Per la storia dell’amministrazione pontificia nel Seicento: organizzazione e personale della congregazione del Buon Governo (1605-1676)
p. 613-634
Texte intégral
1Negli ultimi decenni la storiografia sulla Curia romana in età moderna ha conosciuto un profondo rinnovamento. I numerosi studi dedicati al collegio cardinalizio ed alla corte pontificia, un campo in cui si è cimentata soprattutto la storiografia tedesca, hanno consentito di superare l’immagine un po’ formalistica degli apparati curiali che ancora dominava negli anni ’70 e di analizzare la Curia in termini di sistema politico, con una consapevole attenzione per il tema del patronage1. I terreni esplorati da questa «nuova» storiografia sulla curia romana sono stati numerosi; le nunziature e la politica internazionale del papato, la corte pontificia, la famiglia papale ed il ruolo del cardinal nipote, gli uffici venali, il collegio cardinalizio. È mancata però una specifica attenzione per i più importanti uffici curiali che gestivano l’amministrazione temporale dello Stato della Chiesa; la Camera apostolica e la Sacra Consulta, per le quali mancano del tutto studi di qualche spessore, e la congregazione del Buon Governo, per la quale occorre rifarsi ad una rapida sintesi di Elio Lodolini. In tal modo, la conoscenza della politica del papato finisce per risultare per molti aspetti manchevole, giacché è ben noto quanto abbia pesato nella politica dei pontefici la loro condizione di sovrani temporali. Almeno fino al Settecento l’intreccio tra ragion di Stato e ragion di Chiesa rimase un dato costante nella politica papa le e coinvolse profondamente l’organizzazione curiale e la struttura degli uffici e delle carriere2.
2In questa comunicazione traccerò un rapido profilo dell’organizzazione interna e del personale della congregazione del Buon Governo del Seicento, cercando di analizzare i modi in cui si formava una volontà politica che trovava poi attuazione in decreti e pronunce della congregazione. Si tratta tuttavia di una ricerca che non sempre può approdare a risultati definitivi, a causa dell’oralità che caratterizzava l’elaborazione delle politiche papali e del dissennato ordinamento dell’archivio del Buon Governo realizzato da F. S. Tuccimei e solo in parte corretto da Lodolini3.
3L’importanza del Buon Governo appare evidente solo che si consideri la struttura dello Stato della Chiesa. Al pari degli altri Stati italiani, lo Stato della Chiesa mantenne nell’età moderna una struttura sostanzialmente policentrica. All’interno di tale struttura operavano però diversi fattori di integrazione, primo fra tutti l’azione degli organi centrali di governo. Anche se la cultura giuridica continuava a vedere nello Stato un aggregato di enti originari legati al sovrano da un patto di soggezione, gli organi del governo temporale svolgevano una funzione unificante, elaborando una politica che si applicava in maniera tendenzialmente uniforme su tutto lo Stato e favorendo la creazione di legami tra i ceti dirigenti locali ed il papato.
4Le vicende della congregazione del Buon Governo sono, a grandi linee, note4. La congregazione venne creata nel 1592, in conseguenza dell’emanazione della bolla Pro Commissa, con la quale Clemente VIII stabilì le regole per la tenuta dei bilanci delle comunità e per la gestione delle finanze locali. Il 4 giugno 1605 fu emanata la bolla Cupientes di Paolo V, che può essere considerato il vero atto fondativo del Buon Governo. Due anni dopo (23 novembre 1607) Paolo V emanò una declaratoria della bolla, che confermava la competenza giudiziaria della congregazione, ma la limitava alle cause relative a redditi e proventi delle comunità, all’amministrazione delle abbondanze comunitative ed al saldo dei conti degli amministratori. Nei decenni successivi la congregazione si assestò e cominciò ad esplicare un’azione amministrativa di rilievo, sia esercitando ex officio il controllo sui bilanci delle comunità, che agendo come arbitro e tribunale contenzioso. Nell’attività di controllo esercitata dal Buon Governo emergono con continuità quattro aspetti fondamentali: il controllo sul volume e la composizione dei bilanci; l’esercizio di una funzione di vigilanza e di arbitrato sugli appalti comunitativi; il controllo sulla materia fiscale; il controllo sull’indebitamento. In tutti questi settori la congregazione interveniva sia attraverso rescritti («economico») che agendo come arbitro e tribunale («giurisdizionale»). Tuttavia la quantità di rescritti è decisamente superiore a quella degli atti giudiziari veri e propri, che dunque si configuravano come un ambito sostanzialmente residuale dell’azione del Buon Governo5.
5La storia istituzionale del Buon Governo è segnata da una notevole continuità. Al pari di analoghi organi attivi negli Stati italiani, il Buon Governo acquisì tra la fine del ’500 e l’inizio del ’600 una struttura che fu modificata solo nel ’7006. A parte gli scarni riferimenti della Cupientes i principi che regolavano l’organizzazione interna della congregazione non furono codificati in atti legislativi. Tuttavia, esisteva una prassi consolidata, basata su tre cardini; la superiorità del prefetto della congregazione, che fino al 1692 fu il cardinal nipote del papa, la distinzione tra aspetti «economici» (amministrativi) e giurisdizionali, la collegialità delle pronunce giudiziarie.
6La superiorità del cardinal nipote-prefetto aveva il suo fondamento nei brevi papali di nomina. Il prefetto del Buon Governo firmava la corrispondenza diretta ai governatori ed alle comunità e, con la collaborazione del segretario, curava la materia «economica», emanando disposizioni imperative contro le quali era possibile ricorrere presso la congregazione. Si creava in tal modo una distinzione tra aspetti economici e giurisdizionali, che è stata rilevata anche in analoghe istituzioni che operavano in altri Stati. Com’è stato autorevolmente sottolineato, il concetto di giurisdizione economica rappresentò la strada attraverso cui divenne possibile emanare atti imperativi all’interno di un’amministrazione ancora fortemente legata alla giudicatura7. In generale, le questioni economiche rimanevano appannaggio del cardinal nipote e del segretario, mentre quelle giurisdizionali (ricorsi contro provvedimenti della congregazione, cause giudiziarie contro appaltatori di proventi comunitativi etc.) erano decise in forma collegiale, su relazione di uno dei prelati (ponenti).
7Al di là della innegabile continuità che è possibile riscontrare nell’organizzazione del Buon Governo è indubbio che nella storia della congregazione esistette una importante cesura, collocabile negli ultimi decenni del Seicento. A monte di questa data l’organizzazione della congregazione appare pienamente coinvolta in quel sistema di meccanismi clientelari che trovò la sua manifestazione più eclatante nella presenza del cardinal nipote al vertice della struttura temporale dello Stato. Naturalmente, sarebbe fuorviante contrapporre ad una prima fase caratterizzata in senso clientelare una successiva fase caratterizzata dall’emergere di un paradigma amministrativo moderno. Tuttavia è indubbio che il ruolo dei meccanismi clientelari diminuì decisamente dalla fine del Seicento, anche perché l’abolizione del Nepotismo privò il sistema di un terminale unanimemente riconosciuto come superiore, lasciando monche le catene di patronage. Dovendo esaminare la struttura del Buon Governo nel Seicento converrà dunque iniziare proprio dal cardinal nipote.
I CARDINALI NIPOTI
8Fino al 1692 il Buon Governo ruotò intorno al cardinal nipote, che, salvo brevi periodi, tenne costantemente la prefettura della congregazione Ma la superiorità del cardinal nipote implicava la fissazione di un indirizzo politico-amministrativo o era solo un vuoto dato normativo, privo di contenuti reali? Lasciando da parte la discussione storiografica che da molti anni si va svolgendo intorno alla figura del cardinal nipote e gli schemi formalistici della trattatistica coeva, bisogna osservare che nel caso del Buon Governo la questione del ruolo del nipote può essere affrontata in maniera esauriente solo sul breve periodo. In un ottica di lungo periodo, le numerose variabili in gioco consentono solo di cogliere alcune tendenze di fondo.
