Morti senza sepoltura, morti sepolti, e sepolture anomale
Riflessioni metodologiche tra terminologia e interpretazione
p. 17-30
Résumés
I contesti archeologici rappresentano un ambito di studio e di confronto tra Antropologia ed Archeologia nella ricostruzione di comportamenti funerari (individuali, occasionali, non sanciti da regole o saldamente normati dalle comunità di riferimento) nelle società del passato. La loro interpretazione tende a muoversi in scenari dicotomici (o alternativi): assenza di sepoltura vs. sepoltura, sepoltura normale vs. anomala (atipica, non convenzionale, deviante, ecc.), attribuendo alla sepoltura una valenza positiva (benevolenza, attenzione, partecipazione) in contrapposizione a quella negativa (rifiuto, punizione, alienazione) delle cosiddette sepolture anomale. Per definire l’assenza o la presenza di sepoltura, o una condizione anomala rispetto alla norma dalla quale esula, occorre innanzitutto definire cos’è una sepoltura. Il vasto e vario repertorio dei contesti funerari nel tempo e nelle diverse aree geografiche sottolinea la complessità nella lettura e nell’interpretazione dei comportamenti ad essi associati che deve tenere in considerazione, oltre che fattori di ordine religioso, socio-culturale, economico, anche quelli di ordine biologico, demografico, climatico e ambientale, a sottolineare il ruolo, anche nelle manifestazioni funerarie, della nicchia ecologica umana, e cioè dell’interazione tra le comunità umane e l’ambiente.
The archaeological contexts represent a field of discussion between Anthropology and Archeology in the reconstruction of funerary behaviour (individual, occasional, not sanctioned by rules or firmly regulated) in the past human societies. Their interpretation tends to move in dichotomous (or alternative) scenarios: absence of burial vs. burial, normal burial vs. anomalous (atypical, unconventional, deviant, etc.), attributing to the burial a positive value (benevolence, attention, participation) as opposed to the negative value (rejection, punishment, alienation) of the so-called anomalous burial. To define the absence or presence of burial, or an anomalous condition with respect to the norm from which it exceeds, we have first to define what a burial is. The vast and varied funerary repertoire over time and space underlines the complexity in reading and interpreting the behaviour associated with it. Its interpretation must take into account the religious, socio-cultural and economic factors, as well as the biological, demographic, climatic and environmental factors. We want to underline the role of the human ecological niche, i.e. the interaction between human communities and the environment, also in the funerary manifestations.
Entrées d’index
Keywords : Burial, burial standards, funerary practices, methodology, terminology
Parole chiave : Sepoltura, norma funeraria, riti funebri, metodologia, terminologia
Note de l’auteur
Il presente contributo non vuole e non deve intendersi come un’analisi esaustiva e puntuale sul tema del complesso rapporto tra l’uomo e i morti e la morte nel corso del tempo. I richiami di alcuni contesti preistorici e della storia più recente sono funzionali a sottolineare il vario e articolato repertorio funerario nella storia umana e non devono intendersi come un’analisi diacronica che risulterebbe, per quanto appena detto, del tutto incompleta e parziale.
