Lettere durante lo scisma
Anastasio Bibliotecario e i Bizantini falsificatori
p. 313-324
Texte intégral
1Anastasio Bibliotecario, nato all’inizio del ix secolo e morto intorno all’879, fu uno degli uomini di primo piano nella Roma del terzo quarto del ix secolo. Ricordato spesso per la sua biografia movimentata e per l’elezione ad antipapa nell’8551, egli fu forse uno dei traduttori di maggior rilievo di tutta l’epoca altomedievale2. Grazie alla sua erudizione e al suo profondo radicamento negli equilibri politici tra le partes romane, egli ricoprì incarichi di grande prestigio nel palazzo lateranense: a partire dall’862 fu dictator del pontefice Niccolò I3, svolgendo la medesima funzione anche per i successori, Adriano II e Giovanni VIII4; inoltre, a partire all’867, assunse anche il ruolo di bibliothecarius lateranense5. Parallelamente gli stretti rapporti intessuti con Ludovico II, lo portarono a svolgere due delicate missioni diplomatiche, una a Costantinopoli nell’869-870, l’altra a Napoli nell’8716; nel medesimo anno egli fu dictator della lettera che Ludovico II inviò al collega bizantino Basilio I7.
2Considerato l’eminenza grigia dei pontificati di Niccolò I, Adriano II e Giovanni VIII, Anastasio fu coinvolto nelle principali questioni degli anni Sessanta e Settanta del ix secolo: attraverso lo svolgimento delle sue attività di dictator egli elaborò una buona parte delle lettere dei tre pontefici, nonché la celeberrima missiva dell’imperatore Ludovico II. La produzione epistolare prevedeva infatti che la redazione intellettuale del testo fosse affidata a una persona diversa da colui nel nome del quale la lettera era inviata (Aussteller). La commissione della fase compositiva a una persona diversa dall’autore implicava la sussistenza di un forte legame fiduciario tra questi e il dictator; inoltre, il collaboratore doveva essere perfettamente in grado di adeguare la propria prosa alle esigenze comunicative espresse dall’autore in modo più o meno dettagliato ed elaborato, nonché allo specifico contesto comunicativo all’interno del quale l’epistola era redatta, al rapporto passato e futuro con il destinatario, all’adesione (o all’abbandono) di specifici modelli epistolari. Il risultato della combinazione di tutte queste variabili è un testo all’interno del quale la reciproca influenza del dictator e dell’autore è tale che l’intervento dell’uno non può essere separato da quello dell’altro8.
3È questo il caso delle epistole redatte attraverso la collaborazione anastasiana: tradizionalmente trasmesse sotto il nome dell’autore che le ha inviate, esse contengono al loro interno forme retoriche e soluzioni comunicative peculiari e originali elaborate da Anastasio e influenzate dalle intenzioni comunicative dei suoi committenti. Ciascuna delle lettere è quindi il prodotto di specifici e circostanziati momenti compositivi, che inevitabilmente ne influenzano fortemente non solo gli aspetti contenutistici, ma anche la struttura retorica e la forma stilistica. Particolarmente interessanti da questo punto di vista sono le lettere redatte in occasione dello scisma di Fozio. Intorno all’858 il patriarca di Costantinopoli Ignazio fu deposto, esiliato e sostituito dal laico Fozio9. I sostenitori di Ignazio cercarono il supporto di Roma e papa Niccolò I iniziò con Costantinopoli un ricco carteggio, progressivamente sempre più teso, allo scopo di restituire il trono patriarcale a Ignazio. A questa occasione di conflitto si aggiunsero questioni dottrinali e dogmatiche, dovute ai diversi usi liturgici esistenti tra la chiesa di Roma e quella di Costantinopoli ed emerse in occasione della recente conversione al cristianesimo del kahn dei Bulgari Boris10.
4Fu probabilmente in questo contesto di tensione e di costanti contatti con il mondo costantinopolitano che il pontefice ebbe bisogno di un personaggio in grado non solo di tradurre il greco, ma anche di comprendere il mondo bizantino; Anastasio divenne così il dictator delle lettere di Niccolò I. Il coinvolgimento del futuro bibliothecarius nelle vicende dello scisma di Fozio si manifestò anche in occasione dell’VIII concilio ecumenico: oltre a partecipare come legato imperiale all’ultima sessione del concilio, Anastasio legò il suo nome alla trasmissione in Occidente degli atti del Costantinopolitano IV; egli infatti tradusse il testo greco e, come d’abitudine, la traduzione fu corredata da una lettera prefatoria11, il cui scopo era quello di fornire numerose informazioni utili alla contestualizzazione e alla comprensione dell’opera12.
5Buona parte delle fonti principali riguardanti l’evoluzione dello scisma di Fozio sono quindi di produzione anastasiana: da un lato, le lettere papali, che rappresentano l’esplicitazione, attraverso le forme retoriche scelte dal dictator, della linea politica condotta da Niccolò I; dall’altro, la lettera prefatoria alla versione latina degli atti dell’VIII concilio ecumenico; questa, a causa della lunghezza e della ricchezza dei temi trattati, eccede il topos della brevità epistolare e può essere considerata una sorta di opuscolo storico-politico, veicolante la costruzione della memoria degli eventi degli anni Cinquanta e Sessanta del ix secolo13.
6Tali lettere saranno quindi indagate con lo scopo di definire attraverso quali meccanismi stilistico-retorici e attraverso quali espressioni si manifestò e si interpretò il conflitto tra Roma e Costantinopoli.