9Il dato da cui si deve necessariamente partire è che, se si escludono alcuni periodi di assenza, il cardinal nipote sottoscriveva la corrispondenza della congregazione con i governatori e le comunità, ma non emanava pronunce giudiziarie che, come si è detto, erano collegiali8. Nominalmente, dunque, spettava a lui la direzione politica degli affari; gli altri cardinali non intervenivano, se non di rado, in questo settore ed in ogni caso si trattava di interventi parziali e mirati. La gestione dell’attività ordinaria della congregazione si risolveva dunque entro un ristretto circuito a cui appartenevano il cardinal nipote ed il segretario, che stendeva materialmente le lettere, con una limitata partecipazione dei cardinali ed una più consistente di ponenti ed agenti delle comunità. Sullo sfondo rimaneva però sempre l’ombra del padrone, del papa cioè, che riceveva istanze dalle diverse aree dello Stato ed interveniva spesso sulle questioni politicamente più rilevanti9. Per valutare correttamente il ruolo del cardinal nipote bisogna dunque soffermarci sia sul suo rapporto con il pontefice che su quello con il segretario.
10Sotto il primo aspetto, va detto che l’esame della documentazione amministrativa evidenzia un costante e formalizzato intervento dei pontefici sull’attività del Buon Governo e lascia intravedere l’esistenza di un rapporto diretto tra il papa ed il segretario della congregazione, indipendentemente dal cardinal nipote. In generale, sembrerebbe che i pontefici si riservassero l’ultima decisione sulle questioni che coinvolgevano gli attributi fondamentali della sovranità (tasse e beni ecclesiastici). Inoltre, tra metà Seicento e fine Settecento esisteva una prassi che merita di essere segnalata, anche se lacune documentarie impediscono di conoscere se era in uso anche in epoche precedenti. In base a tale prassi, se una comunità chiedeva ed otteneva di imporre una tassa o di commutare una formula impositiva, la congregazione (o più probabilmente il segretario) stendeva un chirografo, che veniva presentato al papa. È presumibile che il pontefice si limitasse a firmare l’atto senza approfondirne più di tanto i contenuti, ma è comunque significativo che egli si riservasse un potere di controllo su atti oggettivamente di non grande rilievo. Anche l’esame dei copialettere della congregazione, che coprono, con molte lacune, tutto il Seicento, sembra confermare un intervento del papa su almeno tre questioni; l’imposizione di nuove gabelle (ma non le collette per aes et libram imposte per pareggiare il bilancio), l’assoggettamento del clero alle contribuzioni o la ratifica di convenzioni tra laici ed ecclesiastici e l’uso di denari appartenenti ai monti di pietà, che erano posti sotto il controllo dei vescovi10. In tutti questi casi, il Buon Governo scriveva ai governatori, precisando che agiva per ordine del papa.
11Veniamo così alla seconda, cruciale, questione, ovvero i rapporti del cardinal nipote col segretario. Una traccia per affrontare la questione, sostanzialmente trascurata dalla trattatistica giuridica, può venire dall’apocrifa Instrutione... all’Illustrissimo cardinal Montalto sopra il modo con il quale si possa e debba ben governare come nepote di papa11. In questo testo la distinzione tra giustizia distributiva e commutativa, conduceva a consigliare al cardinal nipote di limitarsi ad interventi mirati, lasciando la trattazione degli affari ordinari, che concernono l’esercitio la giustitia commutativa e contentiosa, e che vengono dello Stato ecclesiastico12 ai suoi consultori. Sarebbe certamente scorretto estendere a tutto il Seicento una simile immagine del cardinal-nipote. Tuttavia, la distinzione tra esercizio della giudicatura ed esercizio della grazia ricompare in qualche misura nella corrispondenza dei cardinali nipoti. Anche nel caso del Buon Governo troviamo una corrispondenza «ufficiale» del cardinal-nipote ed una corrispondenza, diciamo, «extra-istituzionale», che sarebbe sbagliato definire «privata», in quanto tocca aspetti politicamente rilevanti13. Formalmente tutte le lettere recavano la sottoscrizione del cardinal-nipote, ma si può forse ipotizzare che nel caso della corrispondenza «ufficiale» della congregazione il suo intervento non fosse sempre determinante. E tuttavia, la questione rimane ingarbugliata e potrà essere risolta solo da ulteriori ricerche. Infatti, la distinzione tra corrispondenza «istituzionale» ed «extra istituzionale» non è sempre agevolmente riscontrabile. Inoltre, l’analisi prosopografica dei segretari del Buon Governo dimostra che fino a tutto il pontificato di Urbano VIII i segretari rimasero essenzialmente dei clienti dei cardinali nipoti, non troppo dissimili dai «segretari di lettere» al servizio di principi e cardinali. Solo in seguito la figura del segretario acquistò una propria autonomia, tale da renderlo sostanzialmente indipendente dagli sbiaditi cardinali nipoti di Innocenzo X, Alessandro VII e Clemente IX. Dunque è forse nella seconda metà del Seicento che si realizzò il processo descritto nel 1701 dal cardinal Giuseppe Renato Imperiali in una lettera a Clemente XI chesuona come monito a non prestare eccessiva fiducia alle ricostruzioni giuridico-formali. Scriveva l’Imperiali:
Prendo dunque l’ardire di sogerire alla Santità Vostra come la Sacra Congregazione del Buon Governo presentemente è ristretta, per quanto posso sapere, alla sola cognitione delle cause contentiose, parlandosi per lo più di quelle riguardano lo stato economico e sollievo delle Communità incidentemente, per la qual cosa forsi li Illustrissimi Cardinali s’astengono d’assistervi, tanto più ch’è ripiena di moltissimi prelati, anche giovani, et inesperti dell’interessi delle Communità per non essere stati governatori. Io dubito, che questo male provenga in gran parte dalla sottoscrittione di lettere e tabelle riservata al Secretario di Stato, o Soprintendente generale, quando v’era, li quali, essendo aplicati a moltissimi altri negotii di magior rilievo non possono riconoscere se li negotii caminino bene, tanto più che non intervengono mai alla Congregatione, e sottoscrivono alla cieca le sudette lettere e tabelle, qual disordine è forsi ancora in Consulta, le di cui lettere parimenti si sottoscrivono dal Secretario di Stato, senza che li Secretarii habbiano à rendere conto alcuno di quello si scrive, e di ciò che si tralascia di scrivere14.
12La valutazione del ruolo del cardinal nipote all’interno del Buon Governo deve dunque essere sfumata ed articolata nei diversi momenti storici. Il controllo esercitato dal papa e la relativa autonomia del segretario, almeno in alcune fasi, inducono a non prestare eccessiva fiducia alle indicazioni della trattatistica. Allo stesso tempo, però, si intravedere una forte presa di alcuni cardinali-nipoti sulla congregazione, che risulta evidente anche da un esame prosopografico delle figure dei segretari.
GLI ALTRI CARDINALI. DELLE FIGURE ONORIFICHE?
13Al pari di altre congregazioni cardinalizie, il Buon Governo comprendeva un cospicuo numero di cardinali. Probabilmente, il loro numero non fu mai fisso; nella Cupientes erano 6, secondo Lunadoro erano 4-6, ma nel 1629 facevano parte della congregazione ben 14 cardinali, compreso il cardinal-nipote, nel 1644 addirittura 16 e nel 1657 17, con una tendenza ad aumentare ulteriormente nella seconda metà del Seicento. Una memoria, stesa dal segretario del Buon Governo intorno al 1660, sosteneva che il numero dei membri della congregazione non era mai stato fissato15.