Texte intégral
What could be more universal than death? Yet what an incredible variety of responses it evokes. Corpses are burned or buried, with or without animal sacrifice; they are preserved by smoking, embalming, or pickling; they are eaten – raw, cooked or rotten; they are ritually exposed as carrion or simply abandoned; or they are dismembered and treated in a variety of ways. Funerals are the occasion for avoiding people or holding parties, for fighting or having sexual orgies, for weeping or laughing, in a thousand of different combinations. The diversity of cultural reaction is a measure of the universal impact of death. But it is not a random reaction; always it is meaningful and expressive1
Premessa
1Nascita e morte sono eventi naturali, ordinari, causali per la prosecuzione delle specie viventi e per il mantenimento degli ecosistemi, ma nell’uomo questi eventi sono carichi di tensioni e valenza simbolica, tanto da avere trasferito un fenomeno biologico in una dimensione astratta, magica, religiosa e sociale, sublimando il più grande conflitto attorno a cui ruota il senso della vita. In tempi e luoghi diversi sono stati sperimentati comportamenti diversi, più o meno codificati e rigidi, per affrontare la fine della vita a livello individuale e di comunità. Ripensando alle prime forme umane in Africa orientale, tra circa 3 e 2 milioni di anni fa, è verosimile pensare che negli ambienti di savana ostili per l’approvvigionamento del cibo e per la presenza di predatori, organizzazione sociale o forme di coesione e di cooperazione abbiano rappresentato importanti strategie di adattamento per la sopravvivenza. L’individuo, riconosciuto come tale all’interno di un gruppo, verosimilmente acquisisce «valore», per cui la sua scomparsa assume una dimensione collettiva e sociale. Dal punto di vista evolutivo si saranno verificate quelle condizioni che avranno permesso di acquisire coscienza della morte, intesa come presa d’atto dell’assenza di vita. Da questo momento l’uomo si sarà interrogato sulla morte, definendosi contestulamente anche una nuova entità con cui confrontarsi, il morto e, in una accezione più generale, i morti. Riconoscere quando questo sia avvenuto non è semplice, e riconoscere quali manifestazioni fossero a questo momento associate è ancora più speculativo. Verosimilmente ciò avviene prima della comparsa delle prime sepolture realizzate da Homo neanderthalensis e da Homo sapiens tra 200 e 100.000 anni fa nel Vicino Oriente, che sono per noi tracce riconoscibili di comportamento funerario. La scarsità e lo stato di frammentazione del record fossile e la nostra intrinseca difficoltà nel riconoscere eventuali segnali, i cui valori simbolici sfuggono perché diversi e lontani dai nostri, sono vincoli pressoché insormontabili. Tracce più o meno labili di pratiche che potrebbero indicare forme di attenzione/cura, e non necessariamente a scopo funerario, verso il defunto compaiono in Africa nel Pleistocene inferiore, in cui si rilevano su reperti craniali incisioni causate dall’asportazione dei tessuti molli di cui sfugge il significato2.
2Nell’Europa popolata da Homo heidelbergensis e Homo neanderthalensis a partire da circa 500 000 anni fa e poi da Homo sapiens a partire da circa 45.000 anni fa, le manifestazioni che possiamo attribuire all’ambito funerario sono più evidenti, ma non uniformi e sistematiche e associate a pochi (selezionati?) individui. La presenza di pratiche in ambito funerario può essere suggerita da accumuli di scheletri, scheletri collocati in grotte, accurate inumazioni, temporanei luoghi di assegnazione del cadavere, cui possono seguire interventi secondari per asportare parti del corpo o dello scheletro cui dare collocazione diversa, inumazioni multiple, comuni di uomini e animali, ossa umane sparse, spaccate, incise, bruciate, trattate con pigmenti. Nella drammaticità che si evince da alcuni di questi trattamenti emerge la promiscuità tra il mondo dei vivi e quello dei morti, tra la vita degli animali e quella degli uomini, tra l’uomo e il territorio circostante, ma forse anche il conflitto nella separazione e nella irreversibile transizione da uno stato (la vita) ad un altro (la morte). Le prime sepolture, inumazioni realizzate in ambienti di grotta, sembrano fare parte di veri e propri rituali funerari a testimonianza di nuove esigenze di ordine sociale ma forse anche ecologico e demografico. Esse potevano avere connotazione positiva (celebrazione/quiete/riparo) o negativa (annientamento/allontanamento/paura) come anche essere legate a quelle che oggi potremmo chiamare istanze igienico-sanitarie. Queste inumazioni suggeriscono, comunque, lo stabilirsi di un legame con il territorio favorendo forme di prolungata permanenza ben prima della transizione neolitica3.
3Per quanto riguarda le cremazioni, la domesticazione del fuoco viene fatta risalire a circa 1 milione di anni fa in Africa4, ma con maggiore probabilità a circa 500.000 anni fa5. L’uso del fuoco in relazione a pratiche cannibaliche (in ambito funerario?) sembra presente in gruppi europei del Pleistocene inferiore e medio (Homo heidelbergensis e Homo neanderthalensis). Tuttavia, dato il particolare stato di frammentazione cui possono andare incontro i resti cremati e la difficoltà, in assenza di altre evidenze (bustum, ustrinum, urne, ecc.), di distinguere i segni sulle ossa dovute a fuoco naturale o ad una sua intenzionale utilizzazione, e a scopo funerario, la comparsa delle cremazioni rimane incerta e la frequenza verosimilmente sottostimata. Le testimonianze più antiche risalirebbero a circa 30.000 anni fa in Australia6.