7Gli scambi epistolari tra Oriente e Occidente furono caratterizzati da una crescita progressiva della violenza verbale. Il tono del primo carteggio inviato il 25 settembre 86014, così come quello del secondo, datato 18 marzo 86215, appare calmo e conciliatorio: il papa pregava infatti i propri interlocutori di esaminare nuovamente la deposizione di Ignazio e l’elezione di Fozio; la forza persuasiva dell’epistola era affidata a un’ampia argomentazione piuttosto che a espressioni di riprovazione e di veemente richiamo. I toni risultano molto più tesi già nel terzo e nel quarto carteggio, inviati il primo16 a Costantinopoli nell’865, in risposta a una lettera tota blasphemia, tota […] iniuriis plena17 («tutta piena di blasfemie e di insulti»), il secondo18 nell’866; in particolare nell’ultima lettera indirizzata a Michele III i toni sono esasperati e i moniti papali si fanno particolarmente veementi. L’acme dello scontro tra Roma e Costantinopoli è però raggiunto non più in una lettera inviata in Oriente, ma in un’epistola destinata ai vescovi franchi il 23 ottobre 86719: dopo il concilio costantinopolitano convocato nei mesi precedenti, al termine del quale Niccolò I fu scomunicato, le comunicazioni papali con Fozio e con Michele III si interruppero; il pontefice interpellò direttamente i vescovi franchi affinché convocassero un concilio che potesse rispondere alle accuse dottrinali e alle usurpazioni messe in atto da parte bizantina20. L’arenga della lettera indirizzata in Francia contiene una dettaglia spiegazione delle ragioni che condussero al conflitto riguardo all’illegittima elezione del laico Fozio: furono l’invidia per i privilegi papali e l’odio nutrito contro Niccolò I a infiammare l’imperatore Michele III e il cesare Basilio e a spingerli ad agire con malvagità ai danni della Chiesa romana21. L’interpretazione delle azioni bizantine come mosse da malvagità e da cattiveria è una costante all’interno dell’epistola: infatti attraverso una metafora nautica di ampia tradizione si evocano esplicitamente le abituali insidie attuate dai Bizantini ai danni della Chiesa di Roma22; inoltre, i comportamenti bizantini sono giudicati negativamente da numerosi termini facenti riferimento alla sfera semantica della malvagità23 e della pazzia24.
8Simili giudizi negativi ricorrono anche nella lettera prefatoria alla traduzione degli atti dell’VIII concilio ecumenico. Nonostante lo scisma di Fozio fosse stato riassorbito, le occasioni di conflitto con Costantinopoli continuarono a manifestarsi nell’ambito della definizione della dipendenza delle diocesi bulgare. Per questa ragione, nella dettagliata ricostruzione del contesto storico all’origine di tali conflitti, Anastasio individua ancora una volta le ragioni della tensione nell’odio e nell’invidia nutriti dai Bizantini: mossi da questi deprecabili sentimenti, questi ultimi iniziarono a progettare macchinazioni contro il pontefice. Il biasimo per le azioni condotte dai Bizantini cresce progressivamente all’interno di questa frase: da un generico accenno ai diversa ingenia («diverse invenzioni») elaborati dai Bizantini, l’espressione munera post munera («azione dopo azione») genera un senso di accumulazione che raggiunge il suo climax dispregiativo con la locuzione sophistica argumenta («cavillosi argomenti»)25. La diffamazione dei Bizantini continua nel testo epistolare attraverso espressioni come Grecorum astutia («l’astuzia dei Greci») e Grecorum fraus26 («l’inganno dei Greci»): l’uso del genitivo plurale Grecorum in accompagnamento a due termini così fortemente negativi aggiunge una sfumatura particolare al significato dell’espressione, trasmettendo così il messaggio che l’astuzia e l’inganno siano caratteristiche tipiche e connaturali ai Bizantini. Nello stesso testo epistolare, Anastasio aggiunge l’accusa di avidità27 e nell’ultima parte della lettera, fa una lunga lista di tutti gli episodi storici durante i quali i Bizantini cercarono di privare il papa dei propri privilegi28. Nella salutatio conclusiva dell’epistola la diffamazione dei Bizantini è portata alle estreme conseguenze: Anastasio sottolinea come l’epistola prefatoria e la traduzione da lui eseguita possano diventare per il pontefice un’arma di difesa contro le insidiarum muscipola («trappole delle insidie»)29.
9Si può notare quindi come sia nelle lettere redatte per conto di Niccolò I sia nell’epistola prefatoria, pur nella diversa ampiezza delle formulazioni, vi siano alcuni temi ricorrenti e alcune accuse simili, che afferiscono tutte a un gruppo omogeneo di rappresentazioni negative dei Bizantini come malvagi, fraudolenti, subdoli, folli. Si tratta di immagini usali e stereotipate, sviluppatesi già in epoca antica, che traggono origine da un comune senso di alterità e che si manifestano ciclicamente nei momenti di maggiore tensione tra Oriente e Occidente come strumento di esternazione del conflitto30.
10L’uso di simili espressioni da parte di Anastasio è del tutto tradizionale: in un momento particolarmente delicato, la tensione politica si esplicita anche attraverso la denigrazione verbale dell’avversario; questa operazione di esasperazione del conflitto attraverso la diffamazione è condotta da Anastasio per mezzo di un ampio repertorio tradizionale di epiteti ingiuriosi. Un simile atteggiamento non deve essere quindi interpretato come l’indizio di una vera e propria avversione verso il mondo bizantino. È innegabile che Anastasio avesse una profonda conoscenza della lingua greca, della produzione letteraria, delle istituzioni e della storia bizantine e che non abbia perso occasione per mostrare la propria erudizione, la dipendenza dal patrimonio culturale greco e la fascinazione intellettuale da esso subita31. Anastasio mostrò una grandissima abilità e flessibilità nello sfruttare e adattare costantemente le proprie conoscenze alle singole occasioni politiche e compositive contingenti: facendo leva talvolta sull’elogio e sulla celebrazione culturale, talvolta su una tradizionale denigrazione «etnica» Anastasio oscilla tra i due poli della celebrazione e della diffamazione, adeguando il proprio giudizio alle specifiche intenzioni del testo elaborato. Un simile atteggiamento cangiante non deve essere tacciato di opportunismo: si tratta piuttosto della manifestazione delle scelte comunicative funzionali al discorso politico veicolato dalla lettera nella quale sono inserite.