14Dal punto di vista normativo, i cardinali avevano il diritto di intervenire su tutti gli affari trattati da congregazione. Concretamente, non è però affatto chiaro quale fosse il loro ruolo, a parte quello di fornire la necessaria garanzia di collegialità delle pronunce16. Data la situazione delle fonti, la questione può essere affrontata solo per via di ipotesi, tenendo anche presente quanto succedeva in altre congregazioni. Né aiuta molto la trattatistica cinque-seicentesca, in genere ferma ad un’immagine tardo-umanistica del cardinale, che solo nel caso dei conclavi si apre ad una maggiore spregiudicatezza. Lo stesso De Luca si limita a chiarire che i cardinali, se impegnati nelle congregazioni, non esercitano una vera e propria giurisdizione, ma non dà indicazioni significative sul modo in cui svolgevano la loro funzione17. Nel caso del Buon Governo, le fonti pongono problemi assai seri, ma sembra abbastanza certo che, al contrario di quello che talora accadeva in altre congregazioni, i cardinali non fossero portatori di una volontà politica autonoma da quella del cardinalnipote e del pontefice. Il gran numero di cardinali ascritti alla congregazione, la scarsa dimestichezza di alcuni di loro con l’amministrazione temporale, la riserva al cardinal-nipote del diritto di segnare le lettere inibivano ai cardinali la possibilità di imprimere una linea politica propria18.
15E tuttavia i cardinali non erano delle semplici figure onorifiche. La loro funzione era importante sotto almeno tre aspetti. In primo luogo essi conferivano autorevolezza alle decisioni giudiziarie della congregazione, specialmente nel caso si fosse trattato di derogare ad antichi privilegi o disposizioni del diritto canonico. Inoltre, molti cardinali provenivano da una carriera amministrativa ed erano degli ottimi conoscitori della macchina curiale, in grado di fornire autorevoli consigli. Infine, ed è l’aspetto più importante, i cardinali potevano fungere da terminale per richieste informali da parte di singoli e comunità. Queste conclusioni sono sostanzialmente confermate da un’analisi dell’attività della congregazione e delle carriere di 60 cardinali del Buon Governo (1605-1676), riassunta in questa tabella19. La tabella prende in esame le carriere di 60 cardinali prima della nomina a membri del Buon Governo.
I CARDINALI DEL BUON GOVERNO (1605-1676)
16In generale i dati confermano l’importanza del principio della competenza tecnica, che però non è sufficiente a spiegare la presenza di un cardinale al Buon Governo. Tra i 60 cardinali, 30 (50 %) avevano assunto qualche carica alla Camera apostolica, 19 (31,66 %) negli altri organi dell’amministrazione temporale, 29 (48,33 %) erano stati governatori. Inoltre, considerando i cardinali che avevano rivestito almeno una delle cariche delle colonne 1-3, si arriva ad un rispettabile totale di 51 cardinali (85 %). Sembrerebbe dunque che la grande maggioranza dei cardinali non fosse del tutto ignara dell’amministrazione temporale dello Stato. Tuttavia, i dati della tabella non possono essere accettati acriticamente. L’esercizio, ad esempio, di un chiericato di Camera non implicava necessariamente una grande competenza tecnica; bastava disporre di un buon uditore e ci si poteva limitare a percepire i frutti della carica. Perciò, la tabella andrebbe sempre letta tenendo presente le concrete biografie dei cardinali. Infine, i dati dell’ultima colonna confermano un dato già abbastanza noto; nell’età moderna la carica di vescovo conduceva solo molto raramente al cardinalato. Solo 8 tra i cardinali erano stati vescovi prima di ottenere il cappello (13,33 %), ma tra di loro solo 1 (Ulderico Carpegna) non aveva ricoperto cariche politiche o amministrative.
17Se la competenza tecnica, da sola, non spiega l’ascrizione di un cardinale alla congregazione, è anche da ridimensionare il ruolo che potrebbero aver giocato i legami clientelari. Infatti, un esame della composizione della congregazione in alcuni anni tipo (1605, 1611, 1629, 1644, 1667, 1676) rivela che non esiste correlazione tra la condizione di creatura di un pontefice e la sua nomina alla congregazione. Anzi, si ha l’impressione che in molti casi la nomina di un cardinale al Buon Governo non comportasse l’assunzione di alcuna responsabilità e rimanesse un dato formale, privo di contenuti20.
18La domanda che apre questa sezione trova dunque una risposta complessa. Certamente i cardinali non avevano un ruolo decisivo all’interno del Buon Governo, ma non bisogna cadere in facili schematizzazioni. Consiglieri, tecnici, patroni, talora ascritti alla congregazione in maniera casuale, i cardinali rappresentavano comunque una parte importante della congregazione, purché fossero disposti a collaborare con i veri centri decisionali; il papa, il cardinal-nipote ed il segretario.
I SEGRETARI DEL BUON GOVERNO TRA FEDELTÀ PERSONALE ED ETICA DELL’UFFICIO
19Il segretario del Buon Governo gestiva gli aspetti più importanti dell’attività della congregazione. Amministrava la corrispondenza, sottoponendo alla firma del cardinal-nipote le lettere da spedire, curava i collegamenti tra i vari membri, sorvegliava l’attività della computisteria, specialmente in relazione alla revisione delle tabelle. In breve, fissava l’agenda della congregazione. La delicatezza di queste mansioni implicava che il papa, e soprattutto il cardinal-nipote, avessero una piena fiducia nel segretario. Nella cultura politica cinque-seicentesca una tale fiducia non poteva basarsi semplicemente su un’etica dell’ufficio, ma necessitava anche di un rapporto di subordinazione personale di tipo padrino-cliente, il solo che poteva creare nel sovrano una sufficiente confidenza (termine chiave del discorso politico seicentesco). I segretari del Buon Governo, dunque, non erano scelti solo in base ad una competenza tecnica facilmente acquisibile nell’esercizio della carica, ma anche e soprattutto in base ai loro legami con la famiglia del pontefice regnante.
20Siamo dunque di fronte ad un tipico rapporto clientelare? Sì e no. Se infatti la scelta del segretario appare fortemente condizionata da questo tipo di meccanismi, nella concreta gestione degli affari le cose erano più complesse. I segretari, infatti, operavano secondo una prassi ed una giurisprudenza consolidata, che non era suscettibile di essere stravolta. Essi, inoltre, acquisivano una competenza tecnica che li rendeva talora indispensabili e consentiva loro di sopravvivere alle mutazioni che si verificano all’elezione di un nuovo pontefice. Progressivamente, poi, l’etica dell’ufficio ed il rispetto della prassi acquisirono un’importanza maggiore, soprattutto da metà Seicento. Volendo sintetizzare le caratteristiche dei segretari del Buon Governo nel Seicento, possiamo dunque dire che in un quadro generale in cui i legami clientelari mantennero un ruolo importante si produsse una certa autonomizzazione del segretario dal cardinalnipote, che si affermò compiutamente solo a fine secolo. Questa traiettoria è in qualche misura confermata da un’analisi dei profili biografici dei segretari. Nel primo periodo della storia del Buon Governo i segretari erano di solito dei personaggi di origine modesta, semplici laureati in diritto o referendari di Segnatura, giunti alla carica senza aver percorso un cursus honorum omogeneo; rivestirono talora cariche prelatizie di rilievo ma giunsero raramente al cardinalato. Di fatto, rimasero più simili ad un segretario privato del cardinal-nipote che non ad un burocrate-prelato. Dopo la metà del secolo, invece, le carriere si fanno meglio strutturate ed i segretari accentuano la loro competenza tecnica, passando con una certa frequenza dalla carica di governatore, a quella di prelato del Buon Governo e della Consulta.
