I registri criminali triestini nella tradizione documentaria cittadina
p. 129-152
Résumés
Il saggio prende in esame la tradizione archivistica e la struttura dei registri criminali del Banco dei Malefici di Trieste, i compiti attribuiti ai magistrati, la loro preparazione tecnica e la provenienza sociale. Sono inoltre oggetti di particolare analisi i diritti civili e penali di coloro che non godevano della cittadinanza.
The essay examines archival tradition and structure of criminal registers of Trieste’s Banco dei Malefici Trieste, tasks assigned to judges, their technical knowledge and social background. Finally, civil and criminal rights are analysed focusing on those who did not have citizenship.
Entrées d’index
Keywords : Criminal registers, justice, Trieste, notaries
Parole chiave : Registri criminali, giustizia, Trieste, notai
Texte intégral
La tradizione archivistica
1La serie del Banco dei Malefici di Trieste si inserisce in un quadro normativo che prevedeva l’obbligo della trascrizione integrale di tutti gli atti notarili rogati in città presso un ufficio pubblico chiamato Vicedomineria.1 La scelta di costituire questi pubblici registri avrebbe comportato la perdita della maggior parte dei protocolli e dei registri notarili originali ad eccezione dei testamenti2. La serie dei Vicedomini presenta una notevole continuità nell’andamento cronologico con un inizio non precocissimo, dato che il primo blocco di quaderni comprende gli anni che vanno dal 1322 al 1326. I due vicedomini erano tenuti a custodire in un archivio i loro registri e tale pratica risalirebbe al 1318, anno della prima redazione degli Statuti cittadini.3 Sin dal 1327 i vicedomini erano inoltre tenuti a redigere un inventario di tutti i registri conservati nel loro archivio, che comprendeva oltre agli atti prodotti dalla magistratura stessa, quelli provenienti dalla Cancelleria e infine i registri degli stimatori.4 I registri criminali non furono conservati inizialmente in questo archivio ma vennero custoditi in una cassella seu banchum e più tardi in una specifica struttura chiamata sacrestia Communis, che era di fatto l’archivio segreto nel quale erano salvaguardati i documenti amministrativi e politici del Comune e quelli concernenti le relazioni con l’esterno analogamente a quanto testimoniato in altri Comuni italiani coevi. I due archivi, quello della Vicedomineria e quello della sacrestia, furono riuniti solamente dopo il 1350 per ordine del Consiglio cittadino, che impose che fossero sottoposti alla custodia archivistica dei vicedomini; di certo non esistono più riferimenti all’esistenza della sacrestia dopo il 1365. Da quel momento la funzione archivistica fu attribuita ai soli vicedomini5.
2Nella tradizione archivistica del Nord d’Italia i registri di giurisdizione criminale triestina rappresentano una fonte di primario interesse perché iniziano nel XIV secolo e continuano con alcune interruzioni sino alla fine del XVIII secolo;6 anche la serie della cancelleria copre lo stesso arco temporale e si è conservata quasi integralmente. I registri trecenteschi mancanti andarono perduti probabilmente durante la sommossa che interessò la città il 15 agosto del 1468: l’esplosione di violenza era dovuta alla volontà espressa dal sovrano Federico III di modificare l’aspetto costituzionale del Comune. In quell’occasione sembra che fossero stati perduti o comunque volutamente danneggiati anche alcuni registri dei vicedomini. La perdita di numerosi documenti concernenti la memoria storica cittadina fu ritenuta particolarmente grave dall’amministrazione comunale, che iniziò a ritenere necessario un primo riordino di quanto si era trasmesso negli archivi cittadini. In quell’occasione si provvide ad uno scarto di tutti i materiali archivistici maggiormente deteriorati e sembra che il lavoro fosse andato avanti per molti anni.7
3Gli interventi di riordino si susseguirono durante il XVI secolo, quando l’archivio fu interessato da almeno tre provvedimenti: nel primo, eseguito nel 1502, fu prodotto un inventario, giunto oggi mutilo, che si proponeva di fare un primo elenco delle fonti ordinato per serie corrispondenti agli uffici del Comune; ogni serie era a sua volta divisa in quaderni veteres e quaderni novi, ossia fra registri anteriori e posteriori al 1469. I registri successivi a questa data sono elencati precisamente mentre quelli più antichi sono presentati in modo disordinato, una confusione dovuta probabilmente alla perdita di numerosi esemplari ma anche alla scarsa attenzione di chi si occupò del riordino.8 Un secondo intervento fu condotto otto anni più tardi, nel 1510, dal notaio Giovanni Battista Bonomo, che si limitò a proporre alcune lievi modifiche a quanto era stato prodotto in precedenza; dopo la redazione dell’ultimo inventario, elaborato da Ottavio Cigotti e terminato nel 1532, l’amministrazione del Comune si adoperò perché venisse fatta annualmente una revisione accurata del catalogo9. Nel periodo successivo l’ordine fu rispettato tanto che si attestano attente verifiche condotte circa ogni anno. Va sottolineato che i controlli erano fatti soprattutto, se non esclusivamente in alcuni periodi, sui registri coevi; non si ha notizia di eventuali accertamenti sui registri trecenteschi al punto che non fu predisposto nessun lavoro di inventariazione. Un’analisi del nuovo repertorio redatto nel 1563 ha messo in luce la poca attenzione rivolta alle scritture più antiche; lo scarso interesse si contrappone alla precisione con cui vengono descritte le serie documentarie prodotte contemporaneamente10.
