Mobilità o immobilità? Organici curiali a confronto (1667-1694)
p. 251-263
Texte intégral
1Quanto ora seguirà è il frutto di una riflessione sugli uffici della Curia romana nella seconda metà del Seicento. L’intento è quello di verificare i mutamenti avvenuti negli organici curiali in una fase particolare della storia della Chiesa romana, in un tempo cioè che vede da un lato l’ultima grande fase del sistema nepotista (o, meglio, del sistema ancora nepotista in senso formale), ma che pure comincia ad esprimere quei valori e quelle esigenze che avrebbero portato infine, e non senza difficoltà, alla soppressione (ancora, formale), di quello stesso sistema e di quella concezione «antica» e principesca della Curia che ad esso era strettamente correlata.
2Già in altro ambito mi sono trovato a verificare come il fenomeno del nepotismo abbia avuto all’interno della Curia romana una dimensione politica ed istituzionale più che antropologica e come il suo superamento sia potuto avvenire (anzi, cominciare ad avvenire) quando all’interno di una struttura curiale sempre più articolata si formarono delle figure di ufficiali curiali (Segretario di Stato in primo luogo) che sembrarono in grado di poter sostituire efficacemente i consanguinei del papa nella loro funzione di principali collaboratori (e a volte di protagonisti assoluti di fatto) della sua gestione della sovranità e spirituale e temporale1. In un quadro del genere è facilmente intuibile l’importanza di giungere ad una definizione efficace della struttura curiale, individuarne l’evoluzione, le sue progressive articolazioni, verificare quanto su di esse gravò il sistema nepotista, ovvero la singolarità di uno stato fondato sul potere assoluto di un monarca elettivo non tenuto alla continuità di governo anche perché affrancato dalla preoccupazione di perpetuare ereditariamente il potere sovrano.
3Le più importanti considerazioni sulla Curia romana in età moderna rimangono ancora oggi, malgrado il tempo passato dalla pubblicazione, quelle di Giovan Battista de Luca, che affrontò il tema degli uffici curiali in diverse sue opere, e in particolare nel Tractatus de officiis2, nel quale il giurista ecclesiastico divide detti organi in tre ordini. Sono cose risapute, ma varrà forse la pena rievocare qui con estrema sintesi qualche punto.
4Del primo ordine facevano parte gli uffici che comportavano le maggiori responsabilità e che nel contempo potevano anche assicurare le rendite maggiori. Riservati ai prelati, per ottenerli occorreva investire parecchio denaro – decine di migliaia di scudi –, ma bisognava anche conquistare il placet del pontefice. Questi quindici uffici (quello di Camerlengo, dal costo di 60.000 scudi; di Auditore di Camera e di Tesoriere Generale, entrambi dal costo di 56.000 scudi; di Presidente della Camera Apostolica, di Reggente di Cancelleria, di Auditore delle contraddette, di Auditore delle confidenze, di Correttore delle contraddette, di Prefetto delle minute ai brevi, di Revisore delle minute ai brevi, di Presidente degli Giannizzeri, di Presidente del piombo, dei dodici Chierici di Camera, tutti uffici del costo di 42.000 scudi; dei dodici Protonotari apostolici partecipanti e dei dodici Abbreviatori di Parco maggiore, uffici questi ultimi due il cui prezzo era variabile), si tramutavano in quarantuno posti da ricoprire3.
5Nel secondo ordine erano gli uffici non prelatizi ma che comunque comportavano responsabilità amministrative. Potevano esserne titolari anche laici, ma anche qui, assieme al denaro, c’era bisogno del consenso del papa perché l’acquisto dell’ufficio potesse essere definito. I venti uffici (quello dei cento Scrittori apostolici, degli ottantacinque Scrittori dei brevi, dei ventisette Scrittori di Minor grazia, dei ventiquattro Procuratori di penitenzieria, dei sessanta Abbreviatori di parco maggiore, dei cento Giannizzeri, degli otto Correttori d’archivio, dei sei Chierici di registro, dei venti Registratori delle suppliche, degli otto Maestri del registro delle suppliche, dei sei Maestri del registro delle bolle, dei sessanta Cubicolari, dei tredici Procuratori delle contraddette, dei dieci Notai dell’Auditore della camera, dei quattro Notai del cardinal vicario, dei diciannove Cursori del papa, dei sette Mandatari di Curia, dei tre Maestri del Piombo), tali venti uffici, dicevo, erano riservati per cinquecentonovantadue elementi.
6Quattordici uffici invece, occupanti tremilacentonovantadue posti, erano quelli afferenti al terzo ordine. Si trattava di ruoli in gran parte onorifici, di cui pure potevano essere capaci «idioti e infanti» o anche donne e per ottenerli occorreva solo denaro (seicentotrentaquattro Porzionari di Ripa, centoquattro Collettori del Piombo, novantuno Scrittori d’archivio, centoquaranta Scudieri apostolici, centoquarantuno Presidenti dell’Annona, venticinque Mazzieri, venticinque Ufficiali di verga rubea, cinque Custodi di prima e seconda catena, cinque Ostiarii, centotrenta Cavalieri lauretani, trecentocinquantaquattro Cavalieri del giglio, seicentosessantuno Cavalieri pii, quattrocentouno Cavalieri di S. Pietro, duecento Cavalieri di S. Paolo – il valore di questi uffici ondeggiava tra i 400 e i 2.000 scudi, tan-to costava il ruolo di Scrittore d’archivio).