21Primo segretario del Buon Governo fu Odoardo Santarelli (1565-1636) esponente di una famiglia del notabilato di Sassoferrato e protetto del cardinal Pietro Aldobrandini21. La nomina del Santarelli a segretario risale al 1605, ed avvenne in una fase di transizione, in cui i rappporti tra gli Aldobrandini ed i Borghese erano buoni. Santarelli era un cliente degli Aldobrandini e si trovò in seria difficoltà quando si determinò una rottura tra il vecchio cardinal nipote, Pietro Aldobrandini, ed il nuovo, Scipione Borghese. A partire dal 1606-1607 egli dovette giocare un doppio ruolo; come segretario del Buon Governo e della congregazione delle acque doveva necessariamente collaborare fedelmente con Scipione Borghese; allo stesso tempo, però era rimasto nella famiglia di Pietro Aldobrandini, che gli chiedeva informazioni sulla situazione politica romana ed aiuto per difendere la sua autorità di camerlengo dagli attacchi dei Borghese22. Al contrario di quanto ha sostenuto Reinhard in un importante articolo, non sembra che questa doppia fedeltà abbia comportato distorsioni nell’attività del Buon Governo23. Quando Santarelli agiva da segretario egli poteva forse influenzare questo o quel provvedimento, ma non certo alterare l’indirizzo politico impresso da Scipione Borghese. Altrimenti si sarebbe rotto quel rapporto di fiducia che giustificava la sua presenza alla segreteria della congregazione. Né bisogna pensare che una delle due fedeltà eslcudesse necessariamente l’altra. Cosa avrebbe guadagnato Santarelli identificandosi totalmente con Aldobrandini? Solo l’ostilità del cardinal-nipote del pontefice regnante. Era molto meglio cercare di mantenere una posizione relativamente equidistante, in attesa di tempi migliori.
22Progressivamente, fu sempre più difficile conciliare il ruolo di segretario con quello di cliente. Le richieste di Aldobrandini diventavano sempre più petulanti ed inopportune, proprio mentre a Roma la fazione dei cardinali clementini era frantumata e messa ai margini24. Santarelli, da parte sua, doveva difendersi dalla voci che lo accusavano di scarsa fedeltà verso i nuovi padroni, ed in particolare dalle accuse del cardinal Bonifacio Caetani, che aveva iniziato una guerra personale contro di lui. Già nel gennaio 1608 Caetani scriveva senza mezzi termini «che non era bene à tener quest’huomo spione del cardinal Aldobrandino à canto» ed invitava Scipione Borghese a «cacciar questa peste da palazzo»25. E di nuovo, nel gennaio 1609, accusava Santarelli ed impartiva a Borghese una lezioncina di arte di governo che vale la pena citare. Scriveva Caetani; «Io non desidero male al Santarello, anzi se Nostro Signore hà modo di levarlo da palazzo con honor io ne supplico Vostra Signoria Illustrissima e Sua Santità, perche non è intentione mia di far mai mal’ufficio, ma solo ho zelo del servitio di Sua Beatitudine et di veder rimosse quelle cose che à me fanno ostacolo di esseguirlo bene. I principi possono dissimular li difetti dei servitori et dei ministri d’altra conditione, mà non già quelli dei secretari, che per la confidenza dei nipoti si devono tener in ugual gelosia, che li mariti tengono l’honor delle mogli»26. Dove sono molto interessanti il tema del licenziamento con honore ed insieme quello del rapporto fiduciario che doveva necessariamente esistere tra padrone e segretario.
23Tra il 1608 ed il 1609 le voci di una sostituzione del segretario del Buon Governo si infittivano27. Santarelli fu però abile nel rintuzzare le accuse. Diradò i suoi rapporti epistolari con Aldobrandini e rimase al suo posto, segno che il cardinal-nipote manteneva una certa fiducia in lui. Finalmente, nel luglio 1618, Borghese decise di licenziarlo, offrendogli il vescovato di Catanzaro, che disponeva di una rendita di 3.000 ducati28. Santarelli rifiutò. Probabilmente si era già preparato una via d’uscita migliore. Nel 1621 lo ritroviamo così maggiordomo del cardinal-nipote Ludovico Ludovisi. Morì solo nel 1636, semplice canonico di S. Maria Maggiore.
24La vicenda del Santarelli esemplifica molte caratteristiche dei segretari del Buon Governo nel periodo del Nepotismo. In primo luogo, un’origine familiare non eccelsa. Si tratta in genere di esponenti di famiglie patriziali, ma non di primissimo piano e senza parenti cardinali, che trovavano nell’esercizio delle cariche amministrative una via di ascesa. Le loro carriere, però, non furono brillantissime e solo in pochi casi si conclusero col cardinalato. Negli altri casi i segretari vennero impiegati per tutta la vita in cariche amministrative di media importanza, che consentivano alla loro famiglia di radicarsi in Curia e di raggiungere, magari alla generazione successiva, posizioni più importanti. Un secondo elemento interessante è il legame che univa segretari e cardinali nipoti. Il caso ora esaminato dimostra quanto fossero labili i confini tra cariche amministrative e cortigiane, ma anche quanto sia problematico lo studio dei legami di clientela. A chi era fedele il Santarelli? In un certo senso a tutti e due i suoi padroni, ed anche alla carica in sé stessa. Negli anni successivi, peraltro, casi eclatanti di «doppia fedeltà» non si verificarono in genere i segretari vennero sostituiti più o meno contemporaneamente ai loro padroni. I successori del Santarelli furono dunque dei personaggi alquanto sbiaditi, legati strettamente ai cardinali nipoti. Talora provenivano dalla congregazione, più spesso erano scelti in base alla loro fedeltà e mancavano di una preparazione che andasse al di là della laurea in diritto.
25Dopo la defenestrazione del Santarelli, fu chiamato alla segreteria del Buon Governo Giovanni Giacomo Bulgarini, che rimase in carica solo due anni, dal 1618 al 1620. Il Bulgarini, originario di S. Giusto nella Marca, figura a lungo come notaio della Camera Apostolica. La sua presenza al Buon Governo fu episodica, perché dopo appena due anni lasciò la carica di segretario, optando per l’ufficio venale di prefetto delle minute dei brevi. In seguito fu referendario di Segnatura, agente della Marca e governatore di Città della Pieve (1626)29.
26Anche il successore del Bulgarini, Diomede Varese, restò in carica per soli tre anni, dal 1620 al 1623. Figlio di Girolamo Varese e Giulia Arrigoni, sorella del cardinale Pompeo Arrigoni, ed imparentato anche col cardinale Ciriaco Rocci, il Varese era un personaggio di qualche levatura. Nel 1608 fu nominato avvocato concistoriale, nel 1616 referendario di Segnatura. Dopo la sua breve permanenza al Buon Governo divenne governatore di Campagna (1623-1625) e della Marca (1625-1627). Rimase poi prelato di Consulta fino alla morte, che avvenne il 17 maggio 165230.
27La breve permanenza al Buon Governo dei segretari attivi tra la fine degli anni ’10 e l’inizio degli anni ’20 del Seicento si spiega con il forte turn-over che derivava dal rapido succedersi dei pontefici. Con il lungo pontificato di Urbano VIII (1623-1644) si arrivò ad una maggiore stabilità. In questo periodo troviamo infatti tre soli segretari del Buon Governo, tutti legati ai Barberini.
