Pompei. Una grande “avventura” culturale, dal Settecento alla metà del xx secolo
p. 62-70
Résumé
Cette contribution a pour but de souligner les principaux aspects des changements de mentalité et de méthodes intervenus dans le cours des fouilles de Pompéi. Si ce furent bien l’intérêt pour l’Antique de Charles III de Bourbon et la curiosité de la reine qui suscitèrent les interventions sur le terrain, par ailleurs le Roi et ses ministres mirent à profit les fouilles et les découvertes pour donner du lustre à la Monarchie. Durant tout le xviiie siècle, si ceux qui étaient chargés des travaux ont livré des comptes rendus ponctuels et des descriptions intéressantes, l’interprétation et le commentaire étaient réservés à d’autres acteurs. La situation a changé au cours des siècles suivants en fonction des différents stades d’une expertise méthodologique de plus en plus complexe. En fait, les découvertes intervenues dans la cité antique se sont déroulées au fil du temps en suivant le passage d’une phase caractérisée par les recherches historico-philologiques à une phase au cours de laquelle s’explicitèrent les rapports avec l’archéologie, qui, parallèlement, définissait son propre statut. La collaboration entre disciplines différentes devient de plus en plus étroite au cours du xixe siècle et c’est dans ce climat que l’École archéologique de Pompéi organise ses expériences, jusqu’à l’avènement de l’archéologie technique et romantique d’Amedeo Maiuri.
Note de l’auteur
Mi è gradito offrire ad Évelyne, cara amica e tenace studiosa della storia dell’archeologia, in ricordo dei nostri incontri parigini, questo piccolo contributo “borbonico”.
Texte intégral
1Nell’ambito del tema proposto mi sembra pertinente il ritorno a Pompei che, con la storia delle sue ricerche, rappresenta molto bene il percorso che ha portato gli studiosi dalla filologia all’archeologia. Infatti un lungo iter ha coinvolto la città vesuviana rendendola un testimone prezioso. La scoperta di Pompei è largamente emblematica del passaggio da una fase legata squisitamente alla filologia e alla storia antica alla fase caratterizzata dalla definizione della archeologia che sarà, a sua volta, oggetto ai nostri tempi di grandi dibattiti sulla metodologia di scavo e sugli interventi sul campo. Questi vari aspetti dell’operare degli studiosi nella città antica sono confluiti in una sconfinata letteratura peraltro largamente nota agli specialisti del settore.
2Vorrei osservare come i termini cronologici della Miscellanea marchino un arco di tempo che va dal 1798 al 1945 – gli stessi del volume Naissance de l’archéologie moderne 1798-1945 di Ève Gran-Aymerich – e coincidano largamente con la storia delle ricerche pompeiane, espressione di quella grande “avventura” culturale, che partita dal lontano 1748, trovò uno dei momenti critici proprio alla fine della seconda guerra mondiale quando si chiuse un’epoca ed ebbe inizio una seconda vita con la ricostruzione e la riappropriazione dell’antica Pompei. Riassumere in poche pagine un sì lungo e complesso percorso è opera pressoché impossibile e fortemente ardua. Del resto si tratta di fatti molto noti cui poco è da aggiungere ma non del tutto inutile appare una meditazione che possa indurre ad un ulteriore approfondimento delle varie questioni emerse in quasi due secoli.
3Pompei appare poco presente nella tradizione medioevale eccezione fatta per l’accenno del monaco Martino a proposito del luogo di una urbs Pompeia Campaniae nunc deserta ove si sarebbe accampato nell’838 quel Sicardo principe di Benevento, figlio di Sicone che conquistò e saccheggiò Amalfi, trasferendone molti abitanti a Salerno1.