11Nell’ambito delle forme tradizionali della diffamazione, la propensione alla falsificazione e alla menzogna è sfruttata in modo particolarmente ricorrente all’interno delle lettere redatte da Anastasio. Nella già citata epistola di Niccolò I indirizzata ai vescovi franchi, gli aggettivi falsus («falso») e mendax («bugiardo») sono usati in costante riferimento alle accuse mosse contro Roma e contro il papa nei documenti redatti a termine del concilio costantinopolitano dell’86732; inoltre, all’interno delle epistole papali molti aspetti dello scisma di Fozio sono tacciati di fucus falsitatis33 («inganno della falsità»).
12Un particolare uso di questo gruppo tematico di ingiurie è contenuto nella lettera prefatoria agli atti dell’VIII concilio ecumenico, in particolare nella descrizione dello svolgimento del concilio costantinopolitano dell’867, definito conciliabolum, al termine del quale il pontefice Niccolò I fu scomunicato34. Il passo è dominato dalla ripetizione dei termini falsus («falso»), falsadicus o falsarius («falsario»), mendax («bugiardo»), caratterizzanti negativamente ogni aspetto del concilio: la ripetizione di tali termini, afferenti a una stessa sfera semantica e talvolta accomunati dalla medesima etimologia, non può che enfatizzare l’accusa di falsità, minando così la validità di ogni aspetto delle decisioni conciliari e trasmettendo l’impressione che qualsiasi cosa provenga da Costantinopoli possa essere inficiata dal sospetto di falsità. Tale accusa è sfruttata in molteplici contesti e con funzioni così eterogenee da racchiude al suo interno tutta la varietà di sfumature proprie del termine falsus: esso infatti sottende la creazione di falsi vescovi, la mancanza di sincerità nelle testimonianze rese, la non autenticità delle sottoscrizioni e la conseguente produzione di atti conciliari falsificati, che non hanno fondamento di verità e quindi di validità.
13In particolare, l’aspetto concernente la falsificazione e la non autenticità di alcuni testi sembra essere un elemento particolarmente significativo nell’opera di diffamazione condotta all’interno delle epistole papali: infatti in due passi si afferma la sussistenza di una certa familiarità dei Bizantini nei confronti della falsificazione. Niccolò I richiama alla memoria dell’imperatore Michele III che i Bizantini hanno falsificato le lettere inviate da papa Adriano I al tempo del VII concilio ecumenico di Nicea (787)35: l’attacco è così violento che il papa rievoca la memoria di un preciso episodio36, ma la specificità dell’evento non impedisce di concludere che la falsificazione sia un Grecorum mos («costume dei Greci»). Un’analoga formulazione diffamatoria nei confronti dei Bizantini riguarda le epistole condotte a Costantinopoli dai legati Radoaldo di Porto e Zaccaria di Anagni: la manomissione del testo, operata all’atto della traduzione dal latino al greco, spinge il pontefice Niccolò I a concludere che la falsificazione è un’attività comune tra i Bizantini37. La stessa accusa, espressa attraverso termini molto simili, è contenuta nella lettera prefatoria anastasiana38. Questa affermazione prepara il terreno a una ben più vivida e pittoresca descrizione delle modalità pratiche con le quali i Bizantini falsificano abitualmente i testi latini: ogni possibile atto di falsificazione testuale, come aggiunte, tagli, interpolazioni di brani, durante o dopo i concili, in presenza o in assenza degli altri convenuti, è esemplificato in poche righe, enfatizzando la negatività e l’esecrabilità di tali azioni fraudolente39.
14Se si considera inoltre che nelle lettere papali vi sono frequenti moniti affinché non sia operata alcuna manomissione delle lettere inviate40, la preservazione dell’autenticità delle lettere latine trasmesse a Costantinopoli appare quindi come un problema molto pressante e sembra rappresentare una questione fondamentale nella corretta gestione delle comunicazioni tra Occidente e Oriente. È da notare che in tutti questi casi la falsificazione è fatta esclusivamente durante la traduzione dei testi dal latino al greco. Il passaggio da una lingua all’altra rappresenta infatti un momento delicato, durante il quale frasi, parole, espressioni possono mutare radicalmente significato sia involontariamente sia dolosamente. Non è infatti da escludere che brani considerati inammissibili possano essere deliberatamente omessi o interpolati all’atto della traduzione, con lo scopo di escludere tutto ciò che contrasti con la linea politica del destinatario del messaggio. Attraverso una simile strategia comunicativa si rende manifesta e si impone la propria superiorità nei confronti del mittente, attuando un tentativo di prevaricazione sull’interlocutore che ha conseguenze esplosive nella gestione dei rapporti. Effetti particolarmente conflittuali si manifestano chiaramente nelle comunicazioni tra Oriente e Occidente: i frequenti episodi di non conformità delle traduzioni greche ai testi latini genera nelle risposte papali una violenta risposta, fondata sia sull’evocazione di precisi episodi di manomissione testuale sia sull’utilizzo di topos diffamatori legati all’immagine dei Bizantini come falsari.
15La frequente realizzazione di traduzioni poco fedeli compiute da parte bizantina presenta però un’altra spiegazione, strettamente legata alla polemica linguistica sussistente tra Roma e Costantinopoli: all’interno di due epistole, una inviata dall’imperatore Ludovico II, l’altra dal pontefice Niccolò I, entrambe redatte con la collaborazione anastasiana, si accusano i Bizantini di non possedere una buona conoscenza della lingua latina; tale ignoranza causa traduzioni poco chiare, con frasi barbare e incomprensibili41. Tali generiche accuse di incompetenza e di ignoranza appaiono talvolta ben circostanziate: infatti in una glossa anastasiana agli atti dell’VIII concilio ecumenico si dichiara espressamente che l’omissione di alcuni passaggi nella versione greca del testo è stata causata dall’ignoranza linguistica dei traduttori costantinopolitani42.