28Nel 1623 fu eletto segretario Giovambattista Spada, che ebbe un carriera assai più brillante di quella dei suoi predecessori31. Lo Spada nacque a Lione il 28 agosto 1597 da Orazio e Caterina Cenami, entrambi membri di famiglie del patriziato lucchese, ma già nel 1606 venne inviato a Roma per iniziare una carriera sotto la guida dello zio, Giovambattista senior, rispettato giurista ed autore di una raccolta di Consilia che fu edita postuma a cura del nipote32. Nel 1617-1618 fu assunto dallo zio come coadiutore, con futura speranza di successione, nelle cariche di avvocato concistoriale ed avvocato del fisco. Alla morte dello zio (1623), lo Spada fu messo di fronte ad una difficile scelta; Urbano VIII, che intendeva assegnare la carica di avvocato fiscale al suo protetto (e futuro cardinale) Antonio Cerri, gli propose, o impose, di rinunciare ai suoi diritti, offrendogli in cambio «la segretaria di Bono Regimine con una pensione di scudi duecento, et il primo canonicato libero, che fosse per vacare nella Basilica di S. Pietro, oltre il breve per ritenere unitamente l’avvocatione concistoriale». Una richiesta di un papa è quasi un ordine e Spada dovette accettare la proposta, anche «se non li pareva, che equivalesse, ciò che riceveva e quello che abbandonava, sicuro il presente, et incerto il canonicato»33. Rimase segretario del Buon Governo dalla fine del 1623 al 1629, guadagnandosi la fiducia di Urbano VIII e dei Barberini. Nell’ottobre 1629 moriva il cardinal vicario, Giovanni Garzia Millini, provocando un profondo sommovimento nella burocrazia curiale. Il papa nominò cardinal vicario il segretario di Consulta, Marzio Ginetti, ed assegnò il posto rimasto vacante allo Spada. Dalle sue lettere ai familiari si deduce che egli lo considerava un notevole progresso nella sua carriera, essendo quella di segretario di Consulta «carica di gran confidenza, et stima, che però ci constituisce tutti in obligo infinito verso Sua Santità et eccellentissima sua Casa»34. Non è possibile seguire in dettaglio tutti i successivi passaggi della carriera di Spada, che non fu particolarmente rapida, ma qualche sommaria indicazione può illustrare alcuni meccanismi del cursus honorum curiale. Dopo aver occupato la carica di segretario della congregazione di sanità in una congiuntura difficile, quella della peste del 1630, divenne governatore di Roma nel 1635. Negli ultimi anni di Urbano VIII lo Spada restò invece «congelato» nella carica pur prestigiosa di segretario di Stato, nonostante l’appoggio di Francesco Barberini, che avrebbe cercato di convincere lo zio, ormai morente, a dichiararlo cardinale. La morte di Urbano VIII e lo scontro tra Innocenzo X ed i Barberini portarono altre delusioni allo Spada, che nel 1644 fu nominato presidente di Romagna, una carica importante, ma che comportava l’allontanamento da Roma. Tornato a Roma visse in disparte, dedicandosi alla pubblicazione dei Consilia dello zio. Nel 1652 i Barberini si riconciliarono con il pontefice ed i loro fedeli poterono finalmente sperare in premi ed avanzamenti di carriera. Il 2 marzo 1654 anche Spada poté giungere al sospirato cardinalato.
29Anche i successori dello Spada erano dei clienti della famiglia di Urbano VIII, ma erano più vicini al cardinal Antonio junior che non al cardinale nipote, Francesco. Dal 1629 al 1630 fu segretario Fulvio Benigni (?-1630), un oscuro avvocato che rivestiva la carica di uditore di Antonio Barberini e che fu anche segretario della congregazione del Tevere35. Uditore di Antonio Barberini era anche il successore del Benigni, Giulio Donati, che restò segretario per ben quattordici anni (1630-1644), e morì in carica, durante la sede vacante di Ur bano VIII, il 17 agosto 164436. Donati nacque intorno al 1590 da un Geronimo di Fabio Donato, patrizio aversano e nobile romano. Laureatosi in legge nel 1611, esercitò l’avvocatura e si sposò con Flavia de’ Gheti, figlia di un noto avvocato romano. La sua carriera, assai limitata dalla sua condizione laicale, si sviluppò tutta all’ombra dei Barberini; mellita deinde Barberinarum Apum munificentia, scrisse Carlo Cartari. Dopo essere succeduto al Benigni, con cui era lontanamente imparentato, intorno al 1632 divenne uditore del cardinal Antonio junior e poco dopo segretario della congregazione del Tevere. Nel 1636 venne scelto come responsabile degli archivi dello Stato. Infine, nel 1641 ottenne la carica di avvocato concistoriale, probabilmente il massimo a cui poteva aspirare, data la sua condizione di laico coniugato. Il suo rapporto con i Barberini era quello tipico di un cliente. Lo troviamo così impegnato non solo in questioni amministrative, ma anche a procurarsi per il cardinal Antonio quadri e manoscritti dell’eredità di Lelio Guidiccioni37.
30Nella fase convulsa che seguì la morte di Urbano VIII fece una breve comparsa alla segreteria del Buon Governo un valente giurista, Angelo Celsi, che restò in carica dal 1644 al 1645, passando subito dopo all’uditorato di Rota e poi al cardinalato, nel 166438. I suoi successori furono tutti dei «tecnici», che venivano da una carriera amministrativa e che restarono in carica per periodi abbastanza lunghi. A questa data dunque possiamo far risalire un certo allentamento dei rapporti di dipendenza personale dal cardinalnipote. Dal 1645 al 1660 fu segretario Francesco Maria Mancini39. Il Mancini apparteneva tanto per parte di madre che per parte di padre a vecchie famiglie della nobiltà cittadina romana, da cuiuscirono numerosi conservatori. Dopo aver ricoperto alcune cariche curiali minori fu governatore di Terni (1636-1637), di Sabina (1637?), di Norcia (1637-1638) e di Todi (1638-1639), poi uditore del camerlengo e votante di Segnatura. La sua segreteria si concluse col cardinalato, che gli venne conferito nel 1660, più che altro in virtù dei suoi rapporti di parentela con Maria Mancini, che proprio in quegli anni era amante di Luigi XIV. E come si poteva negare il cardinalato ad un prelato tantarum mulierum patruus, come scriveva l’Oldoino?
31A Mancini successe un altro prelato versato nelle questioni amministrative, Mario Fani (1615-1682)40. Fani proveniva dalla nobiltà civica romana. Iniziò la sua carriera nei governi; amministrò Assisi (1641-1642), Todi (1642-1644) ed Città di Castello (1645-1646?). Dopo essere stato luogotenente del cardinal-vicario (1658) divenne segretario del Buon Governo (1660-1668) e della Consulta (dal 1668). In assenza di potenti protezioni, le sue doti amministrative non furono però sufficienti ad ottenergli il cardinalato.
32Quasi a dimostrare che il processo di «tecnicizzazione» dei segretari del Buon Governo era ben lungi dall’essere compiuto, alla fine dell’epoca considerata rileviamo un vorticoso succedersi di segretari, tutti con poca o nulla esperienza amministrativa. Tra il 1670 e il 1675 furono segretari Francesco Falconieri (1670-1674), Savo Mellini (1674-1675) ed Ottavio Falconieri (1675). Nel 1676 il nuovo papa, Innocenzo XI, rinunciò a nominare un cardinalnipote, sconvolgendo i meccanismi di reclutamento della burocrazia curiale. Nella nuova fase il patronage perse gradualmente l’importanza che aveva avuto per buona parte del Seicento mentre i principi della competenza tecnica e della strutturazione delle carriere su base gerarchica cominciarono ad affermarsi compiutamente.
33L’esame delle biografie dei segretari del Buon Governo non è certo sufficiente ad individuare tutte le caratteristiche di questa interessante figura di burocrate di Ancien Régime. Tuttavia è possibile quanto meno evidenziare la complessa interazione tra il principio della fedeltà personale e quello della cultura della carica che si realizzò in questa particolare fase storica. Un’interazione che contribuisce anche a spiegare le forme in cui veniva realizzato il controllo sulle finanze delle comunità, tra patronage e strumenti giuridico-istituzionali.
I PRELATI DEL BUON GOVERNO. UNA BUROCRAZIA DI ANCIEN RÉGIME
34Sin dall’inizio del Seicento il Buon Governo comprendeva un certo numero di prelati, incaricati soprattutto di proporre le cause. Inizialmente, si configuravano come consultori dei cardinali, incaricati di mettere la propria competenza tecnico-giuridica al servizio della congregazione41. In un momento non troppo lontano dalle origini della congregazione, che gli stessi giuristi pontifici non riuscivano a collocare con precisione, i prelati ponenti ottennero però anche il voto decisivo e cominciarono ad esercitare forme di controllo sugli affari delle comunità appartenenti alla loro ponenza.
35L’esame della documentazione manoscritta rivela che in molte vertenze il ruolo del ponente era determinante. Oltre ad occuparsi di istruire le cause da discutere in congregazione, il prelato riceveva dal segretario memorie ed istanze di ogni genere, che approfondiva, talora con la collaborazione dell’agente della comunità, ed esponeva verbalmente. Questo passaggio di carte finiva per scaricare sul ponente la responsabilità effettiva della decisione, che pure appariva formalmente assunta dal segretario e dal cardinal-nipote.
