Cenotafi ellenistici e romani in Asia Minore
p. 263-280
Résumés
Questo articolo parte dall’osservazione di Cecilia Ricci che distingue tra cenotafi di necessità (quando mancano corpo e tomba) e cenotafi di memoria (quando la tomba che contiene effettivamente il corpo è altrove) ed elenca i termini greci e latini che si riferiscono a tale realtà. Dall’attento esame della parola cenotafio nelle iscrizioni dell’Asia Minore e dallo studio della tomba M1 a Perge, chiamata anche tomba di Artemone, che occupa una posizione chiave in questo ambito, emerge che il termine cenotafio nelle iscrizioni va letto prendendo in considerazione che, in alcuni casi, qualcuno vi è stato sepolto negli anni successivi alla redazione dell’iscrizione senza che l’iscrizione sia mai stata aggiornata. Quattordici epigrammi greci contenenti la parola cenotafio e iscritti su altari e stele – in traduzione italiana – servono come fonte per capire chi erano i dedicanti e perché si sono impegnati. I monumenti descritti appaiono spesso molto simili a vere tombe, tanto che il confine con esse appare sfocato. Ma anche la statua di una persona defunta eretta in un santuario poteva essere chiamata cenotafio. Da questa prospettiva devono essere visti anche i cenotafi di due personaggi della famiglia imperiale romana: quello di età augustea di Caio Cesare a Limyra, e quella dell’imperatore Traiano in Cilicia, entrambi a forma di tempio/heroon posto nel mezzo delle rispettive città.
This paper starts with Cecilia Ricci’s concept, which differentiates between necessary cenotaphs (necessary because there is no body and no tomb) and cenotaphs as memorials (because the person has his or her tomb elsewhere) and lists the Greek and Latin terms referring to such monuments. This study is based on the careful examination of the word cenotaph in the inscriptions of Asia Minor and from the analysis of the tomb M1 in Perge (also called the tomb of Artemon), which occupies a key position in this regard. The study findings shows that the term cenotaph in the inscriptions should be read taking into account that, in some cases, someone was buried on the site in the years after the inscription was carved, but that inscription was not updated. Fourteen Greek epigrams containing the word cenotaph, which are inscribed on altars and stelae, serve as sources of information about the dedicants and their motivations. The monuments described are usually very similar to real tombs, so that the difference between these and real tombs appears unclear. In some cases, even a statue of a dead person placed in a sanctuary to commemorate him or her, is called a cenotaph. In this regard, we will also examine the cenotaphs of two members of the Roman Imperial family, those of Gaius Cesar at Limyra from the Augustean period and of Emperor Trajan in Cilicia, both of which take the form of a temple/heroon (temple-like tomb) and were placed in the middle of the respective city.
Entrées d’index
Keywords : Cenotafio, Asia Minore, luogo di memoria, morte, famiglia
Texte intégral
1Alcune persone, oggigiorno, soprattutto nei ceti medio-alti dell’Europa nordoccidentale, esprimono come ultima volontà il desiderio che le loro ceneri siano disperse nella natura, magari in Grecia, proprio sulle montagne della mitica Arcadia, o in mare. In tali casi, del defunto non rimane più alcuna traccia. Questa moda attuale contrasta fortemente con le convinzioni dei Greci e dei Romani, per i quali la privazione o l’assenza di sepoltura toccava solo ai più poveri1, e soprattutto ai criminali, condannati ad bestias o gettati in mare. Anche l’inumazione in luoghi non consentiti2 era preferita, perché costituiva comunque una forma di seppellimento. L’importanza data alla sepoltura3 si spiega perché il defunto insepolto, uscito dalla comunità dei vivi, non poteva passare nel mondo dei morti e rimaneva in uno stato intermedio, del tutto insoddisfacente. È questa la ragione per cui tutti, nel mondo greco e romano, dai tempi di Omero fino alla tarda antichità, già nella pienezza della propria vita, erano fortemente preoccupati di costruirsi una tomba. Dietro a questa prassi comune, appare il desiderio di sopravvivere in qualche modo, o almeno di essere ricordato dalla posterità. Fondamentale quindi è il concetto di memoria: la memoria si mantiene grazie alla costruzione di un monumento ben visibile, radicato in un luogo specifico, punto di riferimento per la famiglia del defunto, dove ci si può riunire nei giorni dedicati al ricordo e in quelli festivi4. Questo monumento ha un valore per i contemporanei, ma rimane anche disponibile per le future generazioni, testimoniando dell’esistenza degli individui, del loro rango sociale, della loro importanza, del loro onore, diventando così un archivio storico rintracciabile 5.
2La preparazione del sepolcro è sempre programmata per l'eternità6. E, al fine di proteggerlo in modo efficace e per il maggior tempo possibile, talvolta esso reca iscrizioni che contengono minacce e sanzioni indirizzate ai potenziali violatori del sepolcro7. Se l'aldilà è pensato come un luogo triste, dove le ombre vagano nelle tenebre8, l'unica speranza che rimane è la memoria. L'importanza considerevole del sepolcro come luogo della memoria eterna spiega anche la creazione di tombe vuote, di cenotafi, nei casi in cui il defunto, a causa delle circostanze della sua morte (caduta in campo di battaglia, annegamento in mare ecc.), non era accessibile; oppure nei casi in cui era stato sepolto altrove, in una fossa comune oppure in una tomba in un paese lontano. Tra i più noti cenotafi del mondo antico vi sono per esempio la famosa stele attica di Dessileo9, deceduto in battaglia o, qualche secolo dopo, la stele romana di Marco Celio10 a Xanten, che apparteneva alla legione XVIII e che morì nella foresta di Teutoburgo nel 9 d.C.
