Un esempio di comunicazione politica nell’Antichità : le iscrizioni pro salute imperatoris nella provincia romana di Dalmazia
p. 35-47
Résumé
In questo contributo l’autore dapprima svolge un’introduzione sull’importanza e la funzione comunicativa dell’epigrafia nella civiltà romana. Quindi, spiega il valore e la storia della salus tra la Repubblica e l’Impero, per prendere in considerazione le diciannove iscrizioni della Dalmazia romana che presentano la formula pro salute imperatoris. Queste dediche alle divinità erano utilizzate anche per esprimere la lealtà alla casa imperiale in tutto l’Impero. In questa provincia ad erigere le iscrizioni troviamo soprattutto rappresentanti delle istituzioni che dovevano in alcuni casi condurre vere e proprie cerimonie pubbliche di preghiera agli dei per la salus dell’imperatore. Da segnalare è il caso di sei altari provenienti dall’area mineraria di Ljubija che testimoniano un rito che si svolgeva annualmente alla data del 21 aprile. Due sono i casi di dediche di privati, entrambe provenienti da Salona. Le iscrizioni sono tutte risalenti al II-III sec. d.C. con un picco in epoca severiana.
Texte intégral
1« Larga parte della funzione comunicativa è affidata nel mondo antico – e romano in particolare – alla scrittura, soprattutto a quella ‘esposta’, sotto gli occhi di tutti, com’è l’iscrizione »1.
2Ho scelto queste parole di Angela Donati per iniziare queste breve contributo e motivare così il suo inserimento all’interno di un volume che ha come tema proprio il linguaggio e la comunicazione. Infatti, le città antiche, a partire da Roma stessa che è stata particolarmente studiata in merito, offrivano al passante una moltitudine di cose da leggere, per riproporre una definizione che, pur nella sua semplicità, trovo particolarmente espressiva2. Non essendo certo questa la sede per una categorizzazione del materiale epigrafico, basti pensare che nei luoghi pubblici o comunque aperti al pubblico, il viandante poteva imbattersi nelle iscrizioni più diverse : da quelle monumentali, come le dediche agli imperatori e alle divinità sugli archi e sugli epistili dei templi, fino a quelle parietali graffite o dipinte, che erano l’espressione estemporanea e spontanea dei contenuti più svariati. A questo proposito, sui muri delle città antiche si potevano trovare, fra l’altro, messaggi di propaganda elettorale, prezzari, annunci di spettacoli, lazzi spesso anche di contenuto osceno, espressioni di contestazione politica, saluti, testimonianze della visita di un luogo durante una vacanza. È facile notare allora che la situazione non era molto diversa da quanto possiamo vedere tuttora sui muri o sulle vetrine delle nostre città che portano scritte, insegne o manifesti affissi di questo tenore. Le iscrizioni su supporti fissi non erano solo sugli edifici visti finora, ma anche su basi di statue, altari, cippi, lastre che punteggiavano le aree urbane e la loro prosecuzione in campagna, ossia le strade, lungo le quali si trovavano le necropoli che, insieme ai fori, erano il posto di maggiore concentrazione di monumenti epigrafici. A questi due luoghi delle città su tutti si addice la definizione di paesaggio epigrafico3, che rende bene l’idea di quanto la scrittura esposta all’aperto caratterizzasse – anche visivamente – le civiltà antiche – e quella romana in particolare – in ogni suo aspetto, al punto che un grande studioso le ha definite « civilisations de l’épigraphie »4, dal momento che le iscrizioni ne costituivano un autentico codice culturale e che in nessun’altra epoca l’esposizione di un testo raggiunse la medesima importanza5. Ritengo in merito opportuno almeno menzionare due aspetti : in primo luogo, il fatto che l’elemento epigrafico fu riconosciuto già nell’antichità come legato a Roma, dal momento che proprio i dominatori portarono la scrittura esposta in ampie aree d’Italia e d’Europa che non conoscevano l’esistenza della scrittura stessa e le sue proprietà comunicative, per cui la considerarono all’inizio come qualcosa di magico6. In secondo luogo, all’interno della civiltà che è considerata nel mondo occidentale la culla del diritto, i provvedimenti più importanti per la collettività, a Roma o nelle province, dovevano essere esposti in un luogo pubblico in modo ben visibile e per un tempo potenzialmente infinito : le tavole di bronzo erano il supporto considerato durevole per eccellenza e infatti su queste sono stati trovati alcuni tra i documenti epigrafici dal contenuto più rilevante7. Se finora si sono prese in considerazione le iscrizioni poste su supporti visti come inamovibili e siti in luogo aperto al pubblico, non si può passare sotto silenzio la quantità di tituli che si trovavano all’interno dello spazio domestico e che potevano veicolare i messaggi più diversi dalla dedica alla didascalia di un mosaico o di una pittura ; sebbene presenti non solo in casa, in quel contesto sicuramente una posizione importante era rivestita dalle iscrizioni sugli oggetti che passavano di mano in mano e che erano legati maggiormente alla sfera quotidiana : ad esempio, ceramica fine da mensa, anfore, tessere di diverso tipo, ex-voto, ma anche cartigli, usati come didascalie durante i trionfi non diversamente dagli striscioni nei cortei al giorno d’oggi8.