4Alla luce di quanto detto emerge la difficoltà, in assenza di chiara e non ambigua documentazione, di definire un momento iniziale di attenzione verso il defunto in chiave simbolica. Inoltre l’evoluzione biologica e dei comportamenti, anche funerari, in relazione alle variazioni demografiche e degli ecosistemi si può rappresentare come una sorta di mappa «a macchia di leopardo» in cui, in ciascuna area, stasi, persistenze, discontinuità e innovazioni si sono avvicendate in modo non lineare e senza che si possa definire un modello generale7. Fattori di ordine socio-culturale, economico, come anche biologico, demografico, climatico e ambientale, che caratterizzano la nicchia ecologica umana, hanno certamente influenzato anche la sfera simbolica, pur non volendo ridurre questa ad aspetti di mero significato adattativo. In tal senso la ricostruzione del paesaggio funerario non può non tener conto delle diverse interazioni che i gruppi umani, nel tempo e nei diversi territori, hanno stabilito con l’ecosistema (specificità del territorio, clima, disponibilità di risorse, stile e qualità di vita, ecc.). I cambiamenti ambientali/alimentari/demografici/socio-economici, se da una parte hanno rappresentato vincoli per la sopravvivenza, sono anche stati fonte di opportunità evolutiva, sia attraverso meccanismi biologici che comportamentali. È noto che cambiamenti climatici ed ecologici delle fasi di transizione sottendono novità evolutive e nuovi sistemi simbolici – si pensi alla transizione olocenica (ca. 11.000 anni fa) e alla concomitante emergenza del Neolitico, in cui verosimilmente anche l’aumento demografico può rendere ragione della più frequente pratica della collocazione intenzionale del corpo in terra.
Definizione di sepoltura
5Alla luce di quanto detto sembra pertanto ineludibile un approfondimento sulla definizione di sepoltura che, come ampiamente discusso da Boulestin e Duday, non trova ancora consenso8. Il primo punto è relativo a individuare l’assenza vs. presenza di evidenze del carattere intenzionale di un deposito di resti umani e il suo scopo (la mancanza di evidenza non indica necessariamente l’assenza di sepoltura intenzionale). Esso può avere carattere funerario (sepoltura o tomba propriamente detta), rituale o devozionale, sacrificale o essere legato a fatti delittuosi – nessuno di questi elementi è mutuamente esclusivo.
6Riferendoci all’inumazione e seguendo lo schema di Pettitt9, l’assenza di evidenze può dipendere da fattori casuali (fenomeni aleatori/tafonomici) o causali (abbandono intenzionale del corpo o di parti di esso). La causalità si può in alcuni casi evincere da evidenze di trattamenti intenzionali del corpo peri mortem, quali tracce di smembramento e/o scarnificazione per asportare i tessuti molli cui può seguire la dispersione e/o conservazione del corpo e delle sue parti. Il ricovero del corpo e/o dello scheletro in spazi naturali (luoghi aperti o chiusi, anfratti e cavità naturali) viene anche annoverato sebbene, in assenza di evidenze di parziale trasformazione del luogo, questa modalità non sia facilmente riconducibile ad atti intenzionali. Per Pettitt gli spazi naturali, se destinati ad accogliere un defunto, sono sepolture. «Inumazione formale» viene definito quel luogo in cui chiaramente si evinca una trasformazione con predisposizione di uno spazio sepolcrale, deposizione del corpo (con o senza corredo) e copertura finale. Duday10, sottolineando «l’aberrazione epistemologica» per cui il defunto viene trattato come elemento estraneo ed escluso da una valutazione globale della sepoltura, sposta e convoglia l’attenzione verso il morto, che rappresenta la ragion d’essere della stessa, associando al concetto di sepoltura quello di attività funeraria («… struttura volutamente costruita, prevista per accogliere i resti dei defunti […] la nozione stessa di gesto funerario riveste necessariamente una connotazione positiva nei confronti del defunto»11). Pertanto è sostanzialmente il gesto (es. deposizione di oggetti, preghiera) che ne definisce la valenza funeraria e un deposito di resti umani assume il significato di sepoltura quando quel luogo è consacrato da un funerale12. La definizione di Pettitt risulta decisamente più ampia rispetto a quella di Duday in quanto non contempla l’attitudine nei confronti del defunto, peraltro generalmente di difficile ricostruzione, come nel caso del sepolcreto tardo antico di Casalecchio di Reno (Bologna). Qui la presenza di corpi inumati con una certa attenzione accanto ad altri scomposti, che sembrerebbero essere stati gettati senza cura in una fossa13, richiederebbe l’uso del termine «sepoltura» per le prime e, ad esempio, di «seppellimento» (non prevedendo alcuna valenza positiva o negativa) per le altre, creando confusione terminologica e fornendo una interpretazione a priori dei rinvenimenti14. Nella nostra opinione il concetto di «sepoltura» (collocazione di resti umani in terra, anche nel caso di quelli cremati) dovrebbe riferirsi a quanto il contesto archeologico e antropologico, unitamente ai dati tafonomici, testimoniano: trasformazione e predisposizione di uno spazio sepolcrale, deposizione delle spoglie (con o senza corredo) e copertura finale15. Lo scopo della stessa (sia essa ascrivibile o meno ad ambito funerario) è parte di un successivo livello interpretativo.