4Dopo il XVI secolo il Comune non ritenne più di fare riordini accurati fino alla decisione maturata nel consiglio cittadino di abolire la magistratura della Vicedomineria attraverso la Risoluzione Normale del dicembre del 173211: in quell’occasione i consiglieri ordinarono che fosse sistemato tutto quel materiale prodotto nei secoli precedenti ancora non dotato di un’inventariazione precisa. Le fonti conservate in tal modo non erano poche e sembra che in un primo momento non fu realmente organizzato nessun lavoro di riordino. Trascorrono molti anni prima che il Comune si organizzi per affidare un incarico al fine di produrre un primo lavoro di repertorio sul materiale ancora esistente. Nel 1754 furono scelti come archivisti Giuseppe Bonomo Stettner e il canonico Aldrago dei Piccardi: il lavoro prodotto fu probabilmente molto al di sotto delle aspettative e fu giudicato come incompleto e insufficiente da colui che sarebbe stato incaricato di provvedere ad un nuovo riordino degli archivi comunali una ventina di anni più tardi. Nel 1777, durante le operazioni di sistemazione delle carte del Comune, il notaio Francesco Rainis denunciò infatti le manchevolezze del precedente lavoro di inventariazione. Un preciso riordino di tali archivi e della fonte dei registri criminali più antichi si ebbe solamente nel 1828 quando fu chiamato ad intervenire Domenico Rossetti, procuratore civico ed esperto in diplomatica, il quale pianificò il riordino del materiale documentario con lo scopo di creare quello che sarebbe divenuto l’Archivio Diplomatico. Affiancato nel lavoro da Carlo Praun, incaricato dell’esame e della successiva inventariazione del materiale, e da Giovanni Battista Hattinger, il Rossetti compilò un elenco dei documenti da collocare nell’Archivio Diplomatico, che fu portato a termine e completato da Pietro Kandler. Dopo aver terminato il lavoro di inventariazione e sistemazione del materiale il Comune poteva finalmente aprire l’Archivio Diplomatico, che nacque come istituzione pubblica il 17 luglio del 1862.12
5Come abbiamo ricordato, il fondo dei registri criminali non si è conservato integralmente e presenta numerose lacune con periodi nei quali manca completamente la documentazione.13 Le mancanze più significative riguardano in genere periodi cruciali della storia cittadina ed è pertanto possibile che ci sia stata una precisa volontà di eliminare i registri, in particolare i documenti che avrebbero potuto compromettere l’esercizio del potere da parte della classe politica. Mancano completamente, ad esempio, i registri prodotti tra il 1360 e il 1382, quando la città era stata conquistata dai veneziani ed erano cambiati non sono gli assetti cittadini ma anche l’esercizio della giustizia come poi avremo modo di approfondire.14 La mancanza di registri va imputata anche alla frequente sottrazione di documentazione avvenuta nel corso del XVII secolo di cui abbiamo notizia in alcuni appunti dove si denuncia la trasandatezza di molti vicedomini, che sembra non versassero sempre alla fine della loro attività i quaderni compilati nell’archivio come era invece previsto nelle redazioni statutarie. Tale cattiva abitudine non sembra fosse stata punita con l’obbligo di pagamento di una penale; di fatto non era ritenuta un atto illecito. Va infine ricordato che in città scoppiò un incendio nel 1690 nel quale tradizionalmente si dice fossero andati persi una parte dei registri mancanti del XV e XVI secolo.15
I registri criminali e i compiti attribuiti al notaio dei malefici e al protettore
6Veniamo dunque al materiale superstite: i registri criminali più antichi risalgono al XIV secolo e coprono con alcune significative lacune un arco cronologico che va dal 1327, in cui si diede inizio alla serie con il primo registro redatto dal notaio Alberto Mascolo, al 1388; si tratta di un fondo costituito da sedici registri riuniti in nove volumi fattizi. I registri quattrocenteschi sono raccolti in quattro volumi, che coprono senza interruzioni significative tutto il secolo. I quaderni dei notai conservati integralmente sono in genere molto consistenti e rilegati in maniera singola come nel caso del primo, quarto, quinto e settimo volume. Lo stato di conservazione dei registri è abbastanza buono anche se sono talora mutili di alcune carte e presentano macchie di umidità, che rendono difficile la lettura. Molto probabilmente esistevano uno o più registri precedenti a quello del 1327 dal momento che la prima attestazione ufficiale della carica di notaio dei malefici compare, come abbiamo ricordato, nella redazione statutaria del 1318 dove viene specificato lo stipendio proposto dal Comune, calcolato nella somma di 8 lire di piccoli, e la durata della carica fissata in quattro mesi.16 In una successiva addizione allo statuto, e precisamente alla rubrica numero XLI, venne istituita un’altra carica fondamentale nel banco dei malefici: il protettore. Costui era scelto tra tre boni homines della città indicati dal Minor Consiglio tra coloro che avevano un’età non inferiore ai quarant’anni. Il protettore insieme al podestà, al vicario loco potestatis, agli altri vicari e al notaio dei malefici era tenuto ad ascoltare e registrare tutte le accuse occupandosi anche dell’esame dei testimoni; l’importanza della carica era confermata dal possesso di una chiave del banco.17
7Sin dalla prima redazione statutaria fu stabilito che tutte le multe inflitte sul territorio tergestino fossero versare nelle casse dell’erario comunale e che allo scadere del mandato il notaio del banco dei malefici dovesse calcolare l’ammontare delle pene pecuniarie comminate durante il Reggimento quadrimestrale. L’intero importo doveva poi essere versato al procuratore il quale lo depositava come entrata al Comune secondo quanto previsto nella norma CLXVIII, Quod omnes pene veniant in comune: Statuimus et ordinamus quod omnes penes statutorum in hoc volutine comprehense deveniant in Comuni.18 L’amministrazione della giustizia non comportava invece spese particolarmente gravose per il fisco se non quelle relative ai compensi spettanti a coloro che presentavano un’accusa per un reato punito con una condanna in denaro. L’indennizzo previsto era proporzionale all’ammontare della pena e generalmente si calcolava in un terzo o nella metà della somma prevista. La partecipazione alle pene non era solo un modo per incentivare il controllo dei cittadini su coloro che non rispettavano la legge ma serviva anche al fisco per recuperare il denaro necessario per pagare gli stipendi degli ufficiali che esercitavano incarichi di polizia. Il camerario e il procuratore del Comune inserivano inoltre tra le voci di spesa i premi per l’inseguimento e la cattura dei banditi e le spese per i supplizi; i costi sostenuti per tali ricompense erano di gran lunga inferiori a quelli previsti per pagare i compensi degli accusatori. L’uso di questa fonte di natura fiscale integra le informazioni che si possono ricavare dalle fonti giudiziarie soprattutto per quanto concerne il peso delle denunce fatte da privati contro terzi.19
