Artemidoro di Efeso e le Colonne d’Eracle
p. 59-70
Texte intégral
1Riflettendo sul proprio metodo di lavoro soprattutto in relazione ai suoi predecessori Strabone1 ravvisava in Polibio, Posidonio e Artemidoro le fonti più importanti, specialmente riguardo alle distanze, per la stesura della propria opera geografica. Questa è l’unica occasione per la quale Artemidoro di Efeso, la cui akmé Marciano2 fissava nella 169a Olimpiada (104-100 a. C.), può sedersi alla mensa dei geografi, o filosofi. Strabone, infatti, nei Prolegòmena3, dove affronta la geografia dal punto di vista teorico riconducendola, come è noto, all’ambito della filosofia, esclude Artemidoro dall’elenco dei predecessori con i quali valga la pena discutere e dopo la critica ad Eratostene dedica le successive due sezioni alla critica di Posidonio e di Polibio4. Nei libri in cui descrive l’ecumene5, inoltre, Strabone non esita a rimproverarlo, come quando lo accusa di ingenuità per avere creduto che in Iberia il sole durante il tramonto sull’oceano è cento volte più grande, oppure di negligenza per avere descritto in maniera disordinata i fiumi dell’India6.
2Ora, il lungo brano in cui Strabone illustra la questione relativa all’ubicazione delle Colonne d’Eracle è un’altra conferma di questo atteggiamento fondamentalmente sprezzante nei confronti di Artemidoro, il cui destino, d’altro canto, dipende sostanzialmente dallo stesso Strabone, che ne ha tramandato i frammenti più consistenti per la comprensione dei Geographoùmena in 11 libri7. Accanto ai rimproveri, infatti, citazioni poco chiare e omissioni sono un altro esito di questa posizione negativa verso Artemidoro. Del dibattito sulle Colonne non v’è traccia nei Prolegòmena, come forse ci si aspetterebbe. La questione, è invece, ampiamente sviluppata nella descrizione della celebre Gadeira (odierno Cádiz)8, cui Strabone dedica, come sottolinea Gonzalo Cruz Andreotti9, uno spazio degno del più importante centro dell’estremo Occidente. Con ogni probabilità Strabone, rinunziando ad esaminare la controversia nei libri introduttivi, si lasciava guidare dalla fonte cui attingeva.
3Strabone non visitò l’Iberia. Egli, però, ebbe cura di utilizzare, accanto ad opere da cui non poteva assolutamente prescindere, come le Storie di Eforo o quelle di Timeo, scritti di autori che, per i più svariati motivi, vi si erano recati e, pertanto, avevano potuto riferire anche ciò che avevano visto e udito. Come Polibio10 e Posidonio11, anche Artemidoro fu in Iberia, ma non sappiamo quando: Luciano Canfora ipotizza durante la giovinezza12. Del viaggio, o forse dei viaggi, che Artemidoro effettuò nel Mediterraneo e nell’Atlantico sono certe soltanto alcune tappe: Roma, dove difese con successo gli interessi dell’Artemision dalla prepotenza dei publicani13, Alessandria, dove ammirò il parco con animali esotici annesso alla residenza dei Tolemei14, e l’Iberia atlantica, dove visitò Gadeira15 e capo Sacro (odierno Capo S. Vincente)16. Anche Polibio e Posidonio si recarono a Gadeira e come Artemidoro manifestarono interesse verso un singolare fenomeno naturale che si verificava all’interno dell’Herakleion17.
4François Lasserre18 riteneva che Strabone, nella stesura del III e del IV libro, dedicati rispettivamente all’Iberia e alla Gallia, avesse utilizzato come fonte unica Posidonio al quale, pertanto, risalirebbero tutte le citazioni degli autori a lui precedenti, Artemidoro compreso. E’ una ipotesi singolare, che comunque impone di chiedersi quale peso ebbe Posidonio nelle valutazioni espresse da Strabone sulle sue fonti: gran parte delle accuse contro Artemidoro, infatti, si trovano proprio nel III e nel IV libro e provengono da Posidonio19. L’ipotesi di Lasserre sembra ormai superata, ne resta, però, una forte impronta nella tendenza generalmente condivisa a ritenere che Strabone avrebbe ereditato e assimilato da Posidonio il disprezzo verso Artemidoro. Forse le cose saranno andate così, eppure talvolta la critica di Posidonio a Artemidoro sembra assumere la fisionomia di una vera e propria giustapposizione, creata apposta da Strabone, che in tal modo utilizzerebbe Posidonio per esprimere la propria polemica contro Artemidoro20.
5Per venire ora a Gadeira, le notizie raccolte da Strabone ruotano chiaramente attorno a tre punti, vale a dire l’attualità romana, il mito greco e la fondazione fenicia. Ciò che, invece, appare meno chiaro è l’articolato paesaggio insulare, con l’antistante costa iberica, con tutta probabilità perché Strabone, che non vi era stato personalmente, non riesce a controllare e quindi ad armonizzare le diverse fonti cui sta attingendo. Gadeira era un insieme di almeno tre isole (τὰ Γάδειρα), situato a poca distanza dalla linea di costa. Ma l’unica isola di questo piccolo arcipelago che nella descrizione straboniana si staglia con nettezza è quella più estesa, dove sorgevano su un’estremità la città di Gadeira e sull’altra il famoso Herakleion21. Una seconda isola, di dimensioni più modeste, si trovava di fronte a questa, dalla parte della città di Gadeira. Non è, d’altro canto, da escludere che al tempo di Strabone il termine Gadeira/Gades designasse soltanto l’isola più grande e la città omonima, conseguenza della dominante prospettiva romana da cui ormai si guardava a questa importante realtà politica, economica e culturale, mentre le fonti consultate dal geografo valorizzavano anche le restanti isole dell’arcipelago.
