Il mutamento di un ruolo: i legati nell’amministrazione interna dello Stato pontificio dal xiv al xvii secolo
p. 371-418
Texte intégral
1La vicenda che questo contributo intende ripensare è quella dell’utilizzazione di cardinali legati come rettori provinciali nella fase formativa del moderno Stato pontificio. A questo fine, occorrono in via preliminare alcune precisazioni terminologiche e concettuali, poiché le qualifiche di «cardinale», «rettore provinciale» e «legato» nel dominio pontificio sono state a lungo sommate (ed associate ad altre, quale quella di «vicario generale temporale»), così da portare automaticamente a sovrapporle, senza che per questo siano necessariamente sinonime. Il legato è infatti una figura presente nella Chie-sa romana sin dal passaggio tra mondo antico e Medioevo, e tuttora esistente: la sua caratteristica generale è quella di fare le veci del Papa per le competenze e i luoghi specificati dalle lettere di nomina, cosicché nel corso del tempo è stata utilizzata per ricoprire moltissime funzioni, da quella di rappresentante diplomatico a quella di comandante militare, da quella di governatore provinciale a quella di ispettore sullo svolgimento di eventi religiosi rilevanti (riorganizzazioni ecclesiastiche, ma anche concili o, più di recente, giubilei)1. E poiché il diritto canonico, che dal xiii secolo ne sistematizza la figura, è assai restio nell’eliminare ruoli e competenze, tutte queste dimensioni restano sempre compresenti, anche se magari allo stato latente, nella figura del legato che, per la sua prerogativa di impersonare il Papa, viene rapidamente ad essere considerato superiore agli ordinari diocesani e alle altre autorità ecclesiastiche. Dal tardo Duecento si designano i legati che siano cardinali (è questa ormai la situazione che si avvia a diventare normale) col titolo di legati de latere, in modo da sottolinearne la particolare vicinanza e consonanza col Papa, mentre altri rappresentanti pontifici di rango non cardinalizio, ma autorevoli, possono venire dotati di poteri di legato de latere senza averne la qualifica (si parla in tal caso appunto di nunzi, governatori o vicari ‘con poteri di legato de latere’)2. Sempre nel xiii secolo, incontriamo inoltre anche cardinali cui viene occasionalmente affidato il ruolo di rettore (cioè di rappresentante politico periferico del Papa in quanto sovrano temporale) dell’una o dell’altra provincia del dominio territoriale pontificio, ma senza che tale incarico comporti o si associ ad una nomina legatizia; quanto alla carica di ‘vicario generale temporale’, costituirà una innovazione del Trecento: indicherà un inviato straordinario del Pontefice con ampi poteri di supervisione e riforma sul sistema amministrativo dei territori politicamente sottoposti al vescovo di Roma. Dallo stesso secolo, infine, la presenza dei legati conosce un cambiamento di segno e rilevanza: essi infatti (insigniti ormai pressoché tutti del rango cardinalizio) iniziano a venire destinati a compiti prevalenti di governo provinciale. Cercheremo dunque, sulla base di quanto la storiografia ha appurato e le fonti edite consentono3, di seguire in maniera sintetica la trasformazione del loro ruolo da tale momento sino alla fine del xvii secolo, allorché essa è ormai compiuta, così da comprendere in base a quali scelte politiche e perseguendo quali progetti di assetto amministrativo i Papi decidessero di utilizzare in maniera consistente la figura dei legati nel controllo del proprio principato territoriale; e tenteremo di indicare come la figura del cardinale legato in funzione di rettore provinciale sia concretamente variata nel tempo.
2Alla fine del xiii secolo, lo Stato pontificio configurato da Innocenzo III ha raggiunto un assetto istituzionale imperniato su cinque grandi province: la Campagna e Marittima, nel Lazio meridionale; il Patrimonio di S. Pietro in Tuscia, nel Lazio settentrionale; il Ducato di Spoleto, ovvero l’area umbra; la Marca d’Ancona; la Romagna; a queste si aggiungono il Venassino in Provenza e alcune circoscrizioni italiane minori, che a volte sono amministrate come piccole province a sé. Ogni provincia è guidata da un rettore nominato dal Papa e subordinato al camerlengo: si tratta soprattutto di laici, ma anche di vescovi, altri ecclesiastici e cardinali4, senza che per questi ultimi le competenze varino significativamente; secondo le bolle di nomina, tutti i rettori devono infatti genericamente guidare il territorio loro affidato reprimendovi i ribelli e operando quanto ritengano vantaggioso per la Chiesa romana e i sudditi residenti; alle autorità civili ed ecclesiastiche viene contestualmente ordinato di obbedire e collaborare col nuovo rettore, che è retribuito con entrate locali5. L’invio di cardinali col titolo di legati appare invece oggetto di nomine distinte e connesso a circostanze straordinarie: così, ad esempio, nel 1300 il cardinale Napoleone Orsini è scelto da Bonifacio VIII come rettore della Marca e del Ducato di Spoleto e (contemporaneamente, ma con provvedimento differente) inviato come legato nelle stesse province e nel Perugino per ristabilirvi l’ordine, dopo che i ghibellini di Uguccione della Faggiola si sono impadroniti di Gubbio6, mentre il cardinale Matteo d’Acquasparta, nominato legato nell’Italia centro-settentrionale per rafforzarvi lo schieramento guelfo, viene poco dopo creato anche rettore provinciale di Romagna7. Un legato può dunque occasionalmente ricevere anche una carica rettorale per venire facilitato nell’adempimento della propria missione politico-militare. Entrambi i porporati ricordati vengono investiti, in quanto legati, del tradizionale potere di riformare la struttura ecclesiale dei territori in cui sono inviati, ma anche di quello particolare di pacificare tali territori: «te... ad ipsas provincias tamquam pacis angelum destinantes, committimus tibi plene legationis officium... ut evellas et destruas, dissipes et disperdas, edifices et plantes»8.
3Dal primo Trecento la situazione cambia completamente. La scelta di guelfismo intransigente di Bonifacio VIII induce enormi lacerazioni nello schieramento di forze che si riconoscono nella guida politica papale, e si conclude con il trasferimento dei pontefici ad Avignone, sotto l’abbraccio soffocante degli alleati-protettori francoangioini. Ciò significa un tracollo per il fronte guelfo e l’affermazione in val Padana di dinamiche signorie ghibelline (tra cui emergerà principalmente quella viscontea), che mettono in discussione il controllo papale sull’Italia e sullo stesso dominio pontificio. Clemente V reagisce riprendendo l’uso di inviare missioni teoricamente pacificatrici affidate a legati detti comunemente ‘di Lombardia e Tuscia’ o ‘d’Italia’, competenti per la parte centro-settentrionale della penisola, la Dalmazia, la Sardegna e la Corsica, vale a dire per tutta l’area italiana ad esclusione dei regni di Napoli e Sicilia (ai quali vengono semmai destinati legati specifici). Negli anni intorno al 1306-1310, spiccano tra i legati ‘d’Italia’ nuovamente Napoleone Orsini, che si rivela peraltro del tutto inadatto a ricompattare lo schieramento guelfo italiano, e Arnaud de Pellegrue, che tenta di assicurare il controllo pontificio su Ferrara contro le possibilità di restaurazione degli Este sostenuti da Venezia. L’uso di questi legati, di per sé non nuovo, acquisisce una rilevanza inedita proprio in seguito alle gravi difficoltà in cui si trova il Papato avignonese: lontani dalla sede pontificia, stretti tra l’ostilità ghibellina e la scarsa affidabilità delle forze guelfe, che tendono a svincolarsi dalle logiche di schieramento, essi debbono disporre di una larga autonomia per tradurre in atti concreti, nel ginepraio italiano, le indicazioni politiche papali. I poteri loro conferiti insieme con la qualifica legatizia, peraltro, li mettono in grado di servirsi nella loro missione delle risorse finanziarie fornite dalle strutture ecclesiastiche locali (che sono tenute a pagare le spese della presenza del legato e dei suoi collaboratori) e di utilizzare il personale di stretta fiducia del Papa costituito dai Regolari, in particolare da domenicani e francescani; di modo che la rete diocesana e parrocchiale e quella dei conventi Mendicanti forniscono la base materiale e umana su cui i Papi all’alba del xiv secolo ritengono di poter consolidare la loro presenza politica nello Stato. I porporati, inviati a svolgere un compito arduo quanto importante, possiedono inoltre una spiccata rilevanza personale e curiale, così da poter rimanere lontani dalla corte, se necessario, per lunghi periodi senza perdere quel rapporto privilegiato col sovrano che costituisce l’essenza della loro carica: Orsini era stato il grande elettore di Clemente V, di cui Pellegrue è a sua volta nipote e principale consigliere9. Quando, tuttavia, il quadro politico italiano cambia, con l’ingresso di Enrico VII nella penisola, si assiste ad un mutamento di personale parallelo alle mutate esigenze della politica papale: nello stesso 1310 diviene infatti legato ‘di Lombardia e Tuscia’, ma con esclusione del dominio temporale del Papa, il cardinale Thomas Jorz, cui succede l’anno successivo Arnaut Faugères, entrambi con poteri simili a quelli di Orsini e Pellegrue, ma con il compito fondamentale di sorvegliare la politica italiana del Lussemburghese. Di fronte al pericolo costituito dalla presenza fisica dell’Imperatore in Italia, occorre che i rappresentanti papali accentuino il loro ruolo di diplomatici e coordinatori del movimento guelfo, ridimensionando per il momento quello di grandi controllori della vita politica e amministrativa delle terre papali10.
4L’impiego dei legati ‘d’Italia’ conosce un salto di qualità durante il regno di Giovanni XXII, grazie alla lunga missione di Bertrand du Poujet, inviato, tra 1319 e 1334, per opporsi alla minaccia viscontea (ma anche degli Scaligeri e Bonaccolsi e, più in generale, del fronte ghibellino) e riprendere il controllo delle regioni appartenenti al dominio pontificio. Egli riesce infatti a costituire un vasto complesso territoriale che abbraccia, seppure con discontinuità, l’intera area emiliano-romagnola (salvo Ferrara), vi assume la signoria di ogni singolo centro a nome del Papa e si sovraordina, tramite il proprio rango legatizio, ai rettori, podestà e altri ufficiali pontifici che insedia in ogni circoscrizione. Grazie al suo prestigio personale (è strettamente legato a papa Duèse), il porporato gode di tale ascendente politico da ottenergli la proclamazione a signore anche nelle città dell’Emilia occidentale, estranee all’antico Esarcato bizantino e dunque ai confini riconosciuti del dominio pontificio, la cui legittimazione, in quest’area di diritto imperiale, avviene dunque soltanto in virtù della dedizione spontanea dei sudditi, ovvero, in diversi casi, della conquista armata; il suo ruolo istituzionale gli consente peraltro di organizzare e coordinare unitariamente l’apparato amministrativo del territorio controllato, che viene così a costituire un’entità politica nuova, governata dal cardinale in nome del Papa e pensa-ta come possibile sede della Curia romana. Il legato, in altre parole, vede enormemente dilatato nei fatti il compito di guida politica e di comando militare che i suoi poteri, per quanto simili a quelli dei suoi predecessori e dunque formulati ancora come poteri prevalentemente diplomatico-ecclesiali, contenevano in embrione. Le numerose lettere apostoliche indirizzategli conferiscono infatti primariamente a Du Poujet il ruolo tradizionale dell’angelus pacis, con larghissima autorità sulle strutture ecclesiastiche, ma gli commettono anche la decisione sulle cause d’appello dalle sentenze degli ufficiali del dominio papale e, più tardi, il compito di procedere contro gli avversari politici del pontefice; la stessa lunghissima durata della missione comporta un periodico riaggiustamento degli obiettivi indicati al cardinale11.
5L’impegno sullo scacchiere padano è tale da assorbire interamente le energie del porporato, cosicché dal 1326 la carica viene sdoppiata, affidando a un nuovo legato, Giovanni «Caetani» Orsini (fratello del ricordato cardinale Napoleone), le competenze sul territorio a Sud degli Appennini e, in particolare, la lotta ai fautori di Ludovico il Bavaro e dell’antipapa Nicolò V12; nella prassi, i due cardinali verranno allora definiti legati rispettivamente di ‘Lombardia’ e di ‘Tuscia’, a indicare le aree geopolitiche più rilevanti per la loro missione. Malgrado la legazione di Du Poujet fallisca, travolta da un’alleanza trasversale tra tutti gli Stati cittadini di area padana, timorosi di un suo accordo politico col re Giovanni di Boemia, la sua esperienza diviene paradigmatica per i pontefici avignonesi e consente di collaudare l’efficacia di due strumenti nuovi: il legato con compiti prevalentemente di rettore e coordinatore pluriprovinciale nel territorio papale e l’affidamento a legati distinti dell’area settentrionale (padana o transappenninica, a seconda che la Marca vi venga o meno compresa) e di quella meridionale (tosco-umbro-marchigiano-laziale o cisappenninica) della precedente legazione ‘d’Italia’.
6Benedetto XII tenta una politica di pacificazione esterna e di ri-forma dello Stato attraverso l’invio di nuntii di rango non cardinalizio in qualità di visitatori e ‘riformatori generali’ delle province pontificie e del loro apparato amministrativo. È importante notare come la loro missione abbia soprattutto una valenza interna, poiché deve venire esercitata verso le sole aree ‘immediatamente soggette’ al Papa, ovvero quelle rette direttamente da ufficiali pontifici (ad esclusione dunque di quelle infeudate, concesse in vicariato apostolico a qualche notabile che già le controlla di fatto o appartenenti ad un contado comunale) e rivolgersi soprattutto alla punizione della corruzione e delle malversazioni finanziarie di cui i rappresentanti papali si siano resi colpevoli. Nonostante il rango inferiore, questi nuntii hanno molti dei poteri soliti conferirsi ai legati; e nel 1339 l’incarico del primo di essi, Bertrand de Déaux, divenuto cardinale l’anno precedente, verrà ricordato come quello «olim... legati apostolici in terris Rom. Eccl.»: le cariche di riformatore generale e legato venivano dunque progressivamente percepite come contigue, sebbene non completamente coincidenti13.
7Il successivo regno di Clemente VI appare un’epoca di convulsa sperimentazione istituzionale: papa Roger torna infatti a ricorrere in misura significativa a cardinali in qualità di legati, anche per i do-mini pontifici, ma con alcune variazioni rilevanti. Tra 1342 e 1345 invia in Italia i legati ‘di Lombardia’ Guillaume Court e ‘di Tuscia’ Aimeric de Châtelus, con i tradizionali poteri ecclesiastico-diplomatici; le due circoscrizioni sono tuttavia ridefinite sulla base dei compiti concreti dei due prelati: a Court, che deve di fatto contenere la pressione viscontea nella pianura padana, viene assegnata (19 luglio 1342) la competenza sull’Italia settentrionale (e la Dalmazia veneta) ad eccezione delle province pontificie, che vengono invece incluse nella legazione di Châtelus insieme con la Toscana, la Sardegna e la Corsica; a quest’ultimo prelato viene inoltre assegnata (1343) la legazione sul regno di Sicilia (ovvero sull’Italia meridionale angioina) e poco dopo, con provvedimento separato, l’incarico di «vicarius, bajulus et administrator et gubernator generalis regni Siciliæ» per la Santa sede, che vi deteneva l’alta sovranità feudale. Compito principale di Châtelus è infatti regolare la complicata successione al trono napoletano dopo la morte di Roberto d’Angiò, in seguito alla contesa tra i rami angioini di Taranto, Durazzo e Ungheria per la mano della nuova regina, la minorenne Giovanna I14. Negli anni successivi Clemente VI manda in Italia il solo Bertrand de Déaux: questi il 15 marzo 1346 viene insignito con due distinte lettere della carica di «legatus et reformator» per la ‘Tuscia’ e il dominio pontificio, e del «plenae legationis et reformationis officium» nel Regno, succedendo dunque pienamente all’incarico di Châtelus; il 30 marzo successivo altri due provvedimenti lo creano «vicarius generalis... in temporalibus» per il Pontefice in tutti i domini papali d’Italia (in realtà, però, soprattutto su città e distretto di Roma, Patrimonio, Ducato e Marca) e vicario generale e riformatore in campo temporale per il regno napoletano15. Déaux, che verrà comunemente definito nella corrispondenza ufficiale come ‘legato d’Italia’, dovrebbe in effetti affrontare da solo tutte le situazioni difficili della penisola: al Sud, il perdurante nodo del matrimonio di Giovanna I; al Nord, i riflessi della contesa tra Ludovico il Bavaro e Carlo di Lussemburgo per il trono imperiale; in Toscana e nelle terre pontificie la minaccia viscontea e la poco decifrabile (e poco gradita) figura di Cola di Rienzo. È tuttavia la situazione delle regioni papali, che le forze ghibelline o comunque autonomiste stanno sottraendo al controllo avignonese, quella che assorbe in misura crescente le energie del porporato: nel settembre 1347 gli si ordina di sorvegliare l’attività del tribuno romano, se necessario chiedendo l’invio di un secondo legato che lo aiuti a seguire le vicende di Roma e Napoli; il 7 ottobre successivo ottiene una nuova, specifica nomina legatizia per la città e distretto di Roma, col compito di porre termine al regime antimagnatizio di Cola; nel marzo 1348 chiede (ma invano) di venire affiancato da un altro legato; alcune misure da lui adottate nell’area umbro-laziale suscitano critiche ad Avignone16. Ciò che occorre tuttavia sottolineare è la consapevolezza che la corte avignonese aveva sin dal 1346 delle difficoltà connesse col controllo delle terre pontificie d’Italia: essa è resa esplicita col conferimento a Déaux del titolo di vicario generale in temporalibus del Papa, riformatore, conservatore della pace e paciere. Si tratta infatti di una carica nuova, probabile eredità dell’esperienza dei vicari episcopali e dei nunzi-riformatori di Benedetto XII, quale appunto il legato era stato, che comporta la concessione di un esplicito e specifico potere di pacificare, difendere, governare e amministrare le regioni affidategli (incluse, però, anche le aree ‘mediatamente soggette’, dunque i contadi comunali, i feudi e i vicariati apostolici), di esercitarvi ogni grado di giurisdizione, di nominarne e destituirne i rettori e gli altri ufficiali subalterni pontifici, di togliere ai sudditi insubordinati ogni diritto, onore, cari-ca, feudo, proprietà. Affiancando e alternando dunque all’altissimo prestigio politico dei cardinali legati le competenze di riforma e sorveglianza amministrativa interna già sperimentate occasionalmente attraverso i nuntii di rango non cardinalizio, viene creata la figura del cardinale-vicario generale con funzione precipua di coordinamento politico territoriale pluriprovinciale17.
8L’insufficienza personale di Déaux non induce tuttavia probabilmente Clemente VI a persistere nell’esperimento del vicariato temporale: alla fine del 1348 egli torna infatti alla soluzione già esperita all’inizio del suo regno, nominando contestualmente (30 novembre) i cardinali Annibaldo Caetani legato di ‘Tuscia’ e domini pontifici d’Italia, e del Regno, e Guy de Boulogne legato in ‘Lombardia’ e in Austria e Ungheria. L’accento è di nuovo posto sulle urgenze politico-diplomatiche, che rendono necessario far digerire agli Angiò ungheresi il matrimonio di Giovanna I con Luigi di Taranto, consolidare i rapporti col nuovo imperatore Carlo IV, placare i ghibellini dell’Italia padana; mentre Guy appiana queste controversie esterne, a Caetani spetta rinsaldare la situazione delle regioni che dovrebbero costituire le basi reali italiane del potere papale: il Regno angioino, la Toscana guelfa, le terre pontificie. Non è un caso che Bologna e Ferrara, sottratte all’orbita politica papale, vengano incluse nella legazione di Guy anziché di Caetani, né, probabilmente, che quest’ultimo non riceva poteri di vicario generale ma, come il collega, solo i tradizionali poteri di legato: il grado di controllo di Avignone sui suoi domini italiani è talmente scarso da richiedere un approccio politico-militare più che amministrativo, legatizio più che vicariale18.