8I compiti del notaio dei malefici e quello del protettore furono soggetti a cambiamenti, che vennero specificati in maniera più precisa negli statuti del 1350 durante il periodo in cui era podestà il veneziano Marco Dandolo. La revisione della statutaria cittadina era iniziata durante l’anno precedente quando era podestà Giovanni Foscari il quale fu eletto nuovamente nel 1365, quando venne promulgata una nuova redazione degli Statuti. Dal 1350 sia il notaio sia il protettore potevano essere eletti all’interno di una ristretta cerchia di sei cittadini individuati precedentemente dal Maggior Consiglio cittadino attraverso un’elezione che prevedeva un ballottaggio. Le due figure erano pensate come complementari: se il notaio era tenuto a scrivere le cause il protettore doveva essere presente alla redazione di ogni atto. La durata della carica era fissata come nel caso degli altri ufficiali in un periodo di quattro mesi.20 I compiti affidati ai due ufficiali erano soprattutto di tipo penale: essi dovevano verbalizzare le denunce presentate e le conseguenti difese ed erano inoltre tenuti a registrare le testimonianze, che dovevano essere fatte sempre alla presenza del podestà o dell’eventuale vicario da lui designato. Vigeva l’obbligo della trascrizione di tutti gli atti giudiziari de verbo ad verbum per garantire alle parti in causa una maggiore garanzia come era già prassi in uso nel caso dei testamenti.21 Agli incarichi penali si aggiungevano mansioni di polizia urbana tra le quali si segnalano in particolare la compilazione della lista dei saltarii, ovvero dei sorveglianti del territorio comunale, una sorta di guardie campestri, e la redazione di un elenco di tutte le taverne aperte in città con gli introiti previsti per il Comune a titolo di imposta.22 Nella documentazione si sono conservate due vacchette, dove sono elencate annualmente le taverne esistenti in città, il luogo di ubicazione, il nome dei proprietari degli immobili e degli osti, il prezzo con cui era veduto il vino agli avventori ed eventuali infrazioni compiute. La prima vacchetta è trecentesca e copre circa otto reggimenti nel biennio 1356-1357 con riferimenti all’anno precedente; nel secondo quaderno, prodotto nel XV secolo, è inserita accanto ai nomi di coloro che avevano le locande in città anche il riferimento agli eventuali fideiussori pronti a versare nelle casse comunali le imposte non corrisposte regolarmente dai proprietari.23
9Nell’esercizio della giustizia i giudici del banco dei malefici erano tenuti a prendere in considerazione quanto prescritto dalle norme inserite nelle redazioni statutarie ma anche quanto previsto in un quaderno delle consuetudini, che raccoglieva la tradizione giuridica in uso tra le popolazioni che parlavano la lingua sclabonica e vivevano sul Carso. In un processo degli anni Quaranta del Trecento il giudice fa riferimento all’esistenza di tale quaderno, che sarebbe stato custodito nell’ufficio della Vicedomineria (in quaterno consuetudinum Communis qui est in vicedominaria Communis). In un’addizione agli Statuti del 1342, successivamente recepita nella redazione del 1350, tale compito viene istituzionalizzato. Nella legge si affermava che ogni riferimento alle consuetudini prodotte in giudizio non dovesse essere contrario a quanto era stato affermato negli Statuti. Nel caso in cui un cittadino ritenesse utile ai fini processuali rifarsi ad una consuetudine poteva legittimamente chiedere un estratto direttamente ai vicedomini (…et quocienscunque aliqua persona voluerit aliquam consuetudinem, tunc vicedominus Comunis dictam consuetudinem, manu sua propa scriptam, extractam de libro consuetudinum, eidem persone petenti tribuere teneatur).24
La struttura dei registri
10Veniamo dunque a come fossero strutturati i registri criminali: l’articolazione sembra essersi modificata nel corso del tempo soprattutto per quanto riguarda le modalità di registrazione dell’accusa da parte del notaio. L’unico registro a presentare una narratio diversa rispetto a quella degli altri è infatti il primo quaderno del 1327, che appare incentrato sulle contravvenzioni inflitte ai saltari per le loro mancate sorveglianze e sulle multe comminate ai cittadini rei di non essersi presentati all’obbligatorio turno di guardia alle porte e alle mura come previsto dagli statuti. Alberto Mascolo, che si occupò della redazione del primo dei registri criminali tramandati sino ad oggi, si affidava ad una scrittura giuridica riassumibile in un unico discorso, che non prevedeva la suddivisione dell’accusa in più capi mentre gli altri notai erano soliti dividere l’imputazione in capitula numerati dove venivano raccolte ordinatamente le testimonianze di accusa e quelle di difesa.25 La forma adottata da Alberto Mascolo risentiva della mancanza di indicazioni precise su come formulare la procedura accusatoria, istruzioni assenti negli Statuti del 1318. Nel testo si diceva solamente che il notaio, insieme alla figura del protettore, doveva predisporre la redazione di due quaderni: il primo conteneva i processi di procedimento accusatorio e quelli di procedimento inquisitorio, e il secondo le difese. Nella prima redazione statutaria non era stato quindi istituito un elenco di quali fossero le tappe fondamentali dell’iter processuale da usarsi nella procedura accusatoria, dove le accuse erano mosse da soggetti che si ritenevano parte lesa e che si rivolgevano all’autorità preposta per avere giustizia contro coloro che accusavano di un reato. Va sottolineato che la maggior parte dei processi dibattuti nel XIV secolo era di natura accusatoria e che le modalità da seguire erano contemplate in una serie di rubriche staccate tra loro nei primi due libri degli Statuti senza che vi fosse alcun legame logico. Le norme previste invece per i processi di natura inquisitoriale, istituiti dal podestà per mantenere l’ordine pubblico in città e per evitare occasioni di scontro e di tumulto, come era previsto negli statuti dove si leggeva che tale funzionario doveva a regere et gubernare civitatem Tergesti et eius districtum, et omnes cives et habitantes in ea conservare in recto et ratione, erano poche, non chiare e ancora non definitive. Non era stata ancora approntata una normativa specifica per i processi di questa natura. Un primo accenno era contenuto nella rubrica XXIII del primo libro concernente la formula di giuramento del podestà anche se i modi nei quali i notai si muovevano si deducono con maggiore precisione analizzando le verbalizzazioni dei processi. Generalmente i notai usavano il termine inquisitio nei dibattimenti nei quali il podestà si accertava sulla verità o sulla falsità di un’azione, che si riteneva ordita ai danni del Comune.26
11Le inchieste erano organizzate secondo uno schema di massima, che prevedeva la narrazione degli episodi, l’accusa del querelante e la difesa del convenuto, e infine l’elenco dei testi con le relative testimonianze. La durata dei procedimenti penali era estremamente variabile, da un minimo di una giornata a processi in cui il dibattimento si prolungava per molte giornate nel caso in cui un reato contestato comportasse l’ascolto di un numero elevato di deposizioni di testi. Il notaio Alberto Mascolo sembra preferisse non scrivere integralmente nei registri la sentenza di assoluzione o di condanna, che era solo accennata con una nota a margine o a conclusione dello scritto. Egli si limitava a scrivere l’aggettivo absolutus in caso di assoluzione e la somma di denaro richiesta come penale o la pena nel caso di condanna.27 Solamente nel registro VIII relativo all’anno 1359 il giudizio viene scritto in calce e si dice che dello stesso viene data copia agli attori interessati.