4Il Sannazzaro, nella tradizione umanistica, offre una visione soltanto poetica nell’evocare la città antica e nulla apporta sul fronte dell’individuazione dell’insediamento2. E’ da dire che in seguito la città antica fu addirittura confusa dai primi scavatori con Stabiae. La prima segnalazione delle sue rovine si deve allo scavo di un canale di derivazione dal Sarno ai mulini di Torre Annunziata, aperto dall’architetto Fontana attraverso la collina della Civita (1595-1600) ma i dubbi permasero nonostante fosse stata rinvenuta la dedica a Venus Phisica pompeiana.
5Com’è noto, la scoperta delle antiche città può aver inizio dall’esame delle fonti classiche come, restando in Magna Grecia, fu per il santuario pestano alle foci del Sele grazie alle ricerche effettuate sul campo negli anni Trenta da P. Zancani Montuoro e U. Zanotti Bianco, oppure essere semplicemente frutto del caso come accadde per Pompei. Quindi il modo in cui avvenne la scoperta fu molto diverso. Della città antica si leggeva sì nelle fonti classiche ma il sito era genericamente indicato come risulta dalle fonti3.
6Al fine di dare coerenza espositiva è opportuno spostare il limite cronologico inferiore per raccordarsi al primo impatto che porta al periodo borbonico. Con diverse sfumature ci si presentano la logica e gli aspetti culturali che presiedettero agli scavi di Pompei nel quadro di una storia dell’archeologia dal Settecento alla fine della Seconda guerra mondiale. Risultano indicative alcune tappe che qui si riassumono per sommi capi, a titolo di promemoria.
7La storia degli avvenimenti è ben nota: a parte alcuni approcci infruttuosi e casuali nei secoli precedenti, l’interesse di Carlo III di Borbone e soprattutto la curiosità archeologica della regina Maria Carolina, che aveva avuto agio di affinare il suo gusto artistico e non aveva dimenticato le tre statue romane esposte in uno speciale padiglione del museo di Dresda, fecero sì che fossero riaperti nel 1738 gli scavi sulla collina della Civita. Tuttavia le esplorazioni ebbero effettivo inizio, come sappiamo, dopo quelli di Ercolano, nel marzo-aprile 1748. L’ingegnere cavalier Rocco Giacchino de Alcubierre, che il re aveva portato con sé dalla Spagna ed elevato al rango di generalissimo del Genio napoletano, ispezionando il canale del Fontana, ebbe notizia delle molte scoperte che vi si facevano. Nel 1763 venne a luce la famosissima iscrizione di Tito Suedio Clemente e solo allora fu chiaro che era stata trovata la città di Pompei il cui sito era noto come “La Civita4”.
“Ex auctoritate | imp(eratoris) Caesaris | Vespasiani Aug(usti), | loca publica a privatis | possessa T (itus) Suedius Clemens | tribunus, causis cognitis et | mensuris factis, rei | publicae Pompeianorum | restituit” (fig. 1).
8In seguito al re Ferdinando toccò il merito di portare avanti l’esplorazione sistematica del sito, esplorazione che continuò anche sotto la breve parentesi francese del 1798-1799 e, più intensamente, nel periodo di Gioacchino Murat. Attraverso le piante che furono eseguite man mano si può seguire lo sviluppo topografico e cronologico di oltre due secoli di scavo dal 1748 ad oggi. Esse sono indicative per quel che attiene la prassi e gli intendimenti dell’epoca.
9Tra gli interventi più rilevanti dell’attività di scavo vanno annoverati i seguenti per sommi capi: 1748 area dell’anfiteatro; 1755-57 Villa di Giulia Felice; 1764-1766 tempio di Iside; 1766-1794 zona dei teatri; 1763-1764 Porta Ercolano; 1763-1770 via delle Tombe; 1771-1774 Villa di Diomede; 1763-1808 insula occidentalis; 1780-1812 via Consolare; 1813-1823 Foro; 1845 Porta Marina; 1851-1852 Porta di Stabia; 1857-1861 Terme Stabiane. Con la scoperta delle Terme Stabiane termina il periodo borbonico che fu caratterizzato da scavi volti essenzialmente a recuperare oggetti di valore quali pitture che venivano strappate dalle pareti, marmi, mosaici, arredi di ogni genere. Talora sintomatiche incursioni europee sul patrimonio archeologico trovarono resistenza da parte di Carlo III5 come nel caso di Treglia quando fece processare gli autori dello scavo non autorizzato e indotto da Sir Hamilton6.