16Nelle difficili comunicazioni tra Oriente e Occidente si possono quindi trovare due diverse spiegazioni del problema delle infedeli traduzioni dal latino al greco: da un lato, la diffamazione tradizionale e spesso circostanziata dei Bizantini come falsari; dall’altro, l’accusa di ignoranza del latino. Si tratta in entrambi i casi di ricostruzioni negative e denigratorie degli eventi di manomissione, sfruttate in diversi momenti della tensione tra Roma e Costantinopoli con lo scopo costante di denigrare i Graeci.
17Vi sono infine altre occasioni nelle quali la falsificazione è associata allo scambio epistolare tra Roma e Costantinopoli: infatti nell’865, in una lettera inviata a Michele III, Niccolò I nota che alcune lettere precedentemente ricevute da parte orientale sono caratterizzate da toni troppo violenti e blasfemi43; egli avanza quindi l’ipotesi che qualcuno abbia manomesso le epistole prima del loro invito. Nella lettera inviata l’anno successivo, dopo aver ricevuto una missiva dalle parole eccessivamente veementi e irrispettose, il pontefice avanza per la seconda volta la medesima ipotesi44; segue un invio molto sollecito a una scrupolosa indagine per chiarire quanto avvenuto nella cancelleria bizantina. In questi casi le parole del pontefice sembrano suggerire che la presunta falsificazione sia stata attuata all’interno del palazzo costantinopolitano a danno delle lettere imperiali prima del loro invio.
18È legittimo chiedersi se le lettere bizantine mostrassero effettivamente forme e linguaggi offensivi e blasfemi non avvallati dall’imperatore; in realtà, una progressiva esasperazione dei toni è costantemente e coerentemente perseguita dall’imperatore Michele III: l’atto culminante di questa linea politica sarà la scomunica impartita a Niccolò I. È quindi probabile che le lettere bizantine contenessero toni particolarmente violenti e accusatori nei confronti del pontefice, espressione dell’acutizzarsi del conflitto causata dal tentativo, perseguito da entrambe le parti, di imporre la propria posizione. È probabile quindi che il pontefice fosse ben consapevole del fatto che Michele III stesse deliberatamente attaccando l’interlocutore. Le affermazioni del pontefice non derivano quindi da veri dubbi circa l’autenticità delle lettere45, ma rappresentano piuttosto l’applicazione di uno strumento diplomatico di lungo corso46: avanzando l’ipotesi di una avvenuta falsificazione delle lettere ricevute, si forniva l’occasione affinché l’interlocutore ritrattasse le proprie affermazioni senza contraddirsi. Infatti, l’evocazione dell’intervento di un falsificatore è del tutto fittizia e funzionale alla risoluzione di un particolare momento di difficoltà e di stallo nello svolgimento delle negoziazioni. Si tratta quindi di un «eine goldene Brücke» («un ponte d’oro»)47 che appartiene ai possibili discorsi delle trattive diplomatiche e che ha numerose attestazioni, anche nelle epistole prefatorie dello stesso Anastasio48. I due passi citati delle lettere di Niccolò I non appartengono quindi alle forme di diffamazione tradizionale dei Bizantini e non costituiscono nemmeno un effettivo episodio di falsificazione, evocato con l’obiettivo di denigrare l’interlocutore, ma sono piuttosto il pretesto per dare vita a comunicazioni più concilianti.
19Michele III non accettò la proposta del pontefice, ma il suo successore sì. Infatti, secondo la ricostruzione proposta nel Liber pontificalis, i legati papali inviati a Roma nell’868 affermarono che Basilio non era a conoscenza degli scambi epistolari intercorsi precedentemente tra Roma e Costantinopoli49; inoltre, la sottoscrizione degli atti conciliari dell’867 non era autentica, ma opera di una falsificazione attuata da un ebriosissimus («ubriachissimo») Michele III50. La natura stessa della fonte rende impossibile determinare se le affermazioni dei legati provenissero da specifiche indicazioni impartite dall’imperatore prima della loro partenza da Costantinopoli oppure se essi si trovarono costretti ad accettare una soluzione diplomatica suggerita da parte papale51. In ogni caso, dopo la successione al trono imperiale di Basilio, le trattative tra Roma e Costantinopoli poterono ripartire grazie al ponte diplomatico fornito dalle ipotesi di falsificazione.
20Nella manifestazione e nella descrizione successiva delle tensioni inerenti allo scisma di Fozio è messa in atto una puntuale diffamazione dei Bizantini. Essa si manifesta in particolar modo attraverso l’evocazione del concetto di falso, di falsità e di falsificazione costantemente attribuito da parte romana agli interlocutori costantinopolitani. Tale processo si concretizza sia retoricamente attraverso la frequente attestazione di termini afferenti alla sfera semantica della falsità e della menzogna, sia contenutisticamente attraverso l’evocazione di specifici episodi storici di manomissione testuale, legati costantemente all’atto della traduzione dal latino al greco. Questi episodi sono giustificati in due differenti modi: da un lato esemplificano la propensione bizantina alla falsificazione; dall’altro suggeriscono l’incapacità linguistiche dei traduttori. La denigrazione attuata attraverso il topos della familiarità con la falsificazione si amplia così a una polemica di ambito culturale.