6Dopo avere ribadito la posizione di Gadeira, posta oltre le Colonne22 grosso modo davanti alla foce del Baetis (odierno Guadalquivir) a circa 750 stadi da Calpe23, Strabone24 apre la descrizione all’insegna di Roma, ricordando che la città, fatta ingrandire da Balbo Gaditano detto il “trionfatore”25, al quale risaliva anche la costruzione di un porto sulla costa iberica prospiciente, non era inferiore a nessun’altra dopo Roma per numero di cittadini romani, tra i quali vi erano ben 500 cavalieri, tanti quanti in nessuna città italica eccetto Patavium. Il geografo26 riprende, quindi, la questione della localizzazione di Erytheia27 nella versione dapprima di Ferecide di Atene (v sec. a. C.)28, secondo cui la mitica isola, dove Eracle si era recato per impadronirsi del bestiame di Gerione29, corrispondeva all’isola più estesa del piccolo arcipelago gadeirita, e poi di altri30, che invece ravvisavano Erytheia nell’isola situata di fronte. La fondazione di Gaderia e del santuario di Eracle è presentata da Strabone come terzo ed ultimo tentativo da parte dei Fenici di Tiro, ai quali un oracolo aveva ordinato di impiantare una colonia presso le Colonne31. Ora, è a questo punto che Strabone32 affronta la questione della loro ubicazione in un lungo brano in cui Artemidoro, come vedremo, è l’unico a rivestire un ruolo modesto e oscuro. La sezione successiva è dedicata all’Herakleion, di cui curiosamente non viene detto nulla dal punto di vista cultuale: il profilo del santuario, infatti, si sviluppa unicamente attorno al rilevante interesse “scientifico” che da tempo esso suscitava a causa dei particolari fenomeni naturali e astronomici che vi si potevano osservare. E così apprendiamo che oltre a Artemidoro, questi fenomeni avevano attirato l’attenzione di Polibio e di Posidonio. Notizie sulla singolare vegetazione locale, un albero dalle foglie «simili a spade», chiudono il grande affresco di Gadeira33.
7Vale la pena riportare per esteso la controversia sulla localizzazione delle Colonne34:
Alcuni identificano le Colonne con Calpe e Abilyx, il monte della Libia che gli sta di fronte, il quale secondo Eratostene35 si trova presso Metagonio, (nel territorio di) un popolo numidico. Secondo altri, invece, sarebbero le isolette situata ciascuna presso i due monti, delle quali una è chiamata «isola di Hera». Artemidoro36 menziona l’isola di Hera con il suo santuario, dice, però, che è un’altra, ma né il monte Abilyx né un popolo Metagonio (Ἀρτεμίδωρος δὲ τὴν μὲν τῆς Ἥρας νῆσον καὶ ἱερὸν λέγει αὐτῆς, ἄλλην δέ φησιν εἶναί τινα, οὐδ᾽ Ἀβίλυκα ὄρος οὐδὲ Μεταγώνιον ἔθνος). Alcuni trasportano qui anche le Plancte e le Symplegadi, ritenendo che queste siano le Colonne, che Pindaro37 chiama «porte di Gadeira», volendo dire che «Eracle vi giunse come meta estrema». Anche Dicearco38, Eratostene39, Polibio40 e la maggior parte dei Greci pongono le Colonne presso lo stretto. Gli Iberi e i Libii dicono che si trovano a Gadeira perché i luoghi presso lo stretto non somigliano affatto a delle colonne. Altri affermano che sono dette così le colonne di bronzo alte otto cubiti che si trovano nell’Herakleion di Gadeira, sulle quali è scritto il conto delle spese per la costruzione del santuario; coloro che vi giungevano alla fine del loro viaggio e vi compivano sacrifici di ringraziamento a Eracle contribuirono a diffondere la voce che quello fosse l’estremo confine della terra e del mare. Anche Posidonio41 ritiene che questa sia la spiegazione più credibile, mentre il racconto dell’oracolo e dei ripetuti tentativi sarebbe una menzogna fenicia 42.