36Data la delicatezza delle mansioni dei ponenti, sembra opportuno cercare di individuare la fisionomia di questo gruppo di burocrati attraverso un’analisi di tipo prosopografico. In particolare, si tratta di capire se i ponenti esercitavano la loro attività prevalentemente all’interno dell’amministrazione temporale dello Stato, se erano scelti in base alla loro competenza tecnica ovvero in base a rapporti di clientela, se la loro permanenza al Buon Governo fu episodica o duratura, se infine il passaggio alla congregazione rappresentò un progresso nella loro carriera42.
37I dati che sono riuscito a raccogliere sono stati condensati nella seguente tabella, che considera le cariche occupate da 54 prelati del Buon Governo nel corso della loro carriera43.
I PONENTI DEL BUON GOVERNO (1605-1676)
38Il primo dato evidente è che i ponenti del Buon Governo svolsero una carriera prevalentemente amministrativa. Su 54 ponenti ben 33 furono anche governatori, in genere prima di entrare alla congregazione. Decisamente più limitata sembra invece la presenza alla Camera apostolica (10 prelati) negli altri settori dell’amministrazione temporale (15 prelati). Si deve peraltro osservare che questi ultimi valori potrebbero essere sottodimensionati, data la mancanza di liste nominative complete di membri della Camera e della Consulta. In particolare, il dato sui governatori appare molto interessante, se lo si confronta con i dati relativi ai cardinali membri del Buon Governo. Se i cardinali provenivano spesso dalla Camera o dalle nunziature, i prelati erano soprattutto governatori. Era proprio l’esercizio dei governi a fornire loro quella competenza tecnica che non potevano acquisire con la semplice laurea in diritto o la nomina a referendario.
39Considerando i prelati che assunsero almeno una delle cariche temporali considerate (governi, Camera, Consulta e Rota, segreteria del Buon Governo) si arriva ad un totale di 44 prelati su 54. Questo dato potrebbe crescere ulteriormente, se si considerassero altre cariche di cui non ho tenuto conto nella tabella. Per esempio, Marcello Severoli, pur non essendo mai stato governatore, chierico di Camera o membro della Consulta e della Rota, fu segretario della congregazione del Tevere (carica squisitamente amministrativa). Numerosi altri prelati furono a lungo votanti della Segnatura, e quindi impegnati in compiti giudiziari. Un piccolo numero di prelati furono anche nunzi e quindi seguirono una carriera del tutto diversa, che più frequentemente conduceva al cardinalato.
40La quinta colonna rappresenta un’ulteriore dimostrazione del fatto che i ponenti svolsero la loro carriera prevalentemente nell’amministrazione temporale dello Stato. Su 54 ponenti solo 8 furono vescovi, escludendo quelli che ottennero un vescovato dopo aver conseguito il cardinalato. Si tratta di un dato già abbastanza basso, ma potrebbe scendere ancora se si considera che diversi prelati, anche se nominati vescovi, non risiedettero nella loro diocesi, ma continuarono a servire nella burocrazia pontificia. L’ultima colonna segnala i ponenti giunti, in diversi momenti della loro carriera, al cardinalato. Si ottiene un rispettabile dato di 16 cardinali su 54 Per interpretarlo correttamente, bisogna però considerare che i prelati non giunsero quasi mai direttamente dalla ponenza al cardinalato, ma seguirono un iter di carriera più lungo, che comprendeva cariche prelatizie di maggiore importanza. Allo stato attuale della ricerca, sembra però impossibile ricostruire con esattezza la progressione delle carriere prelatizie. Di conseguenza, l’unica interpretazione possibile è la conferma del fatto che la ponenza del Buon Governo rappresentava una tappa frequente all’interno di un cursus honorum di successo.
41I dati riportati sulla tabella non sono certamente sufficienti a ricostruire compiutamente la fisionomia dei ponenti del Buon Governo, ma rappresentano una prima base di discussione. Dalla prosopografia emerge il dato incontestabile che i prelati del Buon Governo svolsero la loro carriera prevalentemente all’interno dell’amministrazione temporale dello Stato, cominciando dai governi per poi passare al Buon Governo o alla Consulta e di qui a cariche di maggiore importanza (uditorato di Rota, chiericato di Camera...). Ciò rappresenta un buon indice del possesso di una competenza tecnica specifica e riduce alle giuste proporzioni il ruolo dei legami clientelari. Questi ultimi agivano in un contesto in cui esisteva comunque un cursus honorum relativamente strutturato (il cosiddetto «giro dei governi») e servivano soprattutto a fornire una remunerazione ai prelati44. Al pari degli altri prelati di Curia, i ponenti non ricevevano infatti stipendio ma erano costretti a grosse spese di vario genere. Di conseguenza ottenere un canonicato, una prebenda o un rapido scatto di carriera diventava talora un’autentica necessità.
42Con ciò non si vuole fornire un’immagine eccessivamente «moderna» dei burocrati pontifici, ma si vuole quanto meno evidenziare che nelle loro carriere esiste un nesso ben preciso tra almeno tre elementi; il possesso di cultura giuridica, l’esercizio dei governi, la partecipazione agli organi che gestivano l’amministrazione temporale dello Stato. Del resto, i legami esistenti tra questi elementi erano ben presenti agli stessi prelati di Curia, che frequentemente definivano il passaggio nei governi provinciali come la tappa decisiva per acquisire una vera «cultura di governo»45.
43Questa sommaria ricostruzione della struttura della congregazione del Buon Governo nel Seicento consente di svolgere alcune considerazioni generali, che forse si potrebbero estendere ad altre aree della burocrazia pontificia.
44In generale, l’analisi conferma l’alterità del sistema curiale romano rispetto ad un apparato politico amministrativo Sette-Ottocentesco, ma, allo stesso tempo, evidenzia come non sia possibile appiattire tutto un mondo giuridico-amministrativo su nozioni vaghe come quelle di sistema clientelare, patronage e simili. Le congregazioni avevano delle tradizioni, degli stylus iudicandi, una giurisprudenza che assicuravano continuità alla loro azione, anche indipendentemente dalla persona pontefice regnante e dei titolari delle principali cariche. Né si deve ritenere che lo spoil-system che si applicava nello Stato della Chiesa con l’elezione di un nuovo pontefice fosse talmente pervasivo da implicare un completo ricambio di personale, tale da garantire al nuovo eletto un controllo completo sull’apparato amministrativo. Nel Seicento, dunque, l’apparato burocratico curiale aveva raggiunto una sua maturità dal punto di vista dell’organizzazione e delle tecniche amministrative, pur continuando ad agire in un contesto politico culturale fortemente segnato dalla presenza di legami clientelari e di fedeltà personale.
45Venendo più in dettaglio all’organizzazione della congregazione, risulta confermato il ruolo centrale del cardinal nipote, che non derivava tanto dagli ampi poteri che gli venivano conferiti nei brevi di nomina, ma dall’esistenza di legami di fedeltà personale con il segretario ed alcuni dei cardinali e prelati. Con tutto ciò, la congregazione manteneva una sua autonomia, che si accrebbe dopo la metà del Seicento, quando la carica di segretario non fu più occupata da semplici clienti dei cardinali nipoti, ma da prelati che provenivano da una carriera amministrativa. Accanto al cardinal nipote, poi, si evidenzia il ruolo del segretario e dei prelati, che influivano in maniera decisiva sull’agenda della congregazione organizzando tutta la fase istruttoria delle pratiche. Assai più marginale appare, per converso, la funzione dei cardinali, che partecipavano di rado alle riunioni e, verosimilmente, intervenivano solo su questioni specifiche. Ciò conferma, da un lato, lo svuotamento del ruolo dei cardinali iniziato nel Cinquecento e, dall’altro, le profonde differenze che esistevano tra l’organigramma ufficiale della congregazione e i reali assetti di potere.