3Alla luce di quanto brevemente esposto, è chiaro che l’epigrafia nel mondo romano veicolasse messaggi di qualsivoglia natura e rivestisse, dunque, un ruolo comunicativo unico e di massa : infatti, tramite un’iscrizione su una via o una piazza, il mittente raggiungeva non solo il destinatario specifico – ad esempio, il dio o l’imperatore –, ma potenzialmente tutti i passanti, che erano pressoché costretti a prestare attenzione al testo generalmente strutturato in maniera tale da favorire la lettura anche a distanza9. Proprio la grande concentrazione di testi esposti ha indotto gli studiosi a porsi il problema dell’alfabetizzazione media dell’epoca, perché non avrebbe avuto senso un numero così alto di documenti, se ben pochi fossero stati in grado di comprenderli : è probabile, invece, che la gran parte della popolazione fosse quanto meno in grado di compitare le iscrizioni e leggere messaggi sintatticamente semplici e stereotipati, quali dediche sacre, carriere imperatorie o magistratuali o epitaffi10.
4Dopo questa necessaria introduzione all’epigrafia antica e alla sua funzione comunicativa, veniamo ora all’oggetto di questo breve contributo, ossia le iscrizioni della Dalmazia che presentano la formula pro salute imperatoris. Si precisa che quest’indagine fa parte di un progetto più ampio ancora in corso sulle testimonianze epigrafiche della provincia che menzionano l’imperatore e/o altri membri della domus Augusta al fine di mettere in luce i rapporti tra la casa imperiale, le comunità della provincia e la loro romanizzazione11. Le iscrizioni qui analizzate rispondono perfettamente a tale scopo, poiché la formula in questione si trova su epigrafi che attestano preghiere ad una o più divinità, a che concedessero la salus all’imperatore e ad altri membri della sua famiglia.
5Questo concetto era insito nel profondo della società e della religione romane, tanto che già nel IV sec. a.C. esisteva nella capitale un culto di Salus, divinizzata alla pari di altri elementi-chiave della mentalità, a partire da Fides, la lealtà reciproca alla base di ogni relazione di politica interna ed estera nella Roma arcaica. Per salus si intendeva la salvezza del popolo e dello Stato da sedizioni e guerre che ne mettessero a rischio la sopravvivenza stessa ed infatti non a caso la dea aveva la denominazione ufficiale di Salus Publica. Anche se lo sviluppo contemporaneo dell’appellativo (theos) sōtēr per i re in Grecia e nei regni ellenistici ebbe un ruolo significativo, la costruzione del tempio dedicato alla dea sul Quirinale avvenne, infatti, tra il 306 e il 302 a.C. dopo un voto fatto dal console C. Iulius Bubulcus nel 311 a.C. nel corso del secondo conflitto con i Sanniti che rappresentarono per secoli il nemico sicuramente più ostico fra quelli incontrati da Roma nella penisola italica. Visto il significato del concetto, è assolutamente logico che questa fosse al centro del dibattito politico durante le guerre civili del I sec. a.C., come emerge chiaramente dalle opere di Cicerone. In questo periodo, però, si assiste ad un’evoluzione del concetto che viene visto come dipendente dall’agire politico e militare di un uomo che si configuri come il servator o conservator, non diversamente da quanto in termini moderni si intende come il salvatore della Patria. Quando finalmente Augusto ricoprì quel ruolo, ponendo così fine alla stagione dei conflitti intestini, prestò attenzione a porre la repubblicana Salus Publica, come Pax o Concordia, al centro del suo orizzonte ideologico di riferimento, tanto da onorare le tre divinità con statue in connessione con la chiusura del tempio di Giano, a simboleggiare la pace ritrovata.
6Parallelamente, però, con il mutamento della forma di governo si affermò anche il legame stabilito già da Cicerone ; perciò allora la buona salute dell’imperatore era ciò che garantiva lo Stato e quindi i suoi abitanti dalle guerre esterne ed interne che li avevano funestati durante il secolo precedente. Pertanto, Augusto, richiamandosi ad alcuni precedenti repub-
blicani, permise che venissero svolti pubblicamente vota agli dei per la sua salus, da intendersi come il benessere complessivo, o per la sua valetudo, da intendersi come il buono stato fisico, ogni cinque anni o in particolari circostanze ritenute di pericolo per lo stato12. Queste cerimonie, consistenti in preghiere pubbliche gli dei per la salute dell’imperatore seguite poi dall’offerta di sacrifici, furono l’anticipazione di quanto sarebbe stato a partire da Tiberio : egli, infatti, istituzionalizzò annualmente per il 3 gennaio i vota pro salute Augusti che a Roma erano celebrati dai fratres Arvales e in provincia dai governatori, dalle élites municipali o dal personale militare. Del rito abbiamo testimonianza sia in una lettera del celeberrimo scambio tra Plinio il Giovane, allora legato di Bitinia, e Traiano che si complimenta per l’ottimo lavoro svolto sia nel Feriale Duranum, calendario di una guarnigione militare in Siria all’epoca di Alessandro Severo13. L’espressione pubblica di preghiere per la salute dell’imperatore si svolgeva non solo nella data preposta, ma anche in altre occasioni, legate talvolta a tradizioni e avvenimenti specifici dei diversi territori, ed era soprattutto in provincia una prova di identità collettiva e lealtà a Roma da parte dei sudditi che dovevano prendervi parte sotto la guida di chi conduceva la celebrazione che veniva così a rappresentare anche fisicamente il collegamento con il centro del potere. La concezione che il buon andamento dell’Impero nel suo complesso fosse dipendente dal benessere del princeps toccò il suo apice con Vespasiano, che era riuscito a ridare pace alla collettività dopo l’anno dei quattro imperatori e che diede alla Salus Augusti una sua indipendenza anche nel linguaggio delle immagini14.