Norme e trattamento previsti per coloro che non erano cittadini nel diritto penale e in quello civile
12Le denunce presentate al Banchus Maleficiorum dovevano essere fatte seguendo un iter preciso, che prevedeva l’obbligo di presentare l’accusa entro otto giorni dal momento in cui era accaduto il reato perché la richiesta fosse presa in considerazione.28 Chiunque poteva presentare un libello di accusa ad eccezione di alcune categorie di persone ritenute marginali nella società e come tali privi dei diritti goduti dai cittadini: vagabondi, prostitute, stranieri e in parte donne e bambini, che potevano però farsi rappresentare da procuratori. Lo status di minorità giuridica si rifletteva anche nel momento in cui tali persone erano chiamate a rendere testimonianza. Nel caso specifico delle donne un’addizione allo statuto triestino del 1338, recepita nella redazione del 1350, regolava le loro testimonianze con lo scopo di salvarne il decoro. In genere le donne avrebbero dovuto essere ascoltate in luoghi protetti quali ad esempio le chiese o nello stesso banco dei malefici.29
13Le disparità di trattamento e le limitazioni erano ancora più evidenti nel diritto civile che in quello penale. Un valido esempio è data dalla condizione di forestiero. Gli stranieri soggiacevano al volere del podestà il cui potere si esercitava sia sulla città sia sul distretto. Il diritto civile prevedeva che i forestieri non potessero esercitare il commercio, praticare la caccia e acquistare beni fondiari mentre nei reati criminali essi erano sottoposti alla discrezione del podestà, che poteva accettare o rifiutare le denunce contro di essi. Costoro, dato che non erano cives, godevano di meno diritti rispetto a coloro che avevano ottenuto la cittadinanza ed erano di conseguenza sottoposti al libero giudizio dell’autorità giudicante, che poteva decidere autonomamente il livello di gravità nell’applicazione delle pene. Quando si parla di forestieri è bene ricordare che negli Statuti del 1350 fu inserita una norma nella quale si precisava che gli abitanti del territorio compreso tra Aquileia e Pirano, definiti come paesani, dovevano essere trattati al pari dei cittadini triestini.30 Le norme stabilivano che al giudice fosse permesso di assolvere lo straniero che si fosse macchiato di un reato senza l’obbligo del pagamento di nessuna penale in denaro nel caso in cui godesse comunque di una buona fama in città. Dall’analisi dei registri prodotti nella seconda metà del XV secolo sembra ravvisabile una forte clemenza dei giudici nei confronti delle persone svantaggiate, che si erano rese colpevoli di reati: le pene inflitte erano sovente inferiori rispetto a quelle comminati ai cittadini per gli stessi reati. Sembrano essere state piuttosto frequenti anche le assoluzioni senza richieste di pagamenti di penali.31 Questo orientamento, ravvisabile nella lettura dei procedimenti giudiziari, è confermato da una norma contenuta nello statuto del 1421, dove si parla di una sorta di privilegio accordato proprio a coloro che appartenevano ad una condizione di basso livello e che rimandava alla volontà di mantenere in equilibrio l’ordine pubblico in una città dove la presenza degli stranieri, soprattutto di origine slava, era molto accentuata. Le persone che si trovavano in una condizione svantaggiata finivano per essere puniti con pene pecuniarie inferiori a quanto previsto per legge e sovente erano assolti senza dover pagare alcuna sanzione.32
14La condizione degli stranieri era dunque regolamentata in modo diverso nel diritto penale e nel diritto civile come si evince dalla lettura dei processi redatti dalla magistratura della cancelleria, la cui serie, sempre conservata presso l’Archivio Diplomatico triestino, copre con delle interruzioni il XIV e XV secolo.33 Il primo sforzo di dare una forma più compiuta al processo amministrativo si legge in un’addizione del 1319 al primo statuto cittadino con il tentativo di creare un coordinamento sicuro tra il ruolo giurisdicente del podestà e dei giudici e i compiti di natura prettamente burocratica del cancelliere, che non avrebbe potuto esaminare legalmente nessun testimone se non di fronte al podestà e ai vicari. Tale provvedimento rimandava alla volontà di non permettere abusi dopo che l’autorità pubblica aveva deciso di intervenire in modo diretto sulle attività commerciali, economiche e patrimoniali, tra i settori maggiormente interessati alle controversie giuridiche. Il timore che fossero fatte manipolazioni sull’attività giudiziaria comportò una rapida evoluzione della pratica cancelleresca con la definizione di nuove mansioni per i cancellieri, il cui operato fu oltremodo precisato. Nel corso del XIV secolo la necessità di avere a disposizione una registrazione scritta degli atti amministrativi si fece più serrata; ciò comportò una riorganizzazione dell’attività dei cancellieri. Il Consiglio cittadino aveva creato una sorta di tariffario per tutte le operazioni effettuate nell’ambito dell’ufficio della cancelleria e aveva stabilito di imporre pene pecuniarie nel caso in cui i cancellieri avessero contravvenuto alle norme fissate negli Statuti cittadini. Nel corso degli anni fu aumentato più volte il tariffario sempre più differenziato nelle singole operazioni e continuamente modificato attraverso nuove addizioni, recepite nelle successive redazioni statutarie, a partire da quelle proposte e accettate sin dal 1321.34 La fisionomia dell’ufficio dei cancellieri non fu modificata nella sostanza dopo questa data dal momento che i cambiamenti erano indirizzati ad ottenere quasi esclusivamente variazioni nell’elenco delle tariffe.
Le capacità tecniche dei cancellieri e dei notai del banco dei malefici e la loro origine sociale
15Una volta divenuti funzionari del Comune, i cancellieri giuravano sia di mantenere il massimo riserbo sulle cause che si sarebbero discusse nell’ambito del loro ufficio sia di non passare agli avvocati delle parti in causa i loro quaderni e documenti. In una norma inserita negli Statuti del 1350 si era stabilito che alla scadenza dell’ufficio quadrimestrale i due cancellieri versassero integralmente gli atti di procedura civile, successivamente autenticati dai notai uscenti, nell’ufficio della Vicedomineria, dove pertanto si sarebbe conservata tutta la documentazione concernente i diritti di proprietà, l’esito dei processi indetti per controversie per affitti di case, beni e proprietà terriere e di quelli voluti per prestiti mai risarciti e, infine, la conclusione giudiziaria per trasmissioni ereditarie contestate. Nella trasmissione dei documenti si faceva molta attenzione nel segnalare il nome del notaio che aveva garantito gli atti e che era in grado di certificarne l’autenticità; in tal modo nelle cause civili le parti potevano avere dalla Vicedomineria copia dei documenti dell’iter processuale necessari per sostenere i propri diritti come era previsto in un’addizione alla prima redazione statutaria.35