8Dopo avere presentato ai suoi lettori le diverse opinioni che si erano formate riguardo all’ubicazione della Colonne Strabone43, partendo da quella di Posidonio, esponeva una serie di considerazioni per respingere le ipotesi gadeirite: ecco in sintesi il suo ragionamento. Il geografo cominciava riconoscendo che era sensato cercare i confini in colonne propriamente dette, poiché da tempo vi era la consuetudine di utilizzare colonne, o analoghi segnali, come torri o altari, per marcare i luoghi intesi come confine. E dopo avere fornito alcuni esempi, tra cui non mancavano cenni a Alessandro, Eracle e Dioniso, Strabone aggiungeva che era verosimile che quei luoghi, dopo la scomparsa dei segnali, assumessero la loro stessa denominazione. Osservando, quindi, che era antica consuetudine porre colonne, torri o altari in certi luoghi «più visibili» (ἐπιφανέστατοι), adatti perciò a segnare un confine, il geografo sottolineava che tra i più adatti vi erano sicuramente non solo gli stretti e i monti sovrastanti, ma anche le piccole isole. Fatta questa ampia premessa, Strabone tornava al caso specifico delle Colonne d’Eracle e mentre era incerto se scegliere tra lo stretto e le isole non aveva dubbi che Gadeira non potesse rappresentare le Colonne perché si trovava «nel mezzo di una grande costa che ha la forma di un golfo», e non in un luogo di confine. Neanche nell’Herakleion, però, si sarebbero potute collocare, perché il conto delle spese impiegate per la costruzione del tempio che si leggeva sui pilastri era stato inciso da commercianti, non da conquistatori: ma le Colonne d’Eracle, concludeva categoricamente Strabone, devono essere «monumenti dell’impresa grandiosa di quest’ultimo, non delle spese dei Fenici». Piegando ad una prospettiva rigorosamente geografica44 gli argomenti di Posidonio, Strabone lo metteva in contraddizione ma, così facendo, sviava l’attenzione dei suoi lettori dal cuore del ragionamento del filosofo: questi, infatti, ravvisando le Colonne nell’Herakleion, doveva avere agito sotto lo stimolo di ben altre considerazioni45.
9Dal brano appena esaminato risulta che anche Artemidoro, come Eratostene, Polibio e Posidonio, aveva partecipato al dibattito sulle Colonne; non è chiaro, però, che cosa pensasse esattamente al riguardo46. Sull’interpretazione del passo vi sono almeno due ipotesi, che si differenziano per il diverso significato da assegnare a ἄλλην. Secondo l’ipotesi prevalente47 il pronome si riferirebbe ad una “seconda” isola oltre a quella “di Hera” appena menzionata, intesa come una delle due isolette vicine ai due monti. Il significato della citazione, pertanto, sarebbe che Artemidoro poneva le Colonne presso le due isolette, situata l’una presso Calpe e l’altra presso Abilyx, una delle quali era appunto detta “di Hera”48. Secondo Stefan Radt49. invece, cui spetta il merito di avere proposto la lettura a mio avviso più convincente, il pronome si riferirebbe alla stessa isola “di Hera” appena menzionata, della quale, però, si vuole precisare che è “diversa” da quella situata presso l’uno dei due monti. Alla luce di questa lettura, pertanto, il senso della citazione di Artemidoro sarebbe che egli poneva le Colonne d’Eracle in un’isola “di Hera” che però non aveva niente a che fare con i monti dello stretto: questa, in ultima analisi, era l’opinione di Artemidoro50.
10Ma dove si trovava quest’isola? Lo apprendiamo dalla tradizione successiva a Strabone. Dichiarando di basarsi su Artemidoro Plinio, che ne utilizzò l’opera geografica sostanzialmente per le distanze51, calcolò la lunghezza dell’ecumene dall’India ad Herculis columnas Gadibus consacratas52. E Marciano53, il più grande estimatore di Artemidoro54, attestava chiaramente che mentre «alcuni pongono le Colonne presso il monte Calpe, altri invece, come Artemidoro, le collocano a Gadeira». E’ solamente grazie a Plinio e a Marciano, in ultima analisi, che apprendiamo che l’isola di Hera, dove Artemidoro poneva le Colonne, apparteneva al piccolo arcipelago gadeirita55: ne consegue che Artemidoro, insieme a Posidonio, rientrava a pieno titolo nel gruppo delle ipotesi gadeirite! Dal brano di Plinio56 dedicato alle isole dell’Atlantico, d’altro canto, su cui Claudio Schiano57 ha richiamato l’attenzione, sembra possibile essere ancora più precisi. Prima di descrivere l’isola su cui sorgeva Gades, Plinio si soffermava su quella di fronte e precisava che era detta “Erytheia” da Eforo e da Filistide e “Afrodisia” da Timeo e da Sileno58, mentre gli abitanti locali la chiamavano “Giunonide”. Così apprendiamo che l’isola di Hera in cui Artemidoro collocava le Colonne d’Eracle era quella che, nell’ambito del piccolo arcipelago gadeirita, era situata di fronte all’isola più estesa dove sorgevano, come si è detto, la città di Gadeira e l’Herakleion. Ciò potrebbe significare, prendendo spunto dall’ipotesi di Luciano Canfora59, che Artemidoro chiamasse Colonne d’Eracle lo stretto passaggio tra l’isola di Hera e la costa iberica antistante60. Qui, però, importa sottolineare con forza un punto: i lettori di Strabone difficilmente avrebbero compreso che Artemidoro poneva le Colonne a Gadeira, se non altro perché Strabone escludeva Artemidoro dal gruppo delle ipotesi gadeirite. Di fatto, nel brano in cui Strabone affrontava la questione delle Colonne d’Eracle, Artemidoro era l’unico di cui non veniva riferita chiaramente l’opinione.