7Nell’ideologia imperiale – che in maniera significativa è stata definita ideologia salutare15 –, la buona salute dell’imperatore e quindi la solidità del corpo statale erano intese come presupposti fondamentali per la salvezza del singolo abitante dell’impero, a prescindere dallo status, cittadino o peregrino, dalla sua origine, italica o provinciale, e – fatto ancor più interessante – dalla sua fede, come sottolinea Tertulliano stesso, che collega la fine dell’Impero con la fine del mondo secondo l’annunzio delle Sacre Scritture16. Si creò, così, nella mentalità collettiva un’unione inscindibile tra la persona dell’imperatore e l’impero tutto, vale a dire che i singoli sudditi vedevano il proprio umano destino come connesso in maniera indissolubile a quello del principe regnante, come scritto autorevolmente già nel famosissimo Senatus consultum de Cn. Pisone patre di epoca tiberiana e poi da Plinio il Giovane stesso in occasione della celebrazione nella sua provincia dell’anniversario della salita al trono di Traiano17. Visto quanto detto finora, è facile capire come sia comunità di diverso tipo sia singoli invocassero – sovente con l’aggiunta di sacrifici nel II-III sec. d.C. – le divinità per la salute dell’imperatore e degli altri membri della domus imperatoria e quindi indirettamente per loro stessi18.
8Le iscrizioni di cui qui ci si occupa manifestano questi atti di devozione e rientrano pertanto nella categoria delle epigrafi votive : sul piano comunicativo contengono un messaggio tra il proponente/mittente e un destinatario, seppur muto, da cui, tuttavia, ci si attende una risposta fattiva. Cionondimeno, queste non potevano essere viste avulse dall’ambiente pubblico in cui erano poste, dove qualsiasi passante ne era un potenziale fruitore19. In questa prospettiva le iscrizioni con la formula in oggetto erano portatrici anche di un forte messaggio politico, dal momento che erano utilizzate dai dedicanti allo stesso tempo per fornire a tutti quelli che potevano leggerle una prova della loro lealtà verso il principe e la famiglia regnante : è proprio per questo che non è mai omesso colui che erige l’iscrizione, a differenza di altre epigrafi votive di carattere privato che testimoniano una forma di religiosità intima20.
9I documenti qui studiati esprimevano per lo più un attaccamento sincero all’imperatore – fides e pietas, nel linguaggio del Senato nell’atto già menzionato21 – che era effettivamente diffuso nell’impero, ma ugualmente permettevano a coloro che li erigevano di sentirsi parte dell’orbis Romanus. D’altronde, trattandosi di un atto religioso, le divinità pagane ne erano il fondamento naturale e necessario e giunsero ad avere un valore specifico solo con l’avvento del Cristianesimo, allorché i seguaci della nuova religione si rifiutavano di fare sacrifici per la salute dell’imperatore e venivano processati e condannati per lesa maestà22. Allo stesso tempo, i devoti di religioni diverse da quella pagana – Ebraismo e Cristianesimo – pregavano allo stesso scopo la loro divinità, senza violare alcun principio religioso e rispondendo alle stesse motivazioni dei pagani23. Tanto il rito dei vota pro salute Augusti, quanto l’erezione di questo genere di epigrafe, attestato su supporti di vario tipo in tutto il territorio imperiale a partire dal regno di Tiberio, potevano in alcuni casi essere legate ad una particolare situazione di pericolo per il princeps e per lo stato, come nel caso della prima testimonianza epigrafica – da collegare alla caduta di Seiano – o delle due cerimonie descritte da Erodiano, da ricondurre a due cospirazioni di corte, una sotto Commodo e l’altra sotto Caracalla24. Nei casi in cui le iscrizioni fossero dettate dall’esposizione dell’imperatore ad un rischio per la sua incolumità, nella formula accanto a salus possono comparire altri termini, quali incolumitas, victoria o reditus che connotano in modo peculiare la circostanza25.
10Nella maggior parte dei casi i riti e le iscrizioni erano dettati, tuttavia, dal semplice desiderio delle comunità o dei singoli di mostrare tramite un atto di pietas l’adesione all’ideologia salutare, posta a fondamento giustificativo dell’Impero, quindi la loro assoluta lealtà al centro del potere26. Di conseguenza, la distribuzione nel tempo e nello spazio delle dediche, l’identità dei dedicanti – collettività o individui innanzitutto, poi nel secondo caso militari o civili, indigeni o Italici – e le divinità invocate - locali o appartenenti al pantheon classico – permettono di valutare la penetrazione dell’elemento romano e l’accettazione della nuova potenza nella società di una provincia, la Dalmazia, che presentava al suo interno profonde differenze tra la costa di precoce romanizzazione e l’interno socialmente molto arretrato, che oppose lunga resistenza ai nuovi dominatori.
