusti di colonna con diametro di cm 33-35, giacenti sempre presso il podio. L’elemento terminale destro della cornice lavorato anche sull’attiguo lato breve destro ne determina una posizione sporgente che ben si addice ad un’edicola con colonne posta dinnanzi alle nicchie, mentre, al contrario non potrebbe trovare collocamento in una trabeazione applicata a parete del muro della cella: in proposito anche Pensabene 2007, p. 207. L’attribuzione all’ornato della cella sembrerebbe anche determinata dal rinvenimento al suo interno dei frammenti di cornice come riferito dal Lanciani 1881, p. 113.

50 La lunghezza dell’architrave è compatibile con le dimensioni di un unico elemento monolitico. La cornice, al contrario, essendo lavorata separatamente e poggiando sull’elemento marmoreo sottostante poteva essere stata realizzata anche con più elementi.

51 Pensabene 1996-1997, p. 151.

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