46La relativa autonomia del Buon Governo è confermata dall’analisi del personale, che evidenzia il peso della componente tecnica. Dall’analisi prospopografica risulta chiaramente che tutti i membri dalla congregazione possedevano, in diversa misura, una competenza tecnica, acquisita soprattutto nell’esercizio dei governi e delle cariche prelatizie. Si trattava cioè di una competenza di carattere eminentemente «pratico», secondo i dettami di un filone importante della letteratura giuridico-politica dell’epoca, che tuttavia può correggere molte immagini correnti della burocrazia curiale46. L’accentuazione di questi elementi non deve tuttavia portare ad una valutazione eccessivamente «modernizzante» del Buon Governo. Al contrario, l’esame dell’organizzazione e della composizione della congregazione consente di evidenziare i caratteri specifici dell’amministrazione pontificia del Seicento; l’intreccio di giurisdizioni, il peso dei legami clientelari, l’intersecarsi di ragion di Chiesa e ragion di Stato, il costante intervento del sovrano-giudice. E proprio sul ruolo del pontefice converrà riflettere, magari anche con ulteriori ricerche. Nel caso del Buon Governo, infatti, emerge chiaramente che i pontefici seicenteschi non rinunciarono, almeno a livello di diritto, a controllare direttamente l’attività della congregazione. Si tratta, mi pare, di un aspetto importante di una cultura politica fortemente segnata dal tema della pienezza del potere del sovrano, che impressionava fortemente osservatori provenienti da realtà politiche diverse. Non a caso, dunque, gli ambasciatori veneti osservavano, contrapponendo implicitamente il sistema veneziano al «dispotismo papale», che a Roma «le [materie] civili et criminali si maneggiano da ministri nominati a beneplacito del papa, dalli cui cenni solo assolutamente dipendono, le congregationi dei cardinali deputati sopra materia che spetta al temporale, le discutono ben tra di loro, et risolvono ciò che giudicano meglio, ma niente eseguiscono senza haverne prima dato parte al padrone»47.
Notes de bas de page
1 Cfr., tra gli altri, W. Reinhard, Papal power and family strategy in tke sixteenth and seventeenth centuries, in R. Asch e A. Birke (a cura di), Princes, patronage and the nobility. The courts at the beginning of modern age c. 1450-1650, Oxford, 1991, p. 329-356; G. Signorotto e M. A. Visceglia (a cura di), La Corte di Roma tra Cinque e Seicento «teatro» della politica europea, Roma, 1998 (Centro studi Europa delle corti, Biblioteca del Cinquecento, 84); M. A. Visceglia, Burocrazia, mobilità sociale e «patronage» alla Corte di Roma tra Cinque e Seicento. Alcuni aspetti del recente dibattito storiografico e prospettive di ricerca, in Roma moderna e contemporanea, 3, 1995, p. 11-56; Ch. Weber, Senatus divinus. Verborgene Strukturen im Kardinalskollegium der frühen Neuzeit, 1500-1800, Francoforte, 1996 (Beiträge zur Kirchen- und Kulturgeschichte, 2).
2 Basti qui il rimando a P. Prodi, Il sovrano pontefice, Bologna, 1982.
3 Sulle vicende dell’archivio cfr. E. Lodolini (a cura di), L’archivio della S. Congregazione del Buon Governo (1592-1847). Inventario, Roma, 1956, p. clxv-clxxvi.
4 Per una più ampia trattazione e un più consistente apparato critico cfr. S. Tabacchi, Il Buon Governo. Potere papale e comunità nello Stato della Chiesa (1592-1760), tesi di perfezionamento, Scuola Normale Superiore, Pisa, 2000, che è alla base di tutto questo intervento.
5 Secondo alcuni calcoli grossolani che ho fatto sulla base dei registri di corrispondenza nel 1623 il Buon Governo spedì circa 1 500 lettere (per il periodo 4 gennaio-15 novembre) a governatori e vescovi, nel 1630 oltre 2 000, nel 1662 quasi 4 000, a fronte di poche decine di cause contenziose.
6 Cfr. L. Mannori (a cura di), Comunità e poteri centrali negli antichi Stati italiani, Napoli, 1997; S. Tabacchi, Il controllo sulle finanze delle comunità negli antichi Stati italiani, in Storia, amministrazione, costituzione. Annale dell’istituto per la scienza dell’amministrazione pubblica, 4, 1996, p. 81-115
7 Cfr. L. Mannori, Per una «preistoria» della funzione amministrativa. Cultura giuridica e attività dei pubblici apparati nell’età del tardo diritto comune, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 19, 1990, p. 323-504.
8 Sul ruolo del nipote, oltre ai copialettere della congregazione (ASR, Buon Governo, serie V) cfr. G. Lunadoro, Relatione della Corte di Roma..., Viterbo, 1642, p. 35. G. Cohellio, Notitia cardinalatus..., Roma, 1653, p. 85.
9 Cfr. gli importanti registri di rescritti ai memoriali conservati in ASV, Archivio dei memoriali, che però presentano numerose lacune. Ho consultato le buste 1 (1636), 2 (1638) e 3 (1647).
10 Per i chirografi cfr. ASV, Buon Governo, buste 34 e 35. I copialettere esaminati sono in ASR, Buon Governo, serie V, buste 6-30 (anni 1605-1676, con grosse lacune per il 1605-1650).
11 Ne esistono numerose copie. Ho utilizzato quella in Archivio di Stato di Lucca, Archivio Guinigi, busta 271, c. 1-17. È stata edita in La prima parte del Thesoro politico...raccolto da Comin Ventura, Milano, 1600, p. 451-481. Sull’autenticità cfr. L. von Pastor, Storia dei papi dalla fine del Medioevo, X, Roma, 1928, p. 49-50.
12 Archivio di Stato di Lucca, Archivio Guinigi, busta 271, c. 7r.
13 Per il pontificato di Paolo V c’è una corrispondenza ufficiale in ASR, Buon Governo, ed una informale in ASV, Fondo Borghese; per il periodo barberinano i carteggi con i governatori e le comunità conservati in BAV, Barb. Lat. fanno riscontro alla corrispondenza della congregazione.
14 ASV, Fondo Albani, busta 207, Giuseppe Renato Imperiali a Clemente XI, 29 novembre 1700.
15 Cfr. BAV, Chigi, 1788. c. 5r.
16 Non esistono dei veri processi verbali della congregazione, ma solo alcune «vacchette» (la prima è del 1634) che riportano in maniera e stringata le decisioni. D’altro canto le sentenze della congregazione, conservate a partire dal 1701, recano la sottoscrizione del segretario in prima istanza e di un ponente nelle successive.
17 Cfr. G. B. de Luca, Il cardinale della Santa Romana Chiesa pratico, Roma, 1680, specie i cap. 8,13 e 24.
18 Cfr. l’interessantissimo Discorso sopra la multiplicità de’ cardinali delle congregationi, scritto nel 1668 dal segretario della congregazione dell’Immunità, Altoviti (BAV, Vat. Lat. 11733 [olim ASV, Misc. Arm. III, 61], c. 225-226, 239-240). L’autore sostiene che i cardinali partecipavano alle riunioni delle congregazioni solo se avevano interesse a favorire una delle parti in causa.
19 Le fonti utilizzate per l’elaborazione della tabella sono le liste pubblicate in Ch. Weber, Die ältesten päpstlichen Staats-Handbücher. Elenchus Congregationum, tribunalium et collegiorum Urbis 1629-1714, Roma-Friburgo-Vienna, 1991 e quelle conservate in ASV, Fondo Confalonieri, busta 15, c. 376-377, ASR, Buon Governo, serie VIII, Appendice, busta 77, ASR, Buon Governo, serie V, busta 10, BAV, Chigi 1788, c. 5r-6r. Per il periodo 1605-1676 risultano coperti 13 anni su 71.