Sepolture «anomale» e privazione di sepoltura
7In ogni società di solito convive una pluralità di rituali funerari, la cui scelta da parte degli individui e delle comunità spesso non appare riconducibile a motivazioni religiose, sociali, economiche o etniche particolarmente stringenti o predittive. Il comportamento funerario prevalente (la «norma») potrebbe essere semplicemente una questione di “moda”16. Non è inutile l’esercizio di allargare il campo di osservazione su questo tema alla preistoria dato il variabile repertorio dei comportamenti funerari in relazione, come sopra brevemente visto, ad una molteplicità di fattori. Le testimonianze sono spesso sporadiche, puntiformi e peculiari e, sebbene ricche di dati e suggestioni, difficilmente consentono di giungere a generalizzazioni per fornire modelli di riferimento adattabili e fruibili anche in altri contesti. Nella preistoria soprattutto, pertanto, è difficile definire i limiti della «normalità» e molti sono i contesti che non esiteremmo a definire «anomali» se rapportati ai nostri comportamenti. Il tema, ad esempio, della «scomponibilità» del cadavere come descritta da Chapman e Gaydarska17, che presenta analogie con la frammentazione riservata ad animali e ad oggetti della cultura materiale, è stata descritta in contesti neolitici balcanici e greci, mettendo in evidenza una modalità di trattamento simile di persone e cose per sottolineare una fitta rete di collegamenti e relazioni tra questi nella vita come dopo la morte18. La «scomponibilità» emerge in diversi siti preistorici: in quello neandertaliano di Krapina (130 000 anni fa; Croazia), in cui l’elevato stato di frammentazione delle ossa potrebbe essere dovuto a cause intenzionali (tra cui anche pratiche cannibaliche), alcune di natura simbolica sconosciuta, senza escludere quelle tafonomiche19; nella necropoli epipaleolitica della grotta di Taforalt (Marocco; circa 15 000 anni fa) in cui dalla scomposizione dello scheletro si evincono complessi e articolati rituali funerari (sepolture primarie e secondarie con scheletri tutti incompleti, ocrati, smembrati e disarticolati, frammisti a corna di bovidi, coperti da lastre di pietra, ecc.) le cui azioni rimandano alla manipolazione dei corpi e degli scheletri anche in modo violento20; nei siti Capsiani nell’ambito del popolamento olocenico del Nord Africa21.
8Possono riferirsi a contesti «non convenzionali» anche le sepolture bisome e trisome del Paleolitico superiore europeo in cui i defunti vengono sepolti contestualmente, rimandando a stretti legami tra gli individui e anche a possibili sacrifici umani. In alcuni casi l’anomalia, più che riferirsi alla presenza di più individui nella stessa sepoltura, sarebbe da ricercare nelle caratteristiche biologiche dei defunti, alcuni dei quali presentano condizioni di evidente alterità o patologie22. Certamente «anomala» appare la promiscuità tra vivi e morti nella condivisione tra spazi abitativi e luoghi di seppellimento (es. deposizione sotto il pavimento della casa) in ambito neolitico, in cui nel vario e diversificato repertorio funerario si osservano anche pratiche cannibaliche e trattamenti del cadavere di difficile interpretazione23.