7Quanta fame di funzioni, titoli, dignità avevano i romani! Prova di tanto desiderio sono anche le lastre sepolcrali di prelati, soprattutto seicenteschi, distribuite in tante chiese romane ed elencanti nel dettaglio, subito dopo l’indicazione del nome, tutte le funzioni svolte in vita dal defunto4. Certo i romani, o, per dir meglio, chi si trovava in città al fine di percorrervi una carriera curiale, avevano anche fame di rendite e queste potevano provenire sotto specie di compenso annuo fisso a spese dell’Erario pontificio (si poteva riscuotere il 10% di quanto versato per l’acquisto dell’ufficio), oppure si potevano percepire percentuali su quanto ricavato dalla Dataria nello spedire bolle, brevi, lettere apostoliche, ecc5.
8Per tirare le somme, de Luca, che solo parla, si sottolinea, di uffici venali e che perciò, ad esempio, non cita i ruoli di Segretario di Stato o di cardinal nipote-Sovrintendente dello Stato Ecclesiastico, parla di quarantanove uffici, per tremilasettecentosessantadue ruoli disponibili, ma la Curia romana propriamente detta non si limitava a questo e vanno in essa considerati qualche decina d’organismi in più per qualche centinaia d’altri ruoli. Agli elementi più sopra elencati devono essere infatti aggiunti i cardinali nonché gli altri prelati e non prelati impegnati a diverso titolo nei lavori delle Congregazioni e, ancora, gli esponenti delle maggiori e minori magistrature capitoline che pure partecipavano al meccanismo amministrativo e decisionale dello Stato6.
9De Luca, è noto, introduce una distinzione fondamentale nel considerare i ruoli curiali7. Da un lato, dice, è la «Curia forense», ove opera chi ha «delle cariche e degl’impieghi e ministeri di diverse righe, maggiori o minori, sicché si dicono curiali i medesimi cardinali e i prelati e generalmente tutti i causidici cioè avvocati, procuratori, agenti, spedizionieri, sollecitatori e notari»; dall’altro sono i cortigiani veri e propri. Questi sono coloro che risultano occupati in Curia nell’assistere a vario titolo la persona del papa, dei cardinali, dei prelati, degli ambasciatori dei principi o delle repubbliche e dei titolati e signori8. Tali cortigiani si «distinguono» nelle «classi de’ maestri di camera, di auditori, di coppieri, di cavallerizzi, di scalchi, di segretari, di gentiluomini di spalliera, di cappellani e di camerieri oltre la famiglia bassa». A vivere dunque in Corte, o nei suoi pressi, in qualità di curiale propriamente detto (e questi erano, si è accennato, più di quattromila) o di cortigiano, nel senso appena indicato, erano, così, svariate migliaia di persone: una quantità di soggetti difficilmente calcolabile. Basti considerare che ogni famiglia di porporato contava nel Seicento almeno su un centinaio di unità9. Ma per cogliere più con più immediatezza ed efficacia il ruolo dei «familiari» dei cardinali, e il loro diretto partecipare all’attività di Corte e/o di Curia, basti ricordare come Gigliola Fragnito abbia notato, già dalla fine del secolo precedente, come la ristrutturazione della Curia sulla base delle congregazioni avesse comportato significative conseguenze sulle dimore dei porporati, che ora divenivano anche sede di negozi pubblici, di fatto pure uffici, modificando per ciò la loro organizzazione planimetrica, che divenne soprattutto attenta a consentire l’ordinata pratica delle «visite», con la creazione di anticamere che conducevano all’ambiente adibito alle udienze10. La famiglia del cardinale si vedeva così investita di nuovi compiti.
10Per quale che riguarda la considerazione della quota di curiali «forensi», a partire dal xvii secolo un decisivo aiuto ci viene fornito dai primi Annuari pontifici, il primo dei quali fu pubblicato nel 1629 per i tipi della Reverenda Camera Apostolica, ad opera del perugino Francesco Gheri. L’Annuario, ma si capirà ora che è solo per comodità che lo si definisce in tal modo, fu aggiornato nel 1644, e poi a ritmi sostanzialmente ora triennali, ora biennali, a partire dal 1657 (1661, 1667, 1668, 1670, 1674, 1676, 1679, 1682, 1684, 1686, 1688, 1690, 1694...). Bisogna essere molto grati a Christoph Weber per il paziente lavoro di trascrizione e indicizzazione di tutti questi elenchi di curiali11.
11Gli Annuari forniscono un quadro solo parzialmente coincidente con quello fornito da de Luca nella sua opera. Gli uffici citati in questi elenchi delle congregazioni e tribunali dell’Urbe risultano infatti in numero ben maggiore, il che si spiega col fatto che nel citato trattato del cardinal-giurista ci si sofferma, si ricorda ancora, sugli uffici venali e non anche su tutti gli altri.
12Sotto l’aspetto dei numeri, tuttavia, e in maniera del tutto casuale e singolare, la differenza non è notevolissima. Se per de Luca gli impiegati nei trentacinque uffici del primo e del secondo ordine erano di poco superiori a seicento, nell’Annuario del 1657 si elencano seicentoventi posizioni per trentaquattro uffici. Col procedere del tempo la situazione però muta, anche sostanzialmente: nel 1667, nel periodo di Alessandro VII, gli uffici elencati diventano cinquanta, per quasi ottocento (settecentoottantaquattro12) ufficiali; nel 1668, con Clemente IX, questi ultimi sono novecentoventuno per cinquantadue uffici. Tre anni più tardi, 1670, gli ufficiali sono più di mille (anzi, millecinquantuno) per cinquantatre uffici e questi numeri restano sostanzialmente stabili negli anni che seguono (nel 1674, sono poco meno della cifra appena indicata: novecentocinquanta, così come gli uffici che passano a cinquantadue; nel 1679 sono novecentoquarantaquattro ancora per cinquantadue uffici; novecentoventidue sempre per cinquantadue uffici nel 1684, e così via). Ciò ho potuto almeno constatare fino all’Annuario del 1694 e solo, ripeto, su questo tipo di fonte13.