11Lo stato frammentario dei Geographoùmena ci impedisce di conoscere le motivazioni che stanno alla base della scelta di Artemidoro; è possibile, tuttavia, fare una serie di riflessioni. Le sue letture spaziavano da Omero fino ad Agatarchide passando per Ecateo, Pitea, Eforo, Timeo, Eratostene, Polibio e Apollodoro61 e non è da escludere che egli si recò nell’Iberia atlantica per verificare le tesi di Eratostene sulle maree a capo Sacro62 e l’autopsia di Polibio sulla sorgente dell’Herakleion a Gadeira63. L’Herakleion era un antico e famoso santuario di natura oracolare, un complesso cultuale immenso e suggestivo situato su una spianata bagnata per un lungo tratto dall’oceano64. Alla venerazione di Melqart, l’originaria divinità fenicia, si era aggiunta in seguito quella di Eracle, l’eroe viaggiatore e civilizzatore, secondo un processo di assimilazione nel quale i riti, come precisava Manuel García y Bellido65, si erano mantenuti distinti, mentre la vocazione economico-commerciale del santuario aveva continuato a richiamare nuovi elementi religiosi. Di certo Artemidoro vide le stele di Melqart, che qualunque forma esse avessero costituivano il tratto distintivo del famoso culto fenicio66. Ma soprattutto poté constatare che i riti e le tradizioni orientali erano ancora vivi: l’assenza della statua di culto, i sacerdoti abbigliati in maniera peculiare e l’importanza del fuoco sacro67. All’interno del santuario, che grazie alla favorevole posizione geografica veniva utilizzato, come sottolineava Marie Laffranque68, come un vero e proprio osservatorio di fenomeni naturali e astronomici, si trovavano pozzi di acqua dolce che, soggetti ad un ciclo di flussi e di riflussi la cui portata era inversamente proporzionale all’altezza delle maree, alimentava da tempo la curiosità di molti. Strabone69 ha conservato il ricordo dell’interesse che questo singolare fenomeno naturale aveva suscitato, non solo in Silano70, lo storico di Annibale, ma anche in Polibio71, Artemidoro72, Posidonio73 e in Atenodoro74. Il geografo, tuttavia, mentre si sofferma ampiamente sulla spiegazione che del fenomeno avevano fornito Polibio, Posidonio e Atenodoro, sorvola su quella elaborata da Artemidoro, che si era appellato all’autorevolezza di Silano, poiché non la considera degna di attenzione e accusa entrambi di ignoranza.
12All’epoca della visita di Artemidoro la presenza romana all’interno dell’Herakleion, che si apprestava a diventare uno dei santuari più importanti delle province occidentali75, era consistente e evidente. Dal 206 a. C., quando Gadeira divenne civitas foederata, i generali romani impegnati in Iberia presero l’abitudine di sostare presso il santuario e lasciarvi offerte per ottenere la protezione del dio. E dal 168 a. C., quando dopo Pidna si era ormai avviato il passaggio dell’eredità di Alessandro dalla Macedonia a Roma, le offerte all’Eracle di Gadeira e di altri santuari si moltiplicarono. Se poi la statua di Alessandro ammirata da Cesare76 venne commissionata, come ipotizzò acutamente Jean Gagé77, da Quinto Fabio Massimo, figlio di Lucio Emilio Paolo, il vincitore di Pidna, Artemidoro poté certamente ammirarla e rendersi perfettamente conto che l’Herakleion di Gadeira era il luogo più adatto per propagandare l’aspirazione di Roma all’impero universale. Alla fine del ii sec. a. C. a Gadeira la romanizzazione era un processo ormai avviato e Artemidoro fu pronto a coglierla; quando era ancora adolescente, del resto, Efeso, la sua città natale, si preparava a diventare capitale della provincia d’Asia78, la prima provincia su suolo asiatico e, con tutta probabilità, egli fu spettatore dei primi lavori in campo urbanistico e architettonico destinati ad accogliere la nuova élite. In Iberia, tuttavia, Artemidoro poté andare ben oltre la pur importante registrazione della Ulterior e della Citerior (197 a. C.)79, sulla quale Pierre Moret80 ha recentemente richiamato l’attenzione, e segnalare da un lato la viabilità81, il mezzo più efficace e duraturo attraverso cui la provincializzazione agiva sul territorio, e dall’altro uno dei suoi più importanti esiti culturali, la diffusione dell’alfabeto latino82.
13L’esempio di Efeso, «il più grande emporio della provincia asiatica» secondo l’efficace definizione di Strabone83, al quale facevano capo i flussi commerciali provenienti dall’entroterra anatolico, dovette senz’altro facilitare in Artemidoro l’apprezzamento della favorevole posizione geografica di Gadeira, bacino di raccolta dei traffici commerciali dell’Iberia, così ricca di risorse di ogni genere. Come Pascal Arnaud84 ha sottolineato, Gadeira era il capolinea delle rotte mediterranee e Artemidoro, approdandovi con tutta probabilità da Roma piuttosto che da Alessandria, perché quello era l’itinerario marittimo più battuto, se ne rese perfettamente conto. Ma è da Gadeira che tradizionalmente si partiva per raggiungere le regioni atlantiche dell’Europa e della Libia. Annone, Imilcone, Eutimene, Pitea e Polibio si erano messi in mare da Gadeira per dirigersi chi verso nord lungo il litorale dell’Iberia e chi verso sud lungo il litorale della Maurusia85; Artemidoro si spinse oltre Gadeira, arrivando almeno fino a capo Sacro. E proprio alla fine del ii sec. a. C. Eudosso di Cizico, novello Eracle o Alessandro, secondo quanto attesta Posidonio si accingeva a salpare da Gadeira, nel suo ardito tentativo di raggiungere l’India86. Nella posizione liminare in cui si trovava, come sospesa tra Mediterrano e Atlantico, Gadeira sembrava ancora mantenere, viva e fresca, l’antica immagine lasciata da Pindaro, secondo cui «Eracle vi si era recato come meta estrema87, oltre la quale verso occidente non era possibile andare»88.