11Da questo territorio provengono diciannove iscrizioni con la formula in questione che si estendono cronologicamente dall’età di Traiano (n. 1) – le iscrizioni di questo genere del I sec. non sono in complesso frequenti – fino alla metà del III sec., poiché l’ultima databile con certezza risale al 253 d.C. (n. 16), su cui si tornerà brevemente27. In seguito, come nel resto dell’Impero, questa formula, dopo un periodo di coesistenza attestata anche da un’iscrizione di Domavia per Gordiano III (n. 14), fu soppiantata da quella devotus numini maiestatique, con cui la dedica non era più rivolta ad una divinità, seppur per impetrare la salus del princeps, ma direttamente al numen dell’imperatore che si avvicinava così ad una vera dimensione divina28. Come nelle altre regioni occidentali studiate, il picco di documenti – nove su sedici databili (nn. 3-12) – cade in epoca severiana e – a riprova della presa della loro politica ideologica – si può notare che all’imperatore sono associati altri membri della famiglia, compresi quelli femminili cui venne accordato – come ben noto – un particolare rilievo nella dinastia29.
12Rispetto al motivo dell’erezione delle epigrafi di dedica, è da notare innanzitutto la serie di sei altari provenienti da Ljubija, situata nella Bosnia nord-occidentale, al centro del distretto delle miniere di ferro dalla valle della Sana. Presentano iscrizioni molto simili che menzionano diversi imperatori, da Settimio Severo a Filippo l’Arabo, ma riportano tutte lo stesso giorno dell’anno (nn. 6, 8, 9, 11, 12, 15). I dedicanti sono i procuratori imperiali, preposti all’amministrazione dei metalla di proprietà del princeps, e i vilici, ossia loro subalterni, che, a seconda della specifica del loro titolo (ferrariarum o officinae ferrariae), avevano il compito pratico di sovraintendere alla miniera nel suo complesso o all’attività metallurgica connessa30. Le are si trovavano verosimilmente nel centro amministrativo dell’area, nei pressi della sede del funzionario imperiale e del tempio di Terra Mater, la divinità qui invocata31. È probabile allora che queste siano la testimonianza di una cerimonia annuale – guidata dal procuratore stesso e dal suo primo sottoposto – in cui tutti quanti lavoravano nella miniera erano tenuti a pregare e fare sacrifici per la salus dell’imperatore, non diversamente da quanto attestato in altre zone dell’Impero. Non può essere casuale il giorno, il 21 aprile, che forse avrà avuto un valore specifico per le miniere – come sostenuto dal primo editore32 –, ma che senza dubbio ne aveva uno forte per lo Stato romano, in quanto rappresentava i natali dell’Urbs. Probabilmente un’occasione simile era alla base dell’erezione delle due are provenienti da Domavia (nn. 5, 14), municipio della Bosnia nord-orientale e centro amministrativo delle circostanti miniere di argento. I dedicanti delle iscrizioni sono, infatti, ancora i procuratori imperiali e i monumenti erano posti assolutamente in luogo pubblico, all’interno o all’esterno di un edificio interpretato come curia, basilica o sede del procuratore stesso33.
13Se per lo più a porre le dediche sono quelli che noi potremmo definire membri delle istituzioni – civili o militari – o le istituzioni stesse, in alcuni casi a farlo – naturalmente in luogo pubblico – potevano essere dei semplici privati che così non solo ribadivano la loro lealtà all’imperatore, ma comunicavano implicitamente anche le loro possibilità economiche ai loro concittadini e a tutti i potenziali lettori, fine abbastanza frequente per l’epigrafia romana34. Si tratta, per la precisione, di due documenti salonitani (nn. 1, 17) – e non è un caso che atti di munificenza privata di tale entità si trovino nella capitale provinciale, in cui maggiori erano le risorse35–, che menzionano in un caso la costruzione di un impianto idrico per un tempio da parte di uno schiavo imperiale e in un altro il restauro del tempio di Victoria, che era andato in rovina per vetustà, ad opera di sei Augustali : non è da sottovalutare che l’erezione o il restauro e la conseguente dedica di un tempio erano considerati nella civiltà romana atti di fondamentale valenza politica fatti in nome dell’imperatore36.