9Seppellimenti non «convenzionali» e difficilmente classificabili (riesumazioni, mutilazioni, infissioni di chiodi, legature, sepolture prone, accumuli di crani in discariche, ecc.) sono segnalati in diverse aree in Europa e nel territorio italiano anche in epoca storica24.
10I tentativi di sintetizzare e semplificare trattando statisticamente i dati, se da una parte possono rappresentare un esercizio metodologico utile per riconoscere e quantificare alcune tipologie di depositi di resti umani, non possono essere utilizzati come base per interpretare in modo unitario contesti comunque diversi sia nei dettagli sia per collocazione geografica e/o culturale25. Tuttavia, senza forzare su analogie e corrispondenze anche con esempi etnografici attuali, i pochi esempi riportati sono suggestivi di una certa attitudine – questa apparentemente generalizzabile e che a lungo è perdurata nel corso dell’evoluzione umana – alla manipolazione e al trattamento del cadavere che sembra sottendere confidenza con il defunto e che richiama una sorta di pratica di «anatomia settoria» con conoscenza di fasi e tempi di trasformazione del cadavere nel tempo.
11Il tema dei comportamenti funerari e di quelli cosiddetti «anomali» è stato affrontato dall’archeologia funeraria, settore di indagine dei depositi con resti umani emerso negli ultimi decenni. Grazie anche al contributo di molte altre discipline (etnografia, sociologia, antropologia culturale, antropologia fisica, tafonomia) è emerso in modo inequivocabile il ruolo centrale e significante del corpo e dello scheletro nei depositi con resti umani e come la «scomposizione» del loro studio in segmenti e competenze diversi ne infici la comprensione26. Nuovi contesti, ma anche la revisione di quelli già studiati27, hanno fornito un nuovo contributo interpretativo nel dibattito sulle forme anomale di comportamento funerario. Il tema è stato affrontato compiutamente nel 1990 in un incontro a Pottenstein, in Germania, da cui emerge che alle morti anomale e ai defunti anomali vengono riservati trattamenti funerari diversi. L’atipicità è stata valutata nella contrapposizione tra aspetti positivi (es. culto degli antenati) e negativi (es. paura dei morti) della morte, sottolineando l’associazione tra i connotati negativi dei defunti (assassini, donne morte di parto, portatori di handicap, sepolti vivi, suicidi, ecc.) e i tipi di sepolture ad essi associati (luoghi di sepoltura da cui era difficile tornare, posti nei crocevia, con pietre poste sul corpo, mutilati prima o dopo la sepoltura, bruciati prima o dopo la sepoltura, legati, inchiodati, ecc.)28. Nel 2005 a Cork (Irlanda) la European Association of Archaeologists affronta questo tema attraverso un approccio interdisciplinare (antropologia fisica, culturale, etnografia, ecc.) dal Neolitico al Medioevo in Europa con ampia casistica sul tema dell’«anomalia» (differential, atypical, non-normative), sottolineando la necessità del confronto con la società di riferimento29. Nel 2009, in occasione della mostra di Castelfranco Emilia (Modena) (a cura di L. Cesari e D. Neri) sulle «sepolture anomale», si è tenuta una Giornata di studi sul tema della «devianza funeraria» a carattere interdisciplinare cui è seguita la pubblicazione di un volume. In quella sede, riflettendo sul tema normale vs. anomalo e nell’impossibilità di trovare una definizione soddisfacente e generale, Duday propone di riunire i contesti cosiddetti anomali, sotto un’unica definizione: «depositi enigmatici di resti umani»30. In seguito il tema è stato discusso ad Albenga (Savona) nel 2015 nel corso del convegno «Sit tibi terra gravis» (a cura di Pergola, Roascio e Dellù) e nella giornata di studi cui il presente contributo si riferisce.