9I pontefici successivi ritorneranno alla lezione di Giovanni XXII utilizzando in misura massiccia la figura dei legati ‘d’Italia’ (fig. 1): Innocenzo VI e Urbano V inviano una serie di prelati col compito precipuo di riprendere il controllo dei territori papali d’Italia, sottomettendo i poteri locali di natura comunale o signorile e soprattutto opponendosi alla potenza viscontea. I primi, e più famosi, sono il cardinale Gil Albornoz e l’abate di Cluny Androin de La Roche (un ultimo esempio di legato non cardinalizio), che si alternano alla guida dei domini italiani nel doppio ruolo di legati e vicari generali in temporalibus: prima Albornoz (1353-1357), quindi De La Roche per un breve periodo (1357-1358), poi di nuovo Albornoz, dal 1358 alla morte (23 agosto 1367); egli dal 1363 deve dividere con De La Roche, ora promosso alla porpora, la legazione (come quarant’anni prima Du Poujet e Orsini) e dal 1364 il vicariato, poiché a De La Roche è assegnata prima Bologna, poi l’intera Romagna, che terrà sino alla fine della sua missione (1368). L’avvicendamento tra i due prelati è funzione della linea che i pontefici intendono adottare nei confronti del potere visconteo: De La Roche è ritenuto l’uomo della pacificazione attraverso il dialogo, Albornoz quello del confronto e, se necessario, dello scontro militare. Alla morte di Innocenzo VI, Urbano V conferma in carica il porporato castigliano, ma prova successivamente a ritentare la via dell’accordo: dapprima (novembre 1363) spezza in due la legazione e affida a De La Roche le competenze sulla ‘Lombardia’ e Bologna (il cui possesso costituiva uno dei principali motivi di contrasto tra Albornoz e i Visconti), lasciando la ‘Tuscia’ e il resto del dominio papale ad Albornoz; pochi giorni dopo, assegna a De La Roche anche il vicariato su Bologna; nell’aprile successivo, somma alla legazione di ‘Tuscia’ quella sulla Sicilia e l’Italia meridionale e invita Albornoz a recarvisi, nominandogli come vicario generale temporale per la Romagna l’arcivescovo di Ravenna Petrocino Casaleschi; nel gennaio 1365 rifiuta ad Albornoz il rientro in curia, insistendo al contrario perché vada nel Regno, poi gli toglie anche il vicariato sulla Romagna19. Se la missione italiana del prela to castigliano sarà interrotta solo dalla morte, quella di De La Roche si conclude in maniera ingloriosa: sin dalla fine del 1366 il suo rapporto di fiducia col papa appare deteriorarsi progressivamente a causa della sua eccessiva acquiescenza verso i Visconti, sino a indurre Urbano V a richiamarlo bruscamente nel marzo 1368, sostituendolo col proprio fratello, cardinale Anglic Grimoard, che già nel novembre precedente era subentrato ad Albornoz nelle province meridionali20.
10Al differente atteggiamento dei due prelati corrisponde anche una loro diversa attenzione per i problemi interni dello Stato: se De La Roche appare più sensibile alle questioni di carattere disciplinare ed ecclesiale, il suo collega castigliano, che durante la fase della riconquista non disdegna, come già Du Poujet, di venire insignito personalmente di signorie locali (per conto del Papa o cumulativamente con esso), onde radicare anche con tale mezzo la sovranità pontificia sul territorio, è un politico che cerca contemporaneamente di rifondare un reticolo normativo comune per ogni provincia o gruppo di province, costruito sulla base delle Costituzioni emanate da fine Duecento da diversi parlamenti provinciali, Papi, nunziriformatori, sino alla scelta e alla sintesi che egli opera nelle Costituzioni Egidiane. Non a caso, queste si aprono con l’indicazione della promulgazione nel parlamento di Fano ad opera di Albornoz, «cardinalem, appostolice sedis legatum, ac in terris in Ytalia consistentibus citra regnum Sicilie vicarium in temporalibus generalem», mentre l’intero loro primo libro è in buona parte dedicato ad elencare i poteri di Albornoz in quanto legato e vicario in temporalibus21. È dunque con questa legittimazione e su questa base giuridica che si cerca di consolidare un quadro amministrativo di riferimento per l’epoca dell’assestamento del potere pontificio. In effetti, Albornoz il 30 giugno 1353 con due provvedimenti distinti diviene sia legato (pacis angelum) e «reformatorem... in spiritualibus et temporalibus» d’‘Italia’ (al solito, ‘Lombardia’, ‘Tuscia’, Dalmazia veneta, Sardegna e Corsica), sia vicario generale temporale dell’intero dominio pontificio (incluse le aree ‘mediatamente soggette’), ove peraltro gli viene specificamente concesso di usare i poteri spirituali e temporali dei legati. Ciò contribuisce ad avvicinare le due distinte figure giuridiche del legato e del vicario generale: secondo la formulazione ormai consolidata, da un lato il legato ha piena autorità su tutti i residenti del territorio affidatogli, laici o ecclesiastici che siano, per realizzare obiettivi generali e generici quali la promozione della pace e della sicurezza, la difesa dei diritti della Chiesa, la tutela della fede e della moralità; dall’altro riceve una miriade di concessioni di poteri specifici, che riguardano prevalentemente la comminazione (e assoluzione) di scomuniche e interdetti a eretici, ribelli, oppositori, autori di peccati e reati gravi (e parallelamente la repressione penale e la grazia nei confronti delle stesse persone), il pieno controllo sul clero e gl’inquisitori locali, il conferimento di tonsure e ordinazioni di ecclesiastici, il rilascio di indulgenze e assoluzioni plenarie, la concessione di dispense (per l’assunzione di Ordini sacri, il mantenimento o la permuta di benefici, la commutazione di voti, la celebrazione e regolarizzazione di matrimoni), la collazione di alcuni benefici; a ta-li poteri, si aggiunge anche il diritto di conoscere e decidere tutte le cause temporali di appello interposte alla Santa Sede contro sentenze di giudici della Legazione. Di modo che il ruolo istituzionale interno della recente figura del vicario generale viene potenziato sovrapponendogli quello del ben più antico e autorevole legato; a sua volta, il legato viene spinto ad affiancare le incombenze di sovrintendenza e governo dei territori pontifici a quelle diplomatico-ecclesia li. I poteri legatizi di Albornoz saranno inoltre esplicitamente estesi a Roma e al suo distretto con appositi provvedimenti (13 luglio 1353 e, di nuovo, 10 novembre 1364)22.
11Va notato che, pur rafforzandosi reciprocamente nell’esercizio effettivo, la carica legatizia e quella vicariale sono distinte. Albornoz e De La Roche (che quando gli viene sostituito ottiene l’attribuzione delle stesse facoltà del suo predecessore) sono legati in ‘Lombardia’, ‘Tuscia’ e terre soggette alla Chiesa romana, ovvero in tutta l’Italia escluso il Regno e le isole, ma vicari generali temporali solo nelle province italiane del dominio pontificio, che le lettere di nomina elencano per esteso. Accentuando tale distinzione, Urbano V non si limita durante il suo regno ad operare una sostituzione di persone. L’incarico al fratello nelle province meridionali dello Stato è infatti, per la prima volta, unicamente quello di vicario generale temporale, riformatore e paciere generale, senza che ad esso si accompagni la qualifica legatizia, che resta invece per il nuovo inviato pontificionel Regno meridionale, cardinale Guillaume d’Aigrefeuille. Occorre rilevare che in tal modo si enfatizza il ruolo politico-territoriale dei cardinali, in quanto nel dominio pontificio esistevano infatti già altri due tipi di ‘vicari temporali’: da un lato, i tanti notabili locali che grazie alla concessione della carica di vicari apostolici avevano ottenuto dal Pontefice una legittimazione del loro potere di fatto; dall’altra, gli ufficiali pontifici minori, che almeno dall’epoca di Albornoz stavano sostituendo il titolo di ‘vicario’ a quello di ‘rettore’23. Con le nomine di Grimoard e Aigrefeuille si assiste dunque ad un riorientamento dei poteri e dei ruoli dei rappresentanti papali, che vede assegnare ai legati compiti prevalentemente diplomatici e ai vicari generali compiti eminentemente di governo interno. In effetti, Anglic Grimoard non solo mantiene tutti i poteri concessi ai precedenti legati in Italia, ma ne somma altri assai significativi: nelle province affidategli egli ha il controllo sull’amministrazione fiscale e finanziaria, la possibilità di ridurre e abolire imposte e oneri reali e personali, l’esercizio della giurisdizione archiepiscopale ed episcopale, il giudizio su tutte le cause temporali, in seguito anche la possibilità di rendere vitalizie o ereditarie le concessioni di vicariati apostolici ai notabili dei domini papali; ed è dalle entrate della Camera apostolica in queste province, e non dalle Chiese locali, che viene pagata la sua diaria di 25 fiorini d’oro. Lungi dall’essere indebolito, il nuovo vicario dispone di possibilità amplissime d’azione per il governo dei domini papali d’Italia (almeno, su quelli ‘immediatamente soggetti’ al pontefice), giacché cumula esplicitamente l’antica supremazia legatizia sul clero e i laici alla superiorità gerarchica su tutti gli ufficiali periferici del pontefice, così da essere guida, coordinatore e armonizzatore degli apparati politico-giudiziario, finanziario ed ecclesiastico insieme. Pur ricevendo ancora incarichi a contenuto diplomatico-militare, il nuovo vicario è prima di tutto un politico e un amministratore dello Stato: ne è una prova il fatto stesso che la carica resta in funzione anche quando, nel 1367, Urbano V rientra a Roma24.
12La nuova figura così creata si rivela perfettamente funzionale ed è l’unica a venire utilizzata, sino alla fine del regno di Gregorio XI, per il governo dello Stato. Dal 1370 essa viene inoltre definitivamente sdoppiata, nominando un vicario per le province a Nord dell’Appennino (Romagna e Marca) e uno per quelle a Sud (Ducato, Patrimonio, Campagna e la città di Roma col suo distretto): da tale data, la competenza di Grimoard viene limitata alle prime (sino al novembre 1371), ove gli succedono poi i cardinali Pierre d’Estaing (novembre 1371-gennaio 1374), Guillaume de Noëllet (dicembre 1373-1376) e infine Roberto da Ginevra (1376-1378), che dovendo primariamente riconquistare le regioni in rivolta è inviato come le gato25; nelle province meridionali, dopo un primo breve esperimento che aveva visto il cardinale Gilles Aycelin de Montaigut vicario solo per Ducato e Patrimonio (dicembre 1368-dicembre 1369), si susseguono invece lo stesso D’Estaing nel 1370-1371, poi il cardinale Phi-lippe de Cabassole, dal 1371 alla sua morte (27 agosto 1372), allorché è sostituito provvisoriamente con l’abate di Marmoutier Géraud Dupuy, ricevitore generale (ovvero capo dell’amministrazione finanziaria) dei domini pontifici d’Italia, che solo nel 1374 diviene formalmente titolare del vicariato; indi i cardinali Francesco Tebaldeschi (gennaio 1376) e ancora D’Estaing, dall’agosto 1376 alla morte (25 novembre 1377) e Pierre Flandin (1377-1378)26. Quando Gregorio XI riporta la curia a Roma (1377-1378), anche al Venassino viene infine preposto un apposito vicario generale temporale, nella persona del cardinale Jean de Blauzac27.
13I 12 legati e vicari generali di epoca avignonese dal 1353 al 1378, tutti ‘francesi’ tranne Albornoz e Tebaldeschi28, hanno primariamente il ruolo di organizzatori politico-militari straordinari, specialmente nell’inquieto scacchiere padano: la loro carica, conferita sempre a beneplacito del sovrano, ha infatti in media una durata maggiore per i legati che, dovendo affrontare il pericolo visconteo, necessitano d’una maggiore continuità d’azione vale a dire i ‘legati d’Italia’ unitari (3 anni e 4 mesi) e, successivamente, quelli delle regioni settentrionali (poco più di 2 anni e 8 mesi), mentre quelli di province singole durano mediamente soltanto un anno e mezzo e quelli delle regioni meridionali poco più di un anno e un mese. Né occorre sottolineare la grande rilevanza politica dei legati trecenteschi: Albornoz, che è Penitenziere maggiore al momento del suo invio in Italia, era stato primate di Spagna, cancelliere del re di Castiglia, legato nella riconquista dell’Andalusia; De La Roche, abate di Cluny, è persona di fiducia di Innocenzo VI; Grimoard è fratello di Urbano V e, per primo, autore di una descrizione sistematica dei territori sottopostigli ed insieme estensore di consigli politici per il proprio successore. Lo sdoppiamento della Legazione pare invece consentire la nomina di vicari generali di minore profilo ‘politico’ e maggiore esperienza ‘amministrativa’ (per quanto una distinzione del genere abbia senso riferita a cardinali del xiv secolo), in particolare formatisi in incarichi diplomatici, per ritornare a personalità di primo piano solo con la crisi del 1375-1377, allorché nelle nevralgiche province settentrionali è inviato Roberto da Ginevra, della famiglia comitale di tale città e imparentato coi re di Francia e gl’imperatori della casa di Lussemburgo, e in quelle meridionali un esponente del patriziato romano quale Tebaldeschi. I vicari generali, in altre parole, sono uno strumento di governo straordinario che tende a modificare anche l’assetto ordinario dello Stato. Il regno di Gregorio XI parrebbe infatti portare ad una svolta il sistema amministrativo dello Stato pontificio, come si era venuto configurando sino alla formalizzazione albornoziana. Questo s’impernia ormai, all’interno, sui due vicari generali temporali di rango cardinalizio (più quello per il Venassino): dipendenti direttamente da Papa e Sacro collegio, collaborano strettamente col tesoriere e il ricevitore generale pontificio d’Italia e si sovraordinano ai precedenti organi delle vecchie province, ovvero il rettore (anch’esso definito spesso come ‘vicario’), il tesoriere e il parlamento, ai ‘vicari apostolici’ espressione di autonomi poteri locali, alle minori realtà feudali e a quelle comunali. Anche se occasionalmente si occupano, in via delegata, di affari diplomatici o ecclesiali esterni allo Stato papale, queste incombenze sono di regola affidate ad un personale diverso, costituito dai legati di rango cardinalizio, da nuntii non cardinalizi e da collettori, per le competenze finanziarie. Analogamente, i vicari generali si distinguono dall’apparato ecclesiale strettamente inteso, vale a dire dal reticolo delle diocesi e dei loro titolari29. Il dualismo presente in questo sistema amministrativo (tra Curia e province, affari interni ed esteri, giurisdizionali e finanziari, secolari ed ecclesiastici) non deve tuttavia trarre in inganno: in questo scorcio dell’epoca avignonese appare in atto una forte concentrazione del potere in mano a un ceto dirigente fortemente coeso i cui vertici sono costituiti da Pontefice, cardinali e grandi curiali, uniti tra loro da vincoli di parentela o clientela. Non è un caso che, per quanto attiene all’amministrazione dello Stato, all’epoca di Gregorio XI i poteri dei vicari generali si vadano ampliando e standardizzando, cosa che indica una linea di tendenza chiara: il passaggio da plenipotenziari straordinari a supervisori ordinari delle strutture amministrative del dominio papale. Oltre infatti alle facoltà già loro concesse sino a Innocenzo VI e Urbano V, che comportano la superiorità su ogni residente nelle province pontificie, la collaborazione attiva di clero e inquisitori e il pieno controllo su tutto l’apparato militare, amministrativo e fiscale dipendente dal Papa, essi ormai, di regola, si vedono esplicitamente riconosciuto il diritto di modificare gli Statuti locali e le normative emanate dai loro predecessori, quello di giudicare con procedura sommaria tutte le cause civili e penali, quello di intervenire sulle università (sostanzialmente sugli Studi di Bologna e Perugia)30. Inoltre, poiché ormai di regola i vicari generali sono cardinali, si viene sfumando la distinzione dai loro omologhi con ruolo di legati: ai vicari viene esplicitamente concesso di esercitare nelle province loro affidate i poteri di cui godono i legati de latere nelle proprie circoscrizioni, salvo riscuotere le procurationes e alcuni altri emolumenti (a fronte peraltro di compensi elevati, fissati tra 500 e 750 fiorini d’oro al mese)31. Ancora, si accentua anche il ruolo ‘spirituale’ dei vi-cari: non solo essi, tradizionalmente, possono conferire taluni benefici, concedere grazie e dispense per matrimoni e sacre ordinazioni e utilizzare come collaboratore ogni ecclesiastico locale, ma almeno in alcuni casi si vedono riconosciuto il potere di esercitare la stessa giurisdizione degli Ordinari diocesani32. Infine, non va mai dimenticato che questi personaggi, come tutti i cardinali e i curiali, sono centri di reti di patronato e ‘cinghie di trasmissione’ di quello papale: buona parte della corrispondenza loro indirizzata riguarda l’assegnazione di benefici e uffici di cui essi sono promotori o esecutori33. Il dominio pontificio disegnato dagli ultimi pontefici avignonesi è pensato come una macchina perfetta, efficiente e redditizia in ma-no al gruppo dirigente vicino al sovrano.
14La rivolta generale del 1375 e poi lo scisma d’Occidente hanno effetti rovinosi sul principato papale, mostrando, tra l’altro, come la sua pretesa di un controllo totale sullo Stato collida col mancato coinvolgimento dei ceti dirigenti locali, che approfittano della crisi europea per sottrarsi di fatto alla sovranità d’un Pontefice comunque di dubbia legittimità. L’obbedienza avignonese può contare su pochi caposaldi italiani e, con Benedetto XIII, perderà la propriastessa capitale per rinchiudersi a Peñíscola; quella romana, a sua volta, deve fare larghissime concessioni ai poteri locali e subire poi l’abbraccio soffocante del re di Napoli, Ladislao di Durazzo, fino a scomparire quasi totalmente a favore del Papato pisano, sostenuto dal credito dei banchieri fiorentini e dal desiderio della Cristianità di arrivare ad una composizione dello scisma34. Naturalmente, la scelta delle persone per la guida delle province e loro i tempi di permanenza in carica sono in questo periodo strettamente conseguenti allo stato di guerra civile e di anarchia che conoscono le terre pontificie, e si rispecchiano nella maggiore o minor facilità per i rappresentanti papali di accordarsi con i poteri locali delle aree governate: gli uomini al servizio del Pontificato romano riescono ad attestarsi con qualche successo nelle province settentrionali, si muovono a fatica in Patrimonio e Umbria, ove spadroneggiano (collegandosi o meno al papa avignonese) i signori di Vico, gli Orsini, Biordo Michelotti, i Visconti, mentre in Campagna scendono a patti coi grandi feudatari e coi sovrani di Napoli; il papato pisano si deve barcamenare per procurarsi sostegni locali e mercenari da contrapporre alle forze francesi e napoletane attive nell’Italia centrale. Il maggiore successo è ottenuto dal legato bonifaciano di Romagna Baldassarre Cossa, poi papa per l’obbedienza pisana, che dalla sua sede di Bologna, grazie al sostegno fiorentino, riesce ad assumere il controllo delle province settentrionali e successivamente di quasi tutto lo Stato, Avignone inclusa.