10Una indicazione circa il clima dell’epoca e il modo di registrare le scoperte proviene da quattro volumi cartacei, recentemente editi, che contengono le minute delle relazioni settimanali relative agli scavi, a partire dal 5 novembre 1763 e fino al 29 dicembre 1810. Sulla fronte del primo volume è annotato “5 novembre 1763-1 febbraio 1766” e sul dorso “Rapporti degli Scavi di Weber e di Vega ad Alcubierre”. I restanti volumi sono tutti redatti da Francesco La Vega, che fu direttore degli scavi ininterrottamente dal 1764 fino alla sua morte, nel 1804 (fino al 1780 in sottordine all’Alcubierre) e da questa data dal fratello Pietro, che gli successe nella carica fino alla morte, nel 1814. A buon diritto M. Pagano scrive: “L’importanza dei nuovi documenti pubblicati è enorme sia per quanto riguarda la storia degli scavi borbonici, sia per l’illustrazione degli stessi”7.
11Come si vede, sono elenchi di strutture murarie, di oggetti e soprattutto descrizioni minute di pitture parietali (fig. 2).
12Alcuni esempi sono indicativi della logica di quel periodo.
13Alla data 10 novembre 1764, dunque un anno dopo il riconoscimento della città si legge la descrizione di un intervento.
“… a Pompei, nella masseria d’Irace si sono scoperte sei pitture in tutto simili, di pal(mi) 2 ed on(c)e e 4 larghe, che rappresentano ciascuna un ornato, e sopra questo un uccello in campo negro. Si sono tagliate dai giovani di Canard le pitture ed il musaico… Oltre questo si sono trovati due pezzi d’intonachi caduti, ciascuno di 6 on(c) e in quadro, uno de’ quali rappresenta un piccolo ornato con un uccello, e l’altro una maschera e di più di bronzo, un picciolo piede di vaso, una moneta di modulo mezzano, una stanghetta di serratura, una lastra, e tre pezzetti dello stesso metallo; tre pezzi di piombo, un manico e un labbro di vaso di buccaro, con alcuni ornati, e tredici pezzi di talco, ed un peso di marmo, con il segno di una X”8.
14Circa un anno dopo viene indicata un’altra operazione non meno significativa. Le semplificazioni sono molteplici e in molti appunti si rileva anche una certa prolissità.
“19 ottobre 1965… nella presente settimana nella Civita nel sito detto il Rapillo alla masseria di D (o) n Luigi Montemurro si è continuato a scavare dentro la stanza dipinta con geroglifici descritta nel rapporto passato e altri e nel mezzo della medesima si è truovato un coltello di bronzo con manico dello stesso metallo di lunghezza in tutto on(c) e 10 e ½, ed un chiodo dello stesso metallo…” (fig. 3)9.
15Come si vede ci troviamo di fronte ad esecutori che, minuziosamente scrivendo, delegavano ad altri la comprensione del significato delle scoperte.
16L’Ottocento fu caratterizzato non solo dagli scavi quanto anche dal dibattito tra le discipline e i loro punti di contatto.
17Nella prima metà del secolo, a seguito principalmente degli scavi di Pompei, venivano gettate le premesse delle discussioni sulla natura stessa dell’archeologia sicché gli studiosi italiani presero a meglio coniugare le varie discipline stabilendo al contempo i limiti e le possibilità esegetiche e documentali della filologia, della storia e dell’archeologia10:
“…cominciò a imporsi un nuovo termine, archeologia, e tale mutamento lessicale corrisponde a un cambiamento di ruolo e contenuti nella conoscenza del passato. Gli studiosi che rivendicano a chiare lettere la qualifica di archeologo aspirano a fondare una nuova branca del sapere, che non sia più strettamente subordinata alla filologia, ma che contempli tutta la storia dell’uomo nei suoi aspetti materiali. A tale scopo si accingono a creare uno strumento specifico e necessario alla classificazione degli oggetti: la tipologia”11.