3L’indagine che qui si propone si incentra sui cenotafi dell’Asia Minore, tra periodo ellenistico ed imperiale. Dopo un breve accenno ai termini impiegati per esprimere il concetto di «cenotafio», presenterò i risultati della ricerca nella banca dati del «Packard Institute» per giungere poi alla presentazione di varie stele e altari cenotafi, le cui iscrizioni metriche testimoniano del fatto che si tratta di tombe rimaste veramente vuote. Infine, mi soffermerò sui presunti cenotafi di membri della famiglia imperiale romana, quelli di Gaio Cesare e dell’imperatore Traiano.
Definizione
4La parola cenotafio (cénotaph [fr], Kenotaph [ted], ecc.) è formata dall’unione di due parole greche, «κενὸς» e «τάφος», che significano semplicemente «vuota» e «tomba»11. Partendo proprio dal significato di queste parole, ricaviamo che, in generale, il cenotafio non si distingue dal sepolcro12 se non per il fatto che il morto non è seppellito lì13. In base all’aspetto esterno invece, non è sempre facile distinguere i cenotafi dalle tombe vere e proprie14. Cecilia Ricci, nella sua monografia del 2006 sui cenotafi, individua due funzioni primarie del cenotafio: o come sostituto (A) o come raddoppiamento della tomba (B). Definisce i primi «cenotafi di necessità» (A), gli altri «cenotafi di memoria (B)»15. Nel primo caso la persona non è più rintracciabile, poiché non si può più trovarne il corpo; di solito il cenotafio è eretto immediatamente dopo la morte: assomiglia a una tomba e sostituisce per necessità una tomba vera, offrendo un luogo fisico per il lutto; talvolta è inserito anche in una necropoli16 insieme alle tombe «vere» perché, per i Greci e i Romani, ognuno per forza deve avere una sua tomba. Nel mondo antico il luogo di nascita, come radicamento dell’identità e della patria, ha un’importanza centrale17: ciò emerge in particolare dalla frequente menzione del luogo di nascita nelle iscrizioni sepolcrali. Ha un valore preminente anche la famiglia18, come punto fisso di riferimento di ogni persona; per cui tocca alla famiglia la cura della tomba e la gestione delle cerimonie organizzate durante i giorni festivi del culto del morto19. Per questa ragione, poteva succedere che il corpo di una persona morta fosse riportato a casa, persino da grandissima distanza, in modo tale che la famiglia potesse rispettare queste tradizioni funebri. L’esplicito trasferimento del corpo di una defunta da Roma a Lione è per esempio testimoniato dall’iscrizione lionese di Iulia Helias, morta nell’Urbe all’età di poco più di 25 anni. Come specifica il testo, il corpo fu rimpatriato dalle due sorelle perché fosse seppellito «nel sarcofago del mausoleo a Lione»20. Si conoscono inoltre parecchie iscrizioni dalle province occidentali dell’impero romano, che ricordano qualcuno morto in un luogo lontano21.
5Nel secondo caso, il cenotafio è eretto per chi ha la tomba altrove. Questa «seconda» tomba funge soprattutto da luogo della memoria; il carattere commemorativo22 prevale sulla funzione tombale. Il monumento può essere collocato in una necropoli o in città. Questo vale anche per il tumulus honorarius23 e l’heroon, monumenti in cui si venera il defunto eroizzato, che può essere anche assimilato a un eroe mitologico24. In questi casi, si riscontrano delle differenze rispetto alle tombe vere e proprie, per quanto riguarda forma e aspetto del monumento.
6Sinonimi greci di κενοτάφιον25 sono στήλη (o λίθος) κωφή («mendace»), ψεύστη («finta»), κενὸν μνῆμα / κενὸν σῆμα, κενήριον (monumento vuoto). Presso i Romani il κενὸς τάφος è tradotto con: inane sepulcrum, tumulus honorarius, sepulcrum honorarium26, cenotaphium (Verg. Aen. 3, 303-305)27, con derivazione dal greco, e monumentum memoriae.
L’uso della parola «κενοτάφιον» nelle iscrizioni greche dell’Asia Minore
7Secondo Cecilia Ricci, la frequente ricorrenza della parola «cenotafio» nelle epigrafi dell’Asia Minore rivelerebbe che, nel periodo imperiale, la parola assume il senso di «camera sepolcrale»28. L’attenta lettura delle iscrizioni e dei contesti in cui la parola appare sembrano segnalare un significato diverso e più specifico. Il senso rimane sempre «tomba ancora vuota», «preparata, ma non ancora in uso perché, al momento della sua costruzione, le persone sono ancora vive». Un ricco complesso archeologico da Perge ne dà un esempio chiaro: nella necropoli occidentale di Perge29 si trova la tomba M1 o tomba di Artemone30, un piccolo edificio rettangolare costruito in laterizio e calcare, che presenta all’interno delle nicchie e una decorazione pittorica. Questa tomba è stata datata dagli scavatori all’inizio del III sec. d.C. L’architrave sopra l’ingresso reca l’iscrizione del proprietario, la quale spiega che un certo Artemone, figlio di Epaphroditos, ancora vivo, costruì questo cenotafio per la moglie Artemisia e i figli. La tomba è dunque denominata cenotafio solo perché, al momento della sua costruzione, tutte le persone cui era destinata erano ancora vive e la tomba destinata a rimanere vuota per un uso futuro. Ci sono molti altri casi, nell’epigrafia dell’Asia Minore31, in cui la parola «κενοτάφιον» è usata nella stessa maniera, sempre nel senso di «tomba temporaneamente vuota, perché tutti vivono ancora».