15È da deplorare il fatto che gli elenchi di legati e di rettori delle province pontificie di cui disponiamo per quest’epoca siano tanto aleatori: non solo mancano liste attendibili complete per l’intero periodo, ma spesso nel caso di cardinali è difficile capire con sicurezza se ci si trovi di fronte a legati o a vicari generali, mentre quando si tratta di prelati si resta in dubbio se la qualifica di ‘vicario’ indichi un semplice rettore o una figura dotata di poteri simili a quelli dei vicari-cardinali. Se a ciò si aggiunge che ovviamente il fregiarsi d’un titolo di legato o vicario generale temporale in una provincia non significa, di per sé, essere in grado di esercitare effettivamente la cari-ca ricevuta, e si pone mente allo stato di emergenza continua in cui i pontefici contrapposti dovevano operare, appare evidente la difficoltà di evincere un qualsiasi progetto amministrativo dalle scelte compiute dai papi delle tre obbedienze: in ogni caso, per quanto se ne può discernere, esse non ci restituiscono se non la sinopia di un disegno politico generale, che si scontra con una difficilissima realtà di fatto, sicché le considerazioni che si possono avanzare sul periodo dello Scisma devono rivestire un carattere di assoluta provvisorietà. Per quanto dunque si può capire di quest’epoca, tanto cruciale per le vicende del dominio pontificio quanto poco indagata in tale ottica, i papi avignonesi puntano con Clemente VII su un unico legato ‘d’Italia’, il cardinale Pileo da Prata, cui è affidata la competenza «tamquam pacis angelum... in dicta urbe [Roma] et aliis partibus Italie citra regnum», sinché non cambia schieramento (venendo poi inviato in Umbria da Bonifacio IX, come già lo era stato da Urbano VI); i suoi poteri sono quelli tradizionalmente conferiti ai precedenti vicari generali, salvo una maggiore autonomia nel controllo dell’apparato pontificio in Italia e nella possibilità di accogliere transfughi dall’obbedienza urbanista35. Al contrario, i papi di Roma sembrano preferire la nomina di cardinali vicari o legati (o di vicari di semplice rango prelatizio), con competenza limitata a gruppi di province o addirittura a province singole e alla città e distretto di Roma. Infine, pare che quelli dell’obbedienza pisana, che li soppiantano, mantengano inizialmente i legati o vicari a competenza provinciale e pluriprovinciale, per ritornare col 1414 alla soluzione intermedia di una divisione in due dei domini pontifici d’Italia tra la Romagna, se-de di Giovanni XXIII (a Bologna), e le altre province, affidate al cardinale bolognese Giacomo Isolani con la qualifica di ‘vicario generale temporale e spirituale con poteri di legato’; Avignone, recuperata dal papato pisano sin dal 1409, ha a sua volta un proprio legato o vicario generale36. In questo quadro di massima disgregazione dell’autorità, ognuna delle obbedienze ricorre dunque allo strumento dei cardinali, vicari generali o legati, che si era venuto sperimentando nella lunga prassi politico-amministrativa trecentesca, scegliendo il modello (unico legato d’Italia; divisione dei domini italiani in due aree, più il Venassino; legati per province singole) che pare più attagliarsi alle condizioni concrete del momento. Possiamo pertanto ritenere che lo strumento del legato o vicario di rango cardinalizio, utilizzato con successo per un quarto di secolo, venga considerato funzionale per affrontare le emergenze, giacché lo si impiega largamente per cercare di recuperare o mantenere il controllo territoriale. Esso consente in effetti di inviare ai sudditi un autorevole plenipotenziario papale dotato di amplissima autonomia, e dunque tanto più necessario in tempi di disordini e di scarsa legittimazione del Pontefice; e probabilmente il massiccio ricorso a legati e vicari a competenza provinciale serve al Papato romano anche a responsabilizzare e gratificare i nuovi porporati che ha dovuto rapidamente crearsi, dopo l’adesione massiccia dei vecchi cardinali a Clemente VII. Va infatti ricordato che il corpo dei cardinali è centrale in tut-to lo svolgimento dello Scisma: l’avvia con la doppia elezione del 1378, ne condiziona pesantemente l’andamento premendo sui pontefici delle rispettive obbedienze o cambiando campo, ne imposta la composizione trovando una solidarietà di ceto che travalica gli schieramenti, talché l’impegno diretto nell’amministrazione provinciale può essere considerato come uno dei settori in cui esso guadagna spazio politico a spese del sovrano.
16Se lo Scisma può essere considerato come una lotta per la redistribuzione dell’autorevolezza politica interna alla Chiesa (e, di riflesso, del controllo sullo Stato pontificio), ad uno sguardo attento questo quarantennio appare tuttavia anche come un’epoca di convulsa sperimentazione e ricca di svolte istituzionali. In primo luogo, in questo periodo i legati-vicari iniziano non più a sovraordinarsi ai rettori provinciali di rango inferiore, ma a sostituirli (sino quasi a diventare dei veri e propri signori territoriali, dato lo scarso controllo del sovrano), giacché i rettori sono spesso notabili laici locali, pronti a defezionare dalla propria obbedienza pur di ritagliarsi e consolidare un potere personale, o parenti del sovrano regnante e dunque inaffidabili per il suo successore. Pare dunque che a quest’epoca, e all’obbedienza romana, sia da far risalire l’inizio del passaggio dai legati pluriprovinciali avignonesi ai nuovi legati monoprovinciali del Rinascimento. Ancora, sembra che si cominci a rinunciare all’embrionale distinzione di funzioni tardotrecentesca tra legati (diplomatici esterni) e vicari generali (supervisori amministrativi interni): se Da Prata è solo legato per Clemente VII, e se diversi cardinali d’obbedienza romana che guidano le province appaiono qualificati unicamente come legati o vicari generali, lo stesso Da Prata per conto di Urbano VI e Bonifacio IX è insieme legato e vicario generale per Ducato e Patrimonio, Baldassarre Cossa e diversi suoi successori d’obbedienza pisana lo sono in Romagna, Pietro Annibaldi Stefaneschi lo è per Roma su nomina di Giovanni XXIII, mentre per lo stesso papa Giacomo Isolani è, come si è detto, vicario generale con poteri di legato in tutto lo Stato esclusa la Romagna37. Occorrerebbero indagini diplomatiche specifiche per avvalorare l’impressione che i papi romani (seguiti poi da quelli pisani) tendano ad utilizzare dapprima semplici vicari generali (cardinali o prelati), per passare poi a vicari-legati; la stessa incertezza terminologica adottata dalle fonti e, di conseguenza, dagli studi sta comunque ad indicare che l’avvicinamento e la contaminazione tra le figure del cardinale-legato e del cardinale-vicario generale temporale agiscono ormai decisamente in direzione dell’identificazione e del rafforzamento reciproco tra i due ruoli, come già era avvenuto nelle difficili missioni di Albornoz e De La Roche a metà Trecento, ma ora in maniera più stabile; i papi avignonesi avevano infatti proceduto verso la costruzione d’una struttura politica fortemente burocratizzata e gerarchizzata (sul modello della Chiesa del xiv secolo), mentre i loro successori che si reinsediano a Roma devono affrontare una realtà in cui il Sacro collegio e le forze locali hanno riacquistato spazi di manovra assai ampi, che rendono nuovamente consigliabile l’impiego di rappresentanti papali dotati di grande autorevolezza personale e della massima autonomia operativa.
17La nascita della carica di vicario generale in spiritualibus et temporalibus pare costituire una terza svolta. Questa carica esisteva da tempo in riferimento alla guida di apparati ecclesiastici, con compitiriguardanti principalmente l’amministrazione patrimoniale, la gestione beneficiale, l’esercizio della giustizia e dei diritti episcopali o abbaziali, ed era distinta da quella di vicario generale temporale, anche se titolare di un vicariato in temporalibus et spiritualibus era stato a volte un vicario generale-politico (era successo, ad esempio, a D’Estaing, Noëllet e Dupuy). Anche in questo caso, l’epoca dello Scisma sembra trarre le conseguenze di linee di tendenza già operanti in epoca avignonese: da un lato, il fatto che il vicario in spiritualibus di Roma esercitasse in concreto anche un ruolo politico, almeno prima dell’avvento dei legati e vicari generali temporali pontifici; dall’altro, la concessione per prassi a legati e vicari di sempre più larghi poteri sul clero e le strutture ecclesiastiche delle loro circoscrizioni38. Da Prata nel 1385 esercita il doppio vicariato per Urbano VI nelle province centrali; per Bonifacio IX lo fanno Maffiolo Lampugnani e i suoi successori dal 1391 in Campagna, e Benedetto vescovo di Montefeltro nel 1396-1397 in Patrimonio; almeno Cossa e Ludovico Fieschi sono vicari spirituali e temporali in Romagna dal 1403, Isolani a Roma dal 1414; e non è forse errato ritenere che anche questa combinazione inedita di cariche sia un’innovazione del Papato romano (meno fedele di quello avignonese alle tradizioni amministrative, data la defezione della Curia a favore di Clemente VII), che poi quello pisano recepisce39. Il che, peraltro, non significa che i nuovi vicari in spiritualibus si sostituiscano o sovraordinino agli Ordinari diocesani: significa semplicemente che, qualora i vescovi locali anziché collaborare con loro si dimostrassero politicamente più legati alle comunità di appartenenza che fedeli alla Santa sede, i rappresentanti pontifici potrebbero costituire un punto di riferimento alternativo per l’apparato ecclesiastico locale.
18Questo aspetto si riflette sul piano diplomatistico, che parrebbe costituire un’ultima variazione rispetto al tardo Trecento, giacché nomine e poteri sembrano venire conferiti ai cardinali legati e vicari generali tramite pochi documenti, relativamente ampi e indefiniti, anziché con le decine di lettere apostoliche utilizzate dai Pontefici avignonesi sino a Clemente VII, che si pone in perfetta continuità coi suoi predecessori. I legati-vicari di Romagna dell’obbedienza romana e poi pisana ricevono due lettere distinte (una per ognuna delle due cariche conferite loro), ancorché complementari, che riassumono in formule generali e consuetudinarie i poteri esercitati tradizionalmente dai legati e vicari generali; e probabilmente una ricerca archivistica estensiva rivelerebbe che una prassi di questo genere si va consolidando in tutte le province pontificie. Nel 1381 Urbano VI nomina il camerlengo e arcivescovo di Taranto Marino del Giudice vicario generale temporale, riformatore, conservatore della pace e paciere per Ducato e Patrimonio in termini non molto diversi da quelli formulati per i vicari dell’ultimo periodo avignonese, salvo che non si fa più riferimento ai rettori provinciali come ufficiali subordinati al vicario, né questi può giudicare gli appelli interposti alla Santa sede. Più sintetica è la nomina di Pileo da Prata a vicario temporale di Roma e distretto per Bonifacio IX nel 1398: al cardinale, che resterà in carica a beneplacito del sovrano, si dà autorità di fare tut-to ciò che spetti a un vicario temporale di Roma e convenga all’onore e al buono stato del papa e della Chiesa e alla tranquillità della città, nonché quella di reprimere i ribelli con ogni strumento di ordine pubblico e giudiziario, senza appello; ai residenti di Roma e distretto viene contestualmente ordinato di obbedirgli. Nel 1407, quando Gregorio XII sceglie Stefaneschi per la stessa carica, gli conferisce nuovamente facoltà analoghe a quelle di epoca tardoavignonese, ma anche quella di convocare parlamenti e di riscuotere e disporre delle entrate e diritti camerali. Il suo successore Isolani, vicario generale spirituale e temporale con poteri di legato de latere a competenza pluriprovinciale, vedrà altri ampliamenti di autorità, specialmente nel campo della grazia (diritto di rimettere reati e pene, di abolire situazioni d’infamia e di concedere dispense) e dell’esercizio reale e simbolico della sovranità (incarico di recuperare le regioni ribelli o occupate, facoltà di accettare omaggi e giuramenti di fedeltà), come già aveva avuto Cossa nel 1403 per la Romagna40. Pur in un quadro generale che si va standardizzando, ogni singola nomina è l’occasione per introdurre nei poteri conferiti al rappresentante del papa le varianti richieste dalla situazione in cui egli dovrà operare.
19Quanto agli aspetti relativi all’identità di coloro che sono chia-mati a ricoprire le cariche legatizio-vicariali, il turbinio dei cambiamenti d’obbedienza, delle pressioni esterne sui Papi e delle creazioni cardinalizie impedisce di compiere scelte che si stacchino dalla dura emergenza; salvo poche eccezioni, gl’inviati papali sono generalmente notabili del dominio pontificio (in particolare romani), oppure originari del Regno, vale a dire membri del gruppo che con lo scisma ha soppiantato gli occitani al vertice della curia. In media, ogni legato del periodo 1378-1417 resta in carica 4 anni e 3 mesi; tuttavia, se la durata dei vicari ‘regionali’ dei papi romani è addirittura superiore a questa (4 anni e 4 mesi), quella di Pileo da Prata come legato d’Italia di Clemente VII si riduce a 2 anni e 9 mesi, mentre i legati pisani scendono a 1 anno e 9 mesi41; osservazioni di tipo statistico non rendono comunque ragione delle differenze e mutamenti determinati da una molteplicità di condizionamenti che si possono cogliere soltanto tramite un esame delle situazioni specifiche. La stessa considerazione può riguardare il modo e livello delle retribuzioni di questo personale: Da Prata, nel corso della sua legazione per Clemente VII, percepisce una serie di entrate da versamenti diretti a suo favore effettuati dalla Camera apostolica, da pensioni imposte sulle diocesi che riconoscono il papa di Avignone, dalla riscossione dei proventi e dalla gestione dei beni camerali nelle regioni controllate, dalla disponibilità in esse di diversi benefici ecclesiastici; ai legati e vicari dell’obbedienza romana, per quanto si può capire data la disorganizzazione dell’amministrazione che fa capo a loro, viene assegnata la retribuzione ordinaria dei rettori provinciali che sostituiscono, ma anche il pieno controllo sulle entrate camerali delle regioni loro affidate (come Clemente VII concede a Da Prata) e la disponibilità di risorse straordinarie (reperite tramite imposte, sussidi del clero, prestiti presso le case bancarie), ciò che di fatto consente loro di appropriarsene a proprio vantaggio: è da una base materiale di questo genere che Cossa trae le risorse per dare consistenza politica alla nuova obbedienza pisana42.
20Lo Scisma (e in particolar modo i papi di Roma e Pisa) lascia dunque alla successiva prassi amministrativa pontificia un’eredità significativa: l’uso di legati-vicari generali in spiritualibus et temporalibus come rettori di singole province (fig. 2)43. Questa tendenza viene infatti mantenuta dal Papato riunificato in Martino V, che ne ha trovato l’indicazione nelle discussioni conciliari di Costanza. In risposta alle esigenze di riforma ecclesiale espresse dalla XL sessione dell’assemblea (30 ottobre 1417), egli elabora infatti un progetto in 18 punti, presentato ai Padri il 20 gennaio dell’anno successivo; il punto XII, sotto la significativa intestazione «De non alienandis et alienatis rebus ecclesiasticis», include anche uno stringato programma di politica amministrativa: revoca le concessioni di vicariati apostolici, territori e domini della Chiesa romana di durata eccedente il quinquennio compiute durante lo Scisma senza l’approvazione del Concilio e della maggioranza del Sacro collegio, le limita a tre anni per il futuro e dispone che non si concedano «regimina terrarum, provinciarum, civitatum et dominiorum Ecclesiæ Romanæ... nulli nisi cardinali vel prælato ecclesiastico». Se anche l’assemblea non trasforma in proprio decreto tale progetto di riforma, le nationes presenti non avanzano critiche a questo punto; sicché la fine dello Scisma apre nell’amministrazione dei domini pontifici un’epoca nuova, che vede codificata nelle capitolazioni elettorali e consolida-ta nei fatti la pratica avviata durante i decenni precedenti44. Ciò ci obbliga a cambiare metodo di indagine: mentre per il xiv secolo e l’epoca della lacerazione delle obbedienze era soprattutto necessario esaminare partitamente i singoli pontificati e legazioni per cogliere la fase di gestazione della nuova realtà politica del legato-rettore provinciale, nel periodo che va dal 1417 alla fine dell’antico regime essa è già in atto; dopo una lunga sperimentazione connessa alla presenza di circostanze straordinarie, siamo ora di fronte all’impiego massiccio di una figura il cui compito è fondamentalmente am ministrativo, pur mantenendo anche importanti aspetti politici. Diviene pertanto possibile passare dall’esame di singole personalità e regni a quello di gruppi e periodi, per cogliere le linee-guida che governano nel corso del tempo il nuovo uso dei legati e la rilevanza che la carica legatizia riveste per coloro che ne sono insigniti.
21La prima metà del xv secolo, in cui si avvia il nuovo sistema, può essere considerata come un’epoca unitaria, in cui la presenza d’un rettore di rango non cardinalizio (solitamente un vescovo, un chierico di Camera o un protonotario apostolico), ormai comunemente definito «governatore», corrisponde ad un periodo di tranquillità istituzionale, mentre l’invio d’un cardinale legato o d’un governatore prelatizio con poteri di legato segnala una situazione almeno momentaneamente critica45. Un esame delle serie di rettori delle province pontificie, purtroppo assai imprecise sino al 155046, parrebbe tuttavia contrastare quest’interpretazione, poiché l’uso dei Legati si intensifica nel secondo Quattrocento, vale a dire dopo che la pace di Lodi ha garantito una relativa tranquillità al quadro politico italiano. L’apparente contraddizione svanisce però se si considera chi sono i titolari di queste legazioni: si tratta di nipoti o altri congiunti del Papa regnante (almeno dieci casi tra 1454 e 1494) e di membri delle casate principesche italiane, delle grandi famiglie romane o di quelle del resto della Penisola. In altre parole, siamo di fronte agli esponenti più rilevanti del Sacro collegio, che tendenzialmente non risiedono nelle province, ma vi si fanno rappresentare da luogotenenti (che a partire dal primo Cinquecento sono detti «vicelegati» e nominati direttamente dal sovrano). Nel contempo, tendono a sparire le figure ibride, quali i governatori ‘con poteri di legato’: si trattava solitamente di personalità curiali rilevanti, a volte nipoti del papa regnante, che in tempi brevi venivano promossi al cardinalato; il loro utilizzo cessa entro gli anni Settanta del Quattrocento, salvo due tardive e fugaci apparizioni in Romagna (nel 1503-1504 il datario Giovanni Andrea Sacchi, nel 1507-1508 Lorenzo Fieschi), ciò che indica una tendenza alla normalizzazione del quadro amministrativo, in cui le province sono affidate solo a legati o governatori prelati. Da metà del xv secolo, cambia dunque la valenza della carica legatizia: nel primo quarantennio dopo lo Scisma era stata strumento di recupero territoriale e di consolidamento del prestigio del papato riunificato; tra 1454 e 1494 passa ad essere una delle mol-te vie attraverso le quali si esplica la potenza d’un prelato, non tanto in virtù della retribuzione diretta percepita47, quanto della possibilità, insita nei poteri legatizi, di nominare a uffici locali, di assegnare benefici ecclesiastici o goderne direttamente48, di condizionare fortemente la gestione amministrativa e fiscale locale, soprattutto di stringere rapporti clientelari a vantaggio della propria casata: non è certo un caso che nella Bologna del secondo Quattrocento, guidata da un’oligarchia legata agli Sforza, la carica legatizia sia ricoperta per 26 anni complessivi da un figlio del duca di Mantova e da uno del duca di Milano; né che la Campagna e Marittima, tra le province pontificie la più povera e quella con maggior presenza feudale, venga affidata a legati solo tardivamente (1484), e solo una volta a un cardinale nipote49. I due aspetti così individuati nella funzione legatizia (plenipotenza di fiducia per situazioni difficili o sinecura prestigiosa per cardinali importanti, con tutte le combinazioni intermedie) si ripetono nel xvi secolo: in linea generale, si può considerare il periodo delle guerre d’Italia come un nuovo momento d’emergenza, e come più disteso il successivo, tra 1559 e 1592, ma occorrerebbe naturalmente seguire la politica delle nomine regno per regno e caso per caso per poterne dare una precisa valutazione complessiva; e poiché non esistono studi dedicati all’evoluzione dei poteri legatizi50 e alla relativa produzione documentaria, in questa sede è necessario limitarsi ad alcune considerazioni di massima.
22Può essere ritenuto segno d’una situazione di tranquillo sfruttamento della carica in primo luogo il conferimento di dignità legatizia al cardinale nipote o altro stretto congiunto del Papa, che di preferenza viene preposto alle province più ricche e prestigiose: dapprima Bologna e la Romagna, successivamente (dall’inizio del Seicento) Avignone e il Venassino51. Analoghe considerazioni si possono fare per il gran numero di legati che non si recano nelle loro province, ma si limitano a percepirne le entrate e le reggono tramite luogotenenti o vicelegati, i quali divengono i veri interlocutori immediati dei sudditi: per fare un solo esempio, tra 1450 e 1602 i legati nominati per reggere Bologna sono 41, per un totale di 141 anni; in realtà, tuttavia, solo 16 di loro si recano in sede a svolgere l’incarico, per forse 36 anni complessivi52; di modo che il legato, per queste aree, diviene soprattutto un autorevole mediatore tra la curia romana e le realtà locali. I rari casi di nomine di legati a vita (anziché, come avveniva solitamente, per un periodo predefinito o a beneplacito del Papa) attestano invece principalmente la grande rilevanza sociopolitica dei detentori, ovvero il loro radicamento nella realtà locale, visto che già dal primo Cinquecento essi sono avversati dai canonisti53.