16Negli Statuti del 1350 i legislatori avevano definito con precisione quale fosse il corretto espletamento dell’iter giudiziario, che doveva essere realizzato entro dieci giorni dalla presentazione della denuncia e non otto come era invece previsto nel caso dei reati penali. L’iter processuale si differenziava in una serie di scritture e documenti classificati in modo preciso e analitico: instrumenta et scriptures producte per partes, scriptura termini, scriptura simplicis termini causarum, intentio sive capitulus, fideiussio, sententia robata e nota sive publicatio sententiae. Il principio romano della contestazione della lite dava inizio alla causa, che cominciava formalmente con l’intervento del reo in giudizio. I cancellieri erano soliti ordinare le scripture a seconda delle diverse tipologie per cui le registrazioni dei vari momenti procedurali relativi alla stesso processo si rinvengono nelle diverse sezioni del medesimo quaderno36. Il primo esemplare di registro della cancelleria conservato nella documentazione dell’Archivio Diplomatico è il quaderno di Amizio Mascolo del 1322, redatto quattro anni prima del primo esemplare dei registri dei malefici conservato nella documentazione. Il primo notaio del banco dei malefici, come abbiamo ricordato, fu Alberto Mascolo. Entrambi appartenevano alla stessa famiglia, che aveva dunque inserito due esponenti nel medesimo periodo nelle due magistrature cittadine. I Mascolo sedevano anche nelle file del Consiglio comunale e appartenevano ai gruppi familiari di più recente affermazione in città tra i quali si annoverano gli Acarisi, i de Mesaltis, i Bitini, i Pace, i de Munariis, i Paveia, i Raviza, i Viana e gli Zuileti37. I Mascolo possono essere assunti come un exemplum del cambio che vi fu negli uffici del Comune, dove erano diventate sempre più necessarie le competenze tecniche appannaggio dei notai. Se fino agli anni Cinquanta del Trecento gli ufficiali che dovevano avere tali capacità erano dodici, i due cancellieri, i due vicedomini, il notaio dei malefici, il notaio delle stime, il notaio sub logia, il notaio dei procuratori, il notaio dei sindaci, il notaio del fondaco e infine un advocator comunis, successivamente il numero era destinato ad aumentare. Notai entrarono nella terna dei giudici, fra i procuratori e i camerari e furono sempre più numerosi tra gli ufficiali minori. Prendendo in esame i nomi di coloro che assunsero le cariche è evidente che il caso di Amizio e Alberto Mascolo non rappresenta un unicum dal momento che non è il solo caso di professionisti della scrittura provenienti da una stessa famiglia ad essere nominati come notai dei malefici e poi della cancelleria così come più volte sono attestati casi di un notaio che ricoprì entrambi gli incarichi. Quest’osmosi non si riscontra nelle altre magistrature come è evidente se consideriamo i vicedomini: in un solo caso, rappresentato dal notaio Iusto de Viana, si attesta l’operato di un notaio sia nella vicedomineria sia nella cancelleria.38
17Le famiglie da cui provenivano molti dei notai sia del Banco dei malefici sia della cancelleria della prima metà del XIV secolo, analogamente a quanto accadde anche al resto dei gruppi dominanti in città, in larga parte esponenti delle famiglie nobili di più antica tradizione e toscani attivi nel segmento mercantile e creditizio dell’economia locale, persero gran parte del loro potere durante il periodo veneziano fra il novembre del 1369 e la riconquista della città da parte del patriarca Marquardo di Randeck nel mese di giugno del 1380, seguita dal giuramento di fedeltà fatto dal vescovo Angelo Canopeo e dalla cittadinanza di Trieste.39 In questo lasso di tempo anche l’organizzazione delle magistrature, in particolare quella della cancelleria e quella del Banco dei Malefici, fu soggetta a modifiche e cambiamenti, che si assommarono a quelli già contenuti nella redazione statutaria del 1350, nella quale sono accolte le numerose addizioni prodotte nel corso dei trent’anni dalla redazione precedente; il testo si ispirava in parte agli statuti di Jacopo Tiepolo di molto antecedenti dei quali riproduceva in parte il proemio40. Va ricordato che le addizioni inserite nel 1322 erano volte ad una limitazione del potere concesso agli organi rappresentativi comunali; tale riduzione di dominio fu talvolta orientata a favore dei giudici ai quali fu conferito l’incarico di scegliere i sostituti ai componenti del Maggior Consiglio deceduti nel corso del loro mandato in un momento in cui molte regole sembravano favorire una ristretta cerchia di persone abituate a gestire il potere da tempo con l’avvallo del patriarca Pagano della Torre. L’adozione di questi provvedimenti fu decisa negli ultimi mesi in cui era podestà il veneziano Francesco Dandolo, che tecnicamente non avrebbe potuto esercitare il proprio potere e di conseguenza le modifiche al corpus legislativo furono adottate dall’ufficiale appena nominato: Monfiorito da Coderna. La redazione statutaria del 1350 iniziò ancora una volta sotto una podesteria veneziana, quella di Andrea Dandolo, e fu portata a termine, come abbiamo ricordato, sotto la podesteria di Giovanni Foscari. Di quel periodo di cambiamenti si trova traccia anche nell’operato dei notai dei malefici. Nei registri criminali trecenteschi successivi alla redazione statutaria del 1350 i riferimenti agli Statuti sono sovente introdotti con la formula secundum formam Statuti Tergesti senza ulteriori specificazioni, che sono invece presenti nell’unico registro stilato nel corso di quell’anno. Il notaio dei malefici Nicolino di Vedano, dovendo agire in un momento di transizione e non avendo ancora a disposizione il nuovo statuto, dovette più volte specificare a quale redazione facesse riferimento negli atti registrati. In un processo del 10 agosto del 1350, ad esempio, il notaio fornisce informazioni precise riguardo all’addizione cui fa riferimento e che non era stata ancora inserita nello statuto coevo. L’addizione alla precedente edizione del 1318 era riportata in alto sul margine destro del manoscritto e datata 133741.
18Il testo degli statuti sarebbe stato poi messo in discussione e soggetto a modifiche per circa 193 volte in quindici anni al punto che si pensò di fare una nuova redazione essendo nuovamente podestà il Foscari nel 1365. Nel prologo agli statuti l’ufficiale ne avrebbe motivato la necessità adducendo come motivi la difficoltà di consultazione dovuta alla scarsa chiarezza di un testo, che presentava un numero elevato di addizioni. Le modifiche furono curate da sei cittadini triestini appartenenti alle famiglie più eminenti in città, Giuliano de’ Giuliani, Facina di Canciano, Francesco Bonomo, Andrea Pace, Gretto dei Gretti e Nicolò Petazzi e da un giurista chiamato da Venezia, Paolo Foscari, i quali si proposero di riordinare e riscrivere gli statuti. La prima redazione del 1318 contemplava una divisione in quattro libri, il primo dei quali si occupava degli ufficiali del Comune, il secondo trattava il diritto penale con le inerenti norme processuali, il terzo il diritto civile e, infine, il quarto mescolava insieme in modo disorganico varie norme da quelle relative al commercio a quelle riguardanti le guardie campestri. Tale ordine fu mantenuto anche negli Statuti del 1350. L’ordine dei libri mutò nella redazione del 1365 nel quale la materia penale fu messa nel terzo libro mentre nel secondo trovò spazio il diritto civile e quello processuale. L’inversione delle rubriche era finalizzata a rispondere sia ai cambiamenti avvenuti in città sia alla volontà di rendere le norme da sanzionatorie a sostanzialmente dispositive. Il cambiamento più evidente concernente la materia penale riguarda l’uso delle due procedure, accusatoria e inquisitoriale.42 Sembra che le accuse mosse direttamente dall’autorità pubblica nel tentativo di mantenere l’ordine in città aumentarono durante e immediatamente dopo il periodo di dominio veneziano a discapito delle azioni promosse da cittadini privati, che cercavano di ottenere giustizia contro reati subiti. Dalla fine del XIV secolo il sistema inquisitoriale finì per essere maggiormente usato rispetto a quello accusatorio, che nel secolo successivo sarebbe stato impiegato solamente nei casi di percosse senza spargimento di sangue e senza l’uso di armi oltre che per le ingiurie verbali. Nei registri del Banchus Maleficiorum del XV secolo i processi di natura inquisitoriale diventarono molto più articolati e furono suddivisi in più capitula che vengono specificati: «intencio, informatio, proclamacio, commissio citationis, relatio praeconis, comparatio, attestatio testium, notificatio e fideiussio».