12Da questi incontri emerge che, se è critica la definizione del concetto di sepoltura, soprattutto in assenza di chiara documentazione che attesti il carattere funerario del contesto, altrettanto complesso è definirne la deviazione rispetto alla norma, e in assenza di una definizione di «normalità» sia dal punto di vista sostanziale che terminologico perde senso la definizione di «anormalità». È emersa la necessità di un sempre maggiore rigore metodologico a partire dalla raccolta dei dati fino alla loro interpretazione per non incorrere nell’errore di utilizzare e trasferire in quest’ultima convincimenti dovuti a conoscenze pregresse, ad analogie con altri contesti, a suggestioni o impressioni personali, per evitare quella che spesso è apparsa come una vera e propria deriva interpretativa. Questa crescente sensibilità verso lo studio dei siti ove si rinvengono resti umani deve quindi portare allo sviluppo di indagini in ambito archeologico e antropologico mirate, specifiche, puntuali ed integrate sia sullo scavo sia in laboratorio. Se la «scomposizione» del contesto funerario nelle sue parti di pertinenza archeologica e antropologica può essere funzionale per l’applicazione delle metodologie di indagine, perde di significato e diventa un limite per formulare le interpretazioni, se non «ricomposto» in una visione integrata e condivisa.
13Il destino dei resti umani dopo la morte, oltre alla deposizione in un luogo appositamente scelto e/o predisposto per accoglierli, può prevedere anche la privazione di sepoltura, intesa come scelta mirata e deliberata, o ancora la «non sepoltura», che presuppone una mancanza di specifico interesse per la sorte delle spoglie. Entrambi i casi sono difficilmente riconoscibili dal punto di vista archeologico in quanto quello che si può conservare consiste in resti spesso disarticolati e dispersi che, nella alquanto remota eventualità che giungano fino a noi, apparirebbero «decontestualizzati» e verosimilmente liquidati come rinvenimenti «casuali». Nel caso, raramente attestato, come si notava poc’anzi, di evidenza archeologica di assenza di sepoltura, distinguere tra privazione di sepoltura, intesa quindi come atto deliberato ed intenzionale, e «non sepoltura» può risultare comunque difficoltoso. Un interessante esempio è costituito dalle ossa umane rinvenute in discariche di rifiuti di epoca romana nel sito di Novisad (Modena)31, in cui l’ingente quantità di reperti esclude una loro presenza casuale, ma le loro condizioni di giacitura e conservazione (in termini di qualità e quantità dei resti ossei) non permettono di distinguere tra «non sepoltura», ad esempio nel caso di smaltimento di resti provenienti da bonifica di antiche aree cimiteriali, e «privazione di sepoltura», ad esempio nel caso di vittime di scontri bellici o di giustiziati deliberatamente lasciati insepolti. Accanto a queste valenze negative o neutre, l'assenza di sepoltura può anche rivestire un’attitudine positiva nei confronti dei defunti. Ne sono esempi le reliquie e la frammentazione cui possono essere soggette32, resti umani in ambiti religiosi soggetti a trasformazione e conservazione peculiari (putridaria, esposizione di ossa o mummie, ecc.33) o resti umani in contesti né funerari né sacri (es. collezioni raccolte a scopo scientifico o espositivo). Anche i contesti sopra citati rientrano quindi in quelli «anomali» per cui alle spoglie di alcuni individui «speciali» (santi, eroi, assassini, ecc.) o alla morte «speciale» (violenta, esecuzione, suicidio, in età immatura, ecc.) viene riservato un destino diverso rispetto ad una «normale» sepoltura.
14Facendo parte della vita la morte è ovviamente e sempre «normale» sebbene raramente accettata, come emerge dai riti che si compiono attorno ad essa. Considerando l’inevitabilità e l’ineluttabile definitività della morte, ancora oggi individualmente e collettivamente si mettono in campo azioni volte ad affrontarla, attribuendo valenza positiva o negativa al mondo dei morti, o non conferendone alcuna, non essendovi alcuna altra possibilità di esistenza e in nessuna forma dopo la morte. Solo la memoria di chi resta potrebbe salvare dall’oblio. Comunque la si consideri la morte necessita quindi uno sforzo di accettazione. Per noi, come forse nel passato, se è «accettabile» la morte quando è la senescenza che conduce alla fine della vita, e forse quando essa giunge a conclusione di una lunga e dolorosa malattia, è «anomala» e inaccettabile quella in età immatura, quella dei deboli, degli indifesi e degli oppressi in circostanze di privazione di ogni diritto, di deprivazione e violenza, la morte sui campi di battaglia di tutte le guerre, la morte oggi di migliaia di immigrati naufraghi, definitivamente dispersi, senza identità e senza sepoltura nell’attraversamento del Mediterraneo. Allora come oggi, questi morti rimangono senza quiete.