18Relativamente a Pompei nel 1808 emerse il progetto Arditi di costituire una rete di “musei provinciali” in tutte le principali città del Regno, rete mai attuata ma ritenuta il mezzo più efficace per la conoscenza dell’Antico e per i metodi di ricerca, ove la classificazione degli oggetti aveva uno scopo anche inventariale, come di esplicito possesso dei reperti, oltre a quello di combattere scavatori clandestini e trafficanti di antichità12.
19Nella seconda metà dello stesso secolo, dopo il riordinamento del Fiorelli inteso a togliere ogni saltuarietà alla conduzione dello scavo, furono dissepolti altri complessi: 1877-1878 Terme Centrali; 1879 Casa del Centenario; 1893 Casa delle Nozze d’Argento; 1894-1895 Casa dei Vettii; 1903-1905 Casa degli Amorini Dorati. In questo periodo vennero esplorate alcune aree suburbane tra le quali il primo nucleo della Villa dei Misteri.
20Al lento procedere dalla filologia all’archeologia si affiancava un altro aspetto non meno intrigante e significativo che ebbe in Pompei il banco di prova. Infatti i clamorosi rinvenimenti pompeiani, con l’Unità di Italia, incentivarono il percorso ideologico e politico da una visione di appartenenza dei monumenti antichi al Sovrano all’avvicinamento al concetto di bene nazionale13. In questo modo il sentimento politico unitario creò le condizioni della conservazione e della preminenza culturale del bene archeologico, terminale di un percorso complesso e non agevole.
21Fu a quell’epoca che la figura di Giuseppe Fiorelli, protagonista della Scuola Pompeiana, divenne emblematica incarnando il difficile percorso delle varie discipline. Vi è infatti un aspetto che, forse più di ogni altro, merita un recupero di memoria sullo sfondo delle vicende culturali europee. La Scuola Pompeiana racchiuse in sé uno spaccato dei dibattiti dell’epoca attraverso il coinvolgimento delle due maggiori correnti di pensiero all’interno delle discipline umanistiche, quella dei filologi e quella degli archeologi da campo svolgendo un ruolo importante nello scontro tra una archeologia romantica e idealistica legata ai canoni della Altertumswissenchaft ed una archeologia storicizzata e legata ai monumenti e ai dati archeologici.
22L’opera del Fiorelli fu feconda e di alto profilo in molte direzioni se C. M. Theodor Mommsen, con la sua autorevole penna, scrisse.
Hic unus vir quantopere et Patriae suae et communibus studiis profuerit, Pompeiis effossis, Museo Neapolitano ordinato, per universam Italiam inventis celeriter et sollerter editis, haec duo volumina per singulas paginas demonstrant, neque nomen eius oblivione deleri poterit, nisi cum ipsis hisce litteris14.
23In quel periodo si agitavano formazioni culturali diverse, due modi di concepire la disciplina archeologica come teoria e come prassi. Erano tempi tuttavia in cui l’archeologia aveva bisogno sia di iniziative concrete sia di elaborazioni teoriche ma le prime non potevano attendere oltre. L’archeologia filologica, per quanto possa apparire peregrino date le testimonianze in senso inverso, almeno sotto un solo aspetto, funzionò da motore di spinta verso l’archeologia fattuale. Ciò si evince con chiarezza proprio dalle vicende pompeiane perché la Scuola Archeologica di Pompei fu protagonista di un esperimento in quella direzione.