8I monumenti più attendibili per l’indagine sui veri cenotafi in Asia Minore sono quelli con testi espliciti, che qui esaminiamo.
91. Stele dipinta; Smirne, III sec. a.C. (di cui si conserva solo un disegno) 32 : «Segnalo il figlio di Eubulo, trovandomi presso una tomba vuota: / lo Tmolo odoroso nasconde le ossa di Lisino morto» (trad. Ricci).
102. Cenotafio di Hermias; Smirne, III sec. a.C.33 (non più rintracciabile): «Il monte Tmolos nasconde le ossa / di Hermias sotto le sue pendici più basse e il cumulo di terra sopra esse / è visibile da lontano; su di esso una lapide levigata con muta voce / ci dice il nome del morto. / Questa tomba vuota è stata eretta / sulle coste di Smirne dai suoi amici teneri» (trad. Ricci).
113. Stele cenotafio; Seleukia Pieria, II secolo / metà del I sec. a.C. (fig. 1)34. La stele, coronata da un basso frontone, presenta le immagini entro una nicchia centinata. Al di sotto corre l’iscrizione greca di otto righe: «Andron aveva tre figli da Hermione – che li aveva potuti facilmente partorire – che avrebbero dovuto essere la cura (della sua vecchiaia), ma egli non vedrà nessuno di loro come guardiani della sua età, non Pamphilos, che è morto a Delos, né Andromachos che è sepolto sotto (la terra) di Rodi, Hermione (la moglie) nella sua città natale, e la bambina molto pianta, Pamphile, è morta subito dopo la madre e non è arrivata al momento giusto per sposarsi; e non è la stessa terra che copre i morti, ma ognuno in una terra diversa; tuttavia una singola tomba preserva la loro memoria». (trad. dell’autore).
Fig. 1 – Stele cenotafio a Seleukia Pieria, II secolo / metà del I sec. a.C. (foto: E. Laflı).

12Mentre il testo dell’iscrizione è stato datato alla metà del I sec. a.C., la stele, a giudicare dallo stile del rilievo, sembra piuttosto appartenere alla metà del II sec. a.C.; essa è probabilmente stata riusata35 come cenotafio. Le tre figure, disposte strette una accanto all’altra, sono avvolte nell’himation ed eseguono il gesto dell’adorazione avvicinandosi alla donna seduta, di dimensioni maggiori, raffigurata di tre quarti e acconciata come la dea Afrodite. Questo schema iconografico è tipico dei rilievi votivi attici36 e anche microasiatici, ove gli adoranti in gruppo si avvicinano al dio/o alla dea, più grande in quanto divinità. Quando la stele fu riusata come cenotafio, lo schema iconografico del rilievo votivo già predisposto fu reinterpretato come raffigurante i tre figli di Andron (non raffigurato) e sua moglie.
134. Iscrizione su una base per l’inserimento di una stele (non conservata); Patara in Licia37, II sec. d.C.: «Claudius Helikon eresse questa tomba al più dolce amico, Vilius Hymenaeus, per la memoria. Qui ho preparato con cuore torturato la tomba cenotafio, al mio caro amico con mente dolce come il miele» (trad. dell’autore).
145. Cenotafio della madre per il figlio Philadelphos38; Afrodisia in Caria, II sec. d.C.: «Questa tomba, Filadelfo, io, Helenis, tua madre ho costruito per te con dolore, quando sei morto. Sulla tua tomba questo ho scritto: Come sei morto? In quali luoghi? Chi hai seguito? Sto cercando l'anima di mio figlio, che è morto. Per questo mio figlio scenderò volentieri fino alla Casa dell'Ade e con te, che per me non morirai mai, li giacerò per sempre» (trad. dell’autore).
156. La stele-cenotafio dell’ex gladiatore Dionisio (fig. 2)39, probabilmente da Cizico e morto come marinaio, è stata eretta dall’amico Unio. Svela la doppia funzione del monumento: da un lato è il cenotafio per l’amico Dioniso, dall’altro la futura tomba dell’amico dedicante: «Una tomba vedi, o passante, com’è predeterminato dal destino, non solamente per me; se vuoi sapere chi mi ha ferito, arresta l’orma delle tue suole e fermati a vedere. Davvero, non sfuggii alle Parche, che filavano per me, come marinaio ho lasciato il terribile nome del Ponto, il che ha attirato su di me l'ira del mare. Questa tomba (σῆμα) mi ha dato per amicizia Unio: il mio nome una volta era Dionisio, il suolo di Aproi mi ha allevato sulla terra, per sei volte sono stato il vincitore. Così ho lasciato la luce. Chi oltre a me, Unio, seppellirà qualcuno qui, dovrà pagare 2.500 denari al fisco» (trad. dell’autore).