14Nei casi appena visti o nei rimanenti non si può individuare un motivo specifico e diverso dalla consuetudine di una cerimonia o dalla volontà di ribadire una generica lealtà al centro del potere, anche se in occasione dello scioglimento di un voto fatto da un singolo (nn. 1, 7) ; in due casi, invece, fu un evento politico esterno a portare all’erezione dell’iscrizione per ribadire la fedeltà all’imperatore regnante e chiedere agli dei di preservarne l’incolumità e di tenere quindi l’Impero al riparo da eventi catastrofici (nn. 2, 16). Si tratta dei documenti databili al 193 d.C. e al 253 d.C., entrambi anni di lotte per la successione al trono imperiale, in cui l’area balcanico-danubiana fu un territorio di primo ordine sul piano militare, vista l’alta concentrazione di truppe a difesa del limes. Se nel caso del forte di Čačak l’origine della dedica è indubbiamente in ambito militare, è possibile che lo sia anche per l’epigrafe naronitana, sul cui originario contesto di esposizione nulla si può dire, ma in cui è da rimarcare nella formula l’associazione all’imperatore Pertinace del populus coloniae Iuliae Naronae a riprova della relazione tra la salvezza del princeps e quella dei sudditi che volevano mostrare la loro lealtà subito dopo l’ascesa alla porpora37. Una motivazione analoga potrebbe essere alla base dell’iscrizione n. 18, in cui alla salus dell’imperatore viene unita la victoria che pure talvolta è inserita nelle formule senza riferimento a una spedizione militare38 : una risposta potrebbe venire da uno studio approfondito del documento incentrato sul termine adventus che dovrebbe fare riferimento ad un viaggio o una spedizione degl’imperatori menzionati, anche se non c’è nessun’indicazione datante, se non che si tratta di due Augusti. Un viaggio era certamente alla base del più recente monumento naronitano (n. 13) : una lastra che doveva essere apposta probabilmente sulla porta stessa39. Si tratta di un’iscrizione eretta dalla comunità cittadina tra il 236 ed il 238 d.C. per Massimino il Trace Augusto ed il figlio Massimo come Cesare, senza menzione di alcuna divinità, come accade in qualche caso. In questo modo viene a configurarsi come un’elegante iscrizione onoraria per i due sovrani posta in occasione di una loro visita dalla municipalità che si unisce loro, in base al vincolo di appartenenza all’impero di cui loro erano la testa40.
15Per quanto concerne le divinità a cui si erigeva la dedica, il più presente è, come in tutti gli ambiti finora studiati, Iuppiter Optimus Maximus invocato soprattutto da militari e funzionari dello Stato. È accompagnato per due volte dall’appellativo siriaco Dolichenus forse conseguentemente alla diffusione dei culti orientali in tutto l’Occidente sotto il regno dei Severi o all’origine orientale dei dedicanti41 (nn. 2, 4). I già visti altari di Ljubjia menzionano nelle dediche Terra mater, la quale assunse i tratti distintivi di signora delle profondità del sottosuolo e quindi, come le divinità protettrici della terra, era particolarmente venerata da coloro che lavoravano nelle miniere, perché i metalli venivano visti come prodotti del suolo e fonte di prosperità. Questa divinità – e non è secondario in un contesto ufficiale – poteva assumere anche una valenza politica, perché era sovrapposta alla dea Roma o alla personificazione delle province42. Molto limitate sono le divinità locali e quelle legate all’ideologia imperiale, diversamente da quanto avviene in altri contesti, quali l’Africa e anche la più prossima Dacia, poiché solo Silvano potrebbe rientrare nella prima categoria e Victoria nella seconda43.
16Attraverso questa breve comunicazione, che è necessariamente sintetica e che si completa con la trattazione dei singoli documenti, svolta in altra sede, spero di avere mostrato innanzitutto il valore fondamentale – direi quasi insostituibile – delle iscrizioni, per comprendere la civiltà romana e i messaggi che ne erano al centro. In questo caso, infatti, da un lato possiamo evincere da queste epigrafi una buona penetrazione dell’ideologia imperiale che – al di fuori di Salona – pare veicolata sempre da un intermediario in qualche modo ufficiale – un funzionario, un militare o un’istituzione locale – e dall’altro possiamo notare come tali prove della lealtà all’imperatore fossero ben esposte nei luoghi pubblici, in modo che chiunque passasse per le città della Dalmazia potesse prestarvi attenzione e riflettervi, sentendosene quasi coinvolto come in un colloquio44.
FORMULA | DATA | LUOGO DI ESPOSIZIONE | DIVINITÀ | DEDICANTE | RIFERIMENTO |
pro salute / Imp(eratoris) Caesaris Nervae Traiani Optimi Aug(usti) Ger(manici) Dac(ici) n(ostri) | 106-116 d.C. | Salona, tempio | Silvano | Trophimus Amandianus, schiavo | CIL III, 8684 |
pro sa(lute) / Impe(ratoris) Helvi / Pert<i =E>naci(s)( !) et popul(i) / Ro(mani) Iuliae Naronae | 193 d.C. | Narona, suburbio | Iuppiter Optimus Maximus Dolichenus | Flavius Faladus e Domitius Apollinaris, sacerdoti | ILJug 1873 = AE 1912, 45 = AE 2005, 1184 |