24Nel contempo è opportuno ricordare le vicende degli studiosi francesi, che avevano già dato opere importanti relative a Pompei, le quali sono state ben illustrate da Ève Gran-Aymerich sottolineando come la sezione francese, favorita dalla svolta della politica unitaria italiana, avesse concentrato i suoi sforzi a Roma dove Napoleone III, ad esempio, acquistò i giardini Farnese nel 186115. Opere come quelle di Mazois16 e di Overbeck-Mau17 furono importanti e incisive nella storia archeologica non solo pompeiana.
25Altrettanto sono di grande valore i lavori e gli invii degli architetti francesi dell’epoca (da Félix-Emmanuel Callet a Léon Jaussely, a François-Wilbrod Chabrol tanto per esemplificare) cui è stata dedicata una importante mostra nel 1981 perché documentano una strategia tesa a coniugare l’educazione dei pensionnaires tra pratica e cultura di fronte ai resti di Pompei18 con particolare riguardo al dato archeologico.
26Tuttavia è opportuno ricordare che, nonostante le sue attestazioni di stima verso G. Fiorelli, quando il Mommsen fu chiamato ad esprimere un parere, si pronunziò in difesa dell’archeologia filologica, anzi in una lettera disse, sostanzialmente, che è meglio un cattivo filologo che un bravo scavatore. E’ da condividere pienamente l’interpretazione di M. Barbanera quando scrive: “è che la Scuola di Pompei con la sua connotazione di pragmatismo, con l’attenzione data al monumento nel suo contesto, avrebbe potuto costituire una via, forse non alternativa, ma parallela, a quella del Löewy…”, come dire della Archäologie der Kunst. Non poco addebito, infatti, va attribuito allo studioso viennese la cui visione spinse e determinò a quell’epoca la centralità della ricerca solo nel campo storico-artistico19.
27Il panorama del primo cinquantennio del Novecento si presenta molto articolato. Un capitolo importante e determinante per la convergenza organica delle varie correnti di pensiero è stato scritto da Amedeo Maiuri che portò avanti lo scavo limitandolo nel primo decennio al fronte stradale e agli edifici più importanti, e ampliandolo in seguito alle Regiones I e II di via dell’Abbondanza (1924…). Mise così in luce il grande edificio della palestra romana a fianco dell’anfiteatro, e importanti abitazioni come la Casa del Menandro e la Casa di Giulia Felice, ma gli interventi furono molteplici.
28Gli anni dal’20 al’50 sono dominati dalla sua prestigiosa figura, personalità complessa e di cui è difficile sintetizzare la multiforme attività e la cui opera solo in parte può venire accomunata alla tradition pompéianiste perché era nata sotto il segno più ampio della sua esperienza mediterranea (scavi a Creta, nel Dodecanneso, sulle coste dell’Asia Minore). Lo studioso aveva una conoscenza profonda delle fonti letterarie e “macerata consuetudine con logografi e poeti”. Infatti avevano contribuito alla sua formazione le ricerche effettuate per la laurea in filologia bizantina che servirono a fargli le ossa sui codici greci20. Egli riconosceva dunque l’importanza documentale delle fonti antiche perseguita dalla corrente “filologica” ma, per converso, l’esperienza filologica non gli concesse di acquisire appieno tutti gli strumenti propri delle discipline storiche.
29Quanto allo scavo è da dire che il suo operato si rivolse dapprima a liberare la città antica dalle ceneri, quindi ad effettuare una serie di accurati, e ancora oggi validi, saggi stratigrafici nei limiti delle conoscenze dell’epoca, saggi che videro la luce dal 1930 e il 195121. In rapporto all’argomento in oggetto possiamo ben dire che fu il primo studioso a proporre un tentativo di sintesi storica, su basi documentarie propriamente archeologiche, della città dopo il terremoto del 1962, nel volume l’Ultima fase edilizia di Pompei22.
30Con lui nasceva anche un genere letterario che potremmo inserire nella poetica della scienza piuttosto che nell’ambito delle discipline storiche. La sua adesione intellettuale e psicologica al mondo fu forte e la si scopre nel modo di raccontare e interpretare le fonti classiche. Credo che un solo confronto renda già bene l’idea.