Fig. 2 – Stele cenotafio probabilmente proveniente da Cizico; Parigi, Louvre, senza n. inv. (da Pfuhl – Moebius 1979, 2, n. 1258, tav. 187).

16La rappresentazione del gladiatore nel suo abbigliamento, che si appoggia allo scudo e all’elmo posti accanto a sé, corrisponde a uno schema iconografico, comune ad altre stele microasiatiche di gladiatori del II-III sec. d.C.40. L’immagine è collocata all’interno di un’edicola. Il fatto che l’iscrizione corra dentro e fuori del rilievo, cosa piuttosto eccezionale, fa pensare, che si tratti di una lastra acquistata già lavorata, che serve da sottofondo per la stesura del testo poetico del cenotafio.
177. Ara funeraria, Hadrianoi pros Olympon (Mysia)41. Ara per il giovane medico Aristokles, sepolto a Roma, posta come cenotafio nella città d’origine dalla sua nutrice Nikarete: «Ferma il passo, viandante! Sono infatti un cenotafio («κενὸς εἰμι τάφος γαρ» ),/ma ricordo a chi passa Aristocle / che giace in terra straniera, /figlio di Venusto e Iuliane, che morì giovanetto. / Egli giace nel suolo di Roma imperatrice, /con un nome ormai prestigioso tra i medici (?); / ha lasciato lacrime infinite alla nutrice Nicarete, / che ha fatto collocare presso la sua tomba questo ricordo42». (trad. Ricci).
188. Ara funeraria, Aizanoi, I-II sec. d.C.43: tomba vuota (κενὸς τάφος) preparata dal padre, quando tutti erano vivi. Il figlio morto prematuramente non venne seppellito ad Aizanoi nella tomba già pronta, bensì a Smirne: «La pietà paterna mi procurò qui una tomba vuota, / ma una volta morto non venni sepolto in questa terra. La polvere di Smirne mi coprì. Non raggiunsi / la grigia chioma della vecchia speranza. / Figlio di Aniceto e suo omonimo, mi strappò al padre / il destino, terribile la lacrima della privazione per i genitori. / Coluì che avrà perso l'immagine del figlio morto / si sarà imbattuto in disgrazie premature» (trad. Ricci).
199. Iscrizione pseudo-metrica su un altare funerario dalla Licia per Pappion, morto altrove44: «Solo la stele e l'iscrizione sono state fatte qui. Pappion è morto giovane e fu ucciso nella terra della Bitinia dopo aver trascorso 23 anni nella dolce luce. Il padre, un vecchio uomo, e la madre, logorata dai dolori interni, per ricordare il loro bambino, hanno preparato questa iscrizione: Nanna e Pappion per il loro figlio e Lollianos per suo fratello» (trad. dell’autore).
2010. Cenotafio a forma di altare funerario per il fratello adottivo (σύντροφος), annegato, di un certo Markion; Sinope, III sec. d.C.45: «Dove nell'onda spietata hai lasciato la luce? La lapide posta sopra la tomba vuota, l’ha messa il fratello adottivo Markion, affinché la memoria duri per sempre» (trad. dell’autore).
2111. Stele per il piccolo Tolemeo, morto all’età di cinque anni; Herakleia sul Latmos, I-II sec. d.C46: «Un sepolcro mi copre, cresciuto nel grembo della madre: / il mio nome è Tolomeo, figlio di Seleuco. / Andai alla dimora di Ade a 5 anni e i miei genitori /piangono consumandosi in vuote speranze. / Cari genitori perché vi tormentate inutilmente presso un tumulo vuoto (κενεῷ τύμβῳ) ? / Infatti la fine del mortale è stabilita dai fili delle Moire» (trad. Ricci).
2212. Ara funeraria; Attaleia in Panfilia47, inizio del III sec. d.C. Ara posta come cenotafio dal padre per il figlio morto lontano da casa per una malattia: «Per Protogono, il figlio amato, distrutto in Licia da una malattia, questa tomba eresse Ofelli(u)s; non ha più potuto vedere il morto; ma per la memoria il padre eresse nella terra patria l’altare (βωμόν), come meta delle lacrime attorno al figlio» (trad. dell’autore).
23In altri casi, la parola «cenotafio» è adoperata con valore memoriale per designare una statua ricordando una persona morta, posta entro un recinto sacro48.
2413. Statua di una persona morta in terra straniera49; Priene, prima età ellenistica: «Mio padre, che mi stimava, non mi ha fatto scolpire quando vedevo la luce sacra; in qualche posto lontano sono morto ed egli mi ha posto una tomba; questa statua pose nel temeno sacro di (Atena) Pallade» (trad. dell’autore).
2514. Statua o rilievo «cenotafio» dello studente Synphoros50, morto per annegamento; Seleukia ad Kalykadnos. L’iscrizione si trova su una colonnetta, che molto probabilmente fungeva da base della statua oppure del rilievo, perduto: «Diokles, figlio di Diokles per suo figlio Synphoros. Questa tomba, passante, funge da memoria di Synphoros, figlio di Diokles, che morì all’età di 19 anni, quando d’inverno da qui navigava per il mare profondo. Le ninfe lo nascosero in una grotta; si prendano cura di lui. La sua tomba si trova (qui), nella terra paterna. Guarda in questa lapide la sua immagine: il padre, per la memoria del figlio, la fece fare» (trad. dell’autore).