23Sono, all’opposto, sintomo di circostanze di emergenza il conferimento ai legati di poteri ‘spirituali’ e la nomina di legati con competenza pluriprovinciale e scopi precipuamente militari o di polizia. Il primo fenomeno può essere per ora rilevato solamente sulla base di sondaggi locali relativi alle aree avignonese ed emiliano-romagnola. In quest’ultima, solo verso l’inizio del Cinquecento, dopo il recupero effettivo di Bologna all’autorità papale, i nuovi legati ottengono facoltà che consentono loro di conferire benefici, imporre pensioni, rilasciare licenze di predicazione, visitare luoghi pii, provvedere alla disciplina del clero, in collaborazione o in concorrenza con l’ordinario diocesano. Tali poteri, che passano ai nuovi legati di Parma, si dilatano e si cristallizzano nel corso del secolo, ma dopo il concilio di Trento conoscono una duplice limitazione: dal punto di vista normativo, vengono formulati specificando che essi non devono contravvenire alle disposizioni conciliari, volte a rafforzare l’autorità episcopale; nella pratica, si esplicano soprattutto nella nomina di giudici d’appello per le cause ecclesiastiche e nella concessione di dispense e assoluzioni da scomuniche nelle diocesi di area estense, mentre a Bologna il legato si limita a permettere, al posto del papa, deroghe alle norme sui beni dotali e fidecommissari, a quelle corporative, agli statuti locali; gl’interventi formali sulla struttura beneficiale e sulla vita religiosa in senso stretto sono ridottissimi. Ad Avignone, l’evoluzione pare essere simile, ma condizionata dal ruolo che la provincia riveste come caposaldo del cattolicesimo in Francia, per cui il legato mantiene maggiori poteri effettivi nei campi delle dispense, delle collazioni beneficiali, dello stesso conferimento degli Ordini sacri54. In complesso, tuttavia, i compiti ‘spirituali’ dei legati cinquecenteschi paiono caratterizzarsi per un duplice ruolo effettivo: da un lato, consentono ai loro detentori di coltivare rapporti clientelari (è questa la loro funzione originaria, già evidente nelle facoltà dei legati e vicari trecenteschi); dall’altro, li mettono in grado di svolgere funzioni di sostegno e di supplenza nei confronti degli Ordinari diocesani. Il legato e il vescovo, autorità politica e religiosa al comune servizio del papa, devono cioè collaborare, e solitamente collaborano; se tuttavia non lo facessero (o se il primo ravvisasse la necessità d’un proprio intervento diretto nel campo altrui), il legato ha gli strumenti giuridici per imporre la propria guida a tutti gli apparati presenti sul territorio.
24La nomina di legati pluriprovinciali diviene invece un’eccezione piuttosto rara: si verifica nel 1440, quando Eugenio IV invia il cardinale Scarampo ad opporsi alla penetrazione milanese nello Stato, nel 1580-1581 per il cardinale Sforza, incaricato della lotta ai banditi in quasi tutto lo Stato, poi all’epoca di Clemente VIII e Urbano VIII, quando ai cardinali nipoti Aldobrandini e Barberini vengono affidati i territori emiliano-romagnoli per affrontare il confronto bellico con Este e Farnese55. Lo scarso ricorso a questi strumenti mostra comegià alla fine del xvi secolo lo Stato papale abbia acquisito una configurazione amministrativa abbastanza stabile nei suoi quadri territoriali: quando è necessario affidare più province allo stesso legato, i titolari precedenti non vengono rimossi, ma restano in carica, col titolo di ‘collegati’, formalmente in subordine rispetto al legato principale; di fatto, questi concentra le funzioni politiche, lasciando ai collegati le incombenze amministrative. Anche la nomina di legati per la città di Roma (una mezza dozzina di volte nel primo Cinquecento) è il segno della situazione d’emergenza che in epoca rinascimentale l’assenza del papa dalla sua capitale poteva comportare: vi si fa dunque ricorso quando Alessandro VI lascia la città per Orvieto al ritorno da Napoli di Carlo VIII (1495), quando Clemente VII vi si rifugia (1528) dopo la sua liberazione da parte di Carlo V, e anche in occasione delle assenze dei pontefici per viaggi: nel 1529, 1532 e 1533, allorché Clemente VII va a Bologna e Marsiglia, nel 1538 e 1541 per i trasferimenti di Paolo III a Nizza e Lucca. Nella seconda metà del secolo, la carica verrà rispolverata in occasione del trionfale viaggio del 1598 di Clemente VIII a Ferrara56.
25Un altro, parallelo aspetto del successo riscontrato dalla nuova figura del legato-vicario provinciale va ravvisato nel contemporaneo aumento, per gemmazione, delle province rette da Legati: oltre alle cinque antiche e al Venassino, nel 1524 viene istituita la nuova legazione di Gallia Cispadana (poi di Parma e Piacenza, trasformata nel 1545 nel ducato farnesiano), staccando da quella di Bologna e Romagna i territori dell’Emilia occidentale di recente acquisizione; nel 1540 (ma definitivamente dal 1581) Bologna e Romagna sono costituite in legazioni distinte, così come Camerino viene scorporata dal l’Umbria nel decennio 1560-1570; infine, anche Ferrara e Urbino, una volta integrate nel dominio papale, verranno configurate come nuove legazioni. In altre parole, il modello amministrativo per province, formalizzato nelle Costituzioni Egidiane e corretto all’epoca dello Scisma con l’impiego dei legati-vicari in funzione di rettori, si generalizza e si articola; se dal 1417 al 1500 vengono nominati 44 legati, il loro numero sale a 87 nel xvi secolo e a 95 nel successivo57. Cambia inoltre la provenienza geografica di questi prelati: i 44 legati quattrocenteschi sono originari del dominio papale per oltre il 22 %, della Francia e delle repubbliche di Genova e Venezia per l’11 % ognuna, per il 13 % dei regni spagnoli, mentre quote minori ma significative hanno Milano e le repubbliche toscane; nel Cinquecento la percentuale dei sudditi pontifici è salita ad oltre il 27 %, quella dei toscani (in prevalenza fiorentini) a quasi il 18, quella dei genovesi è invariata, mentre le altre aree (Venezia, Francia, Lombardia, Napoli) fanno registrare apporti ridotti, se non marginali; nel Seicento, la concentrazione diverrà massima: dal dominio pontificio proverrà il 41 % dei legati, dalla Toscana (e Lucca) oltre il 18, da Genova oltre il 16 e, a parte una certa presenza lombarda e napoletana, le poche altre aree rappresentate lo saranno in maniera assolutamente trascurabile (fornendo da 1 a 3 legati nel corso del secolo); nessun legatovicario proverrà da fuori Italia58.
26Questa progressiva concentrazione delle provenienze rispecchia in parte la parallela concentrazione del reclutamento che coinvolge tutte le categorie di ufficiali pontifici tra xv e xviii secolo, restringendone gradualmente l’origine allo Stato papale, la Toscana medicea, le repubbliche di Genova e Lucca (ovvero ai grandi centri ban-cari italiani, che vivono in simbiosi con la finanza pontificia), con scarsissimi apporti da altre regioni e con un costante incremento del peso dei nativi del dominio papale; essa è però soprattutto determinata dai mutamenti della composizione del Sacro collegio nei tre secoli considerati. In effetti, i 226 individui che si alternano alla guida delle 11 legazioni esistenti tra xv e xvii secolo appartengono a 160 casate, di cui almeno 46 sono famiglie papali o imparentate con queste (da cui l’incremento dei nativi di Roma tra i legati, che riflette l’inserimento nel Sacro collegio, e il radicamento nella capitale papale, delle famiglie che ascendono al pontificato), mentre molte altre sono le dinastie principesche e patrizie italiane (Cornaro, Este, Gonzaga), le case bancarie toscane e genovesi (Acciaioli, Bonvisi, Durazzo), quelle feudali del Regno (Acquaviva), cui si accompagna no eminenti personalità non italiane (Borbone, Carrillo, Pole) e in qualche misura i notabili di Roma e delle province pontificie (Bevilacqua, Capranica, Spada). Ben 6 esponenti dei Savelli arrivano a ricoprire queste legazioni, 5 dei Farnese e dei Barberini, 4 degli Orsini, Gonzaga, Sforza, Carafa; altre 9 casate ottengono tali incarichi per tre loro membri, 23 altre per due dei loro. Ciò significa che gl’incarichi di vertice dei governi provinciali sono appannaggio privilegiato dell’unico ceto dirigente sovrastatale italiano, comune a Chiesa e Stato pontificio, costituito da un’oligarchia di fatto che trova nel collegio cardinalizio il luogo di espressione comune e di congoverno dei propri interessi. Il che spiega anche la relativa circolazione di personale all’interno di questa cerchia. Dei 226 legati che si alterna-no tra 1417 e 1700, 166 ricoprono la carica legatizia un’unica volta, solo 40 due volte, 13 tre volte, appena due (Antonio Barberini e Alderano Cibo) lo fanno quattro volte, il che può venire letto come il riflesso istituzionale dell’appartenenza al ceto dirigente pontificio: gli incarichi legatizi, come le altre cariche e risorse dipendenti dal Papato, devono venire divisi tra i membri dell’oligarchia in maniera tendenzialmente egualitaria59. Se si tien conto di questo dato, diviene difficile ravvisare percorsi di carriera tipizzabili per queste personalità: ci troviamo infatti di fronte a coloro che influenzano e guidano materialmente la politica della Santa Sede nella prima età moderna e che dunque trovano nelle cariche, volta a volta, sinecure da sfruttare, occasioni per mostrare il proprio valore personale e mettersi in luce a corte, sistemazioni atte a radicare o consolidare un proprio potere personale. Occorre peraltro rilevare che, in linea di massima, i cardinali tendono comunque a recarsi in provincia il me-no possibile (a meno che la loro presenza fisica non sia richiesta da circostanze particolari), sia a causa delle spese e degl’incomodi che ciò comporta, sia soprattutto perché non è mai bene per essi allontanarsi dalla corte papale, luogo del potere, della fortuna e della disgrazia dei membri dell’oligarchia60. Gl’incarichi legatizi, che non hanno un termine prefissato, durano in media 4 anni e 4 mesi, ma con forti variazioni regionali: nei tre secoli considerati non arrivano ai 2 anni nella povera e poco interessante Campagna e Marittima, si aggirano tra i 3 anni e i 3 anni e mezzo in Umbria, Marca, Urbinate, Bologna e (quando diviene provincia a sé) Romagna, in regioni di frontiera come la Gallia Cispadana e il Ferrarese raggiungano i 4 an-ni e 5 mesi, per salire a 5 anni nell’effimera legazione di Camerino, a 5 e 8 mesi nel Patrimonio, a ben 11 e 6 mesi nel Venassino, affidato a legati a vita prima, ai cardinali nipoti poi. Scomponendo le variazioni della durata media degl’incarichi per secoli61, possiamo cogliere differenze e omogeneità tra le diverse aree: mentre ad Avignone la durata media degl’incarichi si riduce, in seguito alla loro trasformazione cinquecentesca da vitalizi a uffici connessi alla permanenza in carica del cardinale nipote, nelle altre province essa tende a stabilizzarsi intorno a periodi tra i tre e i quattro anni (con l’eccezione del Patrimonio, che nel xvi secolo conosce la legazione a vita farnesiana); questa è infatti la durata dei mandati dei legati seicenteschi a Ferrara, Bologna, Romagna e Urbino, mentre nelle altre province il loro periodo di servizio è minore o nullo. Una considerazione puramente statistica di questi tempi, tuttavia, rischia di essere fuorviante, nascondendo la svolta generale che si verifica nella seconda metà del Cinquecento.
27Il fatto è che proprio nel secondo Cinquecento l’assetto amministrativo dello Stato pontificio conosce un rapido mutamento, e il ruolo dei legati viene ad esserne ridefinito. Nel 1559, mentre si concludono i conflitti avviati con le guerre d’Italia, viene attivata la Consulta, il dicastero che sottopone direttamente i governatori dello Stato al cardinale nipote anziché al camerlengo; nel 1563 termina il concilio di Trento, che avvia una tendenza a limitare i poteri spirituali dei legati-rettori; negli anni di Pio V e Gregorio XIII si comincia a sostituire i cardinali con ecclesiastici di rango inferiore sia nelle missioni diplomatiche (con la stabilizzazione delle nunziature, affidate a prelati minori), sia nella conduzione delle province: a queste vengono ora preferenzialmente preposti semplici «presidenti» o governatori (che sono pagati la metà dei legati corrispondenti e sono in posizione assai più subordinata rispetto alle autorità della Capitale) e si rafforza la tendenza, già presente dal secondo Quattrocento, a frazionarle in un numero crescente di governi separati e dipendenti direttamente dalla Consulta; contemporaneamente si formalizza il ruolo del cardinale nipote come capo dell’amministrazione, conferendogli la carica di Soprintendente generale dello Stato; infine, Sisto V ridimensiona il peso politico dei cardinali inquadrandoli nelle congregazioni (nel 1588) e Clemente VIII sottopone l’amministrazione delle comunità allo stretto controllo della congregazione del Buon governo (nel 1592)62. Si tratta del graduale superamento del ruolo dei cardinali come ‘senato’ papale, a fronte della loro trasformazione in altissimi impiegati curiali: il suo corrispettivo nell’assetto territoriale dello Stato è costituito dall’abbandono dell’amministrazione decentrata che Albornoz aveva sistematizzato nelle Costituzioni Egidiane. Le grandi province rette da legati-vicari molto autonomi vengono sostituite di fatto da una serie di circoscrizioni minori, nelle quali tanto i governatori quanto le autorità locali sono vigilati nella loro attività da dicasteri centrali dipendenti direttamente dal sovrano. Dall’epoca di Clemente VIII il ruolo dei legati appare ormai residuale: scomparsi di fatto in tutte le province, essi continuano a reggere solo Bologna, la Romagna e le nuove legazioni di Ferrara (dal 1598) e Urbino (dal 1631), in cui succedono ai duchi; la carica legatizia permane anche ad Avignone, ma è riservata per prassi ai cardinali nipoti, che ovviamente non risiedono, sino a che nel 1693 i provvedimenti di abolizione del nepotismo la sopprimono, lasciando che la provincia sia retta, come già avveniva di fatto, da prelati col titolo di vicelegati. E poiché anche ad Urbino nel xviii secolo si tenderà ad inviare piuttosto prelati minori col titolo di «presidenti», quelle che il Sette e l’Ottocento conosceranno come le «legazioni» per antonomasia saranno solo le tre emiliano-romagnole: regioni di frontiera, ma soprattutto regioni ricche ed economicamente importanti. I legati che nel Seicento le reggono (per periodi convenzionalmente considerati triennali, ma rinnovabili) sono ormai altissimi funzionari dello Stato, che si recano effettivamente nelle loro sedi di servizio e provengono in gran parte da famiglie legate al mondo della finanza pontificia: romani, lombardi, soprattutto toscani e molti genovesi (il 17 % sul totale dei legati seicenteschi, ma oltre un terzo del totale in queste province). Essi non solo beneficiano delle remunerazioni dirette della carica (tradizionalmente tra le più elevate retribuzioni legatizie, tra stipendi ed emolumenti vari)63, ma si inseriscono profondamente nella vita economica delle regioni amministrate grazie al diritto di concedere tratte di grani e d’influire consistentemente sulla politica annonaria e fiscale, coltivano o creano reti di patronato e clientelari che li uniscono alle oligarchie locali e, per così dire, sorvegliano sul posto gl’investimenti dei loro familiari e compatrioti. Il caso è particolarmente evidente per i genovesi, che all’inizio del xviii secolo detengono quasi il 15 % del debito pubblico pontificio, ma circa il 25 % di quello comunale bolognese e quasi il 28 % di quello ferrarese64. Per converso, come le altre province, anche le «legazioni» sono di fatto soggette ad uno stretto controllo del sovrano: già nel 1617 Marco Antonio de Dominis dice che esse «sunt praeturae provinciales, vel praefecturae et proconsulatus, non ecclesiasticae pro rebus ecclesiasticis legationes, ut omnibus reipsa notum est et manifestum»; e a fine Seicento, il cardinal De Luca precisa che i loro legati «sono più tosto Gouernatori, ò Presidi di Prouincie, con questa onorifica nuncupazione, e con qualche maggior prerogatiua de semplici Presidi, mà non sono veri Legati a Latere», e che nei loro confronti la Consulta semplicemente «camina con qualche circospezione, e non vi s’ingerisce così frequentemente come negl’altri luoghi de’ governi, e presidati»65. Appare insomma evidente che al termine del xvii secolo le cariche di legato-rettore provinciale, in quanto riservate a cardinali, sono or-mai principalmente uffici lucrosi e onorifici per prelati che si desidera gratificare particolarmente nel quadro del servizio papale66: prelati tutti italiani e quasi tutti provenienti dal dominio politico pontificio, dall’area toscana o da quella ligure.
28Dal Tre al Seicento, dunque, l’istituto del legato come rettore provinciale, pur conoscendo poche variazioni sul piano formale e giuscanonistico, cambia ripetutamente di segno, in maniera speculare rispetto ai mutamenti del ruolo stesso del cardinalato. Nella prima metà del xiv secolo, da rappresentante straordinario di fiducia del papa con poteri amplissimi per affrontare situazioni gravi (nella fattispecie, per riprendere il controllo dei territori che stanno sfuggendo alla sovranità pontificia) si trasforma gradualmente in supervisore generale dell’amministrazione dei domini papali d’Italia, qual è alla fine del periodo avignonese; durante lo scisma, il legato si sostituisce ai rettori provinciali e diviene nel xv e xvi secolo un corresponsabile della politica della Santa Sede, che nei momenti di crisi ne sorveglia l’applicazione in sede locale (così tra tardo Trecento e primo Quattrocento e poi di nuovo a cavallo tra Quattro e Cinquecento), mentre in quelli di stabilità internazionale delega a propri dipendenti i suoi compiti d’ufficio; dalla fine del xvi secolo, inizia a divenire un altissimo burocrate che, nel corso della sua carriera, trova prestigioso ricoprire incarichi ricchi di responsabilità, ma anche di onori e di vantaggi accessori. Contemporaneamente l’assetto istituzionale e territoriale dello Stato, ora sotto l’indiscussa autorità territoriale del vescovo di Roma, viene modificato in direzione d’un controllo diretto del sovrano sui dicasteri centrali e di questi su amministrazioni periferiche numerose e ramificate, che sostituiscono in gran parte le entità provinciali albornoziane e quelle pluriprovinciali di epoca tardo-avignonese. È uno dei risvolti della riconfigurazione in atto della monarchia pontificia da aggregato complesso di diritti e di fedeltà, retto collegialmente da Papa e cardinali, in aggiornato, monocratico, principato amministrativo67.
Notes de bas de page
1 Per un’informazione generale e per le epoche più antiche, J. Gaudemet, Legato (antichità), in P. Levillain (a cura di), Dizionario storico del Papato, Milano, 1996, p. 838-839; O. Guyotjeannin, Legato (medioevo), ibid., p. 839-842; P. Blet, Legato (epoca moderna e contemporanea), ibid., p. 842-843; Id., Nunzio, ibid., p. 1020-1022. Per la situazione attuale, M. Oliveri, Natura e funzioni dei legati pontifici nella storia e nel concetto ecclesiologico del Vaticano II, Città del Vaticano, 19822. Sul ruolo diplomatico dei legati, P. Blet, Histoire de la représentation diplomatique du Saint-Siège des origines à l’aube du xixe siècle, Città del Vaticano, 1982 [19902] (Collectanea Archivi Vaticani, 9); B. Barbiche e S. de Dainville-Barbiche, Les légats a latere en France et leurs facultés aux xvie et xviie siècles, in Archivum historiae pontificiae, 23, 1985, p. 93-165; cfr. inoltre il contributo di B. Barbiche nel presente volume. Per i giubilei, nella pletora di pubblicazioni recenti, meglio rifarsi a P. Brezzi, Storia degli Anni Santi. Da Bonifacio VIII ai giorni nostri, Milano, 1975, integrato da I giubilei. Roma il sogno dei pellegrini, [Firenze-Roma], 1999. Ringrazio Armand Jamme e Olivier Poncet per l’attenta revisione del testo e Armando Cocchi per l’elaborazione informatica dei grafici.