21Diverso è il discorso nel caso dell’avanzamento di ipotesi di falsificazione delle lettere bizantine prima del loro invio in Occidente: non si tratta qui di una denigrazione condotta secondo modelli tradizionali, ma di una strategia diplomatica volta a fornire il pretesto per il superamento di una impasse nelle negoziazioni. Il fatto che i legati di Basilio I, nel racconto fornito dalla Vita Hadriani, attribuiscano la riconosciuta falsificazione al defunto Michele III è un elemento del tutto accessorio e appartenente a specifiche forme di delegittimazione dell’imperatore ucciso e di giustificazione del colpo di mano di Basilio I, pienamente adottate anche da parte papale52 in un contesto di pacificazione, seppur precaria, con il nuovo imperatore.
Notes de bas de page
1 Per una puntuale ricostruzione della biografia anastasiana, si veda Arnaldi, 2000; in generale su Anastasio e sulle sue attività si veda Cò, 2019.
2 L’attività di traduttore di Anastasio è stata ampiamente studiata; per una descrizione generale si vedano Arnaldi, 1990; Id., 1997; Chiesa, 2001; Leonardi, 1988. Da consultare con prudenza i più recenti contributi Neil, 2006 e Forrai, inedito. Per un elenco delle traduzioni eseguite da Anastasio si consulti Compendium Auctorum Latinorum Medii Aevi, vol. 1.2, pp. 208-210; il repertorio è da utilizzare con prudenza perché contiene alcuni errori. Da preferirsi Valtorta, 2006, pp. 17-38 e Chiesa, Castaldi, 2005, vol. 2, pp. 87-103, anche se quest’ultimo rende conto solo di alcune opere.
3 La collaborazione tra Anastasio e Niccolò I fu ipotizzata per la prima volta in Lapôtre, 1978, pp. 223-250; per una dimostrazione più dettagliata e per la datazione dell’avvio della collaborazione si veda Perels, 1920, pp. 214-217, 242-258.
4 La collaborazione tra Anastasio e Adriano II è stata studiata in Ertl, 1937-1938; il contributo anastasiano alla corrispondenza di Giovanni VIII è stato indagato in Lohrmann, 1968, pp. 225-290.
5 La definizione della struttura della cancelleria pontificia e dei compiti affidati ai singoli personaggi tradizionalmente formulata dalla diplomatica del xix e xx secolo è stata messa in discussione negli ultimi anni; per una presentazione della questione si veda Kortüm, 1995.
6 Sulle due missioni si vedano rispettivamente Arnaldi, 1980 e Id., 1963.
7 Per la dimostrazione dell’attribuzione si veda Henze, 1909.
8 Sulle origini, sulla scelta, sulle funzioni dei dictatores papali e sul loro ruolo nella scelta delle citazioni da introdurre nei messaggi papali si veda Lohrmann, 1968, pp. 225-233; per riflessioni sul ruolo del dictator e sul rapporto collaborativo e fiduciario sussistente con l’autore si vedano Constable, 1976, p. 42; Génicot, 1972, p. 16.
9 In generale sullo scisma di Fozio si vedano Dvorník, 1953; Stiernon, 1998; si veda anche più brevemente Perrone, 1993.
10 Per una rapida introduzione alla questione della dipendenza delle diocesi bulgare si vedano Curta, 2006, pp. 147-179 e relativa bibliografia; Hannik, 2004; Herbers, 2011.
11 La lettera è stata recentemente pubblicata in una nuova edizione, comprendente anche la traduzione latina degli atti (Gesta octavæ synodi); nel presente contributo si preferirà la nuova edizione dell’epistola rispetto a quella contenuta nei Monumenta Germaniae Historica e ci si riferirà alla fonte con l’espressione Præfatio. Sulle vicende della tradizione latina degli atti si veda Leonardi, 1987.
12 Sull’uso dei modelli antichi e sull’eccezionalità delle traduzioni anastasiane nel panorama letterario dell’alto medioevo si vedano Chiesa, 2001; Id., 2002, pp. 479-482. Le epistole prefatorie sono concepite sin dalla loro stesura come veri e propri prodotti letterari, destinata a una circolazione ben più ampia di quella indicata nell’inscriptio; a questo proposito si vedano Ricciardi, 2005, p. 76; D’Acunto, 2000, p. 63. Le lettere anastasiane inoltre rispondono a un preciso programma politico-culturale; a questo proposito si vedano Arnaldi, 1997; Chiesa, 2001; Leonardi, 1988.
13 Sull’uso di tale topos si vedano Constable, 1976, pp. 19-20; D’Acunto, 2000, pp. 49-52. Sulla possibile applicazione della definizione di «lettere poligrafe» si veda Ricciardi, 2005, p. 76.
14 Niccolò I [Nicolas Ier], Epistolae, no 82, pp. 433-439; Jaffé, Regesta pontificum romanorum, ed. Loewenfeld et alii (J3) 5729, Regesta imperii, vol. 1, t. IV, fasc. 2-2 (RI) 525 (a Michele III); no 83, pp. 439-440, J3 5730, RI 526 (a Fozio).
15 Niccolò I, Epistolae, no 84, pp. 440-442, J3 5768, RI 572 (a tutta la comunità dei fedeli); no 85, pp. 442-446, J3 5769, RI 569 (a Michele III); no 86, pp. 447-451, J3 5771, RI 570 (a Fozio).
16 Niccolò I, Epistolae, no 88, pp. 454-487, J3 5980, RI 777 (a Michele III).
17 Ibid., p. 454, r. 33. Il termine iniuria ritorna assai spesso nella prima parte della lettera a ribadire la necessità di una risposta (ibid., p. 455, rr. 14, 22, 31; p. 456, r. 40; p. 459, r. 5).
18 Niccolò I, Epistolae, no 90, pp. 488-512, J3 6022 (a Michele III); no 91, pp. 512-533, J3 6023 (al clero di Costantinopoli); no 92, pp. 533-540, J3 6024 (a Fozio); no 93, pp. 540-544, J3 6025 (a Barda); no 94, pp. 544-547, J3 6026 (a Ignazio); no 95, pp. 547-548, J3 6027 (a Teodora); no 96, pp. 549-552, J3 6028 (a Eudocia Decapolitissa); no 97, pp. 552-553, J3 6029 (ai senatori costantinopolitani); no 98, pp. 553-565, J3 6030 (alle diocesi di Lybia e Asia); RI 823-831.