[pro sal(ute) Imp(eratoris) d(omini)] n(ostri) Sep[t(imi) Severi] / [Aug(usti) | 193-209 d.C. | Promona, probabilmente forte di unità ausiliarie | Genius loci | Valerius Menophilus, centurione di coorte con i suoi soldati | CIL III, 9829 |
pro salute / Impp(eratorum) L(uci) Sept(imi) Se/veri et Anto/[nini] Ca[esaris ( ?) | 197-209 d.C. | Metulum | Iuppiter Optimus Maximus Dolichenus | Ignoto, forse un militare | CIL III, 10059 |
[pro salute] / [Im]p(eratoris) [Caes(aris)] / L(uci) Septimii / Severi Pii Per/tinacis / Aug(usti) Arabi/c[i] Adiabe[ni]/c[i P]arthici / m[ax]imi p(atris) p(atriae) / [trib]uniciae / [potesta]ti[s] / [ | 198-209 d.C. | Domavia, edificio pubblico | Ignota | Ignoto | CIL III, 12726 |
[p]ro salute dd[[d]](ominorum) nn[[n]](ostrorum) I/m(peratoris) L(uci) Sep(timi) Severi P[e]r(tinacis) / Aug(usti) Arab(ici) Arab(enici) Par(thici) [et] / M(arci) Aur(eli) Antonini Aug(usti) / [[et P(ubli) Sept(imi) Getae Caes(aris) et]] / Iuliae Aug(ustae) m(atris) c(astrorum) | 21/IV/209 d.C. | miniere di Ljubija, nei pressi della sede del procuratore | Terra mater | Titus Flavius Verecundus, procuratore, e Callimorphus, vilicus | ILJug 157 = AE 1958, 63 |
FORMULA | DATA | LUOGO DI ESPOSIZIONE | DIVINITÀ | DEDICANTE | RIFERIMENTO |
pro salute Impp(eratorum) Seve[r(i)] / et Antonini Augg(ustorum) / [[et Getae n[ob(ilissimi)] C[aes(aris)] et]] Iul(iae) Augustae matr(is) / Augg(ustorum) et castrorum | 209 d.C. | Narona | Iuppiter Optimus Maximus | Gaius Statius Tacitianus, benificiario consolare | CIL III, 1790 |
pro salute / Imp(eratoris) Caes(aris) Ma(rci) / Aur(eli) [[Antoni]]/[[ni]] Aug(usti) | 218-221 d.C. | miniere di Ljubija, nei pressi della sede del procuratore | Terra mater | Iul(ius ?), procuratore, e un vilicus ignoto | ILJug 778 = AE 1973, 412 |
[pro] salute Imp(eratoris) / [Caes(aris)] M(arci) Aur(eli) Seve/[ri [Alexandr]]i] P(ii) F(elicis) Aug(usti) / [[et Iuliae Mae]]siae ( !) Aug(ustae) | 21/IV/223 d.C. | miniere di Ljubija, nei pressi della sede del procuratore | Terra mater | […] Marcus Aug(usti), procuratore ( ?), e un vilicus ignoto | ILJug 780 = AE 1973, 413 |
p(ro) s(alute) d(omini) n(ostri) | 225 d.C. | Narona | Iuppiter Optimus Maximus | Marcus Ulpius Kalendinus, beneficiario consolare | CIL III, 1781 |
[p]ro sal(ute) d(omini) n(ostri) Imp(eratoris) M(arci) / Aur(eli) Severi [[Alexan]]/[dr]i P(i)i F(elicis) Aug(usti) et [[Iuliae]] / [Mamm]eae Aug(ustae) matri[s] / castr(orum) | 21/IV/228 d.C. | miniere di Ljubija, nei pressi della sede del procuratore | Terra mater | Heliodorus, vilicus officinae ferrariae, sotto la curatela del procuratore Marcus Iulius Macer | ILJug 158 = AE 1958, 64 |
[pro sal(ute)] Imp(eratoris) Caes(aris) / [M(arci) Aur(eli) S]everi [[Alex]]/[[andri]] Pii Fel(icis) Aug(usti) / [[et Iul(iae) Mameae]] Aug(ustae) | 21/IV/229 d.C. | miniere di Ljubija, nei pressi della sede del procuratore | Terra mater | un vilicus officinae ferrariae ignoto sotto la curatela del procuratore Nicomachus | ILJug 781 = AE 1973, 414 |
FORMULA | DATA | LUOGO DI ESPOSIZIONE | DIVINITÀ | DEDICANTE | RIFERIMENTO |
pr[o sal(ute)] dd(ominorum) [nn(ostrorum) Imp(eratoris)]] / C[[aesaris C(ai) [I]uli Veri]] / M[[aximini Aug(usti) et ]] / C(ai) [[Iuli Veri M[aximi]]] / nobilis(s)imi Caes(aris) | 236-238 d.C. | Narona, porta urbica | Res publica Naronitanorum | AE 1980, 678 | |
pro salute Imp(eratoris) M(arci) Anton(ini) Gordiani Pii | 238-244 d.C. | Domavia, nei pressi di un edificio pubblico | Iuppiter Optimus Maximus, Genius loci | Procuratore ignoto | CIL III, 12724 |
pro sa]lute dd(ominorum) [nn(ostrorum)] / [[Imp(eratorum) M(arcorum) Iul(iorum)]] / [[Philipp(orum) Augg(ustorum)]] / [et M(arciae) S]everae Aug(ustae) n(ostrae) | 21/IV/247 o 21/IV/248 d.C. | miniere di Ljubija, nei pressi della sede del procuratore | Terra mater, Liber, Iuppiter Optimus Maximus ( ?) | Ianuarius, vilicus ferrariarum, sotto la curatela del procuratore Cossitianus Firmus | CIL III, 13240 = ILJug 161 = AE 1958, 65 |
pro sal(ute) Imp(eratoris) [[Ae]]/[mili Aemilia]]/[[ni]] Aug(usti) totiusque / domus divinae | 253 d.C. | Čačak, forte di unità ausiliarie | Iuppiter Optimus Maximus | la coorte milliaria Delmatarum con il tribuno e il consularis Asinius Maximus | S. Dušanić, « Asinius Maximus in AD 253 », |
[pro sal(ute) d(omini) n(ostri) et totius dom]us Aug(ustae) et / [senatus ampliss(imi) populiq(ue) R(omani) et sple[n]/[didiss(imae) col(oniae) Salonitan(ae) | II-III sec. d.C. | Salona, area pubblica | Victoria | Fabius Gamba, Aurelius Apolaustus, […] Pinnus, Aurelius […] e un altro personaggio ignoto, Augustali | CIL III, 13904 |
FORMULA | DATA | LUOGO DI ESPOSIZIONE | DIVINITÀ | DEDICANTE | RIFERIMENTO |
pro salute et v(i)c/(to)rias( !) Impp(eratorum) [nn(ostrorum) ?] / Augg(ustorum) | II-III sec. d.C. | Municipium S(polnistarum ?). | Iuppiter Optimus Maximus, Genius Adventus Augusti ( ?) | Populus | CIL III, 6340 = 8303 |
pro salute d(omini) n(ostri) | III sec. d.C. | Salona | Silvano e Ninfe | Caius A(--) I(--) | CIL III, 1974 = 8569 = XII, 133-3 |