C. Plinius Tacito suo s.
Petis, ut tibi avunculi mei exitum scribam,…/ Erat Miseni classemque imperio praesens regebat. Nonum Kal. Septembres hora fere septima mater mea indicat ei apparere nubem inusitata et magnitudine et specie…/ Cunctatus paulum, an retro flecteret, mox gubernatori ut ita faceret monenti “Fortes”, inquit “fortuna iuvat. Pomponianum pete.”…/ Iam dies alibi, illic nox omnibus noctibus nigrior densiorque; quam tamen faces multae variaque lumina solabantur. Placuit egredi in litus et ex proximo aspicere, ecquid iam mare admitteret; quod adhuc vastum et adversum permanebat. Ibi super abiectum linteum recubans semel atque iterum frigidam aquam poposcit hausitque. Deinde flammae flammarumque praenuntius odor sulfuris alios in fugam vertunt, excitant illum. Innitens servolis duobus assurrexit et statim concidit, ut ego colligo, crassiore caligine spiritu obstructo clausoque stomacho, qui illi natura invalidus et angustus et frequenter interaestuans erat. Ubi dies redditus… corpus inventum integrum, illaesum opertumque, ut fuerat indutus; habitus corporis quiescenti quam defuncto similior
(Loeb Classical Library: Plin., Epist.,VI, 16).
A. Maiuri descrive la vicenda di Plinio il Vecchio, i fuggiaschi ed i morti a Porta Nocera.
“In mezzo a questa turba anonima di fuggiaschi giovani, vecchi, ricchi, poveri, servi e liberti, cacciati come belve dall’incendio della foresta, che il Vesuvio disseminò lungo le vie della città, negli orti e nei cortili, fuori delle mura e nei campi fino al fiume e al mare, una ce ne fu che grandeggia e resta sovrana. Non ce la preservarono le ceneri, ce ne fissò il nome e l’immagine la sola testimonianza letteraria che abbiamo dell’eruzione: è Plinio il Vecchio… celebrato nella lettera che il nipote scrisse a Tacito… Plinio, lasciato solo, ha i primi sintomi della soffocazione, vacilla e, sostenuto a stento da due servi torelli, cade di peso sul molo; la morte mette fine al suo eroico intervento contro le forze nemiche della natura. La salma del vecchio ammiraglio avvolta in un lenzuolo accanto alla prua della nave, ci appare oggi come quella d’un buon comandante caduto al suo posto di combattimento nella notte apocalittica dell’eruzione”23.
31E’ interessante notare la conclusione che investe scienza, storia e umano ‘sentire’: “è un documento di alto valore scientifico e umano”.
32Gli ultimi decenni videro la catastrofe della seconda guerra mondiale che costituisce il limite del nostro contributo. La immane tragedia soffocò ogni anelito culturale che rimase confinato nelle cerchie degli studiosi portando ad una stasi delle ricerche teoriche. Avanzarono invece le attività concrete volte al salvataggio delle antiche città vesuviane. Per molto tempo divenne secondaria la questione filologia, storia antica, archeologia.
“Con l’incalzare dell’estate si teme che Pompei possa subire l’urto dell’invasione... Si seppelliscono e si murano statuette e rilievi nei sotterranei delle Terme Stabiane… Il 24 agosto allarme a Pompei. Cadono bombe sul Foro, sulla casa di Trittolemo, sull’Antiquarium, ridotto in un attimo a un cumulo di macerie… Nel settembre cadono sugli scavi non meno di 160 bombe… E’ polverizzata… una grande pittura nella di Sallustio raffigurante Diana e Atteone”… batterie antiaeree piazzate lungo il viale della Villa dei Misteri, autocarri militari… fra Porta Marina e l’esedra antistante”24.