19 Niccolò I, Epistolae, no 100, pp. 601-609, J3 6073, RI 857.
20 Sul concilio convocato a Worms e sulla successiva redazione degli opuscoli contra Graecos si vedano Hartmann, 1989, pp. 301-306; Mormino, 2017.
21 Niccolò I, Epistolae, no 100, p. 601, rr. 16-23: Hi enim odio et invidia contra nos inflammati quae inferius adnotabimus nobis quasi crimina hereseos inpingere moliuntur. Odio quidem, quia Photii adulteri et invasoris ecclesiae Constantinopolitanae atque neophiti a depositis et anathematizatis factam promotionem non solum non approbavimus, sed et damnavimus, fratris scilicet et comministri nostri Ignatii, eiusdem ecclesiae patriarchae, deiectionem utpote a subiectis et ab imperiali potentia factam nullo suscipientes assensu; invidia vero, quia regem Vulgarum Michahelem nomine cum gente sua Christi fide suscepta a sede beati Petri institutores et doctrinam expetisse audierunt. Il tema dell’invidia come causa determinante le azioni bizantine ritorna in un passo successivo (ibid., p. 605, rr. 4-11).
22 Ibid., p. 602, r. 36-p. 603, r. 1: Videbatur enim nobis iter navale satis difficile et propter eorundem Grecorum expertas insidias valde cavendum.
23 Si fa infatti costante riferimento alla nequitia dei Bizantini («perfidia»; ibid., p. 601, r. 33) e al clamor malorum da loro compiuti («clamore dei mali»; ibid., p. 601, rr. 30-31). A completamento di questa denigrazione ricorre anche l’avverbio callide («astutamente»; ibid., p. 601, r. 25); questo termine ricorre anche in altri passi delle lettere papali (Niccolò I, Epistolae, no 92, p. 539, r. 7; no 93, p. 541, r. 38).
24 L’insistenza su questa accusa è espressa attraverso l’uso di termini come vecordia («pazzia»; ibid., no 100, p. 605, r. 4) e vesania («follia, stoltezza»; ibid., p. 604, r. 28). In particolare quest’ultima accusa ricorre spesso anche in altri contesti a commento di passate occasioni di conflitto tra la Chiesa romana e quella costantinopolitana, per esempio l’interpretazione delle vicende in cui fu coinvolto papa Ormisda (ibid., no 88, p. 469, r. 2) e la persecuzione di Teodoro Studita (Anastasio Bibliotecario, Epistolae, no 18, p. 442, rr. 9-11).
25 Id., Præfatio, p. 21, rr. 439-442: Quæ de die in diem audientes invidiunt, et tantæ gloriæ avidi, ut eum possint a Romana sede avertere, diversa requirunt ingenia, munera post munera numerosa mittentes et sophistica ei argumenta crebrerrime proponentes. L’odio e l’invidia sono presenti anche nel discorso pronunciato da Cirillo-Costantino a Fozio con lo scopo di farlo desistere dalla persecuzione di Ignazio (ibid., p. 13, rr. 194-203).
26 Rispettivamente: ibid., p. 24, r. 552; ibid., p. 23, r. 443.
27 Ibid., p. 16, r. 286: non sanctitatis sed avaritiæ cultores.
28 Ibid., p. 21, r. 442-p. 23, r. 504; questo lungo elenco aneddotico è preceduto da un’altra precisa ricostruzione delle azioni condotte da parte bizantina ai danni di Roma (ibid., p. 19, r. 394-p. 20, r. 410).
29 Ibid., p. 24, r. 553-p. 25, r. 558: Ne ergo Grecorum suatim astutia, quin potius dolositas, etiam circa præsentem synodum agat, hæc me admonendi causa dixisse sufficiat. […] Unde quisquis sapientiæ ac prudentiæ pennis ad alta sustollitur, omnia insidiarum muscipula, quæ a Grecis in infimis tendi poterint alto contemplationis saltu transcendet.
30 Sulla specifica rappresentazione dei Bizantini in queste lettere si veda Herbers, 1993. Per una rapida disamina dello sviluppo di questi topoi diffamatori si vedano Hunger, 1984; Id., 1987; Veyrard-Cosme, 2000; Brown, 1988; Kujawiński, 2006; per i richiami alla tradizione classica confluiti in specifici contesti si veda Cilento, 1977.
31 Si notino anche i frequenti giudizi positivi e i termini laudatori destinati ad alcuni personaggi, come Giorgio Sincello (Anastasio Bibliotecario, Epistolae, no 7, p. 420, rr. 2-11), Teofane il Confessore (ibid., rr. 11-18), Costantino-Cirillo (ibid., no 13, p. 433, rr. 18-21; no 15, p. 436, rr. 21-22), Metrofane di Smirne (ibid., no 15, p. 437, rr. 6-7), Teodoro Studita (ibid., no 18, p. 442, rr. 5-11); in particolare sul ruolo di Teodoro Studita nel progetto culturale di Anastasio si veda Platagean, 1988, pp. 447-449. In generale per un’interpretazione del progetto politico-culturale all’interno del quale la sua amplissima attività di traduttore si sviluppa si veda Leonardi, 1988 e Arnaldi, 1997.
32 Niccolò I, Epistolae, no 100, p. 602, r. 25: falsas obieciones; ibid., p. 604, r. 15: falso insimulare; p. 605, r. 6: [le accuse] falsa sunt; p. 608, r. 25: mendaciter; p. 608, r. 31: tam inventores mendaciorum quam fabricatores perversorum dogmatorum; tale espressione ricorre identica in: ibid., no 90, p. 508, r. 2; ibid., no 91, r. 19.