26La concessione di una statua nel centro della città costituiva uno dei più grandi onori che si poteva ricevere nel mondo antico51. Testimoniava dell’eccellenza di una persona, come poeta o filosofo, come politico, come atleta o nel ruolo di benefattore; le statue potevano essere erette quando la persona onorata era ancora viva, o post mortem. Nell’ambito semi-privato della tomba, una rappresentazione del defunto sotto forma di statua dimostrava l’aspirazione a un onore pubblico. Sono ben note statue funerarie poste sulla tombe, ma succede anche in vari casi che i defunti siano raffigurati sotto forma di statue funerarie sulle stele funerarie, come su una stele da Mileto, datata intorno al 100 a.C.52, o su una stele ad edicola del II sec. d.C.53.
Il cenotafio di Gaio Cesare a Limyra in Licia
27Nel 4 d.C. al ritorno da una campagna contro i Parti, il nipote di Augusto, Gaio Cesare, morì a Limyra, in Licia. Gaio Cesare, insieme al fratello minore Lucio Cesare, morto qualche tempo prima prematuramente in Gallia, era considerato un possibile successore di Augusto, il quale pertanto rimase molto colpito. Anche se sappiamo dalle fonti epigrafiche che le ceneri di Gaio Cesare furono infine depositate nel mausoleo di Augusto a Roma54, a Limyra, luogo della sua morte, gli fu costruito un cenotafio.
28L’edificio identificato dall’archeologo Jürgen Borchhardt nella parte occidentale della città di Limyra, nel centro della città di epoca romana, ha una pianta quadrata e un podio in opus caementicium, ancora in situ. Alcune parti della decorazione architettonica superstiti ne rivelano l’altissima qualità, come l’angolo inferiore del piano centrale55, parte di un fregio con sfilata di cavalieri56 e un pilastro57 venuto alla luce nella campagne di scavo del 2003, con una eccezionale decorazione vegetale. Mentre la tipologia dell’edificio ricorda tombe aristocratiche microasiatiche, quale il mausoleo di Alicarnasso o quello di Belevi58, la decorazione trova confronti quasi esclusivamente nell’età augustea in Italia59, tanto che Georg Plattner ipotizza che si rifaccia a un modello urbano; i committenti però sono di sicuro di ambiente microasiatico. Il marmo utilizzato non viene da Limyra, perché a Limyra stessa era a disposizione solo calcare, adoperato solamente per costruzioni utilitaristiche, ma non per opere di alta qualità architettonica 60; il calcare fossile che si trova a cinque chilometri da Limyra è alquanto poroso e fu adoperato solo per l’acroterio dello Ptolemaion61. Secondo le recenti analisi di Walter Prochaska, il marmo verrebbe da Afrodisia in Caria. La suntuosità si esprime dunque sia nella scelta del materiale pregiato, sia per i presunti alti costi del trasporto del materiale. In effetti Limyra e Afrodisia sono distanti tra loro, in linea d’aria, più di 260 chilometri, e sono separate da montagne d’accesso difficile. Fu certo molto faticoso trasportare il marmo fino a Limyra e sicuramente costoso62. Resta difficile il paragone con monumenti in Afrodisia63: non ci sono infatti indizi concreti della presenza di artisti afrodisiensi a Limyra, benché non si possa escluderla 64 se si tiene in mente la lunga tradizione scultoria di questa città anche a livello internazionale. Sta di fatto che nell’intera città di Limyra, anche negli anni successivi, non si è mai più prodotto niente di un livello artistico così alto65.
29Chi ordinò questo monumento? Secondo Jürgen Borchhardt, sarebbe stato eretto per volontà del principe e del senato66 a Roma67; la scelta dei disegni per la decorazione sarebbe stata effettuata dalla casa di Augusto68. Si deve però tener conto del fatto che la città di Limyra poteva avere un grandissimo interesse all’erezione di un monumento alla memoria di Gaio Cesare. L’iscrizione di Pisa del 4 d.C. contenente il decreto sugli onori post mortem per Gaio e Lucio Cesare69 ricorda la decisione di costruire un arco a Pisa per sostenere la statua di Lucio Cesare e le due statue equestri dorate di Gaio e Lucio Cesari.
Il cenotafio di Traiano a Selinunte in Cilicia
30Sin da quando, all’inizio dell’Ottocento, furono rinvenuti nella città di Selinunte in Cilicia occidentale (presso l’odierno Gazιpaşa) i notevoli resti dello Şekerhane Köşkü («padiglione» Şekerhane) – un edificio antico, inglobato in strutture selgiuchidi all’inizio del XIII sec. – il monumento fu interpretato come cenotafio di Traiano70. Infatti l’imperatore romano Traiano (98-117 d.C.) morì qui nell’agosto del 117 d.C.71 e l’impatto di Traiano a Selinunte fu molto forte, tanto che la città assunse il nome, come testimoniano monete coniate dalla città, di «Traianopoli» finché, nella tarda antichità, non ritornò al nome di Selinunte)72. Quest’identificazione delle rovine sembra ancora oggi, alla luce delle più recenti indagini svolte dall’Istituto Archeologico Germanico di Istanbul, abbastanza plausibile. Si tratta di un edificio rettangolare a due piani, prostilo tetrastilo73, che si erge sopra un alto podio in opus caementicium. Da alcuni resti lì rinvenuti è possibile precisarne l’ordine corinzio ed è nota la decorazione architettonica74, così come un corridoio che portava dalla cella ai sotterranei.