Conclusioni
19Per quanto concerne i reati, per i quali per ogni singola fattispecie gli Statuti prevedevano una serie correlata di varianti e casi particolari sviluppati in singole rubriche e numerose aggiunte, le tipologie non sembrano cambiare dagli inizi del XIV secolo alla fine del XV: rimasero frequenti i delitti di lesioni personali, che potevano essere più o meno gravi e di conseguenza puniti con pene differenti. I reati più frequenti continuavano ad essere le controversie verbali spesso concluse con percosse corporali, che includevano sia le colluttazioni a mani nude sia quelle con l’uso di armi d’offesa, le quali potevano essere più o meno gravi in relazione allo spargimento di sangue. Nei processi si attestano numerosi reati di sangue che comportavano l’eventuale menomazione degli arti sino ad arrivare alla morte dei contendenti. Nel corso del XV secolo i notai del banco dei malefici continuarono a considerare le aggravanti del reato e in particolare lo stato d’ira e l’intenzionalità dell’atto. I luoghi dove sono concentrati la maggior parte dei reati furono in entrambi i secoli le contrade deputate al commercio, dove esercitavano il prestito ad interesse toscani ed ebrei. I protagonisti delle cause dibattute nel Banco dei Malefici appartenevano sovente alle persone di vile condizione soprattutto nel XV secolo quando si diffuse l’abitudine di cercare un compromesso attraverso lo strumento dell’arbitrato tra gli esponenti del ceto dominante. Sin dagli Statuti del 1350 si consigliava ai parenti coinvolti in un processo di trovare un accordo per evitare ulteriori tensioni ma fu solamente nel corso del secolo successivo che questa abitudine si diffuse in modo più consistente.43 Costoro furono spesso protagonisti di risse e più volte oggetto di denunce per le percosse inferte in una società che si manifesta come caratterizzata da una violenza ordinaria e occasionale44. Nel corso del XIV secolo l’aumento dei procedimenti inquisitoriali corrispose ad una crescita dell’uso dell’arbitrato, che permetteva di trovare una soluzione più veloce ai conflitti rispetto alla procedura ordinaria divenuta nel tempo più lenta e complessa.45
Bibliographie
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Archivi
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ADTs = Archivio Diplomatico di Trieste
VCD = Vicedomini
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Zorzi 1989 = A. Zorzi, Giustizia criminale e criminalità nell’Italia del tardo Medioevo: studi e prospettive di ricerca, in Società e Storia, XII, 1989, p.923-965.
Zorzi 1991 = A. Zorzi, Aspects de la justice criminelle dans les villes italiennes à la fin du Moyen Age, in Déviance et société, XV, 1991, p. 439-454.
10.3406/ds.1991.1244 :Zorzi 1997 =A. Zorzi, La justice pénale dans les États italiens (communes et principautés territoriales) du XIIIe au XVIe siècle, in X. Rousseaux e R. Lévy (a cura di), Le pénale dans tous ses États. Justice, États et sociétés en Europe (XIIe-XXe siècles), Bruxelles, 1997, p. 47-63.
Zorzi 2003 = A. Zorzi, Diritto e giustizia nelle città dell'Italia comunale (secoli XIII-XIV), in P. Monnet e O. G. Oexle (a cura di), Stadt und Recht im Mittelalter / La ville et le droit au Moyen Âge, a cura di, Göttingen 2003 (Veröffentlichungen des MaxPlanck-Institut für Geschichte, 174), p. 197-214.
Zorzi 2014 = A. Zorzi, La giustizia negli Stati Italiani del tardo Medioevo, in Lo Stato del Rinascimento in Italia, Roma, 2014, p. 441-460.
Notes de bas de page
1 Le conseguenze che si ebbero sulla trasmissione degli atti di natura notarile in originale e in registro in seguito alla decisione di far vicedominare i documenti sono state esaminate in alcuni studi ma sino ad oggi non è stata ancora prodotta un’analisi accurata sul perché solo a Trieste e non in tutte le città istriane si fossero persi i documenti autentici. Il primo studioso ad occuparsi di tale documentazione fu nella prima metà dell’Ottocento Pietro Kandler, che produsse un breve saggio apparso sulla rivista “l’Istria”, dove proponeva l’ipotesi di una derivazione dei vicedomini dalle istituzioni veneziane. L’articolo non suscitò l’interesse di altri studiosi nel periodo immediatamente successivo: Kandler 1846. La serie della Vicedominaria fu poi oggetto di indagine in un saggio pubblicato da Bloise 1982, alle p. 45-50 e 66-74. Di tale istituzione si sono occupati inoltre F. Antoni 1989, p. 319-335; F. Antoni 1991, p. 151-203; E. Maffei, 1994-97); E. Maffei 1999, p. 489-542; Amendolagine 2010-2011. Una schedatura completa della serie è stata fatta da Daniela Durissini, che si prefiggeva di garantire un servizio on-line per offrire una maggiore fruizione del materiale disponibile, ed è ora a disposizione degli studiosi presso l’Archivio Diplomatico di Trieste, dove è conservata la fonte. La vicedomineria era in uso anche a Muggia, dove è attestata negli Statuti risalenti ai primi anni Quaranta del XIV secolo, e in Istria: la pratica fu introdotta a Pirano nel 1332, anche se era già operante almeno fin dal 1325, e a Isola nel 1338. La magistratura è attestata anche a Capodistria, dove non è possibile risalire alla data esatta della sua introduzione a causa dell’incendio che avrebbe bruciato proprio le carte della vicedomineria nel 1380: Statuti di Muggia del sec. XIV 1972; Isola e i suoi Statuti 1887-1888-1889; Mayer 1910; Iona 1988, p. 99-108; Iona 1987, p. 413-416. Per un quadro complessivo dell’uso della vicedomineria in Istria si leggano i lavori prodotti da Darko Darovec: Darovec 1994a; Darovec 1994b, p. 37-54; Darovec 2006, p. 157-169; Darovec 2010, p.789-822. Sempre dell'autore sul periodo veneziano: Darovec 2015. Un'analisi della produzione storiografica sulla vicedomineria si legge in Davide 2013, p. 289-311, segnatamente p. 302-311.
2 Nella redazione statutaria del 1350 e in quelle successive era prevista la presenza di un vicedomino durante la stesura del testamento e la successiva immediata vicedominazione del documento, nonché la conservazione dell’originale nella vicedomineria, da dove poteva essere tratto soltanto nel caso in cui si dovesse redigere un altro atto, successivo al primo. Sui testamenti triestini e sulle norme statutarie si vedano Bloise 1980, p. 5-74; Durissini 1990, p. 181-190. Daniela Durissini ha poi avanzato una nuova analisi sui testamenti nel libro Economia e società a Trieste tra XIV e XV secolo: Durissini 2005, p. 172-190.