33 L’espressione, riferita alle accuse fondanti la deposizione di Ignazio, è presente in ibid., no 85, p. 444, r. 19; ibid., no 90, p. 490, r. 15. A questi esempi si aggiungono le attestazioni contenute nelle lettere redatte da Anastasio: in questo contesto l’espressione è sfruttata per dimostrare l’assenza di qualsiasi sospetto sull’attendibilità della traduzione degli atti conciliari (Anastasio Bibliotecario, Præfatio, p. 24, r. 544).
34 Ibid., p. 11, r. 147-p. 12, r. 160: … et, quod horribilius est, conciliabolum præsidente Michahele imperatore colligit, falsos homines quasi vicarios Orientalium sedium format, accusatores muneribis armat et mendaciis construit […]. Verum iste falsarius falsadicorum excessuum adversus insontem absentem et invictum mendacem codicem compilat, mille circiter antistitum subscriptiones falsas interserit, sibi nemine prorsus consentiente vel conscribente ex illa numerosa episcoporum multitudine nisi uno et viginti præsulibus. Su questo concilio si veda Thümmel, 2005, pp. 444-451.
35 Niccolò I, Epistolae, no 88, p. 457, rr. 28-29: … epistola beatae memoriae praesulis Hadriani […] si tamen non falsata Graecorum more, sed sicut a sede missa est apostolica penes ecclesiam Constantinopolitanorum hactenus perseverat.
36 Il testo delle due lettere papali, una indirizzata da papa Adriano I all’imperatrice Irene e al figlio Costantino VI, l’altra a Tarasio, è fortemente epitomato nella versione greca degli atti del VII concilio ecumenico; Anastasio, in quanto ultimo traduttore di tali atti conciliari, segnala le differenze tra le due versioni in una glossa apposta al testo tradotto (Concilium universale nicaenum secundum, vol. 1, p. 163, rr. 4-9). Inoltre, negli atti dell’VIII concilio ecumenico, allo scopo di ricostruire l’episodio di manipolazione del’787, il Bibliotecario appone una glossa alla lettera di Niccolò I inviata a Fozio nell’862 (Gesta octavæ synodi, glossa 55, p. 131). Per la ricostruzione degli eventi che portarono alla manomissione e per un’analisi delle glosse anastasiane si vedano Lamberz, 1997; Id., 2001; Id., 2002; Maccarrone, 1991; Speck, 1998, pp. 160-185. Quasi tutti gli studiosi hanno sostenuto che la manomissione della lettera papale sia da considerarsi contemporanea agli eventi; la postdatazione della manomissione all’epoca di Fozio è stata sostenuta solo in Wallach, 1977, pp. 226-228.
37 Niccolò I, Epistolae, no 90, p. 496, rr. 4-6: … apud Graecos, sicuti nonnulla diversi temporis scripta testantur, familiaris est ista temeritas.
38 Anastasio Bibliotecario, Præfatio, p. 23, rr. 509-511: … familiaris est illis ista præsumptio et singularis quodammodo ambitionis indicium.
39 Ibid., p. 24, rr. 536-541: Sic igitur, sic Greci accepta occasione celebratorum universalium conciliorum frequenter egisse clarescunt et nunc minuendo, nunc addendo vel mutando, nunc in absentia sociorum, nunc in abscondito angolorum, nunc extra synodum, nunc post synodum astutia sua immo fraude communibus sanctionibus abutuntur, et ad suos libitus cuncta, quæ sibi visa fuerint, etiam violenter inflectunt.
40 Tali moniti si concentrano nella salutatio finale delle lettere e hanno forme molto simili, quasi formulari; Niccolò I, Epistolae, no 88, p. 487, rr. 18-23: Quisquis autem hanc epistolam nostram Constantinopoli legerit et Augustissimo filio nostro imperatori Michaheli quicquam ex his, quae in ea scripta sunt, occultaverit, si locum apud illum potest invenire sufficientem, anathema sit. Quisquis etiam interpretatus eam fuerit et ex ea quicquam mutaverit vel subtraxerit aut superaddiderit, praeter illud, quod idioma Graecae dictionis exigit vel interpretanti scientia intellegendi non tribuit, anathema sit; no 91, p. 533, rr. 6-11: Quisquis autem hanc epistolam nostram Constantinopoli legerit et eorum notioni, quibus missam esse intellexerit, quicquam ex his, quae in ea sunt, occultaverit, si locum potest invenire sufficientem, anathema sit. Quisquis etiam interpretatus eam fuerit et ex ea quicquam mutaverit vel subtraxerit aut superaddiderit, praeter illud, quod idioma Grecae dictionis exigit vel interpretanti scientia intelligendi non tribuit, anathema sit. Inoltre un’intera epistola, destinata al messaggero latore di una lettera indirizzata a Michele III, redarguisce in modo molto severo da eventuali manomissioni (ibid., no 89, J3 5987, RI 779).
41 Ibid., no 88, p. 459, rr. 22-23: Ad extremum autem, si iam saepe nominatam linguam ideo barbaram nuncupatis, quoniam a translatoribus in Graecam dictionem mutata barbarismos generat, non linguae Latinae, sed culpa est, ut opinamur, interpretum, qui quando necesse est non sensum e sensu, sed violenter verbum edere conantur e verbo; Ludovico II, Epistola, p. 115, rr. 6-15: Postremo scito, quia qui «riga» quemquam appellat, quid dicat, nec ipse noverit. Siquidem eciam si linguis omnibus more apostolorum, immo angelorum loquaris, cuius lingue sit «rix», vel cui dignitati sonus ille barbarus congruat quod «rix» dicitur, interpretari non poteris. Nichil enim est hoc, nisi forte ad idioma proprie lingue tractum, «riga» regem significare monstraveris. Quod si ita sit, quia non iam barbarum, sed Latinum est, oportet, ut cum ad manus vestras pervenerit, in linguam vestram fideli translacione vertatur. Sulla conoscenza del latino a Costantinopoli e sulla possibile presenza di occidentali conoscitori della lingua all’interno del palazzo imperiale si veda Dagron, 1994; Adamik, 1999; Rochette, 2012.