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Notes de bas de page
1 Metcalf – Hungtington 1991.
2 White 1986.
3 Mariotti et al. 2009; Belcastro – Mariotti 2010; Belcastro – Condemi – Mariotti 2010; Mariotti – Condemi – Belcastro 2014; Mariotti – Belcastro – Condemi 2016; Mariotti – Condemi – Belcastro 2018.
4 Berna et al. 2012; Whrangham 2009.
5 Roebroeks – Villa 2011.
6 Bowler et al. 1970.
7 Boulestin e Duday (2006) sottolineano l’aspetto puramente speculativo nell’individuare una filiazione diretta (una sorta di eredità) di riti osservati in casi etnografici attuali, per ricostruire la dimensione spirituale delle popolazioni del passato.
8 Boulestin – Duday 2006 discutono il concetto di sepoltura, di sepoltura primaria e secondaria enfatizzando quanto emerge dall’osservazione oggettiva dei depositi mettendo in guardia, ancora, dal trasferimento, nell’ambito dell’Archeologia funeraria, anche dei termini presi a prestito dall’etnografia, che possono sottendere significati diversi, e, quindi, implicitamente, portare ad interpretazioni a priori.
9 Pettitt 2011.
10 Duday 2005.
11 Leclerc 1990; Duday 2005, p. 123; Boulestin – Duday 2006.
12 Boulestin – Duday 2006, p. 159.
13 Pancaldi – Raggi 2010; Mariotti – Milella – Belcastro 2010.
14 Boulestin – Duday (2006, p. 157) propongono di chiamare i seppellimenti a carattere non funerario «relegation deposits» e «non burials».
15 Questa definizione non contempla altre forme di deposizioni frequenti in epoca storica quali sarcofagi, tombe monumentali, feretri in ambiente ipogei, ecc. per i quali sono comunemente utilizzati termini quali tomba o sepolcro (cf. Fornaciari – Fornaciari, 2010).
16 Nock 1932 (in riferimento alla scelta di inumazione o cremazione); Ortalli 2011; Mariotti – Milella – Belcastro c.s.
17 Chapman – Gaydarska 2017.
18 Nizzo 2015.
19 Belcastro et al. 2018; Frayer et al. 2009; Russel 1987a; 1987b; Trinkaus 1985; Ullrich 2009.
20 Mariotti et al. 2009; Belcastro – Condemi – Mariotti 2010; Mariotti – Condemi – Belcastro 2014; Mariotti – Belcastro – Condemi 2016; Mariotti 2017; Mariotti – Condemi – Belcastro 2018.
21 Haverkort – Lubell 2014; Jackes – Lubell 2014.
22 Formicola 2007; Belcastro – Mariotti 2017.
23 Villa 1992; Robb et al. 2015.
24 Murphy 2008; Belcastro – Ortalli 2010; Milella et al. 2015; Mariotti – Milella – Belcastro 2010;
Mariotti – Milella – Belcastro c.s.; Mariotti et al. (presente volume).
25 Milella et al. 2015; Nizzo 2015, p. 286-287.
26 Per una disamina approfondita del termine «Archeologia funeraria» e di altri termini usati come sinonimi per enfatizzare le diverse componenti che convergono nello studio e nell’interpretazione dei depositi dei resti umani vedi Boulestin – Duday (2006, p. 153, n. 5). Confronta anche Duday et al. 1990.
27 Mariotti et al. 2009; Belcastro – Condemi – Mariotti 2010; Mariotti – Condemi – Belcastro 2014; Mariotti – Condemi – Belcastro 2018; Mariotti - Muntoni - Belcastro 2020..
28 Nizzo 2015.
29 Murphy 2008.
30 Belcastro – Ortalli 2010; Duday 2010.
31 Labate – Malnati 2017; Mariotti – Belcastro 2017; Mariotti et al. (presente volume).
32 Belcastro – Bocchini 2014; Facchini – Fulcheri – Belcastro 2004 ; Facchini et al. 2013.
33 Fornaciari – Giuffra – Pezzini 2010; Nicolini 2015; 2017.
Auteurs
Laboratorio di Antropologia Fisica, Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali, Alma Mater Studiorum Università di Bologna - mariagiovanna.belcastro@unibo.it
Laboratorio di Antropologia Fisica, Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali, Alma Mater Studiorum Università di Bologna - valentina.mariotti@unibo.it - mariottivale@gmail.com
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