13Prendendo a caso uno di questi elenchi, quello del 1670, vale la pena sottolineare come quasi il 45% delle posizioni individuali citate riguardi porporati (quattrocentoottantadue su millecinquantuno), ognuno dei quali occupava di norma ruoli all’interno di più congregazioni. L’alta percentuale di cardinali compresi negli elenchi resta sostanzialmente stabile per tutto il periodo, e altrettanto stabili, come sopravvivenza di nomi, risultano le liste contenute in ciascuno di questi repertori. Il turn over era limitatissimo (tranne che per qualche incarico particolare, come i governi di province e città dello Stato pontificio, i cui titolari ruotavano in continuazione); i curiali si confermano Annuario per Annuario e da un pontificato all’altro, tranne naturalmente coloro che facevano parte della più ristretta cerchia pontificia e che mutavano per ovvi motivi all’elezione del nuovo sovrano ed evidentemente per cause del tutto indipendenti dall’applicazione di un generalizzato spoil system. Non pochi sono i casi di permanenze ventennali (e anche più) nello stesso ufficio e a vedere gli elenchi relativi a qualcuno di essi si ha l’impressione netta di un meccanismo quasi immobile14. E del resto, come si è visto, gli Annuari riportano soprattutto gli organici di congregazioni e tribunali ove la presenza di porporati, o di altre categorie di curiali stabilizzati, era decisiva. Stando dunque a questi elenchi, e facendo conto su alcuni parametri più o meno artificiosi (stabilità di governo, valorizzazione dell’esperienza personale, ecc.), il sistema funzionava, non era influenzato più di tanto dai cambi al vertice e i curiali, cardinali e non, incardinati solidamente nel proprio ufficio, erano sempre più funzionari e sempre meno cortigiani. Ma non bisogna trarre da ciò affrettate conclusioni (verrebbe da dire, non bisogna dare che un credito molto relativo ai risultati di un dibattito storiografico recente e a mio parere spesso fuorviante e astratto sulla non-»modernità» dello stato moderno). Basti pensare che nel dibattito seicentesco sulla questione del nepotismo e del discusso ruolo del cardinal nipote, alla figura del consanguineo del papa veniva sempre contrapposta quella del ministro in carriera: per singolare paradosso questa figura era solitamente considerata meno utile per il sovrano15 (c’era in questo un’eco del dibattito che contemporaneamente si svolgeva altrove, in Europa, a proposito di altri influentissimi ministri16). Gli Annuari, insomma, già a partire dai primi di essi, sembrano poter testimoniare una situazione matura, quella di un ceto di operatori in Curia in gran parte non soggetto alla situazione contingente ciò malgrado le particolarità della monarchia pontificia. Va detto per inciso che se pure i nomi di curiali compresi negli elenchi rimandano di norma a famiglie aristocratiche o comunque di rilievo nelle classi dirigenti, italiane e non, taluni di essi evidenziano invece straordinari percorsi di self made men, che solo in quest’ambito romano, di fatto, potevano all’epoca verificarsi.
14Chiusa la breve considerazione, c’è da notare come, a fronte di questa sostanziale stabilità testimoniata dalle fonti, una manualistica corrente sulla Curia romana (anzitutto trattati che cercavano di spiegare come comportarsi in essa per riuscire ad avanzare e/o sopravvivere a qualunque difficoltà) testimoniava una situazione del tutto diversa17.
15Chi si muove in Curia, in questi testi, viene da un lato paragonato ad un animale sempre in caccia di nuove prede: relazioni sociali, rendite, servizi che fossero; dall’altro in questi manuali vengono prescritte al curiale regole di prudenza o, al contrario, di scaltrezza, sempre più definite per non rischiare di perdere d’un colpo quanto faticosamente acquisito. Un sistema stabile quale quello cui si è accennato era anche frutto di tali cautele, e però viene piuttosto da pensare che questi manuali, o piccoli trattati, non venissero indirizzati a quanti vedevano il proprio nome trascritto negli Annuari pontifici o a quelle categorie di uffici venali di cui parla de Luca nei suoi trattati. Se verso la punta della piramide la situazione era sostanzialmente stabile, alla sua base invece, in quel mondo che de Luca definisce non curiale ma cortigiano, la situazione doveva invece essere molto più mossa. I manuali di comportamento dovevano proprio rivolgersi a quel magma composito di arrivisti, avventurieri, e, perché no, anche anime pie, perché taluno doveva pur esserlo, che giungevano da ogni dove a Roma per cercare di entrare nel giro giusto, in una possibile promozione, sotto la protezione di un qualche potente. La stabilità del sistema doveva però rendere sotto questo profilo tut-to più difficile.