14Anche Artemidoro, come Polibio e Posidonio, cercò in Occidente le tracce dei viaggi degli eroi89, ma ignoriamo fino a che punto egli nei versi di Omero considerasse mescolate verità e finzione. E così Strabone90 non esitò a includere Artemidoro91 insieme a Posidonio92 e ad Asclepiade93 tra coloro che in Iberia, nell’entroterra di Abdera, avevano indicato la città di Ὀδύσσεια e il santuario di Athena. Sempre in Occidente Artemidoro cercò le tracce della spedizione di Eracle, ma Strabone, nel dibattito relativo alla localizzazione di Erytheia, continua a sorvolare su cosa egli pensasse. Questo dibattito, come si è detto, è ripreso da Strabone a proposito di Gadeira, ma il geografo lo aveva avviato nella descrizione della Turdetania94. Dopo avere annoverato Stesicoro95 tra i παλαιοί che chiamavano il Betis con il nome di “Tartessos” e Gadeira e le isole vicine con il nome di “Erytheia”96 Strabone97 proseguiva con Eratostene98, secondo cui Erytheia era, invece, un’ «isola felice» (νῆσος εὐδαίμωνος), e concludeva con Artemidoro99, che contestava questa affermazione: il geografo, però, si guarda bene dal dirci perché! Non sappiamo dove Artemidoro localizzasse la mitica Erytheia, ma la polemica contro Eratostene lascia pensare che egli mostrasse interesse autentico per le testimonianze degli «antichi», che da Stesicoro fino a Eforo passando per Ferecide avevano ambientato il mito di Gerione a Gadeira e nelle isole vicine, dove egli collocava le Colonne. Valorizzando la voce dei poeti, Artemidoro poteva convincersi di avere trovato le tracce del passaggio di Eracle, ma forse ebbero un certo peso anche le leggende locali, di cui era giunto a conoscenza durante il soggiorno a Gadeira. E’ nota l’attenzione che egli ebbe verso gli usi e costumi, come testimoniano i frammenti sulle tradizioni in vigore presso gli abitanti della Celtica100, dell’Etiopia101, della Licia102 e dell’Iberia103. Secondo Luciano Canfora104 l’accuratezza con cui Artemidoro descrive un rito che da tempo immemorabile si svolgeva a capo Sacro lascia pensare che egli stesso potesse avervi preso parte105. Rientra in questo genere di interessi per le tradizioni del posto anche la tendenza ad accordare fiducia alle storie che circolavano tra i mercanti. Per avere creduto ai mercanti di Gadeira, che raccontavano di Lotofagi emigrati dalla Cirenaica fino alla Libia oltre i Maurusi, Artemidoro106, che non ignorava le teorie di Cratete di Mallo (ii sec. a. C.), si guadagnò un aspro rimprovero da parte di Strabone107. Ma per lo stesso motivo il geografo non aveva esitato a rimproverare anche Posidonio, che nel lungo racconto dell’impresa di Eudosso108 si era basato proprio sulle storie dei mercanti di Gadeira.
15Per venire ora alle conclusioni, ponendo le Colonne tra le isole di Gadeira Artemidoro metteva a frutto la sua visione pragmatica e la sua personale esperienza. Recuperava la leggenda di Eracle celebrata dagli antichi poeti e il mito di Melkart difeso dagli abitanti del posto. Tra l’viii e il vi sec. a. C., con lo sviluppo della colonizzazione greca, Eracle aveva affrontato Gerione in Occidente, come replica alla ormai consolidata presenza dei Fenici, specialmente a Gadeira e a Lixus (odierno Larache)109, che ospitavano il culto di Melkart. Ma alla fine del ii sec. a. C., nel processo di romanizzazione ormai avviato, le svariate tradizioni locali si ricomponevano sotto lo sguardo universale di Eracle Gaditano che ne favoriva e garantiva la convivenza e il rinvigorimento. Artemidoro valorizzava altresì la posizione strategica dell’isola —termine e inizio delle grandi navigazioni mediterranee e atlantiche— e assumeva una posizione polemica nei riguardi di Eratostene, secondo la cui visione razionalistica soltanto Calpe e Abilyx avevano i requisiti topografici del confine. Come Eratostene anche Artemidoro utilizzò gli itinerari per stimare le dimensioni degli spazi geografici, con una decisa preferenza per gli itinerari terrestri, che i Romani organizzarono in una rete viaria sempre più articolata ed efficiente, ma non ne rielaborò i dati in un sistema geometrico e tanto meno mostrò interesse per la griglia di paralleli e di meridiani. Egli, insomma, rimase legato ad una concezione essenzialmente odologica dello spazio110. Ma, soprattutto, Artemidoro metteva in discussione un caposaldo geografico, che Strabone difende tenacemente riepilogando un dibattito in cui assegna un ruolo di second’ordine ad Artemidoro. Per i lettori di Strabone Posidonio non era certo l’unico a porre le colonne nell’Herakleion, dal momento che il geografo lo presenta come la voce di un coro; il filosofo era, però, la voce più autorevole e la scelta di aprire la discussione proprio da lui deriva dal fatto che apparteneva alla schiera di coloro con i quali valeva la pena discutere. Da questa schiera, però, era escluso Artemidoro, di cui Strabone non riferisce neanche la posizione, come ne aveva taciuto l’opinione su Erytheia e sulla sorgente dell’Herakleion. Non deve, pertanto, stupire la sua assenza dal novero degli «uomini di grande fama» (ἄνδρες ἀξιόλογοι) di Efeso111. Comunque sia, Gadeira entrò nella tradizione letteraria per designare come fretum Gaditanum112 e πορθμός Γαδειραῖος (stretto di Gadeira)113 lo stretto tra il mare interno e l’oceano.