3 BCTs, ADTs, Statuta 1150 recte 1318, b. ßEE1, c. 61v. Renzo Arcon ritiene che la creazione di un archivio della vicedomineria possa essere anticipato come risulterebbe dalla redazione statutaria del 1318, precisamente nel quarto libro, nella quale si fa riferimento ai vecchi statuti (BCT, ADT, Statuta 1150 recte 1318, b. ßEE1, c. 155r): Arcon 2009, p. 132-140, a p. 133. Sulla fonte giudiziaria in generale si veda Cammarosano 1991; Cammarosano 2012, p. 223-248; Belloni 1991, p. 953-968; Lazzarini 1992, p. 825-845.
4 BCTs, ADTS, ßEE 1, Statuti del 1318, c. 62r. I registri della Cancelleria iniziano ad essere prodotti nel 1322. Va ricordato che i quaderni dei cancellieri non si estendevano ad un anno, come nel caso dei vicedomini in carica per un’annualità, ma coprivano solamente un arco di quattro mesi. I cancellieri e in genere gli altri magistrati triestini dovevano rimanere infatti in servizio solo per un Reggimento quadrimestrale. Sulla giustizia civile e sull’organizzazione della cancelleria a Trieste si veda Zacchigna 1982, p. 13.20 e p. 53-57; Davide – Durissini 2008, p. 112-117. Sul ruolo degli Stimatori cfr. Pillon 1992, p. 35-43 e 64-66. Dopo che la direzione delle aste pubbliche passò dagli stimatori all’ufficio della Cancelleria tutte le registrazioni relative ad esse furono fatte dagli stessi cancellieri determinando la scomparsa dei quaderni degli stimatori che riportavano fedelmente registrazioni di questo tipo; Addizione del 1388 e del 1395 agli Statuti del 1365 a c. 196v; Statuti di Trieste del 1421 1935, 46, De incantis factis per cancellarios palacii rubrica, p. 94-102.
5 Addizione agli Statuti del 1323: BCTs, ADTs, ßEE 1, Statuti del 1318 , c. 65v e c. 40v.
6 Sulla giustizia criminale triestina di epoca moderna, sulla scorta dell’analisi dei registri della serie del Banchus Maleficiorum, si veda Fraulini 1963-1964, p. 37-133; Chersi 1934, p. 1-45. Sulla giustizia penale nel Medioevo italiano si veda Zorzi 1997, p. 47-63; Zorzi 2003, p. 197-214.
7 Sulla formazione degli archivi storici di Trieste si veda Antoni 1990, p. 25-77. Sulla rivolta del 1368 cfr. Cusin 1937, p. 391-420.
8 BCTs, ADTs, Inventario atti Vicedomineria 1502, b. ßE 3. Un vero riordinamento dell’archivio non era stato condotto e gli addetti si erano concentrati solamente sui registri versati dopo il 1469: Antoni 1990, p. 40-41.
9 Gli inventari cinquecenteschi degli archivi comunali sono conservati nell’Archivio Diplomatico di Trieste nelle buste contrassegnate con ßE 3, ßE4 e ßE7.
10 BCTs, ADTs, Liber inventarii omnium scripturarum repertarum et existentium in vicedomineria communis, b. EE21.
11 La Risoluzione normale del 31 dicembre del 1732 è conservata in copia in BCTs, ADTs, b.12A1/6, n. 27.
12 Il piano per riordinare le varie serie, delle quali una era dedicata agli atti processuali, per costituire l’Archivio Diplomatico è contenuto in Istruzione per Procuratore Civico del 17 dicembre del 1828: BCTs, ADTs, 10 F VI; Antoni 1990, p. 56-77; Arcon 2008, p. 133-134.
13 Una prima analisi dei registri criminali triestini è contenuta nel saggio di Brischi 1982, p. 21-25, 57-59. I registri sono stati successivamente esaminati in Davide 2012b, p. 223-248, a p. 237-248. Sulla serie del Banchus Maleficiorum sono state fatte delle tesi di laurea: Gerbini 1986-1987; Petrina 1995-1996; Brumat 1996-1997; Urso 2004-2005; una delle tesi è stata pubblicata in due distinti saggi nell’Archeografo Triestino: Persi Cocevar 1982, rispettivamente a p. 47-141 e a p, 143-218. Una rielaborazione della tesi è stata proposta anche da Petrina 1998, p. 15-23.
14 Sull’assedio alla città e sulle cronache in cui si narrano gli avvenimenti si legga Degrassi 2007; Sardegna 1881-1882-1883, VIII (1881-1882), p. 325-378; IX (1883), p. 1-57; I (1883), p. 2111-283: 278. Sulla dominazione veneziana di Trieste e sui rapporti tra le due città si veda Cesca 1881; Bottazzi 2009, p. 61-80.
15 Antoni 1990, p. 53.
16 Statuti municipali del comune di Trieste 1849, p. 10.
17 BCTs, ADTs, Statuta 1150 recte 1318, b. ßEE1, Addizione XLI.
18 L’ammontare dalle pene pecuniarie faceva parte delle maggiori fonti d’entrata del Comune insieme all’introito ottenuto con la vendita degli appalti dei dazi. La norma CLXVIII si legge in Statuti municipali del comune di Trieste 1849, II, a p. 68. Sull’importanza degli introiti di giustizia cfr. Conti 1999, p. 75-76.
19 La documentazione prodotta dalle magistrature finanziarie di Trieste nel corso del XIV secolo non è completa. Per il periodo che va dal 1295 al 1369 si conservano trenta registri dei quali tredici dei camerari, quindici dei procuratori generali, undici quaderni di entrata e uscita e quattro contenenti vecchie condanne pecuniarie non riscosse. I registri sono legati in sette volumi fattizi e costituiscono la parte più antica del fondo archivistico Procuratores generales et camerarii e rispondono alla segnatura 3B. Nei registri ordinari le entrate di natura giudiziaria vengono sempre distinte dalle altre. A tali fonti vanno aggiunte quelle del Fontico prodotte dal fonticario, che rimaneva in carica da maggio a agosto, e doveva assicurare la disponibilità di almeno duemila staia di grano. Costui era tenuto a registrare tutte le operazioni fatte in due quaderni uguali, uno dei quali era depositato presso il podestà. Tale documentazione è conservata sempre nell’Archivio Diplomatico presso la Biblioteca Civica di Trieste con la segnatura 10A. Sull’uso di prendere in esame diverse tipologie documentarie complementari a quelle giudiziarie, comprendendo anche quelle più distanti come le fonti fiscali, per esaminare la giustizia e le sue implicazioni in modo completo cfr. Grendi 1987, p. 695-700, a p. 695; M. Sbriccoli 1988, p. 491-501, a p. 492. Sull’uso metodologico di queste fonti e sulla ricchezza dei risultati si è soffermato recentemente anche Zorzi 2014, p. 441-460, segnatamente a p. 442.
20 Statuti del 1350, I, XVIII, Rubrica de forma sacramenti protectoris et notarii malefitii, p. 69-71.Sul funzionamento della giustizia a Trieste nel XIV secolo si veda Davide 2009, p. 225-244; Davide 2008, p. 118-127.