16C’era dunque una diffusa esigenza espressa a livello della base della piramide curiale di movimentazione della Curia, e ciò comportava anche quegli inconvenienti contro cui i citati manuali ponevano in guardia. C’era poi una ancor più forte e in parte contraddittoria necessità che il sistema non venisse modificato, per lo meno, mi si perdoni l’espressione, in senso migliorista. Memoriali e altro genere di scritti si esprimono infatti di norma con nettezza contro ogni genere di riforma. Così, ad esempio, gli autori anonimi di qualcuno di essi si esprimevano al tempo di Innocenzo XI, che fu il papa che più si applicò nel tentativo di riformare e moralizzare il sistema curiale (faccio qui una sorta di antologia mescolando citazioni testuali e resoconti riportati in sintesi): molte famiglie «civile e nobili» erano «ridotte da pochi anni in qua in stato lacrimevole», «dalle molte e lucrose cariche indisposte e soppresse si vede derivarne considerevoli incommodi a numerose famiglie», «sono innumerevoli i Corteggiani et i Servitori che vanno con sommo loro patimento dispersi per la mancanza di tante Corti cardinalizie», diceva, tra tante altre cose, uno18; un altro, «con le lacrime agl’occhi», parlava di prelatura «avvilita e scorata»; la fine della munificenza pontificia, diceva un altro ancora, aveva avuto fortissime e disastrose, almeno per il de nunciante l’effetto era questo, conseguenze sulla vita cittadina. Occorreva, sostenevano un po’ tutti questi critici, rivitalizzare la città e la sua economia anche ridiffondendo le «rendite vacanti destinate a promuovendi»; sbagliatissimo era gestire uno stato adottando le regole di una piccola gestione domestica. Non era possibile andare avanti solo a colpi di risparmi, occorreva investire, far girare il denaro, anche a costo di qualche scandalo.
17Vi fu un grande allarme da parte del mondo curiale in quegli anni19 e, per quanto de Luca ironizzasse sul costume curiale di considerare come catastrofico ogni intervento finalizzato a riforme moralizzatrici20, l’assalto alle strutture portato da Innocenzo XI fu effettivamente respinto21: certo è che, ricordo, analizzando gli Annuari di quello stesso tempo non è possibile individuare nessuna mutazione di rilievo, alcuna contrazione di personale curiale, almeno quello lì elencato, nessun particolare turn over.
18Esiste insomma una Curia «forense», che è più agevole individuare, ed esiste una Curia «altra», coinvolgente un numero ben maggiore di uomini, la cui esistenza era fortemente influenzata dal capriccio delle congiunture. A questa Curia «altra»22, quella dei maestri di camera, degli auditori, dei coppieri, dei cavallerizzi, degli scalchi, dei segretari, dei gentiluomini di spalliera, dei cappellani, dei camerieri, ecc., sostanzialmente occorre ancora arrivare23. Sia a livello di prosopografia, dove pure per qualche periodo è stato compiuto uno sforzo efficace (M. Völkel24, per la familia barberiniana e non solo, è un esempio che vale per tutti), sia a livello di considerazione generale delle dinamiche curiali e cittadine. Ciò per scoprire le cause di irrequietezze, instabilità, tensioni testimoniate così nettamente da almeno un certo genere di fonti e che gli Annuari ufficiali come si è visto, non rilevano; ciò per capire le interazioni tra questo copioso universo di residenti romani che vivevano puntando sulle risorse offerte dalla Curia e il più ristretto numero di «curiali forensi», protagonisti a livelli più alti della vita di Corte. Quali erano le spinte e i condizionamenti che provenivano dal basso? (intuitivamente dovevano essere notevoli). Quali l’effetto delle divisioni fazionarie su questo gruppo cortigiano più vasto? Quale l’effetto della mobilità, che possiamo intuire fu consistente, da questo gruppo al maggiore? Quale il ruolo di questi «cortigiani» nel funzionamento delle congregazioni curiali? E qui mi fermo, rimandando queste ed altre risposte ad una fase più avanzata di questa o di altre ricerche.
Notes de bas de page
1 Mi permetto su ciò di rimandare al mio Il tramonto della Curia nepotista. Papi, nipoti e burocrazia curiale tra xvi e xviii secolo, Roma, 1999.
2 G. B. de Luca, Tractatus de officis venabilibus vacabilius romanae curiae, Roma, 1682. Si v. anche Il Dottor Volgare ovvero il compendio di tutta la legge Civile, Canonica, Feudale, e Municipale, nelle cose più ricevute in pratica. Moralizzato in lingua Italiana per istruzione e comodità maggiore di questa Provincia, Roma, 1673.
3 In Biblioteca Apostolica Vaticana, Chigi Lat., C.III.72, «Stato degli Uffitii che si devono spedire dalla Dataria con il prezzo corrente nel mese di giugno 1659», è facilmente riscontrabile quanto fossero complesse le procedure d’assegnazione di questi ruoli, il cui valore viene stimato in 6 326 835 scudi. Ad esempio il diritto d’attribuire sei dei dodici uffici di Abbreviatore di Parco maggiore (il cui prezzo è qui stimato in 10 000 scudi) spettava al Vicecancelliere, che pure assegnava quindici dei sessanta ruoli di Abbreviatori di Parco minore. Dei centoquattro Collettori del piombo (2 050 scudi di valore), centouno spettavano alla Dataria e i restanti a confraternite e congregazioni religiose, e via via. Dei proventi della vendita di uffici, oltre le casse pubbliche godevano quindi anche soggetti diversi, ben evidenziati, per quanto, come si vedrà, fosse possibile fare, in un altro codice Chigiano (C.III.71, «Notitia degli Uffitii della Corte di Roma et dello Stato ecclesiastico»). Dalla vendita degli ufficii, in questa «Notitia», alla Dataria risultano spettare 6 792 450 scudi; al vicecancelliere ne andavano invece 333.060; al Penitenziere 4 400 scudi, ad altri non specificati luoghi pii 82 275. I dati riguardanti le entrate del Camerlengo, della Camera apostolica, del Tesoriere, dei Conservatori del Popolo romano, scriveva l’estensore della nota, non erano riportabili perché non pubblici. Al di là di questi elementi, v’è pure da ricordare che i meccanismi che conducevano alle nomine non erano certo automatici, o, per dir meglio, ogni nomina aveva una storia sua propria e diversa da ogni altra. Si veda ad esempio quanto scriveva Agostino Favoriti, in maniera molto franca, nel 1660, al cardinale Francesco Barberini (Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 6463, «Lettere di diversi al cardinale Francesco Barberini», c. 124 ss.): Dionisio Massari aveva rassegnato la «Computisteria» e si era dimenticato di riconsegnare le carte d’ufficio ragion per cui gli doveva andar ricordato d’adempiere a questo dovere. Favoriti si permetteva anche di dire al Barberini che un successore avrebbe dovuto essere pratico dell’ufficio e non solo assunto per intascare un beneficio semplice di 500 scudi lasciando ad altri la briga di operare. Il detto Dionisio non aveva «data in questa parte molta occasione al Sacro Collegio di piangere il suo allontanamento»; poteva dunque rivelarsi «cosa di gran pericolo il distribuire le cariche a persone le quali probabilmente [fossero] per contentarsi di cedere le fatiche al collega». Alla luce di questi dati è evidente come qualsiasi intervento che venisse compiuto in materia di uffici coinvolgesse una complessità di soggetti e si rendesse in tal modo compito particolarmente difficile e delicato; ed è poi altrettanto chiaro come una storia degli uffici romani venali debba ancora essere ricostruita, in pratica per ognuno dei suoi molteplici aspetti.