31L’edificio era inserito in un ampio cortile colonnato. Per quanto riguarda le dimensioni, il materiale da costruzione, la tecnica costruttiva e la qualità della decorazione architettonica, trova confronti nella biblioteca di Celso ad Efeso e nel Traianeo a Pergamo75, entrambi di età traianea. È dunque probabile che si tratti del cenotafio di Traiano, le cui ceneri erano conservate a Roma, nel basamento dell’omonima colonna76. Fungono da modello i sepolcri a tempietto77, che dispongono di un podio e di un pronao con cella: essi sono diffusissimi in Asia Minore sin dalla metà del I sec. d.C., nella tradizione degli heroa ellenistici con peristilio. Non è chiaro se si tratti di un sepolcro a forma di tempio, come la tomba T11 di Elaiussa Sebaste, della seconda metà del II sec. d.C.78 o quella del tardo II-inizio III sec. d.C. di Adada (Pisidia)79, o di un tempio come quello di Augusto ad Antiochia in Pisidia, o quello di Komana o sul Keltepe80. Dal momento che il pianterreno, sempre accessibile, dello Şekerhane Köşkü non funzionò mai come sepolcro, si tratta piuttosto di una sorta di tempietto memoriale, un tempietto per Traiano divinizzato.
Considerazioni conclusive
32L’indagine sui cenotafi di età ellenistica e romana in Asia Minore basata, su fonti epigrafiche relative a stele e altari, dimostra chiaramente come essi facciano riferimento a «tombe vuote». La visione diretta e l’analisi specifica dei singoli monumenti ha permesso di chiarire che la parola «κενὸς τάφος / κενοτάφιον», in tutte le epoche, designava la tomba preparata, pronta, ma «ancora» vuota. La tomba di Antemone, detta anche M1, a Perge ci stupisce oggi per il fatto che l’iscrizione inserita un tempo nella tomba di famiglia, quando tutti erano ancora vivi, non sia stata corretta dopo la morte di tutti i membri della famiglia, anzi la tomba continuò a chiamarsi l’edificio «κενοτάφιον». Attraverso l’esempio di questa tomba, si è potuto mostrare che questa imprecisione non era percepita come problematica nei tempi antichi e probabilmente non era un caso isolato. L’occorrenza di «κενὸς τάφος / κενοτάφιον» nelle iscrizioni dell’Asia Minore perciò deve essere intesa talvolta anche nel senso di «cominciato come tomba inizialmente vuota, ma poi divenuta una vera e propria tomba».
33Applicando la classificazione proposta da Cecilia Ricci, in cenotafi come sostituto (cd. cenotafi di necessità) o come raddoppiamento della tomba (cd. cenotafio di memoria), tra le iscrizioni presentate qui i numeri 1-6, 10-11 e 13-14 apparterrebbero al primo gruppo, i numeri 7-9 e 12 invece al secondo. I materiali qui presentati lasciano intravedere quali sono le persone alle quali importava l’erezione di un cenotafio. La cerchia dei curatori e dedicanti comprende padre (n. 3, n.12), madre (n. 5), padre, madre (n.11) e fratello (n. 9), nutrice (n. 7), fratello adottivo (n. 10), amico/ amici (n. 2, n. 4, n. 6). Come motivo sono menzionati: la memoria (n. 3, n. 4, n. 10), il ricordo (n. 9), il desiderio di avere una meta per le lacrime (n. 12). Quando la causa della morte è indicata, si dice che essa avvenne in montagna (n. 2), in mare (n. 6, n. 10), per malattia (n. 12). In alcuni casi esiste anche la tomba vera, che si trova a Delo, Rodi (n. 3), Smirne (n. 8), Roma (n. 7), «altrove».
34In pochi casi accanto all’iscrizione è conservata qualche scena figurativa (n. 3) o qualche immagine (n. 6). Questi due esempi evidentemente sono troppo pochi per esemplificare la situazione generale. Nel n. 3 è chiaro che lo schema figurativo si orienta verso il linguaggio votivo e non a quello funerario. Nel n. 6 invece, la persona a cui è dedicata la lastra è raffigurata nella sua attività, come ex-gladiatore vincitore, che rincorre in molti altri monumenti funerari in modo quasi identico. Anche nel n. 14, l’iscrizione testimonia della presenza di una raffigurazione dell’immagine ora perduta, della persona cui è dedicato il monumento. In alcuni casi, il monumento ha una doppia funzione: cenotafio per uno e tomba per un altro (n. 6, n. 7). Nel n. 6 appare la minaccia, frequentissima e assai tipica delle tombe, che ogni violazione del cenotafio sarebbe stata punita con una multa di 2.500 denari da pagare al fisco. I cenotafi sono per lo più stele e altari come i sepolcri veri, e spesso sono collocati nelle necropoli. Solamente il n. 13 parla di un cenotafio di forma sconosciuta probabilmente collocato in una necropoli, a cui si è aggiunto per motivi di memoria la statua della persona, questa non eretta in un’area funeraria ma nello spazio di un santuario (n. 13).