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Bibliographie
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Notes de bas de page
1 A. Donati, Epigrafia romana : la comunicazione nell’antichità, p. 7.
2 Per la presenza di iscrizioni nelle città romane cfr., tra gli altri, i lavori di Gian Carlo Susini e recentemente M. Corbier, Donner à voir, donner à lire. Mémoire et communication dans la Rome ancienne, p. 9-39 con bibliografia e, per il caso specifico di Roma, p. 54-65, 71-73. La definizione di « cose da leggere » èdi W. V. Harris, « Literacy and Epigraphie », p. 91.
3 G. C. Susini, Epigrafia romana, p. 48-56.
4 L. Robert, « Épigraphie », p. 454.
5 G. C. Susini, Epigrafia romana, p. 153 e M. Corbier, Donner à voir, donner à lire. Mémoire et communication dans la Rome ancienne, p. 9-12.
6 G. C. Susini, Epigrafia romana, p. 143-150 con bibliografia e G. C. Susini, « Il lapicida romano », p. 59-60.
7 M. Corbier, Donner à voir, donner à lire. Mémoire et communication dans la Rome ancienne, p. 23-26.
8 Per le iscrizioni nello spazio domestico, cfr. M. Corbier, « Présentation. L’écrit dans l’espace domestique ». In particolare sull’uso dei cartigli nella comunicazione politica cfr. M. Corbier, Donner à voir, donner à lire. Mémoire et communication dans la Rome ancienne, p. 56-59 e G. C. Susini, « L’efficacia dell’epigrafia », p. 86.
9 G. C. Susini, Epigrafia romana, p. 48-51 e A. Sartori, « Epigrafia sacra e appariscenza sociale », p. 423-424.
10 M. Corbier, Donner à voir, donner à lire. Mémoire et communication dans la Rome ancienne, p. 58-60 e poi A. Donati, Epigrafia romana : la comunicazione nell’antichità, p. 8-11.
11 La base dell’articolo deriva da ricerche svolte presso l’Università di Vienna – sotto la supervisione del prof. E. Weber che ringrazio vivamente – grazie ad un Ernst-Mach Stipendium dell’Österreichische Austauschdienst-GmbH, finanziato dal Bundesministerium für Wissenschaft und Forschung. Sul valore di queste iscrizioni per verificare l’impatto dell’Impero sulle province, cfr. ad esempio J. Moralee, “ For salvation’s sake ”, p. 58.
12 Per la storia di Salus tra Repubblica e Impero cfr. L. Winkler, Salus. Vom Staatskult zur politischen Idee, p. 16-45.
13 Plin. Ep. Tra. 10. 35-36. PDur. 54, c. 1. Sui vota pro salute principis e le sue testimonianze, cfr. J. M. Reynolds, « Vota pro salute principis » e di recente S. Nemeti, « Vota pro salute imperatoris in Dacia », p. 255-261.
14 L. Winkler, Salus. Vom Staatskult zur politischen Idee, p. 90-93.
15 J. Moralee, “ For salvation’s sake ”, p. 18.
16 Tert. apol. 32. 1.
17 CIL II2, V, 900 = AE 1996, 885, l. 159-165. Plin. Ep. Tra. 10. 52.
18 D. Fishwick, The imperial cult in the Latin West : studies on the ruler cult of the western provinces of the Roman empire. vol. 3.3 : The provincial centre ; provincial cult, p. 357.
19 A. Sartori, « Epigrafia sacra e appariscenza sociale », p. 424-434.
20 Per la volontà di apparire nelle iscrizioni pro salute imperatoris in epoca classica al contrario di quella cristiana, cfr. J. Moralee, “ For salvation’s sake ”, p. 7. Per i casi di omissione del dedicante, cfr. A. Donati, Epigrafia romana : la comunicazione nell’antichità, p. 27.