4 Si vedano ad esempio quelle prossime all’altare nella Chiesa Nuova poste sul pavimento attorno all’asse perpendicolare al diametro della cupola. La maggior parte di esse (quasi tutte quelle visibili, perché parte della superficie è ora occupata dal nuovo altare rivolto verso i fedeli e dal suo ampio basamento) risultano rivolte con la base verso l’abside e non verso la parte dei fedeli che le leggevano pertanto rovesciate, come se non fosse dedicato a loro il compito d’esaminare il pro-memoria di quanto i defunti avevano fatto in vita... Si tratta delle memorie di Carlo Paolucci, morto nel 1662, già decano dei Referendari di Segnatura e segretario della Congregazione dei Riti (ed impegnato anche in altre congregazioni); del cardinale Stefano de Agostini, già vicino a Clemente IX e Clemente X e poi datario di papa Innocenzo XI, morto nel 1683; di Prospero Fagnano, morto nel 1678, dopo essere stato referendario delle due Segnature e poi segretario di diverse importanti congregazioni curiali; del patrizio tiburtino Mario Carlo Mancini; del cardinale Giacomo Franzoni, morto nel 1697, già chierico di Camera e tesoriere generale ma di cui nella lastra viene fieramente ricordato il buon operato quale legato di Ferrara; di Domenico Iannuzio, morto nel 1680, già referendario di Segnatura; di Ludovico Bussi, referendario, segretario delle congregazioni del Buon Regime (ma il marmista ha fatto un errore e ha scritto «de Bono Legimine») e della Sacra Consulta, prolegato di Emilia e Ferrara (forse anche lui – o, meglio, chi per lui – ricordava questa esperienza perché lo accomunava ad Innocenzo XI che aveva costruito la propria ascesa proprio sull’onda di una positiva, analoga, esperienza ferrarese), chierico di Camera e privato di questo ruolo quando, si ricorda nella lapide, venne soppressa la venalità di quell’ufficio (altra indicazione, questa, che ricorda l’attività di papa Odescalchi), morto nel 1698 (ma lo scalpellino ancora per errore scrisse «1608»); di Fabrizio Paolucci, morto nel 1625, padre del cardinale Francesco; di Giuseppe Ferdinando Paolucci, pronipote del porporato appena citato, morto nel 1695, già referendario, e tra l’altro segretario della Congregazione delle Acque e prelato in molte congregazioni, tutte elencate; del cardinale, dal 1686, ma aveva accettato, si scrive colà, riluttante la nomina, Leandro da Colloredo, morto nel 1709. Quasi tutti i personaggi citati, i cui realizzatori della memoria funebre avevano con tanta precisione – talvolta, s’è visto, vanificata dall’imprecisione degli scalpellini – elencato le funzioni curiali, avevano operato, o avevano conosciuto il momento di maggior fulgore curiale, nell’ambito del pontificato di Innocenzo XI, che costuiscono peraltro il cuore del periodo preso in considerazione in queste pagine.
5 V. tra l’altro su questo F. Piola Caselli, Aspetti del debito pubblico pontificio: gli uffici vacabili, in Annali della facoltà di Scienze politiche dell’Università degli Studi di Perugia, n. ser., 11-1, 1970-1972, p. 99-169.
6 Sul municipio romano in età moderna, sulla sua particolarissima composizione, sulla sua limitata giurisdizione e sulla decisiva sua funzione nell’impegnare nei suoi ruoli esponenti della nobiltà laica romana che la particolarità dello Stato pontificio, retto da personale religioso e povero di ruoli militari, avrebbe posto altrimenti totalmente ai margini della sfera pubblica, v. L. Nussdorfer, Civic Politics in the Rome of Urban VIII, Princeton, 1992 e, di chi scrive, I due «Senati» del sovrano-pontefice: il Collegio dei cardinali e il Municipio romano in età moderna, in Il Senato nella storia. II. Il Senato nel medioevo e nella prima età moderna, edito per cura del Senato della Repubblica, Roma, 1997, p. 453-490.