20 Per la base documentaria di queste considerazioni cfr. S. Tabacchi, Il Buon Governo..., cit. n. 4.
21 Sul Santarelli cfr. BAV, Chigi 1788, c. 6, K. Jaitner Die Hauptinstruktionen Clemens’ VIII. für die Nuntien und Legaten an den europäischen Fürstenhöfen, Tubinga, 1984 ad indicem; Id., Die Hauptinstruktionen Gregors XV flür die Nuntien und Gesandten an der europäischen Fürstenhofen, 1621-1623, Tubinga, 1997, ad indicem. Jaitner sostiene che esistettero due Odoardo Santarelli, uno di Nocera Umbra ed uno di Sassoferrato, ma si tratta di un errore, verificabile sulla base della lapide sepolcrale di Santarelli. Per la data di morte cfr. BAV, Vat. Lat. 7901, c. 81r.
22 Archivio Doria-Pamphilij, Fondo Aldobrandini, busta 13, Carteggio di Odoardo Santarelli con Pietro Aldobrandini.
23 W. Reinhard, Papal power and family strategy... cit. n. 1.
24 Archivio Doria-Pamphilij, Fondo Aldobrandini, busta 13, Santarelli ad Aldobrandini, 5 gennaio 1608, c. 148-149; lo stesso allo stesso, 16 febbraio 1608, c. 162; ASV, Fondo Borghese, serie II, busta 37, c. 222-225, Bonifacio Caetani a Scipione Borghese, 17 febbraio, 1610.
25 ASV, Fondo Borghese, serie II, busta 36, c. 119-120, Bonifacio Caetani a Scipione Borghese, 24 gennaio 1608. Altre lettere interessanti sui medesimi argomenti ibid., c. 152-154, 167-172.
26 ASV, Fondo Borghese, serie II, busta 38, c. 50-51, Caetani a Borghese, 11 marzo 1609. Citazione da c. 50. Altre lettere sul medesimo argomento ibid., c. 4-7.
27 Cfr. il diario del curiale G. Bilotta in BAV, Barb. Lat. 4810, c.nn.
28 Così almeno sostenne l’agente delle comunità Giacomo Cohelli (ASR, Cartari-Febei, busta 17, c. 329; Giacomo Cohelli a Giulivo Cartari, 21 luglio 1618).
29 Una breve biografia di Bulgarini in BAV, Chigi 1788, c. 6v. Cfr. anche Ch. Weber, Legati e governatori dello Stato Pontificio 1550-1809, Roma, 1994 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Sussidi, 7), p. 528.
30 Cfr. BAV, Chigi, 1788, c. 6v e, per la data di morte, BAV, Vat. Lat. 9701, c. 86, Ch. Weber, Legati e governatori..., cit. n. 29, p. 965-966.
31 Sullo Spada si dispone di numerosa documentazione. Una sua biografia è in BAV, Chigi 1788, c. 6v-7r. Più interessante è la sua ampia autobiografia, di cui esistono molte copie. L’originale, di cui sto realizzando l’edizione, è conservato in Archivio di Stato di Lucca, Fondo Spada. Cfr inoltre A. Kraus, Das Päpstliche Staatssekretariat unter Urban VIII 1623-1644, Roma-Friburgo-Vienna, 1964 (Forschungen zur Geschichte des päpstlichen Staatssekretariats, 1; Römische Quartalschrift, Supplementheft, 29), ad indicem. È superata, e talora fuorviante, la trattazione di C. Sardi, Il Card. G. B. Spada e il conclave del 1670, in Atti dell’accademia lucchese di scienze, lettere e arti, 36, 1925, p. 186-242.
32 G. B. Spada, Consiliorum Jo. Baptistae Spadae patritii lucensis..., Roma, 1658. Cfr. anche Archivio di Stato di Lucca, Fondo Spada, Fragmento di memorie di monsignor Gio Batta Spada seniore estratto da un manoscritto del medesimo...
33 Archivio di Stato di Lucca, Fondo Spada, Memorie della vita, ed azzioni del cardinale Gio. Batta Spada, p. 6.
34 Archivio di Stato di Lucca, Fondo Spada, Giovambattista Spada al fratello Bartolomeo, 2 ottobre 1629. Cfr. anche ibid. lo stesso alla madre, 13 ottobre 1629.
35 Sull’avvocato concistoriale Giulio Benigni cfr. C. Cartari, Advocatorum Sacri Consistorii Syllabum, Roma, 1656, p. 218 e ss. Su Fulvio Benigni cfr. ASV, Fondo Borghese, serie IV, busta 203.
36 Breve biografia in BAV, Chigi 1788, c. 7r e in Carlo Cartari, Advocatorum..., cit. n. 35, p. 270. Per la data di morte, BAV, Vat. Lat. 9701, c. 84r. Sue lettere ai Barberini sono in BAV, Barb. Lat. 8932, nn. 15-28. Cfr. inoltre A. Kraus, Das päpstliche Staatssekretariat..., cit. n. 31, ad indicem (talora impreciso) e M. Völkel, Römische Kardinalshaushalte des 17. Jahrunderts. Borghese-Barberini-Chigi, Tubinga, 1993 (Bibliothek des Deutschen Historischen Instituts, 74), p. 447. Cfr. anche la causa per la sua eredità (Romana Fideicommissi de Donatis, 7 giugno 1660 in Decisiones Sacrae Rotae romanae coram RPD Carlo Cerro, 2 vol. , Roma, 1682, p. 405-406).
37 BAV, Barb. Lat. 8932, nn. 27-28. Cfr. inoltre la lettera di che indirizzò il 5 novembre 1641 a Taddeo Barberini per ringraziarlo dell’avvocatura concistoriale (ibid., n. 19). Oppure la sua richiesta di una pensione su qualche canonicato di S. Maria Maggiore (ibid., n. 22).
38 Oltre alle note in BAV, Chigi 1788, c. 7r, cfr. A. Chacon, Vitae et res gestae pontificum romanorum et SRE Cardinalium..., IV, Roma, 1677, col. 755, M. Palma in Dizionario biografico degli italiani, XXIII, Roma, 1979, p. 470-471
39 Cfr. BAV, Chigi 1788, c, 7r, A. Chacon, Vitae..., cit. n. 38, col. 750-751, Ch. Weber, Legati e governatori..., cit. n. 29, sub nomine.
40 BAV, Chigi, 1788, c, 7r, Ch. Weber, Legati e governatori..., cit. n. 29, sub nomine.
41 Cfr. ASR, Bandi, serie II, busta 247 Ordine da osservarsi nelle cause contenziose che si propongono in Sacra Congregatione del Buon Governo, 1668, più volte ristampati.
42 La situazione delle fonti non è brillante. I prelati del Buon Governo non erano nominati con un atto ufficiale, come un breve, e perciò è difficile sapere chi faceva parte della congregazione in un dato anno. Né soccorrono molto i registri di contabilità, che annotano gli stipendi versati ai membri della congregazione. La relativa serie archivistica, infatti, inizia solo col 1670 ed in ogni caso non comprende i prelati, che ricevettero uno stipendio simbolico solo a partire dal 1723.
43 Per le fonti cfr. ancora S. Tabacchi, Il Buon Governo..., cit. n. 4.
44 Bisognerebbe anche che la storiografia riprendesse una distinzione, che è nelle fonti, tra carriere curiali e cortigiane. Si consideri ad esempio come descrivono l’inizio della carriera di Gregorio Barbarigo (P. Gios, Gli inizi della carriera ecclesiastica di Gregorio Barbarigo nelle lettere ai familiari (1655-1657), in Studia patavina, 40, 1993, p. 239-302).
45 Cfr. R. Ago, Carriere e clientele nella Roma barocca, Roma, 1990, p. 78-79 e soprattutto Ch. Weber, Mons. Giacomo Giandemaria (1639-1690) governatore per la S. Sede ed i suoi scritti inediti, in Bollettino storico piacentino, 82, 1987, p. 168-182.
46 Sulle virtù «pratiche» del buon funzionario cfr. M. Stolleis, Stato e ragion di Stato nella prima età moderna, Bologna, 1998.
47 Relazione di Renier Zeno (1621-1623), in N. Barozzi-G. Berchet, Relazioni degli stati europei lette al Senato dagli ambasciatori veneti nel secolo decimosettimo, serie III, Italia, Relazioni di Roma, I, Venezia, 1877, p. 142.
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