35L’heroon di Limyra per Gaio Cesare morto lì per caso nel 4 d.C. ed il presunto cenotafio di Traiano a Selinunte in Cilicia testimoniano di preoccupazioni simili nella sfera delle famiglie imperiali romane. A loro non sono dedicati né una stele, né un altare in una necropoli, bensì viene eretto, con enorme sforzo e splendore, un elaborato heroon/tempio nel centro della città, per mantenere vivo il loro ricordo eterno nella memoria collettiva. Anche se l’investimento è, in questi due casi, considerevole e la visibilità del monumento molto più grande, preme sottolineare che l’oggetto è sempre lo stesso: ricordare una persona scomparsa e costruire un luogo specifico per fissare il lutto e il ricordo – sottolineando l’importanza di un supporto materiale durabile nella costruzione della memoria nel mondo ellenistico e romano.
Bibliographie
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Notes de bas de page
1 Tombe degli anonimi: Carroll 2006, p. 70, n. 33.
2 Zoz 1999.
3 Schrumpf 2006, p. 66-68.
4 Cormack 2004, p. 116-121; Schrumpf 2006, p. 100-101.
5 L’intero panorama di questi aspetti, ai quali qui si accenna, è stato indagato più a fondo e arricchito con molte citazioni ed esempi da: Cormack 2004, p. 143-146; Schrumpf 2006 e Carroll 2006.
6 Carroll 2006, p. 19.
7 Cormack 2004, p. 126-133; Marek 2010, p. 567.
8 Marek 2010, p. 568.
9 Ricci 2001, p. 157; Ricci 2006, p. 54, n. 38; Walter – Karydi 2015, p. 176-178 con fig. 177-178; 182-184 con fig. 101-102.
10 CIL XIII 86480 = ILS 2244; Carroll 2006, p. 143, fig. 49 e p. 160-161; Carroll 2009, p. 829; Komp 2009; Chioffi 2015, p. 631, fig. 16.1.
11 Ricci 2001, p. 149.
12 Ricci 2006, p. 39.
13 Carroll 2006, p. 166-168; Schrumpf 2006, p. 157.
14 Ricci 2006, p. 9.
15 Ibid.
16 Ricci 2001, p. 150; Ricci 2006, p. 31.
17 Cf. per esempio: Carroll 2009, p. 823-830.
18 Carroll 2009, p. 825.
19 Komp 2009, p. 40-41.
20 Blume-Jung 2016, p. 136-137, fig. 3; CIL XIII, 2181.
21 L’evidenza è raccolta da Carroll 2006, p. 163-164.
22 Ricci 2001, p. 160.
23 Floriani Squarciapino 1959, p. 467-468.
24 Ibid.; Ricci 2001, p. 151; Cormack 2004, p. 149, 223.
25 Raccolte da Ricci 2006, p. 31.
26 Ricci 2001, p. 153, n. 118: CIL VI 16913.
27 Ricci 2001, p. 152.
28 Ricci 2006, p. 21, n. 5 = Marek 1993, p. 146–147, n. 32, SEG 43, 1993, 923 probabilmente della prima metà del III sec. d.C.; Ricci 2006, p. 22, n. 7; Similmente anche Cormack 2004, p. 148 n. 746: « …either a substructure upon which sarcophagi were placed, or generally an entire tomb… ». Dubbioso sull’uso della parola cenotafio, poiché intuisce che nelle iscrizioni esso possa significare « tomba intera »: Turak 2008, p. 1162.
29 Turak 2008, p. 1162.
30 Turak 2008.
31 Si fa riferimento qui alla ricerca della parola κενοτάφιον nella collezione elettronica « Greek Inscriptions – Packard », dove i contesti in cui la parola κενοτάφιον appare svelano subito che si tratta sempre di tombe preparate per il futuro da persone ancora viventi.
32 Merkelbach – Stauber, I, 1998, p. 534, 05/01/48; Ricci 2006, p. 61, n. 60.
33 Merkelbach – Stauber, I, 1998, p. 528 (05/01/42)¸ Ricci 2006, p. 60, n. 65.
34 Museo di Tarso: Dagron – Feissel 1987, p. 85, n. 41 (tradotto in francese) pl. 20; Merkelbach – Stauber, 4, p. 240, 20/01/03 tradotto in tedesco con illustrazione; Schlegelmilch 2009, p. 80, cat. B7; Laflı – Christof 2015, p. 126–128, n. 3 tradotto in inglese e fornito di un’illustrazione.
35 Laflı – Christof 2015, p. 128.
36 Cf. per esempio con un rilievo a votivo da Atene della seconda metà del IV sec. a.C. (Atene, Museo Nazionale, n. inv. 3952): Klöckner 2012, p. 323, fig. 3; Edelmann 1999.