7 G. B. De Luca, Il Dottor volgare..., cit. n. 2, Libro XV, Relazione della Curia romana forense.
8 Nella scrittura «Della nimicitia tra la corte e il principato», databile al 1680 e composta per essere pronunciata in un consesso accademico (BAV, Vat. Lat. 8194 [Miscellanea], c. 235 ss.), De Luca fa, ma soprattutto a fini retorici consentendosi una certa esagerazione, una distinzione ancora diversa. C’è una Corte «prossima», dice, che è formata da chi segue più da presso l’attività del papa (parenti, famigli, ministri, ufficiali e loro dipendenti), e c’è una Corte «remota, for-mata dal rimanente Popolo di Roma città capitale e luogo della residenza del papa e della sua Corte». Questa Corte «remota», formata dall’intera popolazione non direttamente coinvolta nelle attività di Curia (e di Corte, nella accezione presentata più sopra nel testo), non si differenziava nelle aspirazioni e nei costumi dalla Corte «prossima». Voleva vivere gli stessi svaghi di quella, possibilmente nello stesso lusso, con la stessa sicurezza economica, ecc. Questa Corte, ma verrebbe da dire, la città intera, ostacolava, con le sue pretese, debolezze ed egoismo, l’esercizio del potere temporale e spirituale del papa e per questo e l’una e l’altra Corte si rivelavano nemiche del Principato (sulla scrittura citata, v. A. Lauro, Il cardinale Giovan Battista de Luca. Diritto e riforme nello Stato della Chiesa (1676-1683), Napoli, 1991, p. 167 ss.).
9 V. M. Völkel, Römische Kardinalshaushalte des 17. Jarhunderts: BorgheseBarberini-Chigi, Tübingen, 1993 (Bibliothek des Deutschen Historischen Instituts in Rom, 74), p. 50 ss. e passim. In una seicentesca «Nota delli Offitii del palazzo Apostolico e fuori» appaiono descritte settanta mansioni (corrispondenti però ad un numero ben maggiore di addetti in esse impiegati) più direttamente legate alla sola esigenza della sopravvivenza materiale del pontefice: si va dai cuochi, segreti e non, agli scopatori, anch’essi divisi in segreti e non, ai palafrenieri, al «gallinaro», agli ufficiali delle tende, al non meglio definito «simplicista», al custode delle gioie, al falegname, tappezziere, ec. Nella lista sono poi menzionate altre centotrentanove mansioni legate ad altro genere di funzioni, fuori del Palazzo Apostolico e nello Stato pontificio (BAV, Ottob. Lat. 3140, «Mss. varia. Tom. 6», c. 280-285v.). Dati analoghi altrettanto cospicui sul numero dei familiari del papa, e includenti anche altri ruoli di suoi più diretti assistenti (maggiordomi, maestri di camera, camerieri segreti, ec.) possono essere ricavati dalla lettura di qualsiasi Ruolo pontificio.
10 G. Fragnito, La trattatistica cinque e seicentesca sulla corte cardinalizia. «Il vero ritratto d’una bellissima e ben governata Corte», in Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento, 17, 1991, p. 161 s.
11 C. Weber, Die ältesten pästlichen Staats-Handücher. Elenchus Congregationum, Tribunalium et Collegiorum Urbis 1629-1714, Rom-Freiburg-Wien, 1991 (Römische Quartalschrift für christliche Altertumskunde und Kirchengeschichte, 45, Supplement).
12 Le cifre indicate qui e di seguito sono purtroppo, malgrado le apparenze, approssimative. Gli Annuari presentano infatti dei vuoti e non infrequentemente al posto dei nomi degli ufficiali curiali indicano semplicemente la presenza di un ruolo in organico, senza spiegare però se si trattasse di una vacanza o di un posto effettivamente ricoperto da qualcuno di cui non si era però in grado di fornire il nome. In altri casi si dice solo, in termini generici, che all’attività di un ufficio partecipavano particolari categorie di altri ufficiali: ad esempio segretari, uomini del Municipio romano, consulenti, teologi, ecc.
13 Questi numeri, di ufficiali e ufficiali andrebbero poi aggiornati con altri ruoli che restano esclusi dagli Annuari: cardinal nipote, o, meglio, sovrintendente dello Stato Ecclesiastico, e suo ufficio; segretario e Segreteria di Stato; Datario e dataria, per fare solo gli esempi più eclatanti. Ma si veda un elenco dettagliato di ufficiali curiali, derivato dagli Annuari, ma sorprendentemente più ampio, in C. Weber, Die ältesten pästlichen Staats-Handücher..., cit. n. 11, p. 166-175. In tale lista sono elencati più di centocinquanta distinti ruoli, e per far capire meglio di cosa si tratti, cito i primi nell’ordine alfabetico in cui sono riportati: abbreviator antiquior Parci maioris [...,] abbreviator maioris Presidentiae [...,] abreviatores minoris Parci [...,] advocatus Camerae apostolicae [...,] advocatus fiscalis [...,] architecti viarum [...,] assessor (fiscalis) magistri viarum [...,] assessor S. Officii [...,] advocatus pauperum [...,] advocatus Populi romani [...,] advocatus reorum [...,] auditor A.C. [...,] auditor Eminentissimi card. camerarii [...].
14 Per fare qualche esempio, il collegio degli avvocati concistoriali, composto da tredici a sedici elementi tra il 1667 e il 1694, conobbe solo diciassette tra nuove entrate o avvicendamenti in quel medesimo periodo; anche nella Congregazione delle Acque in non pochi casi sono riscontrabili permanenze trentennali e così pure tra i cardinali della Congregazione del Buon Regime. Non solo la composizione di ogni ufficio resta sostanzialmente stabile nel lungo periodo, ma scorrendo gli Annuari non sono neppure avvertibili sensibili variazioni nel passaggio di consegne da un papa ad un altro. Ciò anche quando si succedevano pontefici molto diversi tra loro: un pontefice fortemente incline alle riforme come Innocenzo XI o un papa fortemente conservatore e difensore di una visione tradizionale della Curia come fu Alessandro VIII. Considerazioni in parte coincidenti, in parte discordanti, sulla durata delle cariche nei diversi uffici (ma qui soprattutto riguardanti un successivo periodo settecentesco) in R. Ago, Carriere e clientele nella Roma barocca, Roma-Bari, 1990, p. 42 ss. e passim. Parla invece di un «affermarsi diffuso della prassi dello spoil system nel passaggio da un pontificato all’altro», P. Prodi, Il sovrano pontefice. Un corpo e due anime: la monarchia papale nella prima età moderna, Bologna, 1982, p. 223 e passim, ma ciò probabilmente sostiene per quel che riguarda il gruppo più direttamente vicino al pontefice.