Notes de bas de page
1 Strabone, X, 3, 5.
2 Marciano, GGM, I, p. 566, 31-33: è l’unica data che abbiamo su Artemidoro.
3 Strabone, I-II, ed. Aujac, sui libri introduttivi, pp. 3-57 e ed. Cordano, Amiotti; Roller, 2018, pp. 3-123.
4 Strabone, I, 2 e II, 1(Eratostene); II, 2, 3 (Posidonio) e II, 4 (Polibio): vedi Engels, 2013.
5 Strabone, III-XVII. Sulla struttura delle geografie ecumeniche vedi Prontera, 1984, pp. 216-231, su quella straboniana in particolare vedi Dueck, 2000, pp. 145-188 e Pothecary, 2005.
6 Strabone, III, 1, 5 (Iberia) = Stiehle, 1856, fr. 12 e Strabone, XVI, 1, 72 (India) = Stiehle, 1856, fr. 109.
7 Engels, 2012, pp. 151-155. I frammenti di Artemidoro sono raccolti da Stiehle, 1856, che ne individuò 138. Per un quadro della loro complicata storia “editoriale” vedi Canfora, 2008, pp. 5-15. Sulla base di una citazione di Ateneo, III, 111 d = Fr.Gr.Hist., 438, fr. 1 Artemidoro potrebbe avere composto Ἰωνικὰ ὑπομνήματα (Memorie della Ionia) autonome rispetto all’opera geografica, ma la questione è tuttora aperta: vedi Canfora, 2010, p. 60. Sui Geographoùmena vedi Bunbury, 1883, pp. 61-69; Berger, 1903, pp. 525-529; Thomson, 1948, p. 210; Pédech, 1976, pp. 135-140; Alonso Núñez, 1980; Schiano, 2008, pp. 87-125. Sul cosiddetto “papiro di Artemidoro” vedi Gallazzi, Kramer, Settis, 2008; Canfora, 2010, pp. 167-331; Marcotte 2010a.
8 Strabone, III, 3-10.
9 Cruz Andreotti, 1994, p. 71.
10 Polibio si recò in Iberia nel 151 e poi nel 134 a. C.: vedi Pédech, 1964, p. 563 sqq.
11 Secondo Kidd, 1988, p. 16, Posidonio fu in Iberia tra il 100 e il 90 a. C.
12 Vedi Canfora, 2010, pp. 48-63 e 102-109.
13 Strabone, XIV, 1, 26 = Stiehle, 1856, fr. 127.
14 Strabone, XVI, 5, 15 = Stiehle, 1856, fr. 97.
15 Strabone, III, 5, 7 = Stiehle, 1856, fr. 14.
16 Strabone, III, 1, 4 = Stiehle, 1856, fr. 13; Strabone, III, 1, 5 = Stiehle, 1856, fr. 14.
17 Strabone, III, 5, 7: vedi Canfora, 2010, pp. 46-47.
18 Strabone, ed. Lasserre, 1966, pp. 4-7.
19 Strabone, III, 1, 5 = Stiehle, 1856, fr. 12; Strabone, III, 5, 5 = Stiehle, 1856, fr. 10; Strabone, III, 5, 7 = Stiehle, 1856, fr. 14; Strabone, IV, 4, 6 = Stiehle, 1856, fr. 36. Al di fuori dell’Iberia e della Gallia un’altra polemica di Posidonio contro Artemidoro sembrerebbe trovarsi in Strabone, XVII, 3, 10 = Stiehle, 1856, fr. 79 riguardo ai fiumi della Libia: vedi Schiano 2010, p. 22.
20 Sull’impiego di Artemidoro da parte di Posidonio: Norden, 1923, pp. 466-470; Laffranque, 1964, pp. 180-181; Alonso-Núñez, 1979, p. 644; Canfora, 2010, pp. 73-75.
21 Ora la situazione topografica è completamente diversa, soprattutto a causa dell’avanzata del mare e delle alluvioni del Guadalete, con la conseguenza che Cádiz sorge su una penisola: vedi Strabone, ed. Cruz Andreotti, García Quintela, Gómez Espelosín, 2007, p. 387.
22 Per Strabone, come del resto per gran parte dei Greci, le Colonne si trovavano sullo “stretto” (odierno Gibilterra), tra Calpe (odierno Gibraltar’s Rock) e Abilyx (odierno Djebel Musa).
23 Vedi Strabone, III, 1, 8, dove è indicata una distanza di 800 stadi.
24 Strabone, III, 5, 3.
25 Stando a Cicerone, Ad Atticum, XII, 12 l’ampliamento avvenne intorno al 46 a. C. L. Cornelio Balbo Gaditano, nipote dell’omonimo famoso console, fu il primo cittadino romano di origine provinciale a ricevere l’onore del trionfo nel Foro Romano, dove celebrò la vittoria sui Garamanti e altri popoli libici: Plinio, V, 36; Tacito, Annales, III, 72; Dione Cassio, Storia Romana, LIV, 12. Per le notizie relative alla sua epoca Strabone potrebbe avere utilizzato l’opera storica di Asinio Pollione: vedi Strabone, ed. Lasserre, 1966, pp. 7-11.