33Alle soglie del periodo postbellico il passaggio all’archeologia era compiuto ma non esaurito completamente. Tanti anni dopo verrà ripresa la questione delle discipline. In particolare ciò si verificò all’interno della stessa archeologia che andava affinando le indagini nel settore che riguardava gli interventi sul campo e la rivalutazione della vita quotidiana attraverso gli oggetti di uso visti nei rispettivi contesti. Concludendo questa veloce carrellata, mi sembra che l’approccio multidisciplinare invocato per la field archaeology, abbia finito con il riassorbire quelle dispute che erano andate avanti per decenni e decenni25.
Bibliographie
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Notes de bas de page
1 Borgia, Mem. Stor, I, 340.
2 Arcadia, XII, 141.
3 La sconfinata bibliografia è ridotta al minimo in quanto nei testi citati esiste la più ampia documentazione. Per il quadro storico e relative fonti classiche: EAA, s.u. Pompei; Lepore 1979; Solimeno Cipriano 1982.
4 Onorato 1957, 26.
5 In ogni caso il Sovrano, con relativa corte, appare sensibile alla tesi della preminenza culturale che aveva notevoli risvolti anche politici. “Carlo di Borbone and his ministers immediately grasped the potential of the excavations and the discoveries to give lustre and substance to the new independent monarchy in the eyes of the major European power”: Rao 2007. Nel notissimo episodio del gesto della consegna dell’anello – con l’antico cammeo che raffigurava una maschera teatrale proveniente dagli scavi vesuviani–da parte di Carlo III al figlio al momento dell’abdicazione nel 1759 per diventare re di Spagna, si può ravvisarne la prova più evidente e indiscussa. Giustamente è stato messo in risalto come questo rilevante atto politico-istituzionale avesse una duplice funzionalità. L’anello non segue la persona fisica ma rimane nel patrimonio di quella che, per diritto di successione, viene a costituire il nuovo vertice del regno (Guzzo 2005, 333); è quanto ricorda anche A. Schnapp (Schnapp 1994, 216). E’ stato in buona sostanza sottolineato come ogni impresa archeologica, risultante della volontà sovrana, venisse a vantaggio della figura del re, sia essa intesa come esplicazione istituzionale sia come fatto personale un fenomeno che continua anche in regimi politico-istituzionali completamente mutati.
6 Quando Sir William, avendo tentato uno scavo nei pressi di Trebula Balliensis nell’attuale provincia di Caserta, dovette subire l’onta dell’arresto dei suoi collaboratori: Albore Livadie 2009.
7 Pagano 1997, 11-14.
8 Pagano 1997, 23.
9 Pagano 1997, 30.
10 Schnapp 2007, 163 a proposito delle scoperte vesuviane: “… during the second half of the eighteenth century is a preview of the debates that would come to surround what we now call archaeology”.
11 Schnapp 1994, 243.
12 Milanese 1996; Milanese 2001, 590-591.
13 Milanese 1999, 422-443.
14 Dalla prefazione al volume IX del CIL.
15 EGA. 2, 164.
16 Mazois 1813-1838.
17 Overbeck & Mau 1884.
18 Pompéi 1981, il cui obiettivo non era quello di una operazione sistematica ma di richiamo ai centri di grande interesse: “Pour des raisons de clarté, il nous a semblé nécessaire, après reflexions, de choisir comme critère fundamental de classement les grands centres d’intérêt des pensionnaires: les monuments du Forum, ceux du Quartier des Théâtres (Forum Triangulaire), enfin les maisons et les peintures”.
19 M. Barbanera, in: De Caro & Guzzo 1999, 62.
20 Belli 1978, 13.
21 Maiuri 1973.
22 Maiuri 1942.
23 Belli 1978, 300-303.
24 Maggi 2008, 108-109.
25 Bonghi Jovino 1999.
Auteur
Professore ordinario (già) di Etruscologia e Archeologia Italica, Università degli Studi di Milano; maria.bonghijovino@sdo.it
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2015
Pour une histoire de l’archéologie xviiie siècle - 1945
Hommage de ses collègues et amis à Ève Gran-Aymerich
Annick Fenet et Natacha Lubtchansky (dir.)
2015