15 Gli interessi di carriera potevano infatti per i commentatori contemporanei rendere poco attendibili, meno fedeli e più sensibili alle proprie ragioni che a quelle generali i funzionari non legati da vincoli di sangue o comunque familiari al papa. La mancanza di continuità tra un pontificato e l’altro li induceva a dissimulare i propri sentimenti e convinzioni, a celare la verità ove comportante conseguenze negative per se stessi, sì da poter perpetuare il proprio potere ed accrescere anzi il proprio ruolo da un pontificato all’altro. I consanguinei dei papi erano invece legati a doppio filo al sovrano, solo loro potevano essergli completamente fedeli, solo loro permettersi una assoluta sincerità al suo cospetto. Il successo del pontificato dello «zio» sarebbe stato il loro e quello della casata di appartenenza (v. il dibattito seicentesco sul tema in Menniti Ippolito, Il tramonto..., cit. n. 1, p. 82 e ss.).
16 F. Benigno, Ripensare la crisi del Seicento, in Storica, 5, 1996, p. 50-52.
17 V. tra l’altro su ciò A. Menniti Ippolito, Nella Corte di Roma, o per dir meglio / nel pubblico spedal della speranza». Note per una lettura dall’interno della Curia romana seicentesca, in Annali di storia moderna e contemporanea, 4, 1998, p. 221-243.
18 V. soprattutto due anonime scritture BAV, Vat. Lat. 10852, «Miscellanea», c. 31-36 e c. 39-42v. e Menniti Ippolito, Il tramonto..., cit. n. 1, c. 139 ss.
19 La stessa ipertrofica produzione di regole cerimoniali che si verificò nel corso del xvii secolo sembra in qualche modo una manifestazione ideologica di quel mondo, che anche nei riti, nelle precedenze, nella semplice menzione di un ruolo in un trattato, da parte di cerimonieri, maestri di casa, ec., trovava ragion d’essere e motivo di sussistere. Ciò anche se poi, come ha notato M. A. Visceglia (Riti, simboli, cerimonie nell’Italia nella prima età moderna. Una riflessione storiografica comparativa, in Id., La città rituale. Roma e le sue cerimonie in età moderna, Roma, 2002, p. 41 ss.), «il moltiplicarsi delle regole cerimoniali, l’aumento del numero di figure sociali inserite nella sfera della cerimonialità acutizza alla fine del seicento quello che era il problema cronico dei rituali politici dei paesi occidentali: cioè la difficoltà di stabilire una configurazione d’assieme, articolata ma olistica dei vari gruppi e degli individui all’interno dei gruppi». Venendo me-no il principio dell’esistenza di «una communitas relazionale tra individui» superante i «vincoli sociali consueti, la proclamazione rituale dei privilegi particolari» divenne «smodata e difficilmente regolabile» ed essa stessa fonte di continui scontri e conflitti.
20 Ciò De Luca fece nella citata scrittura «Della nimicitia tra la Corte e il Principato»: ogni volta, scriveva il prelato, s’intendeva che il papa era pronto per intervenire su qualcosa, in special modo, in questo contesto, in materia beneficiaria, «ecco le doglianze, le male soddisfazioni et i clamori della Corte, esagerando la sua destruttione et il suo impoverimento».
21 Un curioso e fin troppo esplicito esempio del sentimento che accompagnò gli sforzi moralizzatori del pontefice comasco e della sua cerchia di collaboratori è in un piccolo, volgarmente giocoso e non troppo conseguente in senso logico, componimento poetico anonimo dedicato alla morte del qui più volte nominato cardinal Giovan Battista de Luca (BAV, Ottob. Lat. 2500, cit., c. 304): «Esce dal Vatican morto de Luca / e per comodità de’ Cardinali / si fanno in Vallicella i funerali / et a Ripetta poi si mette in buca. / E ciò si fa perché ad ogni huom riluca / la giustitia del ciel sopra i mortali / la qual vuol che l’Autor de’ tanti mali / o vivo o morto a fiume si conduca. / Han preteso d’averlo a Muro Torto / i peccator che sono impenitenti / ch’appunto come tal dicon ch’è morto. / Lo volevan ancor fra i delinquenti / i confrati che danno il gran conforto / all’impiccati e alle squartate genti. [...]». Il corpo del cardinale andava quindi o sepolto nelle fosse comuni destinate ai peccatori impenitenti nel cimitero extramurario posto ai piedi del Muro Torto oppure direttamente gettato nel fiume, come si diceva negli ultimissimi versi qui non riportati. Il gruppo di uomini più vicini ad Innocenzo XI non era così per nulla popolare nella Roma del tempo. Sempre ivi, c. 303 r-v altre dello stesso genere: si finge tra l’altro che la Congregazione dei riti abbia ordinato cerimonie per festeggiare la morte di de Luca. Tra le preghiere richieste una recitava a viro iniquo libera nos. La presenza di questi componimenti dileggianti nella Biblioteca Ottoboni è una piccola, ulteriore, testimonianza dell’ostilità che il cardinale Pietro Ottoboni nutriva nei confronti del papa, gran protettore del de Lu-ca, cui sarebbe poi succeduto.