42 Gesta octavæ synodi, glossa 27, p. 56: Hic in codice authentico Greco post Latinum libellum positus est idem ipse libellus Grece interpretatus, quamvis pro ignorantia Latinarum litterarum iam nunc Latine hunc scribere Greci paulatim ommittant. Sed notandum est, quia, huius libelli aliqua in Greca interpretatione videntur haberi aliter quam in Latina editione, non voluntate sed necessitate factum est. Si noti anche il commento contenuto nella lettera prefatoria agli atti dell’VIII concilio ecumenico (Anastasio Bibliotecario, Præfatio, p. 18, rr. 358-360: Sane hoc notandum, quia quædam scripturarum, quæ super his a sede apostolice Constantinopolim missæ sunt, deficientibus urbis eiusdem interpetibus, non ex toto recte translata in Grecitatem inveni). Una critica alle scarse conoscenze dei traduttori è contenuta, con toni molto più violenti anche in una lettera papale (Niccolò I, Epistolae, no 88, p. 459, rr. 21-25: Ad extremum autem, si iam saepe nominatam linguam ideo barbaram nuncupatis, quoniam a translatoribus in Graecam dictionem mutata barbarismos generat, non linguae Latinae, sed culpa est, ut opinamur, interpretum, qui quando necesse est non sensum e sensu, sed violenter verbum edere conantur e verbo). Si noti come in questo caso la polemica linguistica sottenda un uso attento e preciso della terminologia specifica della traduzione (sensum e senso; verbum e verbo), ampiamente usata nelle riflessioni metodologiche contenute nelle lettere anastasiane; a questo proposito si veda Chiesa, 2001.
43 Ibid., no 88, p. 473, rr. 26-29: Haec quidem primordiis epistolae imperii vestri respondimus, non quantum poteramus adhuc, sed quantum sufficere credidimus, ad convincendam scilicet stoliditatem eorum, qui talia sapiunt, qualia in epistola vestro signo signata et nobis missa resonare videbantur. Non enim nos ex pio corde vel ore vestro tam profana tamque perversa processisse putavimus.
44 Ibid., no 90, p. 508, rr. 16-23: Quapropter, imperator sublimissime, diligenter propter Deum inquirentes atque scrutantes, si vestra illam non fuisse praeceptione tam cenosam inveneritis confectam, immo toxicatis syllabis infectam epistolam, ut interim de tot praestigia texentium poena taceamus, quae illos vobis zelo veritatis flagrantibus involvere convenit, saltem huius socia accepta et palam cunctis igne succensa per augustales vestros tam nobis quam omnibus, ad quorum notitiam pervenit, destinatos apices competenti satisfactione a tam perverso sensu et tam profanis adinventionibus, quod adsensu vestro non fuerint commentis tradita, vos exhibere prorsus immunes.
45 Questa ipotesi è stata avanzata dagli editori delle epistole papali, che hanno creduto di identificare l’intervento di Fozio quale falsificatore delle lettere di Michele III; si veda ibid., no 88, p. 473, n. 11.
46 Per una breve presentazione dell’uso di una simile strategia diplomatica si veda Hartmann, 1988, pp. 123-124; per alcuni esempi più tardi si veda Constable, 1988, pp. 26-30. Un esempio quasi contemporaneo, datato 871-872, è contenuto negli scambi epistolari intercorsi tra Carlo il Calvo e Adriano II: in questo caso, è il re che per ben due volte suggerisce al pontefice la presenza di un falsificatore. Alcuni studiosi hanno voluto attribuire la responsabilità della falsificazione ad Anastasio; per una critica di questa ipotesi per l’analisi della strategia diplomatica usata in questo caso, si vedano Grotz, 1970, pp. 297-299, e più brevemente, Arnaldi, 1990, pp. 59-60, 66-76.
47 Grotz, 1970, p. 296.
48 Anastasio sostenne che le accuse di monotelismo mosse a papa Onorio furono basate su una lettera falsificata, così come Massimo il Confessore aveva già riconosciuto (Anastasio Bibliotecario, Epistolae, no 9, p. 424, rr. 2-13); a tal proposito si veda Kreuzer, 1975, pp. 116-117.
49 Liber pontificalis, t. II, p. 178, rr. 16-19. La disinformazione di Basilio è affermata anche in una lettera dell’imperatore, tramandata esclusivamente negli atti dell’VIII concilio ecumenico (Gesta octavæ synodi, p. 87, r. 120-p. 88, r. 122). Il pontefice Adriano II accettò l’ammissione di Basilio I e convocò a Roma un concilio nell’869, che fu la prima tappa della condanna di Fozio, durante il quale ribadì la totale assenza di colpe da parte di Basilio a causa della sua disinformazione (MGH, Conc., IV, c. 4, p. 348, rr. 28-34).
50 Liber pontificalis, t. II, p. 179, rr. 5-7: Nam et subscriptionem Basilii nostri imperatoris post subscriptionem, Michahelis, quem ebrosissimum subscribere noctu suasit, falsissime continet. Sulle modalità di diffamazione dell’ultimo esponente della dinastia amoriana si veda Gallina, 2010.
51 Sulla problematica delle narrazioni dei rapporti diplomatici dell’viii e del ix secolo e sulla confluenza in essi di numerosi elementi eterogenei di provenienza assai diversificata si veda Cammarosano, 2011.
52 Molto probabilmente l’autore della biografia papale fu Giovanni Diacono, che redasse il testo sfruttando materiali fornitigli da Anastasio Bibliotecario; a questo proposito si vedano Bougard, 2008; Herbers, 2009.
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