26 Strabone, III, 5, 4.
27 Strabone apre tale questione in III, 2, 11.
28 Fr.Gr.Hist., 3, fr. 18.
29 La leggenda, celebrata da Stesicoro nella Gerioneide (Page, 1962, frr. 181-186), è narrata per esteso come decima impresa compiuta dell’eroe da Diodoro, IV, 17-24, su cui vedi il commento di Mariotta, Magnelli, 2012, pp. 71-81, e da Apollodoro, Biblioteca, II, 5, 10, su cui vedi il commento di Frazer, pp. 242-245.
30 Grazie a Plinio, IV, 120 ne conosciamo alcuni.
31 Sull’attendibilità storica delle ripetute spedizioni fenicie vedi Bunnens, 1986, sulla data di fondazione di Gadeira vedi Escacena, 1985.
32 Strabone, III, 5, 5-6.
33 Si tratta della Dracaena drago, o “albero del drago”, attualmente diffuso nelle isole Canarie.
34 Seguo il testo Strabone, ed. Lasserre, 1966, pp. 86-87: vedi ed. Radt, 2002, pp. 438-441.
35 Berger, 1964, fr. III B 58.
36 Stiehle, 1856, fr. 10.
37 Pindaro, Carmina cum fragmentis, ed. Snell, fr. 256.
38 Wehrli, 1969, fr. 121.
39 Berger, 1964, fr. III B 58.
40 Polibio, XXXIV, 9, 4.
41 Posidonius, ed. Edelstein e Kidd, fr. 246.
42 Strabone, III, 5, 5. Kidd, 1988, pp. 848-851 offre un lucido prospetto delle ipotesi indicate da Strabone. Sulla questione delle Colonne: Amiotti, 1987; Bonnet, 1988, pp. 233-236; Cataudella, 1989 e 1990; Bianchetti, 1990, pp. 39-73; Antonelli, 1997, pp. 151-160; Strabone, ed. Cruz Andreotti, García Quintela, Gómez Espelosín, pp. 367-370; Canfora, 2010, pp. 110-116.
43 Strabone, III, 5, 6.
44 Strabone, ed. Cruz Andreotti, García Quintela, Gómez Espelosín, p. 292.
45 Kidd, 1988, pp. 850-851.
46 Per l’ipotesi che nel testo di difficile interpretazione potrebbe esservi una lacuna vedi Les géographes grecs, ed. Marcotte, pp. 156-158.
47 Così Strabone, ed. Lasserre, 1966, p. 87; ed. Jones, 1923, p. 137; ed. Trotta, 1996, p. 205; ed. Cruz Andreotti, García Quintela, Gómez Espelosín, p. 286; Roller, 2014, p. 180.
48 Così anche Kidd, 1988, p. 848; Antonelli, 1997, p. 153 e Roller, 2018, p. 168. Strabone, ed. Lasserre, 1966, p. 87 precisava che Artemidoro, ponendo le Colonne sulle due isolette, non faceva che seguire la tradizione attestata da Euctemone (v sec. a. C.), apud Avienus, Ora Maritima, 350-356. Le Colonne erano poste sulle due isolette anche da Pseudo-Scilace, 1, 69, 111, su cui vedi il commento di Peretti, p. 154, e da Pseudo-Scimno, 143-146, su cui vedi il commento di Marcotte, pp. 156-158: vedi González Ponce, 2008a.
49 Strabone, ed. Radt, 2002, p. 439. Così anche Schiano, 2010, p. 101.
50 Vedi Talbert, 2000, mappa 26.
51 Secondo Sallmann, 1971, pp. 60-64, Plinio non avrebbe attinto all’opera geografica di Artemidoro direttamente, ma tramite una fonte latina intermedia, con tutta probabilità Varrone.
52 Plinio, II, 242 = Stiehle, 1856, fr. 1.
53 Marciano, GGM, I, p. 543, 14-15 = Stiehle, 1856, fr. 9.
54 Prontera, 2007, p. 517.
55 Era detta “isola di Hera” per la sua relazione con Tanit: così Strabone, ed. Cruz Andreotti, García Quintela, Gómez Espelosín, p. 387.
56 Plinio, IV, 119-120.
57 Schiano, 2010, pp. 100-101.
58 Plinio, IV, 120: Eforo, Fr.Gr. Hist., 70, fr. 129; Filistide, Fr.Gr. Hist., 11, fr. 3; Timeo, Fr.Gr. Hist., 566, fr. 67 e Sileno, Fr.Gr. Hist., 175, fr. 7. Su Eforo vedi il commento di Parmeggiani, 2011, pp. 684-685.
59 Canfora, 2010, pp. 110-111.
60 Vedi Strabone, III, 1, 8; Mela, III, 46; Plinio, IV, 119.
61 Susemihl, 1891-1892, t. I, p. 695.
62 Strabone, III, 2, 11 = Stiehle, 1856, fr. 11.
63 Strabone, III, 5, 7 = Stiehle, 1856, fr. 14.
64 Bonnet, 1988, pp. 207-225. Vedi García y Bellido, 1963, pp. 100-134 e Mierse, 2004, pp. 555-578.
65 García y Bellido, 1963, p. 112.
66 Bonnet, 1988, pp. 219-220. Vedi García y Bellido, 1963, pp. 114-120 e Mierse, 2004, pp. 566-568.
67 Silio Italico, Punica, III, 24-30. Sulla valorizzazione di Silio Italico come fonte per gli aspetti architettonici e cultuali dell’Herakleion, vedi Mierse, 2004, p. 551 e sqq.