2 La sistemazione canonica più importante è costituita dallo Speculum legati di Guillaume Durand, che fu rettore di Romagna nel 1284. Sui legati nel xiii secolo, R. A. Schmutz, Medieval Papal Representatives: Legates, Nuncios, and Judges-Delegate, in Studia Gratiana, 15, 1972, p. 441-463; K. Pennington, Johannes Teutonicus and Papal Legates, in Archivum historiae pontificiae, 21, 1983, p. 183-194; R. C. Figueira, The Classification of Medieval Papal Legates in the Liber Extra, in Archivum historiae pontificiae, 21, 1983, p. 211-228; Id., «Legatus apostolice sedis»: the Pope’s «alter ego» According to Thirteenth-Century Canon Law, in Studi medievali, s. III, 27, 1986, p. 527-274; Id., The Medieval Papal Legate and his Province: Geographical Limits of Jurisdiction, in Apollinaris, 61, 1988, p. 817-860; Id., Papal Reserved Powers and the Limitations on Legatine Authority, in J. R. Sweeney e S. Chodorow (a cura di), Popes, Teachers, and Canon Law in the Middle Ages, Ithaca-Londra, 1989, p. 191-211; R. C. Figueira, Subdelegation by Papal Legates In Thirteenth-Century Canon Law: Powers and Limitations, in S. B. Bowman e B. E. Cody (a cura di), In Iure Veritas: Studies in Canon Law in Memory of Schafer Williams, Cincinnati, 1991, p. 56-79. Cfr. poi C. I. Kyer, Legatus and nuntius as used to denote Papal Envoys: 1245-1378, in Medieval Studies, 40, 1978, p. 473-477; G. Mollat, Contribution à l’histoire du Sacré Collège de Clément V à Eugène IV, in Revue d’histoire ecclésiastique, 46, 1951, p. 22-112 e 566-594, a p. 566-569.
3 Sarebbe necessario riesaminare ex novo la questione partendo dalle molte fonti contenute negli archivi vaticani, onde rilevare la frequenza delle nomine di legati e vicari generali pontifici e lo sviluppo del loro impiego nell’azione papale; poiché ovviamente in questa sede ciò è impossibile, per un arco di tempo plurisecolare quale quello considerato, occorrerà rifarsi alla documentazione pubblicata o regestata (che si limita, tuttavia, quasi unicamente a quella medievale) e alle notizie fornite dalla storiografia e dagli studi prosopografici sul personale politico pontificio, non sempre precisi da un punto di vista istituzionale: essi infatti tendono spesso a considerare sinonime, o almeno necessariamente connesse, le qualifiche, invece indipendenti, di ‘legato’ e ‘vicario generale temporale’; ciò comporta dunque un certo grado d’incertezza sulle considerazione generali qui avanzate. Nel corso della trattazione potrà comunque accadere di parlare compendiosamente di ‘legati’ anche in riferimento a vicari generali privi del titolo legatizio e a prelati minori con poteri di legato, destinati peraltro a scomparire definitivamente nel corso del Quattrocento.
4 D. Waley, The Papal State in the thirteenth Century, Londra, 1961, p. 95-104; le variazioni tra l’una o l’altra categoria di rettori paiono dipendere dai singoli Papi.
5 Cfr. ad esempio le lettere (13 giugno 1299) che nominano il camerlengo cardinale Teodorico Ranieri rettore del Patrimonio, gli sottopongono il Reatino, gli destinano le entrate locali e ordinano alle autorità della provincia di obbedirgli in Les registres de Boniface VIII (1294-1303), Parigi, 1884-1939 (Bibliothèque des Écoles Françaises d’Athènes et de Rome, s. II, 4), IV, p. 59-60, con quelle (620 maggio 1272) che designano a rettore della Marca, e poi di Urbino e della Massa Trabaria, il nobile Foucault de Puyricard in A. Theiner (a cura di), Codex diplomaticus dominii temporalis S. Sedis. Recueil de documents pour servir à l’histoire du gouvernment temporel des États du Saint-Siège extraits des archives du Vatican, Roma, 1861-1862, I, p. 174-175, e nei regesti di J. Guiraud (a cura di), Les registres de Grégoire X (1272-1276). Recueil des bulles de ce pape, Parigi, 1892 (Bibliothèque des Écoles Françaises d’Athènes et de Rome, s. II, 12), p. 58-60.
6 Le relative lettere (27 maggio 1300) in Les registres de Boniface..., cit. nota 5, II, c. 929-936.
7 Ibid., c. 936-941. Sulle vicende dello Stato pontificio sino al grande Scisma, P. Partner, The Lands of St. Peter. The Papal State in the Middle Ages and the Early Renaissance, Londra, 1972 (per le circostanze delle due nomine, p. 291-292). Su papa Caetani cfr. inoltre E. Dupré Theseider, Bonifacio VIII, in Enciclopedia dei papi, Roma, 2000, II, p. 472-493, specie p. 489-490; J. Coste, Bonifacio VIII, in P. Levillain, Dizionario..., cit. nota 1, p. 201-203.
8 Les registres de Boniface..., cit. nota 5, II, c. 932 (e cfr. c. 934 e 936). La formula dell’evellere et destruere... è già usata da Innocenzo III: cfr. ad esempio J.P. Migne (a cura di), Patrologiæ cursus completus..., Parigi, CCXIV, 1855, c. 481-482 (8 gennaio 1198); la sua origine è scritturale e riferita alla missione del profeta per conto di Dio: cfr. Geremia, 1, 10; 18, 7; 31, 28; 45, 4; Siracide 49, 7.
9 Per il ruolo di Orsini e Pellegrue nella politica di Clemente V, A. Eitel, Der Kirchenstaat unter Klemens V., Berlino-Lipsia, 1907, p. 160-206. Su Orsini, oltre al contributo di F. Allegrezza in questo stesso volume, A. Veronesi, La legazione del card. Napoleone Orsini in Bologna nel 1306, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le province di Romagna, s. III, 28, 1909-1910, p. 79-133; la lette-ra di nomina in A. Tarlazzi (a cura di), Appendice ai Monumenti ravennati dei secoli di mezzo del conte Marco Fantuzzi, Ravenna, 1869-1876 (Monumenti istorici pubblicati dalla R. Deputazione di storia patria per le provincie della Romagna, s. II, 1-2), I, p. 460-462. Su Pellegrue, G. Moroni, Dizionario di erudizione storicoecclesiastica..., Venezia, 1840-1879, LII, p. 40; G. Soranzo, La guerra fra Venezia e la S. Sede per il dominio di Ferrara (1308-1313), Città di Castello, 1905, p. 114-160; in Regestum Clementis papae V..., Roma, 1885-1892, [IV], p. 440-449, regesti delle 31 lettere apostoliche (22 marzo 1309) di nomina e conferimento dei poteri legatizi (a p. 440-443 è edita la lettera di nomina principale); ibid., [V], p. 396, edizione della lettera (10 marzo 1310) che incarica il legato in particolare della pacificazione della Romagna «et aliarum terrarum ecclesie Romane» incluse nell’area della sua legazione. Il ruolo del clero secolare e regolare come primo supporto delle missioni legatizie si ricava dalle lettere di nomina; per l’uso dei ‘legati d’Italia’ si-no a metà Trecento, cfr. A. Vasina, I Romagnoli fra autonomie cittadine e accentramento papale nell’età di Dante, Firenze, 1965, p. 399-402; lo stesso autore sottolinea la stretta collaborazione immediatamente attivata tra chiese locali e inviati pontifici, da ultimo in Id., Chiesa e comunità dei fedeli nella diocesi di Bologna dal xii al xv secolo, in P. Prodi e L. Paolini (a cura di), Storia della Chiesa di Bologna, Bologna-Bergamo, 1997, I, p. 97-204, a p. 143-147. Pellegrue è attestato come legato sino al settembre 1310 (Regestum Clementis..., cit. nota 9, [V], p. 442), quando è incaricato di accogliere in Italia Enrico VII. Si usa qui la denominazione di comodo di ‘legati d’Italia’ (nel senso sopra indicato), poiché le lettere pontificie di nomina li definiscono solitamente elencando tutte le circoscrizioni, ecclesiastiche e civili, su cui essi sono competenti.
10 Le nomine di Jorz e Faugères sono rispettivamente in Regestum Clementis..., cit. nota 9, [V], p. 443-450, e [VI], p. 442-450; sulla spedizione di Enrico VII, M. Tosti-Croce (a cura di), Il viaggio di Enrico VII in Italia, Città di Castello, 1993.
11 Su Du Poujet, G. Mollat, Bertrand du Poujet, in Dictionnaire d’histoire et de géographie ecclésiastiques, VIII, Parigi, 1935, c. 1068-1074; R. d’Amat, Du Pouget (Bertrand), in Dictionnaire de biographie française, Parigi, XII, 1970, c. 498-499; e in particolare L. Ciaccio, Il cardinal legato Bertrando del Poggetto in Bologna (1327-1334), in Atti e memorie della Deputazione di Storia patria per le province di Romagna, s. III, 23, 1904-1905, p. 85-196 e 456-537. La nomina di Du Poujet risale forse al 23 luglio 1319: G. Mollat e G. de Lesquen (a cura di), Jean XXII (1316-1334), Lettres communes, Parigi, 1904-1947 (Bibliothèque des Écoles Françaises d’Athènes et de Rome, s. III, 1bis), II, p. 451; i suoi poteri sono specificati dalle 39 lettere apostoliche (1, 2 e 5 giugno 1320) regestate ibid., III, p. 159-161, e edite in parte in [S. Riezler] (a cura di), Vatikanische Akten zur deutschen Geschichte in der Zeit Kaiser Ludwigs des Bayern., Innsbruck, 1891, p. 73-74 e 170 (documenti relativi alla sua missione sino a p. 570); altre facoltà gli verranno conferite nel corso della legazione, secondo una prassi che resterà costante anche per i suoi successori.
12 I poteri di Orsini (anch’esso in carica sino alla fine del regno di Giovanni XXII) sono ibid., p. 279-280 (e cfr. sino a p. 552); in Jean XXII (1316-1334), Lettres communes..., cit. nota 11, VI, p. 305, i regesti delle 41 lettere apostoliche (17 aprile 1326, integrate il 4 giugno da un’ulteriore concessione) che, su richiesta delle popolazioni interessate, lo nominano legato in Toscana, Marca, Ducato, Patrimonio, Campagna e Marittima e aree minori adiacenti, lasciando a Du Pou-jet il restante territorio della sua legazione, incluse la Sardegna e la Corsica; documenti relativi alla sua attività proseguono sino al 24 settembre 1333 (ibid., XIII, p. 15), a quella di Du Poujet, che nel 1332-1333 interviene peraltro anche in territori marchigiani, sino al maggio-giugno 1334 (ibid., p. 135 e 153). Su Orsini, B. Guillemain, Caetani Orsini, Giovanni, in Dizionario biografico degli Italiani, XVI, Roma, 1973, p. 228-230; per gli eventi ricordati, cfr. A. Vasina, I Romagnoli..., cit. nota 9, p. 323-337; P. Partner, The Lands..., cit. nota 7, p. 312-326.
13 H. Otto, Benedikt XII. als Reformator des Kirchenstaates., in Römische Quartalschrift für christliche Altertumskunde und für Kirchengeschichte, 23, 1928, p. 59-110; in generale, B. Guillemain, Benedetto XII, in Enciclopedia dei papi..., cit. nota 7, II, p. 524-530; P. Amarge, Benedetto XII, in P. Levillain, Dizionario..., cit. nota 1, p. 162-163. Su Bertrand de Déaux, arcivescovo di Embrun, cui viene dato come nuntius (1335-1337) l’incarico di ‘riformare e correggere’ i domini pontifici d’Italia, cfr. P. Partner, Bertrando di Deux (Déaulx), in Dizionario biografico..., cit. nota 12, IX, Roma, 1967, p. 642-644; G. Mollat, Bertrand de Déaulx, jurisconsulte et pacificateur des États de l’Église au xive siècle, in Archivum historiae pontificiae, 6, 1968, p. 393-397; le sue lettere di nomina e conferimento dei poteri (6 maggio 1335) sono pubblicate in U. Aloisi, Benedetto XII e Bertrando arcivescovo ebredunense riformatore della Marca d’Ancona. (Appunti d’archivio), in Atti e Memorie della Deputazione di storia patria per le province delle Marche, n. s., 3, 1906, p. 418-423, a p. 414, e regestati con altri documenti attinenti alla sua missione in J.-M. Vidal (a cura di), Benoit XII (1334-1342). Lettres communes..., Parigi, 1911 (Bibliothèque des Écoles Françaises d’Athènes et de Rome, s. III, 2bis), I, specialmente a p. 212-214 (in una delle lettere gli si ordina peraltro di recuperare i beni e diritti della Chiesa romana «in suæ legationis provinciis», ibid., p. 213; ibid. si ordina al clero della legazione di pagargli un compenso di 10 fiorini d’oro al giorno. La citazione nel testo è ibid., II, p. 229). Il secondo nuntius è Jean Amiel, chierico della Camera apostolica, inviato nelle terre pontificie come riformatore generale dei rettori e ufficiali papali: le sue lettere di nomina in A. Theiner, Codex diplomaticus..., cit. nota 5, II, p. 54-57; documenti relativi alla sua missione in J.-M. Vidal, Benoît XII..., cit. nota 13, II, p. 169, 199, 290-291; su di lui, E. Sol, Amiel (Jean d’), in Dictionnaire de biographie..., cit. nota 11, II, 1936, c. 661-662. La carica di ‘riformatore’ non viene viene totalmente abbandonata anche in seguito; così, Innocenzo VI nel 1353 nomina «reformatores... in temporalibus dumtaxat» del Venassino il vescovo di Barcellona Miguel Ricomá, il canonico di Limoges Guillaume de Ruffec e il giurisperito pavese Giovanni Cario: E. Déprez (a cura di), Innocent VI. (1352-1362). Lettres closes, patentes et curiales se rapportant à la France..., Parigi, 1909 (Bibliothèque des Écoles Françaises d’Athènes et de Rome, s. III, 4), c. 104-106.
14 Su Châtelus, R. Capasso, Châtelus (Chalus, Chasluz, Castrolucii), Aimeric de, in Dizionario biografico..., cit. nota 12, XXIV, 1980, p. 384-386; le sue lettere di nomina e conferimento dei poteri come legato ‘di Tuscia’ (14 ottobre 1342) sono regestate in E. Déprez e G. Mollat (a cura di), Clément VI (1342-1352). Lettres closes, patentes et curiales intéressant les pays autres que la France, Parigi, 1960-1961 (Bibliothèque des Écoles Françaises d’Athènes et de Rome, s. III), regesti, p. 912; quelle per la legazione ‘di Sicilia’ (13 ottobre 1343) in parte ibid., p. 41, in parte in E. Déprez, J. Glénisson e G. Mollat (a cura di), Clément VI (1342-1352). Lettres closes, patentes et curiales se rapportant à la France, Paris, 1910-1961 (Bibliothèque des Écoles Françaises d’Athènes et de Rome, s. III, 3.2), I, fasc. I, c. 186; quelle per il vicariato sul Regno (28 novembre 1343) ibid., c. 261; l’incarico vicariale di Châtelus si conclude dopo meno d’un anno (ibid., fasc. II, c. 281), i due incarichi legatizi (attestati da E. Déprez e G. Mollat, Clément VI..., cit. nota 14, e E. Déprez, J. Glénisson e G. Mollat, Clément VI..., cit. nota 14) durano sino al 1345. Court ottiene sin dall’inizio di poter tornare dalla legazione dopo tre anni senza specifica licenza pontificia: T. Gasparini Leporace (a cura di), Le suppliche di Clemente VI, Roma, 1948 (Regesta Chartarum Italiae, 32), p. 126. Su tali vicende e, in generale, sulla politica di papa Roger, B. Guillemain, Clemente VI, in Enciclopedia dei papi..., cit. nota 7, II, p. 530-537; P. Jugie, Clemente VI, in P. Levillain, Dizionario..., cit. nota 1, p. 328-330.
15 Déaux avrebbe in realtà dovuto venire accompagnato nella sua missione dal cardinale Pierre Bertrand, cui Clemente VI rinunciò su richiesta della regina Giovanna di Francia, sostituendolo con Guy de Boulogne: tuttavia, neanche questi appare concretamente aver seguito Déaux nella sua seconda missione italiana (E. Déprez, J. Glénisson e G. Mollat, Clément VI..., cit. nota 14, II, p. 93, 95, 161-163). Déaux è ricordato all’epoca di Clemente VI come legato «ad regnum Siciliæ et totam terram ipsius regni citra Pharum, necnon ad Tusciam et ad nonnullas alias provincias Sed. Apost.» in J.-M. Vidal, Benoît XII..., cit. nota 13, I, p. 219; le sue lettere di nomina a legato e vicario in ‘Tuscia’ e nel Regno sono regestate in E. Déprez, J. Glénisson e G. Mollat, Clément VI..., cit. nota 14, II, p. 125-126, 132, 134 (e, per il Regno, anche E. Déprez e G. Mollat, Clément VI..., cit. nota 14, regesti, p. 118; ibid., p. 139-145, le relative lettere di conferimento dei poteri legatizi per l’Italia meridionale. La lettera di nomina a legato in ‘Tuscia’ è parzialmente edita in O. Rinaldi, Annales ecclesiastici ab anno MCXCVIII..., a cura di G. D. Mansi, Lucca, 1747-1756, VI, p. 418-419).
16 In A. Theiner, Codex diplomaticus..., cit. nota 5, II, p. 182-183, il testo della nomina di Déaux a legato di Roma; ibid., II, 171-187 documenti sulla sua attività; regesti di documenti analoghi sino al 1348 in E. Déprez e G. Mollat, Clément VI..., cit. nota 14, e E. Déprez, J. Glénisson e G. Mollat, Clément VI..., cit. nota 14: qui, II, p. 380-381 e 448-449, le discussioni sul nominare un secondo legato, a p. 354, 381, 461-468, contestazioni alla politica da lui adottata nelle terre pontificie.
17 Sulla nascita dei vicari generali pontifici, veri e propri coordinatori politico-amministrativi per conto e alle dipendenze del Papa, G. Mollat, Les papes d’Avignon (1305-1378), Parigi, 1965; Id., Origine de la fonction de vicaire général au temporel dans les États de l’Église, in Comptes rendus des séances de l’Académie des inscriptions et belles-lettres, 109, 1965, p. 164-168; Id., Bertrand..., cit. nota 11; Id., Albornoz et l’institution des vicaires dans les États de l’Église (1353-1367), in E. Verdera y Tuells (a cura di), El cardenal Albornoz y el Colegio de España, Saragozza, 1972 (Studia Albornotiana, 11-13), I, p. 345-354; G. Mollat, Contribution..., cit. nota 2, p. 574-580; A. Marongiu, Il cardinale d’Albornoz, legato e vicario pontificio. In margine al Diplomatario, in Diritto, persona e vita sociale. Scritti in memoria di Orio Giacchi, Milano, 1984, II, p. 577-589. La nomina di Déaux a vicario generale temporale nell’Italia pontificia è in A. de Boüard, Le régime politique et les institutions de Rome au Moyen-Age. 1252-1347, Parigi, 1920, p. 335-339 (Bibliothèque des Écoles Françaises d’Athènes et de Rome, 118). Sulle nomine e i pote-ri degli ufficiali pontifici cfr. i contributi di A. Jamme e O. Poncet in questo stesso volume
18 Le 81 lettere di nomina e conferimento dei poteri a Caetani sono regestate in E. Déprez e G. Mollat, Clément VI..., cit. nota 14, regesti, p. 238-246 (anche se vi viene riportata la sola nomina a legato di ‘Tuscia’ e regioni pontificie, la specificazione dei poteri nelle lettere successive distingue sempre tra quelli relativi a queste aree e al Regno, di modo che appare sicuro che quest’ultimo sia oggetto di una nomina legatizia a sé stante; a p. 238 se ne fissa il compenso, a carico del clero della Legazione, in 40 fiorini d’oro, presumibilmente al giorno); le 34 lettere di Guy ibid., p. 246-249 (distinguendo sempre tra le due legazioni di ‘Lombardia’ e di Ungheria e provincia ecclesiastica salisburghese, che corrispondeva all’Austria e alle regioni tedesche sudorientali); le due legazioni si concludono nel 1350: documenti su di esse sono regestati ibid., e (per Caetani) in E. Déprez, J. Glénisson e G. Mollat, Clément VI..., cit. nota 14, III (cfr. specie p. 103 e 113-114). Su Annibaldo Caetani, B. Guillemain, Caetani, Annibaldo (Annibale), in Dizionario biografico..., cit. nota 12, XVI, 1973, p. 111-115. Su Guy de Boulogne, G. Mollat, Boulogne (Gui de), in Dictionnaire d’histoire..., cit. nota 11, X, 1938, c. 101-106; Gui de Boulogne, ibid., XXII, 1988, c. 1257.