22 Si preferisce qui dire Curia «altra», o si potrebbe anche dire Curia «bassa», piuttosto che seguire la definizione di «Corte» utilizzata da G.B. de Luca. Del resto, come si è visto, risulta difficile, pure sulla base di quanto dice de Luca, definire quali siano i confini della Curia «forense» e ricordo anche come le descrizioni del prelato giurista non siano concordanti con quelle fornite dagli Annuari, che andrebbero anch’essi, come si è pure potuto constatare, integrati con altre voci di uffici e ufficiali. Anche la Curia «altra» poteva collaborare attivamente, si pensi alle famiglie di cardinali, all’attività di gestione e controllo dello Stato pontificio e della Chiesa (su ciò v. supra), ma in definitiva, sotto ogni altro profilo non improntato sulla logica funzionale e ordinatrice che segue invece de Luca (il quale era interessato a studiare e definire il sistema per riformarlo), la distinzione tra Curia e corte risulta poco significativa o addirittura inutile e confondente. La Curia, o la corte, intese qui come sinonimi e non come entità distinte, erano composte dalla moltitudine di soggetti che a diverso titolo gravitavano in Roma sulla «cosa pubblica», costituendo un tutt’insieme che stupiva e confonde-va gli osservatori contemporanei, che la descrivevano con espressioni molto spesso colorite come «gran calderone», «teatro del mondo», addirittura «inferno», ec., con ciò esprimendo un disagio forse simile al nostro nel cercare di comprenderla. Ad ulteriore conferma di ciò, e rimandando ad altri approfondimenti, basterà forse citare un passo di un manuale di comportamento curiale (BAV, Chigi O.I.9, «Notitie politiche. Materie politiche diverse. Tomo Nono», c. 182 ss.): «trovandoti a Roma in un Pontificato nuovo usa più studio di guadagnare la gratia del Datario e di un cameriere favorito di S. Santità che di 30 cardinali perché in quelli troverai più potere e più volere». Il potere di un soggetto secondario, di un semplice cortigiano, poteva rivelarsi superiore, almeno in certi ambiti e per certi scopi, a quello di personalità di primo piano: ma questa, e non è certo una semplice battuta, non è solo una patologia dello Stato d’antico regime.
23 Nel 1624, Urbano VIII istituì la «Congregazione urbana de’ Signori Corteggiani di Roma». Tale Congregazione, poi anche chiamata Congregazione Urbana o dei Nobili Aulici, si proponeva d’aiutare in vecchiaia chi fosse stato impegnato nelle attività di Corte. Pagando una quota d’ingresso di 5 scudi e poi un giulio al mese, dopo 25 anni di servizio i «pensionati» avrebbero potuto godere di alloggio, vitto e abbigliamento gratuito per tutto il resto della loro vita. La Congregazione li avrebbe pure tenuti impegnati in «opere pie e spirituali». Si sarebbero potuti «ascrivere» nella lista dei cortigiani «assistiti», la cui sede era presso la chiesa di S. Lorenzo in Fonte, gli auditori, coppieri, caudatarii, camerieri, cappellani, gentiluomini di spada e togati, guardarobieri, maggiordomi, maestri di camera, segretari, scalchi, trincianti che fossero stati al servizio di papi, cardinali, patriarchi, arcivescovi, vescovi, prelati in e fuori Roma oppure principi o baroni residenti in città (BAV, Barb. Lat. 4484 «Miscellanea», c. 1-11v e Chigi B.VII.120 (Miscellanea), c. 175 ss. V. pure Statuto della venerabile Congregazione Urbana de’ nobili aulici di Roma, Velletri, 1838; Sommario delle costituzioni della Congregazione Urbana, Roma, 1628; Riforma del vecchio statuto della Venerabile Congregazione urbana, Roma, 1738, ove si dà conto del primo fervore che accompagnò la nascita dell’ente, e del successivo suo decadere. Il progetto di costruire un grande ospizio per cortigiani pensionati decadde ben presto, e l’attività della Congregazione venne a limitarsi al mantenimento di soli quattro o cinque ospiti.
24 M. Völkel, Römische Kardinalshaushalte..., cit. n. 9, in partic. p. 401 ss.
Auteur
Le texte seul est utilisable sous licence Licence OpenEdition Books. Les autres éléments (illustrations, fichiers annexes importés) sont « Tous droits réservés », sauf mention contraire.
Le Thermalisme en Toscane à la fin du Moyen Âge
Les bains siennois de la fin du XIIIe siècle au début du XVIe siècle
Didier Boisseuil
2002
Rome et la Révolution française
La théologie politique et la politique du Saint-Siège devant la Révolution française (1789-1799)
Gérard Pelletier
2004
Sainte-Marie-Majeure
Une basilique de Rome dans l’histoire de la ville et de son église (Ve-XIIIe siècle)
Victor Saxer
2001
Offices et papauté (XIVe-XVIIe siècle)
Charges, hommes, destins
Armand Jamme et Olivier Poncet (dir.)
2005
La politique au naturel
Comportement des hommes politiques et représentations publiques en France et en Italie du XIXe au XXIe siècle
Fabrice D’Almeida
2007
La Réforme en France et en Italie
Contacts, comparaisons et contrastes
Philip Benedict, Silvana Seidel Menchi et Alain Tallon (dir.)
2007
Pratiques sociales et politiques judiciaires dans les villes de l’Occident à la fin du Moyen Âge
Jacques Chiffoleau, Claude Gauvard et Andrea Zorzi (dir.)
2007
Souverain et pontife
Recherches prosopographiques sur la Curie Romaine à l’âge de la Restauration (1814-1846)
Philippe Bountry
2002