21 CIL II2, V, 900 = AE 1996, 885, l. 161. Per il sentimento di vicinanza all’imperatore nel senatus consultum de Cn. Pisone patre, cfr. C. Castillo et A. Sánchez-Ostiz, « Legiones y legionarios en los epígrafes pro salute imperatoris : una panorámica », p. 733 con bibliografia.
22 D. Fishwick, The imperial cult in the Latin West : studies on the ruler cult of the western provinces of the Roman empire. vol. 3.3 : The provincial centre ; provincial cult, p. 354. Da segnalare per i casi di processo ai Cristiani Tert. Apolog. 10. 1.
23 Quanto ai Cristiani, lo stesso Tertulliano (apol. 30-32) si sofferma a lungo sulla necessità proprio dei Cristiani di pregare Dio per la salute dell’imperatore ; quanto agli Ebrei, c’è una testimonianza da Intercisa : CIL III, 3327 = 10301 =
ILS 3981, lastra di dedica di un praepositus stationis al Dio eterno per la salute di Alessandro Severo e della madre Giulia Mamea. Approfondimento sul tema in J. Moralee, « For salvation’s sake », p. 30-33, 45-47.
24 CIL XIII, 4635. Hdn. 1. 10. 7, 4. 4. 4-7.
25 D. Fishwick, The Imperial Cult in the Latin West : studies on the ruler cult of the western provinces of the Roman empire. vol. 3.3 : The Provincial Centre ; Provincial Cult, p. 353.
26 Cfr. le situazioni studiate da J. Moralee, « For salvation’s sake », p. 18-23 e da S. Nemeti, « Vota pro salute imperatoris in Dacia », p. 255-261.
27 Per l’analisi approfondita delle singole iscrizioni cfr. ora M. Vitelli Casella, « Le iscrizioni pro salute imperatoris nella provincia romana di Dalmazia ».
28 C. Castillo et A. Sánchez-Ostiz, « Legiones y legionarios en los epígrafes pro salute imperatoris : una panorámica », p. 738-742.
29 Ibid., p. 734 e D. Fishwick, The Imperial Cult in the Latin West : studies on the ruler cult of the western provinces of the Roman empire. vol. 3.3 : The provincial centre ; provincial cult, p. 352 con bibliografia precedente. Un quadro simile alla Dalmazia emerge in Dacia, per cui cfr. M.-A. Airinei, « Formula pro salute imperatoris şi semnificaţia ei în Dacia romană », p. 73, mentre un po’ diversa è la situazione del Vicino Oriente esaminato in J. Moralee, « For salvation’s sake », p. 5.
30 S. Dušanić, « Aspects of Roman Mining in Noricum, Pannonia, Dalmatia and Moesia Superior », p. 83-84.
31 D. Sergejevski, « Rimski rudinici željeza y sjeverozapdnoj Bosni », p. 96.
32 Ibid., p. 95.
33 Per i ritrovamenti archeologici e la loro interpretazione, cfr. M. Vitelli Casella, « Le iscrizioni pro salute imperatoris nella provincia romana di Dalmazia », p. 183, nt. 33.
34 G. C. Susini, Epigrafia romana, p. 158-159.
35 M. Šašel Kos, « Private munificence in Salonae under the principate », p. 213-214.
36 A. Donati, Epigrafia romana : la comunicazione nell’antichità, p. 27-33.
37 Cfr. per l’iscrizione n. 2 M. Mayer, « Pro sa(lute) impe(ratoris) Helvi Pertenacis. Sober AE 1912, 45 de Narona », p. 314-317, per l’iscrizione n. 17 S. Dušanić, « Asinius Maximus in AD 253 », p 254. Per l’associazione della comunità nella formula di supplica cfr. i paralleli presentati da D. Fishwick, The Imperial Cult in the Latin West : studies on the ruler cult of the western provinces of the Roman empire. vol. 3.3 : The provincial centre ; provincial cult, p. 358.
38 U.-M. Liertz, Kult und Kaiser : Studien zu Kaiserkult und Kaiserverehrung in den germanischen Provinzen und in Gallia Belgica zur römischen Kaiserzeit, p. 159-160.
39 Quanto alla collocazione originaria I. Bojanovski, « Počasni natpis Maksimina Tračanina iz Narone », p. 188.
40 Ibid., p. 193.
41 J. Medini, « Kult Jupitra Dolihena u rimskoj provinciji Dalmacji », p. 88-90.
42 S. Dušanić, « The miners’ cults in Illyricum », p. 133.
43 Per l’Africa cfr. E. Smadja, « L’empereur et les dieux en Afrique romaine », p. 550-553, per la Dacia M. A. Airinei, « Formula pro salute imperatoris şi semnificaţia ei în Dacia romană », p. 79. Su Silvano come possibile divinità locale in ambito dalmata, cfr. R. Matijašić et F. Tassaux, « Liber et Silvanus », p. 88-89 e di recente D. Dzino, « The Cult of Silvanus : rethinking provincial identities in Roman Dalmatia ».
44 G. C. Susini, Epigrafia romana, p. 152-155, poi A. Sartori, « Epigrafia sacra e appariscenza sociale », p. 424.
Auteur
Assegnista di ricerca
Dipartimento di Storia culture civiltà – sezione di storia antica
Università di Bologna
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