19 Albornoz è legato e vicario generale delle terre pontificie d’Italia dal 30 giugno 1353 al 23 agosto 1357 e di nuovo dal 18 settembre 1358 al 23 agosto 1367; dal 26 novembre 1363 perde il vicariato su Bologna e la legazione di ‘Lombardia’, ottenendo però quella di Napoli dal 13 aprile 1364; dal 23 ottobre 1364 perde anche il vicariato sulla Romagna; su di lui, oltre agl’inquadramenti generali di P. Gasnault, Innocenzo VI, in Enciclopedia dei papi..., cit. nota 7, II, p. 537-542, e G. Mollat, Les papes..., cit. nota 17, cfr. P. Colliva, Il cardinale Albornoz. Lo Stato della Chiesa. Le “Constitutiones Aegidianae” (1353-1357), Bologna, 1977 (Studia Albornotiana, 32); J. Glénisson e G. Mollat (a cura di), Correspondance des légats et vicaires-généraux. Gil Albornoz et Androin de la Roche (1353-1367), Parigi, 1964 (Bibliothèque des Écoles françaises d’Athènes et de Rome, 203), p. 15-126 e 157-391; P. Gasnault, M.-H. Laurent e N. Gotteri (a cura di), Innocent VI (1352-1362). Lettres secrètes et curiales..., Parigi-Roma, 1959-1976 (Bibliothèque des Écoles Françaises d’Athènes et de Rome, s. III, 4), I-IV (da cui risultano chiaramente le molte incombenze squisitamente politiche svolte all’interno del dominio papale); E. Saracco Previdi, Descriptio Marchiae Anconitanae, Ancona, 2000 (Fonti per la storia delle Marche, n.s., 3). I diversi passaggi di incarico tra Albornoz, De La Roche e il successore di questi Grimoard sono riassunti in J. Glénisson e G. Mollat, Correspondance..., cit. nota 19, p. 159 e 395; il titolo vicariale completo di Albornoz è riportato ibid., p. 17 (1353) e 159 (1363); quello di De la Roche ibid., p. 129 (1357; per il 1363, cfr. p. 395). La conferma di Albornoz da parte di Urbano V è edita in A. Theiner, Codex diplomaticus..., cit. nota 5, II, p. 367; la limitazione della sua competenza alla ‘Tuscia’ lo è in P. Lecacheux e G. Mollat (a cura di), Lettres secrètes et curiales du pape Urbain V (1362-1370) se rapportant à la France..., Parigi, 1902-1955 (Bibliothèque des Écoles Françaises d’Athènes et de Rome, s. III), regesti, p. 90-91; da diversi regesti di P. Gasnault, M. Hayez e A.-M. Hayez (a cura di), Urbain V (1362-1370). Lettres communes..., Parigi-Roma, 1954-1989 (Bibliothèque des Écoles Françaises d’Athènes et de Rome, s. III, 5bis), IV-VI, egli pare continuare comunque a occuparsi anche di questioni romagnole, come d’altro canto De la Roche si occupa a volte di questioni toscane. In P. Lecacheux e G. Mollat, Lettres secrètes..., cit. nota 19, regesti, p. 100-101, la lettera 23 dicembre 1363 con cui si informa Albornoz del trasferimento del vicariato su Bologna, e a p. 133 quella (13 aprile 1364) di nomina a legato di Sicilia (i poteri relativi ibid., p. 220-221, 559, 561); la nomina di Casaleschi (su cui cfr. R. Capasso, Casaleschi, Petrocino, in Dizionario biografico..., cit. nota 12, XXI, 1978, p. 56-57) è edita in A. Theiner, Codex diplomaticus..., cit. nota 5, II, p. 418 (19 novembre 1364); il rifiuto al rientro in P. Lecacheux e G. Mollat, Lettres secrètes..., cit. nota 19, regesti, p. 255 (ma anche in seguito si insiste perché rimanga nel Regno: ibid., p. 391).
20 De La Roche è legato e vicario generale temporale per le terre pontificie d’Italia dal 23 agosto 1357 al 23 dicembre 1358 e dal 26 novembre 1363 al 13 aprile 1368, vicario generale temporale di Bologna dal 1363, di Romagna dal 1364; su di lui, J. Balteau, Androin ou Androuin de la Roche, in Dictionnaire de biographie..., cit. nota 11, II, 1936, c. 1005-1006; G. Mollat, Androin de la Roche, in Dictionnaire d’histoire..., cit. nota 11, II, 1914, c. 1770-1773; G. Mollat, La première légation d’Androin de La Roche, abbé de Cluny, en Italie (1357-1358), in Revue d’histoire de l’Église de France, 2, 1911, p. 385-403; F. Filippini, La prima legazione del cardinale Albornoz in Italia (1353-1357), in Studi storici, 5, 1896, p. 81-120, 377-414, 485-530; Id., La IIa legazione del card. Albornoz in Italia (1358-1367), ibid., 12, 1903, p. 263-337, 13, 1904, p. 3-52, 14, 1905, p. 29-68. Notizie sulla sua attività in J. Glénisson e G. Mollat, Clément VI..., cit. nota 14, p. 127-155 e 393-402. La no-mina legatizia, quella a vicario su Bologna e Lugo (1 dicembre 1363) e la concessione di una parte dei poteri legatizi sono regestate in P. Lecacheux e G. Mollat, Lettres secrètes..., cit. nota 19, regesti, p. 554-560 (spiccano le esplicite concessioni di stringere alleanze e di concedere l’indulgenza plenaria a chi muoia combattendo i nemici della Chiesa); altri poteri, specificati a più riprese tra dicembre 1363 e dicembre 1365, ibid., p. 92-94, 138-140, 360-361. Chiari segnali della progressiva sottrazione di competenze, specie amministrative e finanziarie, a De La Roche a vantaggio di personale più fidato ibid., p. 426 e 444; il richiamo è edito ibid., p. 472.
21 P. Sella (a cura di), Costituzioni Egidiane dell’anno MCCCLVII, Roma, 1912 (Corpus Statutorum Italicorum, 1); la citazione a p. 1. Per le costituzioni preegidiane, C. Reydellet-Guttinger, L’administration pontificale dans le Duché de Spolète (1305-1352), Firenze, 1975, p. 35-47 e 137-157; T. Schmidt (a cura di), Constitutiones spoletani ducatus a Petro de Castaneto edite (a. 1333), Roma, 1990 (Fonti per la storia d’Italia, 113); P. Colliva, Il cardinale..., cit. nota 19, p. 263-377.
22 Le nomine di Albornoz a legato e vicario nel 1353 sono edite in A. Theiner, Codex diplomaticus..., cit. nota 5, II, p. 246-250; quella legatizia anche in P. Gasnault, M.-H. Laurent e N. Gotteri, Innocent VI..., cit. nota 19, I, p. 123-124 (ibid., p. 124-135, i regesti delle altre 80 lettere con cui lo si nomina vicario e gli si conferiscono i poteri connessi alle due cariche; in una di esse, p. 126, si fissa a 40 fiorini d’oro al giorno la somma che il clero della Legazione gli deve corrispondere); quella vicariale anche in P. Sella, Costituzioni..., cit. nota 21, p. 4-14. Le concessioni di poteri su Roma sono in P. Gasnault, M.-H. Laurent e N. Gotteri, Innocent VI..., cit. nota 19, I, p. 162, e P. Lecacheux e G. Mollat, Lettres secrètes..., cit. nota 19, regesti, p. 220. Il progressivo aumento delle competenze dei vicari generali pontifici in materia ecclesiastica è sottolineato da P. Prodi, Il sovrano pontefice. Un corpo e due anime: la monarchia papale nella prima età moderna, Bologna, 1982, p. 252-253.
23 Sui diversi tipi di ‘vicari’ papali nel dominio pontificio del Trecento, G. Mollat, Albornoz..., cit. nota 17. Si può forse ipotizzare che, mentre il titolo di ‘rettore’ implicava per gli ufficiali minori pontifici una dipendenza diretta dal sovrano, quello di ‘vicario’ comportasse, almeno inizialmente, una dipendenza da un legato o da un vicario generale in temporalibus di rango cardinalizio. Tuttavia, tra i diversi rettori locali che nel dominio papale trecentesco portano il titolo di ‘vicari generali temporali’ della circoscrizione loro affidata, ne incontriamo anche di nominati dal Papa: oltre al ricordato caso di Casaleschi per la Romagna, va sottolineato che, quando Urbano V si trasferisce a Roma, al rettore di Avignone e Venassino, il patriarca di Gerusalemme Philippe de Cabassole, viene conferito anche il titolo di vicario per la stessa area (così all’8 dicembre 1367: P. Lecacheux e G. Mollat, Lettres secrètes..., cit. nota 19, regesti, p. 452-453); cfr. M. Hayez, Avignon sans les papes (1367-1370, 1376-1379), in Genèse et débuts du grand schisme d’Occident, Parigi, 1980 (Colloques internationaux du Centre national de la recherche scientifique, 586), p. 143-157. Su Cabassole, poi cardinale, M. Hayez, Cabassole (Cabassoles), Philippe, in Dizionario biografico..., cit. nota 12, XV, 1972, p. 678-681. Il titolo di ‘vicari generali temporali’ per vari signorotti dell’area pontificia all’epoca di Gregorio XI in G. Mollat (a cura di), Lettres secrètes et curiales du pape Grégoire XI (1370-1378) intéressant les pays autres que la France, Parigi, 1962-1965 (Bibliothèque des Écoles Françaises d’Athènes et de Rome, s. III), I, p. 136; per ufficiali pontifici minori nello stesso periodo in A. M. Hayez (a cura di), Grégoire XI (1370-1378). Lettres communes..., Roma, 1992-1993 (Bibliothèque des Écoles Françaises d’Athènes et de Rome, s. III, 6bis), II, p. 443-444.
24 Su Grimoard (vicario, riformatore, conservatore della pace e paciere generale per i domini pontifici d’Italia esclusa la Romagna nel 1367-1368, per l’intero Stato nel 1368-1370, limitato alle sole province settentrionali nel 1370-1372), R. Dondarini e G. Cinti, La «Descriptio civitatis Bononie eiusque comitatus» del cardinale Anglico. Introduzione ed edizione critica. Assetto territoriale e forme insediative dalla «Descriptio», Bologna, 1990 (Documenti e studi della Deputazione di storia patria per le province di Romagna, 24); L. Mascanzoni, La «Descriptio Romandiole» del card. Anglic. Introduzione e testo, Bologna, [1985]; la nomina vicariale di Grimoard (15 novembre 1367) è pubblicata in P. Lecacheux e G. Mollat, Lettres secrètes..., cit. nota 19, regesti, p. 441-443 (ibid., p. 471, la sua estensione a Bologna e alla Romagna, 1 marzo 1368), e A. Theiner, Codex diplomaticus..., cit. nota 5, II, p. 450-452; ibid., p. 485, il richiamo del vicario (25 giugno 1371, con decorrenza da ottobre o da quando il card. d’Estaing venga a sostituirlo); regesti delle lettere di concessione dei poteri vicariali in P. Lecacheux e G. Mollat, Lettres secrètes..., cit. nota 19, regesti, p. 446-449, 462-464-469; a p. 443-444 la fissazione del compenso, a p. 530 (e in A. Theiner, Codex diplomaticus..., cit. nota 5, II, p. 472) la norma sui vicari apostolici; in P. Gasnault, M. Hayez e A.-M. Hayez, Urbain V..., cit. nota 19, VII, p. 155, i poteri di Grimoard sull’amministrazione finanziaria delle quattro province affidategli nel 1367; ibid., IX, p. 387-388 e 408, attività del vicario in Toscana e a Venezia, mentre a p. 440-442 è la concessione esplicita (1 settembre 1370) di tutti i poteri «que legati dicte Sed. [apostolicae] de latere missi infra legationes suas facere possunt». Grimoard e d’Estaing restano inoltre in carica anche durante la sede vacante del 1370: cfr. L. Mirot, H. Jassemin e J. Vieillard (a cura di), Lettres secrètes et curiales du pape Grégoire XI (1370-1378) relatives à la France..., Parigi 1937 (Bibliothèque des Écoles Françaises d’Athènes et de Rome, s. III, 7), c. 1-3 e 735.
25 Su d’Estaing (vicario generale temporale per le province meridionali dal 15 luglio 1370 al 19 marzo 1371, di tutto lo Stato dal 19 marzo al 5 luglio 1371, delle sole province settentrionali dal 5 luglio 1371 al 18 marzo 1374), P. Jugie, Estaing, Pierre d’ (Petrus de Stagno), in Dizionario biografico..., cit. nota 12, XLIII, 1993, p. 290-294; A. Theiner, Codex diplomaticus..., cit. nota 5, II, p. 478-596, in particolare p. 485 (estensione del vicariato a tutto lo Stato, 19 marzo 1371) e 543-553; lettere di concessione dei poteri in P. Lecacheux e G. Mollat, Lettres secrètes..., cit. nota 19, regesti, p. 542-543; ibid., p. 549, la nomina dell’arcivescovo di Braga Jean de Cardaillac a suo successore qualora egli dovesse morire in carica. L’estensione del vicariato alle province settentrionali è anche regestata in L. Mirot, H. Jassemin e J. Vieillard, Lettres secrètes..., cit. nota 24, c. 755-756; ibid., oltre a numerose indicazioni, a c. 770 e 782-783, concessioni di poteri sugli apparati finanziario, giudiziario e militare delle province settentrionali; a c. 936-939 la no-mina di un sostituto per d’Estaing momentaneamente assente dalla sede; a c. 1016-1017 è edita l’autorizzazione (30 ottobre 1373) a rientrare in curia quando vorrà, dopo il 25 dicembre. Il 5 luglio 1371 è nominato vicario per Bologna: G. Mollat, Lettres secrètes..., cit. nota 23, I, p. 32-33. Per Noëllet, G. Moroni, Dizionario..., cit. nota 9, XLVIII, p. 68-69; nomina e concessione di poteri (28 novembre 1373) in L. Mirot, H. Jassemin e J. Vieillard, Lettres secrètes..., cit. nota 24, c. 1024-1026; numerose altre concessioni tra 30 novembre 1373 e 26 gennaio 1374 (ibid., c. 1026-1052); cfr. inoltre i documenti editi in A. Theiner, Codex..., cit. nota 5, II, p. 559-569. Per Roberto da Ginevra, che era nipote di Guy de Boulogne, M. Dykmans, Clemente VII, antipapa, in Enciclopedia dei papi..., cit. nota 7, II, p. 593-606; R.-C. Logoz, Clemente VII (antipapa), in P. Levillain, Dictionnaire..., cit. nota 1, p. 333-336. Le 63 lettere (25 maggio 1376) di concessione dei poteri, analoghi a quelli dei suoi predecessori e del cardinale Francesco Tebaldeschi, vicario generale nelle province meridionali, sono regestate in maniera troppo sommaria in G. Mollat, Lettres secrètes..., cit. nota 23, III, p. 11-16.
26 Documenti sul vicariato di Aycelin in P. Lecacheux e G. Mollat, Lettres secrètes..., cit. nota 19, regesti, specie a p. 503 e 520; su di lui, G. Mollat, Aycelin (Gilles II) de Montaigut, in Dictionnaire d’histoire..., cit. nota 11, V, 1931, c. 1275-1276; F. Aubert, Aycelin (Le cardinal Gilles), in Dictionnaire de biographie..., cit. nota 11, IV, 1948, c. 921-922. La nomina di Cabassole (4 luglio 1371) a vicario generale temporale, riformatore, conservatore della pace e paciere nelle province meridionali è in A. Theiner, Codex diplomaticus..., cit. nota 5, II, p. 486-487; cfr. anche ibid., p. 542-548; le 41 lettere di concessione dei poteri sono regestate in L. Mirot, H. Jassemin e J. Vieillard, Lettres secrètes..., cit. nota 24, c. 771-778; altri poteri vengono concessi in seguito (ibid., c. 801-802). Su Dupuy, B. Guillemain, Dupuy (du Puy, de Podio), Géraud (Gerardo), in Dizionario biografico..., cit. nota 12, XLII, 1993, p. 72-75; la sua nomina (8 settembre 1372) è edita in E. Dupré Theseider, La rivolta di Perugia nel 1375 contro l’abate di Monmaggiore ed i suoi precedenti politici, in Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria, 35, 1938, p. 69-166, e regestata in L. Mirot, H. Jassemin e J. Vieillard, Lettres secrètes..., cit. nota 24, c. 874-875; la sua azione è inizialmente molto meno autonoma rispetto alla curia avignonese: solo nel 1373 gli si concede di conoscere gli appelli interposti alla Santa Sede (ibid., c. 931) e, anche se i suoi spazi aumentano progressivamente (nello stesso 1373 si inizia a definirlo regens e, occasionalmente, anche vicarius, a testimonianza del fatto che ormai fosse percepito come tale), la nomina vicariale è del 4 giugno 1374 (ibid., c. 1086-1094, le 34 lettere di nomina e di concessione dei poteri); Dupuy sarà infine nominato cardinale il 20 dicembre 1375, quando ormai da tre settimane è assediato nella cittadella di Perugia, ribellatasi come il resto del dominio pontificio; cfr. inoltre G. Mollat, Lettres secrètes..., cit. nota 23, I, p. 136, e III, p. 32-34; A. Theiner, Codex diplomaticus..., cit. nota 5, II, p. 560-568. Per Flandin, Y. Chassin du Guerny, Flandin (Pierre), alias Flandrin, in Dictionnaire de biographie..., cit. nota 11, XIII, 1975, c. 1473-1474; le 61 lettere (7 novembre 1375) di nomina e concessione dei poteri sono regestate in L. Mirot, H. Jassemin e J. Vieillard, Lettres secrètes..., cit. nota 24, c. 1198-1212; al 14 dicembre 1375 Flandin è ancora ad Avignone (G. Mollat, Lettres secrètes..., cit. nota 23, II, p. 172); nel frattempo, viene mandato ad affiancare Dupuy il nunzio e chierico di Camera Élie de Vodro, già incaricato di compiti importanti, tra cui la riforma dell’amministrazione pontificia di Avignone: cfr. L. Mirot, H. Jassemin e J. Vieillard, Lettres secrètes..., cit. nota 24, c. 594-595, 1164-1165, 1241-1242; C. Thion (a cura di), Lettres de Grégoire XI (1371-1378), Bruxelles-Roma, 1958-1975 (Analecta Vaticano-Belgica, 11, 20, 25, 28), II, p. 61-66; III, p. 33. Per Tebaldeschi, G. Moroni, Dizionario..., cit. nota 9, LXXIII, p. 249-250; regesti della nomina vicariale (25 gennaio 1376) e delle successive 65 lettere di conferimento dei poteri in G. Mollat, Lettres secrètes..., cit. nota 23, III, p. 1-9. Sul secondo vicariato di d’Estaing, cfr. Mirot, H. Jassemin e J. Vieillard, Lettres secrètes..., cit. nota 24, c. 1231-1232; A. Theiner, Codex diplomaticus..., cit. nota 5, p. 593-596.