68 Laffranque, 1964, pp. 188-189.
69 Strabone, III, 5, 7.
70 Fr.Gr.Hist., 175, fr. 9.
71 Polibio, XXXIV, 9, 5.
72 Stiehle, 1856, fr. 14.
73 Posidonius, ed. Edelstein e Kidd, fr. 217.
74 Fr.Gr.Hist., 746, fr. 6.
75 Mierse, 2004, p. 545.
76 Suetonio, Caesar, 7 e Dione Cassio, Storia Romana, XXXVII, 52.
77 Gagé, 1940, p. 431.
78 Tra il 133 e il 129 a. C. secondo Crawford, 1990, p. 103. Per le complicate vicende della organizzazione della provincia d’Asia, vedi Kallet-Marx, 1995, pp. 97-122.
79 Costantino Porphirogenito, De thematibus, 21 = Stiehle, 1856, fr. 21. E’ questo il frammento che compare, seppure in una versione leggermente diversa, nel cosiddetto “papiro di Artemidoro” (col. IV, ll. 1-14): vedi Gallazzi, Kramer, Settis, 2008, pp. 213-220 e Canfora, 2008, pp. 221-242.
80 Moret, 2012a, p. 428.
81 Plinio, II, 242 = Stiehle, 1856, fr. 1.
82 Costantino Porphirogenito, De thematibus, 23 = Stiehle, 1856, fr. 22.
83 Strabone, XIV, 1, 14: vedi ibid., XII, 8, 15 con commento di Biffi, 2009, p. 189.
84 Arnaud, 2005, p. 158 sqq.
85 Su questi e altri viaggiatori ed esploratori dell’antichità vedi Cordano, 1992, p. 32 sqq.
86 Strabone, II, 3, 4-5 = Posidonius, ed. Edelstein e Kidd, fr. 49. Su Eudosso e la sua impresa vedi Amiotti, 2004 e Habicht, 2013.
87 Pindaro, Carmina cum fragmentis, ed. Snell, fr. 256.
88 Nemea, IV, 69. Per il ruolo di Pindaro nella tradizione sulle Colonne d’Eracle vedi Albaladejo Vivero, 2005, pp. 315-321.
89 Per il contesto generale in cui maturò l’esegesi della geografia omerica vedi Prontera, 2011, sulla difesa di Omero da parte di Strabone, vedi Biraschi, 1984 e 2005. Per Polibio vedi Walbank, 1979, p. 577 sqq., per Posidonio vedi Kidd, 1988, p. 766 sqq.
90 Strabone, III, 4, 3.
91 Stiehle, 1856, fr. 16.
92 Posidonius, ed. Edelstein e Kidd, fr. 247.
93 Fr.Gr.Hist., 697, fr. 7. Su Asclepiade di Mirlea (ii-i sec. a. C.) vedi Alonso-Núñez, 1978. I frammenti omerici sono editi da Pagani (Asclépiade de Myrléa, I frammenti degli scritti omerici).
94 Strabone, III, 2, 11.
95 Page, 1962, fr. 184.
96 A quanto pare Stesicoro fu il primo a localizzare la mitica Erytheia nell’area di Tartesso: vedi Cruz Andreotti, 1991.
97 Strabone, III, 2, 11.
98 Berger, 1964, fr. III B 122: vedi Erodoto, IV, 8, 2, che poneva Erytheia davanti all’arcipelago gadeirita. Ecateo, Fr.Gr.Hist., 1, fr. 26, invece, che ambientava il mito di Gerione in Epiro, negava l’esistenza di Erytheia.
99 Stiehle, 1856, fr. 14.
100 Strabone, IV, 4, 6 = Stiehle, 1856, fr. 36.
101 Strabone, XVI, 4, 5 = Stiehle, 1856, fr. 96.
102 Ateneo, VIII, 333 f = Stiehle, 1856, fr. 121.
103 Strabone, III, 4, 17 = Stiehle, 1856, fr. 23.
104 Canfora, 2010, pp. 117-123.
105 Strabone, III, 1, 5 = Stiehle, 1856, fr. 13.
106 Strabone, III, 4, 3. Vedi ibid., XVII, 3, 8 = Stiehle, 1856, fr. 77.
107 A Cratete risaliva, come è noto, la teoria del cosiddetto “exoceanismo”. Su Cratete vedi Cratete di Mallo, I frammenti, ed. Broggiato, 2001. Con tutta probabilità Artemidoro, dal punto di vista di Strabone, praticava con troppa disinvoltura l’esegesi della geografia omerica, perciò non è da escludere che il geografo alludesse anche a lui nel brano in cui prendeva di mira i “cattivi” interpreti di Omero (III, 2, 14). Sui Lotofagi nella tradizione antica vedi Bianchetti, 2000.
108 Cordano, 1992.
109 Moulay Rchid, 1989.
110 Panichi, 2013.
111 Strabone, XIV, 1, 25: vedi Engels, 2005, p. 136 e Biffi, 2009, p. 28.
112 Plinio, III, 5 sqq.
113 Plutarco, Sertorius, 8 e Arriano, Iberikè, 65.
Auteur
Università degli Studi di Perugia
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