21 Statuti municipali del comune di Trieste 1849, I, XXII, a p. 7.
22 Statuti del 1350 1930, I, XVIII, Rubrica de forma sacramenti protectoris et notarii malefitii, p. 69-71.
23 BCTs, ADTs, b. 2E2.
24 Cova 1965-1966, p. 75-117, a p. 80; il riferimento al quaderno delle consuetudini triestine si trova in BCTs, ADTs, Banchus Maleficiorum, II, c. 3r. La norma che assegna ai vicedomini il compito di tenere il quaderno delle consuetudini si trova in Statuti di Trieste del 1350 1930, III, XXXIII, a p. 337-338; Durissini 2005, p. 61-62.
25 Brischi 1982, p. XXIV.
26 Statuti del 1350 1930, cit., I, III, Rubrica de forma sacramenti potestatis seu vicarii loco potestatis, p. 33-38, a p. 34. Nella rubrica XXIII, De potestatis, judicum vel consulum acusatione, del primo libro degli Statuti del 1315 a p. 7 si dice: «Ordinamus quod accusatio potestatis, judicum vel consulum de injuria in ipsos facta vel dicta, non valeat nec teneat, sed procedi debeat secundum formam statutorum».
27 Tra i rari casi di sentenza motivata in modo più ampio si segnala quella scritta dal notaio Leonardo de Mesaltis nel quale gli imputati Artuico de Rivola, Iustus de Vrisngay, Nicola Copa e Borgogna de Mesaltis, probabile parente di colui che aveva predisposto la redazione dell’atto, vennero tutti assolti: BCTs, ADTs, Banchus Maleficiorum, VIII, c. 113rv.
28 Statuti municipali del comune di Trieste 1849, II, XXXVI, De querela non facta de maleficio infra VIII dies, a p. 44.
29 Persi Cocevar 1982, p. 149-150. Una chiesa scelta per l’ascolto delle testimonianze femminili fu quella di San Silvestro che sorgeva nella contrada di Castello.
30 Statuti di Trieste del 1350 1830, III, cap. XXXI, p. 336: «Ordinamus quod paisani civitatis Tergesti sunt et intelliguntur esse a terra Pirani et a civitate Aquileie ac etiam a Vualdis citra versus Tergestum conputatis etiam in hiis civitas Aquilegie et dicta terra Pirani. Insuper ordinamus quod dominium Tergesti facere debeat dictis paisanis, scilicet habitantibus a supradictis confinibus citra consimilem rationem quam ipsi paisani fatiunt seu facerent civibus Tergesti”.
31 Davide 2009, p. 236-237. Le rubriche prese in considerazione si ritrovano in Statuti municipali del comune di Trieste, 1849 II, LXII, De forensibus ad cives et contra: «de forensibus ad cives et de civibus ad forenses et de forensibus ad forenses, sit in libertate potestatis vel rectorum qui pro tempore fuerint, cum majori parte eorum et hoc intelligatur de omnibus statutis maleficiorum”. Sui diritti connessi alla cittadinanza e in particolare sul godere o meno di una buona fama nel sistema giuridico medievale e sulla condizione delle persone ritenute marginali nella società si vedano Vallerani 2005, p. 45-49 e p. 98-101; Kuhen 2003, p. 27-46; Migliorino 1985; Todeschini 2007, p. 86-96. Si vedano inoltre il saggio di Théry 2002, p. 119-147. Sulla costruzione giudiziaria della fama si legga Vallerani 2007, p. 93 -111. Sulla condizione di cives e sui diritti connessi alla cittadinanza nel Friuli medievale si legga Davide 2012a, p. 31-54.
32 Cova 1965-1966, p. 82.
33 Si sono conservati per la serie della Cancelleria ventitré registri e mezzo per il Trecento e ventidue per il Quattrocento. Tra i cancellieri potevano essere eletti anche coloro che non facevano parte del Maggior Consiglio ad esclusione dei daziari delle carni, delle taverne e del sale. Le scritture dei cancellieri godevano di pubblica fede sia che fossero relative ai placiti sia che riguardassero i procedimenti giudiziari: Davide – Durissini 2008, p. 112-113.
34 BCTs, ADTs, Statuta 1150 recte 1318 ,addizione a c. 23r.
35 Zacchigna 1982, p. 15.
36 BCTs, ADTs, Statuti del 1350, addizione a c. 23rv. Zacchigna 1982, p. 17; Durissini 2005, p. 161-163.
37 Zacchigna 2017, p. 182-183.
38 I cancellieri di cui abbiamo notizia, Amizo Mascolo, Iusto de Viana, Donato Ugolini, Iusto de Iudicibus , Mesalto de Mesalti, Giovanni de Rubeis, facevano parte del Consiglio Comunale: Zacchigna 2017, p. 186-187. Amizo Mascolo fu inoltre ambasciatore per conto del Comune: ADTs, VCD, XIII, cc. 72rv-73r.
39 Il testo della dichiarazione di fedeltà al patriarca del luglio del 1380 è stato edito da Joppi 1889, p. 1-17, a p. 9-15. Sugli avvenimenti che seguirono il giuramento di fedeltà al patriarca dalla guerra di Chioggia sino alla pace di Torino e infine sulla Dedizione all’Austria da parte della città nel 1382 dopo gli anni di dominazione veneziana e sulle motivazioni di tale scelta cfr. 1382. Appunti sulla dedizione di Trieste al duca d’Austria 1982; Cusin 1937, p. 9-63; Cervani 1982, p. 7-48; Cammarosano 2009a, p. 24-28; Bottazzi 2014, p. 133-164.
40 Cessi 1938, p. 3-6. Sugli statuti triestini si veda Cammarosano 2009b, p. 459-469.
41 BCTs, ADTs, Banchus Maleficiorum, IV, c. 73v. Nell’atto si legge: «Item quod secundum formam advocatorum, libro primo capitulo LVII, in quadam additione que loquitur quod licitum sit unamquamque persona possit advocare et advocationem facere extraordinarie pro unaquaque persona sine aliquo preiudicio quod statutum sive aditio dictus Petrus producit in suo favore”. L’addizione è contenuta in BCTs, ADTs, Statuta 1150 recte 1318, LVII.
42 Sul procedimento inquisitoriale cfr. Vallerani 2005, p. 77-80; Maffei 2005, p. 71-74. Sulle prove nei processi inquisitoriali cfr. Vallerani 2008, p. 123-142.
43 Statuti di Trieste del 1350 1930, III, Rubrica de conpromissariis erigendis in questionibus atinencium, a p. 338-339. L’uso dell’arbitrato è frequente anche per i reati di giustizia civile.
44 Sulla criminalità in Italia durante il Medioevo cfr. Zorzi 1989, p.923-965; Zorzi 1991, p. 439-454.
45 Un esempio della procedura giudiziaria in uso in città ai primi del Quattrocento si legge nella denuncia con sentenza definitiva di condanna del capitano della città Corrado Purgraff di Lunc e del suo luogotenente il giusperito Bartolomeo Bulli di Padova il 3 agosto del 1420 esaminata da Durissini 2004, p. 342-365; Pavanello 1990, p. 140-149.
Auteur
Università di Trieste - mdavide@units.it
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