27 Su Blauzac, G. Mollat, Origine..., cit. nota 17, p. 579; Id., Blauzac (Jean de), in Dictionnaire d’histoire..., cit. nota 11, IX, 1937, c. 167-168. Nomina e concessione dei poteri sono edite in L. Mirot, H. Jassemin e J. Vieillard, Lettres secrètes..., cit. nota 24, c. 661-665; il suo compito è tuttavia quello di un autorevole rettore provinciale, più che assomigliare a quello dei due grandi vicari generali d’Italia. Cfr. M. Hayez, Avignon..., cit. nota 23.
28 Sulla cronologia degli avvicendamenti dei legati e vicari resta un margine d’incertezza dovuto alla discrepanza tra le date di nomina, conferimento dei poteri e presa di servizio, poiché ognuno di essi restava in carica sino all’arrivo del suo successore; i dati quantitativi esposti sotto sono dunque puramente indicativi.
29 Su questa fase dello Stato papale, in mancanza di studi analitici, oltre a G. Mollat, Les papes..., cit. nota 17, cfr. P. Partner, The Lands..., cit. nota 7, p. 349-367; la sintesi di D. Waley, Lo Stato papale dal periodo feudale a Martino V, in Comuni e signorie nell’Italia nordorientale e centrale: Lazio, Umbria e Marche, Lucca, Torino, 1987 (Storia d’Italia, 7/2), p. 228-320; M. Hayez, Urbano VI, beato, in Enciclopedia dei papi..., cit. nota 7, II, p. 542-550; Id., Gregorio XI, ibid., p. 550-561. In generale sullo sviluppo del sistema amministrativo pontificio nel lungo periodo, G. Giubbini e L. Londei, L’ordinamento territoriale dello Stato della Chiesa dall’Albornoz all’età giacobina, in Archivi per la storia, 13, 2000, p. 11-33; A. Gardi, L’amministrazione pontificia e le province settentrionali dello Stato (xiii-xviii secolo), ibid., p. 35-65; B. G. Zenobi, Le «ben regolate città». Modelli politici nel governo delle periferie pontificie in età moderna, Roma, 1994 (Biblioteca del Cinquecento, 59). Sul reticolo diocesano, A. Gardi, La distrettuazione diocesana nello Stato pontificio di età moderna, in G. Biagioli (a cura di), Ricerche di storia moderna, IV, In onore di Mario Mirri, Pisa, 1995, p. 483-504.
30 Su questi punti specifici, per Noëllet, L. Mirot, H. Jassemin e J. Vieillard, Lettres secrètes..., cit. nota 24, c. 1030, 1039-1040, 1048 (modifica degli statuti locali, giudizio sommario sulle cause civili e penali, riforma dello Studio di Bologna); per Flandin, ibid., c. 1199-1200, 1204-1206, 1211-1212 (facoltà di giudicare in via sommaria le cause civili e criminali, modificare gli statuti e le normative vigenti nelle province affidategli, riformare lo Studio di Perugia); per Tebaldeschi, G. Mollat, Lettres secrètes..., cit. nota 23, III, p. 4-5 (concessioni di riformare lo Studio di Perugia, giudicare sommariamente le cause civili e penali, modificare statuti e normative); per Roberto da Ginevra, ibid., III, p. 13 e 15-16 (poteri di ri-forma sulle università, giudizio sommario su tutte le cause, modifica di statuti e normative).
31 Le concessioni di poteri legatizi sono regestate per Grimoard in P. Gasnault, M. Hayez e A.-M. Hayez, Urbain V..., cit. nota 19, IX, p. 440-442; per d’Estaing e Cabassole, L. Mirot, H. Jassemin e J. Vieillard, Lettres secrètes..., cit. nota 24, c. 801-802; per Noëllet, ibid., c. 1052; per Tebaldeschi, G. Mollat, Lettres secrètes..., cit. nota 23, III, p. 8. Le procurationes erano le imposte destinate al mantenimento dei rappresentanti del sovrano; l’esclusione dalla loro riscossione era probabilmente una garanzia formale contro le estorsioni; su tale imposta, A. Gardi, La fiscalità pontificia tra Medioevo ed età moderna, in Società e storia, 9, 1986, p. 509-557, a p. 522-523. Percepiscono una diaria di 25 fiorini d’oro i vicari Grimoard (P. Lecacheux e G. Mollat, Lettres secrètes..., cit. nota 19, regesti, p. 443-444), Noëllet (L. Mirot, H. Jassemin e J. Vieillard, Lettres secrètes..., cit. nota 24, c. 1027), Cabassole (ibid., c. 772-773 e 775), Flandin (ibid., c. 1199 e 1211-1212), mentre a Tebaldeschi (G. Mollat, Lettres secrètes..., cit. nota 23, III, p. 9) viene fissato uno stipendio mensile di 500 fiorini d’oro per i primi cinque mesi di servizio, portati a 600 a decorrere dal sesto.
32 Ciò avviene almeno per Cabassole (L. Mirot, H. Jassemin e J. Vieillard, Lettres secrètes..., cit. nota 24, c. 776).
33 Trattano delle reti clientelari avignonesi B. Guillemain, La cour pontificale d’Avignon. 1309-1376. Étude d’une société, Parigi, 1966 (Bibliothèque des Écoles françaises d’Athènes et de Rome, 201), e vari contributi di Genèse..., cit. nota 23 e Le fonctionnement administratif de la papauté d’Avignon, Roma, 1990 (Collection de l’École française de Rome, 138).
34 Per questi eventi, in mancanza di studi complessivi sul dominio pontificio nell’epoca dello Scisma, cfr. P. Partner, The Lands..., cit. nota 7, p. 366-395; N. Valois, La France et le grand schisme d’Occident, Parigi, 1896-1902; M. De Boüard, La France et l’Italie au temps du grand schisme d’Occident, Parigi, 1936 (Bibliothèque des Écoles Françaises d’Athènes et de Rome, 139); J. Favier, Les finances pontificales à l’époque du Grand schisme d’Occident. 1378-1409, Parigi, 1966 (Bibliothèque des Écoles françaises d’Athènes et de Rome, 211); Genèse..., cit. nota 23; P. Ourliac, Lo scisma e i concili (1378-1449), in Storia del cristianesimo. Religione-Politica-Cultura, Roma, vol. VI, 1998, p. 85-132.
35 Su Da Prata, cfr. P. Stacul, Il cardinale Pileo da Prata, Roma, 1957 (Miscellanea della Società romana di storia patria, 19), che pubblica la lettera di nomina (4 maggio 1388) di Clemente VII e quelle in cui si dà avviso alle autorità civili e religiose della legazione di obbedirgli (p. 283-286; la citazione a p. 285) e riporta i regesti delle 80 lettere che gli conferiscono poteri, tra 4 maggio 1388 e 27 marzo 1389 (p. 348-356). Documentazione sulla sua attività anche in L. Fumi (a cura di), Codice diplomatico della città d’Orvieto..., Firenze, 1884 (Documenti di storia italiana, 8), p. 585-587.
36 In Appendice I l’elenco dei Legati dell’epoca dello Scisma. Le incongruenze cronologiche non sono risolubili sulla base della sola documentazione edita.
37 Da Prata: per l’epoca di Urbano VI, cfr. P. Stacul, Il cardinale..., cit. nota 35, p. 169-170, 186-187, 344-345; A. Theiner, Codex diplomaticus..., cit. nota 5, II, p. 609; per quella di Bonifacio IX ibid., III, p. 48-56; P. Stacul, Il cardinale..., cit. nota 35, p. 223-233 e 362-366. Stefaneschi: L. Fumi, Codice..., cit. nota 35, p. 639-640 e 644 (25 novembre 1413-1414). Isolani: ibid., p. 664-667 e 670-674; A. Theiner, Codex diplomaticus..., cit. nota 5, III, p. 212-214 e 216-217; C. Petracchi, Vita di messer Jacopo Isolani uno de’ XVI. riformatori di Bologna e della s. r. chiesa del titolo di S. Eustachio cardinale amplissimo, Lucca, 1762, p. 23-27 e 3239 (9 settembre 1414-1419). Per i legati-vicari in Romagna, A. Gardi, Gli ‘officiali’ nello Stato pontificio del Quattrocento, in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, s. IV, Quaderni, 1, 1997, p. 225-291, a p. 258. Esempi di vicari generali temporali di obbedienza romana: Marino del Giudice (non cardinalizio), per il Patrimonio (24 novembre 1381: A. Theiner, Codex diplomaticus..., cit. nota 5, II, p. 603-604); Giacomo Fieschi (non cardinalizio), per il Patrimonio (al 1389: ibid., p. 613-617 e 622); Andrea Bontempi (per la Marca, al 1389: ibid., p. 620-621); Da Prata (per Roma, 4 luglio 1398: la lettera di nomina edita ibid., III, p. 93-94, è regestata in P. Stacul, Il cardinale..., cit. nota 35, p. 374; cfr. anche ibid., p. 252-253); Landolfo Maramaldo (per il Ducato, al 1404: A. Theiner, Codex diplomaticus..., cit. nota 5, p. 140); Stefaneschi (per Roma, 23 luglio 1407: ibid., p. 166-167). Legati della stessa obbedienza: Tommaso Orsini (per il Patrimonio, al 1388: ibid., II, p. 613-615); Baldassarre Cossa (per Bologna, al 1407: ibid., III, p. 165-166). Vicari generali temporali di obbedienza pisana: Stefaneschi (per Roma, al 1410: ibid., p. 174-175); Oddone Colonna (per il Ducato, 1411-1413: L. Fumi, Codice..., cit. nota 35, p. 619); François de Conzié (per Avignone, non cardinalizio, 1411-1432: J. Favier, La Chambre apostolique aux lendemains du Concile de Pise, in Annali della Fondazione italiana per la storia amministrativa, 4, 1967, p. 99-116, a p. 109).
38 Un esempio di concessione di vicariato generale spirituale e temporale (per la diocesi di Avignone nel 1366) è in P. Lecacheux e G. Mollat, Lettres..., cit. nota 19, regesti, p. 421-422; in L. Mirot, H. Jassemin e J. Vieillard, Lettres secrètes..., cit. nota 24, c. 795-796, la nomina di d’Estaing a vicario generale temporale e spirituale per la diocesi di Ferrara, il cui vescovo è stato sospeso; a c. 1185 la no-mina di Noëllet ad una carica analoga per il monastero di Galeata; a c. 1173 una nomina simile per la diocesi di Piacenza a Dupuy. La prassi continua anche durante lo scisma: per due casi del 1394 cfr. M. Gastout (a cura di), Documents relatifs au grand schisme. VII. Suppliques et lettres d’Urbain VI (1378-1389) et de Boniface IX (cinq premières années: 1389-1394), Bruxelles-Roma, 1976 (Analecta Vaticano-Belgica, 29), p. 581-583 e 593-594; per la situazione di Avignone, J. Favier, Les finances..., cit. nota 34, p. 50 e 310-311. In P. Gasnault, M. Hayez e A.M. Hayez, Urbain V..., cit. nota 19, IX, p. 415, d’Estaing è definito vicario «in spiritualibus» delle regioni pontificie meridionali: si tratterebbe della prima attestazione (8 agosto 1370) di una carica del genere, ma la sua menzione isolata suscita qualche dubbio. Per il ruolo del vicario di Roma, A. de Boüard, Le régime..., cit. nota 17, p. 70-76.
39 Per l’epoca di Bonifacio IX, A. Esch, Bonifaz IX. und der Kirchenstaat, Tubinga, 1969 (Bibliothek des Deutschen historischen Instituts in Rom, 29), p. 582-589 (ove va notato che il doppio vicariato non si estende alle circoscrizioni subprovinciali, né ai vicari apostolici-notabili locali); per la Romagna, A. Gardi, Gli ‘officiali’..., cit. nota 37, p. 258; per Da Prata, A. Theiner, Codex diplomaticus..., cit. nota 5, II, p. 609; per Isolani, C. Petracchi, Vita..., cit. nota 37, p. 23-27.
40 Per Cossa e i legati di Romagna, cfr. le fonti indicate in A. Gardi, Gli ‘officiali’..., cit. nota 34, p. 283-284. La nomina di Del Giudice è edita in A. Theiner, Codex diplomaticus..., cit. nota 5, II, p. 603-604; quella di Da Prata nel 1398 ibid., III, p. 93-94; quella di Stefaneschi ibid., p. 166-167; quella di Isolani in C. Petracchi, Vita..., cit. nota 37, p. 23-27.
41 Nel calcolo non si è considerato Conzié, che resta vicario di Avignone per 22 anni, ma solo 7 nel corso dello scisma.
42 Per Da Prata come legato avignonese, P. Stacul, Il cardinale..., cit. nota 35, II, p. 353-356; per i legati romani e per Cossa, J. Favier, Les finances..., cit. nota 34, p. 216-217 e 401 (Da Prata nel Ducato), 401 e 437 (legati nella Marca), 680-683 (Cossa); per Stefaneschi, in A. Theiner, Codex diplomaticus..., cit. nota 5, III, p. 174-175, la fissazione dello stipendio come vicario da parte di Alessandro V (400 fiorini d’oro di Camera sulle entrate urbane di Roma).
43 Per le fonti su cui si basa il grafico, cfr. l’Appendice II. La linea continua indica che la provincia è retta da un prelato minore o da un laico, la striscia bianca significa che a capo della provincia sta un cardinale legato (o un prelato con poteri di legato), la striscia tratteggiata segnala che il legato è nipote del papa. Gli asterischi indicano le province note poi come «le legazioni» per antonomasia.
44 Il progetto di papa Colonna è edito, tra l’altro, in K. J. Hefele e H. Leclercq (a cura di), Histoire des conciles d’après les documents originaux, Parigi, 1907-1952, VII, parte I (la citazione a p. 497); per la sua recezione pratica, P. Prodi, Il sovrano..., cit. nota 22, p. 222-223. Per l’assetto che Martino V dà allo Stato, P. Partner, The Papal State under Martin V. The administration and government of the temporal power in the early fifteenth century, Londra, 1958.
45 A. Gardi, Gli ‘officiali’..., cit. nota 37, p. 248-249; per i governatori, S. Carocci, Governo papale e città nello Stato della Chiesa. Ricerche sul Quattrocento, in S. Gensini (a cura di), Principi e città alla fine del Medioevo, Roma, 1996 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Saggi, 41), p. 151-224, a p. 181-191. Per le vicende dello Stato pontificio dopo lo Scisma, M. Caravale e A. Caracciolo, Lo Stato pontificio da Martino V a Pio IX, Torino, 19972 (Storia d’Italia, 14).
46 In appendice II è riportato l’elenco dei legati nelle province pontificie dal 1417 al 1700.
47 Ora pagata dalle tesorerie provinciali, ma per cui disponiamo solo di indicazioni sparse: per il Quattrocento cfr. P. Partner, The Papal..., cit. nota 43, p. 96-99 (al 1420 il legato di Romagna Alfonso Carrillo percepisce 650 fiorini di camera mensili, il suo successore Gabriele Condulmer appena 333; il legato dell’Umbria Antonio Correr ne riceve 400 al 1424, contro i 200 del governatore di Perugia); A. Gardi, Gli ‘officiali’..., cit. nota 37, p. 281 (tra i legati di Bologna, Carrillo percepisce 500 fiorini d’oro mensili al 1421; al 1447 lo stipendio mensile ammonta a £ 500 bolognesi, che tra 1458 e 1507 sono divenute 1000); L. Fumi, Inventario e spoglio dei registri della tesoreria apostolica della Marca (dal R. Archivio di Stato in Roma), in Le Marche illustrate nella storia, nelle lettere, nelle arti, 4, 1904, p. 1-7, 109-118, 163-176, 282-298; 5, 1905, p. 153-161, 238-256; 6, 1906, p. 193-219, a p. 7 (al 1422 il vicario generale temporale per la Marca Condulmer è pagato 270 ducati al mese); C. Bauer, Studi per la storia delle finanze papali durante il pontificato di Sisto IV., in Archivio della Società romana di storia patria, 50, 1927, p. 319-400, a p. 369 e 385 (verso il 1480 il legato dell’Umbria è pagato 6125 ducati l’anno, quello della Marca 400 ducati d’oro al mese, pari a 6000 fiorini).
48 Sulla nomina ad uffici locali, cfr. l’esempio di Bologna (Biblioteca Universitaria di Bologna, ms. 1416, risalente probabilmente alla seconda metà del Quattrocento): spetta al legato la nomina a 16 cariche comunali; la situazione è sostanzialmente simile per un secolo (Biblioteca comunale dell’Archiginnasio di Bologna, ms. B. 1363, fol. n. n. tra 140v e 143r e fol. 143r; ivi, ms. Gozzadini 263, fol. 219r-220v). Per Ferrara (all’inizio del Seicento), cfr. Biblioteca Corsiniana di Roma, ms. Corsiniano 340, fol. 29r-31r: il legato assegna le cariche di capitano della guardia e qualche altro ufficio minore, che gli rendono 4-5 scudi al mese; può inoltre investire di qualche piccolo livello e spetta a lui nominare il luogotenente civile, l’auditore fiscale, il procuratore fiscale. Per l’intervento sui benefici, cfr. il caso dei legati-vescovi a Bologna dal 1476 al 1511 (A. Gardi, Gli ‘officiali’..., cit. nota 37, p. 248-249); nello stesso senso va la concessione della carica di legato a chi già detiene un episcopato importante della provincia: ad Avignone è legato e vescovo Giuliano della Rovere, sino all’assunzione al pontificato (cfr.A. Pastore, Giulio II, in Enciclopedia dei papi..., cit. nota 7, III, p. 31-42); Domenico Capranica, la cui famiglia mantiene per un sessantennio il vescovato di Fermo, è legato della Marca dal 1443 al 1446 (Hierarchia catholica Medii et recentioris aevi..., Münster-Padova, 1898-1978, I, p. 250; II, p. 154); Berardo Eruli, d’una dinastia di vescovi di Spoleto, è legato dell’Umbria nel 1462-1463 (ibid., II, p. 241). L’assegnazione dei benefici rientra comunque in un gioco di equilibri assai complesso e difficile da ricostruire, essendo risultante di eventi biologici (la morte dei detentori), di considerazioni politiche ed economiche, di strategie familiari e individuali.
49 Francisco Borja nel 1501 (Hierarchia..., cit. nota 47, III, p. 7). Per la penetrazione dei legati nelle istituzioni locali, S. Carocci, Governo..., cit. nota 44, p. 188-196. Per i legati lombardi a Bologna, A. Gardi, Gli ‘officiali’..., cit. nota 37, p. 260.
50 Qualche accenno in P. Prodi, Il sovrano..., cit. nota 22, p. 224-234 e 286-287. Cenni sui poteri legatizi a Bologna a fine Cinquecento in A. Gardi, Lo Stato in provincia. L’amministrazione della Legazione di Bologna durante il regno di Sisto V (1585-1590), Bologna, 1994 (Istituto per la storia di Bologna, Studi e ricerche, n. s., 3), p. 195-212. La bolla di nomina del legato cispadano Del Monte è edita in M. Rossi, La Politica di Paolo III. a Parma rivelata da una lettera al Card. Giovanni M. Del Monte, Roma, s. d. (che peraltro fraintende completamente il significato del documento pubblicato); esempi di brevi di nomina e di conferimento dei poteri ai legati di Ferrara in Archivio di Stato di Ferrara, Archivio storico comunale, Patrimoniale, b. 105, fasc. 52; b. 118, fasc. 34; b. 126, fasc. 7; b. 261, fasc. 23; per un confronto con i poteri spirituali e temporali dei legati di Bologna, Romagna e Urbino all’epoca di Clemente XI, Archivio Segreto Vaticano, SS, Legazione di Ferrara, b. 343.