37 Merkelbach – Stauber, 4, p. 41-42, 17/09/06 senza foto.
38 Petrovic 2010, p. 616-624; Chaniotis 2012, p. 360–362, n. 15 B098, 380, fig. 9.
39 Probabilmente da Kyzikos, ora a Parigi, Louvre (senza n. inv.): Pfuhl – Moebius 1979, 2, n. 1258, tav. 187 (datazione: tarda età imperiale); Merkelbach – Stauber, 2, p. 42-43, 08/01/31 con illustrazione; Günther 2016, p. 311 (senza foto).
40 Pfuhl – Moebius 1979, 2, n. 1226 (Istanbul, Museo Archeologico, inv. 574), n. 1227 (da Laodikeia ad Lycum, Izmir, Museo Basmahane), n. 1230 (da Philadelphia, in Alaşehir), tutti tav. 184; n. 1233 (dall’isola di Kos, Museo di Coo) tav. 185; n. 1243 (dalla Caria, a Parigi, Louvre), n. 1244 (probabilmente da Cizico, in Erdek) tav. 186.
41 Merkelbach – Stauber, 2, p. 118, 08/08/06 (senza foto).
42 Trad.: Ricci 2006, p. 61, n. 59.
43 Merkelbach – Stauber, 3, 2001, p. 205, 16/23/05; Ricci 2006, p. 61, n. 58.
44 Fethiye, Collezione Kocagil n. Ω 294, ed. pr.: Staab 2012, p. 42–45, n. 2 (SGO *17/22/02); Staab 2018, p. 345, *17/22/01).
45 Ricci 2006, p. 57, n. 44; Merkelbach – Stauber, 2, p. 339, 10/06/13 Sinope = Günther 2016, p. 309 (senza foto).
46 Merkelbach – Stauber, 1, 1998, p. 175, 01/23/03; Ricci 2006, p. 61, n. 57.
47 Rinvenuto davanti a una casa privata in Antalya, ora conservato nel giardino del museo di Antalya: Schwertheim 1987, 49, n. 61 tav. 14; Merkelbach – Stauber, 4, p. 130 18/12/05 con illustrazione; Gökalp 1999, p. 75, tav. 24 n. 4.
48 Floriani Squarciapino 1959, p. 467-468; Ricci 2001, p. 155, n. 35; Ricci 2006, p. 33-34, n. .
49 Merkelbach – Stauber 1998, 1: Priene, p. 294.
50 Merkelbach – Stauber, 4, p. 188,19/05/03 = Günther 2016, p. 309–310.
51 Smith 2015, p. 96.
52 Ora ad Izmir, Basmahane Museo inv. 2975 (datazione: ca. 100 a.C.): Uliades con figlia e padre: Abrotera Ouliadou - Ouliades Moschonios - Moschion Dionysiou: Pfuhl – Moebius, 2, p. 349-350, cat. 1475, tav. 214.
53 Da Beyindir, ora ad Izmir, Basmahane Museo, inv. n. 3562: tre uomini, che indossano un himation, sono indicati per nome dall’iscrizione: Epitynchanon, Leukios e Magnos: Pfuhl – Moebius, 2, p. 428-429 n. 357 b; Pfuhl – Moebius, 1, p. 126-127, n. 357 (e 357a).
54 Plattner 2012, p. 254; Prochaska et al. 2014, p. 222.
55 Plattner 2012, p. 264, fig. 18.
56 Prochaska et al. 2014, p. 224, fig. 3; La Rocca 2016, p. 59-61, fig. 11.
57 Plattner 2012, p. 259-263, fig. 1-15; Prochaska et al. 2014, p. 225, fig. 4.
58 Plattner 2012, p. 255.
59 Plattner 2012, p. 253-255.
60 Prochaska et al. 2014, p. 226.
61 Prochaska et al. 2014, p. 228.
62 Prochaska et al. 2014, p. 231.
63 Prochaska et al. 2014, p. 233-234.
64 Prochaska et al. 2014, p. 224-234.
65 Prochaska et al. 2014, p. 234.
66 Gli onori sono di competenza del senato, che li presenta al principe. Herz 1984, p. 186.
67 Borchhardt 2002, p. 85.
68 Prochaska et al. 2014, p. 232.
69 Pisa, Camposanto, CIL XI 1421 = ILS 140: Freis 1994, p. 21-23, n. 17; Bergemann 1990, p.131-132, « E36 ».
70 Winterstein 2013, con delle figure.
71 Dio., 68, 33.
72 Tomaschitz 2001, p. 371; Monete di bronzo, coniate a partire da Marc’Aurelio fino a Traiano Decio, città chiamata Traianopoleiton e Traiano in tempio tetrastilo nel basamento Theou Traianou: Levante 1990, p. 228.
73 Winterstein 2013, p. 170.
74 Karamut 2005, fig. 5; Türkmen – Demir 2006, fig. 4.
75 Winterstein 2013, p. 171.
76 Carandini 2017, 2, tav. 52, n. 3.
77 Winterstein 2013, p. 171–172; confronti citati da Winterstein 2013, nota 63-64: molto simili due heroa nella città di Side e uno a Pergamo.
78 Cormack 2004, p. 217-218.
79 Cormack 2004, p. 161-165.
80 Pohl 2002, p. 244, fig. 6,3 (Antiochia in Pisidia), p. 245, fig. 7,2 (Komana) fig. 7,3 (Keltepe).
Auteur
Karl-Franzens-Universität Graz - eva.christof@uni-graz.at
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