51 Stretti congiunti del Papa divengono legati a Bologna e Romagna nel 1433-1438, 1455-1458, 1483-1484, 1499-1500, 1504-1507, 1514-1523, 1552-1563, 1565-1566, 1587-1592; nella Marca nel 1448-1458, 1460-1461, 1480-1484, 1546-1551, 1564-1566, 1628 (allorché rifiuta la carica); in Umbria nel 1462-1463, 1473-1474, 1478-1480, 1497-1499, 1506-1508, 1511-1516, 1529-1535; ad Avignone e Venassino nel 1476-1503, 1541-1565 e poi dal 1601al 1693; nella Campagna nel 1501-1502; nel Patrimonio nel 1506-1507 e 1524-1539; poi a Ferrara nel 1598-1605 e a Urbino nel 1631-1645 e 1673-1677. Cfr. la fig. 2.
52 In Appendice III sono confrontati i titolari della rettoria di Bologna e Romagna (dal 1542 solo Bologna) e coloro che effettivamente ressero la provincia tra 1531 e 1602; per i dati relativi al periodo 1450-1530, cfr. A. Gardi, Gli ‘officia-li’..., cit. nota 37, p. 259-262. Le discrepanze tra titolarità ed effettivo reggimento delle province andrebbero naturalmente verificate sugli archivi locali; parecchie indicazioni si possono comunque ricavare dalle serie di C. Weber, Legati e governatori dello Stato pontificio (1550-1809), Roma, 1994 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Sussidi, 7); A. Gardi, Gli ‘officiali’..., cit. nota 37; A. Mariotti, Saggio di memorie istoriche civili ed ecclesiastiche della città di Perugia e suo contado..., Perugia, 1806, I, parte II; F. Bussi, Istoria della città di Viterbo, Roma, 1742 [rist. an. Bologna, 1967], p. 385-394; J. Girard, Avignon (Ville), in Dictionnaire d’histoire..., cit. nota 11, V, 1931, c. 1140-1142; L. Paci, Serie dei legati, vicelegati governatori e prefetti della provincia di Macerata, in A. Adversi, D. Cecchi e L. Paci (a c. di), Storia di Macerata, Macerata, I, 1971, p. 420-442.
53 Cfr. P. Prodi, Il sovrano..., cit. nota 22, p. 218-219. Sono nominati a vita i legati di Avignone almeno dal 1492 al 1601 (C. Weber, Legati..., cit. nota 51, p. 131; Hierarchia..., cit. nota 47, II, p. 16, e III, p. 6), Giovanni Battista Orsini a Bologna e Romagna nel 1500-1503 (A. Gardi, Gli ‘officiali’..., cit. nota 37, p. 260) e Alessandro Farnese nel Patrimonio dal 1565 al 1589 (C. Weber, Legati..., cit. nota 51, p. 429).
54 Per la Romagna, le fasi per cui passa l’intervento legatizio in campo spirituale sono attestate da A. Gardi, Gli ‘officiali’..., cit. nota 37, p. 248-249; P. Prodi, Il sovrano..., cit. nota 22, p. 251-293; A. Gardi, Lo Stato..., cit. nota 49, p. 195-201, 256-257, 274-276. Per la Gallia Cispadana (Parma), U. Benassi, Storia di Par-ma, Parma 1899-1906 [rist. an. Bologna 1971], V, p. 46-47; G. Berti, Stato e popolo nell’Emilia padana dal 1525 al 1545. Note e ricerche d’archivio, Parma, 1967 (Fonti e studi, s. II, 2), p. 64-65. Per Avignone, M. Venard, Réforme protestante, réforme catholique dans la province d’Avignon au xvie siècle, Parigi, 1993.
55 Per la politica di Eugenio IV, cfr. D. Hay, Eugenio IV, in Enciclopedia dei papi..., cit. nota 13, p. 634-640; F.-C. Uginet, Eugenio IV, in P. Levillain, Dizionario..., cit. nota 1, p. 569-572. Sforza era competente per tutto lo Stato ad esclusione di Bologna: A. Gardi, Cardinale e gentiluomo. Le due logiche del legato di Bologna Alessandro Sforza (1570-1573), in Società e storia, 20, 1997, p. 285-311; per le circostanze delle nomine di Aldobrandini e Barberini, M. Caravale e A. Caracciolo, Lo Stato..., cit. nota 44, p. 406-410 e 437-440. Più specificamente, per Aldobrandini cfr. V. Prinzivalli, La devoluzione di Ferrara alla S. Sede secondo una relazione inedita di Camillo Capilupi, in Atti e memorie della Deputazione provinciale ferrarese di storia patria, s. I, 10, 1898, p. 119-333; F. Rodi, Annali della città di Ferrara. 1587/1598. La devollutione di Ferrara à Santa Chiesa, ed. C. Frongia, Ferrara, 2000; per Barberini, i riferimenti di L. Nussdorfer, Civic Politics in the Rome of Urban VIII, Princeton, 1992, p. 205-227.
56 Per gli episodi del 1495, 1528-1529, 1532-1533, 1538, cfr. Hierarchia..., cit. nota 47, II, p. 21-22 e 56; III, p. 5, 12, 17-20; per quello del 1541, ibid., p. 25; inoltre, F. Guicciardini, Opere, ed. E. Scarano, Torino, 19872, III, p. 236 (Storia d’Italia, II, 5) e 1766 (Storia d’Italia, XVIII, 10). Per quello del 1598, V. Prinzivalli, La devoluzione..., cit. nota 54, p. 270. Un’analoga situazione di emergenza è quella che implica la sede vacante: cfr. N. Del Re, La curia romana. Lineamenti storicogiuridici, Roma, 19703, p. 457-502.
57 A. Gardi, Cardinale..., cit. nota 54; Id., Lo Stato..., cit. nota 49, p. 21-55; Id., L’amministrazione..., cit. nota 29; G. Giubbini e L. Londei, L’ordinamento..., cit. nota 29.
58 Per questi dati, cfr. l’Appendice IV.
59 Sul collegio cardinalizio, cfr. J. F. Broderick, The Sacred College of cardinals: Size and Geographical Composition (1099-1986), in Archivum historiae pontificiae, 25, 1987, p. 17-71; soprattutto C. Weber, Senatus divinus. Verborgene Strukturen im Kardinalskollegium der frühen Neuzeit (1500-1800), Francoforte sul Meno, 1996 (Beiträge zur Kirchen– und Kulturgeschichte, 1). Elaborazioni statistiche sulla provenienza di diverse categorie di ufficiali e rappresentanti pontifici sono in A. Gardi, Gli ‘officiali’..., cit. nota 37, p. 263-264 e 274-275 (e cfr. p. 277-280 per i repertori di ufficiali pontifici del xv secolo); Id., Tecnici del diritto e Stato moderno nel xvi-xvii secolo attraverso documenti della Rota di Bologna, in Ricerche storiche, 19, 1989, p. 553-584; Id., Gli aspiranti auditori della Rota di Bologna nel xviii secolo. Considerazioni quantitative, in M. Sbriccoli e A. Bettoni (a cura di), Grandi tribunali e Rote nell’Italia di antico regime, Milano, 1993, p. 435-460; C. Penuti, La Rota di Ferrara: funzioni e organico degli uditori fra Sei e Settecento, ibid., p. 461-489; altri dati si debbono ricavare dalle serie dei detentori delle diverse cariche: una rassegna dei repertori è offerta da C. Weber, Die ältesten päpstlichen Staatshandbücher. Elenchus congregationum, tribunalium et collegiorum Urbis. 1629-1714, Roma-Friburgo-Vienna, 1991 (Römische Quartalschrift für christliche Altertumskunde und Kirchengeschichte, 45. Supplementheft), p. 59-64; Id., Legati..., cit. nota 51, p. 83-104.
60 Per questi aspetti dell’attività legatizia, cfr. A. Gardi, Gli ‘officiali’..., cit. nota 37; Id., Lo Stato..., cit. nota 49, p. 241-316; Id., Il cardinale Enrico Caetani e la legazione di Bologna (1586-1587), Roma, 1985 (Quaderni della Fondazione Camillo Caetani, 6); Id., Cardinale e gentiluomo..., cit. nota 54. Sulla formazione del ceto dirigente pontificio, W. Reinhard, Ämterlaufbahn und Familienstatus. Der Aufstieg des Hauses Borghese 1537-1621, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, 54, 1974, p. 328-427; Id., Papal Power and Family Strategy in the Sixteenth and Seventeenth Centuries, in R. G. Asch e A. M. Birke (a cura di), Princes, Patronage and the Nobility. The Court at the Beginning of the Modern Age, c. 1450-1650, Oxford, 1991, p. 329-356; G. Fragnito, La trattatistica cinque e seicentesca sulla corte cardinalizia. «Il vero ritratto d’una bellissima e ben governata corte», in Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento, 17, 1991, p. 135-185; Ead., Le corti cardinalizie nella Roma del Cinquecento, in Rivista storica italiana, 106, 1994, p. 5-41; G. Signorotto e M. A. Visceglia (a cura di), La corte di Roma tra Cinque e Seicento «teatro» della politica europea, Roma, 1998. Cfr. però anche A. Casadei, Lettere del Cardinale Gasparo Contarini durante la sua legazione di Bologna (1542), in Archivio storico italiano, 118, 1960, p. 77-130 e 220-285.
61 Cfr. Appendice V.
62 Consulta: A. Gardi, Lo Stato..., cit. nota 49, p. 73-79; C. Weber, Legati..., cit. nota 51, p. 32-49. Frazionamento: R. Volpi, Le regioni introvabili. Centralizzazione e regionalizzazione dello Stato pontificio, Bologna, 1983; B. G. Zenobi, I caratteri della distrettuazione di antico regime nella Marca pontificia, in R. Paci (a cura di), Scritti storici in memoria di Enzo Piscitelli, Padova, 1982, p. 61-106; Id., Le «ben regolate»..., cit. nota 29, p. 19-26 e 46-49; G. Giubbini e L. Londei, L’ordinamento..., cit. nota 29; C. Weber, Die Territorien des KirchenStaates im 18. Jahrhundert. Vorwiegend nach den Papieren des Kardinals Stefano Borgia dargestellt, Francoforte sul Meno, 1991; per rappresentazioni cartografiche, cfr. A. Gardi, Lo stato..., cit. nota 49, p. 409-410; G. A. Magini, Italia..., ed. F. Magini, Bologna, 16202; N. M. Nicolaj, Memorie, leggi ed osservazioni sulle campagne e sull’annona di Roma, Roma, 1803; D. Waley, The Papal State in the thirteenth Century, Londra, 1961; P. Partner, The Lands of St. Peter. The Papal State in the Middle Ages and the Early Renaissance, Londra, 1972; L. Mascanzoni, La «Descriptio Romandiole» del card. Anglic. Introduzione e testo, Bologna [, 1985]. Concilio: P. Prodi, Il sovrano..., cit. nota 22, p. 249-293; U. Mazzone, «Con esatta e cieca obedienza». Antonio Pignatelli cardinal legato di Bologna (1684-1687), in B. Pellegrino (a cura di), Riforme, religione e politica durante il pontificato di Innocenzo XII, Galatina, 1994, p. 45-94. Congregazioni: N. Del Re, La curia romana..., cit. nota 55, p. 19-25. Buon Governo: oltre al contributo di S. Tabacchi in questo volume, E. Lodolini (a cura di), L’archivio della S. Congregazione del Buon Governo (1592-1847). Inventario, Roma, 1956 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, 20). Soprintendenza: M. Laurain-Portemer, Études mazarines, Parigi, I, 1981, p. 403-479. Retribuzioni: F. Guicciardini, Opere inedite, ed. G. Canestrini, Firenze, VIII, 1866, p. 418-419 (nel primo Cinquecento il legato di Romagna percepisce diritti sulle tratte di grani pari a due terzi di bolognino per staio); G. Carocci, Lo Stato della Chiesa nella seconda metà del sec. XVI, Milano, 1961, p. 132-133 (il legato della Marca al 1565 riceve 2 700 scudi l’anno, quello del Patrimonio 2 230; quello di Bologna all’epoca di Sisto V 6 170; quello di Ferrara all’epoca di Clemente VIII 12 000 scudi d’oro, pari a 16 400 d’argento, quello dell’Umbria 2 400 d’oro, pari a 2 600-2 700 d’argento, e il 10 % delle condanne); W. Reinhard, Papstfinanz und Nepotismus unter Paul V. (1609-1621). Studien und Quellen zur Struktur und zu quantitativen Aspekten des päpstlichen Herrschaftssystems, Stoccarda, 1974 (Päpste und Papsttum, 6), II, p. 219, 224, 251 (il legato di Avignone riceve 630 scudi l’anno con Pio V, 1 625 con Gregorio XIII e Sisto V; al 1 592 il legato di Bologna ne riceve 2 760, quello di Romagna 3 367); C. Weber, Legati..., cit. nota 51, p. 49-51 (verso il 1 585 il legato della Marca percepisce 2 700 scudi annui, quello del Patrimonio 2 230, quello della Romagna 2 000, quello dell’Umbria 900); A. Gardi, Lo Stato..., cit. nota 49, p. 189-190 (nel 1585-1590 il legato di Bologna riceve in media 2 200 scudi l’anno, oltre a circa 1 530 per tasse di cancelleria e circa 660 dal 10 % delle entrate della depositeria, per un totale di circa 4 400); G. Giubbini e L. Londei, Ut bene regantur. La visita di mons. Innocenzo Malvasia alle comunità dell’Umbria (1587) – Perugia, Todi, Assisi –, Perugia, 1994, p. 124 (al 1587 il legato dell’Umbria riceve 2 400 scudi l’anno, oltre al 10 % di confische, firme di suppliche e simili).
63 W. Reinhard, Papstfinanz..., cit. nota 61, II, p. 263-379: al 1619 il legato di Ferrara riceve 6 000 scudi l’anno, quello di Romagna 2 300; quelli, in disuso, di Marca e Umbria ne riceverebbero 2 700 e 2 000 rispettivamente, quello del Patrimonio 1 200; manca l’indicazione per quello di Avignone, che però al 1616 ne aveva ricevuti 6 072 netti, pari al 3,67 % del totale delle sue entrate personali; tale ultimo legato era il cardinale nipote Scipione Borghese, che tenne la carica dal 1607 al 1621, ricavandone in media 5 800 scudi annui, pari al 2,25 % di tutte le sue entrate di tale periodo: W. Reinhardt, Kardinal Scipione Borghese (1605-1633). Vermögen, Finanzen und sozialer Aufstieg eines Papstnepoten, Tubinga, 1984 (Bibliothek des Deutschen historischen Instituts in Rom, 58), p. 42-96. All’epoca di Urbano VIII (L. Dal Pane, La Romagna dei secoli xvi e xvii in alcune descrizioni del tempo, Bagnacavallo, 1932, p. 63) il legato di Romagna percepisce ogni anno 2 195,45 scudi di retribuzione, cui se ne aggiungono altri 345 per legna e paglia, 72 dai diritti di sigillo sui mandati civili, oltre a entrate stimabili a 300 scudi l’anno da tratte di bestiame, 200 dal 10 % sui malefici, 100 da tratte di semola, eventualmente 1 000 come compartecipazione agli emolumenti dei luogotenenti civile e criminale; a ciò si aggiunge la fornitura gratuita di alloggio, suppellettili, carreggi, paglia per i cavalli, sale. Per confronto, si consideri che nell’ultimo quarto del Settecento la cifra necessaria alla sussistenza personale era valutata sui 33 scudi l’anno (Id., Lo Stato pontificio e il movimento riformatore del Settecento, Milano, 1959, p. 745-746). Il legato di Ferrara, pagato inizialmente 12 000 scudi d’oro in oro l’anno (allorché la carica era affidata al cardinale nipote Aldobrandini) [Archivio di Stato di Roma, Camerale I, Tesoreria provinciale di Ferrara, b. 3, reg. 12, fol. 4r-5r], nella prima metà del xvii secolo (Biblioteca Corsiniana di Roma, ms. Corsiniano 340, fol. 29r-31r) ne riceve 6 300, inclusi regali di Natale e diritti vari, oltre l’appartamento in Castello e la possibilità di disporre del denaro delle condanne penali (quantificate in circa 800 scudi l’anno al 1708: Biblioteca Universitaria di Bologna, ms. 3747, fol. 27v-28r); al 1678 (Biblioteca Corsiniana di Roma, ms. Corsiniano 341, fol. 52r-55r], come ancora al 1708 (Biblioteca Universitaria di Bologna, ms. 3747, fol. 7r-8r) ne riceve circa 6 000 (di cui oltre 3 900 di retribuzione e il resto da emolumenti vari), senza contare i versamenti consuetudinari di generi alimentari, paglia, cera; al 1796 riceverà oltre 3 900 scudi e 4000 libbre di sale l’anno (Archivio di Stato di Roma, Camerale I, Tesoreria provinciale di Ferrara, b. 192, reg. 480).
64 Cfr. gli elenchi e biografie di C. Weber, Legati..., cit. nota 51; G. Felloni, Gli investimenti finanziari genovesi in Europa tra il Seicento e la Restaurazione, Milano, 1971 (Università degli studi di Genova, Istituto di Storia economica, 5), p. 161-203 e 337-360; per la loro presenza ancora nel Settecento, C. Casanova, Gentilhuomini ecclesiastici. Ceti e mobilità sociale nelle legazioni pontificie (secoli xvi-xviii), Bologna, 1999, p. 169-172, 214-220, 228-230; W. Angelini, Gli Ebrei di Ferrara nel Settecento. I Coen e altri mercanti nel rapporto con la pubblica autorità. Studi storici, Urbino, 1973; Id., Economia e società a Ferrara dal Seicento al tardo Settecento, Urbino, 1979; L. Dal Pane, Lo Stato..., cit. nota 62; G. Angelozzi e C. Casanova, Diventare cittadini. La cittadinanza ex privilegio a Bologna (secoli xvi-xviii), Bologna, 2000 (Biblioteca de «L’Archiginnasio», s. III, 1). Un esempio della secolare presenza genovese nella finanza locale ferrarese (1658-1745) è dato da Archivio di Stato di Ferrara, Archivio storico comunale, Patrimoniale, b. 151, fasc. 91, e b. 333, fasc. 24.
65 La citazione da De Dominis in P. Prodi, Il sovrano..., cit. nota 22, p. 217; quelle di De Luca da G. B. de Luca, Il cardinale della S. R. Chiesa pratico, Roma, 1680, p. 180 e 373 (ma cfr. l’intera trattazione sui legati, p. 172-183).
66 U. Mazzone, «Con esatta...», cit. nota 61; R. Ago, Carriere e clientele nella Roma barocca, Roma-Bari, 1990; M. Pellegrini, Corte di Roma e aristocrazie italiane in età moderna. Per una lettura storico-sociale della curia romana, in Rivista di storia e letteratura religiosa, 30, 1994, p. 543-602; I. Fosi, All’ombra dei Barberini. Fedeltà e servizio nella Roma barocca, Roma, 1997; G. Signorotto e M. A. Visceglia, La corte..., cit. nota 59; C. Casanova, Gentiluomini..., cit. nota 63. Nel 1727, allorché muore in carica il legato di Ferrara Patrizi, gli viene sostituto il cardinale e vescovo Ruffo, nominato, a quanto si dice, perché si rifacesse delle sue molte spese edilizie (Biblioteca comunale Ariostea di Ferrara, ms. Antonelli 261, compendio).
67 S. Tabacchi, Il controllo sulle finanze delle comunità negli antichi Stati italiani, in Storia. Amministrazione. Costituzione, 4, 1996, p. 81-115; M. Verga, Tra Sei e Settecento: un «età delle pre-riforme»?, in Storica, 1, 1995, fasc. 1, p. 89-121; A. Lauro, Il cardinale Giovanni Battista De Luca. Diritto e riforme nello Stato della Chiesa (1676-1683), Napoli, 1991 (Storia e diritto, Studi, 29).
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La politique au naturel
Comportement des hommes politiques et représentations publiques en France et en Italie du XIXe au XXIe siècle
Fabrice D’Almeida
2007
La Réforme en France et en Italie
Contacts, comparaisons et contrastes
Philip Benedict, Silvana Seidel Menchi et Alain Tallon (dir.)
2007
Pratiques sociales et politiques judiciaires dans les villes de l’Occident à la fin du Moyen Âge
Jacques Chiffoleau, Claude Gauvard et Andrea Zorzi (dir.)
2007
Souverain et pontife
Recherches prosopographiques sur la Curie Romaine à l’âge de la Restauration (1814-1846)
Philippe Bountry
2002